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Full text of "Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor"

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DG  737.97    .L86  1900 
Luotto,  Paolo,  1855-1897 
Il  vero  Savonarola  e  il 
Savonarola  di  L.  Pastor 


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in  2015 


https://archive.org/details/ilverosavonarolaOOIuot_0 


IL  VERO  SAVONAROLA 

E 

IL  SAVONAROLA  DI  LODOVICO  PASTOR 


/ 

PAOLO  LTJOTTO 


IL  VERO  SAVONAROLA 


IL  SAVONAROLA  01  L.  PASTOR 


Seconda  Edizione 


FIRENZE 
SUCCESSORI   LE  MONNIER 


1900 


Proprietà  Letteraria 
e  diritti  di  traduzione  riservati. 


Firenze,  1900.  —  Società  Tipografica  Fiorentina,  Via  San  Gallo,  33. 


PREFAZIONE  ALLA  PRIMA  EDIZIONE 


Questo  libro,  quantunque  nascesse  dal  proposito  di  ribattere  il  giu- 
dizio dato  su  Fra  Girolamo  Savonarola  da  L.  Pastor  nel  III  volume  della 
Storia  dei  Papi,  è  tuttavia  una  tesi  piuttosto  che  una  critica  c  una  pole- 
mica: si  propone  di  mostrare  il  vero  Savonarola,  provando  insieme  che 
quello  del  Pastor  è  un  Savonarola  in  parte  immaginario.  Nostro  intento 
perciò  non  è  solo  di  distruggere,  ma  di  edificare:  se  ci  fosse  piaciuto  solo 
di  distruggere,  la  via  sarebbe  stata  molto  più  breve  e  facile. 

Ma  a\  remo  edificato  davvero  ?  Giudicherà  il  lettore.  Noi  colla  scorta 
principalmente  delle  Opere  del  Frate,  sia  edite,  sia  inedite,  e  dei  docu- 
menti intorno  a  lui  fin  qui  pubblicati,  abbiamo  cercato  di  riti-arre  la  dot- 
trina e  la  vita  del  Savonarola  e  mostrar  questa  conforme  a  quella,  nei  ri- 
guardi specialmente  verso  1'  autorità,  e  soprattutto  verso  Alessandro  YI. 
Frutto  de'  nostri  studj  è  una  sincera  persuasione  sempre  crescente  che 
la  vita  di  quest'uomo  fosse  piena  di  virtù,  e  perciò  conforme  alla  sana  dot- 
trina, e  vorremmo  anche  dire  ornata  di  santità,  se  non  dovessimo  intorno 
a  questo  lasciare  il  giudizio  alla  Chiesa,  per  la  quale  egli  visse  e  morì. 

Dalle  nostre  pagine  vedrà  il  lettore  che  il  Savonarola,  sotto  ogni 
rispetto,  appartiene  alla  famiglia  cattolica  e  che  questa  ha  perciò  pieno 
diritto  di  annoverarlo  fra  i  migliori  suoi  figli.  Del  resto  egli  vive  nella 
Chiesa  come  vivono  i  membri  di  lei  più  eletti.  E  noi  siamo  lieti  di  poter 
attestare  che  specialmente  nell'Ordine  domenicano  il  Savonarola  \ive 
come  quattro  secoli  fa. 

Innanzi  che  io  pubblicassi  il  primo  volume  dello  Studio  della  Sacra 
Scrittura  secondo  Girolamo  Savonarola  c  Leone  XIII,  io  non  conoscevo 
nessuno  dei  Padri  della  Congregazione  di  San  Marco:  ora  posso  dire  di 
averli  tutti  affezionati  amici;  e  a  loro  slessi  si  deve  se  questo  mio  la- 


—  VI  — 


voro  viene  alla  luce  lo  ammiro  ed  amo  il  loro  Savonarola,  ossi,  conti- 
nuandola tradizione  doli' illustre  Padre  Marchese,  hanno  per  il  Savo- 
narola una  venerazione  ed  un  eulto:  questo  bastò  por  istituire  fra  di  noi 
una  dolce  amicizia.  Nè  men  vivo  e  men  caldo  ò  questo  culto  negli  altri 
conventi  d'Italia  e  d'Europa  e  della  stessa  America,  sicché,  se  uno  tra  i 
figli  di  San  Domenico  usasse  anche  oggidì  minor  riverenza  verso  colui  elio 
San  Filippo  Neri  è  Santa  Caterina  dei  Ricci  venerarono  come  santo, 
cosini,  come  nel  secolo  XVI  il  Caterino,  sarebbe  chiamato  V Ismaele  dei 
suoi  fratelli. 

Aveva  ben  ragione  il  P.  Lodovico  Ferretti  di  domandare:  «  Ha  peli- 
li sato  il  prof.  Pastor  clic  non  si  trattava  d'un  monumento  archeologico  da 
«  esaminare,  non  si  trattava  di  giudicare  un  pezzo  di  materia  morta  e 
«  seppellita  da  secoli;  ha  pensato  che  il  Savonarala  vive  ancora  nei  suoi 
«  scritti  e  vive  più  che  mai  nel  cuoi  o  dei  suoi  confratelli,  in  quell'Ordine 
«  eliclo  tien  caro  come  una  dello  suo  glorie  più  belle,  a  cui  non  intendo 
«  per  nulla  di  rinunziare  »  ?  (Rosario,  Memorie  Domenicane,  anno  XIII, 
n°  23). 

Comparvo  il  libro  del  Pastor,  che  al  Savonarola  ripeteva  le  tacco  di 
fanatico,  superbo,  appassionalo,  esageralo,  rigido,  disobbediente  e  ribelle,  sa- 
crilego  e  blasfemo;  e  varj  cattolici,  che  già  veneravano  il  Savonarola, 
indotti  dall' autorità  grandissima  e  ben  acquistata  colla  virtù,  colla 
scienza,  colla  erudizione  straordinaria  del  nuovo  censore,  cambiarmi 
partito;  ma  Dell'Ordine  domenicano,  per  quanto  io  sappia,  la  venera- 
zione verso  il  grande  confratello  non  diede  neppure  un  crollo,  tanto 
era  viva  e  profonda!  come  non  lo  diede  in  (pianti  orano  un  poco  addentro 
nello  cose  savonaroliane. 

Questa  fermezza  è  la  più  eloquente  delle  apologie. 

Si  parlò  di  nuovi  documenti  pubblicati  dal  Pastor.  Attestiamo  fin  d'ora 
che,  tra  i  documenti  del  Pastor  riguardanti  il  Savonarola,  neppur  uno  è 
veramente  nuovo,  come  non  è  nuova  nessuna  dello  accuse  mosse  da  lui 
al  Frale.  Nuova  e  mirabile  è  nel  Pastor  l'arte  con  cui  egli  seppe  racco- 
gliere in  poche  pagine  (pianto  fin  qui  si  era  dello  in  condanna  del  Frale 
dal  secolo  XV  lino  a  noi;  nuovo  il  tentativo  di  documentare  un  severo 
processo,  cui  dà  peso  grande  il  nome  del  giudice;  nuova  la  freddezza 
con  cui  persino  della  inoriti  del  Savonarola  egli  parla  e  pronunzia  il  giudizio 
Inaile,  allontanandosi  audio  dal  numero  grande  dei  cattolici  che  le  sup- 
poste pecche  del  Frate  dicono  terse  nel  sangue  da  lui  sparso  con  cri- 
sliana  virili. 

Il  giudizio  di  questi  ultimi,  nondimeno,  è,  a  mio  parere,  all'alio  sba- 
gliato. O  la  morte  del  Savonarola  è  conferma  di  una  vita  santa,  o  egli  fu 


—  vn  — 


un  tristo  e  un  ribollo  fino  all'ultimo.  Fino  agli  estremi  infatti  egli  persistè 
nelle  suo  vedute,  e  sebbene  cogli  occhi  umidi  di  largo  pianto  si  chiamasse 
più  volte  peccatore,  sebbene  andando  al  supplizio  passasse  in  mezzo  alla 
l'olla  recitando  sommesse  preghiere,  pure  non  ritirò  mai  nemmeno  una  sil- 
laba di  (pianto  a\e\a  ripetutamente  predicalo;  e  sì  che  avrebbe  potuto 
tarlo  agevolmente  c  aveva  ripetuto  più  volte  che,  ove  gii  t'osse  indicato 
un  errore,  lo  avrebbe  disdetto  alla  presenza  di  tutto  il  popolo. 

E  già  Pico  della  Mirandola  nella  Vita  di  Fra  Girolamo  al  cap.  XX 
notava,  che  «  se  egli  in  quel  momento  avesse  sentito  l'obbligo  di  provve- 
dere alla  sua  coscienza,  avrebbe  dovuto  tarlo  da  sè  stesso,  liberamente  e 
in  presenza  di  tutto  il  popolo  e  ritrattare  i  suoi  errori;  e  lo  avrebbe  do- 
vuto l'are  non  solo  a  voce,  ma  pur  anco  in  iscritto  ».  Il  Savonarola  non 
lo  fece.  Degradato  dal  commissario  pontificio,  udita  la  forinola  che  lo  se- 
parava dalla  Chiesa,  protestò  distinguendo  :  Dalla  militante;  riepilogando 
così  (pianto  aveva  predicato  dal  pulpito  sull'invalidità  della  sua  con- 
danna e  confermando,  se  fosse  stato  un  tristo,  la  sua  ostinazione.  Egli  è 
uomo  tutto  d'un  pezzo,  uguale  sempre  a  sè  stesso;  o  lo  consideriamo 
nell'opuscolo  Del  disprezzo  del  mondo,  lasciato  ai  suoi  cari  per  conforto 
prima  di  ritirarsi  nel  chiostro  domenicano,  o  nell'esposizione  del  salmo 
In  te  Domine,  che  scriveva  nel  carcere  e  lasciava  interrotta  chiamato  dal 
carnefice;  è  sempre  lo  stesso,  nella  vita  e  nella  morte.  0  è  un  uomo 
di  Dio,  fornito  di  eroiche  virtù,  o  un  grande  ribaldo  e  mentitore  lino  al- 
l' ultimo. 

Non  diciamo  che  il  Pastor  accetti  semplicemente  questo  dilemma; 
forse  l'egregio  storico  ci  direbbe  ch'egli  parla  di  difetti  e  non  d'em- 
pietà, e  che  molte  pecche  materiali  possono  coesistere  con  molti 
meriti  formali.  Ma  il  dilemma  nostro  è  pur  vero,  e  potrebbe  trovar 
dillieile  evitarlo  un  qualche  lettore  del  Pastor;  e  allora  questo  lettore 
bisognerebbe  che  si  attenesse  alla  seconda  sentenza  e  dicesse  il  Savona- 
rola un  presuntuoso  impenitente.  Poiché,  troverà  pure  che  il  Frate  eo- 
raggioso  e  sereno  si  avviò  al  supplizio,  ma  non  troverà  che  il  condan- 
nato come  eretico,  il  disobbediente  e  il  saerileyo  si  sia  disdetto,  nò  che  il 
superbo  si  sia  umiliato. 

La  mia  tesi  è  in  contradizionc  a  questa.  1  cattolici  a  cui  parlo  ve- 
dranno le  prove.  Se  avrò  dei  giudici,  li  pregherei  d'essermi  severi;  qua- 
lunque sia  la  loro  sentenza,  mi  faranno  certo  un  gran  bene.  Credo 
che  neppur  una  delle  proposizioni  del  Pastor  contro  Fra  Girolamo  sia 
rimasta  senza  risposta;  tuttavia  questo  lavoro  è  piuttosto  un  programma, 
e  neppur  completo,  degli  argomenti  che  ho  in  animo  di  svolgere  in- 
torno al  Savonarola,  per  rivendicarlo  completamente  alla  Chiesa  Cattolica, 


—  Vili  — 


che  non  un"  apologia  ampia  e  definitiva  per  ogni  parte.  Ora,  qual  bene- 
ficio  maggiore  di  quello  di  arrestarmi  nel  principio  della  faticosa  via, 
quando  essa  non  l'osse  la  retta  ? 

Una  cosa  però  devo  dire  schiettamente.  Intorno  a  Fra  Girolamo  si  è 
già  parlato  troppo,  e  anche  da  persone  egregie,  poggiandosi  solamente  a 
pregiudizi  0  dubbie  autorità  e  senza  piena  cognizione  dell'  argomento.  Le 
sentenze  generali  si  devono  ormai  lasciare  da  parte.  Se  alcuno  adunque 
volesse  censurarmi,  lo  pregherei  di  leggere  prima  almeno  le  Opere  prin- 
cipali del  Frate  e  i  documenti  publicati  fin  qui  intorno  a  lui.  Non  è  facil 
cosa,  lo  so,  ma  pure  necessaria  per  conoscer  bene  la  causa;  chi  non  si 
sente  di  esaminare  i  processi,  non  dia  la  sentenza.  Ma  chi  potrebbe  rive- 
der questo  processo  meglio  del  dott.  Pastor?  A  ciò  si  richiede  ingegno, 
scienza,  religione;  ed  il  Pastor  è  dotato  di  mente  così  alta,  è  adorno  di 
sapere  così  eletto  e  di  religione  così  sincera  che  tutti  giustamente  l'am- 
miriamo. Ov'  egli  dunque  volesse  ristudiar  la  questione  e  pronunciare  il 
suo  giudizio  dopo  conosciuto  meglio  1'  argomento,  staremmo  ad  udirlo 
tutti  umili  e  riconoscenti,  ed  io  per  il  primo.  Allora  mi  terrei  davvero 
ricompensato  delle  fatiche  durate  (in  qui,  nò  vorrei  spinger  oltre  le  mie 
brame. 

E  qui  non  posso  finire  senza  esprimere  un  vivissimo  desiderio  : 
Oliando  potremo  vedere  un'edizione  completa  di  tutte  le  Opere  di  questo 
grande  Predicatore?  Onesta  sarebbe  la  più  efficace  delle  difese,  sarebbe 
un  trionfo  della  scienza  e  della  religione,  il  più  grande  e  più  proficuo  ri- 
cordo del  prossimo  Centenario! 

Domenico  da  Pescia  nella  mestissima  lettera  che  scriveva  ai  suoi 
Frati  di  San  Domenico  di  Fiesole,  la  sera  innanzi  il  supplizio,  raccoman- 
da \  a  iid  essi  le  Opere  del  loro  Padre  e  Maestro!  11  testamento  del  fedele 
compagno  nella  vita  e  nella  morte  del  Savonarola  sia  uno  stimolo  ai 
ligli  della  Congregazione  di  San  Marco  per  appagare  il  comune  desiderio! 


Faenza,  2'.)  Maggio  1897. 


AVVERTENZA  BIBLIOGRAFICA 


PREMESSA   ALLA   PRIMA  EDIZIONE. 


Non  faccio  una  prefazione  bibliografica,  sebbene  veda  ch'essa  potrebbe 
riuscire  utilissima.  Intendo  rimandarla  a  quando  avrò  compiuta  la  pub- 
blicazione degli  altri  miei  lavori  intorno  a  Fra  Girolamo.  Allora  dirò 
anche  due  parole  delle  principali  pubblicazioni  recenti  sul  nostro  Frate. 
Qui  mi  limito  ad  avvertire  che  i  passi  citali  del  Savonarola  per  lo  più  li 
ho  visti  nelle  edizioni  del  tempo,  nelle  edizioni  veneziane  del  secolo  XVI 
e  nelle  posteriori  quando  vi  sono.  Alcune  delle  edizioni  del  tempo  mi 
vennero  favorite  dalla  Comunitativa  di  Cesena:  le  altre  le  vidi  nella  Na- 
zionale o  nella  Marucellianu  e  Riccardiana  di  Firenze.  Le  edizioni  del 
secolo  XVI  e  le  posteriori  o  sono  di  mia  proprietà  o  appartengono  alla 
biblioteca  di  questo  Liceo,  salvo  le  prediche  sopra  l'Esodo, per  le  quali  mi 
colsi  di  una  copia  della  Marucelliana,  e  quelle  sopra  Aggeo  favoritemi 
dalla  Nazionale  di  Firenze. 

Come  già  altrove,  così  anche  qui  riduco  I'  ortografia,  e  alcune  volte 
cerco  di  far  correr  meglio  la  grammatica  e  la  sintassi:  ma  ho  sempre  cura 
che  non  si  alteri  per  nulla  il  senso  e  resti  integro  il  pensiero  del  Frate. 

Per  le  Opere  lasciateci  in  Ialino  e  in  volgare,  come  il  Trionfo  e  il 
Compendio  di  Rivelazioni,  mi  valgo  del  Ialino  e  del  volgare  senza  troppa 
distinzione,  ma  come  mi  par  meglio  o  torna  più  comodo.  Per  alcune  Opere 
minori  a  volle  ricorsi  anche  alla  versione  che  ce  ne  ha  data  il  francese 
Padre  E.  C.  Ha  gonne,  Parigi,  1819-1880. 

Gli  Scritti  inediti  son  sempre  quelli  che  ho  potuto  leggere  per  la 
cortesia  del  Prof.  P.  Villari,  e  de'  quali  parlai  nella  prefazione  allo 
Studio  della  Scrittura  Sacra,  Torino,  1896.  Esprimo  qui  un'altra  volta  a 
questo  insigne  storico  la  molla  riconoscenza  che  gli  devo. 

Delle  Opere  degli  altri  untori  è  dello  nel  lesto,  o  prima  o  poi,  l'edi- 
zione che  cito.  Allorché  rimando  semplicemente  alla  pagina,  se  è  discorso 
del  Pastor,  intendo  il  coh/me  III  /Iella  sua  Storia  dei  l'api  nella  Ira- 


puzione  italiana  del  sacerdote  Clemente  Benetti  (Trento,  1896);  se  si 
tratta  di  altri  tu/lori,  intendo  il  1  volume,  ore  l'Opera  consti  di  più  vo- 
lumi. Citando  il  Quètif  intendo  le  Addizioni  alla  vita  di  Fra  Girolamo 
scritta  da  Giov.  Frane.  Pico  della  Mirandola,  Parigi,  1674.  Citando  i 
processi,  intendo  quelli  pubblicati  dal  Yillari  in  appendice  al  volume  fi 
della  sua  Storia  del  Savonarola  a  tulli  nota. 

Importante  assai  e  per  il  lettore  una  qualche  conoscenza  de'  Nuovi 
documenti  che  furono  pubblica  li  intorno  a  Fra  Girolamo  dal  P.  3Jar- 
chese,  dal  P.  Bayonne,  dal  Guasti,  dal  Yillari,  dal  Del  Lungo,  dal  Lupi, 
dal  Cappelli,  dal  Passerini,  dal  Portioli,  dal  Conti,  dal  Ghepardi,  che  noi 
spesso  citiamo;  per  ora  chi  ne  mancasse  ricorra  al  Cosci,  Archivio  Sto- 
rico Italiano,  serie  IV,  voi.  IV,  anno  1897,  e  meglio  ancora  al  Pellegrini, 
Archivio  della  Società  Romana  di  Storia  Patria,  voi.  XI,  pag.  703  e  segg. 


PREFAZIONE  A  QUESTA  NUOVA  EDIZIONE 


Agli  ultimi  di  giugno  dello  scorso  anno  1899  si  compiron  due  anni 
dalla  prima  pubblicazione  di  questo  volume.  A  dì  11  dello  stesso  mese 
il  prof.  Luotto,  di  cara  e  venerata  memoria,  scrivendo  all'amico  clic  qui 
in  Firenze  curava  quest'edizione,  gli  diceva:  «Lelio  spedito  l' ultimo 
«  capitolo  :  e  nel  gettarlo  nella  buca  postale,  mi  sentii  veramente  libero 
«  da  un  peso  assai  grave.  Finalmente  ho  finito!  E  ne  avevo  ormai  bi- 
«  sogno  di  esser  libero;  che,  l'assicuro,  sono  stanco  parecchio...»  E 
quella  stanchezza  era  principio  di  queir  atroce  malattia  che  in  meno  di 
6  mesi  lo  condusse  al  sepolcro.  Dopo  un'  alternativa  angosciosa  di  spe- 
ranze e  di  timori,  dopo  i  più  crudeli  spasimi,  rifinito  di  forze,  noli' an- 
cor verde  età  di  42  anni  a  dì  15)  decembre  1897,  egli  spirava  in  Villa- 
franca  d'  Asti  ov'  era  nato  a  dì  13  decembre  1835. 

Nel  primo  anniversario  di  ([nella  lacrimala  perdita  la  famiglia  del- 
l'estinto  pubblicò  un  volume  intitolato:  Pia  ricordanza  di  Paolo  Luotto, 
Dottore  in  Giurisprudenza,  Filosofia  e  Lettere;  (Alessandria, Tip.  G. Chiari), 
diviso  in  i  parti.  La  prima  comprende  (pianto  scrissero  di  quella  morte 
vaiii  giornali  d' Italia,  la  seconda  riporta  varie  lettere  di  condoglianza 
fra  le  molte  pervenute  alla  moglie  ed  al  suocero  dell'estinto,  nella  terza 
son  trascritti  gli  elogi  detti  ai  funerali,  e  la  quarta  registra  i  nomi  di 
tutti  quelli  che  inviarono  telegrammi,  lettere  e  biglietti  di  condoglianza. 

I  giornali  che  parlarono  con  maggior  lode  del  Prof.  Luotto  furono: 
//  Faro  Romagnolo  del  20  decembre,  L'Arreni  re  di  Bologna  del  22  de- 
cembre, //  Corriere  della  sera  del  22-23  decembre,  La  Difesa  di  Venezia 
del  22-23  decembre,  //  Mugello  Cattolico  del  25  decembre,  La  Gazzella 
del  Popolo  di  Torino  del  27-28  decembre,  //  Corriere  Astigiano  del  29 
decembre,  La  Sveglia  di  Alessandria  del  30  decembre,  //  Cittadino  di  Lodi 


—  XII  — 


del  1°  gennaio  1898,  //  Nuovo  Risorgimento,  voi.  VII,  fascicolo  del 
gennaio  1898,  ['Archivio  storico  italiano,  dispensa  quarta  del  1897,  // 
Corriere  Meridionale  di  Lecce  del  7  febbraio  1898,  ed  altri  molti. 

Tra  le  lettere  di  condoglianza  pervenute  alla  famiglia  notiamo  quelle 
del  Card.  Alfonso  Capecelatro  Arcivescovo  di  Capua,  di  Mons.  Francesco 
Baldassarri  Vescovo  d'Urbania  e  di  Sant'Angelo  in  Vado,  di  Mons.  Gio- 
vacchino  Cantagalli  Vescovo  di  Faenza,  di  Mons.  Pio  Del  Corona  Vescovo 
di  Samminiato,  del  Revmo  P.  Fr.  Andrea  Friihwirth  maestro  Generale 
dei  Predicatori,  dell'Ili1110  sig.  A.  Gherzi  Capo  Divisione  del  Ministero 
dell'  Istruzione  Pubblica,  del  Sindaco  di  Alessandria  E.  Fortunato,  del 
sig.  D.  Antonio  Verna  Direttore  della  Biblioteca  Civica  di  Faenza,  del 
Conte  E.  della  Motta,  del  Cav.  Alessandro  Gherardi  Sotto  Archivista  di 
Slato  di  Firenze,  dei  Professori  Allievo  e  Billia  dell'Università  di  To- 
rino, ecc.  Le  belle  doti  di  mente  e  di  cuore  del  defunto  Prof.  Luotto,  la 
sua  fede  incrollabile,  la  sua  tenacità  nello  studio,  la  sua  vastissima  eru- 
dizione e  profonda  dottrina  unite  ad  una  modestia  singolare,  vengono 
in  questo  lettere  ampiamente  lodale. 

Il  Cardinal  Capecelatro  dice  che  i  libri  del  Luotto  rivelano  in  lui 
non  solo  un  potente  ingegno,  ed  un  uomo  dottissimo,  ma  quei  che  è  più, 
un'anima  nobile  e  pienamente  cattolica.  11  Vescovo  Baldassarri  d'Urba- 
nia lo  chiama  un  ottimo,  anzi  un  santo  uomo,  amico  sincero  della  cerila, 
caloroso  cultore  delle  scienze  e  delle  lettere,  professore  che  si  [«cera  ri- 
spettare ed  tinnire  dai  suoi  colleghi  e  dai  suoi  discepoli:  Mons.  Vescovo  di 
Faenza  lo  chiama  onore  dell'  Italia  e  della  scienza:  Mons.  Del  Corona  au- 
gura alla  vedova  le  polenti  consolazioni  della  grazia,  di  quella  grazia  che 
santificò  e  portò  al  bacio  di  Dio  il  suo  compagno,  l'illustre  apologista  di 
Fra  Girolamo. 

Da  circa  un  anno  egli  era  stato  ben  volentieri  ricevuto  nella  figlio- 
lanza dell'  Ordine  dal  Maestro  Generale  dei  Predicatori;  onde  questi,  scri- 
vendo alla  vedova,  cos'i  parlava  di  quella  perdila:  «  È  una  sciagura  per 
«  molti  e  dolore  ineffabile  per  me  clic  tanta  stima  ed  a/fello  aceco  pel  no- 
ti slro  l'aro  Prof.  Doli.  Luotto....  lo  era  troppo  felice  dell'  incontro  di  que- 
"  sf anima  intelligente,  e,  ciò  che  più  imporla,  cristiana;  il  Signore  me  ne 
«  domando  il  sacrifizio  in  momenti  supremi,  momenti  in  cui  I'  opera  di 
«  lui  sembrarli  /tiii  necessaria  e  a/fallo  proccidenziale  » . 

A  nome  del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione,  il  Capo  Divisione 
A.  Gherzi  ricordava  con  gratitudine  V insegnante  culto  ed  operoso,  e  chia- 
mava quella  perdila  ben  grave  anche  per  quell'Amministrazione  «  la  quale 
"  vede,  a  mano  a  mano,  diradarsi  la  schiera  di  quei  calorosi  che  dedicano 
"  e  menti'  r  n/orc  all'  educazione  intellettuale  della  nostra  gioventù  l>, 


—    XIII  — 


(Ili  amici  (e  molti  ne  annoverava  di  illustri  sia  nel  (-loro,  sia  nelle 
prime  Università  d'Italia)  rimpiangevano  il  bravissimo  insegnante,  il 
valoroso  scrittore  e  soprattutto  il  virtuosissimo  amico  dall'anima  forte  e 
gentile.  Tra  le  testimonianze  rese  dagli  amici  notevolissima  è  quella  del 
oav.  Alessandro  Gherardi,  clic  cosi  scriveva  alla  vedova:  «11  suo  dolore, 
«  ne  son  sicuro,  dev' essere  ineffabile,  e  solo  potrà  sopportarlo  aiutata  da 
«  quella  lede  e  religione  che  fecero  Lui  lauto  buono  e  tanto  forte,  e 
«  dalla  vista  e  dal  pensiero  delle  creature  che  Egli  ha  lasciato.  11  dolore 
«  mio  non  può  essere  certo  neanche  lontanamente  paragonabile  al  suo, 
e  ma  è  anch'esso  grandissimo.  Tre  o  (piatirò  volte  appena,  e  a  lunghi 
«  intervalli,  ci  siamo  incoili  rati,  ma  sino  dalla  prima  volta  io  abbracciai 
«  subito,  in  uno  sguardo  e  in  un  pensiero,  tutta  la  bontà  del  suo  animo, 
«  capii  sino  dal  primo  colloquio  la  squisitezza  dei  suoi  sentimenti,  la 
«  rettitudine,  sincerità  e  profondità  delle  sue  convinzioni,  la  sua  non 
«  mentita  modestia,  argomentai  il  suo  mollo  ingegno  e  la  sua  non  co- 
«  mune  dottrina.  E  tutte  queste  impressioni  andarono  col  tempo  e  nei 
«  successivi  colloqui  tanto  raffermandosi  e  crescendo  in  me,  che  oggi, 
«  dopo  forse  tre  anni  da  che  io  lo  conobbi,  sento  come  d'aver  perduto 
«  un  fratello  e  un  amico  d' infanzia.  Io  sto  ora  leggendo  e  meditando  le 
«  ultime  pagine  del  libro,  che,  per  1'  ardore  eh'  egli  mise  in  comporlo, 
«  è  stato  quasi  direi  la  causa  della  sua  morte,  ma  che  sarà  anche  la 
e  causa  che  non  morrà  il  suo  nome,  finché  saranno  in  qualche  onore  gii 
«  studi  e  non  sparirà  dal  mondo  il  culto  del  buono  e  del  vero.  Anche  da 
«  ciò,  dal  merito,  dico,  che  Egli  si  è  acquistato  presso  Dio  e  gli  uomini 
«  buoni  con  tanto  solenne  omaggio  reso  alla  verità  ed  alla  giustizia, 
«  procuriamo  di  attingere,  egregia  Signora,  un  conforto  al  nostro  dolore  ». 

Tra  quelli  che  parteciparono  al  lutto  della  famiglia  trovatisi  regi- 
strati illustri  membri  del  Clero  e  di  religiosi  Istituti,  del  Parlamento,  del 
Senato,  della  nobiltà,  dell'  esercito  e  di  ogni  grado  di  cittadini. 

Ouasi  tutti  i  periodici  più  autorevoli  d'  Europa  hanno  parlato  con 
lode  dell'opera:  //  Vero  Savonarola,  ed  hanno  riconosciuto  che  la  causa 
del  celebre  Frate  ha  fatto  senza  dubbio  uno  straordinario  progresso  dopo 
la  pubblicazione  di  quest'importantissimo  volume.  Se  in  qualche  punto 
pochi  dissentirono  dal  pensiero  dell'  illustre  scrittore,  nessuno  vi  fu  che 
al  Luotto  non  desse  il  melilo  d'aver  per  il  primo  fatto  rilevare  in  tutto 
il  loro  splendore  i  meriti  insigni  di  Fra  Girolamo  verso  la  religione  e 
la  civiltà,  e  soprattutto  d'avere  sviscerato  con  una  incredibile  ricchezza 
gli  scritti  di  lui.  Scritto  appositamente  per  ribattere  i  giudizi  del  dot- 
tor Lodovico  Pastor  sul  Savonarola,  ebbe  dal  Pastor  stesso  una  risposta 
che,  se  valse  a  rilevare  qua  e  là  alcune  mende  incorse  particolarmente 


♦ 


—  XIV  — 


dall' aver  avuto  il  Limito  sotto  i  suoi  occhi  la  traduzione  italiana  ilei 
voi.  Ili  della  Storia  dei  Papi)  (*),  nulla  di  solido  potè  recare  a  convalidare 
i  sinistri  giudizi  già  pronunziati  contro  il  Savonarola  dal  celebre  scrit- 
tore e  ad  impugnare  seriamente  le  argomentazioni  del  Luotto,  nel  cui 
volume  molti  trovarono  la  piena  ed  assoluta  rivendicazione  cattolica  del- 
l' illustre  Irate  di  San  Marco.  Riferiremo  alcuni  giudìzi  che  valgon  per 
moltissimi: 

11  Card.  Alfonso  Capecelatro  scriveva  all'Autore: 

«  Ella  ha  fatto  un"  opera  nobilissima  e  di  grande  utilità  alla  Chiesa, 
«  cercando  di  togliere,  come  ben  dice,  (pici  po' di  nebbia  che  si  addensava 
«  ancora  attorno  alla  bellissima  figura  del  gran  Fiate  Domenicano.  A 
«  mio  giudizio  Ella  ci  è  riuscita  benissimo,  sicché  v'  è  da  sperare  che  il 
«  progresso  già  fatto  dalla  causa  del  Savonarola  s'  accresca  ora  moltis- 
«  simo...  La  sua  è  un'opera  poderosissima,  ricca  di  erudizione,  e  molto 
«  ellicace  a  convincere  gli  avversari  di  buona  fede.  Nessuno  poi  finora 
«  io  credo  che  abbia  studiato  tutti  gli  sci-itti  del  Savonarola  come  Ella 
«  ha  fatto  e  provato  che  in  essi  si  trova  l'immagine  più  fedele  di  quel 
«  terribile,  piissimo  e  singolarissimo  Frate». 

Il  Maestro  Generale  dei  Domenicani,  il  Rev.mo  P.  Fr.  Andrea 
Frùhwirth,  parimente  all'autore  scriveva:  «Ella  rese  inestimabile  ser- 
«  vigio  all'  Ordine  dei  Predicatori  rivendicando  la  fama  del  nostro  in- 


(!)  Il  prof.  Luotto  (v.  Avvertenza  bibliografica,  pag.  ix)  già  notava:  Allorché 
rimando  semplicemente  alla  pagina,  se  è  discorso  del  Pastor,  intendo  il  volume  III 
della  sua  Storia  dei  Papi  nella  traduzione  italiana  del  sac.  Clemente  Benetti.  (Trento, 
1HU6).  E  se  in  vari  luoghi  egli  corresse  la  traduzione,  ecco  come  parla  di  questo 
fatto  il  Yillari  (Arch.  stor.  ital.,  serie  V,  torno  xxiii,  anno  1899)  in  un  suo  recente 
articolo  Sulla  questione  Saconnroliaiia  :  «  Questi  (il  Luotto)  ignorava  il  tedesco,  e 
«  dovè  quindi  nello  scrivere  il  suo  libro,  valersi  della  traduzione  italiana  dell'opera 
«  del  Pastor.  E  però  attribuì  a  lui  alcuni  errori  che  erano  solo  del  traduttore,  dai 
«  quali  il  Pastor  giustamente  si  difese.  Una  o  due  volte  però  il  Luotto  sospettò  che 
«  la  traduzione  fosse  errata  e  ricorse  all'  originale.  Da  ciò  il  prof.  Pastor  ne  indusse 
«  che  esso  conosceva  il  tedesco  e  che  fìngeva  d'  ignorarlo  per  aver  modo  di  attac- 
«  cario  indebitataiuente.  Il  vero  è  che  in  quel  caso  il  Luotto  aveva  dovuto  rieor- 
«  rere  al  prof.  Cipolla  dell'Università  di  'l'orino,  il  quale  poi  dichiarò  pubblica- 
«  mente  che  il  suo  discepolo  ignorava  all'atto  il  tedesco,  e  che  non  era  uomo  da 
«  fingere  in  nessun  modo.  Era  infatti  la  lealtà  stessa,  poteva  errare,  poteva  in- 
«  pannarsi,  non  mai  fingere  o  mentire  ».  La  dichiarazione  del  prof.  Cipolla  suona 
cosi  :  «  Il  prof.  Pastor  nella  sua  risposta  al  Luotto  osservò,  ed  a  ragione,  che  questi 
«  in  qualche  luogo  dichiara  di  non  conoscere  la  lingua  tedesca,  mentre  altrove  cita 
«  il  testo  della  Beschichte  der  Papste,  e  discute  sul  significato  di  qualche  frase  te- 
«  désca.  Vorrei  clic  si  sapesse  che  tale  incoerenza  non  dipende  da  ciò  che  il  Luotto 
luiMi»  isso  o  celasse  il  vero.  Il  Luotto  ebbe  da  me  l'interpretazione  dei  passi  tede- 
«  sebi  della  Qeschichte  di  cui  fece  uso  ».  (V.  Rosario,  Memorie  domenicane,  anno 
XV,  pag.  239). 


—  XV  — 


n  dimenticabile  Riformatore....  Io  ne  spero  un  osilo  felice  assai,  conio 
g  di  un  vero  trionfo  del  nostro  Frate  Ferrarese,  cotanto  disconosciuto 
«  e  malmenato  da  una  critica,  se  non  all'atto  sconsigliata,  certo  poco 
«  riguardosa  ». 

Una  lunga  e  dotta  recensione  inseriva  nel  Riposo  Festivo  di  Firenze, 
il  Prof.  Augusto  Conti;  e  noi  ne  togliamo  quanto  segue:  «  Questo  vo- 
«  lume  si  può  distinguere,  per  ciascun  suo  capitolo,  in  due  [tarli,  l'ima 
«  espositiva  dei  meriti  preclari  di  Fra  Girolamo  Savonarola,  l'altra  è 
«  invece  critica,  in  opposizione  alle  accuse  del  Pastor,  Professore  a 
«  Innsbruck,  e  celebre  autore  d'  una  Storia  dei  Pupi.  Le  due  parti  pro- 
«  cedono  parallele;  ma  in  un  tal  modo  che  la  esposiliva  potrebbe  ba- 
«  stare  alla  confutativa,  tanta  è  la  luce  degli  argomenti  e  documenti 
«  clic  illustrano  la  vita  e  gli  scritti  di  quel  sant'Uomo....  Bisogna  rin- 
«  graziare  Dio  che  un  laico,  piuttosto  che  un  sacerdote,  assumesse  il  pa- 
«  trocinio  del  Savonarola,  perchè  non  incontra  1'  obiezione  di  favore  an- 
«  tipensato  per  amore  d'un  confratello  nell'Ordine  o  nel  Sacerdozio.... 
«  Nella  lettura  del  suo  volume  ho  vivamente  ammirato  la  serenità  del  giu- 
«  dizioequel  risguardare  il  proprio  soggetto  non  in  modo  parziale  mai,  o 
e  unilaterale,  come  richiede  la  critica  buona  e  l'esame  compiuto....  Molto 
«  ha  da  impararvi  nonché  1'  uomo  di  chiesa,  ma  il  filosofo  ancora  e  il 
«  politico  e  l' indagatore  delle  vere  cagioni  le  (piali  esplicano  la  storia 
«  d'  uno  fra  i  più  calamitosi  tempi  dell'  Italia  e  della  Cristianità  ». 

E  il  Cav.  Alessandro  Gherardi  ne\Y  Archivio  Storico  Italiano  racco- 
mandando a  tutti  la  lettura  attenta  e  ponderata  del  volume  del  Luotto, 
diceva  :  «  Quanti  amano  la  verità  e  la  giustizia,  quanti  sono  e  comec- 
«  chessia,  cultori  della  memoria  del  Frate,  amici  o  avversari  suoi,  tro- 
\  eranno  in  questo  libro,  come  io  \i  ho  trovato,  tutta  la  necessaria 
«  preparazione  alla  piena  e  coscienziosa  trattazione  del  soggetto,  una 
«  bella  c  ordinata  disposizione  e  composizione  delle  parti,  lucidità  nel- 
«  l'esporre,  rigore  e  acume,  non  sofisticherie  ned'  argomentare  e  de- 
li durre,  un  sincero  intento  sempre  di  scoprire  e  mostrare  il  vero,  non 
«  di  palliarlo  o  travolgerlo;  tutte  le  qualità  insomma  che  fanno  di  un 
e  libro  una  vera  e  propria  opera,  onesta,  d'arte  e  di  scienza  ».  1 


(')  E  in  una  lettera  al  P.  Ferretti  intorno  alla  risposta  del  Pastor,  ecco  quanto 
scriveva:  «Le  rimando  questa  risposta  del  Pastor  che  mi  pare  addirittura  incon- 
«  eludente.  L*  appunto  fattogli  dal  suo  contradittore  di  non  aver  visto  nò  studiato 
«  quello  che  avrebbe  dovuto  vedere  e  studiare  rimane  intiero.  Argomenti  nuovi  per 
«  sostenere  i  suoi  giudizi  non  ce  ne  sono.  Dunque?  Dunque  in  cospetto  degli  onesti 
«  la  critica  del  Luotto  non  è  menomamente  scossa  da  questa  risposta.  E  «periamo 
«  che  la  causa  del  nostro  Savonarola  vada  sempre  di  bene  in  meglio,  o  Unisca  per 
«  trionfare  ».  (Periodico  IV  Centenario  della  morte  di  F.  G.  Savonarola,  pag.  215). 


—   XVI  — 


Il  Dott.  Can.  Gaetano  Tononi  nella  Rassegna  Nazionale  cosi  scri- 
veva :  «  Non  mancò  chi  \ido  ben  presto  e  assai  ponderatamente  e  punto 
«  per  punto  la  narrazione  del  Professor  Tedesco  contro  il  Savonarola.... 
«  Il  Luotto  non  trascurò  particolari,  dati,  circostanze,  e  fatti  innumere- 
«  voli,  relazioni  di  messi  di  stati  e  dei  principi  circa  il  Savonarola,  c 
«  perciò  sul  medesimo  pronuncia  un  giudizio  all'  opposto  di  chi  lo  con- 
«  danna  per  averne  esaminata  la  condotta  senza  riguardo  alle  condizioni 
«  morali,  religiose  e  politiche  in  mezzo  alle  (piali  quegli  si  trovava.  La 
«  dottrina  ne  è  lumeggiata  con  quella  di  San  Tommaso  e  segnatamente 
«  con  (pianto  ai  nostri  giorni  insegna  il  sommo  Pontefice  Leone  XIII  in- 
«  torno  agli  operai,  alla  predicazione  e  alla  costituzione  degli  stati.  Da 
«  questo  libro,  forse  meglio  che  da  qualunque  altro,  si  conosce  il  valore 
«  delle  opere  lasciate  dal  celebre  Frate,  nelle  quali  non  sono  proposi- 
ti zioni  da  riprovarsi,  ma  insegnamenti  profondamente  ortodossi  ed  ele- 
«  vati  di  Biosofia,  teologia  morale,  ascetica,  politica,  e  oggi  si  direbbe 
«  anche  di  scienza  sociale....  Lo  storico  dei  Papi  ha  risposto  a  questo 
«  libro  con  un  recente  opuscolo,  ma  non  allega  argomenti  tali  da  infir- 
«  marne  il  valore  ». 

E  congratulandosi  coll'autore,  Mons.  Francesco  Baldassarri  scriveva  • 
tra  le  altre  cose  :  «  Ella  col  suo  libro  ha  fatto  un'  opera  utile  alla  mo- 
li rale  e  alla  religione,  ed  insegna  a  quelli  che  fin  qui  si  son  serviti  del 
«  nome  del  Savonarola  per  ribellarsi  e  durare  nella  ribellione  alla  Chiesa 
"  che  il  Savonarola  non  è  con  loro,  ma  anzi  li  condanna  e  li  sfata.... 
«  Spero  anche  che  altri  non  dirà  più  il  Savonarola  ribelle  all'autorità 
«  pontificia  nel  fatto  della  scomunica.  Ella  ha  messo  così  in  chiaro  le 
«  cose,  che  fa  vedere  l'errore  di  fatto,  non  di  diritto;  e  questo  punto 
«  mi  pare  sia  stato  da  Lei  trattato  meglio  degli  altri.  In  breve,  per 
"  (pianto  io  posso  conoscere,  per  il  libro  di  Lei  la  fama  del  Savonarola 
n  risorge  bella,  splendida  e  netta  da  ogni  macchia  ». 

Altro  non  aggiungiamo  per  raccomandare  quest'  opera  ai  lettori, 
i  (piali,  se  la  esamineranno  colla  debita  attenzione,  e  soprattutto  con 
un  amore  sincero  alla  verità  e  alla  giustizia,  non  dubiteranno  di  con- 
formare il  loro  giudizio  a  quelli  da  noi  riportati. 


Firenze,  1"  Febbraio  1900. 


I. 


Origine  e  intento  del  presente  scritto. 


Sommario. 


Nostra  malavoglia  a  prender  la  penna.  —  Lo  scritto  del  Pastor  non  contiene  nulla  di  nuovo  intorno  al 
Savonarola.  —  Sentenza  di  Augusto  Conti  e  nostra.  —  Ignoranza  nel  Pastor  delle  Opere  del  Sa- 
vonarola. —  Il  Pastor  e  i  nostri  giornalisti  anticattolici.  —  Kagiouevoli  effetti  dell'Opera  del  Pa- 
stor. —  La  ragion  veduta  giuda  al  Savonarola  e  a'  Savonaroliani.  —  Logica  sentenza  de'  Savona- 
roliaui  verso  il  Pastor.  —  La  storia  del  Pastor  e  l' invettiva  di  Ugolino  Verino  e  la  cronaca  del 
Vaglienti.  —  Nostra  ripugnanza  alla  polemica  e  alla  critica.  —  La  cognizione  della  verità  solu- 
zione del  dubbio.  —  Nostro  proposito  e  metodi  di  esporro  la  dottriua  e  narrare  la  vita  di  Frate 
Girolamo.  —  Nostra  lede.  —  Non  può  tutto  la  virtù  che  vuole.  —  Letizia  e  tristezza  di  Piagnoni. 
—  Una  lettera  dal  Xirolo  Austriaco.  —  Un  gran  maestro  che  tiene  per  finita  dal  Pastor  la  questione 
del  Savonarola.  —  Un  voto  di  molti.  —  Cristo  modello  di  Frate  Girolamo.  —  Or  si  tace,  or  si 
risponde.  —  La  volontà  nostra  è  mossa  a  scrivere.  —  Intento  dello  scritto.  —  Via  da  noi  tenuta, 
e  perchè  la  si  tiene.  —  Speranza  di  toccar  la  meta.  —  Un  aforisma  di  Visuù  Sbarrila  e  nostra  in- 
terpretazione di  esso.  —  La  Dea  di  Parmenide.  —  Nostra  volontà  e  forza. 


Da  parecchio  tempo  alcuni  Piagnoni,  amici  miei,  insistevano  perch'  io  vo- 
lessi scrivere  e  mandar  fuori  colle  stampe  un  esame  dell'  Opera  del  Pastor  (') 
in  ciò  che  riguarda  il  nostro  Maestro  e  Padre,  Frale  Girolamo  Savonarola.  Ma 
io  mi  adoperavo  ognora  per  farli  persuasi  non  esser  ciò  cosa  d'  alcuna  neces- 
sità, nè  forse  dicevole.  E  mi  pareva  d'  aver  ragione;  imperocché  nulla  di  nuovo 
ha  nel  suo  libro  il  famoso  professore  d'  Innsbruck  rispetto  al  Savonarola,  asso- 
lutamente nulla;  e  i  suoi  tristi  giudizj  intorno  al  Frate  di  San  Marco  non  solo, 
come  scrisse  il  nostro  Conti,  muovono  «  dall'  autorità  usurpata  di  vecchie  di- 


(')  Storia  dei  Papi  dalla  fine  del  Medio  Evo,  con  l'aiuto  dell'Archivio  segreto  pontificio  e  di 
molti  altri  archivi,  compilata  dal  Dr.  Lodovico  Pastor  professore  pubblico  ordinario  di  storia 
alla  Università  d' Innsbruck.  Traduzione  italiana  del  Sacerdote  Clemente  Benetti  docente  nel 
oollegio  principesco  vescovile  di  Trento  eseguita  stillale  II  edizione  tedesca.  —  Volume  III 
Storia  dei  Papi  dalla  elezione  d'Innocenzo  VIII  fino  alla  morte  di  Giulio  II.  Trento,  tip. 
edit.  Artigianelli  dei  figli  di  Maria,  1896. 

1 


—  2  — 


cerie  ;  »  (*)  ma  si  possono  chiamare  asserzioni  gratuite  senza  nemmeno  l'ap- 
parenza di  verace  fondamento;  anzi  pugnano  sovente  tra  se  medesimi,  sì  che 
non  riusciresti  sempre  con  gloria  se  tu  volessi  tentar  di  conciliarli  e  comporli 
insieme. 

Evidentemente  il  Pastor  si  mise  a  scrivere  senza  una  buona  preparazione, 
e  perciò  spesso  ti  riesce  avventato  e,  alcuna  volta,  anche  ingiusto.  Se  ne  togli 
alcune  poesie,  che  forse  ha  visto,  egli  è  affatto  selvaggio  agli  scritti  del  Frate: 
nè  dico  solo  agl'inediti,  ma  ancora  a  quelli  che  abbiamo  alle  stampe.  Ciò  sì 
rileva  dalla  sua  nota  de' libri  ripetutamente  citati,  nei  quali,  se  ne  togli  le  poe- 
sie, non  ve  n'  è  uno  del  Savonarola;  ma  ancora  dal  mostrarci  egli  indirette 
tutte  le  citazioni  che  fa  di  passi  del  Frate,  indiretti  tutti  gli  accenni  alle  opere 
del  medesimo. 

Ora  se  il  Pastor  desse  almeno  ai  passi  trascritti  il  senso  che  danno  a 
quelli  gli  autori  dai  quali  egli  li  toglie,  potrebbe  forse  questo  metodo,  pur  sem- 
pre infelice,,  essere  tollerato;  ma  chi  lo  crederà  sano  e  non  gravido  di  pericoli 
e  s'  affiderà  in  esso,  quando  il  Pastor  si  arbitra  di  interpretare  a  suo  modo 
quelle  brevi  proposizioni?  quando  le  trae  ad  altro  senso  che  non  è  quello  che 
godono  nella  fonte  da  cui  le  attinge!!? 

Di  più,  non  appare  serio  e  grave  nemmeno  il  modo  col  quale  lo  storico 
tedesco  e  scrive  e  procede.  Le  sue  pagine  sovente  hanno  tutto  il  tono  di 
certi  nostri  giornali,  di  quelli  voglio  dire  che  militano  ne' partiti  estremi,  anti- 
cattolici; e  dico  di  questi  perchè  ho  riguardo  non  solo  allo  stile,  ma  anche 
alla  dottrina  del  Pastor,  il  quale  (e  questa  è  la  mia  più  grande  meraviglia)  di 
cattolico  sembra  talvolta  che  non  abbia  nulla  affatto. 

Chi  legge  adunque,  pensavo  io,  il  Pastor,  se  già  conosce  la  vita  e  la  dot- 
trina del  Savonarola,  non  si  lascia  certo  movere  dalle  deduzioni,  sovente 
senza  logica,  che  legge;  e  se  non  le  conosce  ancora,  solo  che  abbia  fior  di 
senno,  anziché  sottoscrivere  alle  sentenze  non  motivate,  sapendo  (e  lo  può 
vedere  nel  Pastor  medesimo)  che  scrissero  in  difesa  del  famoso  Dome- 
cano  molti  uomini  sommi  e  per  ogni  lato  degni  di  ammirazione  e  di  lode  non 
meno  del  prof,  d' Innspruck,  si  stringerà  nelle  spalle  e  sospenderà  il  giudizio, 
non  volendo  esser  precipitoso  e  giurare  nelle  altrui  parole. 

Ai  seguaci  poi  della  dottrina  e  del  metodo  del  Savonarola  la  lettura 
del  nuovo  volume  produce  effetto  addirittura  contrario  a  quello  che  1'  autore 
di  esso  vorrebbe.  Non  farà  altro  che  generarsi  neh'  animo  e  nella  mente 
loro  un  profondo  senso  di  tristezza  e  di  compassione  ;  ma  il  convincimento 


(')  c  La  ringrazio....  di  aver  pubblicato  ciò  che  io  dall'  intimo  dulia  mia  coscienza  det- 
tava intorno  al  Savonarola,  prendendone  incoraggiamento  dalla  stima  in  che  la  santità  di 
lui  tenevano  San  Francesco  di  l'aola,  San  Filippo  Neri,  Santa  Caterina  de'  Uicci  e  altri  Santi; 
nò  lasciandomi  scoraggiro  dall'opposto  giudizio  di  un  celebre  scrittore  contemporaneo  e  fo- 
restiero preoccupato  forse  dall'  autorità  usurpata  di  vecchie  dicerie.  Ma  i  Santi  s' intendono  dei 
Santi.  »  Lettera  al  Direttore  del  MttgtUo  Cattolico,  anno  I,  n.  14.  Nel  n.  12  intatti  di  questo 
giornale,  era  sluta  pubblicata  una  lettera  del  prof.  Augusto  Conti  al  P.  L.  Ferretti  ove  paria- 
vasi  dell'  eminente  santità  del  nostro  Savonarola. 


eli'  essi  hanno  starà  saldo  come  prima.  Imperocché  gli  alunni  del  Savonarola, 
con  il  loro  maestro,  biasimano  chi  piglia  a  seguire  una  dottrina,  più  dalla  co- 
mune opinione  mosso,  che  per  averla  letta  ed  esaminata;  e  dicono  per  questo 
guasti  gli  studj,  mandando  molti  la  volontà  avanti  l'intelletto,  e  pervertendo 
l'ordine  dalla  natura  e  da  Dio  instituili  (Giov.  Pico  della  Mirandola,  Vita  di 
Fra  Girolamo,  cap.  II.)  I  seguaci  del  Savonarola  giudicano  solo  a  ragion  veduta, 
e  se  alcun  di  loro  così  non  facesse,  riceverebbe  le  sferzate  dal  maestro,  e  si  senti- 
rebbe dire:  Cave  ne  voluntas  praecedat  intellectum,  aut  etiam  intellectus  tuus  in- 
tellectum  Dei.  (Scritti  inediti,  Villari,  pag.  125).  «  Tu  fai  come  alcuni  ignoranti 
scolari  che  hanno  il  capo  duro,  e  come  vanno  in  uno  studio,  fermano  il  capo 
di  voler  seguire  un'  opinione,  e  non  gliela  leveresti  mai  ;  non  guardano  prima 
se  quell'opinione  è  vera  o  falsa;  così  fai  tu,  che  di':  —Io  non  voglio  leggere  quel 
che  è  scritto  in  quel  libro.  —  Io  ti  dico  che  le  tue  sono  tutte  pazzie.  Leggi  ed  odi 
prima  che  tu  biasimi;  tu  vuoi  intendere  una  cosa  e  metti  la  volontà  innanzi  allo 
intelletto,  come  fanno  certi  scolari,  che  dicono:  Io  voglio  andar  dietro  al  tal  au- 
tore. Sono  diverse  scuole,  Tomisti,  Scotisti  ed  Averroisti  tra' moderni;  come  erano 
antiche  scuole  di  filosofi,  Stoici,  Peripatetici  ed  altri  ;  e  questi  tali  scolari  non 
hanno  ancora  cognizione  di  nessuna  verità,  e  si  propongono  innanzi  di  seguitare 
una  opinione  che  ancora  non  sanno  se  è  verità.  Quello  dice:  —  Io  voglio  essere 
Averroista;  quell'altro,  Scotista;  quell'altro,  Tomista.  Quell'altro  nelle  leggi,  dice: 
Io  voglio  seguitar  Baldo;  quello,  nelle  leggi  canoniche  dice:  Io  voglio  seguitar 
l'Abate. —  E  così  fanno  certe  loro  fantasie  di  seguitare  una  opinione,  o  un'altra 
ed  avviluppansi  poi  in  molte  cose;  perchè  mandano  la  volontà  innanzi  all'in- 
telletto. Colui  che  vede  si  lascia  menare  da  quello  che  è  cieco,  e  tu  sai  che  gli 
è  scritto:  Se  il  cieco  guida  l'altro,  tutti  e  due  cascano  nella  fossa.  Il  cieco  è  la 
volontà,  che  ha  ad  essere  menata  dall'  intelletto  che  vede,  e  tu  fai  il  rovescio. 
Bisogna  dire:  lo  voglio  andar  dietro  alla  verità,  e  quella  voglio  intendere,  ed  in- 
tesa  che  io  l'ho,  la  voglio  seguitare  e  amarla  con  la  volontà.  E  quelli  che  fanno 
così  vedrai  che  non  peccano  e  non  errano  quasi  mai.  »  (Sopra  Amos,  Pred.  V; 
sopra  1'  Esodo,  Pred.  XX.) 

Quando  pure  gli  alunni  del  Savonarola  avessero  visto  che  il  Pastor  inten- 
desse ognora  le  fonti  dalle  quali  vuole  trarre  la  dottrina  del  loro  Maestro  e 
lo  traesse  al  senso  più  favorevole,  non  per  questo  avrebbero  potuto  mo- 
strar molto  d' ammirazione  per  lui,  nè  avrebbero  dato  gran  peso  a'  suoi 
giudizj.  Colui,  che,  dovendo  imparare  una  dottrina,  e  potendo  ricorrere  alle 
fonti  dirette,  non  vi  ricorre,  ma  beve  ne'  ruscelli  lungi  dalla  sorgente,  essi 
lo  tengono  simile  a  que'  figliuoli,  che  mandati  da'  loro  padri  a  studiar  leggi, 
studiano  sì  bene,  ma  solo  i  commenti,  e  non  veggono  mai  i  testi.  Costoro, 
a  giudizio  del  Savonarola  e  degli  alunni  del  Savonarola,  non  possono  diventar 
dotti,  perchè  lasciano  il  fondamento  della  dottrina.  (Sopra  il  Salmo  Quam 
Bonus,  Pred.  XXII.)  Negli  alunni  del  priore  di  San  Marco,  è  oramai  pro- 
fondamente radicata  la  credenza  che  nessuno,  lasciando  in  un  canto  le  opere 
del  loro  Maestro,  può  pretendere  di  conoscerne  bene  la  vita,  o  intenderne  la  dot- 
trina. Quel  sommo  uomo  di  Gino  Capponi  che  nei  suoi  primi  scritti  mostrossi 


alquanto  severo  al  Frale  Riformatore  dovè  poi  nondimeno  confessare  :  «  Quel 
benedetto  Savonarola  è  uno  di  que'  tali  argomenti  oggi  tanto  ribattuti  ch'io  ne 
rifuggo;  e  a  dirla  tutta,  non  ho  studiato  il  Savonarola,  cioè  le  prediche  e  gli 
scritti  e  non  so  bene  che  cosa  pensarne.  »  (/)  Girolamo  Savonarola  mise  ne'  suoi 
scritti  tutto  se  stesso,  e  chi  lo  vuole  vedere  quale  è  deve  cercarlo  in  quelli, 
e  chi  quelli  non  cerca,  non  è  autorevole  in  nessuna  guisa.  Cerio  non  si  esclu- 
dono i  libri  degli  altri  intorno  al  Frate,  ma  questi  senza  quelli  del  Frate  il  più 
delle  volte  sono  terra  senz'  acqua.  A  che  dunque  (pensavo  io)  soffermarci  a  con- 
futare i  tristi  giudizj  novellamente  pronunciati  intorno  al  nostro  Maestro,  s'  essi 
non  hanno  per  noi  autorità  alcuna,  e  non  possono  ragionevolmente  produrre 
alcun  serio  effetto  a  danno  della  fama  del  santo  riformatore?  Forse  che  ci 
siamo  indugiati  a  confutare  la  ingrata  invettiva  di  Ugolino  Verino,  o  la  cro- 
naca del  Vaglienti?  Non  furono  anzi  questi  scritti  pubblicati  da  nostri  amici? 

Un'altra  ragione,  soggettiva  se  volete,  mi  teneva  dal  secondare  l'insistente 
invito  degli  amici:  La  ripugnanza  che  ho  nell'anima  alla  polemica  e  alla  cri- 
tica. Vorrei  che  si  evitasse  ogni  maniera  di  questioni,  e  almeno,  se  non  si  rie- 
sce ad  evitarle  tutte,  che  si  finissero  presto  e  non  fossero  acri  mai,  nemmeno 
nell'  apparenza.  E  facile  che  ne  vada  di  mezzo  la  carità,  e  in  generale  si 
fa  poco  frutto.  Mi  par  meglio  lasciar  qualche  volta  passar  magari  qualche 
errore,  o  almeno  qualche  dubbio,  che  risolver  tutto  a  furia  di  questioni  e  di 
lotte. 

A  me  parve  sempre  regolarmente  miglior  cosa  esporre  con  chiarezza 
gì1  insegnamenti  dell'  Autor  nostro,  anziché  combattere  gli  errori  altrui.  La  co- 
gnizione della  verità  è  la  soluzione  del  dubbio.  E  gli  amici  sanno  eh'  io  per 
conoscere  la  verità  nelle  cose  attinenti  al  Savonarola  da  oltre  venti  anni  studio 
nelle  opere  e  nella  vita  di  lui,  e  ho  in  cuore  di  mandar  presto  alla  luce  un  la- 
voro intorno  alla  Chiesa  e  al  Pontefice  di  Roma,  nel  quale  è  contenuta  appunto 
tutta  la  dottrina  ed  esposta  la  pratica  del  Frate  al  riguardo,  in  guisa  che  potrà 
apparire  evidente  che  il  Savonarola  del  Pastor  è  un  Savonarola  affatto  diverso 
dal  Riformatore  fiorentino.  Questo  libro,  se  mai,  dissiperebbe,  dicevo  io,  la 
nebbia  levala  dal  Pastor.  D'  altra  parte  non  ci  vuole  furia,  son  nostri  anche  gli 
anni  futuri;  i  Piagnoni  non  verranno  mai  meno,  e  come  durerà  eterna  la  dot- 
trina del  Frate  di  San  Marco,  così  dureranno  eterni  i  seguaci  di  lui.  Quello 
che  non  si  fa  oggi  da  noi,  sarà  fatto  da'  nostri  successori  domani.  La  causa 
del  Savonarola  finirà  per  trionfare  ad  ogni  modo.  Questa  è  la  nostra  fede. 

In  queste  mie  vedute  io  restavo  saldo,  e  persuadevo  anche  gli  altri  che 
era  un  perder  tempo  il  fermarci  a  ribattere  con  uno  scritto  speciale  le  asser- 
zioni dello  storico  d'Innsbruck,  riè  pensavo  di  muovermi  mai  del  mio  propo- 
sito. Ma  si  sa:  non  può  tulto  la  virtù  che  vuole,  e  sovente  convien  fare  contro 
nostra  voglia,  e  servire  alla  necessità  e  combattere  dove  e  come  vuole  1'  av- 
versario, non  dove  e  come  noi  avevamo  designalo. 

Non  è  molto,  eravamo  insieme  sei  o  sette  Piagnoni,  lieti  per  il  progresso 


(')  Ve<li  Guasti,  11  Savonarola  giudicato  da  Gino  Capponi.  Firenze,  lt80,  pag.  9. 


che  da  qualche  anno  va  facendo  la  causa  del  Savonarola;  ma  uno  pareva  non 
partecipare  intieramente  alla  comune  letizia,  e  anzi  mostravasi  piuttosto  triste 
che  lieto.  A  un  punto  volendo  gli  altri  confortarlo,  trasse  fuori  una  lettera  venu- 
tagli da  un  Professore  di  Schwaz,  Tirolo  Austriaco,  e  ne  lesse  queste  parole: 
«  Ho  sempre  stimato  tanto  le  virtù  del  Frate  Savonarola  quando  leggeva  anni 
fa,  il  Villari;  ma  oggi  ho  mutato  i  miei  sentimenti,  riconoscendo  in  Savonarola 
negli  ultimi  suoi  anni  un  vero  disubbidiente  al  Papa  Alessandro  VI  che  lo  trattava 
con  molta  clemenza,  e  un  sacerdote  sacrilego,  che  ha  celebrato  i  santi  misteri 
come  scomunicato,  e  un  profeta  sedotto  dal  diavolo  che  ha  cagionato  tanti  di- 
sturbi e  si  faceva  spesso  tiranno  politico  rigidissimo.  Su  questa  materia  ha  pub- 
blicato il  celebre  dottor  Lodovico  Pastor  nel  suo  lodatissimo  libro  La  storia 
dei  Papi  dalla  fine  del  medio  evo  tanti  documenti  autenticissimi  che  sarebbe 
ridicolo  ancora  prendere  in  patrocinio  il  poveretto  Savonarola.  »  Un  altro  per- 
sonaggio, già  ne  aveva  detto  la  causa  del  Savonarola  esser  finita,  —  1'  ha 
decisa  il  Pastor.  —  E  molli  pur  de  Piagnoni  già  avevano  scritto  che,  dopo  le  ul- 
time deduzioni  del  Pastor,  aspettavano,  se  pure  era  possibile,  chi  con  novissimi 
documenti  mostrasse  che  il  Frate  nostro  non  è  condannabile  in  alcun  punto 
della  sua  vita  troppo  agitata....  Noi,  quasi  sdegnando  di  rispondere  al  Pastor, 
crediamo  seguire  la  dottrina  e  l'esempio  del  Savonarola;  ma  lo  seguiamo  poi  dav- 
vero e  in  tutto?  Il  nostro  Frate  trae  esempio  da  Cristo  in  ogni  cosa,  e  nota  so- 
vente appunto,  come  fa  nella  predica  VI  sopra  Ruth  e  Michea,  che  se  alcuna  volta 
il  Salvatore  andava  a  mangiare  co'pubblicani  e  peccatori,  altre  volte  predicava  e 
detestava  e  riprendeva  i  peccati;  e  se  qualche  volta  fuggiva  d'una  città  in  un'altra 
per  rispetto  de'  farisei,  mostrando  aver  paura  di  loro,  qualche  volta  predicava 
senza  paura;  e  dice  chiaro  nella  XIX  delle  stesse  prediche  e  c'  insegna  che  se 
in  alcuni  casi  è  bene  tacere,  in  altri  si  deve  parlare.  Ora,  se  non  si  parla 
quando  ne  va  di  mezzo  la  verità  e  ne  va  di  mezzo  1'  onore  del  nostro  Maestro, 
quando  si  ha  da  parlare  ? 

E  cominciando  queste  prediche  sopra  Ruth  e  Michea,  non  dice  egli  ap- 
punto il  nostro  Maestro,  che  una  delle  ragioni,  che  1'  ha  fatto  tornare  a  predi- 
care, erano  gli  avversar]  che  non  facevano  se  non  dir  male,  ed  avevano  lasciato 
la  lingua  molto  larga!?  «  Qualche  volta  bisogna  rispondere,  e  qualche  volta  avere 
pazienza.  E  però  avendo  noi  avuto  pazienza  un  pezzo,  e  non  risposto,  mi  pare 
tempo  ora  di  rispondere.  Dice  Salomone:  Non  rispondere  al  pazzo  secondo  la  sua 
pazzia;  e  lui  medesimo  dice  incontanente:  rispondi  allo  stolto  secondo  la  sua 
stoltizia.  E  però  vuol  dire  Salomone:  qualche  volta  abbiamo  pazienza  a  quello 
che  dice  lo  stolto,  e  qualche  volta  ancora  gli  rispondi  come  merita  la  sua  paz- 
zia, e  questo  massime  quando  quello  che  e'  dice  è  contro  1'  onore  di  Dio.  Sic- 
ché qualche  volta  si  dee  rispondere  e  qualche  volta  no.  » 

E  quando  per  noi  sarà  la  volta,  s'ella  non  è  questa?...  Ci  sarà  poi  facile 
persuadere  gl'intelletti  già  contrariamente  prevenuti?!  Il  volgo  che  ama  di 
essere  ingannato  è  più  numeroso  ed  eletto  che  non  si  pensa   Non  trascu- 
riamo le  cose  minute;  più  festuche  arrestano  l'elefante.  Nel  Sermone  XI  sopra 
1'  Esodo  il  nostro  Maestro  sfidando  i  suoi  avversarj,  che  lo  accusavano  inces- 


—  6  — 


santemente  di  eresie,  a  riprodurgliele  in  iscritto,  diceva  francamente:  «  Io  ti 
avviso  che  se  tu  farai  un  libro  che  vi  sia  dentro  eresie,  io  lo  vorrò  vedere  e 
riprovartelo  qua  in  pubblico.  » 

Così  parlava  l'amico,  fatto  rosso  in  volto;  ed  io  mi  dovetti  persuadere 
eh'  egli  aveva  ragione  ;  e  che  il  danno  recato  alla  causa  del  Savonarola  dal 
libro  del  Pustor  era  maggiore  eh'  io  non  mi  sarei  mai  pensato.  E  poiché  io 
ero  sempre  stato,  fra  gli  amici,  il  più  fermo  nel  persuadere  che  si  tacesse,  mi 
parve  ancora  che  in  modo  speciale  a  me  ora  si  convenisse  parlare;  e  promisi 
che  senz'altro  l'avrei  fatto;  anzi  mi  misi  all'  opera  il  giorno  stesso,  parendomi 
d'  aver  in  mente  pronta  e  digesta  la  materia  per  farlo  debitamente. 

Questa  1'  origine  dello  scritto  presente;  e  di  qui  sarà  anche  facile  capirne 
l' intento  :  si  propone  di  far  persuasi  tutti  coloro,  che  vorranno  leggerci,  delle 
affermazioni  che  abbiam  posto  di  sopra,  e  dimostrare  che  nel  Pastor  non  si 
trova  il  vero  Savonarola,  ma  un  Savonarola  immaginario;  e  che  perciò  il  pro- 
fessore d' Innsbruck  combatte  e  condanna  nient' altro  che  un  fantasma  della 
sua  mente;  e  che  neppur  una  è  sostenibile  delle  sue  asserzioni  contrarie  al 
Frate  di  San  Marco. 

Che  via  terremo  per  giungere  alla  meta?  Il  Pastor  tratta,  sebbene  non 
con  molta  ampiezza,  di  tutta  la  vita  del  Savonarola  e  riguarda  il  Frate 
da  ogni  lato:  nella  riforma  morale,  nella  ecclesiastica,  nella  politica,  nella 
civile,  nell'artistica  e  nella  letteraria  Quindi,  volendo  noi  fare  un  lavoro  com- 
piuto, bisognerebbe  che  esaminassimo  prima  in  generale  queste  varie  specie  di 
riforma  e  poi  le  tesi  e  le  asserzioni  particolari  dello  storico  tedesco.  Ma  allora 
avremmo  da  scrivere  non  un  opuscolo,  ma  parecchi  volumi,  ed  esporre  tutta  la 
dottrina  e  narrare  per  disteso  e  discutere  la  vita  del  Frate,  cosa  che  non  cre- 
diamo qui  affatto  al  proposito  e  che  noi  abbiamo  in  animo  di  fare  in  iscritti  a  parte 
e  senza  polemica,  come  già  abbiamo  cominciato  per  lo  studio  della  Sacra 
Scrittura....  OD'  altro  lato  un  lavoro  simile  sarebbe  inutile  per  lo  scopo  presente; 
imperocché  il  Pastor  si  piglia  ben  guardia  di  condannare  senz'  altro,  in  genere, 
le  riforme  tentate  dal  Savonarola;  mostrandosi  esse,  nel  volume  che  prendiamo 
ad  esaminare,  più  necessarie  e  opportune  che  mai.  Dunque  ci  basterà  sentire  le 
particolari  sentenze  di  condanna,  esaminarle,  e  mostrare  che  si  devono  cassare 
(e  il  più  delle  volte  lo  si  ha  da  fare  senza  rinvio);  ci  basterà  questo,  perchè 
noi  abbiamo  senz'  altro  l' intento.  E  questo  lo  faremo  con  molta  attenzione  e 
cura,  né,  speriamo,  ci  avverrà  che  pur  una  cosa  di  qualche  momento  ci 
sfugga.  Non  ci  lasceremo  tuttavia  sfuggir  l'occasione  di  mostrare,  esponendo 
qua  e  là  la  dottrina  del  Savonarola,  e  narrandone  la  vita,  che  il  Pastor  a  vo- 
ler esser  consentaneo  a  se  stesso,  e  a  non  cadere  in  contradizione,  avrebbe 
dovuto  lodare  anziché  biasimare,  il  nostro  Frate. 

Avremo  la  soddisfazione  di  toccar  la  meta?  Abbiamo  fiducia  che  si.  E  ce 


(')  Dello  studio  della  Scrittura  Sacra  secondo  Girolamo  Savonarola  e  Leone  XIII  con  ri- 
guardi ai  Padri  e  ai  Dottori  della  Chiesa.  Libri  tre  di  Paolo  Lnotto.  Torino,  tipografia  Artigia- 
nelli, 1896. 


ne  sono  arra  buona  le  profonde  convinzioni  che  abbiamo  nella  mente  e  la  per- 
suasione che  ci  riempie  l'anima  d'essere  dalla  parte  della  verità;  e  la  verità 
chiara  di  luce  propria  e  posta  sopra  ogni  altra  cosa,  sa  farsi  vedere  agevol- 
mente e  vince  ogni  lotta,  e  trionfa  sempre.  Anzi  nutriamo  speranza  che  il 
Pastor,  uomo  retto  e  amante  del  vero,  leggendoci,  vorrà  passare  dalla  nostra 
parte,  e  cambiare  giudizio  intorno  1'  austero  Frate. 

«  Soffri  mille  ingiurie  prima  di  venire  a  litigio  ;  cominciato  il  litigio,  non  tra- 
scurare nulla  per  uscirne  colla  vittoria.  »  Questo  aforisma  di  Visnù  Sharma  io 
l' intendo  nel  senso  che  non  si  deve  mai  sorgere  a  combattere  altrui,  se  non 
quando,  essendo  oggettivamente  chiaro  che  la  cosa  sta  come  noi  la  vediamo,  pure 
essa  torna  falsata  dagli  avversar]'.  Allora  bisogna  dar  con  tutte  le  forze  negli  sterpi 
dell'  errore  e  non  lasciar  più  all'  avversario  nemmeno  la  speranza  di  un  breve 
riposo.  Non  si  può  consentire  agli  uomini  di  mente  sana  che  pensino  l'oppo- 
sto della  evidenza.  «Che  l'essere  abbia  avuto  nascimento  o  incremento  dal  non 
ente  non  te  lo  lascierò  dire  nè  pensare,  »  dice  la  dea  di  Parmenide,  «  poiché  il 
non  ente  non  è  esprimibile  nè  pensabile.»  Così  è  della  verità,  di  ogni  verità  co- 
nosciuta e  conosciuta  evidentemente.  Le  opinioni  si  rispettano  tutte,  ma  chi 
nega  la  verità  evidente,  sia  anatema;  egli  pecca  contro  lo  Spirito  Santo  e  non 
merita  perdono  in  nessun  modo.  Ora,  vedendo  io  che  le  cose  rispetto  al  Savo- 
narola, stanno  d'altra  guisa  che  il  Pastor  non  scrive,  mi  sento  forte  anche 
contro  di  lui,  e  per  quanto  sta  in  me,  non  lascierò  pensare  nè  a  lui  nè  ad 
altri  se  non  quello  che  io  penso.  Chi  vorrà  fare  il  contrario,  rinunzi  prima 
alla  teorica  della  conoscenza  secondo  la  filosofia  cristiana  ;  e  anziché  tenere 
per  supremo  criterio  della  verità  1'  evidenza  oggettiva,  eriga  a  giudice  assoluto 
di  quella  l'umana  vista,  la  vista  nostra  corta  d'una  spanna;  o  meglio  ancora, 
eriga  a  giudice  assoluto  il  pregiudizio. 


IL 


Il  Pastor  non  conosce  le  opere  del  Savonarola 
e  scrisse  impreparato. 

Sommario. 

La  fama  del  Savonarola.  —  Xon  è  comportabile  al  grave  ufficio  di  storico  ripetere  semplicemente  i  giu- 
dizi altrui,  quando  può  accedere  alle  fonti  originali.  —  Il  Pastor  non  istudiò  punto  nelle  opere 
del  Frate  riformatore.  —  Una  sentenza  del  Villari.  —  Come  si  governarono  nello  scrivere  del  Savo- 
narola il  Villari,  il  Bayonne,  l'Aquarone. — Perchè  alcuni  tra  i  cattolici  condannano  il  Savonarola. 
—  Il  Savonarola  chiede  di  essere  sentito  e  letto  prima  che  lo  si  condanni.  —  Le  citazioni  indi- 
rette del  Pastor  :  esempi.  —  Il  Pastor  plagiario.  —  Nullità  assoluta  dei  giudizj  del  Pastor. 


Il  Pastor,  a  pag.  122,  afferma  che  il  Savonarola  riempì  per  buona  pezza 
T  Italia  tutta  del  suo  nome  ;  e  più  innanzi,  a  pas».  354,  trascrive  dal  Villari  le 
parole,  che  dicono  che  le  prediche  del  Frate  passarono  presto  anche  le  Alpi,  e 
che  il  Savonarola  stesso  ripetè  più  volte,  che  egli  aveva  ricevuto  degl'incorag- 
giamenti dalla  Germania;  e  che  perfino  il  Gran  Sultano,  per  leggere  quelle  pre- 
diche, le  facesse  tradurre  in  turco.  Gli  autori  stessi  poi,  dai  quali  il  Pastor 
copia  le  sue  pagine  intorno  all'  illustre  Domenicano,  avrebbero  dovuto  persua- 
derlo, se  non  fosse  ancora  stato  persuaso  per  altra  via,  che  questo  perso- 
naggio continua  a  riempire  di  sè  non  pur  1'  Italia,  ma  1'  Europa  intera,  e  dà 
da  fare  a  moltissimi  di  religione,  di  pensiero,  di  scuole  molto  differenti. 

Ora,  se  mai  intorno  a  nessun  personaggio  storico,  un  grande  maestro, 
un  maestro  che  si  rispetti,  come  è  il  Pastor,  non  deve  ripetere  gratuitamente  i 
giudizj  altrui,  quando  se  ne  può  agevolmente  formare  de'  proprj,  e  motivarli 
accedendo  alle  fonti  originali,  tanto  meno  devesi  ciò  comportare  quando  è 
discorso  di  un  personaggio  famoso,  discusso  da  molti,  esaltato  ài  cielo  dagli 
uni,  e  gettalo  a  terra  dagli  altri;  e  questo  sarebbe  grave  al  sommo  ed 
imperdonabile,  quando  il  personaggio  giudicato  avesse  posto  nelle  sue  opere, 


—  9  — 


accessibili  ad  ognuno,  tutta  la  sua  dottrina  e  tutta  la  sua  vita,  cantato  i 
suoi  trionfi,  piante  le  proprie  sconfitte,  e  narrato  ad  un  popolo  numeroso 
ogni  avvenimento  di  qualche  importanza  che  lo  riguardi.  Ci  pare  poi  che 
sia  addirittura  enorme  questo  fare,  allorché  il  gran  maestro  sa  d'esser 
creduto  da  molti,  e  giudica  e  condanna,  senza  spirito  di  pietà  alcuna,  il  per- 
sonaggio di  cui  parla.  Or  questo, chi  l'avrebbe  mai  pensato?  è  appunto  il  caso 
del  Savonarola  e  del  Pastor.  Chi  può  dubitare  che  il  Frate  di  San  Marco  me- 
riti dagli  Storici  serj  tutta  1'  attenzione  possibile?  E  chi  ignora  eh'  egli  ha  una 
serie  lunghissima  di  opere,  nelle  quali  espone  la  sua  dottrina,  narra  la  sua  vita, 
fa  la  storia  del  suo  tempo,  mostra  quanto  ha  operato  per  il  popolo  di  Firenze 
e  per  la  Chiesa  in  generale,  espone  la  sua  riforma  nel  campo  ecclesiastico,  po- 
litico, civile,  morale,  artistico,  letterario?  chi  ignora,  che,  se  egli  si  disse  pro- 
feta, scrisse  ancora  un  compendio  delle  sue  profezie  e  dialoghi  intorno  la  pro- 
fetica verità  ? 

Può  uno  storico  serio,  scrivere  del  grande  Frate  senza  aver  letto  pur  una 
di  queste  opere,  e  contentandosi  di  cucire  insieme  periodi  d'  autori  diversi, 
lontanissimi  dall'  età  di  quello?!  Il  Villari  nota  che  il  lavoro  del  padre  Mar- 
chese intorno  a  Girolamo  Savonarola,  se  valse  a  destare  mirabilmente  la 
curiosità  del  pubblico,  non  valse  però  a  soddisfarla  intieramente.  Or  sapete  voi, 
fra  le  altre,  quale  ragione  reca  di  tal  giudizio  queslo  insigne  storico?  Eccola  : 
«  Il  padre  Marchese  conosceva  solo  una  parte  delle  opere  e  delle  prediche  del 
Frate;  poteva  quindi  scrivere  un  eloquente  capitolo  nella  Storia  di  S.  Marco, 
non  già  un  lavoro  compiuto.  Nuove  indagini  (soggiunge  poi  il  Villari)  e  nuovi 
studj  erano  adunque  necessarj.  »  E  nuove  indagini  fece  egli,  e  prima  di  scri- 
vere ricercò  tutte  le  opere  del  Frate;  come  le  ricercò  del  pari,  e  con  somma 
diligenza,  un  altro  biografo  di  esso,  il  Padre  Ceslao  Bajonne,  il  quale  anzi 
osserva,  che  molti  fra  i  cattolici,  i  quali  giudicarono  del  Savonarola  tristamente 
lo  fecero  ignorando  gli  scritti  del  Frate,  e  fidandosi,  senz' altra  cura,  agli  studj 
ed  affermazioni  altrui  sopra  di  quello.  E  noi  crediamo  che  la  santa  causa  del 
Savonarola  sarebbe  oramai  decisa  se  il  primo  avesse  scritto  con  ispirito  e  in- 
tento schiettamente  cattolici,  il  secondo  avesse  potuto  compiere  intieramente 
e  diffondere  i  suoi  studj. 

E  Girolamo  Savonarola  Io  pretendeva,  e  giustamente,  che  prima  di  con- 
dannarlo, si  volesse  sentirlo  e  leggerlo.  «  Venite  qui,  tiepidi,  a  che  contradite 
voi  dunque  tanto?  voi  conlradite  a  queste  prediche  e  non  le  udite,  e  non  leg- 
gete, adunque  voi  contradite  a  quello  che  non  sapete.  —  Oh!  egli  mi  è  rife- 
rito quello  che  tu  di'!  —  Ti  è  forse  riferito  il  falso.  S.  Girolamo  e  S.  Ago- 
stino, e  gif  altri  dottori  non  facevano  a  questo  modo,  come  fate  voi.  Loro 
vollero  vedere  tutti  i  libri  degli  eretici,  e  poi  contradicevano,  e  sapevano  a 
quello  che  si  contradire.  » 

Così  il  Frate  nella  predica  III  sopra  l'Esodo,  e,  come  non  gli  bastasse, 
malia  XI  gridava  un'  altra  volta:  «  Sono  alcuni  che  non  credono  e  non  odono 
la  predica,  nè  vogliono  udirla,  e  non  vogliono  che  altri  la  oda;  nè  vogliono  leg- 
gere quello  che  abbiamo  scritto,  e  non  vogliono  che  le  monache  loro,  nè  altri 


-  10  - 


leggano  nè  odano.  Come  possono  costoro  riprendere  una  cosa  che  non  odono 
nè  la  leggono?  S.  Agostino  e  gli  altri  dottori  al  tempo  degli  eretici,  hanno  vo- 
luto vedere  i  libri  degli  eretici,  e  quello  che  hanno  scritto,  e  poi  colle  ragioni 
riprovatigli.  Vedete  almanco  i  nostri  scritti  per  il  bene  della  Chiesa,  e  ripro- 
vate queste  eresie,  e  non  dite  così  al  vento:  —  Queste  sono  cose  false, —  senza 
volerle  intendere.  Io  t'avviso  che  se  tu  farai  un  libro  che  vi  sia  dentro  eresie,  io 
lo  vorrò  vedere  e  riprovartelo  quassù  in  pubblico.  » 

Ma  è  poi  proprio  vero  che  il  Professore  di  storia  alla  Università  d1  Inn- 
sbruck  scrisse  tanto  severamente,  quanto  fece,  del  povero  Frate,  senza 
conoscerne  le  opere?  Non  mi  credete?!  Apriamo  adunque  il  suo  libro,  se  ne 
volete  le  prove,  e  apriamolo  dove  meglio  vi  piace;  anzi  apritelo  voi  senz1  altro. 
—  Ecco,  a  pagina  127.  —  Sta  bene.  Nota  ivi  adunque  il  Pastor  che  il  Sa- 
vonarola, nelle  prediche  del  1493,  inveì  contro  il  marcio  degli  ecclesiastici 
ed  insieme  contro  la  viziosità  de' principi;  e  a  prova  cita  pensieri  raccolti  dalle 
prediche  VII  e  Vili  e  XXIII  sopra  il  salmo  Quam  Bonus.  Ma  non  li  ha  già  rac- 
colti lui  tali  pensieri,  sì  bene  il  Villari:  li  ha  raccolti  il  Villari  tali  pensieri  dalla 
predica  VII  e  VIII  e  XXIII  sopra  il  salmo  Quam  Bonus,  e  li  raccolse  restrin- 
gendo in  poche  le  molte  cose  che  il  Frate  dice  dalla  pagina  271  alla  pagina  275 
e  nelle  pagine  296,  567  e  570  dell'edizione  di  Prato  1846.  Or  vedi  se  io  dico 
vero.  Tien  l'occhio  sopra  il  Pastor  tu,  io  leggerò  nel  Villari  alle  pag.  1 94, 1 97  e  1 98. 


Pastor 

«  Con  Aristotele,  Platone,  Vir- 
gilio e  Petrarca,  solleticano  le  orecchie, 
e  non  si  occupano  della  salute  del- 
le anime.  Perchè,  invece  di  tanti  libri, 
non  insegnano  quel  solo  dove  è  la 
legge  e  lo  spirito  della  vita?  L'evan- 
gelio, o  cristiani,  bisognerebbe  portarlo 
sempre  indosso,  non  dico  già  il  libro, 
ma  lo  spirito  di  esso.  Che  se  tu  non 
hai  lo  spirito  della  grazia  e  che  tu 
porti  indosso  l'intero  volume  non  ti 
gioverà  nulla.  Oh  quanto  sono  più 
sciocchi  ancora  quelli  che  s'  empiono 
il  collo  di  brevi,  di  polizze  e  di  carte, 
che  sembrano  botteghini  che  vanno 
alla  fiera!  La  carità  non  sta  nelle 
carte.  I  veri  libri  di  Christo  sono  gli 
apostoli  e  i  santi;  la  vera  lettura  sta 
nell' imitare  la  vita  loro.  Ma  oggi  gli 
uomini  sono  latti  libri  del  diavolo. 
Parlano  contro  la  superbia  e  1'  ambi- 
zione, e  sonvi  immersi  fino  agli  occhi; 
predicano  la  castità  e  tengono  le  con- 
cubine, comandano  che  si  digiuni,  e 


Villari 

«  Con  Aristotele,  Platone,  Virgilio 
ed  il  Petrarca,  solleticano  le  orecchie, 
e  non  si  occupano  della  salute  delle 
anime.  Perchè,  invece  di  tanti  libri, 
non  espongono  quello  solamente  in  cui 
è  la  legge,  e  lo  spirito  della  vita? 
1'  Evangelio,  o  Cristiani,  bisognerebbe 
portarlo  sempre  indosso  :  non  dico  già 
il  libro,  ma  lo  spirito  di  esso.  Che  se 
tu  non  hai  lo  spirito  della  grazia,  e  tu 
porti  indosso  l' intero  volume,  non  ti 
gioverà  a  nulla.  Oh!  quanto  sono  più 
sciocchi  ancora  quelli  che  s' empiono 
il  collo  di  Brevi,  di  polizze  e  di  carte, 
che  sembrano  botteghini  che  vanno 
alla  fiera.  La  carità  non  sta  nelle  carte. 
I  veri  libri  di  Christo  sono  gli  Apostoli 
e  i  Santi,  la  vera  lettura  sta  nell'  imi- 
tare la  vita  loro.  Ma  oggi  gli  uomini 
sono  fatti  libri  del  diavolo.  Parlano 
contro  la  superbia  e  l'ambizione,  e  sonvi 
immersi  fino  agli  occhi;  predicano  la 
castità  e  tengono  le  concubino;  coman- 
dano che  si  digiuni,  e  vogliono  splen- 


—  11  — 


vogliono  splendidamente  vivere...  Co- 
storo sono  libri  disutili,  libri  falsi,  li- 
bri cattivi  e  del  diavolo,  perchè  esso 
vi  scrive  dentro  tutta  la  sua  malizia... 
Questi  prelati  s'estollono  delle  loro 
dignità  e  diprezzano  gli  altri;  sono 
quelli  che  vogliono  essere  riveriti  e 
temuti;  sono  quelli  che  cercano  le 
prime  cattedre  nella  sinagoghe,  i  primi 
pergami  di  Italia.  Costoi-o  cercano  la 
mattina  di  essere  trovati  in  piazza, 
ed  essere  salutati ,  ed  essere  chiamati 
maestri  e  rabbi;  dilatano  le  fimbrie  e 
filatterie  loro;  sputano  tondo;  vanno  in 
sul  grave  e  vogliono  essere  intesi  ai 
cenni  

Vedi  oggi  li  prelati  prostrati  col- 
l' affetto  in  terra  ed  in  cose  terrene; 
la  cura  delle  anime  non  è  più  loro  a 
cuore  ;  basta  tirar  le  entrate...  Nella 
primitiva  Chiesa  erano  li  calici  di  le- 
gno e  li  prelati  d'  oro  ;  oggi  la  Chiesa 
ha  li  calici  d'oro  e  li  prelati  di  legno.  > 


didamente  vivere.  Costoro  sono  libri 
disutili,  libri  falsi,  libri  cattivi  e  del 
diavolo,  perchè  esso  vi  scrive  dentro 
tutta  la  sua  malizia.  »  «  Questi  prelati 
«  si  estollono  delle  loro  dignità,  e  di- 
«  sprezzano  gli  altri;  sono  quelli  che 
«  vogliono  essere  reveriti  e  temuti  ; 
«  sono  quelli  che  cercano  le  prime  cat- 
«  tedre  nelle  sinagoghe,  i  primi  per- 
«  gami  d'Italia.  Costoro  cercano  la 
«  mattina  d' essere  trovati  in  piazza, 
«  ed  essere  salutati,  ed  esser  chiamati 
«  maestri  e  rabbi;  dilatano  le  fimbrie 
«  e  filatterie  loro,  sputano  tondo, 
«  vanno  in  sul  grave  e  vogliono  es- 
«  sere  intesi  a'  cenni.... 

«  Vedi  oggi  li  prelati  e  li  predica- 
«  tori .  prostrati  coli'  affetto  in  terra 
«  ed  iu  cose  terrene  ;  la  cura  delle  ani- 
c  me  non  è  più  loro  a  cuore;  basta 
«  tirar  le  entrate...  Nella  primitiva 
«  Chiesa  erano  li  calici  di  legno  e  li 
«  prelati  d'  oro;  oggi  la  Chiesa  ha  li 
«  calici  d'  oro  e  li  prelati  di  legno.  » 


Non  ti  fare  le  meraviglie:  vedi!  ii  Pastor,  coli' esattezza  e  la  coscienza  te- 
desca, non  ti  cita  già  il  Frate,  ma  il  Villari;  e  tanto  deve  bastare  per  salvar 
lui,  e  qui  e  in  tutto  il  rimanente  del  lavoro  che  riguarda  il  Savonarola,  dalla 
taccia  di  plagiario  e  fare  del  suo  volume  un  volume  dotto.  Del  resto  voglio 
che  ti  prenda  meraviglia  assai  maggiore.  Continua,  seguitando,  a  tener  l'occhio 
sul  Pastor,  ed  io  leggerò  nel  Villari  stesso,  alle  pagine  201,  202,  203. 


Pastor 


Villaki 


Ancor  più  rumore  levarono  le 
prediche  tenute  dal  Savonarola  nella 
quaresima  del  1494.  In  queste  egli  mise 
in  nesso  i  flagelli  da  lui  predetti  con 
la  venuta  di  un  nuovo  Ciro,  che  senza 
trovare  ostacoli  avrebbe  traversato  vit- 
torioso P  Italia. 


Nel  settembre  si  rifece  sul  me- 
desimo argomento.  Già  erano  divul- 
gate confuse  notizie  di  una  spedizio- 


L' effetto  di  questi  sermoni  fu  cosi 
straordinario  e  universale,  che  il  Duomo 
s'andò  empiendo  ogni  giorno  di  mag- 
gior popolo,  e  il  Savonarola  pareva 
fosse  divenuto  il  personaggio  più  im- 
portante in  Firenze....  Nei  sermoni  di 
quella  quaresima  continuò  sempre  apar- 
lare a  lungo  dei  viciui  flagelli;  annun- 
ziò la  venuta  di  un  nuovo  Ciro  che 
avrebbe  traversato  vittorioso  l' Italia, 
senza  trovare  ostacoli,  e  senza  rompere 
lancia....  Nella  terza  di  quelle  prediche 
doveva  esporre  il  17°  versetto  del 
cap.  VI,  che  già  discorre  del  diluvio, 


—  12  — 


ne  di  Francesi  e  la  trepidazione  degli 
animi  era  universale.  Il  21  settembre 
questa  toccò  il  sommo.  Le  ampie  navate 
del  duomo  fiorentino  bastavano  appena 
a  contenere  la  folla,  che,  piena  d'  una 
nuova  e  strana  ansietà,  attendeva  da 
più  ore.  L'  oratore  saliva  finalmente  sul 
pergamo.  Quando  egli  ebbe  collo  sguar- 
do misurato  il  suo  uditorio,  gridò  ter- 
ribilmente :  Ecce  ego  adducam  aquas 
super  terram.  Quella  voce  parve  folgore 
che  scoppiasse  nel  tempio:  uno  strano 
spavento  s'impossessò  dell'  anima  di 
ognuno.  Si  grande  fu  il  terrore,  il  pianto 
ed  il  gemito,  scrive  il  cronista  Cerre- 
tani, che  ciascuno  quasi  semivivo  senza 
parlare  per  la  città  si  aggirava.  Il  Po- 
liziano dice  che  gli  si  rizzarono  i  ca- 
pegli. 


e  ciò  accadde  il  21  di  settembre,  giorno 
memorabile  pel  Savonarola  e  per  Fi- 
renze. Il  Duomo  bastava  appena  a  con- 
tenere la  folla,  che,  piena  di  una  nuova 
e  più  viva  ansietà,  attendeva  sin  dal 
mattino.  L'oratore  sali  finalmente  sul 
pergamo,  e  quando  ebbe  gettato  uno 
sguardo  sul  suo  uditorio,  e  vista  l' in- 
solita trepidazione  che  lo  dominava, 
gridò  terribilmente:  Ecce  ego  adducam 
aquas  super  terram.  Quella  voce  parve 
come  una  folgore  che  scoppiasse  nel 
tempio,  quelle  parole  sembrarono  met- 
tere uno  strano  spavento  nell'animo 
di  ognuno.  Pico  della  Mirandola  rac- 
contava che  un  brivido  era  corso  per 
tutte  le  sue  ossa,  che  i  capelli  gli 
s'eran  rizzati  sulla  fronte;  ed  il  Savo- 
narola stesso  dichiarò  eh'  egli  non  era 
quel  giorno  meno  commosso  dei  suoi 
ascoltatori. 


Nè  credere  che  sia  del  Pastor  la  citazione  del  Cerretani,  essa  è  tolta  di 
sana  pianta  da  una  noticina  del  Villari.  Ecco,  te  la  leggo:  «  Aveva  predicato  in 
Santa  Liperata,  et  avendo  a  1'  entrata  del  re  di  Francia  in  Italia  a  punto 
chiuso  1'  Arca  con  tanto  terrore,  spavento  e  grida  e  pianti,  aveva  fatto  al- 
cune prediche,  che  ciascuno,  quasi  semivivo,  senza  parlare,  per  la  città  sbi- 
gottiti s'  aggiravano.  »  (Cerretani,  storia  Ms.,  ecc.) 

Perchè  mi  guardi?  Tien  fermo  l'occhio  un  altro  poco  sul  Pastor,  sem- 
pre di  seguito;  io  leggerò  ancora  qualche  altro  periodo  del  Villari,  alle  pa- 
gine 250,  272,  27(5,  277. 


Pastor 

Poche  settimane  dopo  i  Medici 
erano  scacciati,  ed  il  re  di  Francia  fa- 
ceva il  solenne  suo  ingresso  in  Firenze. 
Il  terribile  avveramento  dei  vaticini 
del  Savonarola,  la  sua  opera  fruttuosa 
per  la  conservazione  della  quiete  nella 
città  durante  la  presenza  dei  Francesi 
avevano  accresciuto  in  sommo  grado 
il  suo  ascendente.  Il  popolo  vedeva  in 
lui  il  profeta  veridico  delle  cose  avve- 
nute; lui  solo  essere  stato  capace  a 
moderare  1'  animo  del  re  francese  nel 
suo  entrare  in  Firenze;  lui  solo  averlo 
indotto  a  partire.  E  cosi  da  lui  atten- 


VlLLARI 

L'  aspetto  della  città  s'era,  in  que- 
sto mezzo,  affatto  mutato.  I  partigiani 
dei  Medici  sembravano,  come  per  in- 
canto, spariti;  il  partito  popolare  si 
trovava  solo  a  dominare  ogni  cosa,  ed 
il  Savonarola  era  quello  che  dirigeva 
la  volontà  di  tutto  il  popolo.  Lui  di- 
cevano profeta  veridico  delle  cose  av- 
venute, lui  solo  essere  stato  capace  a 
moderare  1'  animo  del  re  nel  suo  en- 
trare in  Firenze,  lui  solo  averlo  in- 
dotto a  partire;  così  da  lui  attendevano 
consiglio,  aiuto  e  comando  in  ogni  cosa 
che  fosse  per  seguire.... 


-  13  — 


devano  consiglio,  aiuto  e  comando  in 
ogni  cosa  che  nella  difficile  impresa 
del  cangiamento  della  costituzione  fos- 
se per  seguire.  In  tale  guisa  il  frate 
di  S.  Marco  dalla  forza  stessa  delle 
circostanze  veniva  a  trovarsi  su  di  un 
campo  per  lui  nuovo,  lubrico  e  perico- 
loso; egli  giustifica  il  suo  inframmet- 
tersi nelle  cose  politiche,  dicendo  che 
l'aveva  trovato  necessario  per  la  sa- 
lute delle  anime. 

«  0  popolo  mio  ».  così  egli  nelle  sue 
prediche  sulla  riforma  della  costituzio- 
ne, «  tu  non  volevi  credere  ;  ma  ora  hai 
visto  che  le  mie  parole  si  sono  tutte  ve- 
rificate, che  esse  non  sono  di  mia  volon- 
tà, ma  vengono  dal  Signore.  Prestate, 
adunque,  le  orecchie  a  chi  non  cerca  al- 
tro che  la  vostra  salute.  Purificate  il  vo- 
stro animo,  attendete  al  ben  comune, 
dimenticate  i  privati  interessi;  e  se  in 
tale  disposizione  voi  riformate  la  vostra 
città,  essa  sarà  più  gloriosa  che  non  è 
mai  stata.  E  tu,  popolo  di  Firenze,  in- 
comincerai in  questo  modo  la  riforma 
di  tutta  Italia,  e  stenderai  le  tue  ali  in 
tutto  il  mondo,  per  portarvi  la  riforma 
di  tutti  i  popoli. 

»  Questa  riforma,  prosegue  il  Sa- 
vonarola, deve  cominciare  cogli  ec- 
clesiastici ed  il  bene  temporale  ser- 
vire al  morale  e  religioso;  se  Co- 
simo de'  Medici  ha  detto  che  gli  Stati 
non  si  possono  governare  col  Pater 
noster,  questa  essere  sentenza  di  un 
tiranno;  a  volere  un  buon  governo,  do- 
versi ridurlo  al  Signore.  Egli  al  pos- 
tutto, se  così  non  fosse,  non  s' impac- 
cerebbe di  affari  politici.  » 


Per  questa  nuova  costituzione  rac- 
comandava in  una  predica  tenuta  in 
Duomo  principalmente  quattro  cose:  1° 
Il  timore  di  Dio  e  la  riforma  dei  buoni 
costumi.  2"  L'amore  al  governo  popolare 
ed  al  pubblico  bene,  posponendo  ogni 


t  0  popolo  mio!  tu  sai  che  io  non 
sono  mai  voluto  entrare  nelle  cose  di 
Stato:  credi  tu  che  ci  verrei  al  presente, 
se  non  vedessi  cbe  ciò  è  necessario  alla 
salute  delle  anime?  Tu  non  volevi  cre- 
dere; ma  ora  hai  visto  che  le  mie  pa- 
role si  sono  tutte  avverate;  che  esse 
non  sono  di  mia  volontà,  ma  vengono 
dal  Signore.  Prestate  adunque  le  orec- 
chie a  chi  non  cerca  altro  che  la  vostra 
salute.  Purificate  il  vostro  animo,  at- 
tendete al  ben  comune,  dimenticate  i 
privati  interessi,  e  se  con  tale  inten- 
dimento voi  riformate  la  Città,  essa 
sarà  più  gloriosa  che  non  fu  mai  in 
passato.  E  tu,  popolo  di  Firenze,  inco- 
mincerai in  questo  modo  la  riforma  di 
tutta  Italia,  e  spanderai  le  tue  ali 
nel  mondo,  per  portarvi  la  riforma  di 
tutti  i  popoli. 

»  La  vostra  riforma  deve  incomin- 
ciare dalle  cose  spirituali,  le  quali 
stanno  al  di  sopra  delle  materiali,  di 
cui  formano  la  regola  e  sono  la  vita; 
e  tutto  il  bene  temporale  deve  servire 
al  bene  morale  e  religioso,  da  cui  di- 
pende. E  se  avete  udito  dire  che  gli 
Stati  non  si  governano  coi  Paterno- 
stri, rammentatevi  che  questa  è  la  re- 
gola de'  tiranni,  degli  uomini  nemici 
di  Dio  e  del  ben  comune,  la  regola  per 
opprimere  e  non  per  sollevare  e  libe- 
rare la  Città.  Bisogna,  invece,  se  voi 
volete  un  buon  governo,  che  voi  lo  ri- 
duciate a  Dio.  Certamente  io  non  vor- 
rei impacciarmi  dello  Stato,  se  non  fosse 
così.  » 

Ma  finalmente  volle  un  giorno  rac- 
cogliere in  Duomo  tutti  i  magistrati 
ed  il  popolo,  escludendone  le  donne  e 
i  fanciulli,  per  fare  una  predica  nella 
quale  propose  principalmente  quattro 
cose:  lu  II  timore  di  Dio  e  la  riforma 
dei  buoni  costumi.  2°  L'  amore  al  go- 
verno popolare  ed  al  pubblico  bene, 
posponendo  ogni  privata  utilità.  3°  Una 
pace  universale,  colla  quale  si  assol- 
vessero gli  amici  del  passato  governo 
da  ogni  colpa,  perdonando  anche  le 


—  14  — 


privata  utilità.  3°  Una  pace  generale,  pene  pecuniarie,  e  si  usasse  indulgenza 
colla  quale  si  assolvessero  gli  amici  del  verso  tutti  i  debitori  dello  stato.  4° 
passato  governo,  perdonando  anche  le  Una  forma  di  governo  universale  che 
pene  pecuniarie  verso  tutti  i  debitori  comprendesse  tutti  i  cittadini  ai  quali 
dello  Stato.  4°  La  istituzione  di  un  go-  secondo  gli  antichi  ordini  della  Città, 
verno  universale,  che  comprendesse  apparteneva  lo  Stato.  E  suggeriva, 
tutti  i  cittadini.  come  più  adatta  la  forma  del  consiglio 

Maggiore  dei  Veneziani,  accomodan- 
dolo però  all'  indole  del  popolo  fioren- 
tino.... 


Così  adunque  l' illustre  professore  d'Innsbruck  copiò  dal  Villari  tre  pagine 
di  seguilo  !  Questo  famoso  autore  nel  dire  del  Savonarola  copia  quasi  tutto, 
copia  anche  quando  meno  te  lo  aspetteresti  e  immagineresti.  Vuole  egli  parlare  e 
dar  sentenza  del  lume  profetico  e  del  nostro  Frate?  Lo  fa,  ma  non  ti  creder 
già  che  egli  lo  faccia  ricorrendo  alle  prediche  del  Savonarola,  o  al  Compendio 
di  rivelazioni,  o  al  Dialogo  della  verità  profetica;  tutt'  altro;  lo  fa  pigliando  qual- 
che periodo  al  Burckhardt.  Vuole  egli  parlare  e  dar  sentenza  della  riforma 
tentata  nelle  lettere  e  nelle  scienze  dal  nostro  Frate?  Lo  fa;  ma  non  ti  aspet- 
tare che  egli  ricorra  all'  Opera,  che  il  Savonarola  scrisse,  Della  divisione,  or- 
dine e  utilità  di  tutte  le  scienze  e  della  ragione  della  poesia  ;  lo  fa,  pigliando  una 
altra  volta  un  paio  di  periodi  al  Burckhardt.  E  così  fa  sempre,  qualunque  cosa 
egli  abbia  a  dire.  Degli  scritti  del  Frate  non  se  ne  cura  mai  punto,  in  nessun 
modo  ;  e  non  si  dà  mai  alcun  pensiero  di  vedere  se  gli  autori  da'  quali  copia 
avesser  ragione,  o  no,  di  affermare  ciò  che  affermano.  A  lui  basta  che  si  con- 
danni e  maltratti  il  Savonarola  ;  non  gì'  importa  d'  altro  ! 

Di  sopra  ho  detto  che  forse  il  Pastor  vide  le  poesie  del  nostro  Frale,  e  lo 
voglio  credere,  perchè  tale  operetta  è  registrata  a  pag.  821  fra  i  libri  dal  Pastor 
ripetutamente  citati.  Ma,  intendiamoci  bene,  io  non  potrei  assicurare  nessuno  che 

10  storico  tedesco,  oltre  ad  averla  vista,  1' abbia  anche  letta.  La  cosa  può  anche 
stare  altrimenti.  Queste  poesie  le  cita  una  volta  sola,  a  pagina  123,  dove  espone 

11  contenuto  della  canzone  De  mina  Ecclesiae.  E  qui  è  ancora  1'  unica  volta 
che,  leggendo  il  volume  del  Pastor,  si  vede  a  pie  di  pagina  il  titolo  preciso  di 
un'opera  del  Frate  :  Poesie  di  Fra  Girolamo  Savonarola,  ed.  Guasti.  Per  questo,  e 
notandosi  anche  le  pagine  nelle  quali  la  detta  poesia  si  legge,  ognuno  vorrebbe 
credere  che  1'  esposizione  che  ne  fa,  fosse  sua  propria;  ma,  chi  così  immagi- 
nasse, s'ingannerebbe  a  partito;  trascrive  anche  qui  letteralmente  dal  Villari, 
pag.  23:  lo  vuoi  vedere? 

Pastor  Villari 

Nel  primo  anno  della  sua  vita  clau-  L'anno  medesimo  che  lasciava  il 
strale  il  Savonarola  compose  la  sua  mondo,  quell'anno  d'esiiltato  fervore, 
celebre  canzone  che  intitolò  De  mina  egli  dava  sfogo  ai  pensieri  più  segreti 
Ecclesiae,  dove  ugualmente  vengono  de-  del  suo  animo,  in  una  Canzone,  che  in- 
scritte le  sole  macchie  che  deturpavano  titolò  De  mina  Ecclesiae.  In  essa  egli 


—  15  — 


il  suo  secolo.  La  Chiesa  vi  figura  sotto 
l'immagine  di  una  casta  vergine,  per- 
chè in  lei  la  fede  rimase  di  continuo 
intemerata:  —  Ove  sono  gli  antichi  dot- 
tori, gli  antichi  santi;  ove  la  dottrina, 
la  carità  cristiana,  il  candore  antico? 
—  Ed  in  risposta  la  Vergine,  presolo 
per  mano,  lo  conduce  in  una  spelonca 
e  gli  dice:  —  Quando  io  vidi  la  superba 
ambizione  penetrare  in  Roma  e  conta- 
minare ogni  cosa,  allora  mi  ritirai  e 
chiusi  in  questo  luogo 

Ove  io  conduco  la  mia  vita  in  pianto. 

Dopo  ciò  gli  mostra  le  piaghe  che 
avevano  contaminato  il  suo  corpo:  ed 
allora  il  Savonarola,  tutto  pieno  di 
dolore,  si  rivolge  ai  santi  nel  Cielo,  e 
li  invita  a  piangere 

Prostrato  è  il  tempio  e  l'edilìzio  casto. 

Alla  domanda,  di  chi  la  colpa,  re- 
plica la  Chiesa:  ambizione,  concupi- 
scenza degli  occhi  e  della  carne.  Al  che 
il  Savonarola  dice: 

Deh  !  per  Dio  donna, 
Se  romper  si  potria  quelle  grandi  ale  ! 


Ma  la  Chiesa  quasi  in  tono  di  rim- 
provero gli  replica: 

Tu  piangi  e  taci,  e  questo  meglio  parisi. 


domanda  alla  Chiesa,  che  figura  sotto 
l'immagine  di  una  casta  Vergine:  — Ove 
sono  gli  antichi  dottori,  gli  antichi 
santi;  ove  la  dottrina,  la  carità,  il  can- 
dore antico  ?  — Ed  in  risposta  la  Ver- 
gine, presolo  per  mano,  lo  conduce  in 
una  spelonca,  e  gli  dice:  — Quando  io 
vidi  la  superba  ambizione  penetrare  in 
Roma,  e  contaminare  ogni  cosa,  allora 
mi  ritirai  e  chiusi  in  questo  luogo, 
Ove  io  conduco  la  mia  vita  in  pianto. 


Dopo  ciò  gli  mostra  le  piaghe  che 
avevano  contaminato  il  suo  bellissimo 
corpo:  ed  allora  il  Savonarola,  tutto 
pieno  di  dolore,  si  rivolge  ai  Santi  nel 
Cielo,  e  li  invita  a  piangere  tanta  sven- 
tura : 

Prostrato  è  il  tempio  e  lo  edifìzio  casto. 

—  Ma  chi  ha  ridotto  le  cose  a  tale  ? 
—  riprende  nuovamente  il  Savonarola. 
E  la  Chi  esa,  alludendo  a  Roma,  ri- 
sponde:—  Una  fallace,  superba  mere- 
trice. —  Allora  il  giovane  e  devoto  no- 
vizio, il  solitario  ed  umile  fraticello, 
dice  una  di  quelle  parole,  che  rivelano 
tutta  la  sua  anima: 

Deli!  per  Dio.  donna 
Se  romper  si  potria  quelle  grandi  ale  ! 

A  che  la  Chiesa,  quasi  in  tuono  di 
rimprovero,  gli  dice: 

Tu  piangi  e  taci,  e  questo  meglio  parme. 


Che  te  ne  sembra?  Ti  pare  di  poter  argomentare  che  il  Pastor  abbia  avuto 
nelle  mani  e  letta  pur  una  delle  opere  del  Savonarola?  0  non  ti  pare  piuttosto 
che  abbiamo  ragione  noi  quando  diciamo  il  contrario?  Questi  passi  s'avrebbe 
a  virgolarli,  e  facendo  come  il  Pastor,  che  si  contenta,  dopo  che  li  ha  copiati, 
di  farvi  seguire  un  numero,  e  porne  un  altro  corrispondente  a  piè  di  pagina 
col  nome  del  rispettivo  autore,  si  potrebbe  forse  esser  detti  plagiar)'.  Credimi: 
se  ti  piacesse  di  togliere  dal  Pastor,  ove  parla  del  Savonarola,  tutto  ciò  che 
copia  di  peso  dagli  scrittori  moderni,  non  vi  lascieresti  più  una  pagina  intatta; 
non  vi  lascieresti  se  non  alcune  asserzioni  avventate  e  strane. 


—  16  — 


Così  stando  le  cose,  chi  può  ancor  dubitare  che  il  Pastor  scrisse  del  Sa- 
vonarola senza  prima  essersi  preparato  sufficientemente  a  farlo?  E  non  è  que- 
sta cosa  assai  biasimevole  e  atta  a  diminuir  la  fiducia  nel  lettore?!  Con  qual 
legge  potrebbe  un  giudice  pronunciar  sentenza  di  condanna  su  poche  depo- 
sizioni di  testimoni  malamente  interpretate  e  contorte,  come  vedremo  che  fa 
il  Pastor,  senza  punto  sentire  il  reo  non  contumace,  ma  che  reclama  insisten- 
temente il  diritto  d'essere  sentito  e  inteso?  E  qual  valore,  qual  peso,  quale 
autorità  potrebbe,  nel  triste  caso,  aver  la  sentenza?  e  chi  mai  non  dovrebbe 
desiderare  di  vederla  senza  meno  cassata? 


III. 


Insufficiente   conoscenza   nel  Pastor 
della  predicazione  savonaroliana. 

Sommario. 

Il  Pastor  fa  predicare  al  Frate  due  quaresime  nello  stesso  anno  e  in  città  diverse.  —  Confonde  predica 
con  predica  e  l'avvento  colla  quaresima.  —  Altro  sbaglio  di  data.  —  Ignoranza  o  errori  più  gravi. 
—  L'infelice  successo  del  Savonarola  quando  fu  la  prima  volta  a  predicare  in  Firenze.  —  Ragioni 
del  fatto  secondo  il  Pastor.  —  Il  Pastor  inconciliabile  con  se  stesso.  —  Concetto  dei  biografi  del 
Frate:  Il  Villari,  e  il  Pnrlamacclii.  —  Passi  del  Savonarola.  —  Un  raccontino.  —  Progressivo 
svolgimento  della  predicazione  savonaroliana  quale  appare  dalle  prediche  del  Frate.  —  Un  aureo 
passo  della  XLVIIIa  sopra  Amos  e  Zaccaria. 

L' ignoranza  delle  cose  attinenti  al  Savonarola  nel  Pastor  si  appalesa  chiara 
chiara,  tacendo  ora  degli  errori  gravissimi,  in  molti  difetti  e  in  molte  imperfe- 
zioni del  suo  libro. 

Così,  ad  esempio,  a  pagina  124,  lo  storico  tedesco  fa  predicare  al  Frate  due 
quaresime  nell'anno  stesso  1486,  una  a  San  Gemignano,  e  l'altra  a  Brescia.  Dico 
che  fa  predicare  due  quaresime  nello  stesso  anno,  in  diversi  luoghi,  per  non  dire 
altrimenti  ch'egli  dimentica  che  l'Apocalisse  l'Oratore  domenicano  a  Brescia 
1'  espose  di  quaresima. 

Così  parimente  a  pagina  353  dice  che  la  seconda  predica  sopra  Amos  è 
indirizzata  precipuamente  contro  i  vizj  di  Boma;  e  per  giunta  afferma  che  il 
Savonarola  cominciava  (e  s' intende  in  tale  predica)  con  una  strana  interpreta- 
zione delle  parole  di  Amos  (4,  1):  Audite  verbum  hoc,  vaccae  pingues ,  quaeestis 
in  monte  Samariae;  non  sapendo  che  invece  nella  seconda  predica  di  tal  qua- 
resimale Boma  c'  entra  ben  poco  o  nulla,  e  che  la  famosa  predica  delle  Vac- 
che pingui  è,  non  la  II,  ma  la  XII.  Alcuno  dirà  forse  che  queste  sono  sviste,  e 
magari  errori  tipografici  ;  ma  probabilmente  non  sarà  errore  tipografico, 
si  inconsideratezza  il  dire  che  le  prediche  sopra  Amos  e  Zaccaria  furono 
recitate  nell'avvento  del  1496,  mentre  è  notissimo  che  furono  nella  quaresima  di 

2 


—  18  — 


detto  anno.  Basta  una  conoscenza  anche  molto  superficiale  della  vita  del  Sa- 
vonarola, per  sapere  che  il  Frate  l'avvento  dell'anno  1495,  in  obbedienza  al 
breve  del  16  ottobre,  si  tacque;  e  l'avvento  dell'anno  1496  espose  sopra  Eze- 
chiele (cf.  Villari  II,  p.  2,  nota  1).  Come  può  dunque  scrivere  il  Pastor  che  il 
Frate  recitò  la  XII  sopra  Amos  la  seconda  domenica  dell'avvento?  È  conciliabile 
colla  vantata  esatezza  de' tedeschi  questa  confusione?! 

Così  non  sappiamo  capire  perchè  lo  storico  d'Innsbruck  faccia  predicare 
il  Savonarola  il  giorno  15  ottobre  1495,  mentre  si  sa  tutti  che  il  Frate  le 
prediche  recitate  in  tale  anno  sopra  i  Salmi,  e  così  anche  i  tre  sermoni  im- 
mediatamente prima  dell'arrivo  in  Firenze  del  breve  dei  16  ottobre,  le  recitò 
ne' giorni  festivi,  e  non  essendovi  in  ottobre  dagli  11  a'  26  altre  feste  fuori 
delle  domeniche,  delle  tre  prediche  1'  una  (come  nota  lo  stesso  Pastor)  es- 
sendo stata  recitata  agli  11,  la  terza  a' 25,  la  seconda  dovette  necessaria- 
mente esser  recitata  a'  18,  e  non  a'  15.  Così  del  resto  si  legge  nelle  varie  edi- 
zioni e  in  capo  del  libro  e  in  testa  della  predica.  Ma  per  saperlo,  è  naturale, 
bisogna  leggerlo  e  farvi  attenzione;  copiando  da  altri,  è  facile  che  sfugga  una 
data  o  che  si  cambi  con  un'  altra.  (*) 

(')  Diamo,  per  far  cosa  grata  ai  lettori,  uno  specchietto  cronologico  della  predicazione 
Savonaroliana  secondo  i  dati  più  probabili  : 


In  Ferrara 

Quaresima 

1482 

In  Firenze 

1484 

In  San  Gemignano 

14S5 

Feste 

14S6 

In  Brescia 

sull'  Apocalisse 

1489 

In  Firenze 

» 

Quaresima 

1490  * 

* 

Fette 

Avvento 

Quaresima 

1491 

sui  Vangeli 

Avvento 

> 

> 

sulla  7.  Ep.  di  S.  Giovanni  e 
sul  Nome  di  Gesù 

Feste 

» 

sull'  Arca  di  Noè 

Quaresima 

1492 

» 

Avvento 

» 

Q  a  ai  esima 

1493 

In  Bologna 

Avvento 

In  Firenze 

sul  salmo  Quam  bonus 

Quaresima 

1494 

> 

sull'Arca  di  Noè 

Feste 

su  Ai/geo 

Avvento 

Feste 

1495 

sui  Salmi 

Quaresima 

su  Giobbe 

Feste 

> 

» 

sui  Salmi 

Quaresima 

149o 

su  Amo/)  e  Zaccaria 

Dopo  Pasqua 

In  Prato 

su  Gioele 

Feste 

» 

In  Firenze 

su  8ut  e  Michea 

Avvento 

> 

su  Ezechiele 

Quaresima 

1497 

» 

Ascensione 

sul  salmo  Domine  Deus  incus 

Dalla  settuagesima 

sull'  E.iodo  e  sui  Salmi 

al  18  Marzo 

1198 

7  Aprile 

» 

Sermone  innanzi  l' esperi- 

mento del  fuoco. 

*  A  porre  nel  90  questa  quaresima  In  Firenze  ci  induce  l'autorità  (li  Domenico,  Benivicni  che 
nel  suo  conosciutissimo  Tractato  in  defensiune  et  probatione,  ecc.  dice  al  cap.  1.°  «  E  da  intendere 
che  dal  primo  d'agosto  dell'  anno  MCCCCLXXXIX  per  insiuo  a  questo  di  VI  maggio  MCCCCI.XXXXVI 
nel  quale  ho  terminato  et  fornito  questo  tractato  tutte  le  quadragesime,  excepto  una,  et  tutti  gli  avventi 
in  questo  tempo  occorrenti  et  molti  altri  di,  cioè  gran  parte  de'  di  festivi  ha  predicato  questo  servo  di 
Dio  nella  ciptà  di  Firenze.  »  La  quaresima  eccettuata  non  può  esser  che  quella  che  cerlamente  predicò 
a  Bologna  nel  93.  L'edizione  del  Henivieui  che  abbiamo  sott' occhio  è  del  1  (9G.  Un  passo  della  predica 
detta  1'  8  febbraio  1497  conferma  questa  asserzione.  «  Credo  che  voi  vi  ricordiate  tutti  di  quello  che 
vi  ho  detto  tante  volte....  Cosi  abbiamo  fatto  sette  anni  e  faremo  ancora.»  Predica  9«  su  Ezechiele.  K 
nella  predica  del  28  Agosto  1496  sopra  Michea  dice  espressamente  :  «  Noi  cominciammo  nel  novanta  a 
dirti  queste  cose,  benché  ancora  nello  ottantanòve  avessimo  detto  qualche  cosa,  ma  quello  fu  uno 
preambulo,  si  che  cominciammo  nel  novanta.  » 


—  19  — 


Più  grave  di  queste  e  simili  mende,  alle  quali  passiamo  sopra  volentieri,  è 
la  confusione,  che  il  Pastor  fa  nella  storia  della  predicazione  del  Frate;  non 
dico  nella  cronologia,  ma  nel  contenuto  delle  prediche;  e  dico  confusione,  ma 
potrei  anche  usar  una  parola  più  grave  assai.  La  storia  della  predicazione  del 
Frate  l'ignora  quasi  completamente  il  prof.  d'Innsbruck.  E  pure  il  conoscerla 
era  facilissimo:  bastava  legger  le  opere  di  Girolamo  Savonarola;  per  esempio 
il  Compendio  di  Rivelazioni.  E  a  noi  fa  veramente  meraviglia  che  il  Pastor  sto- 
rico coscienzioso  ed  imparziale,  come  per  il  solito  si  mostra,  non  1'  abbia  fatto, 
ina  siasi  contentato  di  giudicar  senz'  altro  il  povero  Frate  chiamandolo  audace, 
appassionato,  focoso,  violento,  intemperante.... 

A  pagina  123-124,  narrando  dell'infelice  successo  ch'ebbe  il  Savonarola 
nella  quaresima  fatta  a  San  Lorenzo  di  Fjrenze  V  anno  14-82  ovvero  1481,  co- 
piando in  parte  dal  Villari  e  in  parte  dal  Reumont,  e,  guastando  anche  un  poco 
quello  che  copia,  annovera  fra  le  ragioni  dell'  insuccesso,  le  maniere  (*)  e  le  for- 
me del  dire  dell'oratore  straniero,  rozze  e  neglette,  l'aspro  accento  lom- 
bardo, le  parole  incolte,  il  gesto  impetuoso  e  violento,  e  poi  la  mancanza  delle 
citazioni,  tanto  predilette  ai  Fiorentini,  di  poeti  e  filosofi.  E  fin  qui  nessuno 
avrebbe  forse  niente  ad  opporre;  ma  il  Pastor  di  ciò  non  si  contenta,  ma  ag- 
giunge ancora  che  lo  zelo  appassionato  non  lasciò  vedere  al  Savonarola  la  co- 
pia del  bene  che  si  era  conservato  in  Firenze  quand'egli  vi  giunse  a  predicare: 
il  Frate  domenicano,  nel  centro  del  rinascimento,  non  vedeva  se  non  il  male; 
e  contro  questo  male,  sorse  con  tanto  zelo  impetuoso  che  fin  dalle  prime  gli 
alienò  1'  animo  di  molti.  E  questa  il  Pastor  dice  che  è  la  vera  ragione,  per 
cui  le  prime  prediche  del  Savonarola  nella  Chiesa  di  San  Lorenzo  non  trova- 
rono eco  veruna;  e  soggiunge  ancora  che  la  critica  acerba,  esagerata  e  spietata 
che  l'oratore  faceva  delle  condizioni  immorali  e  dell'eccessivo  studio  dell'an- 
tichità disgustò  al  sommo  i  Fiorentini. 

Per  tanto  la  ragione  principale  della  fredda  indifferenza,  come  la  dice  lo 
stesso  Pastor,  de'  Fiorentini,  per  l' infelice  Frate,  era  allora  lo  zelo  impetuoso 
col  quale  questi  si  scagliava  contro  il  vizio,  e  sopratutto  la  critica  acerba,  esa- 
gerata, spietata,  che  e' faceva  delle  condizioni  immorali  e  dell' eccessivo  studio 
dell'  antichità.  Questa  critica  disgustò  al  sommo  i  Fiorentini. 

La  sentenza  è,  come  ognuno  vede,  molto  decisiva;  ma,  i  motivi?  I  motivi  non 
si  hanno  da  chiedere,  bisogna  credere  e  stare  zitti.  Si  legge  nel  Pastor,  e  basta. 
Veramente  a  noi,  gente  un  poco  proterva,  fa  un  poco  meraviglia  che  in  tali  pre- 
diche i  Fiorentini  venissero  disgustati  al  sommo  per  simili  ragioni  ;  imperocché  il 
Pastor  medesimo,  a  pag.  121,  parlando  de'predicatori  di  penitenza  in  Italia,  scrive 
letteralmente  cosi:  «  Cosa  mirabile  è  come  nobili  e  plebei,  principi  e  papi 
si  togliessero  in  pace  le  riprensioni  di  questi  predicatori  di  penitenza;  e  del  pari 


(')  A  pagina  125-126  il  Pastor  accennando  un'altra  volta  come  il  frate  parlava  senza  ri- 
guardo  e  spesso  anche  in  guisa  eccessiva  ai  Fiorentini,  dice  che  «il  modo  tenuto  dal  Savona- 
rola nel  suo  predicare  faceva  si  che  gli  uditori  prendevano  tutto  ciò  in  buona  parte,  anzi  che 
tante  volte  con  forti  pianti  si  confessassero  in  colpa.»  Ma  nel  Pastor  si  cercherebbe  invano 
come  si  concilino  o  si  spieghino  i  due  passi. 


—  20  — 


mirabile  la  fermezza  onde  quegli  uomini  rinfacciavano  ad  ogni  classe  e  ceto  dr 
persone  i  loro  vizj  e  peccati.  »  Che  si  abbia  proprio  da  fare  eccezione  pe'  Fio- 
rentini?! Ma  come  va  poi-che  dopo  non  si  offesero  più  quando  il  Savonarola  li 
riprese  aspramente  e  li  volle  riformare  per  ogni  lato?  Che  le  rampogne  delle 
prime  sue  prediche  fosser  più  acerbe  che  non  quelle  delle  prediche  degli  anni 
successivi?  Ma  chi  le  potrebbe  immaginare  più  acri  della  citata  dal  Pastor  a 
pagina  139?  «  La  vostra  vita  è  un  mo'  di  vivere  da  porci.  »  Io  non  so  se  già  il 
Savonarola  pronunciasse  a'  Fiorentini  questo  bel  complimento  le  prime  volte 
che  loro  predicava,  nè  so  se  il  Pastor  sappia  ciò  dirmi  e  tanto  meno  so  se  il 
Pastor  sappia  dirmi  se  il  complimento  gradito  il  Frate  lo  ripetesse  sovente  al 
gentil  popolo  del  Fiore-:  probabilmente  l' illustre  professore  si  è  contentato  di 
copiarlo,  insieme  con  altre  cose  belle  dall'  Hase,  e  di  copiarlo  senz' altra  cura; 
quello  che  io  so  si  è  che  le  parole  citate  si  leggono  nella  predica  X  sopra  Ruth 
e  Michea,  fatta  a  dì  5  giugno  1496,  cioè  proprio  al  tempo  che  il  popolo  Fio- 
rentino si  affollava  più  numeroso  a  sentire  il  Frate,  e  più  lo  ammirava  ;  nè  la 
si  legge  asciutta  asciutta,  ma  con  una  enumerazione  di  rimproveri  ghiotti  dav- 
vero....! Quali  saranno  adunque  slate  le  rampogne  che  disgustarono  al  sommo 
Firenze?  le  rampogne  cui  Firenze  non  poteva  sostenere?  Alla  fantasia  qui 
manca  la  possa  !  Del  resto  non  dice  il  Pastor  medesimo  a  pagina  124,  che  la 
fredda  indifferenza  de' Fiorentini,  non  che  intimidire  il  Savonarola,  infiamma- 
vaio  anzi  a  vie  più  francamente  sferzare  i  vizj  del  suo  tempo  ?  Se  voleva  che  ci 
credessimo,  il  Pastor  avrebbe  dovuto  darci  un  saggio  almeno  delle  intempe- 
ranze e  del  precipitoso  zelo  del  Savonarola  in  queste  prediche.  Che  se  esse 
prediche  non  esistono  più  e  non  furono  raccolte,  nè  pervennero  fino  a  noi,  o 
il  Pastor  non  le  conosce,  a  più  forte  ragione  doveva  andare  col  piombo  a'piedi 
a  usar  parole  contro  il  Frate  tanto  gravi  quanto  sono  quelle  che  usa;  a  più 
forte  ragione  doveva  studiare  e  pensarci  su  bene  prima  di  stampare  giudizj 
tanto  ingiuriosi. 

Il  concetto  che  hanno  a  questo  proposito  del  Frate  gli  storici  nostri  è 
diverso  da  quello  che  ci  dà  il  Pastor.  Il  Villari  trattando  quest'  argomento 
(a  pag.  74)  scrive:  «  Il  Savonarola  capì  subito  le  ragioni  di  tanta  freddezza.  Ve- 
deva quali  erano  gli  uomini  che  avevano  fortuna  in  Firenze,  e  con  quali  arti 
essi  richiamavano  l'attenzione  d'un  pubblico  che  della  fede  di  Cristo  voleva 
sentir  poco  parlare,  e  si  dilettava  solo  di  citazioni  pagane  e  di  frasi  eleganti,  e 
ancora  di  qualche  citazione  scettica  e  oscena.  »  —  E  a  pagina  31  ci  si  dicono  pure 
cose  molto  utili.  Ivi  si  vuole  spiegare  come  mai  al  Savonarola  i  suoi  concittadini 
facesser  poca  festa  e  poco  plauso  allorché,  l'anno  1481,  fu  mandato  a  predi- 
care in  Ferrara,  e  si  dice  che:  «  La  più  probabile  congettura  è  questa,  che  egli 
restò  fermo  nel  non  voler  seguire  la  via  tenuta  dagli  altri  predicatori,  i  quali 
si  perdevano  sui  loro  pergami  negl' interminabili  sofismi  della  scolastica  e  scen- 
devano a  bassezze  tali  di  linguaggio,  che  ai  nostri  giorni  sarebbero  permesse 
appena  nelle  bettole.  » 

Nè  dovele  dirmi  che  voi  avete  tolto  il  vostro  giudizio  dal  Villari  (pag.  72-73); 
perchè  ne  avete  troppo  rincarata  la  dose  e  non  è  più  quello,  nè  per  le  aggiunte, 


—  21  - 


iiè  per  le  soppressioni.  La  pag.  72-73  del  Villari  non  è  in  contradizione  colla 
pagina  31  ;  mentre  la  vostra  vi  contradice. 

Del  resto  chi  non  ha  letto  il  Burlamacchi?  !  Questo  Biografo  del  Frate 
non  accenna  punto  allo  zelo  impetuoso,  alio  inveire  contro  de'  vizj,  nè  alla  critica 
acerba,  esagerata,  spietata  che  il  Savonarola,  secondo  il  Pastor,  avrebbe  fatto 
delle  condizioni  immorali  e  dell'  eccessivo  studio  dell'antichità,  che  avrebbe  di- 
sgustato al  sommo  i  Fiorentini;  ma  si  contenta  di  scrivere  che  «  nel  principio 
del  suo  predicare  nè  voce,  nè  gesti,  nè  modo  alcuno  aveva,  che  fosse  convene- 
vole ed  accomodato  a  tale  esercizio,  di  sorte  che  non  aveva  grazia  alcuna,  nè 
piaceva  a  persona.  Onde  per  dono  particolare  di  Dio  diventò  poi  così  mirabile, 
e  stupendo  predicatore....»  (Vita  del  P.  F.  Girolamo;  Lucca,  1764,  pag.  12; 
vedi  anche  pag.  15.) 

Ma  questa  è  la  leggenda  domenicana!!  Sia,  se  vi  piace,  ma  se  volete  che 
noi  teniamo  per  vero  quanto  affermate  voi  in  contrario,  recateci  delle  buone 
.prove,  altrimenti  non  avrete  mai  alcun  diritto  al  nostro  assenso.  Finche  vi 
contentate  di  affermare,  crederemo  d'aver  il  diritto  di  starcene  con  chi  meglio 
ci  piace. 

Del  resto,  è  anche  leggenda  domenicana  ciò  che  il  Savonarola  disse  al  po- 
polo affollato  a  sentirlo  il  martedì  e  il  giovedì  dopo  la  terza  domenica  di  qua- 
resima 1496,  e  a  dì  15  agosto  dell'anno  stesso?  Vi  piace  udire  alcune  parole 
di  queste  prediche?  Eccovele:  <  Io  son  qua  per  difendere  questa  verità,  e  per 
Cristo,  e  non  son  qua  per  predicare  a  Firenze  sola,  ma  a  tutta  la  Italia.  Tu  sai, 
che  tu  mi  hai  conosciuto  per  i  tempi  passati;  e  sai  che  io  non  ero  atto  a  que- 
sta impresa,  che  non  avrei  saputo  muovere  una  gallina;  e  tuttavia  oggi  tu  vedi, 
che  per  questa  predica  tutta  l' Italia  e  ogni  cosa  è  commossa.... 

«  Quando  e'  ti  fu  cominciato  da  principio  a  essere  predicate  queste  cose 
senza  allegazioni,  tu  dicevi  :  Egli  è  un  uomo  grosso,  e  fa  per  semplicità,  e  sai 
•che  tu  venivi  a  casa,  e  dicevi:  —  Non  far,  Frate,  tu  t' inganni  per  troppa  sem- 
plicità. —  Poi,  quando  e'  son  cominciate  a  venire  le  cose,  tu  non  di' più:  —  Egli  è 
grosso  uomo;  —  ma  tu  di':  —  Egli  è  astuto.  —  Se  fusse  venuto  Giovanni  in  questo 
tempo,  e  Cristo,  tu  avresti  trovato  la  chiosa....  Io  ho  voluto  vedere  la  teologia 
e  ogni  cosa  per  intendere  la  Scrittura.... 

«  0  Firenze,  tu  hai  avuto  questo  dono,  che  tu  hai  udito  predicare  la  Scrit- 
tura Santa.  E  già  sei  anni  fa,  il  primo  dì  di  agosto,  mi  ricordo,  che  comin- 
ciandoti ad  esporre  l'Apocalissi,  molti  mi  dicevano:  —  Padre,  voi  non  ci  dite 
mai  nessuna  questione:  —  Ed  io  mi  voltavo  al  Signore  e  dicevo:  0  Signore,  sarà 
egli  mai  possibile  eh'  e'  si  spenga  questa  cosa  di  questo  desiderio  di  questioni, 
e  che  solamente  si  cerchi  il  lume  e  la  esposizione  della  Scrittura?  E'ti  è  stato 
concesso  adunque  questo  dono  da  Dio.  E  ti  è  stato  aperto  il  tempio  di  Dio  in 
cielo  ....  ecc.  » 

«  Io  non  mi  laudo,  perchè  non  sono  stato  io,  che  sono  un  vile  fraticello;  ma 
egli  è  stato  Dio.  Io  non  sapevo  far  nulla;  e  lo  sanno  tutti  coloro  che  mi  cono- 
scevano, ch'io  non  sapevo  pur  parlare;  ma  io  ti  dico,  che  è  stato  Cristo  ....  > 

Paiono  essi  persuasivi  questi  passi?  Potrete  pur  ridervi,  se  vi  piace, 


della  persuasione  che  il  Frate  mostra  d'  aver  Dio  con  sè,  d'esser  egli  stru- 
mento nelle  mani  di  Dio;  potrete  ridervi  di  questo  e  dileggiarlo;  ma  potete 
anche  mettere  seriamente  in  dubbio  ch'egli  esprimesse  ai  Fiorentini  le  ragioni 
vere,  per  le  quali  la  sua  voce  non  trovava  eco  in  Firenze  non  pure  1'  anno 
1481-82,  ma  anche  di  poi?  Per  me  è  prezioso  il  raccontino  riferito  da  molti, 
e  anche  dal  Villari  a  pag.  81:  Girolamo  Benivieni,  divenuto  fin  d'allora 
seguace  del  Savonarola,  gli  diceva:  —  «  Padre,  non  si  può  negare  che  la  vo- 
stra dottrina  sia  vera,  utile  e  necessaria;  ma  il  vostro  modo  di  parlare  manca 
di  grazia,  specialmente  essendovi  ogni  giorno  il  paragone  di  Fra  Mariano  ».  — 
Al  che  egli  rispose,  quasi  sdegnato:  «  Questa  eleganza  e  ornato  di  parole  do- 
vranno cedere  innanzi  alla  semplicità  del  predicare  sana  dottrina.  » 

Chi  cercasse  le  prediche  del  Frate  troverebbe  (lasciando  per  ora  le  pro- 
fezie delle  quali  dovremo  parlare  di  sotto)  che  le  cose  andarono  come  se- 
gue: A  principio,  coli' animo  pieno  di  ardore,  il  Frate  nostro  volle,  senza  alcun 
apparato  di  filosofia,  nè  di  retorica,  predicare  la  dottrina  di  Cristo  e  la  semplicità 
della  vita  cristiana.  —  Un  saggio  di  questa  maniera  di  predicare  l'abbiamo  nelle 
prediche  sulla  Ia  di  San  Giovanni.  —  Gli  uomini  spirituali  ed  umili,  che  avevano 
fame  del  verbo  di  Dio,  lo  sentivano  già  allora  volentieri.  Ma  essi  eran  pochi  : 
troppo  pochi,  a  paragone  degli  uomini  animali  e  superbi  educati  alla  filosofia 
di  Aristotele  e  di  Platone,  e  alle  sottili  questioni  de' dottori  parisiensi  (come  li 
chiama  il  Savonarola),  e  alla  grande  eloquenza  di  Demostene  e  di  Cicerone. 
I  così  fatti  sentivano  nausea  del  cibo  lievissimo  che  loro  tentava  d'imbandire 
il  Frate  domenicano;  ma  ne  chiedevano  uno  più  forte  e  sostanzioso,  meglio 
adatto  agli  stomachi  loro.  E  Girolamo  Savonarola  sapendo  con  San  Paolo, 
che  chi  predica  il  verbo  di  Dio  è  debitore  a  tutti,  mise  su  a  sostegno  della  fede 
e  della  vita  cristiana  le  ragioni  de'  filosofi  e  gli  argomenti  de'  teologi.  E  que- 
sto già  si  può  vedere  nelle  prediche  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus,  e  appare  in 
tutte  le  altre  che  vennero  poi  appresso.  Dopo,  alla  calata  di  Carlo  Vili,  quando 
furono  cacciati  i  Medici,  il  Frate  fu  costretto  a  entrare  nella  politica,  come  si 
può  vedere  nelle  prediche  sopra  Aggeo,  recitate  nei  mesi  di  novembre  e  di- 
cembre del  1494.  Ottenuta  la  pace  nella  città,  si  adoperò  per  renderla  vie  più 
cristiana  e  prepararla  a  fare  il  bene,  sopportare  il  male  e  così  perseverare  fino 
alla  morte:  si  adoprò  in  una  parola,  a  renderla  morale  in  sommo  grado.  A 
questo  mirano  le  prediche  del  95  sopra  Giobbe,  e  sopra  i  Salmi,  sebbene  quest'ul- 
time siano  anche  per  altro  Iato  da  accostarsi  a  quelle  sopra  Aggeo. 

Fin  qui,  sebbene  qua  e  là  sferzasse  vivacemente  di  tratto  in  tratto  i  corrotti 
costumi  e  lo  spirito  pagano,  il  suo  predicare  non  aveva  tuttavia  in  ciò  nulla  di 
troppo  acre  e  nemmeno  di  battagliero  o  di  polemico.  Ma  poi,  vedendo  che  gli 
Arrabbiati  ed  i  Palleschi,  i  tiepidi,  i  gran  maestri,  i  tiranni  accordati  insieme 
attraversavano  la  sua  riforma,  e  con  il  loro  esempio,  impedivano  che  il  popolo 
tornasse  sinceramente  alla  Croce  di  Cristo,  lasciando  le  vanità  nelle  quali  era 
immerso,  e  che  la  Chiesa  si  rinnovellasse  ricevendo  1'  abbondanza  dello  Spi- 
rito di  Dio,  s'infiammò  alquanto,  e  divorato  dallo  zelo  per  la  casa  del  Signore, 
levò  più  forte  la  voce  contro  gli  abusi  di  ogni  specie,  come  appare  nelle  pre- 


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diche  sopra  Amos,  sopra  Ruth  e  Michea,  sopra  Ezechiele;  e  divenne  terribile, 
quando  vide,  che  ad  ogni  costo  gli  avversarj  volevano  impedirgli  di  fare  il 
bene,  volevano  trarre  a  ruina  lui  e  la  libertà  di  Firenze,  e  guastare  ivi  un'altra 
volta  la  vigna  del  Signore,  ch'egli  s'era  affaticato  tanto  per  rassettare  un  poco. 

Tutto  questo  si  può  vedere  chiaramente  nelle  citate  prediche  sopra  Amos  e 
Zacharia,  sopra  Ruth  e  Michea,  e  in  quelle  sopra  l'Esodo.  Ma  in  ognuna  di  queste 
fasi  della  sua  predicazione  il  severo  Frate  ebbe  sempre  in  cima  de' suoi  pensieri, 
e  come  suo  principale  e  quasi  unico  fine  di  ricondurre  gli  uomini  per  mezzo 
del  ben  vivere,  a  Cristo  Crocifisso  via,  verità,  vita,  salvezza,  beatitudine  di 
tutti  gli  uomini. 

Si  ricerchino  i  volumi  di  tutte  queste  prediche,  e  delle  altre  ancora  che 
non  abbiam  ricordate,  e  apparirà  subito  che  assai  tortamente  è  stato  giudicato  il 
Savonarola  nei  suoi  primi  tentativi  oratori  dallo  storico  d'Innsbruck;  apparirà 
subito  che  questi  ha  troppo  insufficiente  conoscenza  della  predicazione  del 
Frate  domenicano,  che  pur  giudica  e  condanna  assai  severamente,  e  come 
avremo  anche  occasione  dì  mostrare  esaminando  più  innanzi  le  singole  pro- 
posizioni e  le  sentenze  che  gli  pronuncia  contro,  spesso  anche  gratuitamente. 

Intanto  ci  si  consenta  di  trascriver  qui  un  passo  veramente  aureo  e  che 
è  sufficiente,  anche  da  solo,  a  farci  conoscere  il  successivo  svolgimento  e 
progresso  della  predicazione  del  Frate  e  a  darci  come  una  sintesi  di  essa.  È 
tratto  dalla  predica  XLVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria.  I  lettori  troveranno  in  que- 
sto passo  una  splendida  dimostrazione  della  verità  della  fede  cristiana  e  della 
divinità  del  Crocifisso.  Li  prego  a  riflettere  che  il  Savonarola  non  ci  dà  qui 
queste  dimostrazioni  per  isfoggio  di  dottrina,  nè  per  abbozzare  quanto  scrisse 
poi  nelle  opere  del  Trionfo  della  Croce,  e  Della  Semplicità  della  Vita  Cristiana, 
ma  riepiloga  tutta  la  sua  predicazione  dalla  quaresima  del  1482  fino  all'ottava 
di  pasqua  del  1496. 

«  Io  stamattina  voglio  parlare  a  molta  gente;  voglio  ragionare  un  poco  que- 
sta mattina  con  esso  voi.  Voi  avete  fatto  orazione  ;  e  io  sono  inspirato  a  far 
fine  alle  nostre  predicazioni,  e  però  io  vi  voglio  fare  stamani  uno  epilogo 
delle  cose  che  io  vi  ho  predicato  in  fino  a  qui.  E  quantunque  io  abbia  pre- 
dicato lungo  tempo,  tuttavia  sono  state  poche  le  nostre  conclusioni,  e  tutte 
sono  state  dirette  a  un  fine;  cioè  d'insegnarvi  a  viver  bene;  e  però  ripetendo 
brevemente  le  nostre  conclusioni,  voglio  parlare  questa  mattina  a  molta  gente, 
e  a  diverse  persone. 

«  Tu  vedi  che  il  nostro  Salvatore  Gesù  Cristo,  nel  vangelo,  prima  apparse 
ai  discepoli,  i  quali  credettero  semplicemente,  di  poi  San  Tomaso  fu  1'  ultimo 
che  il  vedesse  perchè  non  credette  semplicemente,  ma  volse  palpare  la  fede 
con  le  mani.  Firenze,  io  credo,  che  tu  ti  ricordi  quando  io  incominciai  a  pre- 
dicarli già  parecchi  anni  sono;  cominciai  prima  semplicemente  senza  filosofia, 
e  tu  ti  lamentavi  che  io  predicavo  semplicemente,  tuttavia  quelle  predicazioni 
fecero  frutto  nelle  persone  semplici,  le  quali  bisognava  tirar  prima.  Ma  li  savj 
cominciarono  allora  ad  impugnare,  e  ebbi  dai  poeti  contradizione,  dagli  astro- 
logi, filosofi  e  sapienti  del  mondo,  i  quali  contradicevano  e  andavano  pungendo 


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e  davansi  a  intendere  che  il  nostro  predicare  così  semplicemente  fosse  per 
ignoranza;  non  dico  questo  per  lodarmi,  ma  perchè  così  credevano.  Di  poi  in- 
cominciai, predicando,  a  por  su  le  ragioni,  e  mostrarti  per  ragioni  naturali  e 
per  la  Scrittura  quello  che  io  dicevo,  e  ti  cominciai  a  predicare  della  fede,  e 
mostrartela  con  molte  ragioni;  e  allora  tu  toccasti  le  piaghe,  come  San  Tom- 
maso; e  con  questo  fondamento  sono  andato  poi  sempre  con  questi  savj  del 
mondo. 

«  E  perchè  tu  vuoi  andare  sempre  con  la  cognizione  dei  sensi  e  con  le  ra- 
gioni naturali  di  filosofia,  mi  son  sempre  ingegnato  di  poi  di  farti  toccare  con 
mano  che  la  filosofia  manca,  e  che  il  lume  naturale  non  basta  alla  salute,  ma 
che  il  fondamento  tuo  debba  esser  fede.  E  fra  le  altre  cose  nelle  quali  manca 
la  filosofia,  io  ti  ho  mostro  che  la  manca  in  principio  e  in  fine.  Dimanda 
uno  uomo  donde  viene  in  questo  mondo,  e  digli:  uomo  donde  vieni  tu?  noi 
sa.  E  non  possono  negare  i  filosofi  che  1'  uomo  non  habbia  in  sè  qualche  cosa 
che  sia  immortale,  la  quale  è  quest'  anima,  e  ognuno  la  confessa,  se  già  non 
fussi  qualche  grosso  uomo  ;  e  dicono  questi  filosofi  che  la  non  può  venire  per 
potenza  della  materia  e  non  sanno  trovare  la  causa  donde  la  venga,  ma  Ari- 
stotile che  non  sapeva  ancora  donde  la  venisse,  ne  parlò  così  in  confuso,  e 
disse  quod  deforis  venti.  Sicché  errano  o  mancano  i  filosofi  nel  principio 
dell'  uomo.  Mancano  ancora,  e  errano  nel  fine,  perchè,  vedendo  che  questa 
anima  è  immortale,  il  che  negar  non  possono,  non  seppono  trovare  dove 
ella  andasse  poi  che  si  partiva  dal  corpo;  e  benché  avessino  varie  opinioni 
non  le  provavano;  sì  che  mancava  la  filosofia  nel  principio  e  nella  fine.  Eppure 
l'ordine  dello  universo  costringe  tutti  gl'intelletti  grandi  a  dire  che  Iddio  ha 
providenza  di  questo  mondo,  e  bisogna  dire  che  avendo  Iddio  creato  questo 
universo,  e  governandolo,  che  può,  sa  e  vuole;  dunque  è  da  dire  che  n'abbia 
providenza.  Tutte  le  cause  naturali  hanno  providenza  de'  loro  effetti;  quanto 
adunque  maggiormente  Iddio  prima  causa  ha  providenza  delle  cose  che  Egli 
ha  fatte  ?  E  se  veggiamo  che  ha  providenza  di  tutte  le  cose  naturali  dell'  uni- 
verso, quanto  maggiormente  dobbiamo  dire  eh'  Egli  abbia  providenza  del- 
l'uomo, perchè  è  più  nobile  di  tutte  queste  altre  cose  naturali  ?  E  però  io  sono 
stato  forzato,  predicandoti,  a  metterti  innanzi  agli  occhi  questo  mondo  natura- 
le, e  mostrarti  che  Dio  ne  ha  providenza,  e  da  queste  cose  naturali  ti  ho  me- 
nato alle  cose  soprannaturali,  e  ti  ho  fatto  toccare  le  piaghe,  e  ti  ho  mostrato 
la  fede  di  Cristo  con  moltissime  ragioni. 

«  Ricordomi  già  che  io  ti  feci  un  trionfo,  e  sopra  quello  il  Crocifisso:  met- 
temmolo  in  mezzo  il  mondo,  e  intorno  al  carro  trionfale  misi  le  opere  sue,  e 
a  questo  modo  dalla  cognizione  di  questo  universo  naturale  ti  ho  condotto 
alla  considerazione  di  un  altro  universo.  Di  poi  ti  ho  mostrato  molti  effetti 
della  fede  di  Christo  e  della  vita  cristiana,  e  tra  gli  altri  tu  non  puoi  negare 
questo  effetto  :  cioè  la  vita  cristiana  essere  perfetta.  Tu  potresti  ben  proterva- 
mente negare  i  miracoli,  ma  tu  non  puoi  già  negare  la  vita  cristiana,  la  quale 
è  presente  negli  occhi  tuoi  ;  tu  non  puoi  trovarne,  nè  anche  immaginarne  una 
migliore.  Io  ti  ho  sempre  ancora  mostrato,  che  questa  vita  cristiana  non  è  cosa 


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naturale  e  non  è  secondo  la  specie  dell'  uomo  ;  perchè  se  ella  fosse  natu- 
rale a  questa  specie  umana,  seguiteria  che  tutti  gli  uomini  facessero  que- 
sta vita,  e  a  questo  modo  ogni  uomo  farebbe  bene.  Ancora  ti  ho  mostrato  che 
non  può  venire  questa  vita  cristiana  dalla  natura  dello  individuo,  perchè  se 
questo  fosse  vero,  l'uomo  non  avria  difficoltà  alcuna  a  far  bene;  ma  noi  veg- 
giamo  il  contrario,  che  l'uomo  ha  gran  difficultà  al  ben  vivere.  Parimente 
veggiamo  che  l'uomo  non  nasce  buono,  e  vediamo  che  i  cattivi  diventano 
buoni,  dunque  la  vita  cristiana  non  nasce  per  proprietà  dell'uomo.  Inoltre, 
non  viene  ancora  da  immaginazione,  perchè  la  immaginazione  di  uno  Cro- 
cifisso non  può  fare  sì  nobili  effetti,  se  non  vi  fosse  Iddio  ;  perchè  la  imma- 
ginazione dei  filosofi,  che  immaginarono  Iddio  e  la  prima  causa,  come  più 
nobile,  avria  fatto  più  nobile  effetto  ;  ma  noi  abbiamo  visto,  in  contrario,  che  i 
filosofi  non  sono  vissi  bene,  nè  si  sono  potuti  spiccare  dallo  amor  proprio; 
adunque  non  viene  il  viver  bene  da  immaginazione.  Non  può  essere  ancora  per 
influsso  del  cielo,  come  ti  ho  mostralo  più  volte;  perchè,  se  fosse  per  influsso, 
saria  cosa  naturale  peli' uomo  e  sariavi  inclinato,  ma  noi  veggiamo  il  contrario; 
adunque  non  viene  per  influsso  del  cielo.  Io  ti  ho  ancora  mostrato,  che  non 
può  venire  questa  vita,  e  questa  fede  da  creatura  alcuna  ;  perchè  ogni  effetto 
si  converte  naturalmente  alla  sua  causa,  adunque  l'uomo  si  convertirla  a 
quella  creatura  come  a  causa  sua;  ma  noi  vediamo  che  l'uomo  cristiano  non 
si  converte  se  non  a  Dio;  adunque  la  fede  non  viene  da  creatura  alcuna.  Ma 
noi  veggiamo  che  l'uomo  si  converte  a  questo  Crocifisso  come  a  causa  sua, 
e  veggiamo  che  questo  viene  da  Cristo,  e  dal  suo  amore;  ma  così  è  che  que- 
sto non  può  venire  dalla  carne  sola  e  dalla  croce,  ma  bisogna  che  venga  dalla 
Divinità,  dunque  bisogna  dire  che  questo  Crocifisso  è  Iddio. 

«  Fatto  questo  fondamento,  che  la  fede  di  Christo  sia  la  vera  fede,  io  vi  dicevo 
che  gli  era  lo  inferno  e  il  paradiso,  siccome  ci  ha  mostrato  questo  Crocifisso: 
e  ho  dimostrato  che  questa  vita  non  è  nulla,  e  che  si  deve  cercare  solamente 
Iddio  e  viver  bene,  e  fare  ogni  cosa  per  acquistare  di  là  il  Paradiso;  e  non 
debba  mai  bastare  all'uomo  di  avere  fatto  bene,  ma  deve  cercare  di  far  me- 
glio. Guarda  coloro  che  cercano  le  cose  terrene  :  se  hanno  acquistato  cento 
ducati,  se  ducento,  se  mille,  se  dieci  mila,  non  restano  qui,  ma  vanno  sempre 
più  su;  così  non  debbe,  nella  vita  cristiana,  uno  dire:  mi  basta  questo;  ma 
debbe  sempre  cercare  di  far  meglio  e  andare  più  innanzi,  per  avere  "il  Pa- 
radiso. 

Secondo;  perchè  questa  vita  cristiana  si  acquista  per  culto  interiore,  vi  ho 
detto  sempre  che  la  consiste  nell'amare  Iddio  per  sè;  e  benché  le  cerimonie 
ordinate  nella  Chiesa  siano  buone,  pure  se  non  sono  fatte  con  questo  culto 
interiore  non  valgono  nulla;  perchè  senza  questo  non  fanno  fruito  nell'anima 
di  colui  che  le  fa.  E  però  vi  dissi  che  dovendo  l'uomo  fare  ogni  cosa  per 
acquistare  quella  vita,  e  vedendo  che  le  cose  esteriori  danno  noia,  dovevi  vi- 
vere semplicemente,  e  non  vi  inviluppare  in  molte  cose.  Perchè,  per  esempio, 
quando  il  religioso  vuole  avere  bella  cella  e  parecchi  mantelli,  non  può  far  questo 
ed  acquistarli  se  non  con  fatica  ;  e  perciò  bisogna  che  vada  vagando:  e  come 


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tu  vai  vago,  perdi  l'orazione,  e  subito  sei  spacciato.  Però  vi  ho  io  detto  che  chi 
si  dà  alla  semplicità  non  va  vagando,  ma  sta  in  sè,  e  non  perde  la  orazione. 

«  Terzo  ;  per  inspirazione  divina  io  ti  ho  detto  le  cose  future  e  le  tri- 
bulazioni  che  hanno  a  venire,  e  per  questa  cagione  questa  voce  si  è  sparsa 
non  solo  in  Firenze,  ma  anche  in  tutta  Italia.  E  non  solamente  vi  ho  mostrato 
il  flagello  che  viene,  per  inspirazione  Divina,  ma  anche  ve  lo  ho  provato  con 
molte  ragioni,  e  non  solamente  per  lume  sopranaturale  ve  1'  ho  detto,  ma  col 
lume  naturale. 

«  Quarto  ;  io  vi  ho  mostrato  il  governo  nostro  quale  e  come  debbe  essere,  e 
dettovi  che  Iddio  lo  vuole  così.  Perchè  è  la  verità  che  Dio  ve  lo  ha  mandato 
lui  questo  modo  di  governo:  e  vi  ho  detto  che  chi  lo  guasterà  o  cercherà  di 
guastarlo,  guai  a  lui. 

«  Ultimo,  siamo  di  poi  venuti  confortando  ognuno  al  bene  vivere,  e  sonsi 
riformati  li  fanciulli,  ed  abbiamo  predicato,  che  ognuno  si  riformi,  e  predi- 
chiamo che  si  faccia  penitenza  in  tutto  il  mondo. 

«  Queste  sono  state  le  nostre  conclusioni,  le  quali  tenete  ben  a  mente,  ed 
ognuno  se  le  metta  nel  cuore,  e  le  osservi,  perchè  troverà  in  quelle  molto 
frutto....  Questa  è  stata  in  somma  la  nostra  dottrina.  »  (*) 


(')  Raccomandiamo  al  lettore  anche  il  seguito  della  Predica;  dove  il  Frate  parla  a  Dio, 
alla  ChifiSa  cattolica,  al  Papa;  parla  ai  prelati,  ai  sacerdoti  non  prelati,  ai  religiosi,  alle  mo- 
nache; parla  a  tutta  Italia,  ai  principi  e  capi  d'Italia,  ai  cattivi,  ai  buoni;  ai  cittadini  di 
Firenze,  a  Firenze;  parla  alle  donne,  ai  fanciulli,  ai  suoi  avversarj,  a  tutto  il  mondo...  In- 
somma compendia,  rispetto  a  tutti,  quanto  aveva  predicato  e  detto  da  principio  fino  a  quel 
giorno. 


IV. 


La  beneficenza  Cristiana  e  Girolamo  Savonarola. 


Sommario. 

Xostra  pena  che  il  Pastor  scrivesse  del  Saronarola  impreparato.  —  Il  Pastor  loda  e  biasima  incoscia- 
niente  le  cose  del  Savonarola.  —  11  Pastor  condannando  il  Savonarola  nocqne  al  suo  lavoro  anche 
dal  lato  dell'  arte.  —  Fu  importante  argomento.  —  Tesi  giusta  e  felicemente  sostennta  dal  Pastor.  — 
Del  buono  in  Italia  all'  età  del  risorgimento.  —  La  cura  do'  poveri.  —  Il  Savonarola  reclamava 
dal  Pastor  un  cenno  come  benefattore  de'  poveri.  —  Il  Savonarola  e  l'  Enciclica  di  Leone  XIII 
Sulla  questione  operaia.  —  Lavoro  e  patimei  t  >  condizione  dell'  umanità.  —  Dottrina  che  sarebbe 
piaciuta  al  Pastor.  —  L'  obbligo  del  lavoro.  —  Un'  accusa  insulsa  contro  Fra  Girolamo,  e  auto- 
difesa. —  Girolamo  Savonarola  vuol  che  lavorino  e  i  poveri  e  i  ricchi.  —  Le  parole  di  Amos  con- 
tro gli  oppressori  dei  poverelli.  —  Le  parole  di  Michea  contro  gli  spogliatori  dei  poveri.  —  Date 
il  superfluo  in  elemosina.  —  Il  quarto  libro  Della  semplicità  della  vita  cristiana.  —  I  poveri  in 
Firenze  nel  1495.  —  Lo  zelo  del  Savonarola  cresce,  e  trabocca  dalla  santa  anima  di  lui.  —  La 
semplicità  cristiana  e  i  poveri.  —  I  tesori  della  chiesa  e  la  legge  di  carità.  —  Conclusione  contro 
il  Pastor. 


A  noi  spiace  immensamente  che  il  Pastor  si  ponesse  a  scrivere  del  Sa- 
vonarola senza  averne  prima  studiato  debitamente  le  opere,  non  solo  perchè 
così  venne  egli  meno  ad  una  giusta  esigenza  della  buona  critica  e  pronunciò 
sentenze  prive  di  fondamento  e  di  autorità,  e  cadde  in  molte  inesattezze  e  in 
molti  errori;  ma  ancora  più  perchè  siamo  certi  che,  s'egli  avesse  letto  gli 
scritti  dell'insigne  Riformatore  Domenicano,  sarebbe  divenuto  un  ferventissimo 
piagnone  e  avrebbe  fatto  progredire  assai,  e  forse  anche  decidere,  secondo 
che  giustizia  vuole,  la  santa  causa  del  Frate  di  San  Marco.  Diciamo  questo 
perchè  il  Pastor,  quando  la  passione  non  Io  move  a  dir  male  del  nostro  Mae- 
stro, loda  e  condanna  in  altri,  quanto  da  quello,  senza  ch'egli  lo  sappia,  fu 
lodato  e  condannato  ;  e  a  volte  lo  fa  nella  stessa  forma  e  quasi  cogli  stessi 
colori  di  Fra  Girolamo.  Sarebbe  un  lavoro  che  potrebbe  dar  frutti  copiosi 
quello  di  mostrare  come  nel  Savonarola  per  un  lato  si  trova  tutto  il  bene  che 


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il  Pastor  ammira  nell'  Italia  all'epoca  del  rinascimento,  e  vi  si  trova  come  in 
casa  propria;  e  per  l'altro  lato  nulla  vi  si  legge  e  v'è  del  male  che  l'insigne 
storico  in  tale  epoca  scorge  e  condanna.  Da  si  fatto  lavoro  apparirebbe  chiaro 
che,  oltreché  alla  verità  storica,  l'illustre  prof.  d'Innsbruk  ha  nociuto  all'opera 
sua  anche  dal  rispetto  dell'arte,  scrivendo  senza  preparazione  del  nostro  Frate 
e  biasimandolo  dove  aveva  da  lodarlo.  Vi  sarà  alcuno  che  voglia  intraprendere 
questo  studio?  A  noi  quasi  duole  di  non  poterlo  qui  fare,  come  sarebbe  no- 
stro desiderio:  e,  sebbene  non  sia  forse  del  tutto  a  proprio  luogo,  non  sappiamo 
però  passarcene  intieramente. 

Ci  fermeremo  su  questo,  quando  più  innanzi  piglieremo  in  esame  spe- 
ciale alcune  affermazioni  e  alcuni  giudizj  del  grande  Storico  tedesco  contro  il 
Riformatore  fiorentino;  e  ora  chiediamo  che  ci  sia  consentito  di  dire  qualche 
cosa,  quasi  come  un  saggio,  di  questo  importantissimo  argomento,  scegliendo 
a  preferenza  quei  punti,  sopra  i  quali  il  lavoro  successivo  non  ci  offrirà  più 
l'occasione  di  tornare  agevolmente  e  di  soffermarci  di  proposito:  per  la  parte 
del  bene,  la  beneficenza  cristiana,  il  sacramento  della  confessione  e  quello  della 
comunione,  la  Vergine  Maria;  per  la  parte  del  male,  l'astrologia,  e  la  mancanza 
di  spirito  ne'  predicatori. 

Incominciamo  senz'altro  a  dire  della  beneficenza  cristiana. 
11  Pastor  nell'introduzione  del  suo  libro,  dopo  poche  pagine,  contro  i 
molti  che  nell'epoca  del  risorgimento  non  veggono  altro  che  male,  s'indugia, 
con  molto  buon  criterio,  a  mostrare  il  bene,  che  in  quell'età  pur  regnava 
presso  gl'italiani;  e  par  che  non  dubiti  di  sostenere,  facendola  sua,  la  tesi 
dell'Amari,  che  «  presso  gl'italiani  le  cose  a  mezzo  non  attecchiscono,  vuoi  nel 
bene,  vuoi  nel  male,  il  bene  tuttavia  prepondera.  »  E  a  noi  pare  che  sostenga 
una  proposizione  buona  e  la  sostenga  egregiamente.  Ma  ci  piace  notare  che 
l'illustre  uomo  avrebbe  potuto  vedere,  e  forse  anche  dovuto,  nel  Savonarola 
il  personaggio,  che  accoglieva  in  sè  in  modo  veramente  maraviglioso,  tutto  il 
bene  dell'età  che  egli  studia,  senza  che  si  possa  attribuirgli  male  veruno. 

Una  delle  cose  belle  e  care  e  buone  che  il  Pastor  incontra  nel  medio  evo 
e  nell'  epoca  del  risorgimento,  nella  nostra  Italia,  si  è  la  cura  che  s'aveva  dei 
bisognosi.  Ammira  il  prof,  tedesco  la  beneficienza  cristiana  nell'eterna  città, 
e  soggiunge  che  non  meno  fiorente  era  quella  nelle  città  minori.  Quello  che 
in  tale  riguardo  è  venuto  a  sapersi,  conclude,  fa  veramente  stupore!  (pag.  41 
e  seguenti). 

Né  certo  s'inganna,  nè  dice  troppo.  Ma  perchè  non  vide  in  Girolamo  Sa- 
vonarola uno  dei  più  amorosi  padri  dei  poveri?  uno  dei  più  zelanti  provvedi- 
tori degl'indigenti?  Studiando  nelle  Opere  del  Savonarola,  il  Pastor  si  sarebbe 
incontrato  in  pagine  stupende  davvero  a  questo  riguardo,  e  son  certo  che  ne 
avrebbe  trascritte  non  poche.  I  poveri  e  Girolamo  Savonarola,  sarebbe  un  tema 
assai  bello  e  assai  edificante  ed  istruttivo.  Esso  svolto  a  dovere,  mostrerebbe 
ai  socialisti  moderni  un  lato  dei  più  santi  nel  Frate  di  San  Marco,  e  ai  catto- 
lici mostrerebbe  un  esempio  di  cristiano  da  citare  per  conferma  della  mira- 
bile enciclica  di  Leone  XIII  Sulla  questione  operaia.  Chi  studiasse  quest'argo- 


mento  troverebbe  die  Frate  Girolamo,  come  il  nostro  Pontefice,  ripone  il  vero 
e  radicale  rimedio  della  questione  sociale  (forse  allora  tra  noi  non  molto  meno 
grave  che  oggi)  nella  religione  e  nella  vita  cristiana;  e  conforta  il  governo  a 
provvedervi  con  buone  leggi  e  savj  provvedimenti;  predica  anche  a  questo  ri- 
guardo i  loro  doveri  ai  capitalisti  e  ai  padroni:  non  si  stanca  mai  d'inculcare  a 
tutte  le  classi  della  società  le  massime  del  Vangelo;  si  impiega  tutto  per  la  sal- 
vezza del  popolo,  alimenta  in  sè  e  accresce  negli  altri,  nei  grandi  e  nei  piccoli, 
la  carità,  signora  e  regina  di  tutte  le  virtù;  ben  conoscendo  che  la  desiderata 
salvezza  doveva  essere  principalmente  frutto  di  una  grande  effusione  di  carità, 
di  quella  carità  cristiana  che  compendia  in  sè  tutto  il  Vangelo  e  che  è  pronta 
sempre  a  sacrificarsi  per  il  popolo:  la  carità  che  è  longanime,  benigna,  che  non 
cerca  il  fatto  suo;  tutto  soffre,  tutto  sostiene  {Enciclica,  p.  54.)  Tutte  le  verità, 
tutti  i  principj,  che  Leone  XIII  bandisce  e  ripropone  ai  popoli  ed  agli  stati 
nella  sua  Enciclica  Sulla  questione  operaia,  avrebbe  il  Pastor  potuto  trovarli 
predicati  tutti,  con  molto  zelo,  dal  Frate  di  San  Marco.  Teniamoci  ad  alcuni, 
che  meglio  si  legano  all'argomento  presente. 

Il  primo  e  più  vero  benefizio  che  si  possa  fare  al  povero  e  all'operaio  si 
è  quello  di  persuaderlo  a  sopportare  la  condizione  propria  dell'umanità:  e  la 
condizione  dell'umanità  si  è  di  mangiare  il  pane  col  sudore  della  sua  fronte, 
lavorare  e  patire.  «  Patire,  dice  Leone  XIII,  e  sopportare  è  'il  retaggio  del- 
l'uomo.  »  E  Girolamo  Savonarola  aveva  fatto  suo  e  ripeteva  continuamente 
il  molto,  che  proprio  del  cristiano  si  è  il  patire  forti  cose  e  operare  rettamente: 
fare  il  bene  e  sopportare  il  male,  e  così  perseverare  fino  alla  morte;  e  ripeteva 
sovente  che  non  solo  dobbiamo  accogliere  di  buon  animo  e  sostenere  volen- 
tieri le  pene  mandateci  da  Dio,  ma  desiderare  noi  spontaneamente  di  patire 
e  studiarci  perchè  ci  riesca  di  compiacerci  e  gloriarci  nelle  tabulazioni  e  nelle 
avversità  d'ogni  maniera,  tenendo  per  fermo  che  il  vero  cristiano  è  solo  colui 
che  pone  la  sua  gloria  nella  passione  di  Cristo,  ed  uniforma  la  sua  vita  alla 
vita  di  Cristo,  e  si  rende  simile  al  Crocifisso,  l'uomo  dei  dolori.  Questa  per  il 
Savonarola,  è  l'essenza  della  vita  Cristiana,  questo  ci  ha  da  condurre  alla  co- 
rona della  gloria,  e  al  trionfo  in  Cielo.  (Vedi  le  prediche  IX  e  XVIII  sopra  il 
Salmo  Quam  Bonus  e  più  altre.) 

Quanto  non  doveva  piacere  al  Pastor  incontrarsi  in  questa  sublime  dot- 
trina allorché  andava  in  cerca  del  bene,  fra  il  guasto  degli  umanisti,  nell'epoca 
del  rinascimento?  e  quanto  non  sarebbe  essa  profìcua  predicata  con  l'ardore 
del  Savonarola,  nelle  classi  sociali  d'oggi,  tormentate  da  sfrenata  brama  di 
superbia  e  di  piacere  non  meno  forse  più  di  quelle  del  secolo  XV?  Prestereb- 
bero quando  fossero  resi  persuasi  di  questa  verità,  presterebbero  ancora  i  po- 
veri operai  facile  l'orecchio  a  coloro  che  dicono  di  poter  levar  via  affatto  le 
sofferenze  dal  mondo,  e  promettono  alle  misere  plebi  una  vita  scevra  di  dolori 
e  di  pene  e  tutta  pace  e  diletto?  E  costoro  illuderebbero  ancora  il  popolo  e  lo 
trascinerebbero  ancora  per  una  via  che  riesce  a  dolori  più  grandi  dei  pre- 
senti? Son  molte  e  belle  e  care  nel  Savonarola  le  pagine  nelle  quali  racco- 
manda ai  poveri  di  pregare  e  di  fidare  in  Dio,  che  non  verrà  mai  loro  meno, 


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come  appunto  raccomanda  Leone  XIII:  «  0  poveri,  venite  qua;  io  vi  aiuto:  Dio 
fa  il  giusto  e  non  altro.  Io  vi  dico  che  facciate  bene,  e  se  farete  bene,  non  ab- 
biate paura  di  morire  di  fame,  perchè  Dio  vi  provvederà,  se  sarete  buoni.  » 
(Sopra  Ruth  e  Michea,  pred.  XXV.) 

Quanto  all'obbligo  del  lavoro,  Fra  Girolamo  si  potrebbe  chiamare  un  vero 
apostolo  in  questo  campo.  Lascio  che  per  poter  più  liberamente  predicare  il 
Verbo  di  Dio  volle  che  nella  sua  Religione  si  facessero  opere  manuali,  anche 
per  ricavarne  il  sostentamento  necessario  alla  vita,  e  mi  attengo  strettamente 
al  popolo  per  non  uscir  di  questione,  o  divenir  troppo  lungo. 

Fra  le  innumerevoli  accuse  che  furono  mosse  al  Frate  dai  suoi  avversari, 
veramente  vi  fu  anche  quella,  che  egli  col  suo  continuo  predicare  gli  immi- 
nenti pericoli  e  flagelli,  distogliesse  il  popolo  dal  lavoro;  ma  essa  tra  le  accuse 
è  una  delle  più  ingiuste  ed  insulse,  ed  egli  seppe  ben  purgarsene.  Sentiamo  lui 
senz'altro:  «  Vien  qua,  tu  che  di' eh' io  son  quello  che  non  voglio  che  si  lavori, 
e  che  io  smarrisco  il  popolo:  fatti  innanzi,  va,  vedi  un  poco  chi  son  quelli  che  la- 
vorano, e  vedrai  che  sono,  la  maggior  parte  di  quelli  che  credono  questa  verità. 
Tu  se' andato  a  dirlo  insino  a' predicatori,  ch'io  sono  quello,  che  smarrisco  il 
popolo,  e  che  io  non  lascio  lavorare.  Tu  non  hai  udito  bene:  io  l'ho  predicato 
qua  in  pubblico,  e  anche  in  particolare,  e  in  privato  confortatone  molti  a  la- 
vorare: va,  vedi  pur,  come  l'ho  detto,  chi  son  quelli,  che  lavorano.  Popolo  po- 
vero! tu  se'ingannato  da  costoro;  perchè  io  son  quello  che  ho  fatto  lavorare  ;  e 
se  non  fossi  stato  io,  molti  non  avriano  lavorato,  che  lavorano  in  questo  tempo- 
rale forte,  perchè  veggono  che  ogni  cosa  sta  sospeso.  »  (Sopra  Amos,  XIX.)  — 
<  0  Frate,  tu  smarrisci  troppo  la  brigata;  tu  se'  quel  che  non  lasci  lavorare! 
—  Vien  qua,  dimmi  un  poco,  lavori  tu?  —  No,  perchè  tu  mi  hai  smarrito.  — 
Fatti  innanzi  un  poco:  o  tu  mi  credi,  o  no;  se  tu  non  mi  credi,  e  di'  che  io  non 
dico  il  vero,  adunque  tu  non  credi,  che  queste  tribulazioni  abbiano  a  venire; 
perchè  adunque  non  lavori  tu?  Se  tu  mi  credi,  ed  io  dico  che  tu  lavori,  adunque 
dovresti  lavorare.  —  Ben,  Frate,  io  ti  credo;  ma  tu  hai  detto  ancora  quest'al- 
tra parte,  che  egli  ha  da  venire  tanta  tribulazione,  ed  baimi  smarrito.  —  E  se 
ho  detto  cotesta  parte,  io  ho  detto  anche  quest'altra:  che  tu  lavori.  E  se  tu 
credi  cotesta,  perchè  non  credi  tu  ancora  quest'altra?  Ed  anche  io  t'ho  detto, 
che  Firenze,  se  farà  bene,  sarà  manco  tributata;  e  quanto  meglio  farà,  tanto 
manco  tribulazione  avrà.  Vien  qua,  se  queste  tribulazioni  hanno  ad  essere;  o 
tu  hai  a  morire,  o  no.  Se  tu  hai  a  morire,  che  vuoi  tu  fare  di  tanta  roba?  tu 
puoi  adunque  lavorare.  Se  tu  non  hai  a  morire,  e'  ti  avanzerà  roba,  perchè 
ne  resterà  tanta,  che  ne  avrà  ognuno;  puoi  adunque  lavorare.  Andate  a  ve- 
dere, o  poverelli,  chi  son  quelli  che  lavorano:  scriveteli  tutti;  non  credete  a 
costoro;  cercate  bene,  e  vedrete,  che  quelli  che  lavorano  sono  quasi  tutti  quelli 
che  credono  e  che  sono  stati  da  me  persuasi  a  lavorare.  »  (Sopra  Amos, 
XXI  conf.  la  XXV  sopra  Ruth  e  Michea...  ed  altre  molte  prediche.) 

Il  grande  economo  del  nostro  Frate,  così  scioccamente  accusato,  era  tanto 
persuaso  della  necessità  del  lavoro,  che  raccomandava  senza  posa  ai  ricchi  di 
far  lavorare  i  poveri,  credendo  questo  il  miglior  modo  di  far  elemosina.  Nella 


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predica  X  sopra  Amos,  dopo  di  aver  annunziato  i  flagelli,  che  mirava  sopra- 
stare all'  Italia,  soggiungeva  :  «  Io  non  dico  questo  per  farti  smarrire,  nè  per- 
chè tu  non  faccia  lavorare  e  non  faccia  del  bene  ai  poveri;  anzi  li  dico  che 
faccia  lavorare  ognuno  che  può;  date,  dico,  da  lavorare  ai  poveri,  e  sperate  in 
Dio,  che  vi  aiuterà;  perchè  questa  cosa  è  buona  a  sostentare  i  poveri,  e  non  è 
la  migliore  elemosina,  che  questa,  cioè  far  lavorare  ai  poveri,  e  pagarli  della 
fatica  delle  mani  loro,  perchè  tu  dai  la  elemosina  e  non  lasci  diventare  pol- 
troni quelli  che  andrebbero  accattando.  »  E  nella  XVII  ripeteva  ancora  :  «  Voi 
cittadini,  fate  lavorare  l'arti  vostre,  perchè  questa  è  la  migliore  elemosina,  che 
possiate  fare,  e  non  abbiate  paura,  perchè  Dio  vi  aprirà  la  via  che  non  abbiate 
a  perdere.  » 

Nè  Fra  Girolamo  voleva  che  lavorassero  solo  i  poveri,  ma  tutti,  di  qualun- 
que condizione  fossero;  e  pronunciava  parole  terribili  contro  i  ricchi  che  non 
lavoravano  :  «  Costoro  non  sono  partecipi  delle  fatiche  degli  altri.  A'  poveri 
tocca  solamente  la  fatica;  imperocché  i  principi  e  signori  di  questo  mondo 
hanno  il  salario  dal  popolo,  hanno  l'entrate  e  le  gabelle,  e  poi  non  fanno  l'uf- 
ficio loro;  non  si  affaticano  per  i  loro  sudditi,  non  li  difendono  come  son  te- 
nuti; ma  se  fatica  alcuna  durano,  lo  fanno  per  loro  utilità,  e  non  per  far  bene 
a' loro  sudditi.  Loro  attendono  continuamente  a' piaceri  sensuali,  a  giostrare  e 
far  feste.  Similmente  i  vescovi  e  prelati  e  gli  altri  chierici  beneficiati.  Costoro 
non  sono  partecipi  delle  fatiche  degli  altri;  non  si  affaticano  niente....;  e  sono 
ricchi  in  fondi,  e  godono;  e  i  sudditi  loro  si  muoiono  di  fame,  e  tuttodì  durano 
fatica  per  sostentarsi.  »  (Sopra  il  Salmo  Quam  Bonus,  pred.  II.) 

E  con  il  lavoro,  va  da  sè,  il  nostro  Frate  imponeva  che  si  desse  ai  lavo- 
ranti la  giusta  mercede.  Leone  XIII  grida  ai  capitalisti  e  ai  padroni,  che  nè  le 
divine,  nè  le  umane  leggi  permettono  opprimere  per  utile  proprio  i  bisognosi  e 
gl'infelici,  e  trafficare  sulla  miseria  del  prossimo;  e  soggiunge  che  defraudare 
poi  la  dovuta  mercede  è  colpa  enorme  che  grida  vendetta  al  cospetto  di  Dio  ; 
e  conchiude  che  si  dia  all'operaio  quanto  gli  spetta,  e  vuole,  con  giustizia  san- 
tissima, che  il  salario  sia  sufficiente  al  sostentamento  della  vita  dell'  operaio 
onesto  e  frugale.  (Encicl.  pag.  21,  40.)  Ora  lo  stesso  faceva  il  nostro  santo 
Riformatore:  <  Dite  voi,  poveri,  a  questi  tali  ricchi  che  vi  danno  ad  intendere, 
che  il  Frate  spaventa  la  brigata,  e  che  però  non  si  lavora,  che  comincino  a 
dare  ai  poveri  il  mal  tolto  incerto  che  hanno.  »  (Sopra  Ruth  e  Michea.)  «  Po- 
veri, non  vi  lasciate  levare  a  cavallo  da  costoro:  se  non  fosse  la  predica  e  le 
esortazioni  eh'  io  ho  fatte,  e  fatte  fare  ai  privati,  tu  saresti  morto  di  fame. 
Quando  e'  ti  dicono  costoro  che  non  vogliono  lavorare,  che  non  si  può  lavorare, 
di'  loro  :  —  Dateci  almanco  della  roba  vostra,  da  poi  che  non  si  lavora.  —  Diman- 
dane i  cittadini  che  lavorano,  se  io  ho  detto  loro  che  liberamente  vadano  a  la- 
vorare, e  sustentino  i  poveri;  e  se  bene  perdessero  qualche  cosa  in  questo 
tempo,  che  lo  facciano  per  amor  di  Dio:  perchè  riceveranno  poi  il  centuplo. 
Udite  adunque  quello  che  dice  Amos  (cap.  VIII)  contro  quelli  che  opprimono 
i  poverelli  :  Udite  voi,  o  potenti,  che  oppressate  i  poveri,  e  togliete  loro  le  pos- 
sessioni e  le  case  e  le  vesti,  e  rubate  le  vedove  e  bevete  il  sangue  de' pupilli. 


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«  Udite  voi,  che  oppressate  i  poveri;  tu  lasci  marcire  il  grano,  e  di':  0 
quando  verrà  il  tempo  ch'io  lo  possa  vendere  assai?  Costoro  non  vogliono 
vendere  del  grano,  e  dicono  a'  poveri:  —  Se  noi  governassimo  noi,  noi  prove- 
deremmo  a  ogni  cosa.  —  Io  ti  dico  che  ti  terrebbero  per  schiavo,  e  farebbero 
peggio  che  prima;  credilo  a  me.  Dicono  ancora:  Quando  verrà  quel  tempo  che 
vendiamo  a  nostro  modo,  e  che  guastiamo  le  misure,  e  cresciamo  i  denari? 
Vorrebbero  le  misure  piccole,  e  danari  assai,  e  dicono:  Quando  passerà  il  sab- 
bato?  cioè  la  festa,  che  s'  intende  per  il  sabbato.  Non  vorrebbero  mai  che  fosse 
festa,  per  poter  guadagnare.  Fanno  ancora  le  stadere  false,  come  fanno  qual- 
che volta  i  beccai,  e  gli  speziali,  che  hanno  le  bilance  false.  Parimente,  dicono 
costoro:  E  ci  farem  padroni  dei  miserabili  col  denaro  dei  poveri,  e  con  un  paio 
di  scarpe;  cioè  e' bisognerà,  che  i  poveri  vengano  dietro  a  noi,  e  ch'egli  ci 
sieno  sottoposti.  Costoro,  quando  hanno  un  povero  che  gli  lavora  in  casa,  e'gli 
tengono  i  denari,  e  dicono:  dagli  un  paio  di  scarpette.  E  se  dice:  io  vorrei 
danari,  e'gli  rispondono:  tu  se' di  casa,  ti  farò  del  bene,  non  aver  paura.  Ven- 
dono ancora  certo  frumento  guasto,  forato,  pieno  di  ogni  miscuglio,  di  paglia  e 
di  polvere.  Udite  adunque  voi,  che  oppressate  i  poverelli,  quello  che  Dio  ha 
giurato  contro  di  voi:  Ha  giurato  Dio  per  il  sacramento  delia  sua  divinità,  e 
detto:  Io  giuro,  se  io  me  le  dimentico  mai  sino  alla  fine  queste  opere  di  questi 
cattivi;  cioè  insino  che  io  li  avrò  cacciati  nello  inferno.»  (Sopra  Amos,  Fred. 
XXVI.  conf.  Pastor,  pag.  73  e  seg.) 

E  nella  XII  sopra  Piuth  e  Michea,  esponendo  il  capo  III  di  quest'  ultimo 
profeta,  ribatte  ancora  il  medesimo  chiodo  e  lo  ribatte  assai  fortemente:  «Fot 
togliete  la  pelle,  cioè  le  vesti,  violentemente  da  dosso  i  poteri.  Di  questo  voi  ve 
ne  dilettate,  ma  di  fare  qualche  bene  no.  Voi  vi  dilettate  di  fare  qualche  cosa 
che  il  povero  sia  pignorato,  e  di  tórli  le  veste,  e  bisogna  che  il  povero  uomo 
sia  quello  che  paghi.  Lascio  qui  molle  cose  che  si  potrebbono  dire  della  Italia, 
la  quale  è  piena  di  questo  vizio,  e  i  tuoi  ufficiali  ne  sono  ancora  pieni.  E  le- 
vate la  carne  loro  d' in  sù  le  ossa  de' poveri.  Sai  tu  che  vuol  dire  levare  la 
carne?  Vuol  dire  il  grano,  che  tu  tieni  nascoso,  e  che  i  poveri  uomini  ne  man- 
gino, e  metti  la  carestia:  e  questo  è  tórli  la  carne  d'  insù  l'  ossa.  Tu  di'  loro: 
Facciamo  parlamento  e  siate  con  esso  noi,  e  avrete  del  grano.  Or  pensa,  po- 
polo mio,  quello  che  costoro  farebbono  se  ti  potessero  tiranneggiare,  quando 
adesso,  stando  così  eglino,  hanno  tanta  superbia;  e'  ti  farebbero  peggio  assai 
che  non  facevano  quelli  primi.  Dice  il  Signore:  Costoro  mangiano  la  carne  del 
popolo  mio.  Questo  vuol  dire  che  costoro  fanno  fare  a'  poveri  uomini  le  vesti 
e  V  altre  cose,  e  poi  non  gli  pagano,  ma  dicono:  Tu  se'  amico  mio,  io  ti  risto- 
rerò. E  a  questo  modo  i  poveri  uomini  non  possono  sostentare  i  loro  figliuoli 
e  la  loro  famiglia,  e  però  costoro  per  questa  via  si  mangiano  la  carne  del  po- 
polo. E  gli  scorticano  la  pelle,  cioè:  Non  gli  è  bastato  a  costoro  mangiare  della 
carne  de'  poveri,  che  ancora  hanno  scorticatagli  la  pelle,  cioè  non  solamente  che 
non  gli  abbiano  pagati  della  fatica  loro,  ma  gli  hanno  tolto  l'avviamento  ed  hanno 
serrato,  che  i  poveri  non  possono  sustentarsi,  e  vanno  scorticando  a  questo  modo 
al  povero  la  pelle,  e  lui  bisogna  che  dica  :  Io  non  voglio  perdere  questo  amico, 


—  33  — 


che  mi  dà  pur  qualche  guadagno.  E  bisogna  che  gli  dia  la  roba  e  la  fatica  sua 
per  quello  che  gli  piace,  e  così  hanno  scorticato  la  pelle  dei  poveri  uomini.  E 
gli  trebbiano  le  ossa,  e  io  fanno  in  pezzi  come  le  carni  da  mettersi  nella  caldaia. 
Hanno  costoro,  dice  il  Signore,  spezzate  e  concise  le  ossa  de'  poveri  uo- 
mini. L'ossa  significano  un  poco  di  sustentamento  di  vita  che  si  guadagnavano, 
è  costoro  per  fas  o  per  nefas  glielo  hanno  tolto.  Alla  vedova  le  cavano  le  ossa, 
che  le  tolgono  una  povera  casa  o  un  campo  che  ella  aveva,  donde  cavava  il 
sustentamento  della  sua  vita.  Se  il  ricco  falla,  e' non  è  punito:  ma  se  il  pove- 
rello fa  un  minimo  fallo,  egli  è  spacciato.  Dice  il  savio  nello  Ecclesiastico:  Il 
ricco  parla,  e  tutti  stati  cheti,  e  innalzano  fino  alle  nuvole  le  sue  parole.  Parla  il 
povero,  e  quelli  dicono:  chi  è  costui?  e  se  inciampa  lo  getteranno  per  terra.  I  po- 
veri sono  quelli  che  sono  castigati,  e  portano  la  pena  per  gli  altri,  ma  a'  ricchi 
non  è  dato  nulla.  Io  mi  voglio  ridere,  come  faceva  Socrate  quando  vedeva  an- 
dare alla  giustizia  un  povero  e  diceva:  I  ladri  grandi  appiccano  i  piccoli.  Così  dico  io 
di  costoro,  che  rubano  i  poverelli,  e  fannosi  grandi  tesori,  e  poi  puniscono  chi 
ha  spulato  in  chiesa,  e  mandano  alla  giustizia  colui  che  ha  fatto  un  minimo 
peccato,  e  mettono  i  poveri  uomini  come  carne  in  mezzo  la  pentola.  Questo  vuol 
dire  che  gli  mettono  nel  mezzo  delle  tribulazioni,  ed  ogni  affanno  che  possono 
darli,  o  di  roba,  o  di  figliuoli,  o  d'altro,  tutti  glie  li  danno.» 

Ma  pur  troppo  non  sempre  basta  al  povero  che  i  ricchi  siano  pronti  a  dar 
loro  lavoro  e  pagare  la  giusta  mercede;  il  ricco  ha  da  donar  liberalmente  al 
povero,  e  liberalmente  soccorrerlo  in  tutte  le  necessità  della  vita.  Soddisfatto 
alla  necessità  e  alla  convenienza,  soccorrere  col  superfluo  i  bisognosi  è  dovere. 
«  Chiunque  ha  ricevuto  dalla  munificenza  di  Dio  copia  maggiore  di  beni  sia 
esteriori  e  corporali,  sia  spirituali,  a  questo  fine  li  ha  ricevuti  di  servirsene  al 
perfezionamento  proprio  e  nel  medesimo  tempo,  come  ministro  della  divina 
provvidenza,  a  vantaggio  altrui.  »  (Leone  XIII,  Enciclica  sulla  questione  operaia, 
pag.  24,  25.)  —  Quello  che  sopravanza  date  ai  poveri.  —  Questo  vero,  tanto 
inculcato  da  Cristo,  è  ripetuto  ogni  piè  sospinto  dal  Savonarola,  come  sono 
da  lui,  nel  modo  stesso  che  fa  il  nostro  Pontefice,  ricordati  a'  ricchi  i  pericoli 
che  corrono  per  le  richezze  che  hanno  ricevute  e  posseggono.  Bisognerebbe 
formare  un  volume,  se  si  volesse  raccogliere  anche  i  soli  principali  luoghi 
ne' quali  il  Frale  espone  questo  vero  a' Fiorentini.  Basti  il  notare  che  nell'aurea 
sua  opera  della  Semplicità  della  vita  cristiana  dedica  tutto  il  libro  IV  a  trattare: 
«  Del  rimovere  da  se  il  superfluo  e  darlo  a' poveri.  »  Legga  il  Pastor  le  otto  con- 
clusioni di  questo  libro  e  vedrà  eh'  era  semplicemente  giustizia  e  buona  arte, 
parlando  della  beneficenza  cristiana  e  della  cura  de'  poveri,  dedicare  un  pagina 

0  almeno  un  periodo  a  Fra  Girolamo  Savonarola. 

Noi,  lasciando  qui  da  parte  quest'aureo  libro,  e  le  molte  prediche  analo- 
ghe del  Savonarola,  staremo  contenti  a  poche  cose,  ma  sufficienti  all' uopo.  E 
prima  trascrivendo  dall'  Aquarone  ciò  che  egli  raccoglie  dal  Nardi,  daremo 
un  cenno  delle  condizioni,  a  questo  riguardo,  di  Firenze  nel  1495-96.  «  Per 

1  tanti  e  diversi  casi  avvenuti  nel  1491-95,  sebbene  il  Frate  insistesse 
continuamente  che  si  lavorasse,  tuttavia  nelle  campagne  era  stata  negletta 

3 


—  34  — 


la  coltivazione,  e  mancava  il  lavoro,  nè  solo  in  Firenze  era  grande  miseria, 
ma  anche,  e  maggiormente,  nelle  terre  circostanti.  Erano  quelle  tristissime 
condizioni.  E  allora  usandosi,  in  tempo  di  carestia,  cacciare  i  poveri  dal 
paese  in  cui  si  trovassero,  e  dove  non  fosser  nati,  molti  braccianti,  sta- 
bilitisi per  lavorare  fuori  della  parrocchia,  si  vedevano  a  un  tratto  messi 
fuori,  e  trovavansi  in  mezzo  a  una  strada;  e  poveri,  derelitti,  raminghi 
andavano  cercando  un  luogo  dove  ricoverarsi.  In  tali  distrette,  essi  di  pre- 
ferenza traevano  a  Firenze  fiduciosi  nel  nuovo  reggimento  popolare,  e  anche 
nella  protezione  della  pietosa  parola  del  Frate.  La  città  quindi  ne  era  quasi 
ingombra.  E  davanti  a  tanto  sterminato  numero  di  mendicanti  (chè  per  il 
momento  eran  tali),  alcuni  de'  Signori  li  volevano  alla  loro  volta  ricac- 
ciati; altri  invece  rincuorati  dal  Frate,  avversavano  quel  provvedimento  tanto 
disumano.  Fattesene,  come  sempre  e  di  tutto,  in  Firenze  di  grandi  dispute,  la 
carità  finalmente  la  vinse;  e  venne  risoluto  di  ricevere  e  trattare  i  poveri  fo- 
restieri come  i  terrazzani.  E  così  fu.  Ma  molti  di  essi,  per  gli  stenti  sofferti, 
essendo  rifiniti  in  modo  da  non  potersi  riavere,  rimanendo  in  piedi,  questi  molti 
addirittura,  giungendo  in  città  venivano  condotti  agli  ospedali  e  ad  altri  luoghi 
ordinati  a  ciò.  Nè  que'  luoghi  presto  più  bastando  al  gran  numero  di  quelli  in- 
felici, rimanevano  pur  molti  per  le  vie,  e  ivi  cadevano;  e  ne  morirono  di  fame 
molte  migliaia.  »  (Aquarone,  lib.  II,  cap.  Vili;  Nardi,  St.  Fior.  lib.  II  pag.  104.) 

Il  Savonarola  a  tale  spettacolo  raddoppiò  il  suo  zelo  a  favore  de' poveri; 
sovente  si  rivolgeva  a'  ricchi  con  più  calore  ricordando  loro  gli  obblighi  che 
avevano  di  sovvenire  i  fratelli  bisognosi;  e  poiché  alcuni  tenevano,  come  già  si 
può  argomentare  dal  detto,  ascoso  il  grano,  in  vista  di  un  prossimo  rincaro  di 
esso,  e  non  volevano  persuadersi  a  trarlo  fuori  e  metterlo  in  commercio,  il 
Frate  gridava  contro  di  questa  ingordigia  crudele  assai  forti  minaccie,  e  procu- 
rava che  si  ponesse  riparo  a  tanto  male,  insistendo  presso  gli  officiali  dell'Ab- 
bondanza perchè  introducessero  in  Firenze  grano  di  fuori,  mostrando  così,  non 
pur  compassione  de'  poveri,  ma  che  egli  era  persuaso,  come  ripete  anche 
Leone  XIII,  che  agi'  indigenti  deve  venire  in  soccorso  anche  lo  Stato.  (Gonf.  la 
Preci.  X  sopra  Ezechiele;  la  XXV,  sopra  Ruth  e  Michea  e  più  altri  luoghi.) 

Nè  con  tutto  ciò  riuscendo  ad  alleviare,  come  il  suo  cuore  voleva,  la  mise- 
ria di  que'  poveri,  veniva  fuori  nelle  sue  prediche  in  parole  così  generose,  così 
sante,  che  non  sapreste  dove  trovarne  di  migliori  nella  storia  ecclesiastica,  pur 
tanto  ricca  qui  di  grandissimi  esempj:  diceva  che  quello  era  il  tempo  in  cui 
le  parole  dovevano  ceder  luogo  a' fatti,  che  si  doveva  rinnovare  ogni  cosa  colla 
carità!  Gridava  ad  ognuno  di  qualunque  stato  o  condizione  si  fossero,  che  in 
quello  si  conosce  la  bontà  dell'  uomo,  se  lui  è  pietoso,  e  se  diffonde  quel  che 
è  suo  in  altri,  predicava  che  si  abbandonasse  ogni  pompa,  si  vendessero  le 
cose  superflue,  e  venissero  date  a' poveri;  insisteva  che  si  raccogliessero  ele- 
mosine in  tutte  le  chiese  pei  poveri  non  pur  della  città,  ma  anche  per  quei  del 
contado.  (Sopra  Giob.  XVI,  sopra  Aggeo  VII,  Vili.)  E  limosine  ne  faceva  racco- 
gliere del  pari  nelle  devote  processioni  e  nelle  altre  feste  che  egli  faceva  fare  o 
lasciare  fare  (feste  e  processioni  tanto  male  intese,  come  vedremo,  dal  Pastor); 


—  35  — 


riusciva  a  far  dare  ai  Buonomini  di  San  Martino  (pietosa  istituzione  del  suo 
santo  confratello,  Antonino  Arcivescovo,  per  soccorrere  i  poveri  vergognosi) 
quanto  si  sarebbe  dovuto  spendere  nei  due  palj  prima  e  dopo  San  Giovanni, 
per  le  istanze  di  lui  non  più  corsi. 

E  tutto  questo  ancora  non  bastava  al  suo  cuor  generoso,  alla  sua  carità 
viva  e  operosa,  perchè  non  bastava  a' poveri.  Egli  perciò  andava  ancor  oltre: 
«  Chi  è  mosso  dall'  impelo  della  carità  è  duopo  che  si  spogli  non  solo  del  su- 
perfluo, ma  molte  volte  di  quello  che  lui  per  sè  avrebbe  di  bisogno;  e  questo 
è  quello  che  guarda  il  Signore....  Molto  più  lodato  è  il  dare  che  il  ricevere; 
perchè  il  dare  è  operare,  e  il  ricevere  nelle  cose  naturali  si  chiama  patire, 
e  la  potenza  attiva  è  più  degna  assai  della  passiva.  »  (Sopra  i  Salmi  XI.)  E 
ripeteva  forte  con  Sant'Ambrogio:  «Il  superfluo  che  tu  ti  tieni,  tu  lo  rubi;» 
e  con  San  Girolamo:  «  Ruba  l'altrui,  chi  si  tiene  il  superfluo  ;  »  e  con  Sant'Agosti- 
no: «  Chi  possiede  il  superfluo  possiede  l'altrui....  Il  superfluo  non  si  può  tenere, 
chè  non  è  tuo,  ma  è  de' poveri;  e  se  tu  lo  ritieni,  tu  sei  ladro  che  lo  rubi 
a' poverelli.  Non  è  cosa  nessuna  di  consiglio  che  qualche  volta  non  possa  essere 
di  precetto;  e  sebbene  il  sovvenire  al  povero  sia  di  consiglio,  pur  qualche  volta 
è  di  precetto:  perchè  se  tu  vedi  uno  che  muor  di  fame,  e  tu  puoi  aiutarlo,  e 
non  lo  aiuti,  e  lui  si  muore,  tu  lo  hai  morto  tu.»  (Sopra  Aggeo  IX;  sopra  Giob- 
be XX;  sopra  Amos  XXVI....)  Il  quale  insegnamento  è  appunto  di  San  Tom- 
maso nello  2a  parte  della  sua  Somma  Teologica,  questione  32a,  art.  5°,  ove  do- 
manda, se  il  dare  elemosina  sia  di  precetto.  E  nella  V  sopra  i  Salmi,  lo  zelo  del 
Frate  trabocca:  Ivi.,  discorso  a  lungo  della  semplicità  della  vita  cristiana,  e  dopo 
averne  detto  cose  eccellentissime,  il  pensiero  suo  tornava  a'  suoi  poveri,  ai  fedeli 
del  Signore,  agli  amici  di  Cristo,  che  vedeva  pur  sempre  nella  miseria  e  perir 
di  stenti:  «  Noi  in  questo  mondo  non  abbiamo  portato  cosa  alcuna,  nè  cosa 
alcuna  dovremo  portar  con  noi  dopo  morti.  Ci  basta  adunque  tanto  da  an- 
dar coperti  e  campare;  e  cercando  ciò  che  ne  è  superfluo  andiamo  incontro 
alla  nostra  dannazione:  imperocché  la  radice  di  ogni  maniera  di  mali  è  l'ava- 
rizia. 0  cristiano,  tu  hai  confessato  una  buona  confessione  d' innanzi  a  molti 
cristiani;  e  questo  fu  nel  battesimo,  quando  dicesti: — Credo  e  rinuncio  a  sa- 
tana, e  a  tutte  le  sue  pompe,  perchè  le  sono  del  diavolo;  — ma  vivi  alla  sem- 
plice, che  al  dì  del  giudizio  ti  sarà  detto  dai  testimoni  del  tuo  battesimo  quello 
che  tu  rinunciasti.  Parimenti  dice  San  Paolo  alle  donne:  —  Non  portate  oro,  nè 
margherite,  nè  vesti  preziose,  nè  capegli  arricciati.  —  Questo  è  il  vivere  da 
donna  cristiana.  E  non  disse  questo  San  Paolo  alle  monache,  perchè  sapeva 
che  loro  non  portavano  gemme,  nè  oro;  e  nè  anche  disse  alle  contadine,  che 
non  hanno  il  modo  di  portarli:  dice  adunque  alle  donne  grandi,  e  a  te  cit- 
tadina: non  portare  oro,  nè  pietre  preziose,  nè  vesti,  nè  capelli  arricciati;  ma 
andate  alla  semplice.  E  se  questo  non  è  lecito  alle  donne,  manco  è  lecito 
agli  uomini  portare  ornamenti  femminili;  manco  ancora  a' religiosi,  manco 
a'  prelati  della  Chiesa,  manco  a'  monaci,  manco  a'  mendicanti  Frati  ;  altri- 
menti non  vivono  da  cristiani,  e  avranno  da  rendere  ragione  a  Dio  d'  ogni 
cosa.  »  Posti  questi  fondamenti,  sentite  come  ragiona  il  Frate  che  ha  pieno 


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il  cuore  di  compassione  per  il  misero  stato  di  molti  famelici  che  s'  aggirano 
per  Firenze  e  pei  dintorni  in  cerca  di  pane  e  non  ne  trovano:  «  Non  saria 
ancora  se  non  bene,  che  le  cose  preziose  superflue  delle  religioni  si  vendes- 
sero e  dessero  a'  poveri.  Tu  dirai:  Oh!  le  son  poste  in  onore  di  Dio!  Io  ti 
dico  che  non  ho  mai  trovato  evangelio  che  ci  comandasse  che  noi  tenessimo 
alle  chiese  croci  d'oro  o  d'argento,  o  altre  cose  preziose;  ma  sì  bene  dice 

10  Evangelio:  Io  ebbi  sete,  e  voi  non  mi  deste  a  bere;  io  aveva  fame  e  voi 
non  mi  deste  a  mangiare.  E  questo  ci  comanda  l'Evangelio  del  giudizio.  Cit- 
tadino, fa  una  cosa:  cava  una  bolla,  che  queste  cose  preziose  della  religione 
si  possano  vendere  e  dare  ai  poveri.  San  Gregorio  dette  il  Tabernacolo 
d'argento,  dove  era  il  Corpus  Domini,  ai  poveri  per  l'amore  di  Dio,  e  mise 

11  Corpus  Domini  in  una  cestella  di  vinchi.  Se  tu  fai  che  questa  semplicità 
s'introduca  nella  tua  vita,  tu  leverai  via  l'ambizione  che  t'impedisce  l'onore 
forse,  e  la  grazia  di  Dio;  e  avendo  la  semplicità,  avrai  la  grazia.  E  questa 
è  conclusione  ferma  di  tutti  i  dottori  che  il  superfluo  non  possiamo  tenere 
con  coscienza,  ma  siamo  tenuti  darlo  per  Dio,  e  dicoti  per  questa  ragione, 
se  tu  non  credi  a  me,  credilo  per  l*  Evangelio,  che  pochi  saranno  gli  eletti, 
e  l'avarizia  sarà  gran  parte  della  dannazione.  Vivi  adunque  alla  semplice 
e  in  fede  non  finta  della  quale  nasce  la  carità....  »  E  nella  Predica  VII  so- 
pra Aggeo  profeta;  già  aveva  detto:  «  Io  desidero  assai  che  provvisione  si 
faccia  per  questi  poveri;  cosi  mi  inspira  Dio,  e  così  vi  esorto....  E  per  questa 
carità  de'  poveri  si  converta  quella  pecunia  che  spendete  per  lo  studio,  in  sov- 
venzione de'  poverelli,  perchè  questa  per  ora  è  più  necessaria  e  più  carità  di 
quella.  E  se  ancora  questa  non  bastasse,  si  metta  a  mano  a'  vasi  delle  chiese 
per  sovvenzione  de'  poveri  di  Christo.  Nè  osta  a  questo  caso  la  Paolina,  per- 
chè la  carità  rompe  ogni  legge.  » 

Ma  io  non  so  quando  finirei,  se  volessi  trascrivere  tutti  gli  aurei  passi, 
ne'  quali  Fra  Girolamo  perora  la  causa  dei  poveri  e  la  beneficenza  cristiana. 
Piuttosto  dirò  che  provo  un  profondo  senso  di  tristezza  quando  veggo  che  il 
Pastor  non  solo  tace  di  tanto  bene  operato  da  quest"  uomo  insigne  in  questo 
campo;  ma  non  riesce  tampoco  a  capire  le  industrie  sante  che  il  Frate  usava 
per  raccogliere  elemosine,  e  condanna  come  barbare  e  ridicole  le  industrie 
medesime  sacre  e  sante  per  ogni  lato  ;  e  taccia  di  eccessivo,  intemperante,  passio- 
nato e  ridicolo  il  Frate  che  ne  era  l'autore.  Ma  di  ciò  più  innanzi.  Del  resto,  dopo 
tante  prove,  chi  potrà  negare  che  già  nel  Pastor  appaia  qui  una  lacuna  ch'egli 
avrebbe  potuto  facilmente  compiere  con  vantaggio  della  verità  e  dell'  arte,  se 
avesse  letto  le  opere  del  nostro  Frate?!  Perchè  non  doveva  egli  far  un  cenno  a 
questo  riguardo  della  carità  dell'Oratore  Fiorentino,  un  cenno  almeno  simile 
a  quello  che  fa  a  pag.  76  e  1-9  parlando  de'  Monti  di  pietà;  ove  deve  rico- 
noscere (e  lo  riconosce  con  parole  in  vero  troppo  brevi)  che  al  Savonarola 
solo  venne  fatto  di  riuscire  nell'impresa,  da  molli  tentata  in  vano,  di  fon- 
dare de'  Monti  di  Pietà  in  Firenze,  per  sopprimere  l'  usura  che  allagava  ogni 
dove,  e  menava  mine  immense?! 


V. 


Girolamo  Savonarola 
e  i  Sacramenti  della  Confessione  e  della  Comunione. 

Sommario. 

Una  bella  verità  nel  Pa9tor,  09sia:  la  confessione  ottimo  mezzo  per  istruire  il  popolo  cristiano.  — 
Zelo  di  Girolamo  Savonarola  per  la  Confessione.  —  Alcune  testimonianze.  —  La  confessione  de- 
gl'  infermi.  —  Il  carnevale,  i  fanciulli  del  Savonarola,  e  i  tiepidi.  —  Frequenza  della  confessione. 

—  Chi  vuole  il  lume  del  ben  vivere  si  confessi  spesso.  —  Eco  trovata  dalle  parole  del  Frate.  — 
Condizioni  per  una  buoua  Confessione.  — I  manuali  del  confessore  e  il  Pastor.  —  Invito  alPastor 
a  leggere  il  Confessionale  del  Savonarola.  —  Il  culto  crescente  del  Sacramento  dell'  altare.  —  Giu- 
sta letizia  del  Pastor.  —  Una  domanda  e  una  sfida  al  Pastor.  —  Due  prediche  di  Fra  Girolamo.  — 
Un  articolo  di  San  Tommaso.  —  Natura  del  Sacramento  dell'  altare.  —  Il  Pastor  copiatore  infe- 
lice. —  JTell'  Ostia  consacrata  è  realmente  Cristo.  —  Un  fatto  avvenuto  a  San  Gregorio.  —  Do- 
mande e  risposte.  —  Cristo  è  tutto  in  tutta  1'  ostia  e  tutto  in  tutte  le  parti  dell'  ostia.  —  Disposi- 
zioni di  chi  vuol  pigliare  il  Sacramento.  —  Un  aneddoto.  —  Si  viene  al  particolare  per  i  piccolini. 

—  T  ricchi  e  i  poveri  al  Convito  di  Dio.  —  La  Pasqua  in  Firenze  1'  anno  1496.  —  Dopo  la  comu- 
nione. —  Mirabili  effetti  del  sacramento  dell'  altare.  —  Felicità  de'  sacerdoti.  —  La  comunione 
frequente.  —  Il  santo  Viatico.  —  Una  nuova  domanda  al  Pastor. 


A  pagina  24  e  25  il  Pastor  si  compiace  di  notare  come  «  un  mezzo  impor- 
tante onde  coltivare  1'  educazione  religiosa  dei  singoli  coni'  anche  la  vita  cri- 
stiana della  famiglia  e  metterle  al  riparo  dei  pericoli  del  tempo  nell'  epoca 
del  risorgimento,  risiedeva  nel  sacramento  della  penitenza.  »  E  certo  non  ha 
torto.  Anche  lasciando  a  parte,  e  non  si  può  lasciare,  l'efficacia  divina  del  sa- 
cramento, la  confessione  fu  e  sarà  sempre  nella  chiesa  uno  de'  mezzi  migliori, 
una  delle  migliori  occasioni  per  istruire  il  popolo  cristiano.  Questo  è  vero  senza 
dubbio  ;  ma  non  è  raen  vero  che  per  questo  sacramento  era  pieno  di  zelo  Gi- 
rolamo Savonarola  il  quale  ne  raccomandava  la  frequenza  incessantemente. 

A  persuaderci  che  noi  diciamo  il  vero,  basta  aprire  le  opere  del  Frate  :  il 
Trionfo  della  croce,  Della  semplicità  della  vita  cristiana,  ed  altri  scritti  spirituali 
dove  egli  parla  di  proposito  de'  sacramenti.  Ma  anche  nelle  prediche  troviamo 


—  38  — 


'al  riguardo  delle  pagine  veramente  auree,  nelle  quali  se  si  fosse  imbattuto  il 
Pastor,  certo,  nel  luogo  ora  citato  avrebbe  almeno  almeno  fatto  menzione  del 
grande  Asceta  Domenicano;  o  alla  più  triste  non  avrebbe  più  gettato  il  ridicolo 
su  di  esso  nelle  pagine  seguenti. 

Ci  sia  consentito  di  trascrivere  qui  alcune  citazioni  brevissime  con  riguardo 
speciale  a'  fanciulli,  massima  cura  del  Frate.  «  Orsù:  a  voi  dico,  figliuolini  miei, 
non  vi  indugiate  più  a  confessarvi  solo  una  volta  l'anno;  ma  voglio  che  vi 
confessiate  più  spesso,  almeno  cinque  volte  1'  anno,  la  prima  a  Pasqua  della 
Resurrezione,  la  seconda  a  Pasqua  dello  Spirilo  Santo,  la  terza  all'Assunzione 
della  Madonna,  la  quarta  al  dì  di  tutti  i  Santi,  la  quinta  a  Pasqua  della  nati- 
vità, a  riverenza  delle  cinque  piaghe  del  vostro  Re.  Non  fate  come  fanno  i 
cattivi  cristiani  che  peccano  tutto  l' anno,  e  poi  si  confessano  la  Pasqua,  e 
incontanente  di  poi  ritornano  a'  medesimi  peccati,  ed  anche  a  peggiori.  » 
(Quaresimale  sopra  Amos,  VI.) 

E  nella  predica  X  dello  stesso  quaresimale,  leggiamo  alcune  parole  che  ci 
richiamano  alla  mente  quello  che  narrano  i  biografi  del  Frate;  le  vive  racco- 
mandazioni che  egli  faceva  particolarmente  nel  carnevale.  «  Li  miei  fanciulli 
quando  volevano  per  carnevale  far  benedicevano  questi  tiepidi:  E' non  è  lecito 
confessarsi  per  carnevale:  eli'  è  un'ipocrisia.  Rispondi  loro,  figliuolo  mio,  come 
fece  il  sanato  dell'Evangelo;  e  dì:  Colui  che  m'ha  fatto  sano,  dice  ch'io 
debbo  fare  sempre  bene  in  ogni  tempo.  E  Cristo  ti  dice:  ecco  che  tu  se'  fatto 
sano,  e  non  voler  più  peccare,  chè  non  ti  accadesse  qualche  cosa  peggio.  » 

Nella  predica  XXV  sopra  Ruth  e  Michea  ha  alcune  parole  che  valgono 
per  moltissime.  Ivi  parla  del  lume  spirituale  del  ben  vivere,  e  dice  :  «  Bisogna, 
se  tu  vuoi  questo  lume,  confessarti  spesso.  Confessati  ogni  di  spiritualmente: 
confessati  a  Dio  ogni  mattina  ed  ogni  sera;  e  sacramentalmente  confessati 
ogni  mese  almanco  una  volta,  o  ogni  quindici  di,  e  raccogli  i  peccati  tuoi,  e 
va  là  al  tuo  confessore,  e  dì:  Io  ho  fatto  così  e  così;  e  proponti  di  emendarti 
sempre  e  non  cascare  mai  più.  E  se  pure  per  fragilità  caschi,  ritorna  e  con- 
fessati e  purgati.  » 

E  nella  XXI  su  Amos  :  «  Che  s'  ha  da  fare  per  viver  bene?  Star  confessato, 
apparecchiarsi  ogni  volta  che  il  Signore  ci  vuole.  » 

Ma  è  inutile  che  noi  c'indugiamo  a  raccogliere  passi  che  mostrano  come 
Girolamo  Savonarola  si  valeva  per  ['  educazione  cristiana  di  questa  medicina 
dell'  anima  che  è  la  confessione.  Osserveremo  solo  che  la  sua  parola  trovava 
negli  uditori  un'eco  così  bella,  che  neh'  Ottava  di  Pasqua  del  14'JG  (Quaresimale 
sopra  Amos  e  Zaccaria,  predica  XLVIII),  dovette  chiedere  un  poco  di  riposo 
pe' suoi  frati:  «  Vi  prego  ancora  che  lasciate  posare  un  poco  i  confessori,  al- 
manco quindici  dì,  perchè  e' sono  marciti  già  in  su  quelle  sedie;  bisogna  pur 
dargli  qualche  poco  di  requie.  » 

E  poi  mirabile  la  cura  colla  quale  il  Frale  insegnava  ripetutamente  al  po- 
polo e  ai  fanciulli  le  condizioni  per  una  buona  confessione.  A  ciò,  oltre  al  rac- 
cogliere i  suoi  peccati,  il  che  vale  fare  un  buon  esame  di  coscienza,  voleva 
che  si  avesse  un  grande  dispiacere  de'  peccali  medesimi,  e  che  si  volesse 


—  39  — 


prima  aver  fatto  ogni  altra  cosa  che  aver  offeso  Dio,  poi  die  si  dicesse  al  con- 
fessore: «  Padre:  io  lio  fatto  un  saldo  proposito  di  far  bene,  e  non  voglio  più 
offendere  il  mio  Creatore,  egli  è  vero  die  io  son  fragile;  ma  io  spero  in  Dio, 
che  m'aiuterà.  »  «  Sono  molti  che  dicono:  Io  mi  confesserò  stasera,  e  domat- 
tina mi  comunicherò  e  sarò  più  purificato  ;  perchè  non  mi  dà  il  cuore  di  reg- 
ger molto  senza  peccato.  Pover  uomo  !  tu  non  t'  avvedi  quello  tu  fai  !  Tu  non 
hai  fermo  il  proposito  di  non  voler  più  offendere  Dio:  e  come  puoi  tu  andare 
a  comunicarti  ?  »  Insomma  voleva  che  si  avesse  un  proposito  fermo  di  non  più 
peccare.  Quindi  (insegnava)  è  uopo  disporsi  al  tutto  ad  avere  pazienza  e  dire: 
«  Venga  che  vuole,  che  se  mi  fosse  tolta  la  roba  e  ogni  cosa,  son  contento  per 
amore  di  Dio  avere  pazienza.»  Questo  nella  XLII  sopra  Amos  e  Zaccaria; 
e  altrove  è  non  meno,  anzi  più  preciso.  Udite  che  cosa  diceva  a  proposito  degli 
infermi:  «  Qualche  volta  il  male  viene  per  i  peccati,  e  però  ognuno  quando 
comincia  avere  qualche  male,  si  debbe  confessare  prima  che  medicarsi  corpo- 
ralmente; ed  è  comandato  ai  medici  che  debbano  prima  far  confessare  l'am- 
malato che  medicarlo.  Se  gli  uomini  avessero  fede  e  vivessero  con  timore  di 
Dio,  quando  fossero  ammalati,  direbbero  la  prima  cosa:  Forse  che  questa  in- 
fermità viene  dai  miei  peccati  e  si  confesserebbero  e  si  comunicherebbero.  » 

E  per  meglio  indurre  gli  uditori  a  non  tardare  all'ultimo  la  loro  conver- 
sione nè  presumere  troppo  nella  bontà  di  Dio  senza  temerne  la  giustizia,  rac- 
contava nella  predica  V  sopra  Amos  il  fatto  di  due  giovani,  1'  uno  buono  e  l'al- 
tro cattivo.  Infermatosi  gravemente  il  secondo,  il  primo  gli  disse:  Confessali 
chè  sei  vissuto  in  tanti  peccati,  ormai  è  tempo  di  lasciarli....  E  il  cattivo  ri- 
spose: Io  ho  poco  male,  guarirò  presto,  io  non  voglio  confessarmi  adesso;  e 
così  il  buono  si  parti.  E  il  demonio  che  aveva  insegnato  a  quel  misero  il  pec- 
cato di  presunzione  gì'  insegnò  poi  quello  di  disperazione.  Aggravatosi  poi  il 
male  e  consigliato  di  nuovo  dal  buon  compagno  non  volle  dargli  ascolto  e  morì 
senza  riconciliarsi  con  Dio.  «  Credimi  una  cosa,  esclamava  il  Savonarola  rife- 
rendo questo  esempio;  credimi  una  cosa  la  quale  tu  vedrai  certa  quando 
sarai  di  là,  cioè  che  di  quelli  che  s'indugiano  a  confessarsi  all'  ultimo  ne  sono 
dannati  di  cento  i  novantanove.  » 

Ma  non  voglio  recare  altri  passi,  potendo  ognuno  argomentare  dal  trascritto 
il  cuore  e  la  mente  del  Savonarola  al  riguardo.  Chi  volesse  in  ristretto  tutta 
la  dottrina  del  Frate  intorno  ai  Sacramenti  e  particolarmente  intorno  alla  Con- 
fessione e  Comunione  vada  al  Libro  III  del  Trionfo  della  Croce,  capitoli  XIV, 
XV  e  XVI  e  al  libro  IV  della  Semplicità  della  vita  Cristiana,  conclus.  XI,  e  tro- 
verà che  la  dottrina,  che  il  Savonarola  espose  in  splendido  modo,  non  è  altro 
che  la  pura  dottrina  del  suo  confratello  San  Tommaso. 

Una  cosa  però  non  posso,  nè  devo  tacere  ;  cioè  che  il  Pastor  non  solo  po- 
teva annoverare  il  Savonarola  tra  coloro  che  si  valevano  della  confessione  a  col- 
tivare l'educazione  religiosa  dei  singoli,  come  anche  la  vita  cristiana  della  fa- 
miglia e  metterla  al  riparo  dal  pericolo  de' tempi,  ma  doveva  ricordarlo  in 
modo  speciale  dove  scrive  de'  Confessionali,  o  manuali  della  confessione, 
imperocché  Fra  Girolamo,  tra  le  molte  opere  che  scrisse,  ha  appunto  anche 


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un  Confessionale,  che  fu  in  uso  per  moltissimo  tempo  e  di  cui  si  annoverano 
almeno  44  edizioni.  Ivi  si  legge  tutto  ciò  che  di  buono  e  di  bello  il  Pastor 
vede  e  trova  negli  altri.  Legga  questa  operetta  l'illustre  storico  d' Innsbruck, 
e  resterà  certo  edificato  e  della  dottrina  e  della  salda  pietà  del  Savonarola 
e  cesserà  d'irriderlo,  ma  lo  stimerà  e  amerà  ardentemente.  Legga  almeno, 
se  non  vuole  tutto  il  libretto,  1'  aureo  prologo;  o  senta  almeno  queste  brevi 
parole  che  il  Frate  indirizza  ai  confessori  :  «  Istruite  i  vostri  figliuoli,  i  quali 
contriti  corrono  a  voi,  come  a  padri  spirituali;  istruiteli  sì,  che  meditino  le 
cose  che  si  riferiscono  alla  confessione  giorno  e  notte,  e  perseverino  nel 
metterle  in  pratica.... 

«  Per  procedere  con  acconcio  ordine,  divideremo  il  libretto  in  tre  parti  :  la 
prima  dichiarerà  che  cosa  sia  da  fare  innanzi  che  il  penitente  sveli  i  suoi 
peccati;  la  seconda  con  quale  ordine  e  di  quali  cose  sia  da  interrogare,  la 
terza  che  penitenza. gli  si  debba  imporre  a  soddisfazione  e  rimedio.  » 

Nel  suo  viaggio,  in  cerca  del  bene  nell' Italia  all'epoca  del  risorgimento,  si 
rallegra  ancora  il  Pastor  (pag.  65)  nel  vedere,  in  quell'età,  il  culto  crescente  verso 
il  Santissimo  Sacramento  dell'  altare,  e  tutto  si  commuove  alle  testimonianze 
della  venerazione  di  esso  che  possono  trarsi  dalle  preghiere  di  quel  tempo.  E  certo 
questa  è  cosa  per  un  credente  assai  edificante;  e  tali  preghiere  generano 
nell'anima  pia  una  dolcezza  inesprimibile!  Il  leggere  le  feste  che  i  nostri  an- 
tichi facevano  a  Cristo  in  Sacramento,  e  il  fervore  col  quale  lo  ricevevano 
nell'anima,  pare  che  ci  unisca  con  loro  in  modo  strettissimo,  e  ci  dia  forza 
nelle  lotte  per  il  bene.  Un'età  che  veneri  l'Augustissimo  Sacramento,  e  che 
si  cibi  sovente  delle  carni  dell'Agnello  immacolato,  non  può  certo  essere  del 
tutto  pagana  e  guasta,  ma  deve  avere  in  sè  molto  spirito  di  Cristo.  Noi  diamo 
qui  adunque  piena  ragione  al  Pastor  del  suo  allietarsi.  Ma  non  possiamo  te- 
nerci dal  domandare  a  noi  stessi:  Che  cosa  avrebbe  mai  provalo  l'anima  sua, 
se  avesse  letto  le  opere  del  Savonarola?  Io  vorrei  dire  (e  il  Pastor  si  provi  a 
mostrarmi  die  ho  torto)  che  in  tutta  l'epoca  del  risorgimento  non  v'  è  cosa 
più  bella  che  riguardi  la  comunione,  delle  pagine  del  Savonarola  ;  come  non 
v'  è  forse  anima  che  più  del  Savonarola  fosse  ripiena  d'  amore  e  di  fede  per 
Gesù  Sacramentato.  Qui  mi  sarebbe  agevole  trascrivere  dalle  opere  del  no- 
stro Frate  un  libro  assai  pio  intorno  l'Augustissimo  Sacramento!...  Ma  il  tenersi 
breve  a  chi  entrasse  in  materia  non  sarebbe  facile.  Farò  adunque  ad  ogni 
modo  sacrifizio,  pensando  all'  indole  del  lavoro  presente,  e  mi  contenterò  di 
trarre  poche  cose  dalle  prediche  XLII  e  XLIII  sopra  Amos  e  Zaccaria,  e  con- 
frontarle, per  quanto  mi  sarà  possibile,  colle  parole  del  gran  Dottore  dell'Euca- 
restia, San  Tommaso.  Avviso  però  che  chi  vuol  formarsi  un'  idea  del  fervore 
Savonaroliano  ha  da  leggere  intiere  queste  prediche,  e  eh'  io  neh'  estratto, 
pur  conservando  le  parole  del  Frate,  non  posso  fare  a  meno  di  guastarle,  di- 
videndole da  tutto  il  contesto.  La  predica  XLIII  comincia  così: 

«  Nel  Santo  Sacramento  dell'altare  si  possono  considerar  tre  cose,  la  prima 
quel  che  è  sacramento,  la  seconda  quello  che  è  sacramento  e  cosa  del  sacra- 
mento; la  terza  quello  che  è  solamente  cosa  del  sacramento.  Circa  la  prima 


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dico  che  sacramento  è  un  segno  della  cosa  sacra:  adunque  il  Sacramento  della 
Comunione  si  chiama  ed  è  il  pane  e  il  vino,  perchè  è  segno  della  cosa  sacra; 
cioè  della  presenza  di  Cristo,  e  della  grazia  sua.  Circa  la  seconda,  che  è  sa- 
cramento e  cosa  del  sacramento,  diciamo  che  è  il  corpo  e  il  sangue  di  Cristo, 
il  quale  è  sacramento  in  quanto  è  segno  della  grazia  che  vuol  dare,  ed  è  cosa  del 
sacramento,  perchè  è  realmente  sotto  quelle  spezie  del  pane  e  del  vino,  le 
quali  sono,  come  abbiamo  detto,  il  sacramento.  Circa  la  terza,  che  è  quello 
che  è  solo  cosa  del  sacramento,  diciamo  che  è  la  grazia,  che  non  è  sacramento 
ma  è  1'  effetto  per  che  è  fatto  questo  sacramento,  il  quale  è  fatto  per  indur 
grazia...  »  Figura  di  queste  tre  cose  tutte  insieme  è,  secondo  il  Savonarola, 
l'Agnello  Pasquale,  «  la  più  degna  e  la  più  bella  che  sia  nella  scrittura  »  ; 
figura  poi  in  particolare  della  1"  è  Melchisedec,  della  2a  è  il  sacrifizio  d'espia- 
zione, della  3a  la  manna  che  piovve  nel  deserto. 

Di  chi  è  questa  dottrina?  Non  sia  discaro  ai  miei  lettori  udire  un  articolo 
di  San  Tommaso.  Forse  alcuni  di  loro  è  la  prima  volta  che  di  San  Tom- 
maso leggono  un  articolo  intiero,  e  godo  di  dar  loro  occasione  di  farlo,  e  sono 
altresì  lieto  di  poter  mostrare  a  ciascuno  che  insieme  coll'Angelico  Dottore  sta 
bene  il  nome  del  Savonarola,  sebbene  di  lui  umilmente  dicesse  :  «  Lui  fu  ve- 
ramente profondo;  e  quando  voglio  doventare  piecolino,  lo  leggo;  e  parmi  che 
lui  sia  gigante  e  io  nulla....  »  (Predica  XI  sull'  Esodo.) 

Udiamo  dunque  San  Tommaso  :  «  In  questo  Sacramento  possiamo  con- 
«  siderare  tre  cose  :  ciò  che  è  soltanto  Sacramento,  che  è  il  pane  e  il  vino;  ciò 
«  che  èia  cosa  e  il  Sacramento,  ossia  il  corpo  vero  di  Cristo;  e  ciò  che  è  cosa 
«  del  Sacramento,  ossia  1'  effetto  di  questo  Sacramento.  Quanto  a  ciò  che  è  sol- 
«  tanto  Sacramento,  principalissima  figura  di  questo  Sacramento  fu  l'offerta  di 
«  Melchisedec  che  offrì  il  pane  e  il  vino.  Quanto  allo  stesso  Cristo  paziente  con- 

<  tenuto  in  questo  Sacramento  furon  figure  di  lui  i  sacrifizi  del  Vecchio  Te- 
«  stamento  e  principalmente  quello  solennissimo  d'  espiazione;  quanto  all'  ef- 
«  fetto  fu  precipua  figura  di  esso  la  manna  che  aveva  in  sè  ogni  soavità  di 
«  sapore  come  dicesi  al  cap.  XVI  della  Sapienza,  come  anche  la  grazia  di  questo 

<  Sacramento  ristora  in  tutto  la  mente.  Ma  1'  Agnello  pasquale  prefigurava 
«  questo  Sacramento  quanto  a  tutte  e  tre  queste  cose;  quanto  alla  prima,  per- 
«  chè  mangiavasi  coi  pani  azimi.  secondo  il  XII  dell'  Esodo:  Mangeranno  le 
c  carni...  e  i  pani  azimi;  quanto  alla  seconda,  perchè  era  immolato  da  tutta -la 
«  moltitudine  dei  figli  d' Israele  alla  quartadecima  luna,  che  fu  figura  della  Pas- 
«  sione  di  Cristo  che  per  l'innocenza  dicesi  agnello;  quanto  all'effetto  final- 
«  mente,  perchè  dal  sangue  dell'Agnello  pasquale  furon  protetti  i  figli  d'Israele 
«  dall'angelo  devastatore  e  tratti  dalla  servitù  dell'Egitto;  e  quanto  a  questo 
«  ponesi  l'Agnello  pasquale  come  figura  di  questo  Sacramento  perchè  in  tutto 
«  lo  rappresenta.  »  (V.  Somma  Teologica,  p.  3a,  qu.  73,  art.  6°.  Cf.  la  lezione  II 
sul  cap.  V.  dell'  Epistola  I  ai  Corinti.) 

Dalle  parole  di  San  Tommaso  e  dalla  traduzione  che  ne  fa  il  Savonarola, 
ognuno  è  in  grado  di  ben  distinguere  tra  il  Sacramento  che  è  segno  di  cosa  sacra 
e  la  cosa  del  Sacramento,  o  sostanza  che  voglia  dirsi  ;  e  di  comprender  bene  che  il 


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Savonarola  non  era  capace  di  confondere  una  cosa  coli'  altra.  Ma  il  Pastor  non 
ce  lo  concede.  Siamo  alla  Prova  del  fuoco.  Su  questo  tema  vi  dovremo  tornare; 
ma  ora  cade  opportuno  fare  un  piccolo  riscontro  tra  il  Pastor  e  il  Villari: 


Pastor 

Egli  (il  Savonarola)  dichiarava  che 
i  soli  accidenti  abbrucerebbero,  e  re- 
sterebbe intatto  il  Sacramento,  confor- 
tando tale  opinione  coli'  autorità  di 
sacri  dottori  (pag.  373  e  374). 


VlLLARr 

Fra  Domenico  volle  tener  fermo, 
sostenendo  insieme  col  Savonarola 
come,  in  ogni  caso,  non  sarebbero  bru- 
ciati che  gli  accidenti,  rimanendo  sem- 
pre intatta  la  sostanza  del  Sacramento, 
e  citavano  1'  autorità  di  molti  dottori. 
[Voi.  I,  pag.  159.) 


Che  il  Pastor,  quando  meno  ce  n'  avvediamo,  prende  dagli  autori  e  spesso 
anche  sciupacchia  quel  che  prende,  già  lo  vedemmo  ;  ma  qui  ne  abbiamo  una  ri- 
prova evidente.  Il  Villari,  nonostante  la  sua  «  monca  conoscenza  di  teologia 
cattolica»  (Pastor,  pag. 378,  nota),  potè  accorgersi  che  il  Savonarola  non  avrebbe 
mai  detto  un  errore  tanto  volgare  come  quello  che  gli  fa  dire  il  Pastor,  il' quale 
non  sarà  mai  capace  di  provarci  che  il  Savonarola  dicesse  che  abbruciando  gli 
accidenti,  il  Sacramento  resterebbe  intatto!  Abbiamo  visto  che  cosa  intendeva  il 
Savonarola  per  Sacramento  e  con  quanta  proprietà  parlava.  Nè  il  racconto  di 
Fra  Benedetto  (Villari,  voi.  II  appendice,  pag.  LXXXVIII)  ci  induce  a  pensar 
diversamente,  perchè  Fra  Benedetto,  se  ben  si  considera,  spiega  assai  esat- 
tamente quello  che  dice.  Ma  torniamo  all'  auree  dottrine  del  nostro  Frate. 

Su  questa  cara  figura  dell'agnello  pasquale  fa  il  Savonarola  tutta  la  pre- 
dica del  martedì  santo  ove  spiega  il  capitolo  XII  dell'  Esodo.  Questa  figura 
dell'  agnello  così  accessibile  a  tutti  piace  molto  al  Savonarola...  egli  avrebbe 
voluto  che  a  quella  predica  fossero  anche  tutti  i  fanciulli  ai  quali  avrebbe  vo- 
lentieri spiegato  che  Cristo  è  1'  agnello  immacolato,  maschio,  e  di  un  anno  come 
doveva  essere  l'agnello  pasquale;  immacolato  perchè  nato  dalla  Vergine,  ma- 
schio perchè  «  fè  le  opere  sue  virilmente  e  gagliardamente  »  d'un  anno,  il 
qual  figura  1'  anno  della  grazia.  Vuole  che  nelle  case  si  parli  anche  ai  piccoli 
in  quei  santi  giorni  «  dell'agnellino  Cristo  Gesù  »,  e  «  si  leggano  le  vite  dei 
martiri,  e  si  parli  dei  santi...  »  e  che  al  ricordo  dell'  agnello  si  ripensi  alla  pas- 
sione di  Gesù  e  si  dica:  «  Lui  fu  crocifisso,  lui  fu  morto  per  me,  io  sono  con- 
tento ancora  di  morire  per  lui;  io  ho  fede  nel  sangue  di  Cristo  che  mi  aiuterà.  » 

Della  dottrina  del  Savonarola  sul  SS.  Sacramento  diamo  ancora  questi 
saggi  dalle  citate  prediche  XLII  e  XLIII: 

«  La  vita  cristiana  essenzialmente  e  principalmente  consiste  nel  conoscere 
Iddio  e  amarlo  e  tendere  in  esso.  E  tra  le  opere  morali  che  conducono  a  que- 
sta cognizione  e  amore  di  Dio  e  che  fanno  1'  anima  perfetta  in  esse,  una,  e  la 
principale,  è  l'orazione.  Tra  le  opere  cerimoniali  che  conducono  più  l'uomo 
a  quesla  perfezione  sono  due  sacramenti,  cioè  il  sacramento  della  confessione 
e  quello  della  comunione  :  la  confessione  fa  declinare  dal  male,  e  la  conni- 


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nione  ti  conduce  al  bene...  11  Sacramento  dell'altare  contiene  tutto  Cristo.... 
Sappi  adunque  che  in  quell'  ostia  è  tutto  il  corpo  di  Cristo  e  V  anima  e  le  ossa 
e  la  carne  e  la  divinità.  Notate,  fanciulli  miei,  che  voi  avete  a  credere  che  quivi 
è  tutto  il  corpo  di  Cristo;  e  cosi  è  la  verità.  E'  si  legge  che  San  Gregorio,  co- 
municando una  volta  il  popolo,  venne  col  Sacramento  ad  una  gentil  donna  ro- 
mana, la  quale  avendogli  fatte  quelle  ostie,  che  di  poi  erano  state  consacrate, 
quella  donna  si  rise  quando  San  Gregorio  venne  a  Lei  per  comunicarla  e  che 
disse:  Corpus  Domini  nostri  Jesu  Christi  cnstodiat  animata  titam  in  vitam  ozternmn. 
San  Gregorio  la  domandò,  perchè  ella  rideva;  la  quale  rispose  :  io  rido  perchè 
io  ho  fatte  queste  ostie,  e  so  quello  che  le  sono,  e  tu  dì  che  gli  è  il  corpo  di 
Cristo.  San  Gregorio  allora  si  tirò  indietro,  e  pose  il  Sacramento  in  su  l'altare, 
e  fece  inginocchiare  tutto  il  popolo,  e  fare  orazione  per  il  peccato  di  costei,  e 
pregare  Dio  che  la  illuminasse;  e  di  poi  riprese  il  Sacramento,  inspirato  da  Dio, 
e  voltossi  a  quella  donna  e  disse  in  cospetto  del  popolo:  Guarda  qui  se  queste 
ti  paiono  le  ostie  che  tu  facesti?  La  quale  guardando,  vide  che  quell'  ostia 
era  carne,  e  così  ravveduta  si  dolse  grandemente  del  peccalo  suo,  il  quale  le  fu 
perdonato,  e  San  Gregorio  la  comunicò.  Questo  io  vi  ho  detto,  perchè,  benché 
vediate  gli  accidenti  del  pane,  tuttavia  dovete  credere,  e  così  è  vero,  che  in 
quell'ostia  è  carne,  sangue,  ossa,  e  tutto  il  corpo  di  Cristo...  Questo  Sacramento 
è  cosa  mirabile  e  da  fare  maravigliare  ognuno.  Va'  adunque,  figliolo  mio,  a 
questo  Sacramento  con  viva  fede;  e  fa'  che  tu  non  manchi  per  modo  alcuno 
in  fede  :  perchè  Cristo  ha  detto,  che  questa  è  la  sua  carne  e  il  suo  sangue. 
Io  te  lo  testifico  a  te  Firenze,  e  a  questo  popolo  in  su  questo  pergamo,  che  in 
quel  Sacramento  è  la  carne  di  Cristo,  il  quale  è  in  Cielo.  Va' adunque  con  viva 
fede  a  questo  Sacramento,  e  sta  saldo  e  fermo  in  esso,  che  questo  sarà  quello  che 
ti  libererà  dalle  tribulazioni...  Va'  adunque  semplicemente  e  con  fede  e  spirito 
a  questo  Sacramento;  perchè  come  dice  il  Salvatore  :  Lo  spirito  è  che  vivifica, 
quasi  volendo  dire:  Bisogna  intendere  questo  Sacramento  con  ispirilo....  »  Egli 
vuole  che  alla  Comunione  si  vada  «  con  grande  elevazione  di  mente  e  una 
gran  fede,  perchè  bisogna  credere  molte  gran  cose  in  quell'Ostia! 

«  Se  vi  fosse  domandato,  se  Cristo,  quando  viene  neh'  ostia,  si  parte  dal 
Cielo,  se  voi  diceste  di  sì,  direbbero:  Adunque  e'  non  rimane  Cristo  in  Para- 
diso. E  però  dite  e  rispondete:  Noi  crediamo  che  sia  qui,  e  anche  in  Paradiso, 
e  crediamo  che  il  nostro  Signore,  che  1'  ha  detto,  dica  il  vero;  e  così  i  suoi 
santi  illuminati,  che  lo  hanno  detto;  e  crediamo  che  Dio  può  fare  ogni  cosa, 
e  che  quella  sostanza  del  pane  diventi  corpo  di  Cristo;  e  crediamo  che  Dio  sia 
per  tutto.  Parimente,  se  voi  foste  domandati:  In  che  modo?  rispondete:  Egli 
è  per  un  modo,  che  noi  non  l'intendiamo,  ma  crediamolo;  perchè  lui  può  fare 
ogni  cosa,  e  può  essere  in  mille  modi,  che  noi  non  lo  possiamo  sapere.  Se  vi 
fosse  detto:  Il  corpo  di  Cristo  è  egli  esteso  nell'ostia?  dite  di  no:  perchè  un 
corpo  sì  grande  esteso  passeria  e'  termini  dell'  ostia;  ma  dite  che  vi  è  tutto  il 
corpo  in  un  modo  che  non  s' intende  dagli  uomini:  e  anche  gli  angeli  non 
lo  potriano  vedere  per  propria  natura;  ma  lo  vedono  nella  divina  essenza 
come  sta. 


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«  Dovete  ancora  credere  che  se  il  sacerdote  rompesse  l'ostia  in  mille  parti, 
che  in  ciascuna  di  quelle  parti  è  tutto  il  corpo  di  Cristo;  se  ben  fosse  ciascuna 
di  quelle  parti  piccola  come  una  punta  di  spilletto.  E  tanta  ne  piglia  colui, 
che  ne  togliesse  una  di  quelle  particelle,  quanto  che  faria  uno  se  ne  pigliasse 
una  grande,  o  veramente  molte  di  quelle  parti,  o  molte  ostie,  perchè  tutto  Cri- 
sto è  in  ciascuna,  e  tutto  Cristo  è  in  tutte  (*)  Sicché,  se  il  Sacramento  si  rom- 
pesse in  mille  parti,  tanto  ne  è  in  una  parte  quanto  in  un'  altra.  E'  mi  bisogna 
insegnare  queste  cose  a'  fanciulli  che  non  le  sanno.  Guardate  in  uno  specchio: 
quando  egli  è  intero,  vi  rappresenta  la  faccia,  che  gli  è  posta  innanzi;  e  se  rom- 
pete quello  specchio  in  cento  parti,  rappresenterà  cento  facce;  e  tuttavia  la 
faccia  rappresentata  è  una.  Così  Cristo  è  tutto  in  -un'  ostia,  e  tutto  ancora  in 
ogni  parte  di  quella  ostia. 

«  QuestoSacramento  adunque  contiene  realmente  tutto  Cristo,  però  ha  ef- 
ficacia più  che  tutti  gli  altri  sacramenti  i  quali  contengono  Cristo  in  virtù,  per 
la  qual  cosa  bisogna  gran  disposizione  a  chi  vuole  pigliarlo....  Or  su,  dilettis- 
simi, e'  non  si  vuole  più  andare  a  questo  Sacramento  come  avete  fatto  insino 
adesso,  che  vi  solevi  andare  grossamente  :  or  vi  bisogna  andare  con  più  pre- 
parazione e  intelligenza  del  Sacramento,  e  più  spesso,  il  che  sarà  molto  più 
utilità  delle  anime  vostre.  La  prima  cosa  che  avete  a  fare,  a  voler  prepararvi  bene 
a  questo  Sacramento,  si  è  riconoscere  i  beneficj  che  vi  ha  fatti  Iddio,  e  mas- 
sime di  avervi  condotti  a  questo  punto,  e  fattovi  partecipi  di  tanto  mistero.... 
Secondo,  devi  far  proposito  di  viver  bene....  Or  su,  tu  devi  dire:  Io  voglio 
cominciare  a  far  bene  non  domani,  ma  stasera,  oggi....  Terzo,  devi  provarti 
nella  osservanza  de' dieci  comandamenti;  quarto,  esaminarti  se  tu  trovi  tutti  e 
quattro  i  segni  della  grazia....  Se  tu  vuoi  andare  a  comunicarti,  dice  San  Tom- 
maso, ti  bisogna  avere  congettura  d'  essere  in  grazia  di  Dio.  I  segni  onde  si 
può  congetturare  che  si  è  in  grazia,  sono:  un  grande  dispiacere  del  peccato 
tuo;  un  saldo  proposito  di  far  bene  e  di  non  più  tornare  nel  peccato;  il 
sentirsi  dilettare  dentro  delle  parole  di  Dio,  1'  esser  disposto  ad  avere  pa- 
zienza. Devi  poi  starti  in  casa  e  ruminare  la  passione  del  Salvatore  nostro. 
Fatto  questo,  devi  procurare  d'aver  castità,  perchè  non  è  cosa  che  im- 
pedisca più  la  preparazione  del  Sacramento  che  fa  la  libidine;  perchè  a  que- 
sto atto  dello  andare  alla  comunione  bisogna  una  grande  elevazione  di 
mente  e  una  grande  fede....  Ma  la  libidine  fa  il  contrario,  perchè  ella  tira 
a  terra  veementemente  l'intelletto  e  la  mente;  perchè  l'anima  è  una,  e 
quando  ella  è  tirata  in  terra,  non  può  stare  alta  e  bassa;  e  però  la  libidine 
impedisce  questo  atto  più  che  cosa  che  sia.  » 

Questo  egli  vuole  che  si  faccia  per  prepararci  degnamente  a  tanto  Sacra- 
mento. Vuol  che  si  pensi  ad  acquistare  il  fuoco  di  carità  colla  memoria  della 
passione  di  Cristo  «  coli'  infìammarvisi  dentro,  animarvisi  dentro  e  tutti  voler 
portare  questa  croce  che  lui  ha  portata  per  noi.  »  E  appunto  questo  vuol  che 


(')  Chi  non  ricorda  qui  lo  pai  olo  di  San  Tommaso  nella  sua  ammirabile  sequenza:  «  Su- 
iti it  uutts,  tumunt  mille,  tantum  isti,  quantum  Uh,  nec  sumptun  consumila)'?  » 


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si  ricavi  dalla  dottrina  di  San  Tommaso  ;  e  a  tal  proposito  racconta  questo 
aneddoto  : 

«  E'  mi  disse  una  volta  un  filosofo  in  quelli  di  di  pasqua  che  si  era  stato 
in  casa  e  aveva  discusso  molto  bene  quelle  questioni  che  fa  San  Tommaso 
della  passione  di  Cristo  e  del  Sacramento  dell'Altare,  che  sono  molto  sottili, 
le  quali  stettero  bene  a  farsi  allora  per  impugnare  l'  opinione  degli  eretici  che 
erano  a  quel  tempo.  E  io  allora  da  me  dissi  :  Tu  hai  acquistata  poca  devozione. 
E' ci  vuol  altro  qua!  bisogna  la  purità  del  cuore  !  » 

Nelle  questioni  di  San  Tommaso  il  nostro  purissimo  asceta  e  profondo  teologo 
non  si  contentava  soltanto  di  trovar  materia  di  discussione  e  sottili  argomentazioni 
contro  gli  errori  degli  eretici,  ma  un  alimento  alla  pietà  vivissimo  e  sicuro. 

Dà  poi  le  norme  più  precise,  niente  parendogli  minuto  di  quanto  si  rife- 
risce a  tanto  Sacramento  :  «  E'  bisogna  venire  al  particolare  per  rispetto  di 
questi  piccolini;  perchè  gì'  imparino  come  hanno  andare  a  questo  Sacramento. 
Ora  state  attenti.  Io  voglio  che  vi  comunichiate  il  di  della  Pasqua,  perchè  quello 
è  il  dì  proprio,  che  ognuno  si  deve  comunicare  per  gaudio  della  resurrezione 
di  Cristo  ;  e  ognuno  in  quel  dì  debbe  diventare  nuovo  uomo  siccome  il  no- 
stro Salvatore  diventò  nuovo  uomo,  resuscitando  immortale  e  glorioso.  Fate 
adunque  che  siate  confessati  tutti  bene,  e  sabato  mattina  andate  all'  officio, 
dove  vi  piace  secondo  la  vostra  devozione.  Desinato  che  avete,  andrete  un 
poco  a  dormire,  per  soddisfare  la  natura;  perchè  avrete  a  vigilare  un 
poco  la  notte  seguente;  e  se  non  si  dà  il  debito  suo  a  questo  nostro  corpo, 
non  si  può  avere  poi  devozione  alcuna  della  mente,  e  stassi  tuttodì  intene- 
brato. Saria  buono  ancora,  che  a  compieta  si  serrasse  tutte  le  botteghe;  e  voi, 
acciocché  i  poveri  artefici  non  si  dolgano,  date  loro  un  poco  di  buona  man- 
cia. Così  le  donne  non  debbono  lavorare  più  quel  dì,  passato  compieta.  Voi, 
padri  di  famiglia,  ordinate  che  a  ventiquattro  ore,  sabato  sera,  tutti  siate  in 
casa  con  la  vostra  famiglia,  e  poi  ve  ne  andate  tutti,  uomini,  donne,  fanciulli, 
servi  e  serve  in  luogo  di  casa  vostra,  e  quivi  mginocchioni  direte  i  sette  salmi 
e  le  letanie,  chi  sa  leggere  ;  e  chi  non  sa  leggere  stia  ad  udire  con  devo- 
zione. E  poi,  fatto  questo,  ognuno  stia  così  un  poco  in  orazione  mentale,  e 
preghi  Dio  che  gli  dia  buon  frutto  a  pigliare  questo  santo  Sacramento;  e  di  poi 
immediatamente  ognuno  a  dormire.  Di  poi  a  mattutino  ognuno  si  levi  su,  e  il 
messere  (*)  della  casa  prima  degli  altri  vada  svegliando  e  chiamando  a  tutte  le 
camere,  come  facciamo  noi  frati.  (2)  Direi  che  ognuno  andasse  alla  chiesa  al 


(')  Ricordo  che  nel  linguaggio  fiorentino  il  messere  era  il  padron  di  casa,  la  madonna  la 
padrona. 

(a)  Che  queste  cose  in  Firenze  realmente  si  facessero,  risulta  dai  hiografi;  e  le  parole 
del  Savonarola  ne  sono  valida  conferma.  li  Pastor  piuttosto  che  deridere  la  strettezza,  la  scru- 
polosità e  lo  zelo  soverchio  del  Savonarola  che  alle  varie  attinenze  del  civile  consorzio  applica  le 
sue  vedute  di  claustrale,  perchè  non  si  ferma  pacatamente  ad  esaminare  donde  traesse  il  Frate 
tanta  potenza  da  impone  colla  sua  sola  parola  a  una  citta  la  più  colta  dell'Italia  e  al  tempo 
stesso  la  più  paganeggiante  una  pratica  di  vita  cristiana  cosi  perfetta  ?  Un  predicatore  tri- 
viale (Pastor,  pag.  139)  inquisitore  rigorista  (pag.  138)  che  rompe  in  escandescenze  (pag.  351)  sacri- 
lego e  blasfemo  (pag.  360,  140)  questi  effetti  non  li  ottiene. 


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mattutino;  ma  perchè  ho  paura  degli  scandali,  massime  nelle  donne;  sarà 
buono  che  vi  raduniate  un'altra  volta  in  quel  medesimo  luogo,  il  messere  e 
la  madonna  con  i  figliuoli  intorno,  e  i  servi  e  le  serve,  e  diciate  il  mattutino 
della  Madonna,  e  anche  Prima;  e  1'  uno  dica  e  l'altro  risponda,  chi  lo  sa  dire; 
chi  non  sa,  stia  ad  udire. 

«  E  di  poi  state  un  poco  in  contemplazione,  e  apparecchiatevi  a  quel  Santo 
Sacramento  ;  e  fatto  dì,  ve  ne  andate  con  gli  occhi  bassi,  con  riverenza,  con 
timore,  e  con  umiltà  alla  chiesa,  e  col  vostro  Signore;  e  quivi  state  con  silen- 
zio, non  parlate  niente,  se  non  quando  fosse  necessario;  e  quivi,  nella  chiesa 
della  vostra  parrocchia,  state  in  orazione,  tanto  che  sia  l'  ora  di  comunicarvi. 
Andate  adunque  devotamente  alla  Comunione,  e  non  siate  presuntuosi  di  vo- 
lere essere  ognuno  de'  primi.  E  voi  inferiori,  fate  che  serviate  alle  dignità 
delle  persone  da  bene,  non  per  onorare  il  ricco,  ma  perchè  il  Signore  ha  posto 
queste  dignità  e  distinzioni  in  terra,  e  vuole  che  sieno,  perchè  altrimenti  rovi- 
nerebbero le  città.  Voi  donne  non  siate  presuntuose,  e  quando  voi  vedeste 
che  una  vuole  andare  innanzi,  se  bene  fosse  inferiore  a  voi,  lasciatela  andare 
e  non  fate  scandalo.  Voi  fanciulli  miei,  notate,  perchè  bisogna  insegnare  an- 
cora a  voi  ;  non  mangiate  e  non  bevete  nulla,  nè  anchè  un  poco  di  acqua,  in- 
nanzi la  comunione;  e  se  voi  voleste  lavarvi  la  bocca,  quando  n'andasse  giù 
un  pocolino,  che  voi  non  ve  ne  avvedeste,  non  porta  niente.  Fanciulli,  quando 
pigliate  1'  osta,  aprite  la  bocca,  e  mandate  così  un  poco  la  lingua  innanzi,  per- 
chè alle  volte  nasce  scandalo  e  cadono  le  ostie.  Bisogna  insegnarvi  a  questo 
modo,  perchè  i  padri  vostri  non  vi  insegnano,  e  io  son  debitore  ai  piccoli  e 
a'  grandi. 

«  Dopo  che  vi  sarete  comunicati,  torni  ognuno  al  luogo  suo,  e  quivi  ringra- 
ziate devotamente  Iddio  dicendo:  —  Signor  mio,  io  ti  ringrazio  che  tu  mi  hai 
concessa  questa  grazia,  che  io  mi  sia  confessato  e  che  tu  mi  abbia  dato  questo 
santo  Sacramento;  io  ti  prego  che  tu  mi  voglia  perdonare  i  miei  peccati,  e 
trasformarmi  nel  tuo  amore,  e  che  tu  mi  dia  grazia  che  io  faccia  per  1'  avve- 
nire sempre  la  tua  volontà,  e  che  io  sia  teco  insino  alla  fine  mia. 

«  State  di  poi  all'ufficio  ognuno  alla  sua  parrocchia,  e  detto  l'ufficio,  tor- 
nate a  casa  tutti  con  silenzio;  e  se  fosse  alcuno  che  volesse  andare,  prima  che 
torni  a  casa,  insino  a  la  Nunziata  o  altrove  per  sua  devozione,  vada  con  silen- 
zio, ma  è  buono  in  quel  dì  non  andare  troppo  vagando.  Tornati  che  siate  a 
casa  tutti  con  gli  occhi  bassi  e  con  silenzio,  andrete  a  desinare  e  benedirete  la 
mensa  con  tre  Pater  nostri  e  tre  Ave  Marie:  saranvi  le  cose  benedette.  Il 
messere  le  pigli,  e  daranne  a  ciascheduno  la  parte  sua  insino  a'  servi.  Poi  de- 
sinato che  avete  con  silenzio,  starete  cosi  un  poco  a  tavola  e  ragionate  di  Dio, 
e  confortale  la  brigata  al  ben  vivere.  Di  poi  tutti  andrete  un  poco  a  dormire, 
perchè  non  potreste  altrimenti  avere  devozione  tutto  quel  di.  Di  poi  vi  leve- 
rete e  ritornerete  in  chiesa,  e  lì  starete  tutto  quel  giorno  insino  a  compieta.  Poi 
se  vi  paresse  andare  insino  alla  Nunziata  o  in  qualche  luogo,  andate,  ma  con- 
forto, massime  le  donne,  a  starsi.  Poi  la  sera  cenerete  sobriamente,  e  poi  an- 
date a  dormire,  e  il  lunedi  a  buona  ora  venite  alla  predica. 


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«  Se  voi  fate  così  e  andate  a  questo  santo  Sacramento  con  questa  devo- 
zione, voi  scamperete  da  molti  pericoli.  Di  poi,  fatto  Pasqua,  seguitate  nel  ben 
vivere,  e  non  tornate  indietro;  e  non  cominciate  a  scorrere  nelle  piccole  cose, 
perchè  si  viene  poi  alle  grandi.  Comincerete  adunque  fatto  Pasqua  a  dire:  Io 
voglio  prepararmi  all'altra  Pasqua,  e  vivere  bene,  altrimenti  verrà  a  voi,  come 
dice  Paolo,  che  molti  nella  primitiva  chiesa  non  andavano  bene  al  Sacramento, 
e  morivano:  e  però  chi  non  fosse  ben  preparato  si  apparecchi  di  andarvi  con 
quei  modi,  che  si  richieggono.  E  se  vi  andrete  bene  a  questo  Sacramento,  Cristo 
sarà  con  voi,  e  voi  con  lui,  e  scamperavvi  da  queste  tribulazioni,  nelle  quali, 
e  anche  di  poi,  starete  tutti  giocondi  e  allegri. 

«  Chi  frequenta  assai  questo  Sacramento  e  con  quelle  disposizioni  che  si 
ricerca  fa  frutto  grandissimo.  I  cristiani  hanno  da  operar  forti  cose,  patire  e  sop- 
portare, perciò  hanno  bisogno  di  molta  fortezza....  Ora  la  maggiore  fortezza  spi- 
rituale che  troviamo  è  nel  santo  Sacramento  dell'altare  il  quale  transustanzia 
l'anima  dell'  uomo  in  Cristo;  e  fa  a  rovescio  dal  cibo  corporale,  il  quale  si  con- 
verte e  transustanziasi  neh'  uomo;  ma  questo  transustanzia  V  uomo  in  Cristo. 

«  E  quando  questo  Sacramento  non  ti  fa  frutto  e  non  ti  tira  a  Cristo,  e  che 
tu  non  ti  senti  tirato  al  ben  vivere,  è  segno  che  quando  tu  lo  pigli,  tu  non  sei 
bene  disposto.  Domanda  un  buono  sacerdote  quando  si  sente  più  gagliardo,  e 
i  più  acceso  nel  ben  vivere  :  quando  egli  ha  preso  bene  questo  Sacramento.  E 
j  però  questo  è  una  gran  fortezza  che  ha  lasciata  Cristo  ali'  uomo.  —  La  carne  di 
j  Cristo  è  piena  di  grazia  e  di  Spirito  Santo,  ed  è  ancora  saporita  a  chi  la  man- 
gia; perchè  molti  sacerdoti  dicono,  che  ne  sentono  gusto  in  su  la  lingua  molto 
1  soave,  e  non  solamente  sentono  dilettazione  quanto  all'intelletto,  ma  anche 
quanto  al  gusto  della  lingua.  Per  questo  diceva  San  Tommaso,  che  Cristo  co- 
municando i  suoi  discepoli,  comunicò  ancora  sè  di  questo  Santo  Sacramento, 
non  per  acquistare  più  grazia,  ma  per  quella  dilettazione....^  0  sacerdote  felice, 
quando  tu  hai  il  tuo  Signore  nelle  mani  !  Credilo  a  me,  che  si  sentono  gusti 
e  cose  mirabili.  Nella  memoria  del  sacerdote  si  appresentano  i  beneficj ,  che 
I  ci  ha  fatti  Dio;  neh'  intelletto  la  sapienza  sua;  negli  occhi  la  presenza  del  suo 
;  Signore,  e  tutti  i  sensi  hanno  dilettazione  mirabile.  E'  fu  un  padre,  il  quale 
aveva  un'infermità:  era  costui  di  una  santa  vita,  e  di  un  grande  fervore;  ed 
I  una  volta  celebrando,  e  avendo  il  Sacramento  nelle  mani,  gli  disse  con  un 
I  grande  fervore  di  fede  :  —  Signore,  guariscimi,  altrimenti,  io  non  ti  lascierò 
mai,  se  tu  non  mi  guarisci.  —  Per  la  qual  cosa,  innanzi  che  si  partisse  di  quivi, 
|j  lo  guarì.  Sicché  grandissima  soavità  e  dolcezza  si  trova  in  questo  Sacra- 
li mento....  —  Veggiamo  che  tutti  coloro  che  vanno  a  questo  Sacramento  con 
|  quella  preparazione  e  devozione,  che  si  debba,  tutti  diventano  sempre  migliori. 
,;  E  per  contrario,  veggiamo  che  tutti  quelli,  che  pigliano  quel  Sacramento  non 
bene  preparati  diventano  sempre  più  cattivi....  Questo  Sacramento  è  di  grande 
I  consolazione  agli  uomini....  esso  ti  leva  su  pian  piano  alla  contemplazione  della 
divinità;  e  t'illumina  a  cose  grandi,  e  unisce  in  un  cuore  e  in  un'anima  tutti 


(')  Cfr.  S.  Tommaso,  Summa  Tlieol.,  P.  HI,  qu.  81,  art.  1. 


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quelli  che  devotamente  e  veramente  lo  pigliano.  Esso  è  cosa  mirabile  e  da  far 
maravigliare  ognuno.  (*) 

«  Chi  frequenta  assai  questo  Sacramento,  (il  quale  si  vuole  reiterare  spes- 
so), e  con  quelle  disposizioni  che  si  ricerca,  fa  frutto  grandissimo....  Condu- 
cono a  questo  Sacramento  l'amore  e  il  timore.  Il  Centurione,  che  non  volle  che 
il  Salvatore  entrasse  in  casa  sua,  ma  disse  :  Signore  mio,  io  non  son  degno 
che  tu  entri  in  casa  mia;  ma  di  la  parola  tua,  e  sarà  salva  l'anima  mia,  si- 
gnifica il  timore.  Zacheo  significa  l'amore,  il  quale  tutto  si  allegrò  quando  il 
Signore  volle  entrare  in  casa  sua;  e  venne  tutto  festivo  a  riceverlo.  Sicché 
l'amore  e  il  timore  son  quelli  che  debbono  menar  l'uomo  al  Sacramento.  Dice 
Sant'  Agostino:  —  La  comunione  ogni  giorno  io  non  la  lodo  e  non  la  biasimo; 
ma  pur  mi  credo  che  sia  da  comunicarsi  le  domeniche.  —  Vedi  adunque  che  al- 
lora si  comunicavano  gli  uomini  ogni  domenica.  E  ora  molti  religiosi  stanno 
un  mese  da  una  volta  all'altra,  ed  i  secolari  un  anno.  Dice  San  Tommaso: 
—  Se  uno  si  comunicasse  ogni  dì,  e  sente  che  la  devozione  cresca,  e  la  re- 
verenza del  Sacramento  non  manchi,  che  debba  continuare  la  comunione. 
Ma  se  lui  vedesse  che  la  reverenza  diminuisse,  e  che  mancasse  la  devozione, 
debba  astenersi  qualche  volta  dalla  comunione.  Ma  se  tu  dubitassi  e  non  sa- 
pessi discernere  se  tu  cresci  o  manchi  in  devozione  e  reverenza,  dice  San  To- 
maso che  gli  è  meglio  Zacheo  che  il  Centurione,  cioè  1'  amore  che  il  timore.  — 
Comunicati  ogni  dì  spiritualmente,  cioè  odi  ogni  mattina  messa,  e  comuni- 
cati spiritualmente  col  sacerdote,  e  prega  Dio  che  ti  dia  e  t'  aumenti  il  lume 
di  viver  bene  :  comunicati  anche  sacramentalmente  spesso,  cioè  secondo  il 
consiglio  del  tuo  confessore.  »  (2) 

«  Io  vorrei  che  voi  imparaste  pur  a  vivere  ormai  da  cristiani  e  che  voi 
steste  confessati  e  comunicati,  e  che  ogni  volta,  che  voi  aveste  male,  alla  prima 
febbre  mandaste  pel  confessore,  e  vi  confessaste,  e  poi  vi  comunicaste.  E' sono 
alcuni  che  dicono  che  non  vorrebbero  udire  quella  campanella  venire  a  casa  : 
credimi  che  se  tu  hai  a  noia  di  sentirla,  e  se  tu  guardi  ai  rispetti  del  mondo, 
e  se  tu  te  ne  vergogni,  questo  è  mal  segno  in  medicina!  Inoltre  egli  è  una  gran 
vergogna  che  il  Sacramento,  quando  va  per  la  vostra  terra  ad  un  infermo, 
vada  solo  !  E' si  vorrebbe  mettere  questa  usanza,  che  in  ogni  parrocchia, 
quando  il  prete  porta  il  Sacramento  ad  un  infermo,  si  desse  quattro  botte  alla 
campana,  o  simile  modo,  e  ognuno  andasse  fuori  con  lumi  ad  accompagnarlo. 
Il  Sacramento  si  chiama  viatico,  perchè  ti  dà  in  questa  vita  grazia  e  fortezza 
a  passare  in  vita  futura. 

«  Sono  ancora  molte  parrocchie,  dove  si  tiene  il  Sacramento  con  poca  ri- 
verenza; il  che  è  grandissima  vergogna!  Non  si  debbe  far  cosi;  anzi  si  debbe 
tenere  con  ogni  onore  e  reverenza. 

«  Concludendo  adunque  dico,  che  dovete  credere  e  tenere  questo  per  vo- 
stro vero  Iddio,  e  comunicarvi  spesso  e  non  v'indugiare  all'  ultimo.  » 


(*)  Cfr.  S.  Tommaso,  L  o.  tutta  la  qu.  79. 
(*)  Cfr.  S.  Tommaso  L  c.  qu.  80,  art.  10. 


—  49  — 


E  concludendo  anche  noi,  chiediamo  al  Pastor  se  non  gli  piaccia  que- 
st' ascetica  Savonaroliana;  e  s' egli,  cercando  il  bene  nell'epoca  del  risorgi- 
mento, abbia  letto  altrove,  intorno  all'  augustissimo  Sacramento,  pagine  più 
vere,  più  belle  e  più  care  di  queste;  e  se  par  giusto  passarsela  senza  dire  un 
motto,  nè  fare  un  cenno  dell'  amore  e  dello  zelo  di  Fra  Girolamo  per  il  Sacra- 
mento dell'  altare,  e  se  ha  fatto  cosa  tollerabile  con  ridersi  delle  feste  che 
l'ardente  domenicano  celebrava  in  Firenze  per  eccitare  il  popolo,  e  i  fanciulli 
in  ispecie,  a  devozione!! 

Ma  io  devo  tornare  al  mio  principio:  leggete  prima,  e  poi  giudicate.  (*) 


(')  Riguardano  direttamente  il  SS.  Sacramento  anche  il  Trattato  del  Sacramento  e  Ce' mi- 
steri della  Jlessa,  il  cap.  17  del  libro  III  del  Trionfo  della  Croce;  la  Lettera  ad  una  devota  donna 
bolognese,  1497:  Sulla  comunione  frequente;  i  Sermoni  Vili,  IX,  X  e  XI  sulla  I  epistola  di 
San  Oiovanni,  e  più  altri. 


4 


VI. 


La  Vergine  Maria  e  Girolamo  Savonarola. 


Sommario. 

Il  culto  della  Vergine  segno  di  religione  nell'  Italia  all'  epoca  del  rinascimento.  —  Belle  e  vere  parole 
del  Pastor.  —  Il  Savonarola  predicatore  insigne  della  Tergine  benedetta.  —  Si  conforta  lo  storico 
d' Iunsbruck  a  leggere  alcune  prediche  dall'  Asceta  Domenicano.  —  Lodi  alla  esposizione  della 
Salutazione  Angelica  di  Fra  Girolamo.  —  La  Tergine  lontana  di  grazie  agli  uomini.  —  Beneme- 
renze del  Savonarola  verso  le  arti.  —  Frutti  ottenuti.  —  Sentenze  del  Pastor  che  non  meritano 
considerazione.  —  Le  figure  nelle  chiese  son  libri  per  i  fanciulli  e  gì'  illetterati.  —  Quali  imma- 
gini voleva  pel  culto  il  Savonarola.  —  Benemerenze  del  Savonarola  verso  la  poesia.  —  Il  Savo- 
narola poeta  di  Maria.  —  La  festa  dell'  Assunta  in  San  Marco  1'  anno  1497.  —  Il  Pastor  per 
ignorare  le  cose  del  Savonarola  s'  accosta  al  ridicolo.  —  Fu  passo  del  Savonarola  rispetto  alla 
Tergine.  —  La  lode  di  Moria  dev'  esser  grande.  —  La  bellezza  di  Maria  cava  il  cuore  ai  Fioren- 
tini. —  Una  domanda  del  Savonarola  a'  Filosofi.  —  Maria  che  prega  per  1'  umana  natura.  —  Si 
vuole  Maria  Kegina  di  Firenze.  —  Maria  interceditrice  per  i  Fiorentini.  —  Preghiera.  —  Maria 
vite  che  fruttifica  soavità  di  odori  parla  agli  uomini.  —  Maria  madre  del  beli'  amore  e  del  ti- 
more e  della  cognizione  e  della  santa  speranza  parla  alle  donne.  —  Maria  speranza  di  vita  di  ve- 
rità e  di  virtù  parla  ai  fanciulli.  —  Si  chiude  con  un'  altra  preghiera. 

Un  altro  segno  della  religiosità  dell'  Italia  all'  epoca  del  risorgimento  il 
Pastor  lo  trova  nel  culto  della  Vergine  Maria.  Son  belle  e  care  quanto  vere  le 
parole  che  scrive  egli  a  tal  riguardo:  «  Il  culto  della  Vergine  benedetta  era,  come 
in  generale  fu  sempre  in  Italia,  oltremodo  grande  anche  allora.  Nobili  e  plebei, 
papi  e  principi  come  semplici  cittadini  e  gente  del  contado  andavano  a  gara 
nel  culto  della  Madonna.  L'  arte  e  la  poesia  facevano  il  possibile  in  glorifica- 
zione della  Madre  del  Signore.  Innumerevoli  chiese  e  cappelle  erano  a  lei  de- 
dicate, le  sue  immagini  miracolose  si  avevano  in  conto  di  tesoro  il  più  prezioso 
delle  città,  e  venivano  in  tempi  calamitosi  portate  in  solenne  processione  per 
le  vie.  Con  tenera  fiducia  si  aveva  ricorso  alla  Madre  della  grazia  »  (p.  64). 

Son  belle,  son  care  queste  parole;  ci  piace  ripeterlo;  ma  non  sappiamo 
del  pari  tenerci  dal  ripetere  un'  altra  volta  che  il  Pastor,  appunto  perchè  seppe 
scrivere  cose  tanto  belle  e  care  e  vere,  se  avesse  studiato  nel  Savonarola, 
avrebbe  preso  non  poco  di  ammirazione  e  letizia.  Imperocché  il  Frate  di  San 
Marco  insegna  e  predica  della  Vergine  Maria  cose  care  e  belle  quanto  pochi 
altri  fanno;  ed  ha  1'  anima  tutta  piena  d'amore  e  d' infocato  zelo  per  1'  eccelsa 


-  51  - 


Regina!  Così,  anche  a  questo  punto,  avrebbe  potuto  1'  egregio  storico  de'  Papi, 
ammirare  e  citare  un  altro  modello  esimio  di  cultori  della  Madre  divina,  e 
accrescere  la  sua  letizia  nel  vedere  la  religiosità  che  spira  dalle  prediche  del- 
l' Oratore  domenicano  e  dall'  entusiasmo  che  quindi  si  trasfondeva  nel  popolo 
di  Firenze  per  la  gran  Donna.  Cose  di  paradiso  son  veramente  le  prediche  re- 
citate da  Fra  Girolamo  in  laude  di  Maria.  Legga  il  critico  d' Innsbruck  almeno 
la  XIII,  la  XIV",  la  XV  sulla  Ia  di  San  Giovanni;  la  XIX  sopra  il  Salmo  Quam 
Bonus;  la  XII  sopra  Giobbe;  la  XVIII  sopra  i  Salmi;  la  XLIV  sopra  Amos  e 
Zaccaria;  la  XVIII  sopra  Ruth  e  Michea  ;  legga  queste  prediche  il  critico  d' In- 
nsbruck, e  poi  sappia  dirne  s'  egli  conosca  fra  gli  scritti,  anche  fra  quelli  dei 
Santi,  dell'età  del  risorgimento  pagine  più  sublimi,  più  fervide,  più  poetiche 
di  queste;  sappia  dirne  se  l' Italia  d*  allora  ha  inni  di  lode  e  di  affetto  per  la 
Vergine  Eenedetla  più  belli  di  queste  prediche  ch'eruppero  dalla  infocata 
anima  del  Frate  di  San  Marco  !  Legga,  e  poi  trovando  che  coloro  i  quali  rac- 
coglievano le  prediche  dalla  viva  voce  del  Frate,  allorché  questi  parlava  della 
Vergine,  si  sentivano  cader  la  penna  di  mano  e  pieni  l'  anima  di  commozione 
e  di  piacere,  più  non  volevano  scrivere,  nè  più  potevano,  anche  se  l'avesser  vo- 
luto, ne  dica  se  questo  ci  debba  far  maraviglia,  o  non  piuttosto  sia  esso  un 
fatto  naturalissimo!  Chi  poteva  reggere  a  tanto  fuoco,  a  tanto  amore,  a  tanta 
sublimità?  La  piena  della  dolcezza,  sentendo  Girolamo  Savonarola,  doveva 
allora  giungere  al  sommo!  (Conf.  la  XIII.  sopra  Giobbe.) 

Che  diremo  poi  dell'  aurea  esposizione  che  Fra  Girolamo  scrisse  della  Sa- 
lutazione Angelica?  Essa  non  è  lunga;  procuri  adunque  di  leggerla  il  Pastor, 
e  si  persuaderà  che  le  anime  pie  e  amanti  della  Piena  di  grazia  non  possono 
desiderare  cosa  più  dolce;  si  persuaderà  (ne  siam  certi)  che  difficilmente  si  può 
trovare,  all'epoca  del  risorgimento,  un'anima  che  meglio  del  Savonarola  cono- 
scesse la  grandezza  della  Madre  di  Dio,  e  la  venerasse  con  un  culto  più  intiero 
e  affettuoso. 

Nè  alcuno  potrà  fare  le  maraviglie  di  tanta  devozione!  Il  Savonarola 
riteneva  ciò  che  insegnano  e  credono i  migliori  asceti  cattolici;  riteneva,  come 
dice  nella  XVIII  sopra  Ruth  e  Michea,  che  le  grazie  di  Dio  agli  uomini  ven- 
gono per  mezzo  di  Maria:  «  Cristo  sparge  la  grazia  nella  Vergine,  e  Lei  la 
diffonde  in  noi;  »  onde  Ti  voleva  pregata  incessantemente,  o  Gloriosa  e  Piis- 
sima,  e  cantava  di  Te  : 

«  Tu  sei  certa  speranza 
Di  tutti  gli  om  mundani  ; 
Ch'  in  te  non  ha  fidanza 
Si  voi  volar  senza  ali.  (') 
O  carità, 
Somma  pietà. 

Chi  non  ricorre  a  te,  niente  fa.  »  (Poesia  IX.) 

(')  «  Donna,  se'  tanto  grande  e  tanto  vali, 

«  Che  qual  vuol  grazia  e  a  te  non  ricorre, 
«  Sua  disianza  vuol  volar  senz'  ali.  » 

Dante,  Paracl.,  c.  33. 


—  52  — 


Si  vuol  venire  a  qualche  particolare? 

«  L'arte  e  la  poesia  (dice  il  Pastor)  facevano  il  possibile  in  glorificazione  della 
Madre  del  Signore.»  Ora  è  noto  a  tutti  quanto  Fra  Girolamo  si  sia  adoperato  per- 
chè l'arte  glorificasse  davvero,  e  non  profanasse  questo  soggetto  purissimo.  Già 
nella  predica  XIV  sulla  I"  di  San  Giovanni  diceva  l'ottimo  estetico-asceta:  «  Leggesi 
della  Beata  Vergine,  e  così  dicesi  essere,  che  tanto  in  lei  abbondava  la  divina  gra- 
zia, che  niuno  la  poteva  riguardare  con  desiderio  cattivo;  anzi  tutti  quelli  che  ri- 
guardavano in  lei,  come  in  sè  avesse  non  so  che  di  divino,  erano  costretti  di  farle 
riverenza.  »  E  più  volte  ripete  eh'  ella  vestiva  semplicemente  e  inspirava  tutta 
purità  e  modestia.  Onde  non  poteva  contenere  lo  sdegno  contro  quei  pittori 
che  la  presentavano  come  donna  quasi  mondana.  Son  conosciutissime  le  pa- 
role della  predica  XVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria  che  gridano  contro  l'usanza 
invalsa  allora  di  copiare  persone  reali  per  vergini  e  santi  da  venerare  nell 
chiese,  anziché  ritrarre  i  tipi  cristiani  tradizionali:  «  Voi  dipintori,  fate  male 
chè  se  voi  sapeste  lo  scandalo  che  ne  segue  e  quello  che  so  io,  voi  non  le  dipi 
gereste  le  figure  nella  chiesa  a  similitudine  di  quella  donna  e  di  quell'  altr 
Voi  mettete  tutte  le  vanità  nelle  chiese:  Credete  voi  che  la  Vergine  Maria  andass 
vestita  (l)  a  questo  modo,  come  voi  la  dipingete?  Io  dico  che  ella  andava  ve- 
stita come  poverella  semplicemente,  e  coperta,  che  a  pena  se  le  vedeva  il 
viso....  Voi  farete  un  gran  bene  a  scancellare  queste  figure  che  son  dipinte  così 
disonestamente:  voi  fate  parere  la  Vergine  Maria  vestita  come  una  me- 
retrice. » 

Del  resto  ognuno  conosce  il  bene  che  Fra  Girolamo  ottenne  in  questo 
campo  dell'arte  e  la  lunga  schiera  di  artisti  che  mossi  dalla  santa  parola 
del  severo  estetico,  lasciate  le  vanità,  lavorarono  con  ispirito  e  intento  cri- 
stiano. Dopo  gli  scritti  del  Rio,  del  Marchese,  del  Guasti  e  di  molti  altri  a 
questo  riguardo,  il  Pastor  non  doveva  assolutamente  lasciarsi  uscir  dalla 
penna  alcune  espressioni  erronee  o  poco  precise  che  osò  porre  nel  suo  li- 
bro ;  e  ci  move  poi  a  sdegno  e  ci  fa  pena  quando,  a  pagina  132,  scrive  gra- 
tuitamente «  che  parecchi  giudizj  del  Savonarola  rispetto  all'  arte  non  si  pos- 
sono scusare  di  parzialità  e  rigore  eccessivo!  »  (pag.  132). 

Per  non  riconoscere  in  questo  campo  il  completo  ed  eccezional  merito 
di  Fra  Girolamo  bisogna  esser  ciechi;  o  almeno  lasciar  in  un  canto  i  principi 
dell'  estetica  cattolica,  negare  1'  origine  divina  del  bello,  il  fine  morale  santis- 
simo dell'  arte,  condannare  la  scuola  mistica  e  l' idealistica,  la  scuola  cristiana, 
per  seguire  la  naturalista,  la  pagana,  o  almeno  professar  la  teorica  dell'arte 
per  l'arte.  Solo  un  verista  potrà  sottoscrivere  logicamente  e  senza  riserva 
alla  sentenza  del  Pastor,  un  cattolico  schietto,  che  conosca  le  Opere  del  Savo- 


(l)  Citando  questo  passo  il  Pastor  invece  di  vestita  leggo  dipinta,  appunto  come  il  Vii- 
lari  (voi  I  pag.  (90);  con  ciò  il  passo  non  ha  più  senso  e  apparo  chiaro  che  non  ha  letto  il 
Savonarola  nè  il  l'astor,  nè  il  suo  traduttore  ma  ha  semplicemente  trascritto  d  .1  Villari  sali" 
W  altra  cura  (p»g.  18B). 


—  53  — 


narola,  non  mai  !  Anzi  noi,  per  quanto  si  legge  più  innanzi  nel  libro  stesso  del 
Pastor,  vogliamo  credere  eh'  egli  stesso  correggerebbe  la  sua  sentenza  e 
forse  anche  la  casserebbe  affatto,  ove  conoscesse  a  pieno  la  teorica  del  Frate. 
In  ogni  caso,  se  questi  giudizj  rigorosi  e  troppo  parziali  nel  Savonarola  vi  sono, 
pregheremmo  il  Pastor  di  dirci  quali  siano  essi  mai,  e  dove  si  leggano,  e  se, 
in  ogni  modo,  non  meritino,  avuto  riguardo  a' tempi,  un'interpretazione  be- 
nigna. 

Per  Fra  Girolamo  1'  arte  doveva  movere  al  bene  non  pure  i  letterati  e  i 
colti,  ma  ancora  più  coloro  che  non  sapevano  lettere;  e  specialmente  i  fan- 
ciulli piccolini;  i  quali,  come  ben  osserva  l'egregio  Pedagogista,  si  movono 
ad  amare  Cristo  e  le  cose  spirituali  col  corpo  e  con  le  qualità  sensibili,  come 
le  piante,  che  si  movono  al  crescere  e  alla  vita  per  la  virtù  dell'  anima  ve- 
getativa che  hanno.  «  Vien  qua,  figliuolo  mio;  tu  non  hai  lettere;  tu  se' fan- 
ciullo, o  donna  ;  il  nostro  Signore  dà  consolazione  ad  ognuno.  Leggesi  di  Santa 
Paola,  che  Dio  le  mostrò  quel  Bambino  Gesù,  del  quale  lei  fu  molto  consolata. 
Sicché  si  movono  i  fanciulli  e  le  donne  come  le  piante,  col  corpo,  e  con  le 
qualità  sensibili.  Le  figure  delle  Chiese  sono  i  libri  di  questi  tali;  e  però  si 
vorria  provvedere  anche  meglio  che  i  pagani.  Gli  egizj  non  lasciavano  dipin- 
gere figure  disoneste.  E  prima  si  vorria  fare,  che  si  levassero  via  le  figure  ino- 
neste, e  non  si  dipingesse  cose  grosse,  che  muovono  a  riso.  E'  si  vorria,  che 
nelle  chiese  non  dipingessero  se  non  buoni  maestri,  e  cose  che  s;eno  oneste. 
Se  dipingano  la  Vergine,  farla  con  ogni  onestà  come  lei  andava.  »  (Sopra  Eze- 
chiele, XXVII).  «  Aristotele  che  era  pagano,  dice  nella  Politica  che  non  si  debba 
far  dipingere  figure  disoneste  rispetto  ai  fanciulli,  perchè  vedendole  diventano 
lascivi.  Ma  che  dirò  io  di  voi  dipintori  cristiani  che  fate  quelle  pitture  spetto- 
rate che  non  sta  bene?  Non  le  fate  più.  Voi  a  chi  s'appartiene  dovreste  fare 
incalcinare  e  guastare  quelle  figure  che  avete  nelle  case  vostre  che  sono  di- 
pinte disonestamente,  e  fareste  un'  opera  che  molto  piaceria  a  Dio  e  alla  Ver- 
gine Maria.  >  (Predica  V,  sopra  Amos.)  (*) 

Del  resto  quali  immagini  della  Madonna  volesse  nelle  chiese  Fra  Giro- 
lamo, possiamo  anche  raccoglierlo  dal  Burlamacchi  :  Voleva  immàgini  singo- 
larissime e  di  tanta  bellezza  che  propriamente  vive  paressero,  e  chi  le  guar- 
dava non  si  potesse  mai  saziare  (pag.  83). 

Perciò  che  riguarda  la  poesia  e  la  Vergine  benedetta,  Fra  Girolamo  fu 
più  felice  ancora  che  non  nelle  arti  figurative;  perchè  oltre  all'aver  potuto  per- 
suader molti  a  lasciar  le  poesie  de'  pagani  e  poetare  cristianamente,  oltre  al- 
l'essere  riuscito  a  bandire  da  Firenze  i  canti  carnascialeschi,  e  a  farvi  risuo- 
nare canzoni  spirituali;  potè  non  solo  dare  una  sana  teorica  poetica,  ma 
scrivere  e  comporre  egli  stesso  poesie  non  ispregevoli  a  lode  di  Cristo  e  di 


(')  Abbiamo  speranza  di  poter  altra  volta  scriver  di  proposito  dull'arte  secondo  Fra  Gi- 
rolamo e  perciò  ora  non  insistiamo  di  più. 


—  54  — 


Maria  Santissima.^)  E  queste  poesie  dovrebbe  conoscerle  il  Pastor,  imperocché 
ne  cita  il  titolo  e  1'  edizione  splendida  che  ne  fece  il  Guasti.  Legga  adunque 
almeno  quelle  segnate  co' numeri  VII,  Vili,  IX  e  vedrà  i  bei  pensieri  e  gli  af- 
fetti che  Girolamo  Savonarola  sa  esprimere  per  Maria,  e  conoscerà  che  il 
Frate  di  San  Marco  merita  un  posticino  anch'  egli  fra  coloro  che  celebrarono 
in  versi  1'  eccelsa  Donna. 

Delle  feste  che  il  Savonarola  celebrava  in  onore  della  Vergine  e  per  im- 
petrarne 1'  aiuto  e  la  protezione  parleremo  in  altra  parte  di  questo  lavoro;  qui, 
a  volerne  dare  un  cenno,  crediamo  che  non  sia  nè  anco  il  caso  ch'usciamo  dal 
luogo  citato  del  Burlamacchi.  L'anno  1497  il  giorno  dell'Assunta,  giorno  as- 
sai caro  all'  asceta  Fiorentino,  dopo  cessata  la  peste  che  aveva  minacciato  la 
desolazione  in  Firenze,  «  ordinò  il  Padre  che  tutte  le  porte  del  Convento  stes- 
sero aperte,  e  così  gran  quantità  di  secolari  entrò  nel  secondo  chiostro,  dov'era 
preparata  una  bella  e  devotissima  cappella  in  onor  della  Madonna  con  mira- 
bile artificio  fabbricata  con  un  altare  di  rara  bellezza,  con  un'  immagine  sin 
golarissima  di  rilievo  della  Vergine  gloriosa  che  tenea  in  braccio  il  Bambin 
addormentato,  l'uno  e  l'altra  di  tanta  bellezza,  che  propriamente  vivi  par 
vano,  e  chi  li  guardava  non  si  poteva  mai  saziare.  Sedeva  la  Vergine  Santa 
sopra  un  trono,  ai  gradi  del  quale  erano  scritti  a  lettere  d'  oro  cinque  brevi, 
che  laudavano  e  pregavano  la  Madonna,  come  quello  :  Recordare,  Virgo  Ma- 
ter,  ecc.  Così  il  cielo  e  i  lati  della  cappella  erano  ricchissimi  di  drappi  d'oro  e 
di  seta  con  molti  ramoscelli  sparsi  di  oliva,  e  d'altre  piante,  delle  quali  si  fa 
menzione  nel!'  Epistola  di  quel  giorno,  ciascun  de'  quali  aveva  un  breve  pen- 
dente, siccome  il  cedro:  Quasi  cedrus  exaitata  sum  in  Libano;  e  il  cipresso: 
Quasi  cipressus  in  monte  Sion;  e  così  gli  altri.  Or  dopo  vespro,  essendo  venuti 
molti  secolari  in  grandissimo  numero,  venne  il  Padre,  e  fece  prima  cantare  il 
vespro  ordinario  della  Madonna,  di  poi,  sedendo  tutti  sopra  d'  alcune  panche 
qui  preparate  cominciò  un  bellissimo  discorso  sopra  I'  istoria  di  Tobia  e  con 
quella  storia  concordò  l'epistola  di  quel  giorno  esponendo  tutti  quasi  i  brevi 
con  mirabile  arte,  con  tanta  dolcezza  e  consolazione  degli  audienti,  che  pa- 
reva loro  essere  in  paradiso.  Dopo  il  sermone  fece  una  devotissima  ora- 
zione a  quella  Vergine;  la  quale  fornita,  si  ridussero  tutti  alla  compieta  in 


(*)  Una.  di  queste  poesie  fu  da  San  Filippo  Neri  fatta  musicare  al  Palestrina,  perchè  la 
cantassero  i  giovani  dell'Oratorio  di  Roma.  V.  Uapccelatro,  Vita  di  San  Filippo  Neri,  lib.  Ili, 
cap.  Vili.  Essa  comincia: 

Gesù  sommo  conforto 
Tu  sei  tutto  il  mio  amore, 
Tu  il  mio  beato  porto 
E  santo  Redentore. 


O  gran  bontà  !  dolce  pietà, 
Kolico  quel  elio  teco  unito  sta. 
Guasti,  Poesie  traile  dall'  autografo,  pag.  21. 


—  oo   


chiesa.  »  (Vedi  anche  da  pag.  104  a  pag.  112,  e  il  Nardi,  Istor.,  II,  pag.  104 


Oh!  se  il  Pastor  avesse  conosciuto  le  opere  e  meditata  un  poco  la  vita 
di  Girolamo  Savonarola,  certo  nel  parlar  della  Vergine,  avrebbe  potuto  dire 
qualche  cosa  che  non  disse,  e  parlare  meglio  che  non  parlò  del  grande 
Asceta  domenicano  ! 

A  pagina  64  per  l' ignoranza  delle  cose  del  Savonarola  riguardo  a  Maria, 
poco  manca  che  non  ci  riesca  ridicolo  1'  egregio  storico  de'  papi:  «  Si  trova  che 
intere  città,  come  p.  e.  Siena  nell'  anno  1483,  si  consacrarono  alla  Regina  del 
cielo.  Il  Savonarola  l' imitò  più  tardi,  allorché  in  mezzo  alle  più  vive  acclama- 
zioni dichiarò  Cristo  re  di  Firenze.  » 

0  egregia  e  rara  imitazione  invero,  o  prova  veramente  forte  e  belh  di 
culto  per  la  Vergine  benedetta,  questo  proclamar  Cristo  re  di  Firenze!!  Cri- 
sto la  Vergine  sono  forse  una  stessa  persona?!!  Ho  inteso:  il  Pastor  vuol 
dire  che  il  Savonarola  imitò  il  costume  di  consacrare  la  città  alla  Vergine  in 
questo  che  consacrò  Firenze  a  Cristo;  ma  se  il  Pastor  avesse  letto  le  opere 
del  Frate  di  San  Marco,  avrebbe  veduto  che  quegli,  come  voleva  Cristo 
a  re  di  Firenze,  così  proprio  voleva  a  regina  di  Firenze  Maria;  e  allora  sì 
che  l'imitazione  avrebbe  potuto  scorgerla  vera  e  completa!  Allora  avrebbe 
potuto  con  coscienza  di  storico  aggiungere  che  in  mezzo  alle  acclamazioni 
fra  le  quali  Firenze  dichiarava  suo  re  Cristo,  il  Savonarola  voleva  dichiarata 
deipari  regina  della  città  Maria  1  Volete  leggere  qualche  passo  del  grande 
Riformatore  al  riguardo?  Ecco: 

Il  Savonarola  parla  al  popolo  suo  diletto:  «  Tu  sai,  gli  dice,  quante  la- 
crime furono  sparse  quando  si  sentivano  quelle  voci  puerili  cantare  le  laudi 
del  Nostro  Salvatore  Gesù  Cristo  e  della  sua  Madre  Maria  gridando  spesso  ad 
alta  voce:  Viva  il  signor  Gesù  Cristo  Re  nostro  e  la  Regina  sua  Madre,  Ver- 
gine Maria!  »  (Predica  I  su  Amos  e  Zaccaria). 


(*)  Neil'  edizione  delle  Prediche  del  Savonarola  per  tutto  Vanno,  di  Venezia  1520,  ci  ò  stata 
conservata  la  laude  latina  che  cantavasi  a  Maria  per  esser  preservati  dalla  pestilenza  : 


e  seg.).  (*) 


Funde  preces  in  coelis 
Maria  stella  maris. 


Tu  tota  es  formosa, 
Tu  tota  speciosa, 
Tu  tota  gratiosa, 
Maria  stella  maris, 


Remove  cito  peccata, 


Unde  vota  sint  grata 


Tu  es  norma  justorum, 
Tutela  peccatorum, 
Laetitia  sanctorum, 
Maria  stella  maris. 


Omniumque  prolata, 
Maria  stella  maris. 


A  Deo  benedicta 
Ab  angelo  jam  dieta, 
In  cjelis  descripta 
Maria  stella  maris. 


Eja  glorificata 
Et  euro  Christo  locata 
Sis  nostra  advocata 
Maria  stella  maris. 


Alta  onda  coelorum 
Et  ilecus  anselorum, 
Audi  preces  peccatorum 
Maria  stella  maris. 


Ut  a  morbo  pestilenti^ 
Et  ab  omni  pravo  scelere 
Nos  dei'ondat  scmper  et  hodie, 
Maria  stella  maris.  Amen. 


—  56  — 


«  Che  diremo  delle  laudi  della  Regina  nostra?  io  non  so  come  lau- 
darla a  sufficienza,  chè  non  si  può.  —  Oh  come  non  sai  tu  laudarla?  tu  hai 
laudato  il  Signore,  che  è  maggiore  assai  di  Lei.  —  Io  non  ho  fatto  a  suffi- 
cienza alla  millesima  parte,  anzi  non  a  modo  nessuno  senza  comparazione. 
0  Maria,  la  tua  laude  deve  essere  grande,  e  dobbiamo  assai  laudarti,  la  tua 
bellezza  ci  ha  cavato  il  cuore.  0  Maria,  madre  di  Dio,  tu  se'  la  madre  del 
Creatore;  questa  è  grandissima  laude;  e  non  si  può  laudare  te,  che  non  si' 
laudi  il  tuo  Figliuolo.  —  0  filosofo,  come  può  essere  questo,  che  colui  che  ha 
creato  1'  universo,  che  ha  il  mondo  in  mano,  che  è  in  ogni  luogo,  che  è  atto 
puro,  che  può  fare  mille  mondi,  che  può  disfarlo  a  sua  posta,  che  è  primo 
principio,  e  che  è  fine  d'  ogni  cosa,  come  può  esser,  dico,  che  questo  tale  sia 
figlio  di  una  donna?  Ed  è  pur  vero.  —  0  Maria,  la  tua  bellezza  piacque  tanto 
al  Padre  eterno,  e  la  tua  umiltà,  che  ti  elesse  sola  fra  le  altre  donne.  Tu, 
Maria,  conoscevi  te,  e  consideravi  Dio;  e  conoscendo  Lui,  dicevi:  Io  sono  nulla, 
perchè  Lui  solo  è  quello  che  è,  e  nessuna  creatura  è.  0  Maria,  tu  non  ti 
reputavi  nulla,  e  perciò  per  la  tua  umiltà  fosti  esaltata:  perchè  Dio  guardò 
all'  umiltà  della  sua  ancella.  0  Maria,  quando  tu  pregavi  per  la  umana  natura 
e  dicevi:  0  Padre,  quando  manderai  tu  il  tuo  figliuolo  a  ricomperare  il  mondo? 
e  in  questa  tua  profonda  umiltà  ti  fu  mandato  l'Angelo  Gabriele  come  un  para- 
ninfo il  quale  ti  disse:  Ave gratia  piena,  che  tu  eri  piena  d'  ogni  grazia,  e  che  il 
Signore  era  teco  più  che  con  altri,  e  che  tu  saresti  benedetta  sopra  tutte  le 
altre  donne.  Tu  spaventasti,  non  per  paura  dell'Angelo,  ma  perchè  tu  non  ti 
reputavi  degna  di  tanto  mistero;  tu  eri  allora  tutta  accesa  di  amore,  il  cuore 
tuo  era  pieno  di  giubilo.  Vogliamo  adunque,  o  Maria,  che  tu  sii  la  nostra  re- 
gina, e  che  tu  venga  a  regnare  in  Firenze,  perchè  tu  sei  tanto  umile,  e  tanto 
benigna:  Stette  la  Regina  alla  destra  tua.  0  Signore,  tu  sei  il  nostro  Re,  vo- 
gliamo ancora  questa  Regina,  che  è  tanto  illuminata  ;  la  pregherà  sempre  per 
noi,  perchè  ella  è  sempre  assistente  alla  tua  faccia,  ella  è  avvocata  dei  peccatori, 
e  noi  facciamo  di  molti  peccati,  lei  sarà  avvocata  nostra.  Signore,  tu  sei  un 
poco  adirato  da  un  anno  in  qua  con  esso  noi,  Ella  sta  sempre  innanzi  a  te, 
Lei  li  placherà  per  noi,  Lei  ti  mostra  il  petto  suo,  col  quale  ella  ti  ha  al- 
lattato. 0  Maria,  intercedi  per  noi;  la  figliuola  tua  Firenze  ha  peccalo:  egli 
è  vero,  noi  lo  confessiamo,  intercedi  per  noi,  Maria,  al  Signore,  che  ci  perdoni; 
tu  stai  alla  destra  del  tuo  Figliuolo,  tu  hai  abbondanza  di  ogni  grazia,  tu  hai 
abbondanza  di  ricchezze  deh!  infondile  sopra  di  noi,  Maria.  In  veste  d'oro, 
ammantata  di  varietà.  Tu  hai  le  vesti  d'  oro  di  carità,  ricordati  adunque  della 
tua  figliuola,  ricordati  che  tu  l'hai  accettata  per  tua  città;  dove  è  la  tua 
carità,  Maria?  deh!  dagli  la  tua  grazia,  illuminala,  dagli  del  tuo  latte.  Che 
grazia  darai  tu,  Maria,  a  questo  popolo? 

«  Or  odi  quello  che  ti  manda  a  dire  questa  mattina. 

«  Ora  parlerò  a  voi  in  sua  persona,  e  applicheremovi  le  parole  seguenti: 
Ella  dice:  e' non  è  disposto  il  popolo  mio:  e  però  ti  manda  a  dire  che  ti  di- 
sponga bene.  Odi  figlia  mia  e  vedi:  ella  dice:  Odi  figliuola;  la  figliuola  è  la  città 
di  Firenze:  orsù  stà  adunque  a  udire;  e  prima  parleremo  ai  cittadini,  poi  alle 


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donne,  poi  ai  fanciulli.  Quanto  agli  uomini,  odi  figlia  :  Io  quasi  vite  fruttificai 
soavità  di  odori.  Io,  dice  lei,  sono  la  madre  vostra,  voi  siate  miei  figliuoli.  Fi- 
gliuolo, fa  che  tu  sia  simile  alla  madre;  io  son  come  vite,  che  fruttifica  sua- 
vità  di  odori.  La  vite  fa  le  uve,  le  uve  sono  distinte,  e  separate  in  grappoli  e 
granelli;  e  poi  si  mescolano  insieme,  e  fanno  tutti  solamente  un  vino:  io  son  la 
madre  dell'amore;  così  vorrei,  che  voi  cittadini  vi  uniste  tutti  insieme,  prima 
in  amore  divino,  e  poi  faceste  vera  pace,  non  in  parole,  ma  in  fatto,  e  che  di 
tanti  grappoli  e  di  tanti  granelli  se  ne  facesse  un  vino,  e  che  di  tanti  animi  se 
ne  facesse  uno,  e  di  tanti  cuori  se  ne  facesse  un  cuore.  Io  sono,  dice  Maria,  la 
suavilà  di  tutti  gli  odori.  Gli  odori  sono  le  virtù,  la  suavità  di  tutte  le  virtù  è 
la  umiltà,  se  tu  avessi  tutte  le  virtù,  e  non  abbia  umiltà,  tu  non  hai  suavità  di 
odori,  e  però  Lei  dice:  datevi  all'umiltà,  come  ho  fatto  io;  le  mie  prime  ope- 
razioni sono  state  la  castità  e  1'  umiltà.  E  però  mi  dispiace  che  nella  nostra 
città  ci  siano  tanti  scellerati  di  quel  maladetto  vizio;  io  non  posso  patire  quella 
broda,  io  non  posso  venire  in  quella  città,  vedendo  tanta  feccia. 

«  Questo  è  quanto  dice  la  Vergine  a  voi  uomini,  ora  state  a  udire  quello 
che  dice  a  voi  donne:  Io  sono  la  madre  del  beli'  amore,  e  del  timore,  e  della  co- 
gnizione e  della  santa  speranza.  Dice  la  Vergine  :  Figliuola  mia,  se  tu  vuoi  che 
io  sia  tua  madre,  fa  come  facevo  io,  va  coperta  il  capo,  va  tutta  onesta.  Sap- 
piate, che  la  Vergine  andava  vestita  semplicemente,  con  una  veste  poverella; 
la  Vergine  è  madre  di  bella  dilezione;  cioè  non  di  amor  mondano,  ma  di  amor 
divino;  e  però,  figliuola  mia,  non  aver  tante  cioppe  nè  tante  reti,  se  tu  vuoi  es- 
sere figliuola  della  Vergine  Maria.  Tu  dirai  che  si  usa  cosi  ;  io  ti  rispondo  che 
non  guardi  a  quel  che  si  fa,  se  vuoi  esser?  figliuola  della  Vergine  Maria.  E'  son 
molte,  che  non  si  curano  di  essere  chiamate  figliuole  del  diavolo,  cioè  quelle 
che  vanno  con  quelle  veliere,  zazzere,  e  portature  disoneste.  Dunque  non  ti  devi 
vergognare  tu  di  essere  chiamata  figliuola  della  Vergine  Maria,  perchè  lei  dice: 
se  tu  ti  vergogni  di  essere  mia  figliuola,  io  non  ti  voglio.  Bastavi  adunque  an- 
dare con  un  fazzoletto  bianco,  acconce  bene,  onestamente;  ma  ce  ne  sono  al- 
cune, che  vogliano  veli  sottili  di  due  ducati  1'  uno:  no,  no,  queste  non  sono  fi- 
gliuole della  Vergine  Maria.  Orsù  adunque,  figliuole  mie,  a  far  la  nostra  riforma 
acciochè  ognuna  sia  la  figliuola  della  Vergine  Maria.  Non  sia  nessuna  che  si 
vergogni  di  andare  vestita  semplicemente.  Cristo  non  si  vergognò  di  stare 
nudo  per  te  in  sulla  croce;  cosi  non  devi  vergognarti  tu  di  andare  vestita  sem- 
plicemente per  amor  di  Cristo.  Inoltre,  fate  che  le  fanciulle  non  conversino  in 
casa  troppo  con  i  fratelli  o  con  parenti;  io  non  dico  che  non  gli  parlino,  o  che 
non  pratichino  con  loro,  ma  io  m'intendo  in  luogo  stretto,  perchè  il  serpente 
sta  apparecchiato  per  ingannare.  Donne,  fate  quello  che  io  vi  dico;  parlate  poco 
con  gli  uomini,  state  assai  in  orazione,  e  la  mattina  quando  vi  levate  fatevi 
prima  il  segno  della  croce:  In  nomine  Patris  et  Filii  et  Spiritus  Sancii, 
poi  cominciate  a  dire  il  Credo  e  confessate  Iddio  prima  e  la  sua  fede,  poi  dite 
i  nostri  salmi  e  fate  un  poco  di  orazione  pregando  Iddio  che  ordini  la  vostra 
vita  alla  sua  volontà.  Questo  è  V  ufficio  primo  della  buona  donna,  come  la 
mattina  è  levata;  poi  va  e  ordina  la  casa  tua  in  modo  che  stia  bene,  e  fa  che 


—  58  — 


vadi  sempre  orando  con  la  mente,  e  che  ti  raccomandi  alla  Vergine  Maria 
che  ti  conduca  in  vita  eterna.  Questo  è  quanto  manda  a  dire  la  Vergine  alle 
donne. 

«  Ora  udite  quello  che  dice  ancora  a  voi  fanciulli  miei:  Odi,  o  anima  del 
fanciullo  :  In  me  è  ogni  speranza  di  vita,  e  di  verità  ;  in  ine  è  ogni  speranza  di 
vita  e  di  virtù.  Dice  la  Vergine:  fa  figliuolo,  che  tu  sia  divoto  e  lascia  poi  fare 
a  me.  Parimente  dice:  Vuoi  tu  essere  divoto?  fa  come  me,  vedi  quanto  io  ho 
conservato  la  verginità;  fa,  figliuolo,  che  tu  ti  guardi  da' cattivi,  dico  da  questi 
ribaldi,  che  non  ti  lasci  ingannare:  guarda  da  chi  ti  confessi,  perchè  se  ne  trova 
alle  volte  dei  cattivi,  pigliane  consiglio.  Dice  ancora:  Io  andavo  vestita  sempli- 
cemente; va  ancora  tu  vestito  semplicemente,  figliuolo  mio.  Di'  a  tuo  padre, 
che  tu  non  vuoi  scarsella,  porta  il  fazzoletto  così  a  cintola  come  si  usava  pri- 
ma; va  semplicemente.  Imparate,  fanciulli  miei,  adir  quell'ufficio  della  Vergine 
secondo  la  Corte  Romana,  come  vi  ho  detto  altre  volte,  e  se  noi  potete  dir 
tutto,  imparatelo  di  mano  in  mano.  Raccomandatevi  alla  Vergine,  domandatela 
mamma  mia,  perchè  ella  è  la  vostra  mamma,  (*)  dimandatele  che  la  vi  conservi 
in  castità,  e  ella  lo  farà.  Fate  che  nessuno  cattivo  sia  nella  vostra  reformazio- 
ne ;  vivete  bene,  e  abbiate  speranza  che  la  Vergine  Maria  vi  libererà  da  que- 
sta pestilenzia,  e  reserveravvi  alle  grazie,  che  hanno  a  venire.  Voi  siete  quelli 
che  1'  avete  a  godere  più  che  questi  altri  :  le  grazie  son  tutte  in  mano  sua,  e 
lei  dice:  In  me,  in  me  sono.  Voi  ne  havete  visti  oramai  tanti  segni,  che  dovre- 
ste credere,  e  più  quest'  anno  che  quello  altro  ne  avete  visti.  Ascolla  adun- 
que e  vedi,  e  inclina  1'  orecchio  tuo,  e  sdimentica  il  popolo  tuo  e  la  casa  del 
padre  tuo,  sdiinentica  il  popolo  tuo,  cioè  il  passato,  quel  cattivo;  e  sdimentica 
il  padre  tuo,  se  egli  è  cattivo,  e  lascialo  andare.  E  questo  è  quanto  dice  la 
Vergine  a  voi  fanciulli.  »  (Predica  XXXVIII  sopra  Ainos  e  Zaccaria.) 

Chiudiamo  questo  capitolo  con  una  preghiera  alla  Vergine  tratta  dal  ser- 
mone sopra  la  Natività  del  Signore:  «  Che  debbo  dir  di  te  o  beatissima  e  glo- 
riosissima Madre  Maria?  Forse  che  io  ti  debbo  oggi  lasciare?  Chi  potria  pen- 
sare il  giubilo  del  tuo  cuore,  la  dolcezza  della  tua  mente,  la  grande  tua 
ammirazione  di  te  stessa,  la  grandissima  tua  consolazione,  1'  altissime  tue  con- 
templazioni ?  Tu  1'  hai  partorito  Vergine  senza  dolore,  senza  passione,  aliena 
da  ogni  lamento,  così  come  sei  stata  aliena  da  ogni  corruzione,  anzi  con  gran 
gaudio,  cantandoti  gli  Angeli  attorno.  Oh!  quanta  pietà  ti  mosse,  li  con- 
quassò il  cuor  tuo  quando  il  dolcissimo  Bambino  ti  si  presentò  davanti,  quando 
si  pose  in  terra,  quando  nel  seno  il  collocasti  in  una  stalla!  0  beata  Maria, 
o  felice  fanciulla,  o  madre  gloriosa,  madre  intatta,  madre  immacolata,  madre 


(')  Un  fanciullo  educato  a  questo  norme  in  una  famiglia  di  Piar/noni  fu  appunto  San  Fi- 
lippa  Xeri  che  meritò  il  nome  ili  Pippo  buono,  e  clie  dai  discepoli  del  Savonarola  nel  convento 
di  San  Marco  apprese  a  chiamarla  Vergine  la  sua  mamma,  il  quale  costumo  conservò  fino  alla 
morte.  V.  Capecelatro,  Vita  di  San  Filippo  Xeri.  lib.  I,  cap.  I;  lib.  II,  cap.  V  e  XII  ;  lib.  Ili, 
cap.  XVII.  Questo  esempio  solo  basterebbe  a  confutare  1'  asserzione  del  Pastor  che  il  rinnova- 
mento relit/ioso  di  Firenze  non  attecchisse,  ma  fosse  un  fuoco  transitorio,  che  ratto  si  spense  (pag.  1121. 
Ma  non  è  il  solo  esempio,  e  lo  vedremo  in  seguito. 


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e  Vergine,  Vergine  feconda,  Vergine  fruttifera,  Vergine  innanzi  il  parto,  Ver- 
gine in  mezzo  al  parto,  Vergine  dopo  il  parto....  Ricordati  di  noi  nel  cospetto 
del  tuo  figliuolo,  volgi  gli  occhi  tuoi  pietosi  alle  nostre  miserie.  E  se  mai 
pietà  ti  vinse,  se  mai  pietà  ti  costrinse  a  pregare  per  i  peccatori,  ora  ti  muova 
la  miseria  nostra,  ora  ti  vincano  le  tribolazioni  della  Chiesa,  ora  ti  costringa 
il  sangue  sparso  neh'  Italia....  » 

E  come  alla  Vergine  chiedeva  le  grazie  per  la  Chiesa  e  la  patria,  cosi  il 
pio  religioso  chiedeva  aiuto  per  sè:  «  Madre  pia,  impetrami  la  remissione 
de' peccati,  e  la  grazia  per  la  quale  io  possa  resistere  alle  tentazioni  e  sempre 
avere  fermo  e  buon  proposito  di  non  peccare  e  perseverare  infine  alla  morte. 
Degnati,  Vergine  e  madre  inviolata,  impetrarmi  una  vera  obbedienza,  una  pro- 
fonda umiltà  di  cuore,  eh'  io  mi  conosco  veramente  fragile  peccatore,  e  impo- 
tente non  solamente  a  far  bene,  ma  anche  a  pensare  e  resistere  alle  tentazioni 
senza  la  grazia  del  tuo  Figliuolo  3  le  orazioni  tue.  Degnati,  Vergine  castissima, 
impetrarmi  una  monda  castità  di  cuore  e  di  corpo,  acciocché  con  purità  di 
cuore  possa  servire  al  tuo  Figliuol  diletto,  e  a  te,  Regina  de' Cieli.  Degnati,  Ma- 
donna altissima,  impetrarmi  la  volontaria  povertà....  e  che  io  non  spregi  alcuna 
persona,  e  che  io  non  giudichi  di  alcuno  male,  e  che  nel  mio  cuore  non  mi  pre- 
ponga ad  alcuno,  nè  in  merito,  nè  in  virtù....  > 

E  chi  pregava  così  era  il  Frate  orgoglioso  (Pastor,  pag.  356,  366,  ecc.),  il 
Frate  sacrilego  (pag.  360;,  il  Frate  disubbidiente  (pag.  359,  ecc.),  anzi  predica- 
tore di  disubbidienza  (pag.  136)!! 


VII. 


L'astrologia  e  Girolamo  Savonarola., 


Sommario. 

L'  astrologia  nel  secolo  XV  secondo  il  Pastor.  —  Utile  che  il  Pastov  avrebbe  trovato  studiando  in  Fra 
Girolamo.  —  Singolari  ben  inerenze  del  Savonarola  tra  gli  oppugnatori  dell'astrologia.  —  Fra  Giro- 
lamo combatte  ogni  maniera  di  astrologia.  —  Principi  che  francarono  il  Frate  di  San  Marco  da 
ogni  maniera  di  superstizione.  —  Girolamo  Savonarola  sole  che  splende  sull'  iufelice  sua  età.  — 
Fonti  del  capitolo  presente.  —  Il  trattato  dell'  Astrologia  Divinatrice.  —  I  prelati  astrologi.  —  Paz- 
zie degli  astrologi.  —  Conseguenze  assurde  dell'  astrologia.  —  Il  capitolo  terzo  del  libro  quarto  del 
Trionfo  e  la  vanità  e  la  superstizione  dell'  astrologia.  —  I  corpi  celesti  non  son  causa  diretta  delle 
umane  intellezioni.  —  Ragioni.  — I  corpi  celesti  non  son  causa  indiretta  delle  nostre  intellezionii 
nò  delle  nostre  volizioni.  —  Kagioni.  —  Si  ribatte  l'opinione  degli  astrologi  che  vogliono  il  cielo 
animato.  —  L'  astrologia  giudiziaria  è  cosa  vana,  ridicola  e  piena  di  superstizioni.  —  Conclusione 
contro  il  Pastor. 


Come  il  Pastor  neiF  epoca  del  risorgimento  loda  il  bene  che  il  Savona- 
rola lodava  e  praticava,  così  biasima  il  male  che  il  Savonarola  biasimava  e  fug- 
giva. Vediamolo  per  i  due  argomenti  scelti:  l'astrologia  e  la  mancanza  di  spi- 
rito ne'  predicatori  della  parola  divina. 

Il  Pastor  nota  a  pagine  99-101  che  «  uno  degli  effetti  più  specialmente 
pericolosi  prodotti  dall'  antichità  fu  quello  di  aver  comunicato  (contribuendovi 
anche  le  dottrine  arabiche)  al  popolo  del  rinascimento  la  sua  specie  di  super- 
stizione: »  e  soggiunge  «  che  la  forma  di  superstizione  più  diffusa  era  nel  popolo 
del  risorgimento  1'  astrologia.  Tutto  il  secolo  XV  e  una  parte  del  XVI  sono  do- 
minati dalla  credenza  chimerica,  potersi  dalla  collocazione  dei  pianeti  fra  sè  e 
rispetto  al  segno  dello  zodiaco  stabilire  il  futuro....  Si  aveva  il  saldo  convinci- 
mento che  determinati  pianeti  esercitassero  un  influsso  decisivo  sull' uomo,  il 
quale  fosse  nato  al  tempo  della  loro  azione  condizionata  dalle  diverse  costel- 
lazioni.... In  molte  università  insieme  cogli  astronomi  erano  speciali  professori 
di  astrologia,  i  quali  dettavano  interi  sistemi  di  questa  scienza  fantastica. 

«  In  nessuna  corte  d'Italia  mancava  l'astronomo  ;  in  certe,  p.  es.,  in  Man- 
tova, ve  ne  erano  parecchi.  Quasi  tutte  le  serie  deliberazioni  de'  governanti, 


-  61  - 


anche  cose  di  poco  rilievo,  ad  esempio:  partenze  di  personaggi  principeschi, 
ricevimenti  d'  ambasciatori  stranieri,  il  prendere  una  medicina,  venivano  sta- 
biliti dopo  aver  interrogato  le  stelle.  Fino  i  più  arditi  condottieri  del  secolo  XV 
come  Bartolomeo  Alviano,  Bartolomeo  Orsini,  Paolo  Vitelli  erano  tutti  intima- 
mente compresi  dalle  credenze  nell'  astrologia....  Perfino  certi  papi  come  Si- 
sto IV,  Giulio  II  e  Paolo  III  s' inchinavano  ai  concetti  del  loro  tempo.  Il  padre 
Cristoforo  Landini  sperava  sul  serio  di  avere  dagli  astri  notizia  circa  V  avve- 
nire della  religione  cristiana,  il  pio  Domenico  de'  Domenichi  tenne  un'orazione 
in  lode  e  difesa  dell'  astrologia  contro  gli  oppositori  della  stessa.  Il  dotto  natu- 
ralista e  medico  Paolo  Toscanelli  che  viveva  al  pari  di  un  santo  asceta,  ser- 
viva a'  Medici  ed  al  governo  fiorentino  in  qualità  di  astronomo....  Molti  vive- 
vano nella  buona  fede  che  si  trattasse  di  una  scienza  sperimentale  ben  fondata 
nella  quale  la  tradizione  avita  fosse  altrettanto  sicura  e  intangibile  quanto  le  os- 
servazioni di  Aristotile  sugli  animali.  »  Tutto  questo  e  altro  scrive  nel  suo  vo- 
lume il  Pastor;  e  aggiunge  che  «  soltanto  singoli  spiriti  illuminali,  come  in  ispe- 
cie  Pio  II,  si  mantennero  Uberi  da  ogni  vana  credenza;  »  e  accennato  al  vano 
tentativo  fatto  per  debellare  simile  superstizione  dal  Petrarca,  diceche  resterà 
per  sempre  memorabile  lo  scritto  che  contro  gli  astrologi  diresse  Pico  della 
Mirandola;  e  dà  lode  a' predicatori  che  la  confutarono:  San  Bernardino  da 
Siena,  Antonio  da  Vercelli,  Boberto  da  Lecce,  Gabriele  da  Barletta:  ma  tace 
assolutamente  di  Fra  Girolamo.  È  giustizia?  Se  il  Pastor  avesse  letto  le  predi- 
che e  le  altre  opere  del  Frate,  egli  si  sarebbe  persuaso  che  nessuno  forse  degli 
autori  citati  si  mostrò  avverso  all'  astro^gia  quanto  Frate  Girolamo,  e  avrebbe 
potuto  compiacersi  di  vedere  in  Firenze,  dove  aveva  avuto,  più  che  altrove,  il  suo 
regno  questa  vanissima  superstizione,  ed  era  forse  sorto,  come  egli  dice  «  un  tipo 
determinato  di  figure  planetarie  >  figlio  di  quella,  era  pur  sorto  a  debellare  com- 
pletamente tali  ridicolaggini  un  severo  oratore  cattolico,  un  oratore  tutto  pu- 
rezza di  religione;  e  avrebbe  quindi  potuto  chiarire,  meglio  eh'  egli  non  faccia, 
contro  coloro  che  vogliono  il  Savonarola  precursore  di  Lutero,  quanto  il 
Frate  di  San  Domenico  fosse  geloso  del  libero  arbitrio,  e  combattesse  tutto 
ciò  che  mirava  in  qualsivoglia  forma  a  diminuire  la  potenza  e  la  forza  di 
questa  nobile  virtù  eh' è  in  noi  principio  prossimo  del  merito:  avrebbe 
veduto  che  Fra  Girolamo  doveva  annoverarsi,  come  Pio  II,  fra  i  singoli  spiriti 
illuminati,  che  si  mantennero  puri  da  ogni  vana  credenza;  e  così  avrebbe  ri- 
sparmiate molte  espressioni  e  molti  giudizj  che  paiono  fare  di  Fra  Girolamo  un 
uomo  ridicolo,  esaltato  e  superstizioso. 

Le  benemerenze  del  Savonarola  nella  guerra  all'astrologia  noi  crediamo 
che  siano  singolari;  e  che  1'  opera  sua  meriti  uno  studio  a  parte,  nè  sappiamo 
se  alcuno  l'abbia  fatto  di  proposito.  Qualora  questo  studio  si  facesse,  apparirebbe 
sempre  meglio  che  il  Frate  di  San  Domenico  cadde,  perchè  fu  troppo  superiore 
all'età  sua;  dico  troppo  superiore,  perchè  sinceramente  cristiano  in  un  secolo 
paganeggiante  in  religione,  in  filosofia,  in  teologia,  in  lettere,  in  arte,  in  mo- 
rale, in  politica:  fu  asceta  purissimo  in  un'  età  avidissima  di  beni  e  di  piaceri 
terreni;  fu  umilissimo  in  un'età  avida  di  gloria,  di  superbia  della  vita;  e  fu 


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sinceramente  cristiano  e  non  potè  cadere  in  superstizione  di  sorta  alcuna, 
sempre  per  la  medesima  ragione,  eh'  egli,  come  dice  nel  libro  I  dell'  Astro- 
logia diviìiatrice,  credeva  che  «  Il  fondamento  della  religione  cristiana  è  la 
Sacra  Scrittura  del  Nuovo  e  del  Vecchio  Testamento ,  la  quale  siamo 
obbligati  a  credere  esser  vera  insino  a  un  minimo  iota  e  dobbiamo  approvar 
tutto  quello  che  lei  approva,  come  quella  che  è  fatta  da  Dio,  il  quale  non 
può  errare:  »  fu  purissimo  asceta,  perchè,  come  dice  negli  Scritti  Inediti, 
voleva  che  la  Scrittura  si  spiegasse  come  fecero  i  Padri  e  i  Dottori,  e  se- 
gnatamente San  Tommaso,  che  fu  il  vero  suo  maestro  dopo  Cristo:  e  non 
cadde  in  superstizioni  di  nessuna  sorta,  perchè  «  quanto  al  culto  divino  » 
come  dice  nella  conclusione  prima  della  Semplicità  della  vita  cristiana,  «  onorava 
Dio  intrinsecamente  per  fede,  speranza  e  carità;  estrinsecamente  con  quel  modo 
e  secondo  quel  rito  il  quale  Cristo,  gli  Apostoli  e  i  nostri  Santi  Padri  e  la  Ro- 
mana Chiesa  hanno  ordinato.  »  Se,  quando  penso  a  Fra  Girolamo,  mi  appare, 
per  le  sferzate  che  dava  al  vizio,  veramente,  come  egli  si  diceva  da  sè,  una  gra- 
gnuola  grossa  grossa;  allorché  penso  alla  purezza  della  sua  fede  e  della  sua  asce- 
tica nel  tempo  che  visse,  mi  appare  come  sole  che  alto  splende  sulla  infelice 
età  sua  ridicola,  superba,  piena  di  superstizioni  pagane  ed  arabe! 

Chi  sa  che  un  giorno  non  prendiamo  la  penna  per  iscrivere  anche  del- 
l'astrologia  secondo  il  nostro  Frate!  Il  farlo,  del  resto,  sarebbe  facilissimo; 
chè  Girolamo  Savonarola  non  solo  predicò,  (l)  e  scrisse  qua  e  là  contro  le 
scienze  occulte;  ma  tra  le  opere  di  lui  non  tiene  l'ultimo  posto  il  trattato 
contro  l' Astrologia  diviìiatrice  composto  l'anno  1495;  acciocché,  come  egli 
stesso  dice  nel  cap.  Ili  del  Trionfo,  libro  IV,  ognuno  intenda  la  vanità  di 
questa  superstizione. 

Quello  che  vuoisi  notare  in  modo  speciale  si  è,  che  il  Savonarola  com- 
batteva l'astrologia  sotto  ogni  rispetto  e  perciò  anche  nel  senso  in  cui  il  Pa- 
stor  la  vede  considerata  dal  Pontano,  che  «  cercava  di  risapere  non  tanto  il 
futuro,  quanto  piuttosto  la  disposizione  dell'uomo  e  l!  influsso  che  la  natura 
su  di  lui  esercitava.  Il  convincimento  che  un  unico  indissolubile  nesso  cau- 
sale congiunge  nell'  universo  le  cose  dalle  più  grandi  alle  minime,  e  che 
f  uomo  non  ne  vada  esente,  e  che  al  suo  nascimento  ed  ulteriore  sviluppo 
concorrano  da  parte  loro  le  forze  di  natura  che  lo  circondano,  era  il  motivo, 
per  cui  anche  gente  di  liberi  pensamenti  si  dava  allora  all'astrologia  »  (pag.  101). 

Procureremo  di  esser  brevi  su  questa  materia,  sulla  quale  nondimeno 
bramiamo  dir  qualche  cosa;  e  dopo  avere  accennato  il  soggetto  dell'  opera 
principale  del  nostro  Frate  contro  l'Astrologia,  raccoglieremo  pochi  pensieri 
dalle  prediche  sopra  Amos  e  poi  accenneremo  al  contenuto  del  Cap.  Ili  del  Li- 
bro IV  del  Trionfo  che  è  come  un  compendio  di  tutto  ciò  che  rispetto  al- 


(')  Per  dare  un'idoa  della  frequenza  colla  qualo  Fra  Girolamo  Savonarola  batteva 
l'astrologia,  notiamo  che,  fra  le  XXIX  prodiche  sopra  Ruth  e  Michea,  se  ne  occupano  più  o 
meno  estesamente  le  prediche  IV,  X,  XII,  XIV,  XV,  XXVI  ed  altre  ancora.  E  con  la  stessa 
frequenza  ne  parla  il  Krato  nelle  altre  sue  predicazioni. 


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1'  Astrologia  insegna  il  Savonarola,  e  che  serve  però  anche  da  solo  a  darci 
un  saggio  abbastanza  completo  delle  idee  del  nostro  filosofo  in  tale  ma- 
teria. 

Nel  trattato  dell'  Astrologia  divinatrice,  il  Savonarola  comincia  col  dire  d'aver 
sempre  combattuto,  predicando,  questo  errore  come  cosa  vana  e  indegna  del 
nome  di  scienza  o  di  arte.  Ma  porgendogli  l'occasione  il  conte  Giov.  Pico  della 
Mirandola,  torna  volentieri  su  questo  soggetto,  dolente  solo  che  quel  grande  uomo 
del  Pico  non  abbia  compiuto  l'opera  sua,  per  esser  morto  nel  fiore  della  sua 
gioventù.  Chiama  1'  astrologia  vanità  indegna  perfino  d'esser  riprovata  da  tanto 
autore,  e  si  accinge  a  confutarla  scrivendo  un'operetta  per  il  popolo,  mentre 
l'opera  del  Pico  è  fatta  più  per  i  dotti.  La  divide  in  tre  trattati.  Nel  1°  dino- 
stra che  l'astrologia  divinatrice  è  dannata  dalla  dottrina  cristiana,  e  prima  di 
tutto  dalla  Sacra  Scrittura,  poi  dai  sacri  teologi,  tra  i  quali  cita  San  Girolamo, 
San  Basilio,  Sant'Ambrogio,  San  Giovanni  Crisostomo,  Origene,  San  Gregorio 
e  in  ultimo  San  Tommaso  di  cui  cita  la  questione  95a,  art.  5  della  parte  11-11, 
ove  il  Santo  Dottore  con  profondissime  ragioni  prova  esser  vana  e  supersti- 
ziosa la  divinazione  per  mezzo,  degli  astri.  Dall'autorità  dei  Padri  e  Dottori 
passa  alle  ragioni  teologiche  dalle  quali  prova  «  cassa  e  vana  »  tutta  la  fatica 
degli  astrologi;  quindi  alle  leggi  canoniche  da  cui  apparisce  che  la  Chiesa 
detesta  tali  divinazioni;  e  finalmente  alle  leggi  civili  dei  tempi  suoi.  Nel  2°  trat- 
tato, per  dimostrare  che  l'astrologia  divinatrice  o  giudicatoria  è  dannata  dalla 
ragione  naturale,  comincia  col  riportare  1'  autorità  degli  antichi  filosofi,  Aristo- 
tile, Platone,  Pitagora,  Democrito,  Piotine,  Apulejo,  Averrois  e  Avicenna.  Sulle 
ragioni  di  Aristotile  si  ferma  assai  il  Savonarola  e  confuta  tutte  le  obiezioni 
che  potrebbero  farsi,  ritenendo  sempre  per  fermo  ed  inconcusso,  col  suo  mae- 
stro San  Tommaso,  potersi  ben  prevedere  le  cose  future  che  già  preesistono 
in  qualche  modo  nelle  loro  cause,  ma  non  mai  le  cose  contingenti  che  dipen- 
dono dal  libero  arbitrio.  (San  Tommaso,  P.  I  qu.  115  a.  4  ad  3m;  I-II  qu.  9 
art.  5  ad  3m  e  II— II  qu.  95  art.  1  e  5.)  Questa  dottrina  così  espressamente 
contraria  a  un  errore  così  comune  doveva  certo  far  molta  impressione  in  quel 
secolo  superstizioso;  e  il  dire:  «  Certo  non  possiamo  avere  esperienza  alcuna 
delle  virtù  particolari  delle  stelle  »  (Tralt.  II,  cap.  Vili),  doveva  senza  dubbio 
esser  tacciato  di  ardire  soverchio  da  quei  vanitosi  scienziati  del  secolo  XV. 
Nel  trattato  3°  esamina  1'  astrologia  in  se  stessa  e  dimostra  che  i  suoi  fon- 
damenti tutti  vacillano;  come  siano  vane  le  loro  investigazioni  del  punto  della 
natività  e  delle  operazioni  umane;  e  dopo  aver  provato  anche  con  esempj  di 
fatto  la  stoltezza  delle  loro  investigazioni,  risponde  alle  ragioni  opposte  ridendosi 
anche  delle  loro  vane  pretenzioni.  E  curioso  quel  punto  ove  dice:  «  Certo  non 
credo  che  alcuno  volesse  navigare  in  mare  dove  fosse  l'astrologo  governatore, 
se  non  avesse  altro  che  l'astrologia;  nè  alcun  uomo  saggio  darebbe  la  sua 
possessione  o  le  sue  pecore  al  governo  dell'  astrologo  che  non  avesse  altra 
dottrina  che  1'  astrologia  (Tralt.  HI,  cap.  5°).  »  Chiude  dicendo  che  «  1'  Onni- 
potente Dio  ha  ordinato  come  1'  uomo  ha  da  imparare  le  scienze  per  via  di 
studio,  e  non  si  deve  uscire  dall'  ordine  dato  da  Dio,  o  naturale  o  sopranna- 


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turale.  L'  ordine  naturale  di  queste  cose  è  scritto  dai  filosofi  e  medici  e  dagli 
uomini  sapienti,  i  quali  furono  illuminati  da  Dio  il  quale  illumina  ogni  uomo 
che  viene  in  questo  mondo....  L'  ordine  soprannaturale  è  scritto  nelle  Scrit- 
ture Sante  e  nella  dottrina  della  santa  Chiesa.  Ciascuno  dunque  che,  o  per  sa- 
pere o  per  operare,  va  fuori  di  questi  due  ordini  è  ingannato  dal  diavolo  e 
procede  vanamente.  E  così  sembra  ripetere  con  Dante: 

»  Uomini  siate  e  non  pecore  matte.... 
»  Avete  il  Vecchio  e  il  Nuovo  Testamento, 
»  E  il  Pastor  della  Chiesa  che  vi  guida  : 
»  Questo  vi  basti  a  vostro  salvamento.  » 

{Parad.  C.  V.) 

Piuttosto  che  alle  predizioni  degli  astrologi  vuole  il  Savonarola,  innanzi 
di  intraprendere  una  cosa,  che  si  corra  «  all'  orazione,  a  raccomandarci  a  Dio, 
dal  quale  procede  ogni  bene;  »  e  se  è  necessario  far  previsioni  umane,  si  fac- 
ciano, ma  «  secondo  la  sapienza  dei  savj  e  secondo  la  prudenza  donataci 
da  Dio.  » 

Nè  meno  espresse  sono  le  censure  che  il  Savonarola  ripete  contro  gli 
Astrologi  ne'  suoi  sermoni.  Nella  predica  XVIII  sopra  Amos,  egli  si  lamenta 
con  amare  parole  dicendo  : 

«  Vedi  che  cosa  pazza  è  questa,  e  dove  è  condotto  il  culto  divino,  che  gli 
è  insino  chi  dice,  che  la  religione  di  Cristo  è  fondata  in  sulla  astrologia!  E'  fu 
già  un  gran  prelato  che  scrisse  un  libro,  (io  l' ho  in  cella)  che  dice  che  la 
religione  di  Cristo  è  fondata  in  astrologia;  e  non  è  nessuno  oggi  che  cavalchi 
o  vada  a  caccia  se  non  a  punto  d'  astrologia.  Voi  astrologi  promettete  cose 
eccelse  e  cose  grandi  ai  vostri  padroni  ;  promettete  pur  assai,  chè  io  vi  dico 
che  presto  sarete  giunti  alia  rete  insieme  con  loro  ;  voi  avete  guasto  tutto 
il  mondo  con  la  vostra  astrologia,  voi  avete  fatto  venire  i  tiepidi.  Lasciate  an- 
dare questa  vostra  astrologia,  lasciate  le  false  opinioni,  ritornate  alla  vera  fede: 
ognuno  ritorni  a  Cristo.  » 

E  nella  predica  XXVIII  commentando  le  parole  di  Amos:  E  se  ascenderanno 
fino  in  cielo,  dice:  «  Quelli  che  vanno  in  cielo  sono  gli  astrologi  e  quelli  che  gli 
credono.  Vedete,  donne,  che  pazzi  son  costoro  che  stanno  là,  quegli  astrologi,  a 
guardare  il  cielo  e  dicono  ai  signori  :  Su  presto,  presto,  montate  a  cavallo,  chè  ora 
è  buon  punto.  0  pazzo  che  tu  sei!  E  sono  poi  questi  i  savj  dell'  Italia!  Se  tu 
andrai  adunque  in  cielo,  dice  Dio,  io  te  ne  caverò;  cioè  cerca  quanta  astrolo- 
gia tu  vuoi:  chè  se  tu  andassi  in  cielo  e  vedessi  tutte  le  cause,  non  ti  varrà 
nulla.  Guarda  un  poco,  tu  astrologo,  la  tua  natività,  e  sappimi  dire  quel  che 
t'  ha  ad  avvenire;  tu  non  ti  apporrai,  ti  so  dire  io. 

«  Nessuno  può  sapere  le  cose  future  contingenti,  massime  quelle  che  ap- 
partengono al  libero  arbitrio  se  non  Dio,  o  a  chi  Lui  le  rivela. 

«  Benché  il  cielo  governi  le  cose  temporali,  non  ha  però  forza  sopra  il  li- 
bero arbitrio,  perchè  i  cieli  sono  corpi  ed  il  libero  arbitrio  nostro  è  cosa  spiri- 
tuale. Sed  corpus  non  agit  in  spiritimi;  adunque  i  cieli  non  possono  influire  nel 


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libero  arbitrio  direttamente,  ma  bene  hanno  influenza  sopra  la  parte  sensi- 
tiva. L'  uomo  dunque  è  sempre  libero,  sia  disposto  il  cielo  come  vuole,  onde 
dice  Tolomeo:  Sapiens  dominabitur  astris.  E  però  le  cose  contingenti  future 
procedenti  dal  libero  arbitrio  non  possono  sapersi  per  gli  astrologi,  ma  solo 
le  sa  Dio  e  colui  a  chi  Lui  le  rivela. 

«  Il  cielo  non  opera  nel  libero  arbitrio  dell'uomo,  e  le  cose  contingenti  fu- 
ture non  si  possono  sapere  per  virtù  del  cielo,  come  dicono  gli  astrologi,  ma 
solo  è  Dio  quello  che  le  sa  rivelare  a  chi  gli  piace:  e  però  dice  Iddio  agli  idoli 
e  demoni  de'  gentili  in  Isaia:  (cap.  XLI)  «  Annunziate  le  cose  future  e 
sapremo  che  voi  siate  dèi.  » 

Ma  è  tempo  che  passiamo  al  capo  III  del  libro  IV  del  Trionfo  della  Croce, 
nel  quale  il  Savonarola  vuole  appunto  dimostrare  che  «le  tradizioni  degli  astro- 
logi sono  al  tutto  inutili  e  superstiziose.  »  Premette  il  Frate  una  breve  descrizione 
dell'  astrologia,  e  del  fine  che  li  astrologi  si  propongono;  e  poi  si  fa  a  combattere 
queste  superstizioni  con  molte  ragioni.  «  Gli  astrologi  stimano  che  le  cose 
umane  sieno  governate  dal  cielo  e  dalle  stelle,  facendo  il  cielo  quasi  dio  no- 
stro. Ma  errano  di  grosso  ed  è  facile  provare  con  forti  ragioni  che  i  corpi 
celesti  non  sono  causa  delle  cose  che  fa  1'  uomo  mediante  l' intelletto  e  la 
volontà.  » 

Per  provare  il  suo  assunto  stabilisce  questi  principj:  «  Secondo  l'ordine 
della  natura  le  cose  superiori  non  sono  governate  dalle  inferiori....  Nessun 
corpo  opera  se  non  per  movimento,  perciò  le  cose  che  sono  affatto  immo- 
bili, come  sono  le  incorporee,  non  possono  essere  soggette  ai  corpi.  I  corpi 
non  operano  se  non  per  il  moto,  ed  è  affatto  necessario  che  1'  essere  il  quale 
riceve  l' impressione  di  un  corpo,  si  mova.  Del  pari,  i  fenomeni  che  dipen- 
dono da'  moti  del  cielo  sono  soggetti  al  tempo:  onde  le  cose  che  sono  astratte 
affatto  dal  tempo  non  sottostanno  al  cielo.  » 

«  Ora  l'intelletto  nostro  (soggiunge  il  Savonarola)  è  più  perfetto  di  tutti  i 
corpi  celesti,  è  più  ampio  del  cielo  stesso,  è  tanto  più  perfetto  quanto  più 
astratto  dai  movimenti  ed  inquietudini,  è  superiore  al  luogo  ed  al  tempo  e 
può  estendersi  alle  cose  immateriali  fino  a  Dio.  Da  questo  deriva  che  i  corpi 
celesti  non  possono  esser  causa  diretta  del  nostro  intendere  e  del  nostro 
volere. 

<  Ma  neppure  posson  esser  causa  indiretta,  perchè  un  atto  che  procede  da 
un'impressione  estrinseca  non  è  volontario,  e  la  volontà  non  è  soggetta  ad  al- 
cuna virtù  corporale;  essa  è  libera  nel  suo  atto.  » 

Soltanto  Dio  muove  la  volontà;  e  come  «  dà  immediatamente  e  propria- 
mente 1'  essere  e  1'  operare  a  tutte  le  cose,  così  muove  l' intelletto  nostro  e  il 
libero  arbitrio,  ma  lo  muove  sempre  liberamente,  perchè  egli  muove  ogni  cosa 
secondo  la  sua  condizione.  > 

E  così  da  ambe  le  parti  vien  confutato  quel  vano  sistema.  No,  l' ingegno 
eletto  e  lo  spirito  illuminato  di  Fra  Girolamo  non  si  piegava.  Egli  aveva  un 
dogma  troppo  caro,  e  troppo  spesso  da'  suoi  avversarj  e  anche  dai  suoi  loda- 
tori dimenticato,  il  quale  lo  francava  intieramente  da'  sofismi  di  questa  specie 

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di  astrologi.  Tale  dogma  era  il  libero  arbitrio,  e  quindi  traeva  una  serie  di  ar- 
gomenti diretti  contro  tali  sofismi  che  fanno  davvero  meraviglia  per  i'  ardore 
e  la  forza. 

Colla  medesima  forza  di  argomenti  egli  combatte  altresì  l'opinione  di  coloro 
che  volevano  il  cielo  animato  :  ed  è  sempre  più  reciso  neh'  affermare  contro 
di  costoro  che  1'  uomo  è  signore  delle  sue  operazioni;  come  è  del  pari  reciso  a 
negare  che  il  cielo  e  le  stelle,  o  1'  anima  di  esso  cielo  sia  Dio.  «  Dunque  »  dice 
il  Frate,  «  tutto  il  culto,  il  quale  è  stato  instituito  in  onore  del  cielo  e  delle 
stelle  o  dell'anima  di  esso  cielo,  è  vano  e  pernicioso;  perchè  tali  corpi  sono 
ordinati  al  servizio  dell'  uomo,  e  niuno  deve  onorare  quella  cosa  che  è  ordinata 
al  suo  servizio.  E  di  qui  si  manifesta  la  vanità  degli  astrologi,  i  quali  attribui- 
scono al  cielo  il  governo  delle  cose  umane;  e  per  1'  osservazione  delle  stelle 
vogliono  reggere  gli  uomini.  » 

Ciò  fatto,  il  Savonarola  viene  anche  in  questo  capitolo  a  combattere  l'astro- 
logia giudiciaria  o  divinatoria,  che  è  la  specie  eh'  egli  pigliava  di  mira  più  so. 
vente  nelle  sue  prediche.,  e  eh' è  forse  ancora  la  più  superstiziosa  e  nociva,  e 
quella  che  meglio  favorisce  la  superbia  umana  contro  la  Sacra  Scrittura  e  le 
profezie. 

In  questa  parte,  per  cui  rimandiamo  i  nostri  lettori  al  capitolo  citalo,  il 
linguaggio  del  Frate  è  maggiormente  colorito;  il  che  dimostra  appunto  quanto 
egli  si  fosse  mantenuto  puro  da  quella  superstizione  e  la  sdegnasse  negli  altri. 
Eppure  per  darsi  a  credere  vero  profeta,  qualora  non  avesse  avuto  buoni  mo- 
tivi per  credersi  tale,  se  non  fosse  stato  più  che  cattolico,  avrebbe  potuto  trar 
profitto  da  quel  comunissimo  errore  e  riuscir  facilmente  a  persuader  il  popolo 
sulla  sua  profetica  missione  e  a  confermare  le  sue  predizioni.  Ma  la  verità  non 
fa  pace  mai  con  errore  di  nessuna  sorta;  ma  lutti  gli  errori  combatte  egual- 
mente e  di  tutti  trionfa. 

Chiudiamo  questo  capitolo  sicurissimi  che  al  Frate  diSanMarco  sarà  resa  giu- 
stizia dai  lettori,  i  quali  riconosceranno,  che  tra  i  difensori  della  buona  filosofia 
e  della  fede  cristiana  contro  l'astrologia  del  secolo  XV,  egli  vuole  e  reclama  un 
posto  segnalato:  il  Paslor  non  glielo  assegna  nella  sua  storia.  Se  il  grande  Pico 
della  Mirandola,  come  dice  lo  storico  d'Innsbruck,  resterà  per  sempre  memorabile 
per  lo  scritto  che  diresse  contro  gli  astrologi,  il  quale,  come  afferma  il  Frate  di  San 
Marco,  «  elegantemente  e  con  grande  sottilità  ed  efficacia  l'ha  annichilata  l'astro- 
logia, »  memorabile  eziandio  deve  rimaner  nella  storia  il  nome  di  Girolamo  Savo- 
narola, che  in  corroborazione  delle  recitazioni  astrologiche  del  Pico  scrisse  la  sua 
interessantissima  opera  sull'  astrologia  e  non  cessò  mai  dal  pergamo  di  com- 
batterne gli  errori.  11  Pastor,  non  collocando  il  Savonarola  al  luogo  che  gli 
compete,  nuoce  alla  verità  slorica  e  alla  giustizia,  di  cui  pur  egli  si  mostra  tanto 
amante.  Il  Pastor  non  ha  saputo  conoscere  i  meriti  del  Savonarola;  se  li 
avesse  conosciuti,  certo  l'avrebbe  collocato  con  Pio  II  fra  i  singoli  spiriti 
illuminati  che  si  tennero  liberi  da  ogni  vana  credenza;  e  piuttosto  che  rega- 
largli tanti  infelici  epiteti,  piuttosto  di  vedere  in  lui  un  uomo  che  subisce  l'in, 
flusso  di  sognate  visioni  e  rivelazioni  (pag.  143),  avrebbe  stimata  assai  provvi- 


deliziale  la  sua  presenza  e  la  sua  dottrina  nel  secolo  XV,  e  assai  opportuno 
il  ridestarne  la  memoria  in  questa  eia  quanto  priva  in  molti  di  vero  spirito 
cristiano  altrettanto  proclive  alle  superstizioni  diaboliche.  E  se  gli  scrittori  e 
gli  oratori  cattolici  che  s' accingono  all'  opera  salutare  di  ricondurre  i  popoli  a 
Gesù  Cristo  unissero  alla  dottrina  lo  spirito  e  lo  zelo  ardente  del  Savonarola, 
svanite  le  nuove  superstizioni,  quanto  non  guadagnerebbe  allora  il  Cattolicismo, 
e  quanto  non  perderebbe  il  Protestantesimo  e  il  Paganesimo  rinascente! 


Vili. 


Sul  metodo  di  predicazione  di  Girolamo  Savonarola. 

i. 

COME  IL   SACRO  PREDICATORE  DEVE  ESSER  COMPRESO  DI  CARITÀ  CRISTIANA 
E  D'AMORE  A  NOSTRO   SIGNORE  GESÙ  CRISTO. 

Sommario. 

La  predicazione  nel  secolo  XV  e  il  Pastor.  —  Un'  asserzione  intorno  al  Savonarola  vera  solo  per  metà.  — 
Nel  Savonarola  noi  vediamo  le  qualità  dell'ottimo  predicatore. — Nuova  pena  che  il  Pastor  non 
abbia  studiato  nel  Savonarola.  —  Quali  effetti  avrebbe  potuto  produrre  il  Pastor  facendo  il  ri- 
tratto dell'Oratore  Fiorentino. —  La  Lettera  circolare  sulla  sacra  predicazione  emanata  viva  e 
intiera  da  Fra  Girolamo. — Un  bel  tema.  — Alto  concetto  del  ministero  del  Predicatore  secondo 
la  S.  Congregazione  de'  Vescovi  e  secondo  Girolamo  Savonarola.  —  Qualità  richieste  al  Sacro 
Oratore. — Il  Pastor  che  pare  dimentichi  se  stesso.  —  Fra  Girolamo  maestro  e  modello  di  pietà 
cristiana.  —  Fra  Girolamo  esemplare  d'  amore  a  Cristo.  —  Alcuni  passi  fra  i  mille.  —  Le  poesie 
di  Fra  Girolamo,  slanci  d'  amore  al  Crocifisso.  — Zelo  di  Fra  Girolamo  della  gloria  di  Dio  e  della 
salute  delle  aDime.  —  Affettuosa  e  santa  lettera  del  Savonarola  alla  Madre  non  intesa  dal  Pastor. 
—  Dne  asserzioni  in  una  pagina  del  Pastor  che  non  s'  accordano  insieme.  —  La  pietà  di  Fra  Gi- 
rolamo risplende  nella  sua  vita  esteriore.  —  Vero  spesso  inculcato  dal  Savonarola.  —  Non  può 
insegnare  la  vita  spirituale  agli  altri,  chi  prima  non  la  pratica.  —  Alcuno  testimonianze.  — 
L'  edificazione  cristiana  e  il  Savonarola.  —  Singolarità  del  Frate  di  San  Marco.  —  Testimonianze 
del  Pastor.  —  La  vita  e  la  dottrina  del  Savonarola  sono  una  cosa.  —  Conclusione. 

11  Pastor  nell'  introduzione  del  suo  libro,  parlando  de'  missionarj  e  de'pre- 
dicatori  di  penitenza  all' epoca  del  risorgimento,  dice  che  Girolamo  Savona- 
rola univa  in  sè  «  molte  delle  cattive  e  buone  qualità  della  predicazione  di  al- 
lora sviluppate  in  sommo  grado  »  (pag.  122). 

Noi  al  contrario  non  pur  molte  delle  buone  qualità  che  si  rinvengono 
ne'  missionarj  e  ne'  predicatori  di  quel  tempo,  ma  tutte  le  qualità  dell'  ottimo 
oratore  facilmente  troviamo  in  Fra  Girolamo  e  sviluppate  davvero  in  sommo 
grado,  e  non  ci  riesce  gran  fatto  di  scorgerne  delle  cattive,  e  tanto  meno  quelle 
che  vi  trova  il  Pastor  come  vedremo  in  seguito. 

Anzi  qui  più  che  mai  ci  duole  che  il  Professor  d' Innsbruck  scrivesse 
fidandosi  meglio  negli  altri,  che  in  se  stesso.  Se  egli  avesse  ricercato  le  Opere 


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di  Fra  Girolamo,  il  suo  volume  sarebbe  stato  più  completo,  e  il  suo  disegno 
molto  meglio  colorito.  Per  lui  cattolico,  e  che  sa  tanto  rettamente  ammirare  il 
bene  e  ribattere  il  male  nell'  epoca  del  risorgimento,  sarebbe  slata  una  vera 
fortuna  il  trovare  un  modello  d' oratore  sacro  corrispondente  in  modo  perfetto, 
per  quanto  gli  uomini  possono,  e  per  quanto  si  poteva  in  quell'  età,  ai  desiderj 
della  Chiesa  e  alle  prescrizioni  de'  Pontefici  e  de'  Goncilj  che  vennero  poi. 

E  descrivendocelo,  come  la  sua  penna  sa  fare,  avrebbe  rallegrato  non  poco 
il  suo  spirito  e  lo  spirito  de'  buoni,  e  confuso  i  tristi  che  in  quel  tempo  non 
sanno  vedere  se  non  male  o  poco  bene  misto  a  moltissimo  male.  Se  la  scuola 
di  Fra  Girolamo  fosse  stata  seguita,  noi  non  avremmo  avuto  bisogno  delle  pre- 
scrizioni di  Leone  X  e  del  Concilio  lateranense,  nè  forse  delle  ultime  emanate 
dalla  Sacra  Congregazione  de' Vescovi,  per  ordine  di  Leone  XIII.  Quando  io 
lessi  la  «  Lettera  circolare  della  Sacra  Predicazione  ermnata  d' ordine  di 
Sua  Santità  Leone  Papa  XIII  dalla  Sacra  Congregazione  de'  Vescovi  e  regolari 
diretta  a  tutti  gli  ordinar]  a"  Italia  ed  ai  superiori  degli  ordini  e  congregazioni 
religiose,  »  (')  fui  preso  da  non  poca  meraviglia;  imperocché  mi  parve  eh'  essa 
esprimesse  vivo  e  intiero  il  concetto  di  Fra  Girolamo!  Certo  le  opere  di  Fra  Gi- 
rolamo, come  sembrano  un  ampio  commento  alla  Enciclica  di  Leone  XIII 
sugli  studj  della  Sacra  Scrittura,  così  sembrano  ancora  un  ampio  commento 
di  questa  lettera:  e  il  Savonarola  stesso  si  potrebbe  portare  a  modello  e  ad 
esemplare  de'  veri  inculcati  dal  savissimo  documento.  Non  v1  è  un  concetto  in 
questo  mirabile  scritto  che  non  si  trovi  espresso  e  messo  in  pratica  da  Fra 
Girolamo. 

La  sacra  eloquenza  e  Girolamo  Savonarola  sarebbe  un  tema  altissimo  e 
amplissimo.  Esso  potrebbe  riuscire  un  completo  trattato  di  sacra  eloquenza  e  in 
questi  tempi  recare  nel  clero  frutti  eletti  e  copiosi.  Il  Savonarola  è  uno  de' più 
perfetti  modelli  di  predicatore  cristiano.  Certo,  se  rivivesse  lo  spirilo  di  questo 
Frate,  le  eccitazioni  de'  Pontefici  Clemente  X,  Innocenzo  XI,  Innocenzo  XIII, 
Benedetto  XIII,  e  quelle  di  Leone  XIII  non  avrebbero  bisogno  di  essere  ripe- 
tute più  oltre,  ma  sarebbero  senza  meno  seguite  e  praticate  con  immenso  van- 
taggio della  morale  e  della  fede.  E  come  ci  sarebbe  caro  svolgere  qui  ampia- 
mente quest'  argomento!  Il  dover  essere  brevi  ci  è  più  che  mai  fatica.  Ad  ogni 
modo  ci  restringeremo  a  pochi  raffronti  tra  la  lettera  ora  citata  e  le  parole  del 
Frate  di  San  Marco;  e  così  apparirà  quanto  siasi  dipartito  dai  suoi  stessi  in- 
tendimenti il  Pastor  non  celebrando  come  si  conveniva  l'eloquenza  dell'ar- 
dente Domenicano,  e  quanto  abbia  nociuto  alla  verità  col  maltrattarla  come 
ha  fatto. 

La  Sacra  Congregazione  de'Vescovi  parte  da  un  nobile  concetto  dell'ufficio 
del  predicatore,  e  mette  per  principio  di  quanto  insegna  1'  altezza  del  ministero 
della  predicazione  cristiana.  E  certo  non  s' inganna  chiamando  grande  e  santo 
il  ministero  della  divina  parola.  Anzi  non  v'  è  cattolico  che  non  veda  chiaro 
eh' essa  dice  ottimamente.  Ma  noi  crediamo  che  pochi  abbiano  conosciuta  e  cele- 


(')  31  luglio  1891. 


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brata  questa  verità  meglio  di  Frate  Girolamo:  «L'ufficio  e  ministero  del  predi- 
catore (dice  egli  nella  XIV  sopra  Ezechiele)  è  tale  e  tanto,  che  in  questo  mondo 
non  si  trova  alcuna  dignità  o  ministero  più  eccellente.  E  questo  si  prova  con 
molte  ragioni.  E  prima,  la  eccellenza  dell'  uomo  in  quanto  F  uomo  è  la  parte 
intellettiva,  e  la  maggiore  eccellenza  della  parte  intellettiva  è  la  sapienza; 
onde  dice  Salomone:  Beato  l'  uomo  che  trova  la  sapienza,  ecc.  Dì  adunque 
così:  Ogni  ufficio  è  più  degno  quanto  ministra  cose  più  degne;  ma  così  è 
che  la  predicazione  ministra  la  sapienza,  la  quale  è  degnissima;  adunque  l'uf- 
ficio della  predicazione  è  più  degno  di  tutti  gli  altri.  E  non  ministra  la  pre- 
dicazione la  sapienza  de'  filosofi,  ma  la  sapienza  di  Dio,  che  è  un  infinito 
tesoro;  adunque  tanto  è  più  degna.  Inoltre,  tutte  le  potenze  dell'anima  sono 
ordinate  agli  atti  suoi  come  a  fine,  come  è  la  potenza  visiva  al  vedere  ecc.;  e 
l' abito  è  ordinato  alla  operazione  come  a  fine  e  perfezione.  Quelle  virtù 
adunque  che  sono  ordinate  a  più  perfetta  e  più  nobile  operazione  sono  più 
degne.  Ma  il  ministero  della  predicazione  è  ordinato  alla  più  perfetta;  adunque 
è  il  più  degno.  Mostrasi  la  predicazione  essere  ordinata  alla  più  nobile  ope- 
razione, perchè  è  proporzionata  alla  più  nobile  operazione,  la  quale,  dice 
Dionisio,  Dio  fa  negli  angeli:  cioè  purgare,  illuminare  e  accendere.  Così 
fa  la  predicazione  negli  uomini.  Adunque  è  ufficio  degnissimo.  Inoltre  la 
più  nobile  causa  si  conosce  per  la  nobiltà  dell'effetto;  ma  così  è  che  il 
più  nobile  effetto,  che  sia  nel  cristiano,  è  la  buona  vita;  e  di  quella  è  causa 
la  predicazione.  Adunque  è  degnissima.  Parimente,  come  nella  Chiesa  trion- 
fante sono  distinti  gli  ordini,  e  i  più  nobili  ordini  hanno  più  nobili  ufficj; 
così  nella  militante.  Ma  così  è  che  nella  trionfante  sono   gli  ufficj  di  pur- 
gare, illuminare  e  perfezionare;  e  quegli  angeli  che  hanno   tutti  questi  ufficj 
sono  i  superiori,  e  i  serafini;  e  questi  medesimi  ufficj  ha  il  predicatore;  adun- 
que è  il  supremo  ufficio  nella  Chiesa.  Inoltre  l'infimo  dell'  ordine  superiore  tocca 
il  supremo  dell'inferiore;  ma  così  è  che  le  illuminazioni  vengono  dagli  angeli 
in  questo  mondo;  e  il  predicatore  è  quello  che  tocca  l' infimo  angelo  per  la  il- 
luminazione che  riceve.  Adunque  il  predicatore  è  il  supremo  dell'  ordine  infe- 
riore, cioè  della  Chiesa.  Parimente,  quel  ministero  che  è  stato  più  eccellente 
ne'  primi  e  supremi  che  sono  stati  nella  Chiesa,  è  più  degno.  Questo  è  stato 
ufficio  de' primi,  cioè  degli  Apostoli,  che  sono  i  supremi.  Adunque  questo  è  il 
più  degno.  E  benché  gli  Apostoli  fossero  mandati  a  battezzare,  tuttavia  il  principale 
fu  questo  della  predicazione.  (l)  Parimente,  quelle  opere,  che  sono  ordinate  alle 
cose  spirituali,  sono  più  eccellenti,  che  quelle  che  sono  ordinate  alle  tempora- 
li; e  quelle  che  sono  ordinate  alle  più  spirituali,  più  che  quelle,  che  sono 
ordinate  alle  manco  spirituali.  Ma  così  è  che  la  spirituale  operazione  è  co- 
noscere, ed  amare  Dio,  alla  quale  è  ordinata  la  predicazione.  Adunque  la 
predicazione  è  ufficio  eccellentissimo.  E  se  tu  dicessi:  adunque  1'  ufficio  del 
predicare  è  più  degno  di  quello  del  Papa,  e  de'  prelati,  ti  rispondo,  che  l'ufficia 


(')  Cf'r.  S.  Tommaso,  Somma  Teol,  p.  Ili,  qu.  67,  art.  1  ad  lm,  e  art.  2  ad  lm. 


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del  Papa,  e  de' Vescovi  è  primo  e  proprio  il  predicare  (');  ma  perchè  l'hanno  la- 
sciato, Dio  ha  mandato  i  frati,  e  non  è  proprio  nostro  ufficio.  * 

I  passi  analoghi  al  presente  nelle  opere  del  Savonarola  sono  moltissimi  e 
tutti  assai  belli  e  molto  sentiti;  ma  è  inutile  che  ne  trascriviamo  altri:  il  tra- 
scritto basta  a  mostrarci  ad  evidenza  che  il  Savonarola  aveva  un  concetto  tale 
del  ministero  della  sacra  predicazione,  che  nessuno  può  averne  uno  più  grande 
e  più  santo.  Del  resto,  andando  innanzi,  questo  punto  si  completerà  da  sè  spon- 
taneamente per  le  cose  che  avremo  da  dire.  Posto  questo  principio,  la  Lettera 
circolare  passa  subito  a  discorrere  delle  qualità  richieste  al  sacro  oratore.  La 
prima  cosa  adunque  per  la  sacra  eloquenza  richiesta  dalla  Congregazione  si 
riferisce  alle  qualità  del  predicatore,  insegnando  essa  che  non  si  deve  mai  af- 
fidare un  ministero  sì  santo  a  chi  non  sia  fornito  di  vera  pietà  cristiana  e  com- 
preso di  grande  amore  a  nostro  Signor  Gesù  Cristo,  senza  del  quale  il  predica- 
tore non  sarebbe  mai  altro  che  un  bronzo  sonante  e  un  cembalo  squillante;  nè  mai 
potrebbe  avere  quel  vero  zelo  della  gloria  di  Dio  e  della  salute  delle  anime, 
che  dev'  essere  il  solo  movente  e  il  solo  fine  dell'  evangelica  predicazione. 

Di  questo  è  certamente  ben  persuaso  il  Pastor;  e  appare  chiarissimo  da 
tutte  le  sue  opere,  non  che  dal  volume  che  abbiamo  per  le  mani,  e  segnatamente 
dalla  compiacenza  che  mostra  di  provare  citando  le  analoghe  disposizioni  del 
ConcilioLateranense.Ora  si  potrebbe  dubitare  che  queste  qualità  fossero  in  grado 
eminente  in  Fra  Girolamo?!  Ma  come  fa  pena  il  Pastor  allorché  parla  della  fuga 
dal  secolo  di  Girolamo  Savonarola,  dell'opuscolo  del  Disprezzo  del  mondo  (tratto 
quasi  per  metà  dalla  Sacra  Scrittura),  della  lettera  a'genitori,  della  canzone  De 
mina  Ecclesice! !  Qui  doveva  egli  vedersi  aperta  la  via  per  giungere  alla  cono- 
scenza di  un'  anima  tutta  infocata  d'amor  divino,  tutta  presa  da  zelo  per  la  Chiesa 
di  Cristo,  tutta  fervente  nella  via  della  perfezione;  e  invece  non  vi  scorge  altro 
che  zelo  appassionato,  che  fa  esagerare  il  male  del  mondo,  nè  lascia  vedere  il 
bene,  zelo  eccessivo...!  Francamente,  a  noi  qui  e  nei  luoghi  analoghi  del  Pa- 
stor, non  par  più  di  leggere  uno  scrittore  intieramente  cristiano  cattolico,  come 
è  lo  storico  de'  Papi,  ma  invece  uno  educato  alla  scuola  moderna  dell'incredulità; 
e  quasi  dissi  che  mi  par  di  leggere  non  un  libro  grave,  ma  un  giornale  qualsiasi. 
Il  Pastor  qui  e  ne' luoghi  analoghi  ci  pare  che  abbia  dimenticato  se  slesso.  A  noi 
parve  sempre  che  dall'  opuscolo  del  Disprezzo  del  mondo,  lasciato  a'  parenti 
per  confortarli  della  sua  partenza,  fino  all'  Esposizione  del  Miserere,  e  alla  Me- 
ditazione sopra  il  Salmo  In  te,  Domine,  speravi  fatta  in  carcere  per  conforto 
dell'anima  sua  e  troncatagli  a  metà  dal  carnefice,  le  opere  del  Savonarola  non 
avesser  parola  che  non  fosse  del  tutto  pietà  cristiana  e  amor  a  Cristo  e  al  pros- 
simo. Che  pagine  si  potrebbero  trascrivere  qui!  E  quali  cose  non  si  avrebbero 
a  dire!  Sentiamo  però  di  esser  del  tutto  impari  all'argomento,  e  cederemmo 
davvero  molto  volentieri  la  penna  ad  un'anima  pia  grande  e  adulta  nell'amore 
delle  cose  celesti. 

Quanta  e  quale  fosse  la  pietà  cristiana  di   Fra  Girolamo  appare  assai 


(')  Cfr.  S.  Tommaso,  1.  e,  qu.71,  art.  4  ad  3m. 


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chiaro  da'  suoi  biografi,  anche  da'  suoi  avversar)'  ;  e  ce  lo  mostrano  ad  evi- 
denza le  sue  opere  spirituali  :  la  Semplicità  della  Vita  Cristiana,  la  Rególa  del 
ben  vivere  cristiano  ;  i  trattati  :  De'  sette  gradi  pe'  quali  si  ascende  alla  sommità 
della  vita  spirituale  ;  dell'  Umiltà  ;  del  Sacramento  e  de'  Misteri  della  Messa  ;  del- 
l' Orazione:  le  Regole  convenienti  per  orare  nel  tempo  della  tabulazione;  dell'  ora- 
zione mentale,  e  molte  e  molte  sue  lettere  e  segnatamente:  Della  mutua  ca- 
rità e  de' progressi  nella  perfezione,  ad  un  religioso  di  San  Marco  ;  Come  bisogna 
esercitare  la  carità  secondo  V  ordine  della  divina  provvidenza  ;  Sopra  i  tre  voti 
della  vita  religiosa,  alla  contessa  della  Mirandola;  le  Regole  utili  a  tutti  i  re- 
ligiosi, dell'  esame  di  coscienza,  all'  abbadessa  delle  Murate.  —  E  scritti  simili  a 
questi  citati,  e  fatti  come  essi  sono,  non  possono  uscire  se  non  da  un'  anima 
che  conosca  la  vita  cristiana  non  solo  per  istudio,  ma  pur  anche  per  averla 
praticata  e  per  aver  conseguito  1'  abito  del  ben  vivere.  E  perciò,  anche  se  non 
avessimo  notizia  precisa  d'  altronde,  basterebbero  questi  scritti  a  mostrarci 
Girolamo  Savonarola  adorno  della  pietà  cristiana  in  sommo  grado.  Non  è  il 
caso  che  ci  tratteniamo  più  oltre  a  parlar  di  questo.  Col  tempo,  se  piacerà  a 
Dio,  estrarremo  dalle  Opere  del  Frate  un  manuale  per  le  anime  pie  e  devote, 
ed  allora  apparirà  (speriamo)  assai  chiaramente  la  bellezza  dello  spirito  del 
Savonarola,  e  si  vedrà  che  quanto  di  più  fervido  e  delicato  vanti  1'  ascetica 
nostra  si  trova  tutto  negli  scritti  di  quest'  insigne  predicatore. 

E  dell'  amore  che  Fra  Girolamo  aveva  a  Cristo  che  diremo?  «  Ecco  il  no- 
stro Re  alla  destra  del  Padre:  suoqa  la  cetra  e  canta  le  lodi  del  Re;  Specioso 
iti  bellezza  sopra  i  figliuoli  degli  uomini;  la  grazia  è  diffusa  sulle  tue  labbra, 
per  questo  ti  benedisse  Dio  in  eterno.  Signore,  tu  se'  specioso,  tu  se'  bello  sopra 
tutti  gli  uomini,  tu  m'  hai  innamorato  con  la  tua  bellezza.  Io  voglio  cominciare 
a  raccontare  dal  primo  punto  che  io  m' innamorai  della  tua  bellezza:  io  con- 
sideravo, che  i  filosofi  volevano  sapere  la  tua  bellezza  e  vedevan  le  creature 
quanto  eran  belle,  e  dicevano:  Quanto  adunque  deve  essere  la  bellezza  di  Dio! 
E  essa  come  la  terra?  no  ;  è  essa  come  1'  aria  e  il  fuoco?  no  ;  è  essa  come  un 
bell'uomo,  una  bella  donna?  no;  è  essa  come  il  cielo,  come  le  stelle?  no. 
Finalmente  dicevano,  eh'  essa  era  molto  più  grande  per  eccellenza. 

«  Io  1'  aveva  studiato  questo  punto  tra  questi  filosofi,  non  potetti  però  mai 
allora  intendere  la  tua  bellezza,  ma  poi  che  io  ho  considerato  che  tu  hai  voluto 
mostrarla  nella  bruttezza,  io  l'ho  intesa  meglio  nella  causa  vile  che  non  la  in- 
tendevo per  1'  eccellenza  delle  creature.  Tu  sei  voluto,  Signore,  entrare  nella 
fragilità  della  carne  e  in  questa  bruttezza;  e  questa  ha  tirato  i  cuori  umani  ad 
amare  la  tua  bellezza  e  per  questa  bruttezza  hanno  conosciuto  le  cose  sopra 
natura.  Non  sono  stati  questi  cento,  non  mille,  non  diecimila;  ma  centomigliaia 
e  più  milioni,  piccoli,  grandi,  cristiani,  giudei,  pagani  e  di  ogni  generazione;  tutti 
sono  stati  uniti  ad  uno;  e  hanno  voluto  lasciarci  la  pelle  e  sono  morti  con  in- 
finito gaudio.  Cedono  adunque  a  te  tutte  le  bellezze,  io  non  voglio  vedere  più 
cosa  bella  se  non  te,  Signor  mio;  tu  hai  mostrato  la  bellezza  in  ogni  cosa;  una 
donna  bella  è  sempre  bella,  o  sia  ornata  o  no.  Voglio  adunque  dire,  che  per 
certo  tu  devi  essere  una  bella  cosa  nella  tua  bellezza,  poiché  tanto  sei  bello  e 


tanto  piaci  nella  tua  bruttezza,  cioè  in  sul  legno  della  Croce;  e  così  tu,  Signore, 
insino  nella  bruttezza  hai  mostratola  bellezza.  E  questa  è  la  laude  che  io  ti  ho 
voluto  cantare  stamane.  Tutti  gli  uomini  per  natura  desiderano  di  sapere:  o  Si- 
gnore, tutti  gli  uomini  cercano  di  sapere  e  d' intendere,  ma  dovrebbero  cercare 
la  tua  sapienza.  Lucifero  non  conobbe  la  tua  sapienza;  ma  volendo  conoscere 
la  sua,  fu  fatto  infelice.  Adamo  volendo  gloriarsi  nella  sua  sapienza,  perdette  la 
tua  e  la  sua.  I  filosofi  cercarono  sapienza,  e  restando  nella  loro,  perdettero  l'una 
e  l'altra.  Di  questa  sapienza  adunque  che  n'  hai  tu  fatto,  Signore?  tu  se'venuto  ed 
hai  fatto  a  rovescio,  cioè  che  noi  comprendiamo  la  tua  sapienza  per  la  stoltizia 
della  Croce:  tu  hai  tolto  la  stoltizia  della  predicazione  e  della  croce  e  l'hai 
rivoltata  in  sapienza.  Tutti  quelli  che  ti  hanno  seguito  hanno  trovato  tanta  sa- 
pienza in  questa  Croce,  che  sono  stati  i  più  savj  uomini  del  mondo,  perchè 
hanno  avuto  con  questa  sapienza  la  grazia.  I  filosofi  non  poterono  avere  mai 
grazia  nella  loro  sapienza,  le  poesie  non  hanno  mai  avuto  grazia,  ma  solo  la 
tua  incarnazione  portò  la  grazia.  Il  Signore  è  fatto  uomo,  Dio  è  diventato 
uomo;  io  confesso,  io  lo  testifico  qua  a  tutto  questo  popolo,  che  Dio  è  uomo, 
e  la  prima  causa  è  uomo.  Innanzi  all'avvento  tuo,  non  fu  grazia;  ma  dopo  la 
tua  fede,  è  venuta  a  noi  ogni  grazia.  Diffusa  è  la  grazia  sulle  tue  labbra,  e  però 
ti  ha  benedetto  il  Signore  in  eterno  :  questa  è  stata  cosa  mirabile,  che  tu  hai 
fatto  a  rovescio  della  sapienza  de'  filosofi.  La  più  nobile  causa  suol  fare  più 
nobil  effetto  ;  ma  tu  hai  presa  la  infermità  umana,  e  una  cosa  vile,  e  hai 
vinto  con  essa  tutto  il  mondo.  Tu  hai  vinto  gì'  imperatori.  Tu  ti  sei  lasciato 
ammazzare,  e  morendo  tu  hai  vinto.  Tu  hai  comandato  a'tuoi  servi  che  si  lascino 
percuotere  e  ammazzare,  e  l'hanno  fatto.  0  Signore,  vincest  egli  a  questo  modo? 
tu  hai  voluto  vincere  a  rovescio  delle  altre  vittorie,  e  però  tu  sei  più  savio 
d'  ogni  altro  savio,  e  sei  lodato  e  benedetto  in  eterno.  Cingi  a'  tuoi  fianchi  la 
tua  spada,  o  potentissimo.  La  spada  tua  è  il  verbo  tuo,  col  quale  vincesti  il 
mondo  nella  fragilità  della  carne,  morendo  in  essa.  Vien  qua  giudeo;  tu  adori 
un  altro  Dio;  se  egli  è  un  altro  Dio  che  questo,  egli  non  può  essere  Dio;  ecco 
la  ragione:  Costui  ha  vinto  il  tuo  Dio;  adunque  questo  è  il  vero  Dio.  Tu  non 
puoi  comparire  giudeo:  così  voi,  Pagani,  non  potete  comparire,  perchè  questo 
Dio  ha  vinto  i  vostri  idoli,  andatevi  adunque  ad  ascondere.  Ecco  adunque  qua 
la  lode  tua,  Signore;  io  ti  ho  lodato  nella  tua  bellezza,  nella  tua  bontà,  nella  tua 
sapienza.... 

«  0  cristiani,  se  noi  pensassimo  alle  lodi  del  Signore,  e  volessimo  pigliare 
un  poco  di  fede,  e  considerare  questa  incarnazione,  certo  saremmo  felici  ! 
Che  vogliamo  noi  fare  più  di  questo  mondo?  Abbracciamo  la  Croce,  questa 
è  la  sapienza,  questa  è  la  bellezza,  questa  è  la  bonlà;  ogni  cosa  sta  qua  den- 
tro. 0  Signore,  quanto  sei  tu  grande!  Piglia  la  spada  tua  un'altra  volta  po- 
tentissimamente, come  tu  hai  fatto  per  il  tempo  passato;  piglia  la  spada  del 
verbo  tuo.  Venne  quel  Maometto  che  avea  la  spada,  e  non  si  lasciò  ammaz- 
zare come  te;  Iddio  permise  che  quei  popoli  lo  seguitassero  per  il  peccato  della 
loro  superbia.  Vieni  adunque,  o  Signore,  con  la  spada  tua  potente  e  1'  uno  po- 
tentato cacci  l'altro,  e  poi  verrai  con  la  spada  del  verbo  tuo.  Deh!  Signore, 


—  74  — 


dimmi,  quando  tu  ricomperasti  il  mondo,  meritava  egli  che  tu  fossi  morto  per 
lui  ?  Tu  facesti  bene  al  mondo,  non  per  i  suoi  meriti  ;  ma  per  tua  bontà.  Io 
mi  volto  a  voi,  santi,  io  dico  a  voi,  martiri,  non  per  vostra  bontà,  no,  ma 
col  braccio  del  Signore  avete  guadagnato  il  Paradiso,  e  per  sua  grazia. 
Così  fa' adesso  a  noi,  Signore,  vien  fuora  con  quel  Crocifisso  e  mostralo  a 
tutto  il  mondo.  Con  la  tua  speciosità  e  bellezza  tendi  V  arco.  Mostra  questa 
bellezza  tua,  risguarda  un  poco  questa  Italia,  risguarda  un  poco  Firenze  e 
vogli  infondere  la  tua  grazia.  Avanzati  felicemente.  Manda  innanzi  quest'  opera; 
fa'  che  la  proceda  infino  fuor  dell'Italia.  Regna,  Signore,  in  noi;  governa  il 
cuore  de'  tuoi  eletti.  Per  la  verità:  Vieni,  Signore,  con  quella  tua  sapienza  tanto 
amata.  Tu  sei  nato  per  la  verità,  venisti  nel  mondo  per  far  testimonio  alla  ve- 
rità. Vieni,  Signore,  con  quella  Croce,  vieni  con  quella  stoltezza  tanto  savia,  e 
mostra  la  tua  verità.  E  per  la  mansuetudine  e  la  giustizia:  Mostra  ancora,  Si- 
gnore, la  tua  mansuetudine,  la  quale  fu  tanta  ne'  tuoi  santi,  che  vollero  morir 
per  te:  fa' cosi  adunque  in  questi  altri.  E  a  cose  mirabili  ti  condurrà  la  tua 
destra.  La  tua  destra  e  la  tua  potenza  mirabilmente  estenderà  il  tuo  nome  in 
Italia  e  fuori  dell'Italia.  Le  tue  saette  penetranti  passeranno  i  cuori  de'  nemi 
del  re:  Vieni,  Signore,  con  le  tue  saette,  cioè  con  le  tue  parole,  e  cen  le  tue 
sentenze,  che  penetrano  i  cuori  e  ammazzeranno  gli  adulteri,  che  li  tireranno  a 
te,  e  ammazzeranno  i  pagani,  che  li  tireranno  alla  fede.  1  popoli  cadranno  a' tuo' 
piedi.  I  popoli  ti  adoreranno:  vieni  a  regnare,  Signore,  tu,  chè  il  diavolo  regna 
per  tutto  il  mondo.  Non  voglio  più  sapienza  de' filosofi;  non  più  retorica,  vogliamo 
ma  vogliamo  che  tu  sia  il  nostro  Re.  »  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XXXVIII.) 

«  Che  è  Vuomo  che  tu  di  lui  ti  ricordi?  0  Signore,  chi  è  questo  uomo  però?  chi 
siamo  noi,  che  tu  ti  ricordi  così  de' fatti  nostri?  che  merito  è  il  nostro,  Signore, 
che  tu  sei  venuto  a  visitarci?  perchè  hai  tu  fatte  queste  cose  a  noi?  Od  il 
figliuolo  dell'  uomo  che  tu  lo  visiti?  Signore,  chi  è  il  figliuolo  dell'  uomo?  egli  è 
il  nostro  Gesù  Cristo:  tu  lo  hai  fatto  Re  degli  angeli  questo  uomo,  tu  l'hai  fatto 
Re  dell'  universo.  Angeli,  voi  non  vi  potete  gloriare  che  il  vostro  Dio  sia  angelo; 
ma  noi  ci  possiamo  ben  gloriare,  che  il  nostro  e  vostro  Dio  sia  uomo.  Angeli, 
adorate  quel]'  uomo  ;  o  cherubini,  o  serafini,  adorate  quell'  uomo  ;  o  troni,  o 
potestà  o  dominazioni,  inginocchiatevi  tutti,  e  adorate  quest'uomo.Lo  hai  fatto 
per  alcun  poco  inferiore  agli  angeli.  Signore  mio,  egli  è  vero  che  hai  minuito  un 
poco  questo  uomo  dagli  angeli  in  questo,  cioè  che  fu  passibile,  e  gli  angeli 
non  son  passibili.  Lo  hai  coronato  di  gloria  e  di  onore,  e  lo  hai  costituito  sopra 
le  opere  delle  tue  mani.  Ma  poi  che  egli  ebbe  patito,  tu  lo  facesti  glorioso  e  lo  co- 
ronasti della  tua  gloria,  e  Io  hai  messo  sopra  le  opere  tue,  sopra  i  cieli  e  sopra 
gli  angeli.  Tutte  quante  le  cose  hai  soggettate  a1  piedi  di  lui,  le  pecore,  i  bovi  e  tutte 
le  fiere  della  campagna.  Tu  hai  messo  ogni  cosa  sotto  la  sua  potestà,  tu  l'hai 
fatto  Signore  del  tutto,  tu  gli  hai  soggetto  le  pecorelle,  e  gli  agnellini,  che  sono  i 
buoni  uomini  e  i  buoni  fanciulli.  E  i  bovi,  che  sono  i  buoni  predicatori,  che  hai 
soggetti  a  questo  Re.  E  le  fiere  della  campagna.  Tu  hai  ancora  soggetto  a  que- 
sto uomo  le  pecore  del  campo,  cioè  quelli  che  vanno  per  la  via  larga  come  cam* 
po,  cioè  li  scellerati  peccatori,  lussuriosi,  avari,  e  li  altri  cattivi  tutti  sono  sog- 


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getti  a  questo  Re.  Gli  uccelli  dell'  aria  e  i  pesci  del  mare,  i  quali  camminano  le 
vie  del  mare.  Gli  uccelli  e  i  pesci  del  mare  ancora  hai  soggetti  a  questo  uomo; 
gli  uccelli  sono  i  superbi  che  volano  per  aria  come  uccelli:  i  pesci  del  mare 
sono  gli  avari  che  vanno  circondando  tutte  le  vie  per  acquistare  roba  e  da- 
nari. Tutti  costoro  tu  li  hai  sottoposti  a  questo  Re,  tu  gli  hai  ancora  soggetto 
tutto  l'inferno.  Benedetto  adunque  colui  che  viene  nel  nome  del  Signore:  Osanna 
negli  eccelsi:  Benedetto  sia  tu,  Re  e  Signor  nostro,  benedette  le  viscere  della 
tua  misericordia,  benedetta  sia  la  tua  mamma,  nostra  Regina.  Signore  io  ti 
raccomando  la  tua  città,  io  ti  raccomando  questi  fanciulli,  io  ti  prego  che  ti 
sia  raccomandata  questa  opera,  e  che  la  mano  tua  sia  oggi  con  esso  loro  in 
questa  Santa  processione.  Firenze,  questo  è  il  Re  dell'  universo,  questo  è  vo- 
luto ora  diventare  speciale  tuo  Re  ;  Firenze  noi  vuoi  tu  per  tuo  Re?...  » 
(Ivi,  XL).  (') 

«  Nota  il  luogo,  nota  il  legno  della  Croce,  nota  bene  questo  luogo,  nota 
ove  Dio  è  andato  per  te.  0  cristiani,  notate  bene  questa  Croce,  notate  bene 
questo  luogo:  Può  essere  che  i  cristiani  non  pensino  a  questo  beneficio  che 
Dio  ha  fatto  all'umana  natura?  Va'  qua,  dico  a  questo  Crocifisso,  e  nota  bene 
questo  luogo  e  dì  :  Questo  è  il  mio  Dio  che  è  voluto  essere  morto  in  questo 
luogo  per  mio  amore.  Se  tu  vuoi  confermarti  nella  fede,  vai  spesso  al  Croci- 
fisso e  dì  :  Questo  è  quello  che  ha  insegnato  il  ben  vivere;  questo  è  quello 
che  ha  spenta  la  idolatria;  questo  è  quello  che  ha  fatto  ed  insegnato  la  buona 
legge;  questo  è  quello  che  fa  languire  di  amore. 

«  Ricordati,  cristiano,  della  mia  povertà,  ricordati  della  mia  passione,  ricor- 
dati dello  assenzio  e  del  fiele,  e  che  io  ho  voluto  morire  per  te.  0  massimo  di 
tutti  i  beneficj,  o  grandissima  carità,  per  dar  vita  ad  altri  eleggere  la  morte  per 
sè!  L'  anima  mia  manca  a  considerare  tanto  benefizio,  1'  anima  mia  languisce. 
Vien  qua,  filosofo,  guarda  in  questa  Croce:  tu  vai  cercando  riposo,  tu  vai  cer- 
cando il  fine  dell'uomo,  questo  t'insegna  la  vita  beata,  qua  dentro  v'è  tutta  la 
filosofia.  L'amore  di  Cristo  è  tutta  quiete.  Tu  vai  cercando  la  quiete,  nota 
bene  qua  il  luogo  dov'  è  crocifisso  Cristo,  non  si  trova  quiete  se  non  qua. 
Questo  è  il  fine  dell'  uomo,  questo  è  quello  che  ti  fa  solido  in  tutte  le  tribola- 
zioni, per  questo  si  disprezzano  gli  onori,  per  questo  ogni  ricchezza  si  disperge 
e  congregasi  tesoro  in  paradiso  e  dassi  alle  cose  superiori.  Questo  è  quello  che 
noi  predichiamo,  noi  predichiamo  Cristo  crocifisso,  il  quale  è  scandalo  ai 
cattivi  e  salute  a  tutti  i  buoni. 

«  Vattene  a  dormire  ai  piedi  di  questo  Cristo  e  copriti  col  suo  mantello; 
1  mantello  suo  è  la  sua  carità  che  copre  ogni  cosa.  0  che  gran  carità  è  que- 
sta, esser  voluto  morire  per  te  e  non  aver  bisogno  alcuno  di  te!  Gettati  dun- 
que ai  piedi  suoi,  abbraccia  e  bacia  quelle  piaghe,  copriti  col  suo  mantello,  en- 


(')  Qui  «  la  predicazione  non  andò  più  in  là,  perché  a  questa  domanda  tutto  il  popolo 
•ispose  con  altissime  voci  di  si,  e  che  lo  voleva  per  Re  e  ognuno  gridò  :  Viva  Cristo,  e:  Mi- 
nericordia;  e  poi  il  Padre  predicatore  dette  la  benedizione;  e  ognuno  si  parti.  •  (JVofa  di  Lo- 
•enzo  V(oli).  —  Questi  erano  gli  effetti  dolle  predicazioni  di  Fra  Girolamo  Savonarola! 


tra  e  nascondili  nelle  sue  viscere.  Pensa  alla  sua  grande  carità  e  quella  prega, 
che  ti  dia  la  tua  salute. 

«  Va'qua  da  questo  Booz,  il  quale  è  ito  a  dormire  appresso  al  monte  de' ma- 
nipoli, cioè  nella  sua  Scrittura,  dove  è  un  monte  di  spighe  e  di  sentenze.  Leggi 
la  sua  Scrittura,  dove  sono  descritti  i  beneficj  che  questo  nostro  Salvatore  ha 
fatti  all'  umana  natura.  Pensa  a  questo:  non  aver  mai  in  memoria  se  non  Cri- 
sto: abbilo  sempre  nel  tuo  cuore  e  dì  :  Che  voglio  altro  che  questo?  Signore 
mio,  essendo  tu  quello  che  mi  dai  ogni  cosa,  io  non  voglio  altro  che  te.  Manda 
giù,  Signore,  il  tuo  Spirito,  riempi  il  core  de'  tuoi  fedeli  e  rinnoverassi  la  faccia 
della  terra. 

«  Dove,  se' tu,  Signore?  0  Signore  che  stai  tu  a  fare.  0  Signore,  la  terza 
volta,  dov'è  il  sangue  tuo  che  tu  hai  sparso  per  noi?  Non  abbandonare  il  po- 
polo tuo,  la  chiesa  tua  è  già  per  terra.  Tu  se'  pure  la  prima  causa,  tu  hai 
fatto  tutto  il  mondo,  tu  l'hai  dipoi  ricomperato;  non  volere  ora  ch'ei  si  perda. 
Manda  giù  lo  Spirito  tuo,  questo  è  il  riposo  nostro.  Manda  giù  il  tuo  dolce 
amore,  questo  è  quello  che  ti  domandiamo,  questo  è  quello  che  noi  cerchiamo. 

Deh!  facci  struggere,  deh!  facci  languire  del  tuo  dolce  amore  (l)  » 

(Sopra  Ruth  e  Michea,  VI.) 

«  .  .  .  .  Allegratevi  adunque  figliuoli  miei,  allegratevi  buoni  che  Cristo  è 
Dio.  Che  ti  bisogna  dunque  più  danari  ?  Che  cercare  più  ricchezze  ?  Che  più 
onori?  Andiamo  cercando  Cristo,  queste  sono  le  ricchezze,  questo  è  il  tesoro 
infinito.  Pigliamo  in  spalla  la  sua  croce,  non  temiamo  di  persecuzione  alcuna; 
a  noi  basta  sapere  del  certo  che  Cristo  è  Dio  e  se  lo  seguitiamo  andremo  in 
Paradiso.  Che  vogliamo  noi  più  ?  Oh  !  Signore,  può  essere  che  noi  siamo  tanto 
duri  ?  Manda  giù,  Signore,  manda  il  tuo  spirito  che  ti  amiamo  e  conosciamo  e  se- 
guitiamo. . .  . 

«  Signor  mio,  io  mi  volto  a  te  ;  tu  sei  la  prima  verità  e  volesti  morire  per 
la  verità,  e  morendo  tu  vincesti.  Cosi  io  sono  parato  per  la  tua  verità  voler 
morire.  Tu  sai  quel  che  io  ho  detto  :  io  l1  ho  detto  nel  lume  tuo  ;  e  così  nel  me- 
desimo lume  annunzio  questa  mattina,  che  1'  opera  tua  a  andare  innanzi,  e 
abbiamo  a  vincere.  Tu  sai,  Signore,  che  non  dico  questa  cosa  da  me,  nè  mi 
confido  in  me,  ma  in  te  solo,  Signor  mio,  che  difenderai  la  tua  verità,  perchè 
io  da  me  non  avrei  saputo  far  niente  ;  ma  tu,  Signore,  m'  hai  inspirato  a  far 
così,  benché  io  non  ne  sia  degno.  Io  confesso  1'  error  mio,  eh'  io  ho  guasto 
l'opera  tua,  Signore;  ma  quel  ch'io  dico,  dico  nel  lume  tuo;  e  invito  un'altra 
volto  tutti  i  savj  di  Roma  e  fuor  di  Roma  per  volere  difendere  la  tua  verità. 
Eccomi  qua,  Signor  mio,  tu  volesti  morire  per  me,  e  io  sono  contento  volere 
morire  per  te.  ...  »  (2)  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XXI.) 

(')  Anche  qui  (e  qual  meraviglia?)  la  predica  fu  rotta,  perchè  il  popolo  venne  in  tante  la- 
grime e  fervore  che  cominciò  a  gridare  misericordia.  Il  Padre  détte  la  benedizione  e  partissi. 

(5)  «  Nota  qui  tu  che  leggi,  scrivo  un'altra  volta  il  Violi,  che  essendo  il  Padre  predicatore 
u  questo  punto  della  predica,  esclamò  tanto  verso  il  Crocifisso  con  tale  veemenza  e  spirito, 
che  tirò  il  popolo  in  tanto  fervore,  che  tutti  con  altissime  voci  gridarono:  Misericordia  ;  e, 
Viva  il  nostro  Re  Gesù.  Cristo  ;  e  intorruppesi  qui  la  predica,  e  il  padre  predicatore  dette  la 
benedizione  e  partissi.  » 


—  77  — 


Ma  a  quale  fine  trascrivere  passi?  Bisognerebbe  trascriver  tutte  Je  opere  del 
Frate.  Girolamo  Savonarola  ama  Cristo  Crocifisso  come  si  ama  il  nostro  ultimo 
fine  conosciuto  e  tenuto  fermamente  per  tale;  e  ne  parla  con  entusiasmo,  e  come 
inspirato,  ogni  volta  che  può  farlo.  I  sermoni  sulla  prima  di  San  Giovanni  son  tutti 
uno  slancio  ed  uno  sfogo  d'amore  per  Gesù.  Se  ne  leggano  i  titoli  e  già  si  vedrà 
che  diciamo  il  vero.  Ivi  si  parla  «  della  pace  della  superna  città,  »  «  dell'ammira- 
zione di  tutti  i  Santi  e  della  cognizione  del  Verbo  per  i  sensi  del  vedere,  dell'udito 
e  del  gusto,  »  «  della  celsitudine  del  Verbo  per  il  senso  del  toccare;  »  i  sermoni 
IV  e  V  sono  specialmente  aurei,  nei  quali  si  discorre  «  del  Verbo  della  vita,  » 
«  della  vera  vita  manifestata.  »  Poi  più  innanzi  si  discorre  «  dell'  eccellenza 
del  Verbo  incarnato,  e  della  luce  divina  ;  »  poi  «  del  luogo  dove  si  collocò  il 
Verbo  nato,  »  e  finalmente  «  del  Sacro  Nome  di  Gesù  e  della  venerazione, 
soavità  e  virtù  e  potenza  di  esso.  »  (Vedi  specialmente  i  sermoni  XII,  XIII, 
XVI,  XVIII.) 

Si  leggano  la  predica  II  sopra  il  salmo  Guam  Bonus  che  tratta  «  del- 
l' amore  divino  »  ;  la  predica  XV  che  tratta  «  dell'  amore  di  Gesù  Cristo  »  ;  la 
XIX  che  discorre  «  della  Natività  di  Cristo  »;  la  XXIV  che  ha  per  argomento' 
«  dell'  ultimo  fine  che  è  Cristo  Gesù  benedetto  »  ;  e  poi  mi  si  sappia  dire  se 
si  può  trovare  cosa  più  devota  e  piena  di  maggior  diletto;  e  se  si  può  quindi 
agevolmente  trovare  un'anima  più  amante  di  Cristo  dell'anima  di  Frate  Giro- 
lamo !  La  mente  mia,  e  il  mio  cuore  non  sanno  reggere  alla  piena  della  dol- 
cezza meditando  le  bellezze  che  si  leggono  nelle  prediche  sopra  Giobbe,  in 
quelle  sopra  Amos  e  Zaccaria;  sopra  Ruth  e  Michea;  le  auree  pagine  della 
Semplicità  della  vita  e  del  Trionfo!  Le  preghiere,  le  invocazioni,  le  lodi  che  Fra 
Girolamo  volge  al  Crocifisso  sono  tali  da  movere  anche  le  anime  più  dure  !  E 
vi  può  esser  cosa  nell'ascetica  cristiana  più  dolce  e  più  infiammativa  del  Trat- 
tato dell'amore  di  Gesù  Cristo  composto  da  Fra  Girolamo  da  Ferrara;  o  del 
Discorso  fatto  a'  suoi  frati  nella  Vigilia  di  Natale  sopra  la  Natività  del  nostro 
Signor  Gesù  Cristo?  Taccio  delle  Poesie,  nelle  quali  l' inspirato  autore  par  che 
non  chieda  altro  nè  altro  voglia  o  desideri  se  non  che  Cristo  gli  ferisca  il  cuore 
dell'amor  suo!  In  esse  cantò  «  dell'Amore  di  Gesù  »  ;  «  La  Natività  del 
Signore  »;  «  La  lode  del  Crocifisso  »:  cantò  «  a  Gesù  quando  Maria  piangeva 
a' suoi  piedi  »;  cantò  «  Della  Consolazione  del  Crocifisso  »....  e  così  invitava 
tutti  al  suo  Amore  :  (l) 

Venite,  gente,  dal  mar  Indo  al  Mauro 

E  chiunque  è  stanco  dentro  nel  pensiero  : 
Non  forza  d'  arme  quivi,  non  impero. 
Prendete  senza  fine  argento  ed  auro; 
Venite,  povri  e  nudi,  al  gran  tesauro; 


(')  Ed.  Guasti,  poesia  V.  —  Per  il  verso  U°  cf.  Petrarca:  Canzone  Vergine  bella,  ecc. 
Vergine,  que'  begli  occhi 
Che  vider  tristi  la  spietata  stampa 
Ne' dolci  membri  del  tuo  caro  figlio,  ecc. 


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A  le  dolce  acque  d'  un  celeste  fonte 
Levate  ormai  la  fronte  ; 
Che  più  non  temo  un  om  coperto  d'arme! 
E  senza  dubio  parme 

G-ià,  sciolti  i  lacci  e  dentro  il  cor  avvampa 
Mirando  il  segno  e  la  spietata  stampa  

Ma  che  vale  il  più  dire?  Ad  ogni  modo  delle  cento  non  riuscirei  mai  a 
dirne  una.  Si  getti  nell'  anime  un  po'  del  fuoco  per  Cristo  che  riscaldava 
l'anima  del  Frate  riformatore,  e  il  mondo  sarà  rinnovellato  in  Cristo  un'altra 
volta. 

E  la  pietà  cristiana  ond' era  compresa  l'anima  del  Savonarola;  l'amore 
ond'  egli  ardeva  per  Cristo  spingevano  il  nostro  Frate  ad  amare  d'  amore 
immenso  il  prossimo;  e  a  zelare  la  gloria  di  Dio  con  tutto  l'ardore,  con 
tutte  le  forze  della  sua  mente  e  del  suo  corpo.  In  quale  degli  oratori  cristiani 
si  potrà  trovare  quel  vero  zelo  della  gloria  di  Dio  e  della  salute  delle  anime 
che  la  citata  lettera  circolare  richiede,  meglio  che  in  Girolamo  Savonarola?  La 
sua  vita  non  l'ha  egli  spesa  tutta  a  gloria  di  Dio  e  a  salute  delle  anime?  Per 
chi  ha  usato  l'ingegno  e  la  dottrina?  E  non  era  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle 
anime  che  lo  mossero  a  faticarsi  per  rassettare  un  poco  la  vigna  del  Signore 
che  vedeva  guasta  dagli  stessi  custodi?  Non  era  amore  purissimo  degli  uomini 
e  di  Dio  quello  che  gli  faceva  chiamare  i  grandi  ingegni  nel  suo  convento,  e 
vi  faceva  studiare  la  lingua  orientale  per  andar  poi  a  predicar  la  fede  fra  i 
turchi,  e  convertire  a  Cristo  gl'infedeli  ed  i  pagani?  (') 


(*)  Non  so  per  qual  ragione  il  Pastor  affermi  che  gli  studj  della  lingua  greca  e  delle 
orientali  nel  convento  di  San  Marco  furono  raccomandati  dal  Savonarola  senza  peraltro 
ottenere  buon  successo  (pag.  131).  In  quale  archivio  o  libro  ha  trovato  la  notizia  peregrina?! 
Noi  sappiamo  invece  che  lo  studio  della  lingua  greca  e  delle  lingue  orientali  inaugurato  dal 
Savonarola  in  San  Marco  ottenne  un  ottimo  successo.  Basterebbe  a  dimostrarlo  il  solo  nome 
di  Fra  Santi  Pagnini  Lucchese  che,  preso  l'abito  Domenicano  alla  tenera  età  di  15  anni  nel 
convento  di  Fiesole  il  16  febbraio  1187,  fu  poi  per  cura  del  Savonarola,  che  ne  conobbe  il  vi- 
vacissimo ingegno,  messo  sotto  la  direzione  del  celebre  maestro  di  Pico  della  Mirandola 
1'  Ebreo  Abramo  Blemet,  che  attratto  dalla  vita  religiosa  dei  discepoli  del  Savonarola  non 
solo  si  converti  alla  fede,  ma  vesti  ancora  1'  abito  Domenicano  in  San  Marco  per  le  mani 
dello  stesso  Savonarola  il  23  giugno  1492  prendendo  il  nome  di  Fra  Clemente.  E  cosi  comin- 
ciò in  San  Maroo  lo  studio  della  lingua  santa  e  continuò  quello  delle  altre  lingue,  sicché 
nella  predica  del  mercoledì  dopo  pasqua  del  1496  il  Savonarola  poteva  dire  dal  pergamo: 
«  Nella  nostra  religione  v' è  tre  lingue  in  perfezione,  cioè  tutina,  greca  e  ebraica,  e  dipoi  la 
moresca  e  la  caldea  anche  abbiamo  ;  e  credi  che  non  senza  ragione  Iddio  ce  1'  ha  mandate-..  » 
(XLVII  sopra  Amos.)  Al  nome  di  Santi  Pagnini,  detto  dal  Marchese  «  il  San  Girolamo  e  l'Ori- 
gene dell'  età  sua  »  (Scritti  vari,  voi.  I  p.  383),  deve  unirsi  quello  di  Fra  Zanobi  Acciajoli  che 
ricevè  l'abito  perle  mani  del  Savonarola  il  13  decombre  1495,  di  Fra  Niccolò  Scomberg,  ve- 
stito dal  Savonarola  il  29  ottobre  1497  o  di  Fra  Giorgio  Antonio  Vespucci,  zio  del  celebre  Ame- 
rigo, vestito  anch' egli  dal  Savonarola  il  5  giugno  1497,  i  quali  per  impulso  del  medesimo  si 
accinsero  a  lavori  dottissimi;  e  si  ebbero  da  loro  le  traduzioni  di  Olimpiodoro  sull'Ecclesia- 
ste, di  Eusebio  da  Cesarea  contro  Jerocle,  di  Teodoreto  e  di  Sesto  Empirico  (v.  Marchese 
loc.  cit.,  p.  880  e  segg.)  Ho  nominato  por  brevità  i  soli  contemporanei  del  Savonarola;  ma 
l'amore  agli  itudj  biblici  e  linguistici  nel  convento  di  San  Marco  e  nella  Congregazione  Toscana 
«'è  conservato  vivo  fino  ai  nostri  giorni.  —  Se  poi  il  Pastor  intende  che  il  Savonarola  non 


—  79  — 


Anche  qui  potremmo  trascrivere  delle  pagine  sublimi  e  tutte  fuoco  se  lo 
zelo  del  Savonarola  non  fosse  noto  a  tutti  coloro  che  dalla  passione  non  hanno 
velati  gli  occhi.  Non  sappiamo  tuttavia  tenerci  dal  far  conoscere  ai  nostri  let- 
tori una  lettera,  citata  ma  non  intesa  dal  Pastor.  Non  intesa,  perchè  lo  storico 
d' Innsbruk  ne  conobbe  solo  pochi  passi  tratti  da  altri  autori  che  scrissero  del 
Frate.  Se  l'avesse  letta  per  intiero,  certo  ne  sarebbe  rimasto  ammirato;  per 
contrario  ne  toglie  occasione  a  pronunciare  un'altra  ingiuria  contro  Fra  Gi- 
rolamo. 

Questa  lettera  è  scritta  alla  madre;  e  perciò  è  tutta  spontaneità,  tutta  af- 
fetto, e  schiettezza:  V  anima  del  Savonarola  vi  si  rispecchia  intiera,  e  vi  tra- 
spare quale  è  veramente;  ed  è  scritta  il  dì  della  Conversione  di  San  Paolo 
Apostolo,  il  25  Gennaio  1489.  (') 

<          Una  volta,  essendo  io  libero,  mi  son  fatto  servo  per  amore  di  Gesù, 

il  quale  per  mio  amore  si  fece  uomo,  e  prese  forma  di  servo  per  farmi  libero; 
poi  in  tutto  cerco  la  gloria  della  libertà  dei  figliuoli  di  Dio:  e  però  studio 
quanto  io  posso  di  servire  a  lui,  e  per  niuna  affezione  terrena  e  carnale  di  non 
mi  sottrarre  dalle  fatiche,  per  suo  amore  volentieri  lavorando  nella  sua  vigna 
in  diverse  città,  a  ciò  ch'io  non  solamente  salvi  1'  anima  mia,  ma  anche  quella 
degli  altri,  temendo  anche  grandemente  il  suo  giudizio,  se  io  non  facessi  a 
questo  modo;  perchè  se  lui  mi  ha  dato  il  talento,  bisogna  che  io  lo  spenda  in 
quel  modo  che  a  lui  piace.  Sì  che,  madre  mia  dilettissima,  non  vi  deve  ag- 
gravare se  mi  allontano  da  voi,  e  se  io  vado  in  diverse  città  discorrendo;  per- 
chè tutto  questo  faccio  per  la  salute  di  molte  anime,  predicando,  esortando, 
confessando,  leggendo  e  consigliando;  3  non  vado  mai  da  loco  a  loco  se  non 
per  questo  fine,  per  lo  quale  anche  mi  mandano  sempre  i  miei  prelati,  e  però 
piuttosto  vi  dovete  confortare  che  Iddio  si  sia  degnato  di  eleggere  uno  dei  vo- 
stri frutti,  e  porlo  a  tanto  ufficio.  Se  io  stessi  a  Ferrara  continuamente,  cre- 
diate che  non  farei  tanto  frutto  come  faccio  di  fuori,  sì  perchè  niuno  religioso 
o  pochissimi  fanno  mai  fructo  di  santa  vita  nella  patria  propria;  e  però  la 


potè  colorire  il  suo  disegno  quanto  alle  missioni  che  principalmente  aveva  di  mira  nel  rac- 
comandar lo  studio  della  lingua  greca  e  delle  orientali,  allora  ci  permetta  di  dirgli  franca- 
mente che  questo  non  è  un  parlare  degno  di  un  uomo  serio  quale  egli  è  !  Se  penso  al  palco 
elevato  in  piazza  della  Signoria,  se  penso  al  rogo  che  s'  accese  il  23  maggio  1498,  se  penso 
che  il  Savonarola  aveva  soli  45  anni....  le  parole  del  Pastor  mi  suonano  troppo  amare....  Ma 
la  parola  del  Maestro,  anche  dopo  la  sua  tragica  morte,  ebbe  forza  di  comando  pei  discepoli 
di  lui,  sebbene  perseguitati  e  dispersi;  e  compirono  essi  1'  opera  sua.  Legga  il  Pastor  queste 
parole  del  Padre  Marchese  dal  quale  avrebbe  potuto  avere  onde  evitar  tanti  errori:  «  Dalla 
loro  perizia  nelle  lingue  orientali  ne  provenne  un  altro  vantaggio;  nella  Congregazione 
di  San  Marco  la  Chiesa  per  lunga  pezza  trovò  un  vivaio  di  dotti  e  zelanti  missionarii 
de'  quali  si  valse  a  diffondere  e  a  radicare  la  fede  di  Cristo  nella  Persia  e  nell'  Armenia  o  a 
stringere  vieppiù  i  Greci  Cattolici  sparsi  nelle  Isole  Jonie  al  centro  della  cattolica  unità  » 
(1.  c.  p.  379.)  Nelle  missioni  poi  della  Cina  lavorarono  con  ardore  i  due  celebri  domenicani  di 
Fiesole  P.  Angelo  Cocchi  e  P.  Vittorio  Ricci,  e  il  dottissimo  religioso  di  San  Marco  P.  Timo- 
teo Bottigli  che  scrisse  anche  operette  in  lingua  Cinese  ad  uso  dei  neofiti.  (V.  il  Periodico 
Rosario,  Memorie  Domenicane,  anno  3»,  p.  72,  173,  238,  258  e  367.) 
(')  Cfr.  Villari,  pag.  88-89. 


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Santa  Scrittura  sempre  grida  che  si  vada  fuori  della  patria;  si  perchè  non  è 
data  tanta  fede  a  uno  della  patria,  quanto  a  un  forestiere,  e  nelle  predicazioni 
e  consigli;  e  però  dice  il  nostro  Salvatore  che  non  è  profeta  accetto  nella  pa- 
tria sua,  onde  ancora  lui  non  fu  accetto  nella  sua  patria.  Dipoi  adunque,  che 
Dio  s'è  degnato  di  elegermi  da'  miei  peccati  a  tanto  ufficio,  dove  io  lo  ringra- 
zio infinite  volte,  slate  contenta  che  io  stia  nella  vigna  di  Cristo,  fuori  della 
patria  mia:  dove  io  so  e  tocco  con  le  mani,  e  ho  questa  esperienza  che  senza 
comparazione  faccio  maggior  frutto  a  l'anima  mia  e  a  quella  degli  altri  ;  che 
io  non  farei  a  Ferrara;  nella  quale  se  io  stessi  e  volessi  fare  quello  che  io 
faccio  nelle  altre  città,  io  so  che  mi  saria  detto  che  era  detto  da  compatrioti 
di  Cristo  a  esso  Cristo,  i  quali,  quando  lui  predicava,  dicevano  :  Non  è  costui 
fabbro  e  figliuolo  di  un  fabbro  e  figliuolo  di  Maria  ?  E  non  si  degnavano  di 
udirlo.  Così  direbbero  di  me:  Non  è  costui  quel  maestro  Gerolamo  che  faceva 
i  tali  e  i  tali  peccati,  che  era  come  noi?  Hor  sappiamo  bene  chi  è  costui:  e 
non  udirebbero  divotamente  le  mie  parole.  Onde  a  Ferrara  molte  volte  mi  è 
stato  detto  da  alcuni  che  mi  vedevano  in  tale  esercizio  di  camminare  di  città 
in  città,  che  i  nostri  frati  debbono  bavere  bisogno  di  uomini,  quasi  come  di- 
cessero: Se  in  tante  cose  esercitano  te,  che  sei  vile,  certa  cosa  è  che  hanno 
bisogno  di  uomini.  Ma  fuori  della  patria  mia  non  mi  è  detto  tali  parole  ;  anzi, 
quando  io  mi  voglio  partire,  piangono  uomini  e  donne,  e  apprezzano  grande- 
mente le  mie  parole.  (4)  Non  scrivo  questo  perchè  cerchi  lodi  umane,  nè  perchè 
mi  diletti  di  lodi,  ma  per  dimostrarvi  quale  sia  il  mio  fine  in  questo  mio  stare 
fuori  della  patria,  a  ciò  che  conosciate  che  io  vi  sto  volentieri,  perchè  io  so 
che  io  faccio  cosa  più  grata  a  Dio  e  più  salutifera  a  me  e  a  le  anime  de' miei 
prossimi  ;  le  quali  cose  intanto  prepongo  a  tutti  i  tesori  mondani,  che,  a  com- 
parizione del  mio  guadagno,  li  reputo  come  fango.  E  però,  madre  mia  onoran- 
dissima, non  vi  dolete  di  questo,  perchè  quanto  più  mi  farò  grato  a  Dio,  tanto 
più  le  mie  orazioni  per  voi  varranno  presso  di  lui;  e  non  vi  crediate  di  essere 
da  lui  abbandonata  per  le  tabulazioni,  anzi  credete  che  voi  lo  avete  abban- 
donato, e  nè  lui  ha  abbandonata  voi;  però  che  per  i  flagelli  vi  costringe  a  ri- 
durvi  a  lui;  forse  che  per  questa  via  vi  vole  salvare  con  i  vostri,  e  vuole  esau- 
dire le  mie  orazioni,  nelle  quali  io  non  prego  che  vi  dia  della  roba,  ma  che  vi 
dia  della  sua  grazia,  e  che  vi  conduca  a  vita  eterna  per  quella  via  che  piace 
a  lui.  Io  credevo  di  scrivere  poche  parole,  ma  l'amore  ha  fatto  trascorrere  la 
penna,  e  ho  aperto  a  voi  più  il  mio  cuore,  eh'  io  non  mi  avevo  pensato  di  fare. 
Sappiate  adunque  finalmente,  che  il  mio  cuore  è  più  fisso  che  mai  fosse  ad 
esporre  V  anima  e  il  corpo,  e  tutta  la  scienza  che  mi  ha  dato  Dio,  e  tutta  la 
grazia  per  amore  di  Dio  e  per  la  salute  del  prossimo  mio;  e  perchè  questo 
non  posso  fare  nella  patria,  lo  voglio  fare  di  fuori.  Onde  io  vi  prego  che  questo 


(')  Si  capisce  quindi  che  giù  il  Frate  doveva  aver  riportati  altri  successi  e  non  pochi 
oltre  la  predicazione  di  Brescia;  e  perciò  anche  per  questa  lettera  si  mostra  molto  infondata 
e  poco  precisa  l'asserzione  ripetuta  dal  Fastor,  che  «  il  buon  successo  di  questo  quaresimale 
ridiede  al  Savonarola  quella  fiducia  in  se  stesso  che  aveva  perduto  in  Firenze  »  (p.  \2i.) 


—  81  — 


mio  corso  non  vogliate  impedire,  sapendo  voi  di  certo,  clie  quando  vi  potrò 
giovare  in  qualche  cosa,  lo  farò;  e  quando  sarà  bisogno,  non  mi  aggraverà  ve- 
nire a  Ferrara;  ma  quando  non  è  bisogno,  mi  reputo  grave  peccato  per  poca 

cosa  lasciare  le  operazioni  di  Dio,  le  quali  lui  mi  commette          Oggi  piglierò 

il  cammino  verso  Genova.  Pregate  Iddio  che  mi  conduca  salvo,  e  che  mi  fac- 
cia fare  gran  frutto  in  quel  popolo   » 

Si  potrebbe  trovare  miglior  documento  di  zelo  per  la  gloria  di  Dio  e  la 
salute  delle  anime?!  E  il  Paslor  qui  pare  che  non  sappia  veder  altro  che  una 
prova  che  il  buon  successo  del  quaresimale  recitato  a  Brescia  l'  anno  1486  ri- 
diede al  Frate  quella  fiducia  in  se  stesso  che  aveva  perduta  in  Firenze  !  (')  Fidu- 
cia in  se  stesso  il  Savonarola?!  Fiducia  perduta?!  Ma  non  avete  voi  detto  nella 
stessa  pagina  124,  che  «la  fredda  indifferenza  de' Fiorentini,  non  che  intimidire 
il  Savonarola,  infìammavalo  anzi  a  vie  più  francamente  sferzare  i  vizj  del  suo 
tempo?!  E  non  dite  ivi  stesso  che  insieme  «  la  fantasia  del  Frate  si  riempiva 
delle  storie  dell'antico  e  del  nuovo  testamento,  le  visioni  degli  antichi  profeti 
e  dell'Apocalisse  prendevano  vita  a'  suoi  occhi?!  »  Di  più  soggiungete:  «  Un 
giorno  gli  parve  a  un  tratto  che  il  cielo  si  aprisse  dinanzi  a  lui;  vide  descri- 
versi a'  suoi  occhi  le  future  calamità  della  Chiesa,  e  udì  una  voce  che  gì' impo- 
neva di  annunciarle  al  popolo.  Da  quel  momento  si  tenne  sicuro  della  sua  divina 
missione;  ed  una  volta  trascinato  nella  cerchia  magica  di  visioni  e  di  sogni,  non 
ne  è  più  uscito  fino  al  giorno  della  sua  cattura.  »  Or  come  si  possono  concor- 
dare le  due  sentenze?  Mi  direte  forse  che  esse  non  son  vostre,  ma  una  è  della 
Schwab,  l'altra  del  Villari  :  ma  con  questo  non  avete  risposto  nulla.  Voi  cre- 
dete a  tutti  e  due  o  a  nessuno  ;  a  questo  o  a  quello  ?  Fiducia  in  se  stesso  il 
Savonarola!  Un  razionalista,  sì,  lo  può  dire  e  anche  credere;  ma  un  cristiano 
che  legga  e  intenda  le  opere  del  Frate  non  potrà  mai  creder  lecito  che  si  pro- 
nunci una  proposizione  simile;  nè  potrà  mai  pronunciarla;  e  tanto  meno  ad- 
durre a  prova  la  santa  lettera  tutta  piena  di  umiltà  che  noi  abbiamo  trascritto. 
Forse  in  essa  vi  ferma  la  parola  talento?  Meditandola  un  poco,  e  pensando 
un  momentino  al  Vangelo  ond'  è  tratta,  essa  v'  apparirà  la  più  umile  di  tutte 
quelle  che  si  leggono  nel  documento. 

Sentite  ancora  un  passo  che  mostra  assai  bene  il  contrario  di  quanto  in- 
sinua il  Pastor  e  prova  ancor  esso  che  il  Savonarola  nel  predicare  mirava 
solo  alla  gloria  di  Dio  e  alla  salute  delle  anime  e  niente  alla  sua  gloria  :  «  Io  non 
cerco  la  gloria  mia.  Se  io  cercassi  la  gloria  mia  e  non  quella  di  Dio,  io  direi 
bene  de'  principi,  io  loderei  i  gran  maestri,  io  adulerei,  e  non  sarei  persegui- 
tato. Chi  non  ha  paura,  per  amor  di  Cristo,  dice  il  vero  in  faccia  a  ciasche- 
duno. Guarda  una  pianta:  ogni  volta  che  tu  la  cavi  fuora  della  terra,  non  fa 
frutto  alcuno;  così  se  io  cercassi  la  gloria  mia,  e  fossi  fuori  della  terra  della 


(')  Quest'espressione  il  Pastor  la  prese  certo  dal  Villari  (p.  S7),  ma  se  il  Villari  scrive 
che  da  quel  giorno  egli,  il  Frate,  non  dubitò  più  di  se  stesso,  soggiunge  anche:  «  Pure  il 
candore  e  la  bontà  dell'  animo  suo  eran  tali,  che  con  questa  sicurezza  di  sò  crescevano  in 
lui  la  modestia  e  1'  umiltà....  »  Ma  nel  Pastor  di  tutto  ciò  non  è  fatto  il  minimo  cenno. 

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gloria  di  Cristo,  io  non  potrei  sostentare  quest'opera.  Ei  sa  il  Signore  che  io 
non  cerco  gloria  mia;  ma  cerco  solamente  la  sua;  ei  sa  il  Signore  che  pura- 
mente io  parlo  e  dico  nella  mia  semplicità  che  mi  giova  più  all'  anima  mia  vi- 
tuperi' e  persecuzioni,  che  laude  e  gloria,  e  però  li  voglio.  »  (Sopra  Amos  e 
Zaccaria  XXXIII).  E  nella  XVII  sopra  Aggeo  ripete  ancora:  «  0  Firenze,  quel 
che  io  ti  parlo  è  per  il  bene  tuo,  e  non  per  il  mio.  Io  non  aspetto  cosa  alcuna 
da  te,  e  nulla  cerco.  Tutto  quello  che  io  faccio  è  prima  per  1'  onor  di  Dio,  e 
poi  per  tua  utilità,  per  la  qual  cosa  penso  ancora  avere  la  morte;  ma  per  que- 
sto ancora  non  dubito  niente,  perchè  quel  che  io  dico  è  tutto  secondo  Dio.» 
Ma  andiamo  avanti. 

La  pietà  cristiana  non  basta  che  sia  chiusa  neh'  animo  del  predicatore 
della  parola  sacra:  sì  bene  è  uopo,  dice  la  Lettera  circolare,  «  che  risplenda  an- 
che nella  loro  condotta  esteriore,  la  quale  non  deve  mai  trovarsi  in  contradi- 
zione coi  loro  insegnamenti,  nè  avere  nulla  di  secolaresco  o  di  mondano,  ma 
sempre  esser  tale  che  li  mostri  veramente  ministri  di  Cristo  e  dispensatori 
de'  mister}  di  Dio;  altrimenti,  come  osserva  1'  angelico  San  Tommaso,  se  la  dot- 
trina è  buona  e  il  predicatore  è  cattivo,  egli  è  necessario  che  si  bestemmi  la 
dottrina  di  Dio.  » 

Che  savie  parole!  che  insegnamenti  santi!  che  bella  edificazione  è  così  il 
sacro  oratore!  Ma  anche  qui  può  esser  recato  per  modello  eccellente  Fra  Giro- 
lamo. Prima  di  tutto  egli  riconosceva  molto  bene  la  necessità  di  quest'insegna- 
mento e  lo  inculcava  dei  continuo.  E  come  poteva  esser  altrimenti  se  il  Frate 
era  profondamente  persuaso  che  la  buona  vita  de'  prelati,  de'  predicatori  e 
de'  santi  sono  il  miglior  commento  della  Sacra  Scrittura  e  la  migliore  e  più 
efficace  testimonianza  per  il  popolo  della  verità  e  divinità  della  fede  cristiana? 
Come  poteva  esser  altrimenti  s'  egli  per  la  carità  e  la  buona  vita  più  ancora 
che  pe'  miracoli  credeva  convertito  il  mondo  dagli  apostoli  ?  Mille  volte  almeno 
ripete  che  chi  vuol  giudicare  dell'  eccellenza  della  dottrina  e  della  vita  cristiana, 
della  divinità  della  nostra  fede  deve  guardare  alla  vita  de'  fedeli;  alla  vita  di 
quelli  che  praticano  l'insegnamento  di  Cristo,  e  risplendono  per  buone  opere.  (') 
Sentite  del  resto  alcuni  passi  del  Frate  ne'  quali  espone  questo  insegnamento: 
«  Chi  vuole  insegnare  ad  altri  bisogna  avere  imparato  bene  per  sè;  non  basta, 
dico  la  scienza  universale,  ma  bisogna  venire  alle  opere,  e  così  potrai  inse- 
gnare la  vita  spirituale  ad  altri.  »  (Sopra  Ezechiele,  XXVIII).  «  I  dottori  e  i 
predicatori  debbono  esser  forti  e  costanti,  puri  e  spiccati  dal  mondo;  se  vogliono 
far  bene  1'  ufficio  delP  insegnare  e  del  predicare  ed  esser  buoni  figliuoli  di  Cri- 
sto, non  si  debbono  partire  dalla  Santa  Madre  Chiesa,  ma  in  ogni  cosa  imi- 
tarla. E  massime  gli  Apostoli  e  i  primi  dottori  e  predicatori  i  quali  furono  in- 
frangibili ed  imputrefattibili  nelle  persecuzioni,  e  spiccati  dall'affetto  delle  cose 
terrene,  non  si  curavano  di  roba;  ma  nudi  seguivano  Cristo  nudo.  E  così  erano 
leggeri  ad  elevarsi  in  allo  alla  contemplazione  divina.  Erano  questi  ancora  bian- 
chi per  la  purità  della  vita.  Erano  i  bastoni  dorati  che  sempre  stavano  negli 


(')  Cfr.  Leone  XIII  Enciclica,  sulla  questione  operaia  pag.  52. 


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anelli  dell'  urea.  »  (Qiiam  Bonus,  VII  —  cf.  Esodo,  c.  25,  v.  13.)  «  Se  noi  vogliamo 
viver  bene,  bisogna  vivere  semplicemente.  E  questo  è  un  segno  e  un  argomento 
potissimo  a  dimostrare  se  negli  uomini  è  1'  amore  divino,  e  se  in  loro  è  santità 
di  vita,  se  e'  sono  semplici  di  dentro  e  di  fuori.  Vuoi  tu  che  io  te  lo  faccia  toc- 
care con  mano?  Considera  che  alla  santità  seguita  la  semplicità  in  arguendo, 
si  eh' ei  seguita,  costui  è  santo,  adunque  e'  vive  semplicemente;  e  che  ogni 
uomo  del  mondo  ha  in  sè  questa  immaginazione  è  manifesto,  perchè  e' si  dice 
nel  volgo  di  qualch'  uno  che  e'  sia  santo,  e  qualch'  uno  lo  vada  visitare,  se 
e' vede  ch'egli  abbia  una  bella  vesta,  subito  si  scandalizza  e  dice:  Certo  co- 
stui non  deve  essere  santo,  come  molti  dicono,  perchè  egli  andrebbe  vestito 
semplicemente;  se  egli  vede  che  gli  abbia  una  bella  cella,  una  bella  camera 
ornata  di  tappeti  e  di  panni  d'  arazzi  con  molte  altre  pompe,  che  eccedino  lo 
stato  suo,  subito  muta  concetto,  e  non  lo  reputa  santo.  Similmente  quando  un 
religioso  parla  in  sui  punti  di  rettorica  e  che  e'  si  sforza  nel  parlare  artificiato 
con  vocaboli  d'  eloquenza,  chi  1'  ode  non  dirà  mai  che  '1  sia  santo.  Così  il  pre- 
dicatore che  non  predica  semplicemente,  ma  va  componendo  e  ornando  le  pa- 
role, tu  te  n'avvedi  subito,  se  tu  hai  occhio  buono  e  buon  gindizio,  ei  ti  dà 
noia  e  conosci  che  dentro  non  v'  è  semplicità,  e  non  lo  tieni  per  santo;  se  tu 
odi  dire  la  tale  monaca  del  tale  monastero  è  una  santa  e  tu  sappia  che  la  si 
diletti  d'  avere  libriccini  dorati  e  bambini  di  gesso  vestili  di  seta,  e  che  in 
cella  la  tenga  di  molte  cose  superflue,  subito  tu  ti  scandalizzi,  e  nel  cuore  tuo 
tu  di'  :  certo  costei  non  è  santa  come  si  dice  ;  donde  ne  seguita  che  gli  è  vero 
quello  che  io  ho  detto,  che  alla  santità  della  vita  seguita  la  semplicità.  Se  noi 
vogliamo  adunque  vedere,  s' egli  è  oggi  amore  spirituale  nel  mondo,  considera  se 
gli  uomini  hanno  questa  semplicità  nel  vestire,  nel  mangiare,  nel  parlare,  nel  con- 
versare, nell'edificare  e  nelle  altre  operazioni:  a  me  non  pare  che  ci  sia,  perchè 
io  veggo  oggi  i  cristiani  fare  di  molte  superfluità  e  molte  vanità  esteriori.  E  per- 
chè le  cose  esteriori  sono  segni  delle  cose  interiori,  è  da  concludere  che  anche 
dentro  non  abbiano  la  semplicità  interiore;  e  se  così  è,  ne  seguita  ancora  che 
non  abbiano  1'  amore  di  Cristo,  che  era  il  nostro  principale  inlento  di  provare. 
Che  s' ha  dunque  a  fare?  Ritornare  cristiani  alla  prima  semplicità.  Fa  il  man- 
tello verde  al  tuo  figliuolo,  non  gli  fare  tante  veste  di  seta,  non  gli  comprare 
tante  belle  scarselline;  così  voi  cittadini,  non  dovete  volere  nelle  case  vostre 
tanti  vasi  d'  argento  e  d'  oro,  non  tante  spalliere,  e  non  tante  belle  figure  e 
tarsie  per  le  camere,  non  tanti  cenci;  ma  vivere  alla  cristiana,  e  dilettarsi  di 
cose  semplici,  di  vesti  semplici,  di  cibi  grossi,  di  cose  mediocri,  altrimenti  non 
pensate  d'avere  mai  a  fare  profitto  nella  vita  cristiana.  »  (Ivi,  pred.  XV.) 

E  nella  predica  XVII  dice  assai  chiaro  ed  esplicito,  che  i  religiosi,  i  pre- 
lati, i  vescovi  sollevano  il  popolo  e  lo  fanno  giubilare  andando  innanzi  con 
l'esempio  e  con  la  predicazione.  E  nella  XX:  «  Come  credete  voi  che  la  gentilità, 
consueta  per  lungo  tempo  ne'  sacrificj  dei  falsi  dei,  avesse  così  facilmente  cat- 
tivato l' intelletto  a  credere  che  Dio  si  fosse  fatto  uomo,  e  avessesi  fatto  cro- 
cifiggere dall'altro  uomo,  e  del  Sacramento  dell'altare,  e  del  battesimo,  e  delle 
altre  cose  della  fede  nostra,  se  non  per  l'odore  della  buona  fama  de' cristiani 


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che  era  causata  dalle  buone  opere  che  facevano?  Oh!  tu  dirai,  che  e' furono  i 
miracoli  ?  E  io  ti  dico  che  i  miracoli  senza  le  opere  non  convertono  gli  uo- 
mini; anzi  più  convertono  le  opere  che  i  miracoli.  » 

Non  so  assolutamente  ritenermi  dal  trascrivere  alcune  cose  dalla  pre- 
dica XXXIX  sopra  Giobbe:  «  La  vita  cristiana  ti  fa  conoscere  che  in  quella  è 
Dio,  e  che  Lui  è  quel  che  la  governa....  L'  uomo  che  vive  cristianamente  e 
semplicemente,  sprezzando  le  ricchezze  e  gli  onori  e  dignità,  che  gli  altri  uor 
mini  cercano,  bisogna  dire  che  il  suo  intelletto  sia  guidato  da  altri  ch'abbia 
più  intelletto  che  gli  uomini  ;  e  che  lui  abbia  dentro  a  sè  altra  cosa  che 
1'  uomo  non  vede.  Ma  perchè  questa  sua  vita,  del  cristiano,  si  va  assimilando 
alla  vita  di  Cristo,  in  quanto  si  può,  però  bisogna  dire  che  Cristo  autore  di 
questa  vita  sia  in  lui,  e  sia  quello  che  lo  conduce.  E  così  a  questo  modo  si 
conosce  che  Dio  è  quello  che  dà  questa  vita  cristiana  e  questa  semplicità.... 
Dio  è  quello  che  regge  ognuno,  che  si  lascia  reggere;  e  però  qui  si  conosce 
che  nella  semplicità  vi  è  Dio  che  la  governa.... 

«  Noi  crediamo  che  il  vero  cristiano,  anche  eh'  egli  ti  paia  una  persona 
così  semplice,  pure  egli  ha  una  vivacità  del  parlare  suo,  che  penetra  grande- 
mente, e  convince  e  confonde  l'avversario:  e  quel  vigore  della  grazia,  che  lui 
ha  dentro  s' imprime  di  fuora  neh'  audiente,  che  non  pare  che  vi  possa  resi- 
stere.... Donde  viene  questo  se  non  da  Dio,  il  quale  è  dentro  in  lui  e  in  lui 
fa  di  fuori  questi  effetti  ?...  Il  buono  e  semplice  cristiano  che  ha  dentro  a  sè 
la  grazia  di  Dio,  e  parla  con  quella  vivacità,  che  gli  dà  quel  lume,  e  quello 
che  lui  ha  nel  cuore,  1'  imprime  nel  cuore  e  nella  mente  d'altri;  e  le  sue 
parole  hanno  un'  altra  efficacia,  che  non  hanno  quelle  di  questi  savj  del 
mondo.  E  per  queste  seconde  cause  Dio  molte  volte  opera  effetti  mirabili.  E 
quanto  V  uomo  è  più  propinquo  a  Dio  per  sua  grazia,  tanto  è  più  efficace  il 
st(o  parlare,  sì  convincendo  le  ragioni  degli  avversarj,  come  ancora  attraendo 
a  sè  gli  altri,  e  illuminandoli  di  quel  che  Dio  ha  dato  a  lui  per  sua  grazia. 
Diceva  V  Apostolo,  quando  e'  contendeva  cogli  avversarj  :  Cercate  voi  di  far 
prova  oli  quel  Cristo  che  parla  in  me?  Cioè,  che  altro  esperimento  volete  voi 
da  me?  Non  vedete  voi  che  in  me  parla  Cristo?  Così  gli  altri  Apostoli 
eh'  avevano  Dio  con  seco,  e  facevano  cose  grandi,  dicevano  :  Il  dito  di  Dio 
è  qui:  Il  dito  di  Dio  e  la  virtù  dello  Spirito  Santo  è  qui  che  fa  queste  ope- 
razioni che  vedete.  Vivi  adunque  bene,  figliuolo  mio,  vivi  semplicemente,  vivi 
come  buon  cristiano,  che  la  virtù  di  Dio  sarà  sempre  teco.  La  buona  vita  è 
quella  che  convince  ognuno.  Se  tu  vivi  santamente,  non  temere  di  avversario 
alcuno.,..;  gli  avversarj  li  convincerai  con  il  buon  esempio  della  buona  vita: 
questo  esempio  del  ben  vivere  è  quello  che  convince  ognuno.  Vuoi  tu  con- 
vincere tu,  padre,  il  tuo  figliuolo;  e  tu,  madre,  la  tua  figliuola,  e  ridurli  alla 
buona  vita?  Vivi  tu  prima  cristianamente,  e  il  tuo  esempio  li  ritirerà  al  ben 
vivere  più  che  ogni  altra  cosa  che  tu  potessi  mostrar  loro.  0  prelati  della 
Chiesa,  o  sacerdoti  capi  de'  popoli,  volete  voi  che  i  vostri  sudditi  siano  buoni 
cristiani,  e  che  non  abbiate  a  patire  per  loro  noli'  altra  vita  ?  fate  prima 
d'  esser  voi  buoni  cristiani,  e  vivete  santamente  :  date  loro  buon  esempio,  e 


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loro  lo  pialleranno.  Se  i  cristiani  vivessero  bene,  secondo  la  vita  di  Cristo,  i 
turclii  ne  verrebbero  alla  fede  e  convertirebbersi.  Ma  come  vuoi  tu  che  si 
convertino  quando  e'  veggono  i  cristiani  non  servare  straccio  della  legge  di 
Cristo,  anzi  ogni  dì  bestemmiarlo,  e  molti  cristiani  ancora  rinnegarlo?  veg- 
gono la  scellerata  Italia  per  la  mala  via,  piena  di  scelleratezza  e  d'  ogni  vi- 
zio, che  esempio  hanno  a  pigliare  da  noi  per  convertirsi  ?  0  Fiorentini,  ancora 
molli  di  voi  sono  per  mala  via,  senza  esempio  alcuno  di  buon  costume.  Voi 
altri,  che  pure  avete  preso  qualche  principio  di  ben  vivere,  state  fermi,  se- 
guitate il  viver  cristiano,  date  buon  esempio  di  voi,  che  la  buona  vita,  vi  dico, 
farà  tacere  ognuno.  » 

Io  nella  storia  ecclesiatica  conosco  pochi  che  abbiano  inteso  meglio  di  Fra 
Girolamo  il  valore  della  parola  tutta  nuova  e  tutta  cristiana:  edificare,  edifica- 
zione !  Ma  anche  qui  il  ddungarci  è  superfluo  :  la  necessità  del  buon  esempio 
nel  predicatore  del  Verbo  divino,  la  necessità  che  non  vi  fosse  contradizione 
fra  la  dottrina  e  la  vita,  il  Savonarola  l'inculcava  ad  ogni  piè  sospinto,  e  ba- 
sta aprire  le  sue  opere  per  veder  quanta  e  quale  importanza  dèsse  egli  al- 
l' esempio  in  tutti  gli  uomini  e  nei  ministri  di  Cristo  in  ispecie,  e  sopra  tutto 
in  quelli  eh'  erano  capi  nel  popolo  e  nella  chiesa.  (Conf.  la  predica  XXIII  sopra 
il  salmo  Quam  Bonus.) 

Dalla  teorica  poi  venendo  alla  pratica,  che  dovremo  dire?  Poteva  il  Savo- 
narola, eh'  era  uso  di  chiamare  infelicissimo  1'  alunno  al  quale  bisognasse  dire 
di  badare  alle  parole  del  maestro  e  non  alle  opere,  presentarsi  a  predicare 
come  fece,  col  pericolo  ch'altri  potesse  giustamente  rimproverargli  una  vita 
cattiva?!  Singolare  questo  Riformatore!  Innocente  e  puro  in  un  secolo  faci- 
noroso e  corrotto,  leva  la  voce  contro  ogni  lordura  e  ogni  scelleraggine,  e  nes- 
suno può  fare  a  lui  appunto  di  nessuna  sorta;  e  può  egli  audacemente  gridare 
a'  suoi  nemici,  a  quelli  che  non  vogliono  credere  alla  sua  parola:  Guardate  alla 
vita  di  coloro  che  mi  credono:  essa  è  buona;  è  vita  da  cristiano,  come  dunque 
potrà  non  esser  buona  la  dottrina  che  genera  tal  vita?  Forse  dall'  errore  potrà 
generarsi  il  ben  vivere?  Gli  stessi  effetti  vogliono  essere  prodotti  dalle  medesime 
cause:  la  mia  dottrina  non  è  mia,  ma  è  la  dottrina  di  Cristo.  Singolare  questo  frate 
immacolato!  Lo  perseguitano?  e  egli  può  levar  la  voce  dal  pulpito  senza  che 
nessuno  osi,  o  possa  contradirgli:  «  Popolo,  ti  voglio  dire  una  novella,  che  mi 
fu  mandato  a  dire  da  una  persona  da  bene,  che  se  gli  può  prestar  fede,  che 
parlando  a  Roma  con  un  grande  maestro  là,  forse  col  maggiore  che  vi  sia,  e 
parlando  di  queste  cose  in  sul  Frate,  quel  gran  maestro  gli  disse  :  Io  ti  dirò 
il  vero;  io  ho  posto  cura,  che  tutti  coloro  che  mi  hanno  parlato  contro  a  que- 
sta cosa  e  contro  al  Frate,  così  Fiorentini  come  altri,  mi  paiono  tutti  uomini 
di  mala  vita,  e  quelli  che  mi  hanno  parlato  per  lui  mi  paiono  buoni.  »  (Sopra 
l'Esodo,  Pred.  I).  Singolare  questo  Frale!  minacciato,  obbliga  i  suoi  persecu- 
tori a  dichiarare  che  le  sue  opere  son  buone,  che  son  buoni  i  suoi  costumi  ! 

Cosa  singolare  davvero!  Questo  Frate,  accusato  d' introdurre  un  nuovo 
modo  di  vivere,  è  ripetutamente  lodato  da  Alessandro  VI  della  buona  vita! 

Del  resto,  il  Pastor  medesimo  non  ripete  che  il  Savonarola  fu  «  moral- 


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mente  irreprensibile  »  (pag.  377),  e  che  c  s'egli  era  severo  cogli  altri  era  auste- 
rissimo  con  se  stesso?  »  Non  ripete  il  Pastor  medesimo,  che  il  Savonarola  of- 
friva nella  sua  persona  un  modello  vivo  e  parlante  dei  principi  che  inculcava? 
Predicava  egli  la  semplicità  della  vita?  e  il  Pastor  ripete  che  «  i  suoi  panni 
erano  sempre  i  più  rozzi.  »  Predicava  la  penitenza?  e  il  Pastor  ripete  che  «  i 
suo  letto  era  il  più  duro.  »  Predicava  la  povertà  ?  e  il  Pastor  ripete  che  c  la  sua 
cella  era  la  più  povera.  »  (') 

Si  studi  un  poco  l'opera  del  Savonarola,  e  si  vedrà  eh'  egli  ha  tratto  più 
anime  alla  semplicità  della  vita  cristiana  con  l'esempio  suo,  che  non  con  la  sua 
predicazione  e  cogli  scritti,  che  pur  furono  e  sono  mirabil  cosa.  Si  studi  un 
poco  questo  Frate  austero  e  si  vedrà  che  la  vita  e  la  dottrina  di  lui  sono  come 
una  parola  sola  ed  unica;  come  un  fatto  solo!  Egli  non  venne  mai  meno  a 
sè  stesso,  e  se  ben  si  riguarda,  non  si  è  ridetto  mai,  non  si  è  mai  contradelto 
in  nulla,  nemmeno  apparentemente.  Voi  lo  trovate  tutto  quest'uomo,  questo 
religioso,  questo  predicatore,  in  ogni  sua  cosa,  e  tutto  in  tutte  le  sue  cose.  Fu 
semplice, e  si  mostrò  ed  apparve  tale  ad  ognuno.  Aprite  i  suoi  biografi,  aprile  i 
suoi  scritti,  quali  volete  e  vi  apparirà  subito  chiara  la  prova  di  queste  nostre  as- 
serzioni, di  queste  nostre  conclusioni.  Diciamo  adunque  senz'altro,  e  lo  possiamo 
dire  senza  timore  ch'altri  possa  contradirci:  Girolamo  Savonarola  era  fornito 
in  un  grado  eminente  delle  prime  ed  essenziali  qualità  richieste  da  Leone  XIII 
nei  sacri  oratori:  l'anima  del  Savonarola  era  fornita  di  vera  pietà  cristiana,  era 
compresa  di  grande  amore  al  nostro  Signor  Gesù  Cristo;  e  quindi  zelava  ar- 
dentemente la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime.  E  quale  egli  era  dentro, 
tale  appariva  al  popolo  ;  di  fuori  nulla  vi  era  in  lui  di  doppio,  ma  tutto  era 
semplice,  ed  appunto  per  questo  riusciva  ad  edificazione  de'  prossimi. 


(')  Le  «  celluzze  »  del  Savonarola  (Ed.  tedesca  p.  137,  nota)  rimangono  ancora:  il  Pastor 
dà  assai  esattamente  le  dimensioni  secondo  il  Bruner  tanto  delle  celle  che  della  finestra.  Ma 
il  traduttore  [p.  127,  nota)  riesce  assolutamente  ridicolo  :  «  Quattro  piedi  quadrati  con  una 
finestrella  rotonda  alta  poro  piti  di  due  piedi!  »  Una  cella  di  4  piedi  quadrati  non  è  davvero  abi- 
tabile da  un  uomo  !  Le  celle  del  Savonarola  in  realtà  non  sono  molto  dissimili  da  quelle  degli 
altri  religiosi,  tutte  anguste  e  povere,  colla  sola  differenza  che,  mentre  i  semplici  religiosi 
ne  avevano  una  sola,  egli  come  superiore  ne  aveva  due,  l'area  delle  quali,  prese  insieme, 
supera  quella  delle  altre,  come  può  ognuno  riscontrare. 


IX. 


Segue  sul  metodo  di  predicazione 
di  Girolamo  Savonarola. 

COME  IL  SACRO    PREDICATORE  VUOLE   ESSERE  NUTRITO   DI  BUONI  STUDJ. 

Sommario. 

I  sacii  predicatori  debbono  esser  unti-iti  <li  buoni  stndj. — Girolamo  Savonarola  in  perfetta  armonia 
con  la  Lettera  circolare.  —  Alcune  testimonianze.  —  Lamenti  di  Fra  Girolamo  che  si  assumesse 
leggermente  1'  ufficio  del  predicare.  —  L' ingegno  e  la  scienza  del  Savonarola  universalmente  ce- 
lebrati. —  Il  Pastor  conviene  cbe  Fra  Girolamo  non  fu  nemico  della  scienza.  —  Un'  asserzione 
gratuita  o  amara  del  Pastor.  —  Gindizj  inesatti  del  Pastor  contro  il  Savonarola.  —  II  Savonarola, 
Dante  e  Leone  XIII.  —  La  filosofia  de'  gentili  e  il  tìuo  soprannaturale  dell'  uomo.  —  Che  cosa 
condannasse  il  Frate  di  San  Marco.  —  Girolamo  Savonarola  e  lo  studio  de'  classici  pagani.  — 
Come  si  debbano  intendere  alcune  sue  espressioni  :  e  prove  del  nostro  asserto.  —  Frate  Girolamo 
precursore  dei  tempi  moderni.  —  Le  idee  di  Fra  Girolamo  e  le  costituzioni  di  San  Domenico,  e 
degli  altri  padri. —  Il  Savonarola  vero  Domenicano.—  S'  invitano  i  Frati  dell'Ordine  e  segnatamente 
cpielli  di  San  Marco  a  imitare  V  antico  Priore.  —  Vantaggi  di  questa  imitazione.  —  Gli  eretici  e  lo 
studio  nella  Chiesa  della  filosofia  e  delle  scienze  naturali  de'  Gentili.  —  Un'  asserzione  leggera 
del  Pastor.  —  Frutti  cristiani  degli  stndj  filosofici.  —  Fra  Girolamo  e  la  Sacra  teologia.  —  Fra  Gi- 
rolamo e  i  Padri  e  i  Dottori  della  Chiesa.  —  Un  giudizio  del  Pico.  —  Il  Savonarola  alunno  e  fedele 

seguace  di  San  Tommaso  Fra  Girolamo  e  i  predicatori  fidenti  nella  loro  naturale  loquacità.  — 

Fra  Girolamo  studiava  le  prediche.  —  Conclusione. 

La  lettera  circolare,  della  quale  parlammo  nel  capitolo  antecedente,  afferma 
che  colla  pietà  e  colla  virtù  cristiana  vuole  andare  congiunta,  nel  sacro  predi- 
catore, anche  la  scienza;  essendo  manifesto  e  dalla  esperienza  continua  com- 
provato che  una  predicazione  veramente  soda  e  ordinata,  vano  è  aspettarla  da 
coloro  che  non  sono  nutriti  di  buoni  studj,  principalmente  sacri;  e  che  fidenti 
in  certa  loro  loquacità  temerariamente  salgono  il  pulpito  con  poca  o  nessuna 
preparazione.  Costoro  per  ordinario  non  fanno  altro  che  batter  l'aria,  e  alla 
divina  parola,  senza  avvedersene,  accattare  disprezzo  e  derisione;  quindi  loro 
va  detto  recisamente:  Perchè  tu  hai  respinto  la  scienza,  io  respingerò  te,  affin- 
chè tu  non  eserciti  il  mio  sacerdozio.  (') 


(')  Osea,  Cap.  IV,  v.  6. 


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Ora  lo  stesso,  perfettamente  lo  stesso,  diceva  Girolamo  Savonarola;  lo  diceva 
e  lo  praticava.  E  noi  già  più  non  ne  possiamo  dubitare,  avendo  sentilo  da  lui 
stesso  affermare  ch'egli  ha  voluto  vedere  la  teologia  e  ogni  cosa  per  inten- 
dere la  Scrittura;  e  il  Trionfo  della  Croce  e  il  Compendio  dì  tutla  la  filosofia  ba- 
sterebbero da  soli  a  provare  eh'  egli  diceva  il  vero.  Sopra  quest'  ultimo  gli 
editori  di  Venezia  poterono  scrivere: 

Qui  cupit  alta  oo-ìojv  aòslrusaque  dogmata  nosse 
Hunc  legat;  hoc  ìiììo  codice  doclus  erìt. 

L'Apologetico,  ossia  V  Operetta  della  divisione,  dell'ordine  e  della  utilità- 
di  tutte  le  scienze  e  della  ragione  della  poesia,  potrebbe  servire  da  commento 
alle  parole  sopracitate  della  Lettera  circolare.  Ma  adduciamo  qualche  testimo- 
nianza esplicita.  Nella  predica  VII  sul  salmo  Quam  Bonus  dice:  «  I  dottori  e 
i  predicatori  hanno  a  esser  pieni  e  coperti  di  vera  sapienza  di  Cristo  e  della 
Cliiesa.  »  E  neh'  Apologetico  Libro  III:  «  Buona  ed  utile  è  alla  Chiesa  la  filo- 
sofia per  se  slessa,  ed  è  poi  molto  necessaria  a  confermare  la  fede  e  ad  ab- 
bassare ogni  altezza  che  si  eleva  contro  la  scienza  di  Dio  ;  poiché,  mentre  il 
dottore  cristiano  mostra  che  la  vera  filosofia  non  solo  non  repugna  alla 
Sacra  Scrittura,  ma  piuttosto  le  viene  in  aiuto,  si  caccia,  per  così  dire,  sotto 
i  piedi  i  superbi  di  questo  secolo  e  gli  orgogliosi  e  vuoti  intelletti,  contro 
de' quali  ritorce  i  loro  proprj  dardi,  e  fa  parer  maggiore  la  loro  imprudenza;  li 
obbliga  al  silenzio,  e  difende  gagliardamente  dalla  loro  rabbia  le  pecorelle  di 
Cristo  e  gli  agnelli  e  i  fanciulli  e  coloro  che  succhiano  il  latte....  La  scienza 
naturale  ha  giovato  molto  alla  cristiana  religione  per  confutare  gli  errori,  e  per 
rintuzzare  la  superbia  di  questo  secolo  e  dei  sapienti  di  esso.  »  (4) 

«  Le  labbra  del  Sacerdote,  dice  Malachia,  (2)  custodiscono  la  scienza,  e  ricer- 
casi la  legge  dalla  bocca  sua,  perchè  è  angelo  del  Signor  degli  eserciti.  Ma 
guardati,  sacerdote,  se  non  intendi  di  queste  cose.  Odi  il  Signore  quello  che 
dica  conlra  te  per  il  profeta  Osea  :  Perchè  tu  scacciasti  la  scienza,  ti  scaccerò 
te,  che  tu  non  usi  il  mio  sacerdozio.  Oh  quanti  sacerdoti  son  oggidì  che  non 
hanno  nescienza,  nè  costumi!  E  voi  cittadini  siete  causa  di  questa  cosa....  »  (3) 

In  molti  luoghi  poi  si  lagna  fra  Girolamo  che  a'  suoi  tempi  si  assumesse 
F  ufficio  del  predicare  senza  aver  prima  studiato  bene;  fra  gli  altri  mi  piace 
addurre  un  passo  della  III  sopra  1'  Esodo,  perchè  questo  mostra  quanto  si  do- 
lesse il  Erate  che  s'  andasse  a  predicare  cosi  alla  leggera:  «  Sapete  voi  chi 
v'inganna?  Sono  i  tiepidi,  e  massime  quelli  che  paiono  così  bene  costumati. 
Queste  donnicciole  sono  ingannate  da  loro;  e' credono,  come  uno  ha  la  cappa, 
che  egli  sia  dotto,  e  che  e'  sia  santo.  Io  non  so  come  si  fanno  questi  altri  ;  i 


(')  L'  autorità  di  Fra  Girolamo  su  questo  punto  è  citata  nella  bellissima  opera  re- 
conto  del  Domenicano  De  Groot:  Summa  apologetica  ile  Ecclesia  Catltolica.  Qu.  XX,  a.  i. 

(2)  Cap.,  II,  v.  7. 

(3)  Ne  incolpa  i  cittadini  percliè,  corno  vedesi  in  molti  luoghi  delle  prediche,  egli  li 
rimproverava  di  volere  talvolta  a  ogui  modo  mandare  al  sacerdozio  i  figli  loro  per  aver 

bonefizj,  senza  curarsi  d'  altro. 


nostri  stanno  parecchi  anni  e  studiano  lungo  tempo,  innanzi  che  vengano  a  perfe- 
zione. La  cappa,  ti  dico,  non  fa  dotto,  e  non  fa  santo.  Va,  vedi,  nella  religione 
assai  ne  sono  che  non  intendono  grammatica,  e  predicano,  e  imparano  le  pre- 
diche sui  sermonarj....  E'  bisogna  scoprire  il  vero.  Io  te  ne  voglio  dire  una,  che 
io  fui  anch'io  ingannato  una  volta,  ma  io  lo  facevo  a  buon  fine.  Egli  era  un 
religioso  che  mi  diceva:  dammi  qualche  argomento  in  logica  e  in  filosofia,  e 

10  glielo  davo;  e  volevali  anche  in  volgare,  e  poi  andava  là  e  predicava  e  pareva 
un  valente  uomo,  ed  anche  errava  qualche  volta;  ma  non  se  ne  accorgeva,  se 
non  chi  era  dotto.  Ed  interveniva  come  d'uno  che  suona,  benché  e' non  suoni 
così  a  punto,  ad  ognuno  che  non  se  ne  intende  e  che  non  sia  maestro,  pare 
che  suoni  molto  bene;  sì  che  ti  dico  che  non  sanno  nulla:  E' bisogna  scoprire 

11  vero.  Chi  vuole  sapere  bisogna  che  studi  con  i  libri  e  con  la  buona  vita.  » 

L'ingegno  e  la  scienza  in  Fra  Girolamo  sono  celebrati  da  quasi  tutti  i  suoi 
contemporanei,  e  soltanto  chi  non  lo  volle  conoscere,  o  chi  ebbe  un  erroneo  con- 
cetto della  scienza  opinò,  che  il  Savonarola  fosse  nemico  del  sapere!  Ad  ogni 
modo  pur  essendo  vero,  che  fra  le  molte  accuse  che  l' ignoranza  e  il  pregiu- 
dizio mosser  contro  il  povero  Frate,  v'  ha  anche  quella,  eh'  egli  fosse  nemico 
della  scienza;  questa,  come  non  regge  assolutamente,  così  più  non  si  osa  al 
presente  di  ripeterla;  e  anche  il  Pastor  (')  afferma,  che  la  critica  più  recente 
ha  invece  dimostrato  l'ingiustizia  di  tale  incolpazione:  e  copia  questo  scrittore 
una  buona  pagina  del  Villari  a  prova  della  sua  asserzione,  (p.  131).  Vero  è 
tuttavia  che  il  Pastor  non  seppe  nemmen  qui  passarsela  senza  lanciar  qual- 
che motto  contro  il  Frate  calunniato.  Trascrivendo  adunque  dal  Burckhardt 
dice:  «  Nel  fuoco  della  sua  eloquenza  contro  i  guasti  prodotti  violentemente  dai 
Medici  non  di  rado  l'appassionato  domenicano  lasciavasi  trascinare  ad  espres- 
sioni esagerate.  Così  egli  predicava:  L'  unico  bene  che  Platone  e  Aristotele 
hanno  fatto,  si  è  questo  che  hanno  esposto  tanti  argomenti 'i  quali  si  possono 
adoperare  contro  gli  eretici.  Ma  essi  ed  altri  filosofi  se  ne  stanno  però  nel- 
l'inferno. Una  vecchiarella  ne  sa  più  di  fede  che  non  un  Platone.  Sarebbe 
cosa  buona  per  la  fede,  se  molti  libri,  che  del  resto  paiono  utili,  venissero 
distrutti.  » 

Non  dicendoci  a  quali  fonti  siano  tratti  i  passi  criticati,  noi  non  sappiamo 
qui  dire  se  nel  Savonarola  si  leggano  proprio  tutte  queste  espressioni  così  come 
stanno  nel  Pastor;  ma  non  v'è  dubbio  che  vi  stanno,  quello  che  più  importa, 
i  pensieri,  e  almeno  anche  una  parte  delle  parole;  per  esempio,  quelle  assai 


(4)  È  comune  la  lode  data  alla  scienza  del  Savonarola  anche  dai  suoi  più  accaniti  av- 
versar^ Agnolo  Niccolini  che  «non  credeva  al  Padre  Gerolamo  »  come  dice  il  Burlamacchi, 
nella  consulta  tenuta  innanzi  la  morte  di  lui  disse  queste  parole  :  «  Se  noi  consideriamo  lo  età 
e  i  secoli  passati  rade  volte  si  vede  che  al  mondo  nascano  uomini  di  si  alto  e  divino  in- 
telletto quale  veggiamo  trovarsi  in  questo  frate,  della  morte  del  quale  al  presente  ragio- 
niamo, ecc.,»  e  proponeva  che  in  luogo  di  ucciderlo  si  rinchiudesse  in  agiata  stanza  ove 
avesse  copia  di  libri,  «  perchè  in  tal  guisa  facendo  non  dubitava  che  culi  avrebbe  scritto  libri 
rarissimi  in  onore  di  Dio  ed  esaltazione  della  sua  santa  fede  »  (lini lamacchi,  ed.  di  Mi- 
lano, anno  1847,  pag.  16ò).  E  anche  il  Vaglienti  chiama  il  Frate  dottissimo,  c  afferma  che  in 
vero  non  si  può  dire  altrimenti  (pag.  18). 


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conosciute  che  leggonsi  nella  predica  XVI  sopra  i  Salmi,  sono  certo  molto  si- 
mili a  queste  del  Pastor.  Ivi,  commentando  il  Frate  le  parole  del  libro  IV  dei 
Re,  cap.  VI,  v.  25,  dice:  Hanno  inesso  carestia  ih  Samaria,  ossia  nella  Chiesa  di 
Dio,  cioè  carestia  del  verbo  di  Dio.  Quassù  sui  pergami  non  si  dice  e  non  si 
allega  più  se  non  Aristotile  e  Platone....  Oggidì  quassù  non  si  dice  se  non:  Pla- 
tone, quell'uomo  divino!  Io  ti  dico  che  dev'esser  più  presto  a  casa  del  diavolo. 
Io  era  già  in  questo  errore  e  studiavo  molto  quelli  dialoghi  di  Platone,  ma  poi 
quando  Iddio  mi  dette  lume  tutto  ho  stracciato  quello  che  avevo  scritto.  Che 
giova  tanta  sapienza  se  sapeva  poi  più  una  vecchierella  della  fede  che  Platone?  » 
E  nella  XVIII,  esponendo  le  parole  dette  da  David  a  Micol  nel  libro  II  dei  Re, 
capo  VI  :  lo  clamerò  al  cospetto  del  Signore  che  ha  eletto  me  invece  del  padre  tuo, 
dice:  «  Il  tuo  padre  fu  sjperbo  e  Dio  lo  riprovò;  cioè  dì  loro:  Il  vostro  padre 
Aristotile  e  Platone  è  a  casa  del  diavolo  ;  noi  umili  stiamo  nel  cospetto  di  Dio.  » 
E  non  è  difficile  trovare  passi  consimili.  Ma  perchè  il  Pastor  le  crede  espres- 
sioni esagerate  prodotte  da  passione?  Se  è  esagerato  il  dire  che  tutta  l'antica 
sapienza,  cioè  la  dottrina  de'  filosofi  come  tale  e  da  se  sola  non  potè  salvare 
i  suoi  cultori,  nè  anche  i  sommi,  o  condurli  alla  conoscenza  del  nostro  fine 
soprannaturale,  e  alla  beatitudine  celeste,  condanniamo  anche  Dante,  che  insegna 
che,  per  quanto  siansi  adoperati  e  l'abbiano  desiderato,  gli  antichi  saggi  non  pote- 
rono conoscere  nè  raggiungere  l'ultimo  fine  della  vita  (Purg.,  Ili);  condanniamo 
anche  il  divino  Poeta  che  li  mette,  al  pari  del  Savonarola,  nell'inferno  traforer- 
ete gente  {Inf.,  IV).  (')  Se  è  esagerato  il  dire  che  della  fede  ne  sa  più  una 


(')  A  questo  proposito  notiamo  in  primo  luogo  che  non  in  tutte  le  espressioni  degli 
oratoli  è  da  esigere  sempre  una  certezza  e  precisione  assoluta;  ma  è  sufficiente  talvolta 
una  talquale  probabilità.  L'oratore  che  parla  non  è  sempre  un  teologo  che  decide.  In  se- 
condo luogo,  è  bene  che  si  dica,  non  intendiamo  di  negar  la  salute  e  mandar  senza  meno  ai 
tormenti  dell'inferno  tutti  quelli  che  sian  vissuti  o  vivano  bene  naturalmente  e  non  ebbero  o 
non  hanno  la  ventura  di  appartenere  al  cristianesimo.  Questa  non  sarebbe  V  opinione  del  Sa- 
vonarola. Egli  concede  una  felicità  naturale  ai  morti  nel  solo  peccato  originale,  cosi  è  detto 
in  molti  luoghi  delle  sue  opere,  e  lo  puoi  leggere  nel  cap.  IX  del  Libro  III  del  Trionfo  e  nella 
Predica  XXI  sopra  Giobbe.  Qui  si  prescinde  dalla  questione  se  possa  o  non  possa  un  adulto 
conservarsi  senza  alcun  peccato  attuale  e  rimanere  e  morire  col  solo  peccato  originale.  Nei 
luoghi  citati  troviamo  una  dottrina  consolantissima  e  abbastanza  larga  intorno  ai  fanciulli 
piccolini  che  muoiono  senza  il  battesimo.  Quello  che  si  vuol  dire  nel  testo  e  quello  che  a 
noi  sombra  che  pensi  il  Savonarola,  si  è  che  l'uomo  non  può  pervenire  alla  sua  beatitudine 
senza  il  dono  della  grazia  soprannaturale  e  la  buona  vita  che  ne  segue,  e  che  alla  grazia 
ed  alla  buona  vita  soprannaturale  non  si  giunge  naturalmente  quand'  anche  si  avesse  1'  uso 
e  il  possesso  di  tutta  la  scienza  de'  filosofi  pagani  dal  principio  del  mondo  fino  ad  oggi. 
Cristo  solo  è  via,  verità  e  vita:  «  Niuno  può  venire  a  me,  dice  Gesù  Cristo,  se  il  Padre  che  mi 
ha  mandato  non  lo  trae  a  sè.  »  (Vang.  di  S.  Giov.  VI,  H.)  «  La  scienza  naturale  »  dice  il  Frate 
nella  III  sopra  Ruth  e  Jliche.a  «  non  fè  mai  frutto.  »  Coli' aiuto  solo  della  scienza  naturale 
non  si  conosce  il  nostro  vero  ultimo  fine,  non  si  persevera  nel  bene,  non  si  evita  il  peccato. 
(V.  S.  Tommaso,  Contro  i  Gentili  Lib.  Ili,  e.  147,  155  e  157.)  E  questa  è  dottrina  tutta  cattolica. 
Vedi,  oltre  ai  luoghi  ora  citati,  il  capo  V  del  II  del  Trionfo;  e  le  conclusioni  III,  IV,  V,  VI, 
VII,  Vili  del  libro  I  della  Semplicità  della  Vita  Cristiana,  e  il  libro  III  dell'  Apologetico,  e  la 
predica  Xll  sopra  Iluth  e  Michea,  e  ti  resterà  ben  poco  a  desiderare.  Nella  citata  conclu- 
sione IV,  fra  l'altre  cose,  si  leggono  anche  lo  seguenti,  che  crediamo  opportuno  di  trascri- 
vere: «  Consistendo  la  giustizia  dell'uomo  in  due  cose,  cioè  in  fuggir  il  male  e  seguitare 
il  bene,  la  vita  cristiana  e  nell'una  e  nell'altra  eccede  tutto  quello  che  i  Filosofi  hanno 
mai  potuto  per  alcun  tempo  pensare.  Conciossiachò  i  cristiani  fuggono  ancora  certi  muli 


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veccl-'erella  (cristiana,  s'intende,  e  che  viva  cristianamente),  che  Platone  e  Ari- 
stotile, allora  condanniamo  tutti  gli  scrittori  cattolici  che  con  S.  Agostino  af- 


miniini  i  quali  solo  consiston  nel  cuore  e  de' quali  i  Filosofi  non  hanno  avuto  alcuna  cogni- 
zione, o  1'  hanno  avuta  molto  debole  e  superficiale. 

«Tendono  ancora  e  si  drizzano  essi  Cristiani  al  bene  divino  in  quel  modo,  con  il  quale 
essi  filosofi  non  possono  mai  a  Dio  drizzarsi,  anzi  nè  di  tal  modo  aver  mai  alcuna  cognizione. 
Nè  abbiamo  ancora  mai  inteso  o  veduto  die  alcuno,  per  la  scienza  e  per  la  considerazione  di 
quelle  cose  le  quali  insegnano  i  filosofi,  o  sieno  cose  speculative,  o  sieno  morali,  sia  perve- 
nuto alla  purità  della  vita  cristiana.  Conciossiachè  nè  ancora  essi  maestri  e  principi  degli 
altri  filosofi  nei  quali,  come  si  dice,  pare  che  la  natura  facesse  1'  ultimo  suo  sforzo  per  farli 
sopra  tutti  gli  uomini  del  mondo  perfetti,  come  fu  Pitagora.  Socrate,  Platone  e  gli  altri  i  quali 
sono  da' pagani  con  somme  laudi  esaltati,  possono  mai  equiparare  in  virtù,  o  in  santimonia 
di  vita,  non  che  altri  mai,  i  semplici  nostri  taneiulli  e  fanciulle.  Imperocché  tutto  quello  di 
virtù  e  di  laude  che  si  dice  e  predica  di  quelli  si  può  ancora  verissimamente  e  senza  alcun 
mendacio  dire  e  predicare  di  essi  fanciulli  e  fanciulle,  eccetto  che  quella  gloria  la  quale  i 
filosofi  in  ogni  loro  opera  cercavano,  sprezzano  i  nostri  e  conculcano,  cercando  solo  1'  onore 
e  la  gloria  di  Dio  oltre  alle  altre  cose  innumerabili  che  loro  fanno  cosi  nell' orare  come  nel 
domare  il  proprio  corpo,  e  in  qualunque  altra  cosa  pertinente  alla  carità  di  Dio  e  del  pros- 
simo, le  quali  cose  non  solo  i  filosofi  non  fecero  mai,  ma  nè  anche  le  intesero.  » 

Nessuno  dubita  che  Dio  può,  se  il  voglia,  salvare  gli  uomini  anche  senza  servirsi  degli 
strumenti  ordinarj  alla  salute,  delle  cause  seconde;  ma  noi  non  dobbiamo  cercar  ciò  che  Dio 
assolutamente  può  fare,  sibbene  quello  che  ordinariamente  fa.  E  ordinariamente  il  mezzo 
per  la  salute  è  la  fede  che  viene  dall'udire  il  predicante,  il  verbo  di  Cristo.  Chi  non  ha  fede 
non  raggiunge  la  salute,  la  beatitudine  soprannaturale.  Questo  ripete  il  Savonarola  molto 
sovente,  come  per  esempio  nelle  prediche  VII  e  Vili  e  nella  XII  sopra  Ruth  e  Michea;  ed  è 
al  tutto  conforme  alla  Sacra  Scrittura,  dicendo  San  Paolo  nella  lettera  agli  Ebrei  (cap.  XI,  v.  6) 
«  Senza  la  fede  è  impossibile  piacere  a  Dio.  »  (Cfr.  S.  Tommaso,  Somma,  P.  II-II,  Qu.  II, 
a.  3.)  In  somma  è  dottrina  evangelica  che  chi  non  ha  alcun  legame  con  Gesù  Salvatore,  chi 
o  per  desiderio  o  per  acqua  o  per  sangue  (e  ognuna  delle  tre  cose  è  battesimo)  a  Lui  non  si 
attiene  non  può  entrare  nel  regno  de'  cieli  (Alimonda,  Problemi  paleontologici,  cap.  ultimo); 
ed  è  ancora  dottrina  evangelica  che  non  entrano  nel  regno  de' cieli  le  anime  che  non  escon 
da' corpi  cristiani  in  ferma  fede  dei  pie  passari  o  dei  passi  piedi  Dante,  Farad..  XX,  105). 
Che  questa  sia  dottrina  di  San  Tommaso,  può  vedersi  nella  Somma  Teo!.,  p.  I-II,  Qu.  87,  art.  5 
ad  2m,  ove  il  Santo  Dottore  dice  chiaramente  che  al  peccato  originale  si  deve  la  pena  eterna, 
non  per  ragione  della  sua  gravità,  ma  per  la  condizione  del  soggetto,  cioè  dell'uomo  che 
resta  privo  della  grazia,  per  cui  solo  vien  rimessa  la  pena.  »  E  Dante: 
Per  tai  difetti,  non  per  altro  rio 
Semo  perduti.... 

(In/.,  c.  IV,  v.  40-41). 

Vero  è  che  questa  pena  eterna  dovuta  al  solo  peccato  originale  è  detta  dal  Santo  Dottore 
mitissima pena  (supplem.  Ili,  p.  II  a.  69,  a.  6,  ad  2"'),  ma  pur  chiamasi  pena  eterna  ed  inferno 
(ivi,  nel  corpo  dell'  articolo).  Per  ammettere  adunque  che  i  filosofi  gentili  abbiano  evitato  la 
pena  eterna,  bisognerebbe  anzi  tutto  ammettere  che  per  grazia  speciale  di  Dio  sieno  stati  li- 
berati dalla  colpa  originale  ;  il  che  non  consta  in  alcun  modo  :  anzi  è  probabile  il  contrario  ; 
se  Gesù  Cristo  infatti  ha  detto  che  dei  molti  chiamati,  cioè  dei  fedeli,  pochi  sono  gli  eletti,  che 
deve  dirsi  dei  non  chiamati,  degli  infedeli,  innanzi  Gesù  Cristo,  innanzi  la  grazia  della  reden- 
zione? E  che  deve  dirsi  specialmente  dei  filosofi  rimproverati  da  San  Paolo  poiché  «  avendo 
conosciuto  Dio  non  lo  glorificarono  come  Dio?  »  (Ai  Romani,  cap.  I,  v.  21.)  S'intende  però 
sempre  che  questa  dottrina  dev'  essere  conciliata  con  quella  che  si  legge  parimente  in 
tutte  le  opere  del  Frate,  che  Dio  non  vien  meno  a  nessuno,  e  che  quando  1'  uomo  aiutato 
dalla  grazia  facesse  tutto  ciò  che  è  in  sè  stesso  per  conoscere  la  verità  o  viver  bene,  e  quanto 
può  operasse  e  pregasse,  Dio  non  gli  mancherebbe.  Quando  adunque  si  dice  che  Platone  ed 
Aristotile  sono  a  casa  del  diavolo,  bisogna  intendere  che,  ragionando  colla  nostra  vista  corta 
d'una  spanna,  avuto  riguardo  alla  vita  e  alla  dottrina  loro  e  ai  mezzi  ordinarj  di  salute, 
non  ci  consta  eh'  essi  abbiano  avuto  il  lume  della  fedo  e  la  grazia  soprannaturale,  e  quindi 
non  si  può  sostenere  ch'essi  abbiano  la  beatitudine,  il  lume  della  gloria  e  che  veggano  Dio 
a  faccia  a  faccia.  In  cielo  si  vedrà  come  stia  la  cosa. 


fermano  che  agli  antichi  filosofi  non  giovò  neppure  il  loro  ben  vivere,  perchè 
non  entrarono  nell'ovile  per  la  porta  che  è  Cristo  (Tratt.  45  sul  Vangelo  di 
San  Giovanni),  e  condanniamo  tutta  la  dottrina  della  Chiesa,  condanniamo  anche 
Leone  XIII,  che  insegna,  con  le  parole  stesse  del  Concilio  Vaticano,  che  per  il 
fine  soprannaturale  a  cui  Dio,  per  sua  liberalità,  ci  ha  elevati,  è  necessaria  as- 
solutamente la  rivelazione  positiva  degli  arcani  della  divinità,  sapienza  e  mise- 
ricordia di  Dio!  (Enciclica,  Sullo  studio  della  Sacra  Scrittura.)  E  innanzi  tutto 
il  Pastor  condanni  sè  stesso  che  di  Platone  e  di  Aristotile  dice,  che  «  sebbene 
impiegassero  tutta  la  virtù  naturale  dello  spirito,  non  seppero  tuttavia  arri- 
vare al  pieno  possesso  della  suprema  verità  »  (pag.  704).  (')  A  me  pare  che  Fra 
Girolamo  ci  conceda  assai  allorché  dice  che  noi,  studiando  negli  antichi,  pos- 
siamo trovare  argomenti  per  combattere  contro  gli  eretici.  Se  la  passione  l'avesse 
trascinato,  come  voi  dite,  nel  fuoco  della  sua  eloquenza  contro  i  guasti  prodotti 
violentemente  dai  Medici,  forse  non  avrebbe  concesso  tanto!  No.  il  Savonarola 
non  era  nemico  nè  di  Platone,  nè  di  Aristotile  che  compendiò  con  molta  cura 
e  che  sovente  cita,  e  molto  a  proposito,  nelle  sue  prediche,  ma  de'  Platonici  e 
degli  Arislo1  elici,  i  quali  volevano  fare  tutto  Aristotile  cristiano  e  tutto  Platone 
cristiano,  e  che  questi  bastassero  alla  salute.  Egli  voleva  che  Aristotile  fosse 
Aristotile  e  Platone,  Platone,  e  Cristo,  Cristo;  questo  voleva,  e  nient' altro,  che 
i  filosofi  fosser  filosofi,  e  i  cristiani,  cristiani.  (Sopra  1'  Esodo,  XX.)  Quello  che 
non  poteva  tollerare  il  Savonarola,  erano  i  pazzi  della  sapienza  umana,  come 
egli  li  chiamava  nella  VII  Sopra  Ezechiele,  cioè  quelli  che,  ad  imitazione  degli 
antichi  Gnostici,  per  la  scienza  umana  lasciavano  la  Scrittura  e  si  facevano 
beffe  della  fede;  erano  i  filopompi  del  Ficino,  i  quali  non  volevano  riconoscere 
gl'immensi  beneficj  che  vengono  agli  uomini  dalla  rivelazione;  e  negavano  il 
culto  di  Dio  e  la  sua  fede,  perchè  credevano  di  non  poter  comparire  ingegnosi 
e  dotti  per  nessun'  altra  via,  se  non  vituperavano  e  bestemmiavano  il  Dio  vivo, 
il  Crocifisso  da  cui  gì'  ingrati  ricevettero  I'  esistenza,  la  vita  e  il  moto.  (Apo- 
logetico, III.)  Ora  chi  potrebbe  in  ciò  contradirgli?  Nessuno  che  non  sia  razio- 
nalista. E  che  la  distruzione  di  molti  de' libri  de' cosi  fatti,  ancorché  per  qual- 
che riguardo  utili  a  qualche  cosa,  recherebbe  grande  vantaggio  alla  fede  e  al 
buon  costume,  chi  ne  potrebbe  dubitare  fra  i  cattolici  senza  condannare  in- 
sieme San  Paolo  che  fece  bruciare  agli  Efesini  i  libri  della  loro  pazza  filosofia 
su  il  valore  di  cinquantamila  denari?  (V.  Atti  degli  apostoli,  cap.  19,  v.  19.)  (2) 


(')  Ecco  intieri  due  periodi  nel  Pastor:  «  Lo  sforzo  dell'  umano  intelletto  onde  cono- 
scere la  cagione  ultima  delle  cose  trova  il  suo  termine  in  Platone  e  Aristotile,  a' quali  la 
verità  rifulse  a  guisa  di  lampo  in  notte  buia.  Ma.  sebbene  questi  eroi  della  filosofia  impie- 
gassero tutta  la  virtù  naturale  dello  spirito,  non  seppero  tuttavia  arrivare  al  pieno  possesso 
della  suprema  verità.  «  La  filosofia  »  dice  Vincenzo  de  Beauvais  nella  sua  grande  enciclo- 
pedia, «  con  tutto  che  sapesse  elevarsi  ad  una  teologia  naturale,  non  giunse  però  al  com- 
prendimento della  vera  teologia.  Questa  non  venne  punto  a  notizia  dell'umanità  se  non 
mediante  la  rivelazione  della  Bibbia  e  de' suoi  espositori,  i  grandi  maestri  teologi.  » 

ó  I  pensieri  del  Savonarola  intorno  ai  classici  padani  e  cristiani  abbiamo  in  animo 
di  raccoglierli  in  uno  scritto  a  parte.  In  questo  luogo  crediamo  ad  ogni  modo  opportuno 
dire  alcune  cose  per  compiere  e  chiarire  ciò  che  è  espresso  nel  testo  perchè  nessuno  possa 


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E  che  questo  e  non  altro  fosse  veramente  il  pensiero  del  Savonarola 
riesce  assai  chiaro  dalla  citala  predica  XVI  sopra  i  Salmi;  dalla  VII  sopra 
Ezechiele  e  dal  libro  I,  III  e  IV  dell'  Apologetico,  ove  più  o  meno  sono  espressi  i 


fraintendere.  Certo  il  cattolicismo  non  disdegna  nulla  di  ciò  che  è  vero  o  bello  o  buono; 
e  piglia  il  vero,  il  bello  e  il  buono  dovunque  si  trovi.  Qui  siamo  perfettamente  d'accordo 
con  il  Pastor:  La  scienza  cattolica  abbraccia  il  sapere  di  tutti  i  tempi  e  studia  di  riunire 
in  una  sapienza  ogni  verità  naturale  e  sovrannaturale.  Girolamo  Savonarola  lottò  anzi  ancbe 
per  questo.  E  ciò  che  fa  la  scienza  cattolica  per  la  verità,  fa  l'arte  cattolica  per  la  bellezza, 
e  la  morale  per  la  bontà.  Dio  non  vietò  agli  Israeliti  di  servirsi  delle  spoglie  e  de'  vasi  pre- 
ziosi degli  Egizj ,  né  la  Chiesa  vieta  a  noi  di  studiare  nt'  classici  pagani,  greci  o  latini; 
anzi  il  Concilio  Tridentino,  per  amore  della  forma,  li  tratta  con  riguardi  speciali.  Se  una 
cosa  è  utile,  dev'essere,  per  quanto  si  può,  conservata;  e  alla  fine  ogni  bene  ed  anche  ogni 
vero  concorre  alla  miglior  bontà  degli  uomini  e  a  vantaggio  della  fede  stessa;  ma  le  cose 
ch'hanno  potenza  di  far  male,  ciò  che  è  brutto,  l'errore,  possibilmente  si  vorrebbe  o  an- 
nientare. E  quando  nella  medesima  cosa  il  danno  supera  di  troppo  1'  utile,  ed  è  troppo  più 
grave,  come  per  esempio,  in  alcuni  scritti  de'  veristi  contemporanei,  se  non  per  ogni  uomo 
individualmente,  per  la  repubblica  cristiana  torna  meglio  distruggerli  che  conservarli.  Per 
un  nonnulla  di  bellezza  o  di  verità  o  di  utilità  che  pur  trovasi  più  abbondantemente  altrove, 
che  farci  di  tanti  errori,  di  tanta  turpitudine,  di  tanta  bruttura  iudisgiungibili  e  inseparabili 
da  quelle?!  E  inutile  che  noi  diciamo  che  Fra  Girolamo  non  voleva  d'altra  parte  che  si 
distruggessero  se  non  i  libri  innominabili,  com'egli  li  chiamava;  o  incentivi  al  peccato:  le 
sue  espressioni,  anche  stiracchiandole,  solo  che  si  guardino  nel  loro  complesso  e  s'abbia 
l'occhio  al  fine  speciale  per  cui  son  pronunciate,  non  mi  pare  che  importino  mai  la  distru- 
zione o  il  disprezzo  di  nessuno  de' grandi  esemplari  come  tali,  e  tanto  meno  de' sommi 
filosofi.  Dalle  parole  citate  dal  Pastor  parrebbe  quasi  che  tra  i  libri  che  il  Savonarola  vo- 
leva distrutti  si  abbiano  da  comprendere  anche  Platone  ed  Aristotele.  Questo  sarebbe 
davvero  eccesso.  Ma  questo  non  voleva  il  Frate.  Per  conoscere  intiero  il  concetto  del  Sa- 
vonarola bisogna  leggere  il  Libro  III  ed  il  IV  dell'  Apologetico.  Ivi  adunque  si  trova 
che  il  Savonarola  avrebbe  veduto  volentieri  cacciati  dalla  città  que' poeti  che  «  coli' esem- 
pio e  con  l'autorità  di  falsi  e  nefandissimi  Dei  e  con  il  prurito  e  solletico  di  turpissimi 
versi  riempiono  il  mondo  delle  più  ignominiose  libidini.  »  E  non  pure  avrebbe  voluto  che 
si  cacciassero  questi  poeti  dalla  città;  ma  ancora  che  «  i  libri  di  questi  e  degli  altri  an- 
tichi che  furono  stampati  intorno  all'arte  di  amare,  le  meretrici,  gl'idoli  e  l'immondissima 
e  nequiziosissima  superstizione  de'  demoni  fossero  dati  al  fuoco  e  ridotti  in  polvere.  »  In- 
somma voleva  il  Frate  proscritti  dalle  scuole  «  i  libri  mendaci  ne' quali  si  fingono  bugie  e 
narrano  favole  e  intorno  agli  dei  e  intorno  agli  uomini  ;  i  libri  pieni  di  libidine  e  di  stol- 
tissimi e  nefandissimi  congiungimenti  o  mistioni  d'uomini  e  di  dei;  voleva  che  fosser  pro- 
scritte le  bugie  e  gli  scherzi  puerili  e  l'uso  di  nutrire  gli  animi  teneri  teneri  de' fanciulli  in 
nome  di  scelleratissime  divinità,  e  l'uso  di  riempire  gl'intelletti  de' giovani  puri  e  semplici 
di  falsità,  e  d'eccitare  ognor  più  con  la  nefanda  superstizione  degli  idolatri  alla  libidine 
anche  la  carne  loro  già  per  natura  inclinata  al  male,  aggiungendo  così  fuoco  a  fuoco,  e  sog- 
gettando tutto  1'  uomo  anima  e  corpo  alla  servitù  del  demonio.  »  Ma  qui  non  entran  punto  i 
filosofi  nè  i  migliori  poeti,  de'  quali,  come  già  vedemmo,  il  Savonarola  permetteva  lo  studio  a 
tutti  i  fanciulli.  Anzi  io  son  persuaso  che  nessun  poeta  classico  avrebbe  egli  assolutamente 
voluto  distruggere,  se  i  maestri  1' avesser  dato  nelle  mani  de'  giovani  non  integro,  ma  casti- 
gato, come  orasi  costuma  nelle  scuole  cattoliche.  E  mi  persuade  di  ciò  l'addurre  costante- 
mente il  male  che  i  poeti  facevano  alla  gioventù,  quando  parla  di  proscrizione.  Comunque 
sia  di  ciò,  egli  aggiunge,  che  «  molto  gioverebbe  alla  città,  se  gettati  nel  fuoco  i  libri  de' pa- 
gani che  contengono  lu  lodi  e  i  malvagi  costumi  e  gl'ignominiosi  delitti  de' falsi  dei,  e  sot- 
tratti agli  occhi  de' giovanetti  gli  altri  che  trattano  di  verità  speculative  e  pratiche  di 
filosofia,  i  fanciulli  succhiassero  dapprima  il  latte  de' sapienti  cattolici,  e  i  loro  ingegni  anzi- 
tutto avessero  la  prima  loro  impressione  dalla  dottrina  di  Cristo.  Perchè,  come  dice  il  Filosofo, 
non  è  cosa  di  poco  momento  l'assuefare  da  principio  gli  adolescenti  in  un  modo  anziché  in 
un  altro;  anzi  è  di  molta  utilità,  anzi  è  il  tutto.  Imperocché  il  principio  è  più  che  la  metà 
d'  ogni  cosa:  facendo  di  ciò  testimonio  la  Scrittura  che  dice  :  Il  giovinetto  che  abbia  preso  la 
giusta  via,  ancorché  invecchi,  non  si  rilira  da  essa-  (Prov.  XXII,  6.)  Poiché  dopo  la  cognizione 
della  verità  più  facilmente  potrebbero  apprendere  e  combattere  le  falsità  dei  filosofi,  dicendo 


—  94  — 


pensieri  che  il  Pastor  trova  esagerati.  E  notisi  che  il  Savonarola  in  questi  luo- 
ghi non  fa  quasi  altro  che  ripetere  pensieri  e  parole  di  Sant'  Agostino  e  di 
San  Girolamo. 


Aristotile:  La  cognizione  della  verità  è  la  soluzione  dei  ditbbj.  Nè  la  nostra  religione  manca  di 
dottissimi  eil  eloquentissimi  uomini,  sicché  abbisogni  della  disciplina  dei  pagani.  E  se  qual- 
cuno dirà  non  aver  essi  tanta  eloquenza  quant' ebbero  Cicerone,  Demostene  ed  Eschine  ed 
altri  molti,  io  stimo  meglio  che  i  Cristiani  ornati  di  buoni  costumi  risplendano  di  minore 
eloquenza,  anziché  perdano  il  nome  di  Cristo,  a  cagione  dell'  eloquenza.  E  tuttavia,  dopo  la 
disciplina  acquistata  nei  libri  dei  nostri,  potrebbero  passare  senza  pericolo  dell'anima  ai  libi  i 
dei  filosofi  e  dei  pagani.  •  Se  potessi  dilungarmi  un  poco,  mi  parebbe  facile  dimostrare  che  51 
Savonarola  non  è  punto  contrario  al  principio  che  il  Pastor  dice  esprimere  il  pensiero  della 
Chiesa:  e  quello  che  è  antico  si  adoperi  al  progresso  della  conoscenza  naturale  ed  all'appro- 
fondimento della  coscienza  specificamente  cristiana,  non  già  per  renderla  un  che  di  aereo,  o 
peggio  per  distruggerla  »  (pag.  99).  Infatti  il  Savonarola  credeva  appunto  che  il  buono  naturale 
e  il  buono  ingegno  nutrito  e  aiutato  da  questi  studj  si  avvantaggia  d'assai;  ma  insieme 
co' pagani  bisogna  studiare  anche  gli  autori  cristiani  e  le  cose  della  Chiesa.  Il  nostro  Frate 
non  condannava  lo  studio  de' grandi  esemplari  dell'antichità,  non  condannava  nè  i  filosofi, 
nè  i  retori,  nè  i  poeti  semplicemente  parlando,  anzi  lodava  la  filosofia,  la  retorica,  la  poetica 
come  appare  chiaramente  dall'  Apologetico.  Quel  che  il  Savonarola  condannava  si  era  il  falso 
rinascimento  proprio  come  fa  il  Pastor  nell'introduzione  del  volume  che  esaminiamo  e 
nel  II.  Quello  che  il  Savonarola  condannava  si  era  la  pretesa  di  alcuni  umanisti  che  vole- 
vano esser  tutti  pagani  e  sentire  e  parlare  e  operare  come  i  pagani  avevano  fatto  e  non  al- 
trimenti: cioè  distruggere  la  coscienza  specificamente  cristiana:  «  Alcuni  circoscrissero  talmente 
il  loro  intelletto  e  lo  fecero  talmente  schiavo  degli  antichi,  che  non  solo  non  voglion  proferir 
cos?.  alcuna  contro  la  consuetudine  di  quelli,  ma  non  dir  neppure  ciò  che  quelli  non  dissero. 
Infatti,  perchè  gli  antichi  non  usarono  il  vocabolo  virtuoso,  anche  questi  nostri  hanno  per 
gran  delitto  di  servirsi  di  questo  vocabolo;  come  se  noi  non  potessimo  affatto  impor  nomi 
alle  cose,  ne'  trovar  nuovi  vocaboli  e  nuovi  modi  di  dire.  E  che  ragione  è  questa  e  che  forza 
d'argomento?  Gli  antichi  non  dissero  cosi,  adunque  non  diremo  cosi  nè  anche  noi.  Poiché 
l'  affermare:  Gli  antichi  parlarono  a  questo  modo,  adunque  parliamo  anche  noi  nel  modo 
stesso,  è  cosa  ben  diversa  dall'  arguire  quindi  negativamente.  Imperocché  se  gli  antichi  non 
han  fatto  una  cosa  pur  buona,  forse  che  perciò  non  l' abbiamo  a  fare  nemmeno  noi?  Nò  io  dico 
ciò  quasi  voglia  riprendere  coloro  che  in  questo  seguono  il  costume  degli  antichi:  impe- 
rocché si  deve  parlare,'  come  dico  il  Filosofo  ne' Topici,  come  parlano  i  più,  e  sapere  come 
i  meno;  ma  intendo  di  riprendere  alcuni  saccenti,  i  quali,  come  dice  Agostino,  tanto  più 
errano  quanto  più  vogliono  sembrar  sapienti  non  della  scienza  delle  cose  onde  siamo  edi- 
ficati, ma  delle  parole,  per  la  quale  è  difficile  che  non  ci  riempiamo  di  vento.  >  (Apologetico, 
Lib.  IV.)  Per  il  Savonarola,  come  dice  ivi  stesso,  noi  siamo  uomini  come  gli  antichi,  e  abbiamo 
ricevuto  come  quelli  da  Dio  la  facoltà  d'  imporre  nomi  alle  cose....  Di  più  essendo  conve- 
niente parlare  secondo  la  condizione  delle  persone  alle  quali  si  parla,  alcune  volte  il  nostro 
Frate  si  adoperava  egli  stesso  di  adoperare  uno  stile  piuttosto  alto  ed  elegante.  Cosi  fa  per 
esempio  nel  Trionfo  della  Croce  latino;  nel  proemio  del  quale  dice  anzi  espressamente: 
«  Quoniam  vere  cum  sapientibus  huius  sceculi  nobis  agendum  est;  quos  domestici  et  midi  sermonis 
ìectio  plerumque  fastidii,  consuetne,  simplicitatis  nostrae  metani,  paululwn  in  huius  operis  stilo  prò 
ilio  rum  satisfiictione  transgredimur.  »  E  mi  paro  di  poter  dire  eh'  egli  mantenne  davvero  la 
parola,  per  modo  che  nessun  umanista  dotto  credo  potesse  spregiare  quest'opera,  che  è  pur 
la  maggiore  tra  le  opere  del  Savonarola.  Del  resto,  la  giusta  misura  del  Savonarola  si  ma- 
nifesta anche  qui.  Imperocché  dopo  tutto  finisce  con  dire,  che  anche  se  nello  studio  delle 
scienze  si  facesse  com'  egli  crede  più  sopra,  «  non  mancherebbero  al  diavolo  altre  macchina- 
zioni contro  la  santissima  Chiesa  ch'egli  mai  non  cessa  di  combattere.  Imperocché  dice  Dio: 
necessario  che  vengano  scandali,  ed  è  necessario,  dico  1'  Apostolo,  che  vi  siano  eresie  af- 
finchè coloro  che  sono  stati  provati  siano  ancora  conosciuti.  Vegga  adunque  ognuno  come 
debba  camminare  cautamente,  imperocché  viviamo  in  tempi  cattivi.  »  (Apolog.,  Lib.  Ili  in  fine.) 
E  finisce  (ivi,  Lib.  IV  in  fine),  parlando  ilo' poeti,  anco  con  dire  che  egli  si  contenta  chu  nes- 
suno tra  i  cristiani  consacri  l'intiera  vita  a  questo  studio  si  che  non  voli  alcuna  volta  alla 
Croce,  all'umiltà  e  semplicità  di  Cristo. 


—  95  — 


Più  grave  mi  sembra  e  più  mi  spiace  che  il  Paslor  prenda  (e  lo  ponga 
dove  parla  degli  eccessi  del  Frate)  il  periodo  nel  quale  il  Burckhardt  dice,  che 
il  Savonarola  «  una  volta  uscì  perfino  a  dichiarare,  essere  buono  che  sol  pochi 
si  dessero  alle  scienze,  affinchè  fossero  sempre  a  disposizione  alcuni  atleti  per 
combattere  i  sofismi  degli  eretici;  tutti  i  rimanenti  non  dovrebbero  andar  più 
in  là  della  grammatica,  dei  buoni  costumi  e  della  istruzione  religiosa.  » 
(pag.  130.) 

Un  cattolico  è  impossibile  che  condanni  il  Frate  Domenicano  in  questa 
dottrina  che  è,  in  conclusione,  quanto  egli  dice  sulla  fine  del  libro  III  dell'Apo- 
logetico ora  citalo. 

A  me  pare  evidente  che  qui  il  pensiero  del  Savonarola  non  fu  giustamente 
apprezzato.  Prima  di  tutto  è  necessario  tener  presente  che  quando  Fra  Girolamo 
parla  di  scienza  e  di  filosofia  a  questo  riguardo,  intende  sempre  parlare  della  filo- 
sofia pagana,  della  scienza  delle  genti,  degli  uomini;  e  non  della  filosofia  edella 
scienza  cristiana,  voglio  dire  della  sapienza  de'  figli  di  Dio,  che  usano  l'intelligenza 
fin  dove  possono  in  aiuto  della  fede,  che  si  adoperano  per  intendere  e  sapere 
quanto  nella  rivelazione  si  contiene  di  verità  accessibili  al  nostro  ingegno,  e  si  ar- 
gomentano in  ogni  modo  di  rendere  razionale  l'ossequio  alla  verità  soprannatu- 
rale, pronti  e  solleciti  ognora  di  mantener  soggetta  la  ragione  e  la  volontà  alla 
Scrittura  e  a  Dio.  In  secondo  luogo,  il  passo  a  cui  si  riferiscono  le  citate  parole 
del  Burckhardt,  e  che  credo  sia  quello  che  si  legge  nell'  Apologetico,  non  vuole 
già  riferirsi  a' dotti  solo,  a' soli  studiosi,  a  una  classe  sola  di  cristiani,  ma  a 
tutta  la  gente  umana,  come  il  verso  celebre  di  Darle: 

State  contenti,  umar?  gente,  al  quia. 

{Purg.  c.  Ili,  v.  37.) 

Parla  adunque  ivi  a  tutta  la  repubblica  cristiana  il  nostro  Frate,  come  del  re^co 
a  tutta  la  repubblica  cristiana  riferisce  anche  gli  altri  passi  analoghi:  quando 
parla  di  queste  cose  il  Savonarola  lo  fa  sempre  in  rapporto  alla  conoscenza  e 
alla  vita  di  tutti  i  cristiani.  E  appare  ciò  chiaro  dalla  Pred.  XX  sopra  Amos. 
Xon  consiglia  ivi  forse  il  nostro  grande  pedagogista  a' padri  di  fare  apprendere 
a  tutti  i  loro  fanciulli  un  poco  di  grammatica  e  di  farli  leggere  in  Cicerone  ed 
in  Omero  e  di  dare  a  tutti  una  buona  istruzione  religiosa  e  letteraria  insieme? 

Xon  so  tenermi  dal  trascrivervi  il  passo:  «  Fanciulli  miei,  io  ho  detto 
a'  vostri  padri  che  saria  buono  che  i  figliuoli  loro  imparassero  tutti  un  poco  di 
grammatica,  (*)  e  salariare  i  maestri,  che  fossero  buoni,  e  dargli  buon  salario... 
Ora  dico  che  sarebbe  buono  che  questi  fanciulli  imparassero  un  poco  di  gram- 
matica, perchè  il  buono  naturale,  e  il  buono  ingegno  nutrito,  e  aiutato  da  un 
po'  di  grammatica,  fa  assai.  Ma  si  vorria  fare  una  legge  che  tosse  escluso  Ovi- 
dio De  Arte  Amandi,  la  Priapea  e  certi  altri  libri  che  non  bisogna  dirli 
qua,  i  quali  insegnano  mille  lascivie.  Tollererei  Virgilio,  Omero  in  greco,  Tul- 
lio, e  mescolare  una  lezione  di  Sani'  Agostino  De  Cimiate  Dei,  e  di  San  Giro- 


t'}E  lo  aveva  detto  nella  predica  III  del  medesimo  quaresimale  sopra  Amos. 


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lamo,  o  qualche  altra  cosa  di  Scrittura  Santa;  e  che  non  abbiano  mai  una  le- 
zione de' pagani,  che  non  abbiano  anche  una  de' cristiani.  Sappiate,  fanciulli 
miei,  che  questi  dei,  com'  è  Giove,  Plutone  e  gli  altri,  che  voi  trovate  sopra 
a  quelli  libri,  furono  tutti  cattivi  uomini,  o  le  son  favole.  Or  sì  che  si  vorrebbe 
nutrire  questi  fanciulli  in  questa  forma,  eh'  essi  avessero  qualche  lezione  delle 
cose  della  Chiesa,  se  voi  volete  ancora  che  gli  abbiano  delle  altre:  perchè  a 
questo  modo  si  nutrirebbero  nella  eloquenza  e  nella  verità  insieme.  Or  contra 
quelli  che  non  vogliono  fare  questo,  e  che  vogliono  pure  attendere  a  queste 

cose  poetiche  e  pagane  esclama  qui  il  profeta  Amos,  ecc  » 

Non  cito  passi  analoghi  per  brevità,  ma  il  farlo  mi  sarebbe  facilissimo;  il 
citalo  e  quelli  a'  quali  rimandai  il  lettore  bastano  a  mostrare  all'  evidenza  che 
il  pensiero  che  il  Pastor  prese  al  Burckhardt  vuole  esser  esteso  a  tutto  il  po- 
polo cristiano,  a  tutti  i  fedeli.  Posto  ciò,  nel  pensiero  del  Savonarola  che  vi  ha 
di  esagerato  e  di  strano?  A  me  pare  invece  che  Fra  Girolamo,  come  è  proprio 
dei  grandi  ingegni,  precorresse  di  molto  i  tempi,  presentisse  il  moderno  pro- 
gresso e  proclamasse  già  allora  le  idee  che  più  tardi,  all'epoca  del  Concilio 
Tridentino  e  della  restaurazione  cattolica,  furono  proclamate,  e  sono  tuttavia  dai 
migliori  pedagogisti  cristiani.  Che  cosa  egli  voleva  infatti?  Voleva  nientemeno 
che  a  tutti  i  giovanetti  in  generale  fosse  data  una  buona  educazione  letteraria 
e  classica,  voleva  die  si  avessero  buoni  maestri  per  tutti;  e  voleva  insieme  che 
si  chiudesse  l'orecchio  alle  cattive  dottrine  e  alle  pagane  immoralità  e  si  unisse 
agli  studj  letterarj  lo  studio  della  religione.  Egli  diceva  al  popolo  fiorentino  ciò 
che  in  modo  vigoroso  gli  ripete  dopo  400  anni  un  suo  illustre  confratello,  il 
Cardinale  Bausa:  «  Taluno  declama  contro  il  pubblico  insegnamento  e  vor- 
rebbe un  popolo  analfabeto.  Io  non  so  perchè  non  bramano  piuttosto  un 
popolo  sordo,  poiché  tanto  danno  viene  appunto  dall'abuso  della  parola.  Un 
dono  divino  è  la  parola...  Nessuno  maledica  i  doni  di  Dio.  »  (Lettera  per  il 
Congresso  Mariano,  1896.)  Ma  se  egli  voleva  una  certa  istruzione  per  tutti, 
solo  a  pochi  ed  eletti  ingegni  permetteva,  e  con  ragione,  le  alte  speculazioni 
della  filosofia;  e  quanto  agli  ecclesiastici  desiderava  che  i  più  tralasciassero 
i  libri  dei  gentili,  per  cui  in  quei  tempi  si  trascurava  lo  studio  del  libro 
santo  di  Dio;  e  la  meditazione  e  lo  studio  delle  Scritture  e  dei  Padri  fosse  la 
loro  occupazione  più  diletta.  Non  a  tutti  indistintamente  deve  darsi  il  difficile 
compito  di  combatter  gli  eretici,  ma  tutti  devono,  se  non  voglion  venir  meno 
alla  loro  sacra  missione,  istruire  nella  fede  e  nei  buon  costumi  il  popolo  di  Dio. 
E  che  altro  vuole  il  citato  documento  pontifìcio  sulla  sacra  Predicazione?  Le 
conferenze  apologetiche  e  polemiche  contro  i  nemici  della  fede  non  le  disap- 
prova, ma  le  riserva  soltanto  a  pochi  «  che  sia n  campioni  bene  agguerriti  »  come 
dice  il  Cardinale  Bausa,  (v.  la  citata  Lettera  Pastorale),  affinchè  non  si  parli 
«  d'errori  che  spesso  non  sono  nei  più  dei  membri  che  compongono  l'udito- 
rio. »  Le  maggior  parte  del  popolo  ha  invece  bisogno  del  pane  della  divina  Pa- 
rola, ha  bisogno  del  Vangelo,  del  Catechismo;  ha  bisogno  d'una  parola  potente 
che  serva  di  guida  a  praticare  il  bene  e  fuggire  dal  male.  A  chi  ci  chiede  del 
pane  non  dobbiamo  gettare  le  pietre.  Nè  si  lasci  di  osservare  che  facendo  di- 


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versamente,  si  otterrebbe  non  la  vittoria  sulle  eresie,  ma  piuttosto  P  effetto  con- 
trario. Perchè  è  certissimo  che  i  più  sono  inabili  per  natura  a  formarsi  un  cor- 
redo di  dottrina  quale  è  necessario  per  ribattere  il  razionalismo,  e  ogni  sorta  di 
errore,  anche  posti  sotto  la  disciplina  di  buoni  maestri,  e  San  Tommaso  nel 
cap.  IV  del  libro  I  della  Somma  contro  i  Gentili  prova  bene  che  scarsissimo  è 
il  numero  di  coloro  che  posson  giungere  alla  cognizione  della  verità  di  cui  è 
capace  la  natura  umana  in  se  stessa  considerata.  Ora  niente  di  più  funesto 
alla  fede  che  una  debole  difesa  che  non  convinca  l'avversario,  il  quale  si  per- 
suade che  la  nostra  religione  e  la  nostra  credenza  si  appoggi  su  quelle  futili  ra- 
gioni e  si  ostina  più  che  mai  nell'errore.  E  già  notammo  con  San  Tommaso 
che  l'ufficio  della  predicazione  non  è  comune  a  tutti  i  sacerdoti,  ma  proprio 
solo  dei  vescovi,  nei  quali,  secondo  le  parole  di  San  Paolo,  dev'essere  quel  grado 
di  scienza  che  li  renda  capaci  a  nutrire  il  popolo  di  sana  dottrina  e  a  convin- 
cere quelli  che  contradicono.  (') 

Ma  abbiamo  ancora  un'  altra  ragione  per  dolerci  che  il  Pastor  trovasse 
esagerate  le  parole  e  i  pensieri  sopra  citali  da  Fra  Girolamo  :  e  questa  ragione 
ci  pare  gravissima,  e  per  un  lato  di  somma  importanza.  Poteva  Fra  Girolamo, 
come  Domenicano,  pensare  altrimenti  ?  Se  il  Pastor  avesse  letto  le  opere  del 
Riformatore  fiorentino,  avrebbe  veduto  che  sovente  questi  afferma  che,  in  simile 
questione,  egli  portava  l'esempio  delle  costituzioni  domenicane;  e  allora  forse 
avrebbe  studiato  meglio  e  Inteso  il  valore  delle  espressioni  del  Frate,  e  non 
V  avrebbe  leggermente  condannato,  se  non  voleva  condannar  San  Domenico  e 
tutto  P  Ordine  suo,  o  almeno  si  sarebbe  dato  la  pena  di  provarci  che  tali  re- 
gole non  sono  da  applicarsi  a  tutti  coloro  a  cui  le  applicava  il  Savonarola,  o 
alla  più  triste,  che  non  sono  da  interpretarsi  come  il  Savonarola  le  interpre- 
tava. Nella  predica  XX  sopra  Amos,  lagnandosi  appunto  il  Frate  che  andas- 
sero a  logica  e  a  filosofia  e  i  frati  e  ognuno....  e  che  poi  ne  facessero  pompa, 
e  che  si  confidassero  nelle  loro  sottililà  e  nelle  loro  scienze,  e  con  queste 
pretendessero  di  difendere  la  fede  e  la  Scrittura,  che  non  vedevano  e  non 
studiavano  mai,  come  non  imparavano  il  ben  vivere  che  è  il  miglior  com- 
mento della  parola  divina  e  la  miglior  prova  della  verità  della  fede,  diceva 
letteralmente:  «  Sai  tu  come  dicono  le  nostre  costituzioni  ?  lo  te  lo  voglio  dire: 
le  costituzioni  che  fece  San  Domenico  e  i  nostri  Padri  dicono,  che  non  dob- 
biamo legger  libri  di  filosofia,  eccetto  se  non  fossi  dispensato  dal  suo  generale, 
perchè  si  dava  licenza  a  qualche  grande  ingegno,  come  fu  San  Tommaso,  San 
Bonaventura,  e  gli  altri  ingegni  grandi,  ne' quali  capiva  ogni  cosa;  e  davasene 
però  licenza  a  pochi;  a  quattro  o  sei  per  provincia.  E  queste  costituzioni  non 
si  fecero  per  altro  se  non  perchè  questa  tanta  logica  e  filosofia  abbassano  la 
fede.  Vuoi  tu  vedere?  Guarda  che  da  poi  che  nacque  e  fu  praticata  tanta 
logica  e  filosofia,  sono  stati  pochi  santi  dottori;  cioè  uno  o  due,  come  fu 
San  Tommaso  e  San  Bonaventura;  e  pochi  altri.  »  Queste  parole,  che  nelle 
opere  del  Savonarola  ricorrono  più  volte  con  piccole  varianti,  invitano  natu- 


(')  Ep.  ad  Titum,  Cnp.  I,  v.  9. 


7 


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Talmente  a  pensare.  Nelle  costituzioni  domenicane  infatti,  e  nelle  ordinazioni 
de'capitoli  generali  trovansi  pensieri  intorno  alla  filosofia  e  alle  scienze  secolari 
che  io  trovo  essere  letteralmente  i  savonaroliani.  Anzi  tutto,  San  Domenico  esor- 
tava assiduamente  i  Frati  alla  predicazione  evangelica,  e  a  ricercare  per  questo 
fine  con  sommo  studio  la  Sacra  Scrittura,  come  è  riferito  nella  lettera  del 
Rev.mo  P.  Jandel,  14  luglio  1852;  e  nel  capitolo  generale  di  Bologna  1242  si 
dice:  «  I  Frati  si  esercitino  con  molto  studio  in  quelle  cose  che  sono  contro  gli 
eretici,  e  a  difesa  della  fede;  »  e  nel  capitolo  generale  di  Montpellier  1271  :  «  Si 
esercitino  a  preferenza  nello  studio  della  teologia  che  non  in  quello  della  filo- 
sofia...; ammoniamo  gli  studenti  perchè  s'applichino  meno  allo  studio  della 
filosofia,  e  si  esercitino  diligentemente  nello  studio  della  teologia....  »  E  nella 
Distinzione  III,  Cap.  XIV:  «  E  lecito  studiare  di  scienze  secolari;  ma  non  si  ha 
da  indugiatisi  troppo  lungamente,  nè  impiegarvi  tutto  il  tempo;  ma  piuttosto 
esercitarsi  assiduamente  e  sollecitamente  nello  studio  delle  Scritture,  e  in 
quelle  altre  cose  che  sono  loro  utili  per  la  salute  delle  anime.  »  E  nell'antico 
testo,  allo  stesso  capitolo,  trattandosi  della  filosofia  de' gentili,  è  detto  esplici- 
tamente :  «  Ne'  libri  de'gentili  e  de'  filosofi  gli  studenti  non  studino,  sebbene 
talora  li  consultino.  » 

S'  intende  da  sè  che  nelle  ultime  parole  si  tratta  dello  studiare  senza  li- 
cenza; onde  è  anche  detto:  «  Non  s'imparino  le  scienze  secolari,  nè  le  arti 
che  chiamatisi  liberali,  se  non  se  quando  il  Maestro  generale  dell'ordine,  o  il 
Capitolo  generale  o  il  Priore  provinciale  o  il  Capitolo  provinciale  vogliano  al- 
cuna volta  intorno  ad  alcune  di  esse  dispensare  altrimenti.  »  È  inutile  aggiun- 
gere che  tali  disposizioni  furono  date,  e  fatte  tali  proibizioni  per  motivo 
de'pericoli  che  potevano  derivare  dalla  lettura  de'  filosofi  gentili  e  degli  autori 
profani  e  principalmente  per  il  pericolo  che  tale  lettura  distraesse  gli  studenti 
dallo  studio  e  dalla  assidua  meditazione  delle  Sacre  Scritture  e  delle  dottrine 
dell'Angelico  Dottore.  Ed  è  da  notare  altresì  che  con  tali  proibizioni  son  vie- 
tati i  testi  puri  dei  filosofi  gentili,  non  i  testi  commentati  da  San  Tommaso  o 
dagli  altri  Dottori,  che  nelle  scuole  religiose  furono  sempre  in  uso.  La  cosa  è 
per  sè  patente  e  potrebbe  avere  una  prova,  chi  ne  fosse  desideroso,  nel  Ca- 
pitolo romano  del  1569. 

Ora  queste  disposizioni  sono  appunto  le  ripetute  nelle  prediche  e  negli 
altri  scritti  di  Fra  Girolamo:  e  servono  come  di  principio  e  base  a  tutta 
V  operetta  dell'  ordine,  e  utilità  di  tutte  le  scienze....  come  può  facilmente  vedere 
chi  lo  voglia.  Come  si  può  adunque  condannare  per  eccesso?  Se  in  un  Ordine 
istituito  per  la  difesa  della  verità  e  la  distruzione  delle  eresie  soltanto  alcuni 
prescelti  devono  esser  nutriti  degli  studj  necessarj  a  questa  lotta  e  a  questa 
difesa,  nella  repubblica  cristiana  tulli,  proprio  tutti,  dovranno  armarsi  e  com- 
battere con  l'armi  della  scienza  contro  gl'increduli?  tutti  esser  dottori?  e  stu- 
diare tutti  egualmente  ogni  scienza  anche  profana?!  e  lo  dovranno  fare  anche 
quando  il  popolo  cristiano  fosse  lasciato  in  pace  da'  pagani,  dagli  eretici  e  da- 
gl' increduli  ?  Mi  parrebbe  che  vi  fosse  altro  da  fare!  Nè  saprei  persuadermi 
facilmente  che  per  la  repubblica  cristiana  tornasse  buono  che  tutti  i  cattolici 


—  99  — 


in  generale  avessero  a  studiar  più  e  meglio  negli  autori  gentili  di  quello  che 
devono  studiare  i  Padri  Domenicani,  i  quali  adempiono  1'  ufficio  di  predicar  la 
fede  di  Cristo,  e  percuotere,  secondo  l'opportunità  e  il  bisogno,  negli  sterpi  ere- 
liei.  Melchior  Cario,  quel  dottissimo  uomo  dell'ordine  dei  Predicatori,  tanto  stu- 
dioso della  classica  eleganza,  cliiama  santissima  la  legge  sopra  riferita,  (/)  attesa 
specialmente  la  condizione  di  quei  tempi,  nei  quali  tanta  follia  aveva  invaso 
le  Accademie  che  molti  che  si  dicevan  Teologi  invece  di  armarsi  di  brave 
ragioni  teologiche  per  combattere  le  nascenti  eresie,  trascuravano  la  Scrit- 
tura e  la  dottrina  de' Padri  per  mendicare  astruserie  dai  filosofi  pagani.  Egli 
rassomiglia  tali  uomini  a  paladini  che  combatton  colle  canne,  come  fanno  i 
fanciulli....  «  Per  loro  Averroè  è  Paolo,  Alessandro  Afrodisio  è  Pietro,  Ari- 
stotile è  Cristo  e  Platone  non  divino,  ma  Dio  ;  »  e  di  questi  stolti  dice  di 
averne  veduti  molti  in  Italia....  Onde  fu  necessario  che  il  Concilio  Lateranense, 
sessione  X,  biasimasse  il  superfluo  studio  delle  discipline  profane.  (2) 

Queste  norme  dell'Ordine  suo,  il  Savonarola  non  le  ha  ristrette,  ma  piut- 
tosto in  pratica  le  ha  allargate,  avuto  riguardo  ai  bisogni  dei  tempi  che  corre- 
vano; e  perciò  non  si  può  biasimarlo  in  nessun  modo,  se  non  si  vuole  bia- 
simare tutto  l'Ordine  domenicano  e  lo  spirito  del  santo  Fondatore  e  de'Padri 
che  v'ebber  maggior  parte.  Figlio  di  quest'  Ordine  illustre  che  ha  per  iscopo 
principale  la  salvezza  delle  anime  per  mezzo  della  predicazione,  se  il  Savona- 
rola praticò  quello  che  fino  dai  tempi  del  santo  Fondatore  era  stato  praticato 
e  che  a  tale  scopo  meglio  conduce,  non  dovremo  in  questo  massimamente  lo- 
darlo? I  Domenicani  stessi  che  in  forza  delle  loro  leggi  devono  nutrirsi  di  buoni 
studj  per  esercitar  degnamente  l'ufficio  del  predicare  e  dell'insegnare,  devono 
parimente  essere  i  primi  a  ripetere  :  Meglio  un  predicatore  di  meno  che  un 
peccatore  di  più,  meglio  un  dottore  o  un  filosofo  di  meno  che  un  eretico  di  più. 
Ad  ogni  modo,  se  gli  umanisti,  o  naturalisti,  vorranno  essere  severi  col  Frate, 
tra  questi  non  dovrebbe  mai  porsi  anche  il  Pastor:  e  se  pur  egli  voglia  farlo 
tuttavia,  noi  dal  profondo  dell'anima  plaudiremo  pur  sempre  al  vero  Domeni- 
cano, nè  sapremo  tenerci  dal  raccomandarne  l'imitazione  ai  figli  di  San  Do- 
menico e  segnatamente  alla  numerosa  schiera  de' giovani  della  Congregazione 
di  San  Marco.  Guardando  nel  Savonarola  questi  ardenti  novizj  e  Padri  avranno 
un  esempio  mirabile  che  insegnerà  loro  come  tenersi  fedeli  agli  ordini  de'su- 
periori  e  specialmente  a'  prescritti  che  si  leggono  nella  citata  lettera  del  Padre 
Generale  Jandel;  e  potranno  recare  nel  mondo  in  quest'  età  guasta  e  superba 
vantaggi  immensi  alle  anime,  traendole  dallo  spirito  pagano  alla  semplicità 
della  vita  cristiana  e  alla  stoltezza  della  fede,  alla  Croce. 

Posto  ciò  è  facile  capire  chi  lia  costretto  i  cristiani  a  studiare  le  scienze  seco- 
lari trovate  da'  gentili.  11  Savonarola  (Apologetico,  111)  asserisce  francamente,  e 


(')  Est  lex  apud  nostros  ganctissima  quso  in  hujusmodi  disciplinis  solum  adolescontes 
otnon  omnes,  sed  in^eniosos  exercet;  giandioi  ibus  autem  natii,  ingenioque  tnrdiore  studia 
hsec  interdicit.  (Do  loc.  theol.  Lib.  IX,  Gap.  IX.) 

(•)  Cf.  Melch.  Cano,  loc.  cit. 


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nessuno  gli  potrà  contradire,  che  sono  gì'  idolatri,  i  pagani,  gli  eretici,  i  gran 
maestri,  i  tiepidi  die  hanno  costretto  la  Chiesa  a  studiare  le  scienze  profane  e 
la  spinsero  alla  filosofia.  E  infatti  scrivendo  di  filosofia  San  Tommaso  non 
dubitò  di  intitolare  il  suo  volume  «  Contro  le  genti.  »  Ora  se  questa  genia  d'uo- 
mini non  esistessero,  che  necessità  avremmo  noi,  che  necessità  avrebbe  la  fede, 
di  quella  dotta  ignoranza?  Non  basterebbero  alla  salute  il  Vecchio  e  il  Nuovo 
Testamento  con  la  spiegazione  della  Chiesa?  11  dire  che  la  fede  per  sè  ha  bi- 
sogno della  filosofia  pagana  sarebbe  un  abbassar  la  fede.  Ma  pur  troppo  ci  fu- 
rono sempre  i  persecutori  del  popolo  cristiano  e  non  venner  mai  meno  gl'infe- 
deli, e  le  sette  de' razionalisti  e  degl'increduli  molestano  tuttavia  la  Chiesa; 
nè  mancavano  i  pagani  all'epoca  del  Savonarola.  (')  Affermi  pure  il  Pastor 
(pag.  137)  che  il  Frate  di  San  Marco  nel  suo  zelo  passionato  aveva  perduto  di 
vista  che  la  Chiesa  di  natura  sua  è  in  questo  mondo;  ma  noi  vediamo  che  egli 
sapeva  benissimo  la  vita  che  è  costretta  a  condurre  e  che  condusse  ognora  l'im- 
macolata Sposa  di  Cristo;  sapeva  benissimo  che  la  vita  cristiana  consiste  nel 
fare  il  bene  e  nel  sopportare  il  male,  e  sopratutto  il  male  che  a'  buoni  viene 
immancabilmente  dai  tristi,  e  che  la  dottrina  di  Dio,  come  quella  che  è  la  ve- 
rità, avrebbe  ognora  trionfato,  sì,  ma  sostenendo  lotte  ingenti!  Ma  se  il  Savo- 
narola così  pensava,  ognuno  lo  vede  senz'  altro,  quali  conseguenze  doveva  su- 
bito trarne.  A  somiglianza  del  suo  fratello  e  maestro  Tommaso  d'Aquino,  il 
nostro  Riformatore  sapendo  che  i  dottori  e  i  predicatori  cattolici  sono  debitori  a 
tutti,  finché  si  ha  che  fare  con  questa  gente  che  non  vuol  seguire  il  lume  sopran- 
naturale, riteneva  obbligo  e  forza  che  stiano  essi  al  lume  naturale  e  che  studino  e 
siano  profondi  in  tutte  le  scienze,  e  colla  scienza  confutino  e  ribaltano  gli  errori 
che  si  tenta  seminare  nel  popolo  fedele  contro  la  dottrina  del  Divino  Maestro. 
«  Il  savio,  ripete  sovente  Fra  Girolamo,  che  unisce  la  scienza  alla  sem- 
plicità, può,  ribattendo  gli  errori  contro  la  fede,  e  adducendo  ragioni  pro- 
babili a  conforto  di  essa,  quasi  angelo  illuminare  gli  altri,  può  illuminare 
gli  altri  come  i  cieli  che  illuminano  tutto  della  loro  luce....  Costoro  guar- 
dino adunque  le  scienze  razionali  e  le  matematiche,  quanto  basti  alla  utilità 
delle  altre;  si  fermino  alquanto  nella  filosofia  naturale,  sia  per  la  dignità  de- 
gli obietti,  sia  ancora  per  la  loro  utilità,  perchè  le  cose  naturali  sollevano 
l'animo  alle  divine;  s'indugino  alquanto  più  nella  metafisica,  che  è,  nelle 


(')  È  chiaro  elio  non  s'intende  con  ciò  di  negare  elio  la  filosofia  e  le  .scienze  razionali  in 
genere  valgano  anche  per  quelli  cho  non  rifiutano,  ma  accettano  od  hanno  il  lunio  soprannatu- 
rale :  la  lilosolia  e  le  scienze  in  genere,  possono  recaro  anche  a  costoro  alcuni  diletti  e  vantag- 
gi o  anche  molti  e  grandi,  se  vuoisi:  ma  nel  testo  si  dice  solo  che  la  carità  cristiana,  lo  spirito 
d'  apostolato,  la  missione  cho  ha  la  Chiosa  di  predicare  e  difendere  la  logge  di  Cristo  e  am- 
maestrare tutti  gli  uomini,  non  pur  fanno  lecito  lo  studio  delle  scienze  razionali  ad  alcuni 
cattolici,  ma  lo  possono  ancho  rendere  obbligatorio  quando  non  sia  necessario  por  la  sai- 
Vozza  dol  prossimo.  Qui  s'intende  poi  sempre  parlare  della  filosofia  de' gentili  e  de'libri 
degli  otorodossi.  10  troppo  chiaro  elio  la  filosofia  de'  Padri  o  Dottori  della  Chiesa,  e,  in  ge- 
neralo, i  libri  scientifici  de' cristiani  sono  sempre  cosa  preziosissima  pei-  tutti  gli  studiosi. 
11  lasciare  il  lume  della  ragione  e  la  prudonza  umana  dove  possono  aiutarci,  protendendo 
di  usar  solo  il  lumo  dolla  fedo  o  la  scienza  dello  Scritture,  per  il  Savonarola  sarebbe  un  tona 
tar  Dio.  Bisogna  adunque  intender  sompro  le  proposizioni  dol  Frate  con  discrezione. 


—  101  - 

scienze  umane,  il  fine  di  tutte.  Queste  scienze  le  studino  gl'  ingegni  che  vo- 
gliono combattere  coi  dotti  e  savj  del  mondo,  e  confutare  gli  errori  degli 
eretici,  e  risolvere  le  obbiezioni  contro  la  fede;  studino  queste  scienze  coloro 
che  vogliono  esser  maestri  nel  popolo  cristiano....  Si  studino  pure  queste 
scienze,  chè  non  è  proibito  ai  cristiani  di  studiare  alcuna  dottrina,  salvo  al- 
cune superstiziose  e  divinatorie  e  perniciose,  le  quali  ancora  sono  condan- 
nate e  derise  dai  filosofi,  nè  sono  da  loro  connumerate  nelle  scienze.  E  si 
studino  non  solo  tutte  le  scienze,  ma  tutte  le  parti  delle  scienze:  imperocché 
non  solo  nessuna  scienza  ripugna  alla  Scrittura,  ma  nessuna  parte  di  scienza 
le  è  ripugnante.  Infatti  i  nostri  dottori  dimostrarono  che  nessuna  parte  di 
scienza  le  è  ripugnante,  e  sciolgono  e  risolvono  tutte  le  apparenti  contra- 
dizioni, per  modo  che  chiaro  si  mostra  e  appare  che  ogni  filosofia  come  an- 
cella serve  alla  Sacra  Teologia,  e  questa  non  serve  a  scienza  alcuna,  ma 
come  regina  tutte  le  signoreggia  e  domina.  »  (Sopra  Amos;  Apologetico  II; 
Trionfo  lib.  II,  cap.  Vili  e  altrove....)  (') 

Che  può  desiderare  di  meglio  un  cattolico  ?  Chi  per  poco  s' intende  di 
Cristianesimo  vede  subito  chiaro  chiaro  che  questa  del  Savonarola  è  tutta  e 
sola  la  teorica  de'  Padri  e  dei  Dottori,  e  la  sapienza  degli  spiriti  eletti,  la  dot- 
trina della  Chiesa  recentemente  proclamata  dal  Concilio  Valicano.  Perchè  adun- 
que condannare  di  eccesso  anche  qui  il  Frate  già  per  altro  tanto  ingiustamente 
calunnialo?  Doveva  proprio  il  Frate  far  obbligo  a  tutti  i  suoi  fanciulli,  a  tutti 
i  cattolici  di  studiar  ogni  cosa  se  non  voleva  dar  in  eccesso?  ! 

Ma  noi  ci  siamo  fin  qui  trattenuti  a  parlare  degli  studj  profani,  e  delle 
scienze  razionali,  mentre  la  Lettera  circolare  dice  che  il  predicatore  vuole  es- 
ser nutrito  principalmente  di  sacri.  Qui  come  pensava  Fra  Girolamo? 

Bastano  poche  parole  a  provare  il  senno  e  la  cattolicità  del  Savonarola 
negli  studj  sacri.  Egli  voleva,  e  lo  dice  nelP  Apologetico,  e  lo  ripete  molto  spesso  al- 
trove, «  che  la  sacra  teologia  fosse  ognora  preposta  ad  ogni  altra  scienza;  e 
asseriva  che  in  essa  era  la  pace  nella  quale  egli  dormiva  e  si  riposava,  era 
quella  nella  quale  deve  perpetuamente  acquetarsi  P  uomo  sapiente.  Insegnava 
poi  con  San  Tommaso  che  «  la  nostra  sacra  Teologia  non  potrà  annoverarsi  tra 
queste  scienze,  perchè,  nè  dalla  virtù  dell'  umano  ingegno,  nè  di  qualsivoglia 
creato  intelletto,  benché  eccellentissimo,  può  in  alcun  modo  essere  inventata; 
imperocché  si  aggira  intorno  a  quell'Ente  che  da  niuno  intelletto  può  natural- 
mente essere  compreso,  e  tuttavolta  abbraccia  tutto  ciò  che  le  altre  scienze  con- 
siderano sotto  una  formale  ragione,  da  essere  una  sola  scienza  e  non  più.  (*) 
Imperocché,  se  parliamo  della  ragione  formale  per  parte  dell'  obietto,  in  quanto 
è  una  certa  cosa,  diciamo  eh'  essa  tratta  di  Dio  sotto  P  aspetto  della  divinità.  E 
questo  è  il  suo  obietto  principale  ;  perchè  se  tratta  di  altre  cose,  lo  fa'secondo  che  a 
Dio  in  diversi  modi  si  riferiscono,  o  come  a  causa  efficiente,  o  come  a  fine. Se  poi 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  p.  T,  q.  I,  a.  5,  e  risposta  al  2°  argomento.  Cf.  Zigliara,  Propoc- 
dtutica,  Lib.  I,  cap.  XVIII. 

(2)  Cfr.  S.  Tommaso,  loc.  cit.  a.  3. 


—  102  - 


parliamo  della  ragione  formale  per  parte  di  clii  conosce,  in  tal  caso  l'obietto  dì 
quella  comune  è  1'  ente  divinamente  rivelabile.  Avvegnaché  tratta  di  tutte  le  cose 
tanto  Divine,  soprannaturali  e  naturali,  quanto  ancora  morali,  non  già  proce- 
dendo per  mezzo  di  ragioni  naturali,  o  per  mezzo  delle  creature,  ma  per  via 
di  un  lume  soprannaturale.  (*)  Laonde  nelle  creature  non  considera  le  proprietà 
delle  cose,  e  le  essenze  e  le  cause  prossime,  e  i  loro  prossimi  principi  sìc' 
come  fanno  i  filosofi;  ma  si  eleva  più  in  alto,  considerando  in  esse  principal- 
mente la  divina  potenza,  sapienza  e  bontà,  e  mediante  queste  indaga  le  pro- 
prietà delle  cose  Divine,  non  giudicate  dal  lume  naturale,  ma  sollevate  dal 
lume  Divino,  che  col  suo  splendore  aiuta  1'  intelletto  e  conforta  la  mente  pur- 
gata da  ogni  macchia,  affinchè  nelle  creature,  siccome  in  ispecclii,  contemplar 
possa  la  Divina  bontà,  e  a  poco  a  poco  la  solleva  al  di  sopra  delle  altezze 
terrene,  e  in  certo  mirabil  modo  la  conduce  nel  seno  della  santissima  e  in- 
divisibile Trinità,  ove  si  pasce,  si  riposa  e  gioisce.  »  (Apologetico,  I.) 

«  La  sacra  teologia  poi  si  divide  in  pratica  e  speculativa,  imperocché 
sotto  la  ragione  formale  del  medesimo  obietto  sono  inclusi,  come  dicemmo, 
tutti  gli  enti,  tanto  divini  che  naturali  e  morali.  Tuttavia  è  principalmente  spe- 
culativa; perchè,  quantunque  il  fine  del  precetto  sia  la  carità  procedente  da  un 
cuore  puro,  tuttavia  la  carità  è  ordinata  eziandio  alla  contemplazione  della 
prima  verità,  tanto  nella  patria  celeste  quanto  ancora  nella  via  terrena  siccome 
a  proprio  fine,  (2)  secondo  il  detto  del  Signore  Gesù:  — Chi  ama  me  sarà  amato 
dal  Padre  mio,  ed  io  lo  amerò  e  gli  farò  manifesto  me  stesso.  —  La  teologia 
adunque,  in  quanto  all'  una  e  all'  altra  parte,  è  più  degna  di  tutte  le  scienze 
umanamente  inventate.  Gonciossiachè  in  quanto  è  pratica,  è  ordinata  a  un  fine 
nobilissimo  del  pari  che  ultimo.  Perciò,  quando  una  scienza  pratica  venga  ante- 
posta ad  un'  altra  a  cagione  di  un  più  nobile  fine,  nessun'  altra  nel  genere 
delle  pratiche  potrà  essere  paragonata  a  questa  nostra  scienza.  In  quanto  poi 
alla  speculativa,  è  chiaro  come  semplicemente  sia  più  degna  di  tutte  percioc- 
ché il  suo  obietto  è  Dio  conosciuto  in  modo  soprannaturale.  E  anche  in  quanto 
al  modo,  precede  tutte  le  altre.  Avvegnaché  le  scienze  umanamente  inventale 
hanno  la  certezza  dal  lume  naturale,  che  in  molti  modi  viene  meno,  la  teolo- 
gia poi  dal  lume  Divino,  che  in  nessun  modo  può  mancare.  (3)  Per  il  chè  giusta- 
mente questa  sola  è  degna  del  nome  di  sapienza,  lo  studio  della  quale  rende 
gli  uomini  perfetti  e  poco  meno  che  beati,  ed  è  da  anteporsi  ai  regni  ed  ai 
gran  seggi;  ed  in  confronto  di  lei  tutte  le  cose  sono  da  considerarsi  come 
feccia.  Imperocché  tanto  questa  è  distante  dalle  altre  scienze,  quanto  Dio 
dalle  creature,  dicendo  la  Scrittura:  Hanno  gli  uomini  un  infinito  tesoro,  del 
(piale  coloro  che  hanno  fatto  uso,  vennero  messi  a  parte  dell'  amicizia  di 
Dio.  »  (4)  (Apologetico,  II.) 


(')  Ofr.  San  Tommaso,  loc.  oit.  a.  7. 
(*}  San  Tommaso,  loc.  cit.  a.  4. 
(*)  San  Tommaso,  loc.  cit.  a.  5. 

(')  Sapienza,  c.  Vili,  v.  1  o  sogg.  0£  San  Tommaso,  loc.  cit.,  a.  6. 


-  103  — 


Quanto  poi  Girolamo  Savonarola  studiasse  in  teologia  lo  mostrano  chia- 
ramente le  sue  opere  e  lo  dicono  i  suoi  biografi.  Egli  non  credeva  lecito  ad 
alcun  sacerdote  esser  del  tulio  estraneo  alla  dottrina  che  è  nei  Santi  Padri  e 
nei  Dottori;  e  il  Pico  scrive  di  lui  nel  capo  XIV  della  Vita,  che  aveva  studiato 
per  modo  la  dottrina  di  Sant'Agostino,  di  San  Girolamo,  di  Sant'Ambrogio,  di 
San  Gregorio  e  di  San  Bernardo,  che  non  avrebbe  potuto  possederli  meglio  se 
li  avesse  studiati  ognuno  singolarmente  tutta  la  vita.  Ma  in  modo  speciale  Fra  Gi- 
rolamo studiò  nel  suo  maestro  e  fratello  Tommaso  D'Aquino,  le  cui  dottrine 
quasi  convertì  in  sua  carne  e  sangue,  e  può  dirsi  che  senza  di  questo  dottore 
egli  non  ha  fermato  nel  campo  del  sapere  peso  di  dramma.  Io  non  conosco 
alcun  altro  scrittore  nella  Chiesa  che  abbia  avuto  in  alto  concetto  il  Dottore 
d'Aquino  più  del  Savonarola;  e  mi  par  questo  ancora  il  più  bello  esempio  che 
si  possa  recare  a  prova  delle  savie  prescrizioni  di  Leone  XIII  che  richiamano 
il  clero  ad  abbeverarsi  alle  pure  fonti  del  Dottore  Angelico.  Studiando  nel  Sa- 
vonarola si  mostra  assai  chiaro  1'  utile  immenso  che  gli  studiosi  di  filosofia  e 
di  teologia  posson  trarre  da  San  Tommaso,  e  quanto  bene  possano  far  nel 
popolo  gli  oratori  illuminati  e  riscaldati  da  questo  sole  splendidissimo.  Già  sopra 
abbiamo  visto  in  quale  alto  concetto  il  Frate  di  San  Marco  tenesse  San  Tom- 
maso, e  come  da  lui  pigliasse  spesso  le  sue  dottrine,  e  meglio  ancora  lo  ve- 
dremo in  seguito;  onde  poteva  dir  con  ragione  nella  predica  XI  sopra  l'Esodo: 
«  Io  non  so  nulla;  pure  quel  poco  che  so,  io  lo  ho,  perchè  sono  stato  sempre 
nella  dottrina  di  San  Tommaso....  Sappiate  che  la  sua  dottrina  vi  ha  illumi- 
nati; e  prima  dico  quella  della  Scrittura  Sacra,  e  poi  la  sua;  e  benché  io  non 
ve  la  abbia  allegata  ogni  volta,  o  è  stato  per  non  mi  ricordare  così  de'  luoghi 
appunto,  o  per  non  consumare  tempo  in  allegare.  Ma  vi  dico  che  è  stata 
la  sua.  » 

E  che  egli  dicesse  il  vero  è  provato  da  ogni  pagina  degli  scritti  che  di  lui 
ci  rimangono,  ne' quali  non  pure  tu  trovi  la  dottrina  di  San  Tommaso,  ma  spesso 
di  San  Tommaso  vi  trovi  anche  la  forma  e  le  stesse  parole. 

Poche  cose  ci  resta  da  aggiungere  per  finire  senz'  altro  il  capitolo  pre- 
sente. Il  Savonarola  voleva  non  pure  studj  remoti  e  larghi  prima  di  assumere 
1'  ufficio  del  predicatore,  ma  ne  voleva  anche  de'  prossimi  per  ogni  predica. 

La  Lettera  Circolare  condanna  recisamente  «  coloro  che  fidenti  in  certa 
loro  loquacità,  temerariamente  salgano  il  pulpito  con  poca  o  nessuna  prepara- 
zione; »  e  Fra  Girolamo  paragona  costoro  a  quelli  che  sanno  ben  parlare  ma 
non  hanno  sapienza;  e  dice,  che  son  più  presto  stolti  che  savj,  e  soggiunge  che 
non  s'ha  d'aver  loro  compassione  e  che  non  meritano  aiuto,  ma  sono  senz'al- 
tro da  esser  ripresi.  (Sopra  Giob.,  pred.  XX.) 

Sovente  dal  pulpito  il  nostro  Frale  pregava  il  popolo  di  lasciar  quieli  co- 
loro che  predicavano,  e  così  anche  lui,  perchè  potessero  studiare  la  predica;  e 
nella  XXIV  sopra  Amos  e  Zaccaria,  osservando  che  Cristo  aveva  lasciato  il 
battezzare  a'  suoi  discepoli,  dice  che  così  aveva  fatto  e  aveva  data  questa  cura 
a  quelli,  perchè  Lui  aveva  a  predicare;  e  soggiunge:  «  Però  v'  ho  detto  io  qual- 
che volta,  che  voi  lasciate  stare  i  predicatori,  perchè  possano  studiare  la  pre- 


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dica:  se  non  è  cosa  già  di  grande  importanza.  Bisogna,  vi  dico,  che  la  predica 
venga  di  sopra;  lasciateli  adunque  fare  V  ufficio  della  carità,  e  pensate  se  Cri- 
sto e  gli  Apostoli  suoi  facevano  questo,  a' quali  come  aprivano  la  bocca,  mini- 
strava loro  la  predica  lo  Spirilo  Santo,  se  ci  ho  bisogno  io  !  » 

Si  sa  del  resto  che  egli  passava  le  giornate  intiere  e  a  volte  anche  le 
notti  a  meditare  ciò  che  aveva  da  dire  al  popolo.  Ed  un'  altra  ragione  era  so- 
lito anche  addurre  di  questo  studio:  esser  necessario  che  il  predicatore,  se  vuole 
far  frutto,  non  debba  mai  lasciarsi  uscir  di  bocca  cosa  che  non  stia  bene  e  che 
abbia  da  tornare  indietro,  o  essere  disdetta.  Savie  parole  davvero,  che  mo- 
strano come  Fra  Girolamo  nel  predicare  non  battesse  P  aria,  ma  fosse  sodo  e 
saldo  e  con  I1  animo  e  con  la  mente. 

Possiamo  adunque  concludere,  chè  le  prove  sono  sufficienti,  che  Fra  Giro- 
lamo era  abbondantemente  fornito  delle  qualità  che  la  Santa  Congregazione 
de'  Vescovi  e  Regolari  e  il  Concilio  Lateranense  vogliono  nel  sacro  predica- 
tore, cioè:  vera  pietà  cristiana,  grande  amore  a  nostro  Signor  Gesù  Cristo,  esem- 
plare condotta  esteriore,  zelo  ardente  della  gloria  di  Dio  e  della  salute  delle 
anime,  buoni  sludj,  principalmente  sacri  ;  e  che  non  saliva  mai  temerariamente 
il  pulpito. 


X. 


Segue  sul  metodo  di  predicazione 
di  Girolamo  Savonarola. 

3. 

DELLE  MATERIE  PROPiUE  DELLA   SACRA  PREDICAZIONE. 

Sommario. 

Importanza  dell'  argomento.  —  Materie  proprie  della  predicazione  secondo  Cristo ,  la  Chiesa  e  Giro- 
lamo Savonarola.  —  Definizioni  del  predicare  di  Fra  Girolamo.  —  Una  prescrizione  del  Concilio 
Lateranense  e  il  Savonarola.  — Alcune  regole  del  Frate  di  San  Marco  per  l'interpetrazione  della 
Bibbia.  —  Un  invito  al  Pastor.  —  Giudizio  della  Civiltà  Cattolica.  —  Una  nuova  obbiezione.  — 
Una  proposizione  eretica  combattuta  dal  Savonarola  a  propria  difesa.  —  Leone  XIII  vuole  il 
predicatore  fortificato  in  tutta  la  Scrittura.  —  Predicazione  di  Fra  Girolamo  sopra  l'Antico  Te- 
stamento. —  Come  sia  falso  che  Fra  Girolamo  avesse  per  fine  solo  di  esporre  sopra  l'Antico 
Testamento.  —  Un  passo  fra  i  mille.  —  Il  Pastor  acconsente  e  afferma  che  Fra  Girolamo  studiava 
ed  esponeva  il  Testamento  Xuovo.  —  Merito  singolare  del  Frate  di  San  Marco  come  sacro  ora- 
tore. —  Come  si  predicasse  all'età  di  Fra  Girolamo.  —  Perchè  il  Savonarola  esponesse  indiffe- 
rentemente questa  o  quella  Scrittura.  —  La  Scrittura  è  l'immagine  e  la  vita  di  Cristo  secondo 
Leone  XIII  e  il  Frate  di  San  Marco.  —  Tutta  la  Scrittura  è  ordinata  a  Cristo  Crocifisso.  — 
Bontà  del  programma  Savonaroliano.  —  Le  materie  morali  nella  predicazione  e  Fra  Girolamo.  — 
—  Supremo  principio  morale  del  nostro  Frate.  —  Come  il  Pastor  riconosce  i  successi  ottenuti  da 
Fra  Girolamo  nel  campo  morale.  —  Infelice  ed  infondato  giudizio  del  Pastor  sopra  le  conver- 
sioni operate  da  Fra  Girolamo.  —  Fra  Girolamo  e  i  Novissimi  dell'  uomo  nella  predicazione.  — 
Un  nostro  desiderio  e  voto. 

È  di  massima  importanza  per  chi  vuole  compiere  il  gran  ministero  del 
predicatore  sapere  quali  cose  debba  egli  esporre  al  popolo,  quali  sieno  ve- 
ramente le  materie  proprie  della  sacra  predicazione.  Perciò  Cristo  medesimo 
volle  indicarle  a  coloro  che  mandò  primi  a  convertire  il  mondo,  e  le  vollero 
ripetere  i  Concilj,  particolarmente  il  Lateranense  e  il  Tridentino,  la  Congrega- 
zione de'  Vescovi  e  Regolari,  moltissimi  pontefici  e  recentemente  Pio  IX  e 
Leone  XIII;  anzi  la  Chiesa  da  Cristo  a  noi  si  può  dire  che  non  faccia  altro 
che  ripeterle  incessantemente  a  tutti  i  predicatori  suoi.  Quali  sono  adunque 
queste  materie?  Eccole  :  «  La  verità  dell'Evangelo  e  la  Sacra  Scrittura  secondo 
la  interpretazione  dei  Padri  e  dei  Dottori  della  Chiesa.  »  (Pastor,  pag.  14-G  ; 


# 


—  106  — 


Lettera  Circolare,  n.  2.  Leone  XIII,  discorso  a' Sacri  Oratori,  4  giugno  1880; 
Enciclica  sullo  Studio  della  Scrittura  Sacra....) 

Ma  chi  dall'  epoca  degli  Apostoli  a  Leone  XIII  fu  meglio  persuaso  di  que- 
sta verità  di  Frate  Girolamo?  Egli  era  tanto  convinto  e  persuaso  che  le  ma- 
terie del  predicare  sono  le  Scritture  Sante  che  dalla  esposizione  di  esse  definì 
senza  meno  il  predicare:  «  Che  cosai  predicare?  È  esporre  le  Scritture  ».  Queste 
parole  che  si  leggono  nella  predica  XXX  sopra  i  Salmi,  il  Savonarola  le  ripete 
molto  spesso  altrove;  e  ogni  volta  eh'  egli  aveva  a  dire  qualche  cosa  al  popolo 
che  non  fosse  esposizione  della  Scrittura,  avvertiva  subito  che  voleva  ragionare 
così  un  poco  con  loro  e  non  predicare.  Ma  parmi  sentir  dire:  Il  concilio  Late- 
ranense  da  voi  citato  non  dice  semplicemente  che  si  esponga  la  Scrittura,  ma 
che  la  si  annunzi  «  secondo  la  interpretazione  de'  Padri  e  Dottori  della  Chiesa 
senza  aggiunte  arbitrarie  di  cose  discordanti  da  quella  »  ;  e  il  Pastor  come 
pone  nel  suo  libro  la  prescrizione  da  voi  trascritta,  così  pone  anche  la  giunta; 
ed  insinuando,  anzi  lasciando  chiaramente  capire,  che  tali  prescrizioni  furono 
fatte  contro  i  seguaci  di  Fra  Girolamo,  pare  chiaro  che  al  vostro  Frate  si  mova 
il  forte  rimprovero  non  d'  aver  esposto,  ma  adulterato  le  Scritture  Divine.  E 
giusta  1'  accusa  ? 

E  giusta  della  giustizia  che  godono  le  altre  che  il  Pastor  muove  contro 
il  Savonarola.  Nel  II  e  nel  III  libro  intorno  allo  Studio  della  Sacra  Scrittura 
secondo  Girolamo  Savonarola  e  Leone  XIII  espongo  ampiamente  le  redole 
che  il  Frate  imponeva  a  se  stesso  e  a  tutti  coloro  che  vogliono  legger  con 
frutto  la  parola  di  Dio;  e  là  si  potrà  vedere  quanto  sia  enorme  l'accusare 
il  nostro  esegeta  di  questo  delitto.  Ecco,  fra  le  altre,  quali  regole  voleva  il 
Savonarola  che  osservasse  il  sacro  interprete.  «  Si  onori  la  esposizione  dello 
Spirito  Santo  ;  non  si  vada  contro,  ma  si  segua  la  fede;  si  segua  la  esposi- 
zione della  Chiesa;  non  si  vada  contro  la  sentenza  comune  de'  Padri:  noti  si 
esponga  contro  la  filosofia  naturale;  nè  contro  la  verità  storica....  »E  con  San- 
t' Ilario  ripete  sovente  di  guardarci  bene  dal  tirar  la  Scrittura  ai  nostri  pro- 
prj  fini,  eJ  esporla  come  abbiano  prima  concepito  e  secondo  i  nostri  senti- 
menti; e  inculca  invece  di  accordarci  all'intelletto  divino,  e  non  mettere  il 
nostro  al  posto  di  quello  Ora  con  queste  regole,  eh'  egli  ripete  ad  ogni  piè 
sospinto,  come  potete  conciliare  l'accusa  del  Pastor?  Davvero,  se  questo 
autore,  citando  le  trascritte  parole,  intendeva  di  mordere  il  Savonarola,  e  il  suo 
metodo  di  predicazione,  bisogna  ripetere  un'altra  volta  ch'egli  non  sa  ciò  che 
si  dica,  o  è  soverchiamente  passionato.  No,  il  Frate  di  San  Marco  non  espo- 
neva la  Scrittura  contro  la  interpretazione  de'  Padri  e  de'  Dottori  della  Chiesa, 
ma  fedelmente  seguiva  questa  esposizione,  onde  sovente  dice  al  popolo  le 
fonti  donde  egli  trae  le  sue  esposizioni  e  lo  avvisa  di  non  credere  eh'  esse 
siano  sue.  Quanto  poi  al  farvi  aggiunte  arbitrarie  di  cose  discordanti  dalla  Scrit- 
tura noi  saremmo  obbligatissimi  al  Pastor  ove  sapesse  trovarcene  anche  una  sola 
nelle  opere  del  Frate!  Si  provi,  se  sa,  a  farlo,  e  poi  vedrà  ch'egli  sentirà  do- 
lore da  se  stesso  di  avere  scritto  come  scrisse  del  Frate,  e  converrà  con  noi 
che  tra  le  cose  buone  da  farsi  da'  cattolici  vi  sarebbe  anche  quella  di  raccogliere 


—  107  — 


dalle  opere  del  Savonarola  un  intiero  commento  biblico.  Del  resto  già  la  Ci- 
viltà Cattolica  ebbe  saviamente  a  scrivere  che  il  Savonarola  «  non  si  contentava 
di  una  lettura  qualsiasi  della  Scrittura;  ma  ch'egli  esponendo  la  Scrittura 
a'  suoi  uditori  ne  ricavava  splendidi  catechismi  dottrinali,  ne  derivava  regole 
ai  costumi,  si  elevava  ad  applicazioni  ascetiche  con  maravigliosa  eloquenza 
popolare.  »  (Quaderno  UH,  3  ottobre  1896.)  Quindi  si  può  dire  che  il  modo 
come  il  Savonarola  esponeva  le  Scritture,  dai  cattolici  è  oramai  approvato  e 
universalmente  lodato  come  era  dagli  ammiratori  del  Erate  all'età  sua.  Ma 
io  mi  sento  risuonare  dentro  la  mente  un'altra  obbiezione  non  meno  ingrata 
dell'antecedente:  Cristo  disse  agli  Apostoli:  Predicate  l'Evangelo;  e  predicate 
l'Evangelo  ha  ripetuto  sempre  e  continua  a  ripetere  la  Chiesa,  come  fa  nuo- 
vamente la  Lettera  circolare;  e  per  contro  il  Savonarola  pareva  non  avesse 
per  fine  se  non  di  esporre  qualche  cosa  dell'Antico  Testamento  e  segnata- 
mente i  Profeti,  senza  darsi  cura  del  Testamento  Nuovo.  È  queslo  lo  spirito 
delle  prescrizioni  della  Chiesa?  Non  è  più  conveniente  e  più  utile  al  popolo 
cristiano  l'esposizione  del  Nuovo  Testamento  e  sopra  tutto  dell' Evangelo?  (') 
Veramente  il  rimprovero  contro  il  Frate  non  è  nuovo;  già  glielo  facevano 
alcuni,  lui  vivente:  anzi  era  una  delle  accuse  più  ripetute  da'  suoi  avversarj. 
Ma  a  me  pare  che  il  Savonarola  sapesse  ancora  ben  rispondere  :  studiando 
egli  adunque  ed  esponendo  gli  antichi  Profeti  si  era  sentito  ripetere  di  lasciar 
quelle  cose  che  già  erano  passale  e  di  predicare  la  Scrittura.  Ma  egli  disdegnava 
costoro,  e  diceva  che  parlavano  a  quel  modo  perchè  non  sapevano  che  cosa  voglia 
dire  Scrittura:  «  Alcuni,  che  non  conoscono  quello  che  voglia  dire  Scrittura,  di- 
cono a  me,  —  Predica  la  Scrittura,  e  lascia  star  queste  profezie.  —  Errate  non 
conoscendo  la  Scrittura  nè  la  virtù  di  Dio.  Amos  è  Scrittura?  Sì,  e  devesi 
credere  come  l'Evangelo;  e  chi  non  lo  credesse,  sarebbe  eretico;  si  deve  cre- 
dere come  1'  Evangelo  di  San  Giovanni.  »  E  da  Amos,  (appunto  perchè  questo 
profeta  è  Scrittura,  come  gli  altri  libri  del  Vecchio  e  Nuovo  Testamento,  e 
forma  con  loro  una  cosa  sola),  passa  Fra  Girolamo  a  dire  della  Scrittura  in 
generale  e  grida:  «  Dio  ha  dato  autorità  alla  Scrittura,  perchè  chi  non  crede 
quella  pecca  mortalmente.  »  E  amaramente  e  mestamente  osservando  che  non 
si  voleva  studiare  la  Scrittura  a  dovere,  e  che  già  in  Firenze  si  leggeva  da  chi 
non  1'  aveva  imparata,  afferma  e  attesta  che  egli  da  tempo  si  crucciava  con 
molti  che  ella  fosse  così  condotta,  e  dice:  «  Mi  ricordo  di  un  predicatore  a  Bo- 


(')  Il  Pastor  a  pagina  123  riporta  un  passo  del  Cerretani,  nel  quale,  parlandosi  della 
predicazione  del  Savonarola,  è  detto  ohe  «  solo  il  suo  fine  era  d'esporre  qualche  cosa  del 
Vecchio  Testamento.  »  Non  sappiamo  se  con  queste  parole  (certo  poco  chiare)  s'intenda  muo- 
vere rimprovero  al  Frate  d'  essersi  tenuto  nel  predicare  alla  esclusiva  esposizione  dell'Antico 
Testamento;  anzi  pensiamo  che  il  critico  d' Innsbruck  qui  questo  non  voglia  fare;  imperocché 
nel  testo  originale  (pag.  135)  quel  solo  è  tralasciato,  e  dall'insieme  pare  che  il  Pastor  non 
voglia  dire  altro  se  non  che  il  Savonarola  aveva  per  fine  d'esporre  la  sola  Bibbia  senza 
l'eloquenza  mondana,  di  far  rifiorire  il  costume  de'Padri  antichi  senza  curarsi  di  ciarle.  Ma 
se  per  caso  si  volesse  intendere,  come  ad  alcuno  potrebbe  sembrar  che  si  possa  leggendo  il 
testo  italiano,  che  il  Savonarola  esponeva  solamente  il  Testamento  Vecchio  e  non  il  Nuovo, 
e  con  ciò  biasimare  il  Frate,  allora  le  cose  dette  in  questo  capitolo  le  volgeremmo  anche  con- 
tro quesf  asserzione  del  Cerretani. 


—  108  — 


logna,  il  quale  allegò  Giobbe  e  David  in  una  questione,  e  disse  :  —  Io  tengo  con 
David  questa  volta  e  non  con  Giobbe.  —  0  pazzo,  o  pazzo,  chè  voglio  chia- 
marla pazzia  !  Le  son  cose  da  ridersene  delle  stultizie  loro.  Benché  chi  dicesse 
che  fosse  più  autentico  il  Testamento  Vecchio  che  il  Nuovo  o  questa  Scrittura  che 
quell'altra  sarebbe  eresia  :  V  uno  e  l'altro  Testamento  ha  fatto  Dio.  Chi  ha 
dunque  più  autorità?  Dio?  o  Dio?  Sciocco  che  tu  se'!....  Sono  conformi  i 
due  Testamenti:  e  se  ti  è  predicato  il  Vecchio  Testamento  tanto  fa  quanto  il 
Nuovo.  Tutta  la  Scrittura  divinamente  inspirata  è  utile  ad  insegnare  (')  e  però 
San  Gregorio  e  Sant'Agostino  non  sempre  parlavano  e  dichiaravano  sopra  gli 
Evangeli,  ma  anche  sopra  molti  altri  luoghi  della  Scrittura.  »  (*) 

Davvero,  i  cattolici  che  ricordano  questa  dottrina  e  sanno  che  tutti  i  libri 
dell'  Antico  e  del  Nuovo  Testamento  formano  un  libro  solo  ed  unico,  non  ripe- 
terono mai  contro  il  Frate  di  San  Marco  la  vecchia  accusa,  e  tanto  meno  se 
avran  la  mente  a  quanto  scrive  nella  Enciclica  sugli  studi  biblici  Leone  XIII  ! 

Leggendo  questo  insigne  documento  di  sacra  sapienza,  si  troverà  subito 
non  lungi  dal  principio  e  quasi  in  ogni  pagina  che  il  Pontefice  nostro  vuole 
il  predicatore  sacro  fortificato  non  in  questa  o  in  quella  parte  della  Scrit- 
tura, ma  in  tutta  la  Scrittura,  e  troverà  che  il  Pontefice,  come  San  Paolo, 
ritiene  e  vuole  che  si  creda  tutto  l' Antico  e  tutto  il  Nuovo  Testamento,  e 
tutte  le  parti  loro  ugualmente  come  Scrittura  inspirata  da  Dio,  e  ugualmente 
utile  a  insegnare,  a  redarguire  a  rimproverare,  ad  erudire  nella  giustizia  af- 
finchè sia  perfetto  1'  uomo  di  Dio,  istruito  ad  ogni  opera  buona.  E  anche  il 
Concilio  Laleranense  sopra  citato  dice  che  si  predichi  la  verità  dell'  Evangelo 
e  la  Sacra  Scrittura:  dunque  e  l'Antico  e  il  Nuovo  Testamento.  E  non  è  da 
cattolico  pigliar  la  cosa  altrimenti. 

E  vero  adunque  che  Fra  Girolamo  espose  ai  Fiorentini  l'Antico  Testa- 
mento; ne  son  prova  le  predicazioni  sopra  i  Salmi,  sopra  l'Arca  di  Noè,  so- 
pra Aggeo,  sopra  Giobbe,  sopra  Amos  e  Zaccaria,  sopra  Gioele,  sopra  Ruth 
e  Michea,  sopra  Ezechiele,  sopra  l'Esodo...;  ma  il  disapprovare  semplice- 
mente questo  è  un  errore  assai  grave  che  potrebbe  accreditare  presso  il  popolo 
l'accusa  de' protestanti,  che  i  cattolici  non  vogliali  leggere  la  Bibbia;  accusa 
quanto  ingiusta  altrettanto  perniciosa. 

Ma  poi,  ditemi,  si  può  in  buona  fede  rimproverare  a  Fra  Girolamo  che 
avesse  solo  per  fine  di  esporre  qualche  cosa  dell'  Antico  Testamento  senza 
esporre  nulla  del  Nuovo.  Ma  è  forse  Antico  Testamento  l'Apocalisse?  Ora  è 
notissimo  che  il  Savonarola  espose  questa  parte  della  Scrittura  una  quaresima 
intiera.  Sono  Antico  Testamento  le  Epistole  di  San  Giovanni?  Ma  chi  non  ha 
veduto  le  molte  edizioni  delle  prediche  del  Frate  sopra  questa  parte  della 
Scrittura?  Sono  Antico  Testamento  1'  Orazione  Domenicale  e  la  Salutazione 
Angelica?  Ma  non  abbiamo,  noi  per  le  stampe  I1  Esposizione  che  ne  fece 
Fra  Girolamo?  E  i  Vangeli  sono  Antico  Testamento?  Ma  chi  non  sa  che  nella 


(')  II  Ep.  di  S.  Paolo  a  Timoteo,  III,  16. 

(")  Vodi  l'opera  noatrA  già  citata,  lib.  I,  pai-te  II,  oap.  VI. 


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quaresima  del  1491  il  Frate  espose  appunto  gli  Evangeli?  Ma  v'ha  di  più.  Pro- 
testo che  non  v'è  predicazione  del  Frate  nella  quale  non  si  esponga  qualche 
cosa  de'  Vangeli  e  delle  Epistole  o  degli  Atti  Apostolici.  Si  legga  il  Quaresi- 
male sopra  Giobhe  e  si  vedrà  subito  che  il  Frate  quasi  in  ogni  predica  espone 
qualche  cosa  degli  Atti.  Si  legga  il  Quaresimale  sopra  Amos  e  Zaccaria,  e  si 
vedrà  subito  che  il  Frate  molto  spesso  e  quasi  in  ogni  predica  prima  di  ve- 
nire alla  esposizione  de'  Profeti  espone  il  Vangelo  del  giorno.  Nelle  opere  del 
Frate  ho  notato  una  completa  esposizione  dei  quattro  Evangeli,  e  non  è  im- 
possibile che  un  giorno  offra  a'  nostri  predicatori  e  al  nostro  popolo  almeno 
i  Vangeli  delle  Domeniche  esposti  e  spiegati  dal  grave  Asceta  ed  Oratore 
Fiorentino. 

Ecco  del  resto  un  luogo,  fra  i  mille  che  potrei  addurre,  nel  quale  il  Sa- 
vonarola inculca  apertamente  al  predicatore  la  conoscenza  degli  Evangeli:  è 
tolto  dalla  predica  VII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus  nella  quale  si  discorre 
assai  del  predicatore.  Ivi  dunque  paragonati  i  predicatori  sacri  a'  legni  di  Se- 
tim  che  s'osservavano  ne'  circoli  o  anelli  dell'arca  per  portarla,  nota  che  questi 
bastoni  erano  e  dovevano  stare  sempre  ne'  detti  circoli  (v.  Esodo,  c.  XXV, 
v.  12-15)';  e  poi  ne' circoli  vede  simboleggiati  appunto  i  quattro  Evangeli,  e  dice 
letteralmente:  «Io  ti  ho  detto  che  i  quattro  circoli  sono  i  quattro  Evangelisti; 
e  in  questi  dovrebbero  stare  i  predicatori,  a  questi  dovrebbero  i  dottori  assi- 
duamente esser  affissi,  cioè  dovrebbero  studiare  i  sacri  Evangeli,  e  predicare 
la  vita  di  Gesù  Cristo,  e  de' suoi  Apostoli;  e  loro  stanno  pure  fissi  in  Aristo- 
tile e  in  Platone;  e  Dio  comanda  che  e'  si  predichi  1'  Evangelio:  Andando  nel- 
V  universo  mondo,  predicate  il  mio  Evangelo  ad  ogni  creatura.  (*)  E  non  lo  pos- 
sono anche  predicare  perchè  non  lo  studiano....  » 

Del  resto  riconosce  anche  il  Pastor,  che  il  Savonarola  come  studiava  l'Antico, 
così  studiava  il  Nuovo  Testamento.  A  pag.  114  dove  sono  fatte  le  più  gravi  insi- 
nuazioni contro  gli  effetti  prodotti  dalle  idee  del  Savonarola,  e  scritte  le  cose  più 
stravaganti  che  si  siano  mai  udite,  contro  la  memoria  del  povero  Frate,  asse- 
risce il  Pastor  che  Pietro  Bernardino,  uomo  privo  di  ogni  coltura  superiore, 
per  essere  assiduo  uditore  delle  prediche  del  Savonarola  e  lettore  appassionato  dei 
suoi  scritti,  erasi  appropriata  una  tale  cognizione  della  Bibbia  da  saperla  presso 
che  a  memoria.  Forse  è  Bibbia  solo  1'  Antico  Testamento  o  il  Nuovo  Testa- 
mento? Pietro  Bernardino  non  l' imparò  nelle  prediche  e  negli  scritti  del  Frate? 
Ma  lasciamo  queste  esagerazioni,  il  Pastor  consente  esplicitamente  che  il  Savo- 
narola fosse  studioso  come  dell'  Antico,  così  anche  del  Nuovo  Testamento,  a 
pagina  124,  imperocché  ivi  dice  che  non  pure  le  storie  dell'Antico  Testamento 
riempivano  la  fantasia  del  Frate,  ma  anche  del  Nuovo;  e  nella  pagina  125  ac- 
cenna alla  esposizione  dell'  Apocalisse  fatta  in  San  Marco,  l'agosto  del  1490. 
Non  si  può  adunque  dubitare  che  Fra  Girolamo  esponeva  al  popolo  e  predi- 
cava la  Scrittura  come  prescrive  la  Chiesa.  Onde  qui  meritava  egli  certo  che  il 
Pastor  largheggiasse  con  lui  in  lodi;  imperocché  tanto  ne  è  più  grande  il  merito 


(')  Vangelo  di  San  Marco,  oap.  XVI,  v.  15. 


—  110  — 


quanto  era  quasi  universalmente  allora  da' sacri  oratori  lasciata  alla  polvere  la 
Parola  Divina.  Come  era  universalmente  infelice  allora  il  metodo  di  predica- 
zione, e  quanta  benemerenza  non  si  acquistò  Fra  Girolamo  opponendovisi  come 
fece  e  fortemente  e  saviamente!  Questo  noi  crediamo  d'averlo  mostrato  fino 
all'  evidenza  altrove  (Dello  studio  della  Sacra  Scrittura,  dal  capo  I  al  VII);  e  la 
Civiltà  Cattolica  ebbe  a  scrivere:  «  Al  tempo  del  Savonarola  ferveva  l'invasione 
delle  lettere  profane,  sì  chè  poco  e  male  si  attendeva,  non  pur  dal  volgo,  ma 
ancora  dalle  persone  colte,  e  perfino  da  certi  uomini  di  Chiesa  alle  Lettere  sa- 
cre. Niuno  forse  più  fortemente  e  con  più  senno  si  oppose  a  tale  disordine  che 
il  Frate  Savonarola.  »  (Quad.  citato.)  E  che  nel  finire  del  secolo  XV  si  predicasse 
male  lo  sa  molto  bene  anche  il  Pastor:  (p.  122)  «  Eranvi  predicatori,  i  quali 
recavano  sul  pulpito  troppa  erudizione  scolastica,  si  smarrivano  in  sottili  que- 
stioni teologiche....  Nè  mancavano  altresì  di  quelli  che  a  tutte  spese  delle  sem- 
plici e  sublimi  dottrine  del  cristianesimo  esponevano  la  sapienza  pagana  tutta 
abbagliante  di  nuovo  scoperta;  alle  citazioni  della  Bibbia  e  dei  Padri  fino  al- 
lora usate  quasi  esclusivamente  sostituivano  richiami  a' poeti  e  filosofi  pagani, 
o  peggio  della  mitologia  pagana  facevano  un  cibreo  colla  dogmatica  cristia- 
na. »  (l)  Ora  essendo  chiaro  ed  evidente  che  il  Savonarola  si  adoperò  a  tutta 
possa  per  cacciare  dal  pulpito  Aristotile  e  Platone,  e  i  poeti  che  vi  erano 
saliti,  per  ricondurvi  semplicemente  lo  spirito  di  Gesù  Cristo  Crocifisso,  ed 
essendo  in  Firenze  riuscito  nell'  intento,  perchè  l' egregio  storico  non  rico- 
nosce aperto  il  merito  del  grande  Oratore  domenicano?  Quando  io  leggo  i 
lamenti  che  allora  uscivano  dalla  bocca  del  Frate  e  i  rimproveri  che  egli  mo- 
veva a'  predicatori  sacri,  mi  par  proprio  di  leggere  e  di  sentire  le  ammonizioni 
che  ora  a'  predicatori  sacri  si  fanno  dalla  Santa  Congregazione  de'  Vescovi  e 
da  altre  pie  dotte  e  savie  persone  ;  I,2)  e  il  merito  del  nostro  Riformatore  mi 
appare  allora  veramente  straordinario,  e  vedendo  che  il  Pastor  non  lo  rico- 
nosce debitamente,  ma  trova  audaci  senza  misura  alcune  espressioni  di  quello 
al  riguardo  (pag.  127),  non  mi  sembra  quasi  più  d'aver  che  fare  con  uno 
storico  cattolico  che  sappia  che  cosa  sia  e  possa  in  un'  anima  ardente  lo  zelo 
per  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime. 

Del  resto,  sapete  perchè  il  Savonarola  esponeva  indifferentemente  questa 
o  quella  parte  della  Bibbia?  Perchè  in  tutta  la  Bibbia  vedeva  dipinta  la  Vita  di 


(')  Ecco,  fra  i  moltissimi  che  potrei  citare  un  breve  passo  del  Frate  nel  quale  deplora 
questo  modo  tenuto  dai  predicatoli  d'allora:  €  Et  sumpsisti  vestimento,  tua  multicoloriu,  et  ve- 
stita es  iìi  eis!  Questi  tuoi  vestimenti  sono  la  grammatica,  la  logica,  o  retorica:  tu  le  Lai  cu- 
cite insieme  con  la  Scrittura;  un'  autorità  di  qua,  una  di  là  e  l'ai  una  palla  f  atta  a  scacchi,  che 

non  vi  è  dentro  nulla         (Sopra  Ezechiele,  pred.  XXX.  Vedi  tutta  la  predica.)  E  da  un  codice 

autografa,  che  trovasi  in  San  Marco  contenente  sunti  del  quaresimale  recitato  dal  Frate 
l'anno  1491,  il  Villari  (voi.  I,  p.  132)  trae  lo  parole  soguenti:  •  Quidam  exponunt  cantica  de 
amasti,  etc.  Quidam  ScriptWOB  dicuut  esse  artem  poe.ticam,  ete.  Quidam  cantoni  versus  Loysii Puliti, 
ttc.  Quidam  lial/cnt  BiòllOS  in  vuìgari  errantes.  Quidam  volunt  eos  corrigere  ut  grammatici,  etc.  » 

(2)  Vedi,  oltre  la  Lettera  Circolare  più  volto  citata,  aneliti  l'aurea  dissertazione  De  Elo- 
qUtntia  Sacra  del  canonico  Emilio  boiardi,  professore  di  teologia  morale  e  pastorale  nel  Se- 
minario di  Faenza. 


—  111  — 

Gesù  Cristo  Crocifisso  cui  solo  egli  predicava,  secondo  il  precetto  degli  Apo- 
stoli e  di  tutta  la  Chiesa.  (*) 

Leone  XIII  nell'aurea  Enciclica  Sugli  studi  della  Sacra  Scrittura,  dice  che 
«  intorno  al  Salvatore  dell'  uman  genere  altro  non  havvi  più  copioso  ed  espli- 
cito di  quel  che  si  ha  in  tutto  il  contesto  della  Bibbia;  e  rettamente  affermò  San 
Girolamo  l' ignorare  le  Scritture  essere  un  ignorare  Cristo,  perocché  da  esse 
spicca,  come  viva  e  spirante,  l1  immagine  di  Lui,  dalla  quale  in  modo  veramente 
maraviglioso  si  diffonde  sollievo  de'  mali,  esortazione  alle  virtù,  invito  all'amor 
divino.  » 

E  il  Savonarola  era  solilo  di  ripeter  sovente  queste  medesime  cose;  e 
noi  l'abbiamo  già  dimostrato  nell'opera  citata,  c.  VI,  e  nel  c.  Vili,  parte  1: 
«  San  Tommaso  notò  che  la  Scrittura  è  detta  cuore  di  Cristo  (2)  perchè  il  cuore 
di  Cristo  essa  ci  fa  manifesto,  »  e  Fra  Girolamo  ripete  che  la  Scrittura  è  libro 
nel  quale  è  descritto  tutto  l'avvenimento  di  Cristo,  è  scritta  e  dipinta  tutta  la 
vita  di  Cristo,  e  contenuta  la  scienza  della  congiunzione  di  Dio  con  la  creatura. 
Ciò  è  detto  nella  predica  a' di  28  ottobre  1496  e  ci  è  ripetuto  in  mille  altri 
luoghi,  e  per  quello  che  riguarda  l'Antico  Testamento  e  i  Profeti  ne  leggiamo 
un  motto  nella  predica  Vili  sopra  l'Esodo:  «  11  fine  della  legge  è  Cristo;  tutti 
i  Profeti  volevano  dire  di  Cristo,  e  tutti  traevano  a  questo  bersaglio:  e  benché 
figurassero  il  regno  e  altre  cose  tuttavia  tornavano,  lutti  qua,  e  così  traggono 
al  fine  tutti  a  questo  disegno.  Isaia  diceva  del  Re  di  Babilonia  molte  cose,  e 
poi  traeva  un  motto  a  Cristo  ;  e  poi  descriveva  un'  altra  cosa  e  poi  pure  traeva 
qua,  quasi  dicendo:  intendimi  bene,  questo  è  il  mio  intento.  » 

Né  secondo  Fra  Girolamo  la  Scrittura  mirava  a  Cristo  semplicemente,  ma 
a  Cristo  Crocifisso:  al  Crocifisso  vedeva  il  nostro  espositore  aver  riguardato 
benché  da  lungi,  tutti  i  santi  Patriarchi  :  «  Essi  lo  hanno  prefigurato  con  molti 
sacrifizj,  lo  hanno  desiderato  con  tutto  il  cuore,  lo  hanno  visto  per  fede:  Abraam 
esultò  per  vedere  il  giorno  di  Cristo;  lo  vide  e  ne  ebbe  gaudio.  In  questa  fede, 
come  Abraam,  visse  Isaac  e  visse  Iacob,  in  questa  vissero  e  son  morti  Mosè, 
Josuè,  Gedeone,  David  e  tutti  i  Padri  del  Testamento  Vecchio,  in  questa  fede 
di  Gesù  Cristo  Crocifisso  si  sono  salvati  tutti  i  profeti....  La  Sacra  Scrittura  mi- 
rabilmente eleva  il  Cristiano  alla  contemplazione  di  Cristo,  perchè  tutta  la  Sa- 
cra Scrittura  è  ordinata  a  Cristo  Crocifìsso:  onde  dice  l'Apostolo:  Il  fine  della 
legge  è  Cristo.  (3)  Se  l'uomo  cristiano  adunque  il  quale  ha  il  lume  soprannaturale, 
essendo  purgato  di  mente,  legge  con  ogni  umiltà  le  Scritture  degli  Apostoli  e 


(.')  Un  oeiino  e  quasi  un  sommario  della  Vita  di  disto  nella  Scrittura  l'abbiamo  negli 
Scritti  Inediti  alle  chiose  del  cap.  XX  del  IV  de'  Re.  <  Cristo  per  dieci  gradi  discende  tra  le 
ombre  del  Vecchio  Testamento:  e  nella  resurrezione  per  i  medesimi  ritornò  al  cielo  illustrando 
ogni  cosa.  Alcuni  pongono  questi  gradi  a  questo  modo:  Il  primo  negli  Angeli  ;  il  secondo  nei 
Patriarchi;  il  terzo  nella  promulgazione  della  legge;  il  quarto  in  Giosuè  quando  introdusse  il 
popolo  d'Israele  nella  Terra  Promessa;  il  quinto  ne' Giudici;  il  sesto  ne' Re;  il  settimo  nei 
Profeti;  l'ottavo  in  San  Giovanni  Battista;  ilnono  nell'  Incarnazione;  il  ducimo  nella  Passio- 
np.  »  Cf.  Vito  Pomari,  Vita  di  Gesù  Cristo. 

(*J  Quod  lib.  12,  27. 

(*)  Ep.  di  S.  Paolo  ai  Romani,  cap.  X,  v.  i. 


-  112  — 


de'Profeti,  e  leggendole  le  va  meditando,  e  meditandole  per  virtù  della  loro  intel- 
ligenza a  Dio  per  orazione  si  converte,  e  così  in  diversi  luoghi  di  quelle  soffer- 
mando con  debita  maturità  i  loro  misteri  contempla,  sarà  mirabilmente  elevato 
alle  cose  soprannaturali,  e  troverà  dilettazioni  eterne  le  quali  passano  tutti  i 
piaceri  di  questo  mondo.  »  (Sopra  il  Salmo,  Quam  Bonus,  XXVI;  Semplicità 
della  vita  Cristiana,  lib.  V,  conci.  XVI,  XVII.) 

Il  Savonarola  adunque  leggeva  ed  esprimeva  tutta  la  Scrittura,  perchè 
tutta  la  Scrittura  gii  parlava  di  Gesù  Cristo  Crocifisso,  e  se  questo  non  fosse 
stato  non  1'  avrebbe  nè  anche  degnata  di  uno  sguardo  come  dice  chiaramente 
nel  sermone  fatto  a'  suoi  frati  nella  Vigilia  del  Natale  sopra  la  Natività  del 
Nostro  Signore  Gesù  Cristo;  e  ripete  sovente  altrove.  Perciò  nel  Savonarola 
sono  sinonime  le  espressioni:  Predicare  la  Sacra  Scrittura  e  predicare  Gesù 
Cristo  Crocifisso.  Onde  come  ripeteva  eh'  egli  non  faceva  altro  che  predicare 
la  Scrittura,  così  ripeteva  ch'egli  predicava  Cristo  Crocifisso  e  non  altro: 
.«  Veri  predicatori  sono  quelli  che  espongono  con  ispirito  le  Scritture..  .;  in 
tutto  ciò  che  dici  adopera  il  testimonio  delle  Sacre  Scritture....  Il  predicatore 
non  deve  sapere  altro  se  non  Cristo,  e  Cristo  Crocifisso.  (Scritti  Inediti,  po- 
stille al  Genesi,  XLII;  Discorso  nella  Commemorazione  de' Defunti;  in  principio 
della  Bibbia.) 

E  un' altra  ragione  ancora  troviamo  dello  studiare  che  Fra  Girolamo  fa- 
ceva in  tutta  la  Scrittura;  e  questa  ragione  è  1'  accennata  da  Leone  XIII  nella 
famosa  Enciclica.  «  Per  ciò  poi  che  spetta  alla  Chiesa,  l'istituzione  di  essa, 
la  sua  natura,  gli  officj,  i  carismi,  vi  ricorrono  nella  Bibbia,  con  sì  frequente 
menzione,  e  tanti  e  tanto  rubusti  vi  son  per  essa  gli  argomenti,  che  con  tutta 
verità  Girolamo  disse  :  Colui  che  è  fortificato  colle  testimonianze  delle  Sacre 
Scritture  è  un  propugnacolo  della  Chiesa.  »  Or  il  Frate  di  San  Marco  che 
aveva  tanto  amore  alla  Chiesa,  e  sorse  pronto  a  rimettervi  la  vita  per  difen- 
derla contro  i  tiepidi,  come  poteva  trascurare  lo  studio  dellaScrittura?  E  noi  tra 
non  mollo  avremo,  speriamo,  la  ventura  di  mostrare  quali  e  quanti  argomenti 
sapesse  il  Biformatore  fiorentino  trarre  dalla  Scrittura  per  celebrare  l'eccellen- 
za e  la  bellezza  della  Sposa  di  Cristo,  e  ribattere  i  persecutori  e  i  violatori  di 
quella!  Del  resto  che  cosa  predicava  il  Savonarola?  Egli  lo  ripete  molto  so- 
vente: Le  verità  della  Fede.  Ma  le  verità  della  Fede,  dove  le  troviamo? Nel- 
1'  Antico  e  nel  Nuovo  Testamento.  Dunque  per  necessaria  conseguenza  Fra 
Girolamo  era  portato  dalla  bontà  del  suo  programma  a  studiare  e  ad  esporre 
e  l'Antico  e  il  Nuovo  Testamento;  ossia  a  predicare  come  la  Chiesa  prescrive. 

Ma  con  ciò  noi  non  abbiamo  compiuto  il  nostro  dire,  nè  svolto  il  tema  che 
abbiamo  per  le  mani.  Sia  pure  che  Fra  Girolamo  scegliesse  felicemente  a  tema 
della  sua  predicazione  ie  verità  della  fede,  la  Sacra  Scrittura,  Cristo  Crocifisso; 
ma  non  è  ancor  con  ciò  fatto  palese  s'  egli  fosse  egualmente  felice  nel  predi- 
care al  popolo  la  morale,  mostrare  al  popolo  i  vizj  che  doveva  evitare,  le 
virtù  che  doveva  praticare;  s'egli  sapeva,  secondo  che  l'Angelico  vuole  che 
faccia  il  predicatore,  illuminare  non  pure  nelle  cose  da  credere,  ma  dirigere 
nelle  cose  da  fare,  render  palese  ciò  che  è  da  evitarsi,  e  ora  minacciando,  ora 


—  113  — 


esortando,  predicare  agli  uomini.  E  questo  è  pur  quello  che  prescrive  recente- 
mente la  Congregazione  de'  Vescovi;  e  questo  è  pur  quello  che  voleva  il  Con- 
cilio Lateranense;  imperocché,  siccome  si  legge  a  pag.  147  del  Pastor,  questo 
Concilio  prescriveva  che  i  Predicatori  oltre  allo  spiegare  1'  Evangelo  ad  ogni 
creatura  ingerissero  orrore  al  vizio  e  inculcassero  la  virtù.  Che  dormiamo 
dire  qui  della  predicazione  del  Savonarola? 

Mi  parrehbe  di  far  torto  a'  lettori  trattenendomi  a  mostrare  che  la  predi- 
cazione del  Savonarola  come  aveva  per  oggetto  la  verità  della  fede,  così  mirava 
al  ben  vivere  cristiano.  Chi  può  ignorar  questo?  La  vocazione  di  Fra  Giro- 
lamo fu  la  guerra  contro  l'invadente  paganesimo  (Cipolla,  Storia  delle  Si- 
gnorie,  p.  666.);  e  perciò  fu  la  guerra  alla  superbia  della  vita,  e  alla  concupi- 
scenza della  carne  e  degli  occhi!  E  che  faceva  altro  il  nostro  predicatore  che 
gridare  al  popolo  di  tornar  cristiano?  La  semplicità  della  vita  cristiana,  ecco 
la  morale  di  Fra  Girolamo!  E  a  questo  mirano  tutte  le  sue  predicazioni  ;  e  vi 
mira  colle  predicazioni  1'  aurea  operetta  già  tante  volte  citala  che  prende  appunto 
il  titolo  Della  semplicità  della  vita  Cristiana.  Del  resto  qual'era  il  supremo  prin- 
cipio morale  del  nostro  predicatore?  «  La  somma  giustizia  in  questo  consiste, 
che  1'  uomo  schivi  i  peccati,  e  seguiti  1'  opere  della  virtù:  ond'  è  scritto:  Partiti 
dal  male  e  opera  il  bene.  »  {l)  (Semplicità  della  Vita  Cristiana,  lib.  I,  con.  XI). 
Questo  adunque  il  supremo  principio  morale  secondo  il  nostro  Frate;  e  però  già 
si  può  quindi  capire  che  nel  predicare  egli  doveva  spiegare  questo  principio  e 
applicarlo  a'  singoli  fedeli;  e  così  fu  veramente;  come  appare  da  tutte  le  sue  pre- 
diche, e  segnatamente  da  quelle  sopra  Giobbe;  le  quali  di  proposito  trattano  della 
riforma  morale.  Basta  poi  uno  sguardo  anche  superficiale,  alla  sfuggita  e  di 
corsa  agli  scritti  di  lui,  per  vedere  che  non  vi  è  vizio,  non  esiste  virtù  che  il 
Frate  non  isveli  al  popolo,  invitando  o  a  fuggirlo  o  a  seguirla.  E  che  sapesse 
movere  al  bene  con  promesse  e  togliere  al  male  con  minacce  di  castighi  ed 
eterni  ed  anche  temporali,  è  cosa  più  che  notissima.  E  lui  fortunato  che  potè 
in  modo  tutto  singolare  far  promesse  di  premj  e  minacce  di  flagelli  a  Firenze 
ed  all'  Italia  e  alla  Chiesa  in  nome  di  Dio  !  Ma  di  questo  dovremo  occuparci 
di  proposito,  imperocché  qui  è  dove  ci  par  più  ingiusto  e  men  cattolico  il  Pa- 
stor. Perora  ci  basti  il  notare  che  non  v'ha  dubbio  ch'egli,  secondo  l'Angelico, 
sapeva  predicare  ora  con  minacce  e  ora  con  esortazioni,  e  così  movere  gli 
uditori  a  fare  il  bene  e  fuggire  il  male,  e  perciò  aiutarli,  come  vuole  Pio  IX 
che  1'  oratore  faccia,  a  scansare  1'  eterne  pene  e  a  conseguire  la  gloria  eterna. 

Del  resto  che  nel  campo  morale  Fra  Girolamo  ottenesse  frutti  splendidis- 
simi lo  dice,  copiando  letteralmente  una  intiera  pagina  dal  Villari,  molto  aper- 
tamente anche  il  Pastor:  «  I  successi  da  Lui  ottenuti  in  Firenze  con  le  sue 
prediche  morali  specie  nel  1495  furono....  straordinarj.  La  città  pareva  cangiata 
in  altra.  Le  donne,  abbandonati  i  loro  ricchi  ornamenti,  vestivano  semplici  e 
andavano  dimesse  ;  la  gioventù  libertina  era  quasi  per  incanto  divenuta  mo- 
desta e  religiosa;  i  canti  carnascialeschi  cedevano  il  luogo  alle  laudi  spirituali. 

(')  Salmo  XXXIII,  v.  11. 

8 


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Nelle  ore  di  riposo,  vedevano  gli  artigiani  seduli  a  bottega,  con  in  mano  la 
Bibbia  o  le  opere  del  Frate;  si  riprendevano  le  orazioni;  si  frequentavano  le 
chiese,  si  facevano  limosine.  Ma  quel  ebe  più  di  tutto  riuscì  mirabile  fu  vedere 
banchieri  e  mercanti  restituire,  per  scrupolo  di  coscienza,  somme  di  danaro 
male  acquistato,  che  montavano  a  più  migliaia  di  fiorini.  Dalla  campagna  e 
dalle  ville  si  partivano  di  notte  contadini  e  signori  per  trovarsi  alla  predica  e 
il  duomo  stesso  non  bastava  più  a  contenere  la  folla.  Da  cinquanta,  quali 
erano  da  principio  i  frati  di  San  Marco,  arrivarono  ora  a  duecentotrentotto, 
fra  questi  anche  giovani  delle  primarie  famiglie  di  Firenze  ed  uomini  di  ma- 
tura età,  reputati  nelle  lettere,  nelle  scienze  e  nel  maneggio  de'  pubblici  affari, 
come  Pandolfo  Rucellai,  Giorgio  Vespucci,  zio  del  celebre  navigatore,  Zanobi 
Acciaioli,  Pietro  Paolo  Urbino  professore  di  medicina,  l'ebreo  Blemmet  maestro 
di  Pico  della  Mirandola  e  molti  altri.  Una  vita  nuova  era  cominciata  in  Firenze.... 
(Pastor,  p.  136;  cf.  Villari,  p.  362,  364).  Si  hanno  nella  storia  esempj  di  frutti 
più  splendidi  di  oratorj  cristiani  nel  campo  morale?  E  qui  non  è  detto  certo 
il  tutto:  basterebbe  ricordare,  per  mostrar  che  vi  sarebbe  assai  altro  da  dire, 
1'  efficacia  usata  dal  Frate  sopra  gli  Artisti  e  sopra  i  fanciulli,  sua  massima 
cura.  Or  qui  chi  non  dovrebbe  fare  le  più  alte  meraviglie!  Chi  potrebbe  ne- 
gare ì  migliori  elogi  all'  egregio  espositore  della  Parola  divina,  all'  ottimo  ban- 
ditore della  legge  di  Cristo?  Eppure  il  Pastor  sentì  il  bisogno  di  premettere 
clie  i  successi  ottenuti  dal  Savonarola  furono  straordinarj  sì  bene,  ma  per  il 
momento;  e  concludendo  riconosce  che  «  una  vita  nuova  era  incominciata  in 
Firenze  »;  ma  si  domanda  subito  «  Durerà  essa  a  lungo?  »  e  tenendo  senz'altro 
per  negativa  la  risposta,  afferma  che  «  alla  sua  durata  riuscì  anzitutto  fatale 
l'avere  1'  ardente  Frate  nella  sua  lotta  contro  la  corruzione  favorita  dai  Me- 
dici, oltrepassato  più  d'  una  volta  non  pure  la  retta  linea  della  prudenza,  ma 
eziandio  1' equità!!!  »  Pur  troppo  il  mutamento  prodotto  dalla  potentissima 
voce  del  Savonarola  ne'  Fiorentini  non  durò  quanto  era  desiderabile  !  pur  troppo; 
almeno  ufficialmente  per  un  buon  numero  de'convertiti,  esso  fu  momentaneo! 
Questo  mostra  quanta  ragione  avesse'egli  quando  insisteva  per  voler  predicare 
e  restar  in  Firenze,  adducendo  a  prova  che  lui  tacendo,  ripullulavano  per  ogni 
dove  i  vizj,  die  le  tenere  piante  di  quella  vigna  avevano  bisogno  di  continua 
e  incessante  cura  ;  che  il  guasto  prodotto  dalle  tirannide  era  troppo  profondo 
per  sanarlo  intieramente  di  un  tratto!  Ma  non  possiamo  assolutamente  sotto- 
scrivere alla  sentenza  del  Pastor,  che  neh'  imprudenza  e  mancanza  di  equità 
del  Frate  ripone  la  prima  ragione  di  tanto  deplorabile  fatto  !  A  farci  persuasi 
il  Pastor  dovrebbe  almeno  ribattere  1'  asserzione  del  Villari  :  «  Il  Savonarola 
procedeva  con  una  prudenza  grandissima  »  e  le  prove  che  questo  storico  adduce 
(a  pag.  361  e  seg.)  a  conferma.  Se  il  Savonarola  fu  imprudente  e  non  equo, 
perebè  non  darcene  le  prove  ?  Le  affermazioni  gratuite  sono  oramai  troppo 
poco!  Ma  della  imprudenza,  dell'intemperanza,  del  sovercliio  zelo,  dello  zelo 
appassionalo,  smoderato,  della  durezza,  del  rigorismo  e  parzialità  senza  esem- 
pio, dello  spionaggio,  della  esclusività  e  inettezza,  della  mancanza  di  scrupolo, 
del  ridicolo  e  di  altre  cose  belle  die  lo  storico  d' Innsbruck  regala  al  povero 


—  115  - 

Frale  dovremo  occuparci  in  un  capitolo  a  parte:  però  continuiamo  ora  l'argo- 
mento presente,  e  non  lasciamoci  deviare  da  nulla. 

Dalle  cose  che  abbiamo  dette  fin  qui  apparisce  assai  chiaro  che  cosa  pre- 
dicasse il  Savonarola  volendo  convertire  a  Cristo  e  alla  religione  il  popolo  di 
Firenze  :  e  che  anche  qui,  per  ciò  che  riguarda  le  materie  proprie  della  sacra 
predicazione,  egli  è  un  buon  modello  da  proporsi  a  chi  vuole  annunciare  la  pa- 
rola di  Dio  secondo  le  prescrizioni  emanate  d'ordine  di  Leone  XIII. 

Con  ciò  si  potrebbe  tener  compiuto  il  presente  capitolo.  Ci  si  consenta 
tuttavia  di  scendere  ad  un  particolare,  perchè  la  cosa  appaia  più  evidente  an- 
cora. La  Lettera  circolare,  tra  le  materie  ordinarie  della  predicazione,  annovera, 
con  le  parole  di  Pio  IX,  i  Novissimi  dell'uomo.  Or  sentite  come  Fra  Girolamo 
mettesse  in  pratica  questa  prescrizione:  «  Veniamo  alle  cose  pratiche;  e  sta  a 
udire....  Statutum  est  hominìbus  semel  mori.  (')  Pensalo  bene  questo....  nota  que- 
sta parola  di  Dio.  Dice  l'Apostolo:  Egli  è  statuito,  che  ciascuno  abbia  a  mo- 
rire, e  andar  innanzi  al  tribunale  di  Cristo....  Vieni  a' particolari,  e  vattene  da 
te  qualche  volta  per  il  tuo  giardino....  e  dì:  Io  ho  da  morire...  e  dì:  poi  che 
sarà?  (2)  Pensa  bene  al  giudizio;  e  dì  :  Io  ho  a  esser  giudicato,  e  poi  vai  filoso- 
fando e  di:  Tutti  i  filosofi  hanno  detto  che  Dio  è,  e  che  è  uno,  e  die  governa 
il  mondo;  adunque  se  ha  providenza  di  ogni  cosa,  può  essere  che  dell'uomo 
non  abbia  providenza?  Adunque  se  è  giusto,  darà  pena  ai  cattivi,  e  i  buoni 
avranno  premio.  Noi  vediamo  qua  i  cattivi  avere  bene,  e  i  buoni  molto  male  ! 
Adunque  di  là  avranno  bene  i  buoni  e  i  cattivi  male.  E  così  va'  discorrendo,  e  dì: 
Ohimè,  che  io  ho  a  morire!  io  andrò  al  giudizio!  io  ho  a  andare  in  inferno  in  per- 
petuo, o  in  paradiso  in  perpetuo;  non  la  posso  scampare;  a  ogni  modo  ho  a 
morire!  Tu  non  ci  pensi?!  —  Oh!  io  lo  so.  —  Tu  non  lo  sai;  tu  non  ci  pensi!! 
Pensa  quanto  è  orribile  cadere  nelle  mani  di  Dio!  pensa  e  dì:  Se  io  vo  in  in- 
ferno, mai  più,  mai  più,  mai  più  ho  ad  avere  misericordia  !  E  come  avrai  pen- 
sato a  questo,  e  mangiato  questo  pane  della  parola  di  Dio,  tu  dirai:  Io  voglio 
far  bene,  per  scampare  alle  pene  dell'inferno.  Oli,  Signore,  se  non  fosse  mai 
altro,  che  per  scampare  di  non  stare  in  quella  orribilità  dell'inferno;  di  non 
esser  neh'  odio  tuo,  di  non  bestemmiare,  come  fanno  i  dannati,  io  voglio  far 
bene,  e  servirti  a  ogni  modo,  se  io  dovessi  anche  non  avere  mai  vita  eterna!  » 
(Sopra  Ezechiele,  pred.  XXXIII.) 

Questo  meditare  la  morte  e  l' inferno  il  nostro  Frate  lo  chiama  pane,  pane 
dell'anima  come  chiama  pane  dell'anima  gli  altri  Novissimi  ;  e  non  teme  di  dire 
che  a  noi  basta  la  meditazione  della  morte,  del  giudizio  e  dell'  inferno  a  cam- 
parci dal  far  male.  Onde  segue  ivi:  «  Se  tu  mangi  questo  primo  pane,  vedrai 
che  non  ti  bisognerà  il  secondo.  »  Ma  qui,  si  sa,  1'  abbondanza  non  può  nuo- 
cere ;  onde  aggiunge  il  Frate:  «  E  se  tu  pure  lo  vuoi  pigliare  il  secondo  pane,  ec- 
colo :  Nonsunt  condignae  jjassiones  hiiius  temporis  ad  fui  urani  gloriam....(3)  Uomo, 


(')  Ep.  agli  Ebrei,  cap.  IX,  v.  27. 

('-')  E  la  famosa  parola  di  S.  Filippo  Neri:  «  E  poi  9  » 
Ep.  ai  Romani,  cap.  Vili,  v.  18. 


—  116  — 


tu  hai  paura  di  un  poco  d'infermità,  di  tabulazioni,  di  pestilenza;  non  sono 
condegne  le  tribulazioni  di  qua  alla  futura  gloria.  Va'pensando  quante  sono  più 
grandi  e  più  belli  i  cieli  e  le  cose  supreme,  che  queste  cose  quaggiù;  pensa 
poi  quanto  è  più  bello  Iddio;  e  andrai  là  su,  facendo  bene.  Dì:  questa  carne 
ha  a  passare  i  cieli  gloriosa  e  bella.  Va'pensando  quale  è  la  maggiore  tabu- 
lazione, la  morte:  questa  non  posso  fuggire;  e  ha  a  venire  una  volta.  Che  ca- 
restia o  pestilenza?  una  morte  ho  a  fare  a  ogni  modo,  sia  quale  si  voglia. 
Questa  è  la  più  terribile  tabulazione  che  sia.  Va' così  dicendo  da  te  medesimo: 
Quel  poverello  tutto  dì  si  affatica  per  cinque  o  sei  soldi;  quella  poverella  don- 
niciuola  per  una  piccola  cosa;  quel  signore  per  guadagnare  mille  ducati;  quello 
per  una  città;  voglio  dunque  ancora  io,  per  questa  poca  fatica,  cercare  vita 
eterna.  Non  sono  condegne  le  fatiche  di  questo  mondo  alla  gloria,  che  ho  ad 
avere  neh'  altro.  »  (Ivi.) 

Che  si  potrebbe  dire  al  popolo  di  più  vero  e  di  più  fruttuoso?  Ma  allo  ze- 
lante Frate  neppur  questo  basta;  ma  continua  facendo  meditare  a  Firenze 
la  carità  de'  martiri  i  quali  con  la  virtù  di  Cristo,  infiammati  dell'  amore  di 
lui,  patirono  ogni  maniera  di  tormento;  e  mostra  come  il  Signore  palesasse 
in  questo  la  sua  sapienza,  la  sua  potenza  e  la  sua  bontà,  ordinando  i  pati- 
menti e  la  morte  de' suoi  servi  a  salute  della  Chiesa.  Cosi  con  l'esempio  in-, 
fiamma  il  cuore  del  popolo  di  quella  carità  che  tutto  vince  e  di  tutto  trionfa;  e 
gli  mostra  che  de'  patimenti  sopportati  per  Cristo  nulla  va  perduto;  e  per  tal 
modo  lo  fa  bramoso  di  patire  per  Iddio,  cioè  lo  spinge  al  sommo  della  perfezione 
cristiana.  Che  se  alcuno  pur  volesse  resistere,  il  Frate  seguendo,  l'invita  a  con- 
siderare la  velocità  del  tempo  delle  tribolazioni;  mentre  lussù  in  cielo  nelle 
dolcezze  staremo  in  eterno,  e  non  le  perderemo  mai,...  e  poi  invita  a  riflettere 
che  si  ha  quaggiù  a  patir  sempre,  e  avere  tribolazioni  ad  ogni  modo  o  si  vo- 
glia, o  no.  Ne  hanno  i  cattivi  delle  tribolazioni,  ne  hanno  i  tristi,  e  ne  hanno 
anche  i  buoni;  ma  chi  vuol  patire  e  patisce  per  Iddio,  ha  merito;  e  nelle  pene 
stesse  e  nei  travagli  trova  conforto  e  dolcezza  in  Gesù  Crocifisso;  mai  ai  tristi 
ogni  caso  è  aspro  ed  amaro;  e  non  han  mai  pace.  E  così  il  Frate  vien  dispo- 
nendo la  sua  Firenze  a  sopportare  il  male  e  a  fare  il  bene  e  così  perseverare 
sino  alla  morte,  e  per  questa  via  scampare  le  pene  eterne,  e  giungere  alla  fe- 
licità eterna,  proprio  come  i  Maestri  cristiani  insegnano  a  fare  all'  Oratore 
sacro. 

Resta  fermo  adunque  che  anche  per  la  scella  degli  argomenti  Fra  Giro- 
lamo è  un  vero  ed  ottimo  esemplare  da  proporsi  ai  predicatori  dell'età  nostra 
che  vogliono  annunziare  al  Popolo  cristiano  la  parola  divina,  così  come  vuole 
la  Chiesa,  così  come  vollero  e  prescrissero  gli  Apostoli,  cosi  come  volle  e 
comandò  Gesù  Cristo,  Maestro  di  tutte  le  genti  e  salute  di  tutte  le  anime.  In 
Girolamo  Savonarola  potrebbero  trovar  materia  buona  e  metodo  buono  tutti 
i  predicatori  sacri.  Per  questo,  anche  per  questo,  noi  saluteremmo  con  gioia, 
con  vera  gioia,  una  edizione  completa  di  tulli  gli  scritti  del  grande  Oratore  cat- 
tolico! A  questo  fonie  potrebbero  bevete  e  dissetarsi  con  vantaggio  immenso 
e  proprio  e  di  tutto  il  Popolo  cristiano  i  banditori  della  parola  divina  a  qua- 


—  117  — 


lunqiie  ceto  e  ordine  di  persone  avessero  da  predicare.  Onde  non  cessiamo  di 
far  voti  a  Dio  perchè  voglia  disporre  finalmente  che  tale  edizione  si  faccia  con- 
venientemente; e  non  dai.tristi,  o  dagl'increduli, com& già  hanno  cominciato,  ma 
per  avventura  tralasciato;  ma  da' credenti,  dai  cattolici;  e  possibilmente  da  quel 
convento  a  cui  Fra  Domenico  ila  Pescia  compagno  nelle  fatiche  e  nella  morte  a 
Fra  Girolamo,  legò  le  Opere  del  Maestro,  e  quasi  direi  l'obbligo  di  custodirle  e 
coltivarle  insieme  con  la  memoria  del  grande  Riformatore.  (') 

(')  V.  la  lettera  scritta  la  sera  innanzi  il  di  ilei  supplizio  da  Fra  Domenico  da  Pescia  ai 
Frrtti  ili  Siili  Domenico  ili  Fiesole  riportata  annhc  dal  Villari,  voi.  II,  p.  2B5. 


XI. 


Segue  sul  metodo  di  predicazione 
di  Girolamo  Savonarola. 

4. 

FORMA   DELLA  PREDICAZIONE. 

Sommario. 

Il  sacro  predicatore  luco  del  mondo.  —  Commozione  dell'animo  nostro,  dovendo  parlare  della  stabilita 
o  fermezza  del  Savonarola. —  Il  carattere  di  Fra  Girolamo  nella  fiacca  età  presente.  —  La  fede 
e  la  fermezza  virtù  speciali  dell'  oratore  fiorentino.  —  Fermezza  di  Mose  e  degli  Apostoli.  —  I 
predicatori  che  fanno  tempeste  e  non  le  curano.  —  I  predicatori  legni  di  canna.  —  Il  Savonarola,. 
Lorenzo  de'  Medici  e  il  Pastor.  —  Il  sacro  predicatore  cane  che  sempre  abbaia.  —  Il  Savonarola 
o  San  Giovanni  Crisostomo.  —  Come  il  predicatore  sacro  deve  esser  chiaro  nella  forma  della 
trattazione.  —  La  predicazione  del  Savonarola  e  i  fanciulli.  —  Mirabili  virtù  del  Frate  di  San 
Marco.  —  I  Fiorentini  intendono  lo  difficoltà  della  Scrittura.  —  Ondo  provenga  la  semplicità  e 
chiarezza  del  (lire  (li  Fra  Girolamo.  —  La  semplicità  nel  campo  dell'  arto.  —  Come  si  debba  oc- 
cultar 1'  arte.  —  Ingiusta  sentenza  del  Pastor.  —  La  semplicità  che  vince.  —  L'  eretico  sottile,  e 
il  cattolico  semplice.  —  Fra  Girolamo  e  i  predicatori  moderni.  —  Leone  XIII  e  Fra  Girolamo 
Savonarola  o  l'eloquenza  della  Sacra  Scrittura.  —  Fra  Girolamo  vuole  che  si  predichi  la  Scrittura 
semplicemente.  —  I  grandi  oratori  e  1'  efficacia  dell'  eloquenza  scritturale.  —  Come  fine  della  pre- 
dicazione dev'esser  la  salute  dello  auime.  —  I  predicatori  legni  di  sambuco  attristano  l'animo 
del  Savonarola.  —  I  tibiciui  e  i  cantatori  dell'  archisinagogo.  —  A  resuscitar  le  animo  morto  ci 
vuole  Cristo  co'  suoi  discepoli.  —  Un  dubbio  dissipato  dal  libro  del  Pastor.  —  Il  Cortesio  o  la 
fraseologia  pagana  uello  scienze  teologiche  e  Fra  Girolamo.  —  La  nostra  sentenza  ò  la  sentenza 
del  Boiardi  e  non  quella  del  Pastor. 

Restano  ora  a  dire  alcune  cose  intorno  alla  forma  della  predicazione,  della 
trattazione  degli  argomenti,  e  de'  temi  che  deve  svolgere  il  sacro  predicatore. 

É  chiaro,  anche  per  quello  che  ahbiamo  esposto  antecedentemente,  che 
il  predicatore  sacro  deve  illuminare  il  popolo  cristiano,  insegnandogli  la  legge 
di  Cristo;  deve  esser  la  luce  del  popolo  cristiano;  la  luce  del  mondo.  Fra  Gi- 
rolamo scrive  nella  predica  XXV  sopra  Amos  e  Zaccaria:  «  Dovete  notare 
che  il  predicatore  deve  per  prima  cosa  illuminare  gli  uomini  della  fede,  delle 
cose  di  Dio,  e  della  Trinità,  della  Incarnazione  del  Verbo  e  delle  altre  cose, 
e  mostrare  all'  uomo  che  il  fine  suo  è  vita  eterna,  e  dichiarare  i  mezzi  che 
conducono  a  quel  line.  »  Ma  a  ciò  che  cosa  si  richiede?  La  Lettera  circolare, 


—  119  — 


con  San  Tommaso,  insegna  che  «  per  esser  veramente  luce  del  mondo  tre  cose 
deve  avere  il  predicatore  della  parola  divina:  prima  la  stabilità  per  non  deviare 
dalla  verità;  secondo,  la  chiarezza,  perchè  non  insegni  con  oscurità;  terzo  1'  uti- 
lità, perchè  cerchi  la  gloria  di  Dio  e  non  la  sua.  »  (')  Ora  queste  tre  cose  le  vo- 
leva Girolamo  Savonarola?  si  trovano  nella  predicazione  di  Lui? 

Dovendo  parlare  della  stabilità  e  fermezza  del  Savonarola,  mi  sento  tutto 
P  animo  commovermi!  Chi  potrebbe  ritrarla  adeguatamente?  Io  sfido  il  mondo 
a  trovare  una  sola  verità  che  il  Savonarola  abbia  disdetta  dal  primo  momento 
che  aperse  la  bocca  o  scrisse  per  il  pubblico  fino  all'ultimo  istante,  nel  quale 
venne  spogliato  del  santo  abito  che  portava!  Se  io  potessi  in  questa  fiacca  e 
presuntuosa  età  ritrarre  a  pieno  il  carattere  del  Savonarola,  e  proporlo  nel 
mondo  perchè  fosse  imitato,  mi  parrebbe  di  non  aver  vissuto  invano  !  Tenendoci 
qui  a  ciò  che  riguarda  la  predicazione,  che  abbiamo  a  dire?  La  fede  e  la 
fermezza  nella  dottrina  di  Cristo  e  nella  celeste  missione  della  Chiesa,  nella  sua 
perpetuità,  nella  sua  divinità,  a  me  parvero  sempre  le  virtù  speciali  del  Frate  di 
San  Marco,  quelle  che  meglio  risplendono  nella  corona  dell'  Oratore  fiorentino. 
—  La  dottrina  di  Cristo  è  vera,  anzi  è  essa  verità,  e  deve  trionfare  di  tutto  e  non 
può  venir  meno;  e  così  non  può  venir  meno  la  Chiesa  depositaria  e  banditrice 
di  questa  verità,  per  questa  dottrina  e  per  la  difesa  della  Chiesa  non  bisogna 
aver  paura  di  morire;  il  morire  per  questa  causa  è  una  splendida  vittoria,  un 
esser  chiamato  con  Cristo  alla  redenzione  degli  uomini.  —  Ecco  la  legge  che  go- 
verna la  vita  di  Fra  Girolamo.  Per  trovare  un  esempio  simile,  io  non  saprei  a 
qual  Santo  rivolgermi,  se  non  lo  ricerco  nell'  età  de'  martiri,  o  se  non  pronun- 
cio il  nome  di  Agostino  e  di  Girolamo!  Per  ogni  dove  la  Chiesa  per  le  tene- 
brose opere  de'  tristi  minaccia  ruina,  i  tiepidi  ammorbano  la  vita  cristiana,  il 
paganesimo  trionfa....;  e  Fra  Girolamo  risorge  appunto  a  predicare  la  eterna 
giovinezza  della  casta  Sposa  di  Cristo  e  la  rinnovazione  della  medesima,  la  sua 
dilatazione....  Ne  prevede  il  futuro  terribile  flagello  e  ne  piange  con  ineffabili 
lacrime....  Si  volge  a'  religiosi,  alle  monache,  a'  prelati,  al  papa,  a'  principi.... 
tutto  invano!  E  perseguitato  egli  e  il  piccolo  gregge  che  lo  vorrebbe  seguire  ed 
aiutare:  non  son  lasciali  operare  e  introdurre  il  ben  vivere;  da  ogni  lato  vengon 
fuori  promesse  e  minacce  grandi....  e  calunnie  diaboliche....  L'  ardente  Frate 
si  volge  all'  estremo  rimedio,  a  Cristo,  e  prega  e  chiama  e  grida;  ma  par  che 
Cristo  non  senta...  !  La  superbia  della  carne  guasta  ogni  cosa;  i  nemici  trion- 
fano; egli  è  fatto  prigione,  processato,  condannato...;  ma  sale  il  palco  di  morte 
fidente,  e  dà  lieto  alle  fiamme  che  lo  divorano  il  corpo,  perchè  1'  anima  voli  in 
cielo  nella  gloria  della  Chiesa  trionfante,  colla  quale  si  sente  già  unito  anche 
prima  di  esalare  1'  ultimo  anelito;  sale  quel  palco  pronunziando  il  suo  atto  di 
fede:  Credo  nella  Santa  Chiesa  cattolica,  e  muore  nella  speranza  che  la  Chiesa 
militante  sarà  presto  rinnovata,  e  trionferà  poi  con  Cristo  in  eterno.  Oh!  " 
se  non  è  fede  questa,  se  non  è  fermezza,  se  non  è  fede  e  fermezza  da  Santi, 
quale  saranno  mai  esse?!  e  dove?I 


(')  Commentario  di  San  Tommaso  sopra  Mattoo,  cnp.  V. 


—  120  — 


Dopo  ciò  mi  paion  facili  e  ciliari  alcuni  passi  che  leggo  nelle  prediche  del 
Frate:  «  Bisogna  al  capitano  avere  gran  fede,  e  non  si  alienare  per  tribolazione 
alcuna.  Al  tempo  degli  Apostoli,  benché  avessero  molti  ostacoli,  molte  con- 
tradizioni, non  mai  per  tribolazione  alcuna  si  alienavano  dalla  fede  di  quelle 
cose  che  e' predicavano;  ma  sempre  stettero  forti  perchè  avevano  la  cer- 
tezza di  quelle  cose  che  dicevano.  Così  Mose,  come  buon  capitano,  stolte 
sempre  in  fede  di  quel  che  Dio  gli  aveva  detto....  »  (Sopra  Giobbe,  pred. 
XXXIII.)  E  nella  XV  sopra  Amos  commontando  il  passo  del  Profeta  :  Cercate 
lui  che  creò  Arturo  ed  Orione  che  cangia  le  tenebre  in  mattino  (e.  V,  v.  8),  dice  : 
«  Lui  ha  fatto  la  stella  di  Orione;  Orione  è  una  costellazione  che  è  nella 
fronte  del  Tauro,  la  quale  nella  sua  apparizione  genera  pluvie  e  tempeste.  Que- 
sta stella  nel  Tauro  significa  i  predicatori,  perchè  nella  Scrittura  Santa  i  buoi 
significano  i  predicatori,  i  quali  arano  la  terra  del  cuore  de' fedeli;  i  quali 
predicatori  quando  son  fatti  e  mandati  da  Dio  fanno  sempre  piove  e  tempeste, 
come  questa  costellazione  di  Orione,  cioè  hanno  sempre  tribolazioni  e  per- 
secuzioni e  contradizioni  grandi  per  dire  la  verità.  Ma  loro  per  questo  non 
curano  niente  del  mondo;  ma  loro  ci  vogliono  mettere  insino  al  sangue  e  la 
vita  per  la  verità,  come  facevano  quei  Santi  Martiri.  Temete  adunque,  o  uomi- 
ni, questo  Signore,  che  fa  questi  predicatori;  il  quale  ancora  converte  le  tenebre, 
nel  giorno  e  nella  mattina  ;  cioè  in  un  subito  fa  di  un  peccatore  pieno  di  tene- 
bre, uno  illuminato  e  buono. 

«Io  non  so  che  dirmi  qui;  oggi  non  sono  i  dottori  i  predicatori  legni  di 
Sethim;  ma  alcuni  a  me  paiono  legni  di  canna,  perchè  sono  dentro  vuoti  di 
buone  opere,  e  piegansi  ad  ogni  vento.  Viene  quel  principe  e  quel  gran  mae- 
stro, e  soffia  e  dice:  Padre,  voi  mi  piacete  molto  a  predicare  nel  tal  modo, 
seguitate,  chè  voi  n'acquisterete  appresso  il  popolo;  e  così  il  vento  dell'adu- 
lazione lo  piega  da  una  parte.  S'  egli  accade  che  pure  qualche  volta  e'  pre- 
dichino la  verità  e  riprendano,  e' viene  il  vento  da  un' altra  parte,  perchè  gli 
è  minacciato;  e  allora  lui  si  piega  e  dice:  —  Ben  io  mi  correggerò,  io  non 
intendo  d'offender  persona;  l'ho  caro  che  voi  m'avete  avvisato.  —  E  così 
questi  non  sono  idonei  strumenti  da  portar  l1  Arca.  Bisogna  esser  legni  forti 
e  reggere  ad  ogni  vento  e  ad  ogni  acqua....  »  (Quam  Bonus,  pr.  VII.)  (') 

A  questo  punto  io  non  so  che  giudizio  dare  del  Pastor  ove,  anziché  ammi- 
rare il  nostro  Frate  pel  modo  che  tenne  con  Lorenzo  De'Medici,  poco  è  se  non 
ce  lo  mette  a  carico  de'vizj  onde  fu  reo  queir  uomo  pur  tanto  maraviglioso. 
Ecco  che  cosa  scrive  al  riguardo  il  professore  d'Innsbruck  (p.  120):  «  Invana- 
mente  Lorenzo  De'  Medici,  tutto  inteso  a  trarre  a  sé  quanto  v'  era  di  meglio, 
studiò  di  cattivarsi  questo  Frate  giunto  a  tanta  reputazione.  Sebbene  questi  avesse 
offeso  quel  potente  coli'  essersi  ricusato  dopo  la  sua  elezione  a  priore  di  fare 
la  consueta  visita  di  ossequio  al  Magnifico,  che  aveva  fabbricalo  il  convento  di 
San  Marco,  il  Medici  scaltro  non  ne  fece  caso;  di  fronte  al  suo  emulo  più 


(')  Coilf,  In  XXII  sopra  Escorinolo,  o  molto  altro  prediche  segnatamente  la  XXXIVsopra 
Amos,  o  troverai  delle  coso  bollissimo  intorno  alle  qualità  del  huon  predicatore. 


dichiarato  e  violento  si  contenne  da  perfetto  gentiluomo  e  politico;  ancorché 
gravemente  offeso,  non  si  lasciò  andare  ad  alcun  alto  Imprudente  e  che  desse 
neh'  occhio;  con  calma  affettata  si  tolse  i  disgusti  e  le  offese  del  Frate  appas- 
sionato. K  detto  anzi  che  Lorenzo,  giunto  in  fin  di  vita,  richiese  i  conforti  della 
religione  da  quel  Frale  impavido  od  austero.  Se  il  Savonarola  avesse  saputo 
moderarsi,  la  sua  efficacia  su  Lorenzo,  che  malgrado  la  sua  indole  leggera 
era  tutt' altro  che  inaccessibile  a  considerazioni  religiose,  avrebbe  potuto  di- 
ventare di  incalcolabile  momento.  Ma  il  suo  spirito  irrequieto  il  trascinava  e, 
tulio  intento  alla  mira  che  aveva  innanzi  di  una  radicale  riforma  in  ogni  or- 
dine di  cose,  dimenticò  ogni  limite  suggerito  dalla  prudenza  e  circospezione.  » 

Lasciamo  star  per  ora  i  titoli  ingiuriosi  che  1'  egregio  storico  regala  al 
Frate,  e  lasciamo  star  specialmente  quell'emulo  (')  che  nessuno  forse  riuscirebbe 
a  capire  bene  che  valga,  perchè  nessun  forse  troverebbe  in  che  cosa  Fra  Gi- 
rolamo emulasse  il  Magnifico;  lasciamo  slar  l'errore  marchiano  d'aver  detto 
Lorenzo  fondatore  di  San  Marco,  fabbricato  invece  da  Cosimo  nel  1437,  undici 
anni  prima  che  Lorenzo  nascesse  (2);  stiamo  fermi  al  punto.  Notate  che  quesle 
parole  il  Pastor  le  scrive  proprio  dopo  d'aver  detto  de'successi  che  il  predicatore 
Domenicano  otteneva  fra  il  popolo  Fiorentino,  e  vi  sarà  facile  capire  che  valgono 
esse.  Or  dunque,  che  si  vuol  ricavare  dalla  prudenza  del  grande  critico?  Che 
il  Savonarola  avrebbe  dovuto  adulare  (se  questo  non  vi  piace,  ponetevi  voi  un 
altro  vocabolo)  adulare  un  poco  i  Medici,  per  non  disgustarli.  Ma  il  Pastor  già 
ci  fece  osservare  che  «  nella  residenza  di  Lorenzo  il  Magnifico  »  v'  era  «  or- 
rendo guasto  morale,  scostumatezza  largamente  diffusa,  fredda  indifferenza 
per  ogni  principio  religioso,  freddo  sorriso  per  quanto  vi  aveva  di  nobile  e 
generoso  »  (p.  123);  e  a  pagina  130  scrive  ancora  che  i  guasti  in  Firenze 
contro  cui  s'era  levato  il  Frate  erano  «  prodotti  violentemente  da' Medici,  »  e 
a  pagina  133  ci  dà  la  notizia  che  Luca  Signorelli  autore  del  Giudizio  Univer- 
sale nel  Duomo  di  Orvieto,  che  «  eccede  per  le  nudità  delle  figure  i  limiti 
permessi  in  una  chiesa  »  pitturò  «  per  Lorenzo  il  Magnifico  alcune  figure  di 
dee  tutte  nude....  »  e  a  pagina  136  si  ripete  che  la  corruzione  contro  la  quale 
lottava  l'ardente  Frate  era  «  favorita  da' Medici,  »  e  parla  spesso  di  Firenze 
«  città  malamente  guasta  da'  Medici.  »  E  quanto  a  Lorenzo  in  particolare  il 
Pastor  ci  fa  sapere,  che  «  la  sua  vita  dissentiva  troppo  spesso  dalle  norme 
della  religione  cristiana  »  (p.  79).  Ci  fa  conoscere  «  1'  avarizia  impudente  on- 
d'  egli  si  usurpò  i  beni  dello  Slato,  »  ci  discuopre  «  le  macchie  vituperose 
che  neanco  i  suoi  più  caldi  panegiristi  sono  in  condizione  di  cancellare  »  ce  lo 
mostra  «  invischiato  in  faccende  d'amore,  »  narrandoci  che  «  per  anni  e  anni 


(')  È  inutile  che  ripetiamo  che  scrivendo  noi  specialmente  por  gl'Italiani  abbiamo  di 
mira,  della  Storia  de'  Papi,  la  versione  di  Clemente  Benetti  l'atta  con  il  privilegio  dell'autore. 
K  essa  esatta  e  fedele?  Dicono  di  si  (vedi  nel  secondo  volume  la  lettera  del  vescovo  di  Trento 
al  traduttore);  ma  forse  almeno  questo  III  volume  non  ó  senza  diletti.  Qni  per  esempio  altri 
invece  di  emulo  più  dichiarato  e  violento  avrebbe  potuto  tradurre  avversario  dei  tulio  caldo  e  im- 
moderalo; ed  invece  di  perfetto  gentiluomo  e  politico,  avrobbo  tradotto  uomo  di  inondo  politico 
raffinato.  Comunque  sia,  le  cose  da  noi  dette  nel  testo  sostanzialmente  restano  le  stesse. 

(*)  V.  Marchese,  Scritti  varii,  v.  I,  p.  47. 


-  122  — 

mantenne  relazione  con  una  maritata  »  (p.  80).  Se  il  Savonarola  ricusò  la  con- 
sueta visita  d'  ossequio  al  Magnifico,  se  non  volle  immischiarsi  tra  «  licenziose 
brigate,  »  (ivi)  merita  forse  un  rimprovero  ?  I  biograti  antichi  lo  lodano  e  lo 
ammirano,  secondo  voi,  per  rimanere  nelle  grazie  di  Lorenzo,  che  avrebbe  do- 
vuto fare  il  Frate  severo?  Egli  che  nella  sua  prima  giovinezza  condotto  dai 
suoi  genitori  nel  palazzo  ducale  della  sua  Ferrara  non  volle  mai  più  in  tutta 
la  vita  rimettervi  il  piede,  (*)  doveva,  secondo  voi,  in  Firenze  smentire  se 
stesso,  doveva  dimenticarsi  per  un  momento  dell'  esempio  di  Cristo,  che  chia- 
mava i  Farisei  sepolcri  imbiancati;  dimenticarsi  per  un  momento  del  pre- 
cetto Evangelico,  che  dice:  «  Sia  il  vostro  parlare:  sì,  sì,  no,  no;  imperocché 
il  resto  vien  da  cosa  mala,  »  (2)  mettere  un  poco  da  parte  questi  precetti,  e  la- 
sciar dormire  tranquilla  Firenze  nel  vizio;  e  fare,  come  chi?  come  un  pre- 
dicatore contemporaneo  che  voi  lodate  a  pagina  124:  il  predicatore  predi- 
letto a' Fiorentini  allorché  capitò  in  Firenze  il  nostro,  «  creatura  de' Medici» 
Fra  Mariano,  i  cui  pregi  ;  come  voi  li  dite,  sono  decantati  da  Angelo  Poliziano  :  «  la 
voce  sonora,  le  parole  elette,  l'arte  del  fraseggiare,  l'armonia  delle  cadenze....  un 
uomo  insinuante,  e  ad  un  tempo  circospetto  quale  non  se  n'  è  mai  conosciuto. 
Egli  non  respinge  con  soverchio  rigore,  nè  illude  e  seduce  con  intemperante 
indulgenza....  Mariano  sì  che  è  un  uomo  tutta  moderazione.  Sul  pergamo  cen- 
sore severo,  come  n'è  disceso  si  espande  in  discorsi  affabili  che  gli  accattivano  chi 
lo  ascolta....  »  (3)  Così,  è  vero  !  avrebbe  dovuto  essere  il  Savonarola!  Così  avrebbe 
dovuto  fare...!  Certo,  se  voleva  poter  essere  sentito  da'  Medici,  non  doveva  es- 
sere nè  fare  altrimenti.  Ma  io  non  lo  voglio  giudicare  questo  Fra  Mariano;  il  Sa- 
vonarola mi  avvisa  (e  lo  fa  stretto  dalla  necessità)  (4)  che  costui  prima  diceva  in 
Firenze  dal  pulpito  villanerió  ad  Alessandro  VI  e  lo  chiamava  marrano....  e 
poi  in  Roma  elevato  a  dignità,  ne  celebrava  le  lodi  dal  pulpito,  e  faceva  le  corna 
per  Fra  Girolamo....  (5)  E  questa  è  la  stabilità  dell'oratore  sacro,  questa  la  li- 
bertà apostolica  con  la  quale  il  predicatore  deve  parlare  al  popolo?  Del  resto 
a  me  non  par  nemmeno  troppo  serio  il  credere  che,  se  Fra  Girolamo  avesse 
saputo  moderarsi,  la  sua  efficacia  su  Lorenzo  avrebbe  potuto  diventare  d' in- 
calcolabile momento.  Se  l'educazione  di  quella  ottima  madre  che  fu  Lucre- 
zia Tornabuoni,  non  potè  far  sì  ch'egli  si  serbasse  immune  da  quei  vizj  ch'erano 
pur  troppo  generali  al  suo  tempo,  ma  ad  essi  dobbiamo  in  parte  la  prematura 
sua  vecchiezza,  che  cosa  avrebbe  di  considerevole  potuto  ottenere  da  lui  un 
Frate  che  lo  blandisse?  (Cfr.  Cipolla,  Storia  delle  Signorie,  pag.  GOL)  Pensiamo 
d'altra  parte  che  Lorenzo  morì  nel  1492  e  ricordiamoci  che  il  Frate  prima 
di  quel  tempo  nelle  sue  prediche  non  manifesta  altro  che  amore  grande  verso 

(•■)  Vedi  Villari,  v.  I,  p.  13. 

(-)  Vangelo  di  San  Matteo,  cap.  V,  v.  37. 

(3)  Cf.  Villari,  v.  I,  p.  80.  . 

(')  Lettera  del  22  maggio  1497.  Vedila  pubblicata  tutta  intiera  nella  sua  traduzione  ita- 
liana l'atta  da  Cenare  Guasti,  nell'opuscolo  II  Domenicano  Savonarola  e  la  Riforma.  Tradu- 
zione italiana.  Milano  1897.,  p.  67,  o  più  sotto  in  questo  lavoro. 

(-)  V.  Villari,  v.  II,  Appondico,  Doe.  XIII. 


—  123  — 


Dio  e  carità  per  gli  uomini,  e  non  ha  nulla  che  possa  direttamente  offendere  la 
Signoria  de'  Medici  come  tale,  e  poi  capiremo  subito  che  se  Lorenzo  avesse  vo- 
luto far  bene,  avrebbe  certo  avuto  grande  aiuto  da  Fra  Girolamo.  Del  resto, 
appunto  facendo  come  fece,  non  v'  è  dubbio  che  il  Savonarola  s'  acquistò  quale 
religioso  tutta  la  stima  di  Lorenzo,  perchè  appunto  questo  frate  impavido  e 
austero,,  appunto  lui  volle  chiamare  al  suo  letto  di  morte.  Ma  quello  che  è  vero 
senza  dubbio  si  è,  che  Lorenzo  non  voleva  già  andare  lui  al  Frate  per  vivere 
castamente  e  con  giustizia;  ma  come  studiava  intensamente  a  trarre  a  sè  quanto 
v'  era  di  meglio,  così  voleva  trarre  a  sè  anche  il  severo  predicatore,  voleva 
guadagnarlo  coli' oro,  voleva  farlo  legno  di  canna,  e  viver  così  egli  quieto 
ne' suoi  vizj  e  nella  sua  tirannide,  e  continuare  colla  parola  e  coli' esempio  ad 
esercitare  la  sua  «  efficacia  corrompitrice  sui  fiorentini.  » 

Nè  le  cose  che  qui  diciamo  sono  immaginarie  o  congetture,  ma  sono  vere 
e  reali,  sono  narrate  dal  Savonarola  e  da'  contemporanei,  nè  contraddette  nè 
messe  neppure  in  dubbio  da  nessuno  de'  posteriori,  nemmeno  dell'  età  nostra. 
Lorenzo  smarrito  dall'  ardire  del  Frate  che  sfidava  i  superbi  Signori,  non 
meno  degli  umanisti,  cioè  flagellava  il  vizio  dovunque  esso  si  trovasse,  e  pre- 
dicava (come  attesta  anche  il  Cerretani)  all'  apostolica,  combattendo  la  mol- 
lezza del  vivere,  pensò  di  fargli  lasciare  i  discorsi  infuocati,  arditi,  pieni  di 
spirito.  Per  questo,  dopo  di  aver  tentato  invano  di  riuscire  nell'  intento  con 
le  carezze,  le  offerte  e  i  ricchi  donativi  al  convento,  ricorse  alle  intimazioni  e 
alle  minacce,  e  mandò  al  Frate  cinque  de' più  autorevoli  cittadini  (')  affinchè 
lo  inducessero  appunto  a  lasciar  quel  modo  di  predicare,  mettendogli  in  vista 
i  pericoli  che  in  caso  contrario  sovrastavano  a  lui  e  a  tutto  il  suo  Convento. 
Ma  il  Frate  che  era  pronto  a  morire  per  le  cose  che  predicava  e  a  sacrificar 
tutto  perla  verità,  e  non  voleva  esser  legno  di  canna,  ma  legno  di  Sethim,  stette 
fermo,  e  rispose  imponendo  a'messi  di  dire  a  Lorenzo,  che  facesse  penitenza 
de'suoi  peccati,  perchè  Dio  voleva  punire  lui  e  i  suoi.  Stette  fermo,  nè  si  mosse 
per  crescere  che  si  facesser  le  minacce;  e  non  mutò  soggetto  alle  prediche, 
ma  continuò  a  predicare  apertamente  la  verità  a  costo  di  ogni  pericolo. 

Questo  fatto  è  uno  de'  meglio  accertati  nella  storia.  I  personaggi  man- 
dati da  Lorenzo  al  severo  predicatore  divennero  quasi  tutti  Savonaroliani  e 
fra  questi  si  conta  anche  il  Valori;  il  Frate  potè  narrare  poi  l'accaduto  al  po- 
polo e  appellarsi  per  la  verità  di  quanto  diceva  alla  testimonianza  di  quelli 
che  ancora  vivevano,  che  erano  ben  quattro.  (*)  E  questo  fatto  chiosa  assai 


(*)  V.  Villari,  v.  T,  p.  139,  d.  2,  dove  puoi  anche  leggere  i  nomi  degli  autorevoli  cittadini. 

(2)  Ecco  le  parole  del  Frate:  «  Al  tempo  di  Lorenzo  de'  Medici,  vennero  a  me  cinque 
cittadini  vostri  principali,  che  allora  reggevano  nella  vostra  città,  e  doi  quali  n'  è  vivi  quat- 
tro, e  f'eciono  ammonizione  come  da  loro,  che  io  non  dicessi  quello  cose,  lo  gli  risposi  e  tra 
lo  altre  cose  dissi:  Voi  dite  che  non  siete  stati  mandati,  ed  io  dico  di  sì:  andate,  e  rispondete 
a  Lorenzo  de' Medici  che  faccia  penitenza  dei  suoi  peccati,  che  Lio  lo  vuol  punire  lui  e  i  suoi, 
lo  non  so  se  essi  glielo  dissero  :  io  gli  feci  questa  risposta,  se  vogliano  dire  la  verità.  E  di  poi, 
seguitando  io,  molti  mi  dicevano  che  io  non  dicessi,  che  sarei  confinato:  alli  quali  io  risposi: 
Abbiate  paura  voi  delli  confini,  che  avete  moglie  e  figliuoli;  io  non  ho  paura,  che  quando 
bene  non  stessi  qua,  questa  vostra  terra  è  come  un  granello  di  leute  a  comparazione  di  tutta 


—  124  — 


bene  le  parole  sopra  trascritte  e  le  altre  simili  che  si  leggono  nelle  prediche 
del  nostro;  e  chiosa  del  pari  assai  bene  il  ripetere  che  il  Savonarola  fa, 
come  nelle  Scritture  il  predicatore  è  simboleggiato  nel  bove,  così  è  simboleg- 
giato nel  cane,  che  sempre  abbaia  che  si  deve  far  bene  e  non  male  ;  e  non  tace 
neppur  se  i  viziosi  siano  alto  locati;  non  tace,  inasta  saldo,  come  stettero  saldi 
San  Giovanni  Battista  e  San  Giovanni  Crisostomo.  (')  E  certo  ad  ogni  modo 
che  non  la  teorica  del  Pastor,  ma  il  procedere  del  Frate  s'  accorda  con  Sari 
Tommaso  e  la  Congrega/ione  de' Vescovi,  che  vogliono,  perchè  sia  lume  del 
mondo,  slabilità  nel  predicatore  della  parola  divina.  Del  resto,  ripetiamolo  ;  se 
il  Savonarola  rimase  duro  con  Lorenzo,  si  è  perchè  volevano  che  si  predicasse 
ad  placebo,  e  non  s'  intendeva  quello  che  era  religione  Cristiana.  (Sopra  Eze- 
chiele, Fred.  XLIV.) 

La  seconda  dote  che  deve  avere  la  forma  della  trattazione  si  è  la  chia- 
rezza. E  questa  è  una  dote  che  nessuno  può  negare  al  nostro  Frate,  a  nes- 
suna sua  predica,  e  meno  che  mai  a  quelle,  e  non  son  poche,  eh1  egli  volgeva 
a'  fanciulli.  Davvero  che  non  si  poteva  dire  al  Savonarola  :  Parvuli  petieruni 
pattern,  et  non  erat  qui  frangerei  eis  !  (2)  (Conf.,  fra  le  altre,  la  predica  sopra 
Ezechiele  fatta  il  venerdì  dopo  la  quinta  domenica  di  Quaresima.) 

Una  cosa  è  singolarmente  mirabile  nel  nostro  predicatore,  1'  aver  saputo 
trattare  ed  esporre  al  popolo  le  parti  più  alte  e  più  difficili  della  nostra  Teo- 
logia, senza  toglier  nulla  alla  precisione  e  all'  esattezza,  e  facendole  tuttavia 
intendere  ad  ognuno  che  lo  sentiva.  Molte  e  gravissime  difficoltà  della  Scrit- 
tura Sacra  egli  le  risolveva  a'  Fiorentini;  e  i  Fiorentini  capivano  bene  le  figure 
della  Scrittura,  come  fossero  altrettanti  buoni  studiosi  di  Teologia!  E  chi 
più  di  lui  tra  gli  oratori  d' Italia  rese  al  popolo  familiari  le  dottrine  teologiche  e 
morali  di  San  Tommaso  ?  Sarebbe  molto  facile  dalle  prediche  del  Frate  ricavare 
un  buon  catechismo,  ove  si  troverebbero  esposte  le  dottrine  dell'Angelico  Dot- 
tore in  modo  adatto  alla  intelligenza  di  tutti.  Questo  punto  non  è  ancora  stato 
abbastanza  studiato  dagli  storici  del  Frate,  e  quando  lo  sarà,  sorgerà  come  un 
nuovo  vivido  raggio  di  luce  a  mostrare  le  benemerenze  di  lui  nella  Chiesa  di 
Dio!  E  tanto  più  è  questo  da  notare,  in  quanto  che,  siccome  ora  la  forma  di 
molti  odierni  sermoni  tutta  si  avvolge  in  ambagi  nebulose;  così  all'età  del  Sa- 
vonarola molti  predicatori  erano  confusi  nelle  cose  che  e' dicevano  e  confonde- 
vano poi  i  popoli.  (Sopra  il  Salmo  Quatti  Bonus,  Fred.  VII.) 

Anche  qui  il  Savonarola  fu  salvo  dalla  bontà  del  suo  sistema  e  dalle  fonti 
onde  traeva  la  sua  dottrina.  Egli,  studiando  nella  Scrittura,  aveva  imparato 
che  1'  arte  migliore  del  dire  si  è  esporre  le  cose  come  sono,  e  non  servire 
alla  rettorica  come  servivano  i  paganeggianti  suoi  contemporanei;  e  volendo 


la  torni.  Io  non  ino  ne  curo,  l'accia  Ini  ;  ma  sappia  questo  :  io  sono  forosticro,  o  Ini  è  cittadino 
«il  il  primo  della  citta  ;  io  ho  da  star  qua,  e  Ini  se  n'  ha  andare;  io  ho  :t  staro  e  non  lui.  » 

(')  l'or  la  somiglianza  di  Fra  Girolamo  al  Crisostomo  vedi  la  predica  XXXIII  sopra 
Ezechiele. 

I*)  Troni  ili  Oeromia  IV,  4. 


—  125  — 


mostrare  al  popolo  le  verità  della  fede,  le  quali  splendono  assai  chiare  a  chi 
è  disposto  a  credere  e  ha  l'intelletto  e  la  volontà  puri  e  fa  opere  huone,  vo- 
lendo insegnare  al  popolo  il  ben  vivere  cristiano,  e  che,  secondo  lui,  quale  ap- 
pare in  Cristo  e  ne'  Santi,  consiste  nella  semplicità,  così  nel  suo  parlare  era 
tutto  chiaro  e  tutto  semplice,  tanto  chiaro  e  tanto  semplice  quanto  si  può  es- 
sere in  tali  materie. 

E  qui  io  addito  un  altro  punto  agli  studiosi  della  dottrina  del  Savona- 
rola:—  Importanza  della  semplicità,  e  naturalezza  nel  campo  dell'arte.  —  Biso- 
gnerebbe illustrare  la  I  e  la  II  conclusione  del  Libro  III  della  Semplicità  della 
vita  Cristiana.  Il  Savonarola  aveva  già  elevato  a  principio  che  «  se  si  voleva 
parlare  naturalmente,  bisognava  parlare  secondo  1'  uso  degli  altri  uomini  con 
i  quali  si  è  insino  dalla  puerizia  conversalo,  e  non  isforzarsi  d' imitare  1'  elo- 
quenza d'  altri,  nè  parlare  con  artifizio.  Gli  artisti  debbono  sforzarsi  di  oc- 
cultar l'arte  delle  opere  loro;  gli  oratori  imparino  l'arte,  ma  mentre  orano 
s' ingegnino  di  occultarla.  Piaceranno  assai  più  se  appariranno  semplici,  che  se 
appariranno  artificiosi  ;  perchè  le  opere  semplici  procedono  dalla  inclinazione 
d'una  forma  inclusa  da  Dio,  e  piacciono  sopra  tutte  le  altre.  » 

E  qui  non  possiamo  a  meno  di  chiamare  soverchiamente  rigido  e  anche 
ingiusto  il  Pastor  allorché,  a  pag.  139,  appoggiandosi  all'Hase,  ha  l'audacia  di 
chiamar  triviale  il  modo  di  predicate  tenuto  non  di  rado  dal  Savonarola! 
Francamente,  bisogna  essere  passionati  all'  eccesso  per  dir  ciò  come  cosa  se- 
ria! Gì'  Italiani  che  collocano  il  Savonarola  in  prima  linea  tra  i  loro  sacri  ora- 
tori, tutti  protestano  !  11  modo  di  predicare  del  Savonarola  era  semplicemente 
popolare,  quale  dev'  essere,  e  acconcio  agli  uditori  suoi,  tra  i  quali  se  ne  con- 
tava non  pochi  senza  lettere  e  rustici.  Egli  era  superiore  a  tutti,  e  sapeva,  come 
poi  prescrisse  il  Concilio  tridentino  (XXIV,  VII),  adattarsi  al  bisogno  di  tutti. 
Ma  nessuno  ha  mai  detto  eh'  egli  fosse  triviale  ;  anzi,  anche  per  lo  stile,  se 
noi  le  consideriamo  nel  tempo  che  furono  recitate,  le  prediche  di  lui  sono  delle 
migliori  e  più  perfette  che  si  abbia:  e  molte  non  possono  spiacere  a  nessuno 
nemmeno  oggidì.  Io  credo  esatto  il  Villari  quando  dice  che  «  se  ci  mettiamo 
a  paragonare  il  nostro  oratore  co'  suoi  contemporanei  più  rinomati,  come 
Fra  Paolo  Attavanti,  e  Fra  Pioberto  da  Lecce,  i  quali  o  rimanevano  sepolti  nella 
scolastica  o  ne  uscivano  solo  per  discendere  a  scurrilità  tali  di  linguaggio  da 
far  dubitare  che  fossero  veramente  in  Chiesa,  allora  il  Savonarola  ci  parrà 
gigante  anche  ne' suoi  momenti  meno  felici.  »  (Voi.  I,  p.  144.)  (')  Del  resto 


(')  Ne!  volume  La  vita  Italiana  ufi  rinascimento,  l'arie,  II,  Letteratura,  vedi  una  bellissima 
conferenza  del  compianto  professore  e  insigne  letterato  fiorentino  Enrico  Nencioni  intitolata 
La  lirica  del  rinascimento,  ove  i  meriti  ilei  Savonarola  come  letterato  e  poeta  son  l'atti  mira- 
bilmente risaltare.  Egli  riprova  «  certi  .Manuali  dove  si  parla  a  lungo  del  Segneri  e  non  è  neppur 
rammentato  il  .Savonarola....  perchè  il  Savonarola  scrive  in  cattiva  lingua....  Tanto  è  vero 
die  da  noi  per  troppo  amor  della  lingua  si  perde  spesso  il  carrello.  »  (p.  288.)  ><  11  genio  dei  pro- 
leti  e  di  Dante  era  in  lui  e  lo  comunicò  a  Michelangelo  e  palpita  ancora  immortalo  alla  volta 
e  alle  pareti  della  Sistina.  Non  tacciamo  adunque  del  graudu  oratore  un  Erostrato  selvaggio 
e  un  irate  ignorante!  »  (p.  Parla  con  gran  lode  delle  suo  liriche  e  nell'inno  del  Natale 
sente  un  preludio  de^li  inni  immortali  del  Milton  e  dol  Manzoni:  eppure  dico  che  «  'e  più  gran 


—  126  — 


le  prediche  a  noi  conosciute  di  Fra  Girolamo  sono  circa  quattrocento,  e  tutte 
queste,  sebbene  quanto  al  concetto  meditate  e  studiate  a  lungo,  quanto  alla 
forma  furono  improvvisate  sul  pergamo  e  raccolte  dai  suoi  uditori,  certo 
non  è  difficile  il  trovarvi  dentro  qualche  espressione  non  del  tutto  felice; 
ma  è  giustizia  il  dire  per  questo  triviale  il  modo  di  predicare  di  lui?  Ma  quel 
che  fa  meraviglia  si  è  che  di  triviale  le  espressioni  citate  dal  Pastor  (p.  139) 
hanno  ben  poco,  se  si  riguardino  nel  concetto;  e  se  ben  si  osserva  son  simi- 
litudini bibliche  molto  efficaci  sopra  il  popolo;  anzi  una  di  esse  è  tratta  a  let- 
tera dalla  Sacra  Scrittura  !  (i)  No,  il  modo  di  predicare  di  Fra  Girolamo, 
attese  le  condizioni  dell'eloquenza  al  tempo  di  lui,  non  è  triviale,  ma  semplice 
e  chiaro  come  vuole  la  Chiesa.  Ma  andiamo  oltre. 

Un'  altra  verità  oltre  alle  dette  di  sopra,  una  verità  di  fatto  concorse  a 
liberare  il  nostro  predicatore  dalle  superbe  nebulosità  de'  suoi  contemporanei 
e  dal  servire  alla  retorica  de' gentili  :  la  semplicità  cristiana  aver  vinto  i  fiumi 
dell'eloquenza  de' pagani  e  degli  eretici,  ed  esser  destinata  a  trionfare 
d'  ogni  altezza  umana.  Nella  storia  ecclesiastica  il  Savonarola  teneva  non  mi- 
nore la  persecuzione  eh'  ebbe  a  patire  la  dottrina  di  Cristo  e  la  carità  dei 
suoi  seguaci  dai  filosofi  eloquenti  e  dagli  eretici,  di  quella  de'  tiranni  contro  i 
martiri.  Ma  il  non  aver  potuto  i  fiumi  dell'  eloquenza  prevalere  contro  al- 
l' amore  e  carità  di  Cristo,  contro  la  dottrina  della  Scrittura  è  per  lui  una 
forte  prova  della  verità  delia  fede  che  sa  difendersi  da  se  stessa  e  con  armi 
proprie  e  non  teme  lotta  alcuna.  «  Contro  ai  fiumi  dell' eloquenza  Dio  mandò 
maggiori  fiumi  che  li  ributtarono  e  ritennero  l' impeto  loro,  che  non  poterono 
nuocere  agli  eletti  di  Gesù  Cristo.  Questi  furono  i  santi  Dottori  Ambrogio, 
Agostino,  Girolamo,  Giovanni  Crisostomo  e  altri  infiniti  Dottori  che  Dio  ha 
mandalo  per  difendere  la  Chiesa  sua  dagli  eretici.  E  non  solo  l'amore  di  Gesù 
Cristo  lia  trionfalo  degli  eretici  mediante  la  dottrina  de' Santi  Dottori:  ma  an- 
cora li  ba  superati  con  la  santa  semplicità.  Onde  narra  l' istoria  ecclesiastica 
che  disputandosi  una  volta  pubblicamente  contro  gli  eretici,  era  uno  tra  loro 
più  audace  e  più  arguto  e  sottile  nel  disputare,  che  gli  altri,  in  modo  che  i 


poeta  in  molte  sue  prediche  che  nelle  vere  e  proprie  poesie  »;  (p.  291)  e  fa  nn  meraviglioso 
riassunto  d'una  sua  predica  sopra  i  salmi,  Cfr.  Anche  il  Perrens:  La  predicazione  di  Fra  Gi- 
rolamo Savonarola. 

(')  La  prima  di  queste  espressioni  biasimate  dal  Pastor  fu  da  noi  sopra  riferita  a 
pag.  20.  «  La  vostra  vita  è  un  mo'di  vivere  da  porci.  »  Ai  Fiorentini  che  sapevano  a  memoria 
molti  versi  di  Dante  e  specialmento  il  12">°  del  CRnto  29°  del  Paradiso  detto  dalla  gentile  Bea- 
trice, non  dovevan  certo  recar  meraviglia.  Quella  poi  che  rappresenta  i  principi  invasori  quali 
«  barbieri  con  grandi  rasoi  »  è  tolta  da  Isaia,  cap.  7,  v.  20:  «  In  quel  giorno  il  Signore  per 
mezzo  di  rasoio  preso  a  nolo,  per  mezzo  del  re  degli  Assiri  raderà  il  enpo  e  il  polo  dei  piedi 
e  tutta  quanta  la  barba.  »  Ecco  che  il  Pastor,  non  volendo,  chiama  triviale  il  linguaggio  della 
Saera  Scrittura!  Vedi  la  nota  del  Martini  al  versetto  e  vedrai  quanto  a  proposito  il  Savona- 
rola applicasse  questo  linguaggio  all'Italia  d'  allora  e  agli  eserciti  stranieri  che  la  dovevano 
devastare  e  spogliare.  Del  resto  anche  qui  il  Pastor  condanna  non  ciò  che  ha  letto  nel  Frate, 
ma  ciò  che  ha  letto  nel  Perrens.  Di  più  la  prima  delle  frasi  dette  triviali  dal  Pastor,  il  Por- 
rena  'pag.  130),  con  tutto  ciò  che  vi  premette,  pare  voglia  giustificarla;  ma  il  Pastor  non  tiene 
aloun  conto  della  giustificazione.  Dell'allegoria  poi  nello  prediche  del  Savonarola  il  Pastor 
mostra  di  non  saper  niente. 


—  127  - 


nostri  cattolici  non  lo  poteano  convincere,  quantunque  fossero  dottissimi,  per- 
chè quando  pareva  che  dovesse  esser  preso  da  qualche  forte  ragione,  subito 
fuggiva  loro  dalle  mani  come  1'  anguilla.  Era  qui  un  uomo  vecchio  pieno  di 
Spirito  Santo,  ma  ignorante;  e'  salta  fu  ora  per  disputare  con  quel  filosofo 
eretico.  I  Padri  Santi  e  quelli  Vescovi  non  volevano,  per  non  metter  a  peri- 
colo la  fede.  Questo  sani'  uomo  fece  istanza  dicendo  che  non  dubitassero,  che 

10  convincerebbe;  que' Padri  gli  dettero  licenza.  E  tanta  fu  la  grazia  e  l'effi- 
cacia die  dette  Iddio  alle  semplici  parole  di  quel  vecchio,  che  quel  gran  filo- 
sofo ammutolì,  e  non  seppe  che  rispondersi  :  e  maravigliandosi  ognuno,  disse 

11  filosofo:  «  Sappiate  che  insino  a  qui  io  ho  dato  parole  a  parole,  e  non  m'  è 
stato  difficoltà  a  rispondere  a  nessuno.  Ma  poi  che  io  ho  udito  questo  vec- 
chio, m'  è  parso  che  lo  Spirito  Santo  abbia  parlato  in  lui,  e  per  tanto  io  non 
so  che  rispondermi.  Vedi?  questo  gran  fiume  d'eloquenza  fu  assorto  da  que- 
sto piccolo  fiume;  vedi  che  l'amore  di  Gesù  Cristo  prevalse  contro  a  questo 
gran  fiume.  »  (Sopra  il  Sai.  Quam  bonus,  XV.  Conf.  1'  Apologetico  e  le  prediche 
sopra  Amos  e  Zaccaria.) 

Se  così  pensassero  i  predicatori  nostri,  certo  la  Congregazione  de' Vescovi 
e  Regolari  non  avrebbe  avuto  bisogno  di  lamentare  in  molti  odierni  sermoni 
<  la  mancanza  di  quella  sacra  impronta,  di  quell'alito  di  pietà  cristiana,  di  quella 
unzione  dello  Spirito  Santo,  per  la  quale  il  banditore  evangelico  dovrebbe  sem- 
pre poter  dire  di  sè  :  Il  mio  parlare  e  la  mia  predicazione  fu  non  nelle  parole 
persuasive  della  umana  sapienza,  ma  nella  manifestazione  di  spirito  e  di  virtù.» 
Oh  davvero  che  neh'  umana  sapienza  come  tale  contava  poco  il  nostro  grande 
predicatore  della  parola  divina,  e  per  contro  mollo  teneva  ad  improntare  di 
sacro  i  suoi  sermoni,  e  a  farvi  alitare  per  entro  la  pietà  cristiana  e  1'  unzione 
dello  Spirito  Santo;  imperocché  ben  sapeva  allora  che  la  parola  del  predica- 
tore, a  somiglianza  della  parola  della  Scrittura,  rappresenta  al  popolo  la  bontà 
divina  del  Crocifisso;  e  fa  gli  uomini  re,  cioè  dominatori  delle  proprie  passioni. 
(Sopra  il  Salmo  Quam  Bonus,  XX.) 

Ma  più  ancora  che  lo  studio  de' Padri,  de' Dottori  e  della  Storia  ecclesia- 
stica, insegnò  al  Frate  di  San  Domenico  la  semplicità  del  dire  lo  studio  assi- 
duo della  Sacra  Scrittura;  che,  come  dice  il  Sommo  Pontefice  Leone  XIII, 
dev'essere  il  primo  fonte  della  sacra  eloquenza.  Fra  Girolamo  non  solo  am- 
metteva che  nelle  Sacre  Scritture  risplende  un'eloquenza  mirabilmente  varia  e 
copiosa  e  degna  delle  cose  grandi;  ma  questa  eloquenza  la  celebrava  inces- 
santemente con  lodi  da  uomo  inspirato.  Ecco  alcuni  de'  passi  del  Frate  al 
riguardo:  «  Eloquentissima  è  la  Sacra  Scrittura,  perchè  è  scritta  da  Dio  il 
quale  narrò  i  suoi  misteri  in  modo  di  cui  nessun  altro  può  trovare  il  migliore.... 
Volle  Iddio  trovare  un  tal  modo  di  parlare,  che  mai  non  aveva  usato  veruno, 
nè  che  altri  potrebbe  in  seguito  usare,  il  quale  fortificasse  gli  animi  nella 
umiltà  e  li  infiammasse  di  carità.  Chè  in  questo  la  Sacra  Scrittura  si  differen- 
zia dalle  altre  scienze,  perchè  questa,  mentre  si  legge,  umilia  l'animo  e  lo  ri- 
scalda, la  scienza  pagana  invece  lo  gonfia  e  getta  a  terra....  Il  modo  di  par- 
lare e  il  processo  delle  Sacre  lettere  è  tanto  singolare   che  niuno  de' nostri 


—  128  — 


Dottori,  quantunque  eccellentissimo  ed  espertissimo  in  ogni  genere  di  eloquenza, 
lo  ha  mai  potuto  imitare,  nè  si  trova  tal  modo  di  parlare  in  altri  autori  che 
ne' Profeti  e  in  quelli  altri  ai  quali  lo  Spirito  Santo  ha  dettato  i  Libri  Santi. 
E  benché  gli  Scrittori  dello  Spirito  Santo  sieno  stati  in  diversi  tempi  ed  uno 
sia  più  eloquente  dell'  altro,  nientedimeno  hanno  tutti  serbato  un  modo  di 
parlare,  il  quale  mai  non  hanno  serbato,  nè  potuto  serbare  gli  altri  uomini, 
nè  possono,  anche  se  eglino  si  sforzassero.  »  (Apologetico,  libro  IV,  Trionfo, 
lib.  II,  cap.  Vili,  sopra  Amos,  XXXIX....) 

Per  tutte  queste  ragioni  Fra  Girolamo  condannando  recisamente  coloro 
i  quali  andavano  dietro  solo  alla  eloquenza  pagana,  alla  retorica,  a  Cicerone 
ed  a  Platone  ed  a'  Poeti  de'  gentili,  voleva  che  si  predicasse  e  predicava  la 
Scrittura  semplicemente;  e  così  parlava  con  un  sermone  vivo  ed  efficace  e 
più  penetrante  di  qualunque  spada  a  due  tagli  e  giungente  fino  alla  divisione 
dell'  anima  e  dello  spirito.  Quella  sentenza  mirabile  che  Francesco  Tarugi  ap- 
prese da  San  Filippo  Neri:  «  Parola  uscita  da  bocca  giunge  sino  all'orecchio, 
parola  uscita  dal  cuore  non  si  ferma,  finché  non  arrivi  ad  un  altro  cuore;  »  (l) 
pochi  meglio  del  Savonarola  mostrarmi  di  conoscerla.  Che  se  alcuna  volta  av- 
veniva ch'egli,  per  pagare  il  debito  suo  ai  gran  maestri  che  volevano  pure  stare 
al  lume  naturale,  adduceva  le  ragioni  de' filosofi,  se  era  la  mente  che  parlava, 
si  vedeva  allora  venir  meno  o  quasi  1'  attenzione  dell'  uditorio,  ma  la  riotteneva 
subito,  appena  si  volgeva  di  nuovo  alle  Scritture.  Allorché  Leone  XIII  ad- 
duce a  prova  della  mirabile  eloquenza  delle  Scritture  la  testimonianza  de'  più 
eminenti  oratori  sacri,  i  quali  riconoscenti  a  Dio,  affermano  di  dover  la  loro 
fama  precipuamente  all'  assidua  famigliarità  colla  Bibbia  ed  alla  pia  medita- 
zione di  essa,  ben  avrebbe  potuto  annoverare  fra  questi,  quando  gli  fosse  pia- 
ciuto, anche  Girolamo  Savonarola.  Infatti  questi  nel  cap.  Vili  del  11  libro  del 
Trionfo,  scrive  letteralmente  così:  «  Dio  mi  è  testimonio  che  molle  volte  pre- 
dicando al  popolo,  mentre  che  io  vagava  per  le  sottilità  della  filosofia  per  di- 
mostrare la  profondità  delle  Sacre  Scritture  agli  scioli  e  superbi  ingegni  di 
questo  mondo,  vedeva  il  popolo  manco  attento;  ma  subito  ch'io  mi  conver- 
tiva alla  esposizione  delle  Scritture,  vedeva  rivoltare  gli  occhi  tulli  a  me  e  così 
forte  fissi  pendevano  dalle  mie  parole,  che  parevano  statue  di  marmo.  Ed  ho 
ancora  per  esperienza  conosciuto,  poiché  io  lasciai  di  predicare  le  questioni 
teologiche  e  mi  convertii  alla  esposizione  delle  Scritture,  il  popolo  essere  stalo 
molto  più  illuminalo  di  prima  e  la  predicazione  aver  partorito  più  fruito, 
traendo  più  numero  di  gente  a  Cristo  e  provocandoli  a  più  perfetta  vita.  » 

E  per  questo,  per  trarre  gente  a  Cristo  e  provocarli  a  più  perfetta  vita,  e 
non  per  altro,  predicava  il  nostro  Frale,  e  non  per  uccellare,  come  il  Pastor  dice 
che  facevano  parecchi  a  quell'  età,  ad  una  vana  gloriuzza,  o  attirare  a  sé  bat- 
timani oil  applausi;  e  come  nella  Lettera  Circolare  si  dice  che  fanno  parecchi 
oggi  giorno.  Il  Savonarola  non  poteva  tollerare  coloro  che,  dovendo  predicare  la 

(')  Oapeoelatro,  Vita  ili  finn  Filippo  Si  ri,  Lib.  Ili,  e  x. 


—  129  - 


parola  sacra,  non  cercavano  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime,  ma  sì 
bene  se  stessi.  Che  sante  parole  non  son  quelle  che  il  Pastor  (trascrivendole 
dal  Villati)  riporlo  a  pagina  127,  128;  che  sante  paiole,  e  quanto  zelo  non  mo- 
strano esse  nelP  ardente  predicatore  !  Eppure  lo  storico  tedesco  non  vi  vede 
altro  che  un'  audacia  che  passa  ugni  misura!  A  noi  non  pare  di  vedervi  altro 
che  una  troppo  triste  verità  e  un  vero  passo  parallelo  allo  scritto  sapiente 
della  Congregazione  de'  vescovi  dopo  le  parole  dell'  Em.  Cardinal  Bausa. 
S'  addolorava  immensamente  il  Frate  di  San  Domenico  in  vedere  che  i  dot- 
tori e  i  predicatori  erano  «legni  di  sambuco,  che  non  avevan  dentro  sostanza 
alcuna;  sicché,  se  tu  avessi  radunato  tutti  gli  scritti  che  e' facevano,  e  tutte  le 
parole  che  e'  dicevano  e  predicavano,  non  ne  avresti  cavato  senso  nè  ammae- 
stramento che  buono  fosse....  Certi  predicatori  che  avevano  quel  bel  pallai- 
Tulliano,  che  facevano  quelle  belle  orazioni  con  tanti  sinonimi,  con  tante  fin- 
zioni e  similitudini  e  figure  poetiche,  che  e' facevano  stare  attenti  ognuno;  ma 
che  finalmente  non  v'era  utilità....  »  attristavano  di  troppo  l'anima  del- 
l' austero  Frale,  e  nelP  amarezza  del  suo  zelo  usciva  egli  in  parole  aspre  e 
forti:  e  voi,  anziché  ammirarlo  e  lodamelo,  osate  dargli  biasimo,  e  dirlo  audace 
sopra  ogni  misura!  Gli  altri  non  avevano  vergogna  di  lordarsi  di  vizj  e  ren- 
dersi rei  in  ogni  modo  con  danno  e  scandalo  immenso  del  popolo,  e  il  Savo- 
narola non  poteva,  per  zelo  della  salute  delle  anime,  aprir  bocca  e  chiamar  le 
cose  co' nomi  loro?  A  me  pare  che  s'egli  avesse  fatto  altrimenti  da  quanto  fece 
e  dal  modo  come  lo  fece,  si  sarebbe  reso  colpevole  del  rimprovero  che  secondo 
le  parole  di  San  Paolo  (l)  la  Congregazione  fa  a'  predicatori  moderni,  di  non 
curare  che  le  anime  rimangano  vuote;  ma  che  cerchino  di  lusingare  gli  uditori 
gratlando  così  loro  un  poco  le  orecchie,  senza  parlar  mai  del  peccato,  mai  de'no- 
vissimi,  mai  di  altre  verità  gravissime  che  potrebbero  contristare  a  salute,  ma 
parlando  solo  parole  piacevoli...  Sarebbe  caduto  nell'errore  fatale  ripreso  con 
forti  parole  dall'Eni.  Bausa  nella  lettera  dell' 1 1  Giugno  1892:  «Disapprovo 
il  sistema  di  taluni  i  quali  per  rendere  più  accette  le  verità  del  Vangelo  ne 
occultano  molte  e  per  tema  dei  loro  sermoni  preferiscono  i  vantaggi  che  il  Cri- 
stianesimo ha  recato  alla  società  per  viver  bene  in  questi  pochi  giorni  della 
vita  presente.  Inganna  il  popolo  e  tradisce  il  suo  ministero  chi  vi  predica  Gesù 
Cristo  per  metà,  mutilando  quel  Vangelo  di  cui  è  scritto  che  neppure  un  apice  si 
deve  trascurare.  Pretendono  essi  che  il  Verbo  Divino,  la  sapienza  incarnata  abbia 
detto  inutili  cose?  »  (p.  8).  No,  il  Savonarola  a  questo  non  sapeva  rassegnarsi; 
egli  sapeva  che  «  il  buon  dottore  deve  sempre  tendere  alla  utilità  de'popoli  e 


(1)  Ep.  II  a  Timoteo  IV,  3.  Le  parole  del  Savonarola  contro  i  cattivi  predicatori,  anche 
quelle  ove  il  Frate,  secondo  il  Pastor,  passa  audacemente  ogni  misura,  non  son  certo  più 
amare  di  quelle  notissime  di  Dante,  Parad.  Canto  XXIX,  v.  103-126.  E  il  Domenicano  Fassa- 
vanti  nello  Specchio  di  vera  Penitenza  chiama  i  cattivi  predicatori  «Amatori  adulteri  della 
vanagloria,  giullari  e  romanzieri  buffoni,  a' quali  concorrono  gli  uditori  come  a  coloro  che 
cantano  de' Paladini....  infedeli  ed  isleali  dispensatori  del  tesoro  del  Signor  loro,  cioè  della 
scienza  della  scrittura  »  pag.  100.  Ed.  Firenze  lb2l.  Ct'r.  l'Opuscolo  LXV  di  San  Tommaso  :  Del- 
l'ufficio del  Sacerdote,  in  fine 

9 


—  130  — 


fuggire  le  questioni  inutili:  »  e  vedendo  che  allora  si  faceva  tutto  il  contrario, 
non  poteva  tenersi  dal  dirlo  e  gridarlo  forte:  «  Quelli  che  scrivono  oggi  e  clie 
predicano,  non  propongono  se  non  questioni  e  sottilità  e  cose  curiose,  die  grat- 
tano così  un  poco  l'orecchio,  e  all'anima  inferma  non  fanno  utile  nessuno,  non 
la  movono  a  contrizione,  non  la  illuminano  delle  cose  necessarie  alla  salute,  non 
la  sanano  dal  peccato,  non  la  risuscitano  dalla  morte.  A  me  pare  che  oggidì  i 
dottori  e  i  predicatori  sieno  come  questi  tihicini  e  cantatori,  che  erano  in  casa 
della  figliuola  dell'  archisinagogo  morta,  e  cantavano  e  sonavano  quivi  canti 
e  suoni  lugubri,  e  da  incitare  al  pianto,  e  non  resuscitavano  però  la  morta. 
Così  fanno  oggi  i  dottori  e  predicatori:  gli  stanno  tutto  il  dì  intorno  alle  anime 
morte,  e  vorrebbero  pure  che  le  risuscitassero  con  quelle  loro  questioni  e  sot- 
tilità, e  con  quelle  belle  similitudini  e  autorità  d'Aristotele,  di  Virgilio,  d'Ovidio, 
di  Cicerone,  e  con  que'  belli  canti  di  Dante  e  del  Petrarca;  e  non  v' è  ordine. 
Oh!  che  canti  lugubri  da  morti  fanno  eglino,  in  modo  che  non  solo  e'  non  resu- 
scitano, ma  bene  spesso  l'anime  vive  ammazzano!  E  però  il  Salvatore  entrando 
in  casa  dell' archisinagogo,  e  vedendo  questi  tibicini  e  la  turba  tumultuante, 
presto  li  mandò  fuora  e  co' suoi  discepoli  resuscitò  la  morta.  Bisogna,  dico  io, 
altro  che  Virgilio  e  Aristotele  a  resuscitare  l'anime,  e  ad  intendere  le  questioni 
necessarie  alla  salute!  »  (Sopra  il  Salmo  Quam  Bonus,  Pred.  VII.) 

Prima  che  uscisse  il  Libro  del  Pastor  alcuno  poteva  forse  credere  che  un 
po' di  esagerazione  anche  qui  vi  fosse  nelle  parole  del  Savonarola;  e  che  egli 
perciò  alcuna  volta  inveisse  davvero  con  troppa  audacia  contro  la  corruzione.... 
e  la  cattiva  usanza  de'  dottori  e  de'  predicatori,  ma  dopo  il  libro  del  Pastor 
ogni  dubbio  è  dileguato;  come  vedremo  andando  innanzi.  Qui  per  mostrare 
che  davvero  nelle  amare  e  tristi  parole  del  Frate  non  v'  era  esagerazione  al- 
cuna, mi  basta  a  provarlo  quanto  l'egregio  storico  ci  riferisce  di  Paolo  Corte- 
sio,  segretario  di  Alessandro  VI,  più  tardi  protonotario  apostolico.  «  Il  Cortesio 
si  attiene  bensì  alla  dottrina  della  Chiesa  e  confuta  le  false  idee  de'  filosofi  pa- 
gani, pur  nondimeno  è  tutto  compreso  della  necessità  delle  dottrine  della  filo- 
sofia antica  per  ispiegare  e  interpretare  i  dogmi  religiosi.  Indubbiamente  peri- 
colosa è  la  veste  pagana  che  il  Cortesio  ha  dato  alla  sua  dogmatica,  nella  quale 
non  soltanto  per  designar  persone  e  ordinamenti  del  culto,  ma  eziandio  per 
esprimere  concetti  puramente  teologici  si  adoperano  frasi  pagane.  Cristo,  per 
esempio,  dicesi  il  Dio  del  tuono  e  del  fulmine,  Maria  la  madre  degli  Dei,  i  tra- 
passati i  mani.  Agostino  è  celebrato  pel  Dio  de'Teologi  e  per  il  tipico  veggente 
della  teologia;  Tommaso  d'Aquino  per  l'Apollo  della  Cristianità.  La  dottrina 
del  peccato  originale  esordisce  colla  proposizione,  doversi  ora  prendere  in  con- 
siderazione il  Fetonte  del  genere  umano.  L' inferno  descrivesi  per  intero  alla 
foggia  pagana  siccome  il  tartaro  coi  fiumi  Cocito,  Averno  e  Stige.  »  (p.  97). 

Era  questo  un  trastullo  da  lasciar  passare  così  alla  leggiera?  era  questo 
un  trastullo  niente  pericoloso?  11  Pastor  è  il  primo  a  rispondere  negativa- 
mente. E  si  può  da  chi  ha  zelo  comportare  tacendo  la  introduzione  della  fra- 
seologia pagana  e  dell'  elegante  stile  umanistico  nella  scienza  teologica?  So 
bene  che  il  Libro  del  Cortesio,  segretario  del  Papa  e  protonotario  apostolico 


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uscì  nel  1502  quando  già  il  Savonarola  era  stato  mandato  al  cielo;  ma  è  esso 
un  caso  isolato,  nato  d'un  tratto  senza  precedenti?  Basta  un'occhiata  all'Apo- 
logetico di  Fra  Girolamo  a  persuadersi  del  contrario;  anzi  basta  un'occhiata  alla 
più  bella  parte  del  libro  del  Pastor  ripieno  di  vasta  erudizione,  per  esser  completa- 
mente convinti  e  persuasi  che  1'  abuso  del  linguaggio  pagano  nelle  cose  spiri- 
tuali ed  ecclesiastiche  era  molto  generale  e  danneggiava  assai  alla  schiettezza 
e  santità  della  dottrina  di  Cristo.  E  quai  frutti  dovevan  produrre  coloro  che 
così  parlavano?  Si  potevan  essi  commendare?!  *  Oh  veramente  gran  frutto 
delle  anime  il  dilettare  le  orecchie  del  popolo,  il  trarre  a  sè  le  lodi  di  Cristo, 
il  citare  a  piena  bocca  i  filosofi,  il  cantare  con  vana  modulazione  i  versi  dei 
poeti,  il  tralasciare  o  il  proferire  interrottamente  l'Evangelio  di  Cristo  e  l'in- 
segnare al  popolo  la  superba  e  stolta  sapienza  dei  pagani,  che  mandò  in  per- 
dizione i  proprj  autori!  »  (Apologetico,  lib.  IV.) 

Se  il  Pastor  vuole  chiamare  audace  oltre  misura  il  Frate  nostro  nella  mi- 
sura e  nel  modo  dei  rimproveri  che  move  al  clero  e  specialmente  a'  banditori 
della  parola  divina,  lo  faccia  pure  a  sua  posta;  noi  piuttosto  col  nostro  Berardi 
(Dissertazione  citata)  ripeteremo  nulla  esservi  di  più  pernicioso  che  una  siffatta 
maniera  di  annunziare  il  Verbo  Divino;  e  i  predicatori  di  tal  genere  stimeremo 
doversi  annoverare  fra  i  più  grandi  persecutori  della  Chiesa  non  immuni  certo 
da  peccato  mortale;  onde  non  sapremo  quali  elogj  tributare  al  severo  Frate  che 
osò  levar  contro  di  loro  la  voce  e  condannarli  inesorabilmente,  anche  a  costo 
di  tirarsi  sul  capo  il  cumulo  degli  odj  e  delle  accuse  che  dovevano  opprimerlo. 


XII. 


Le  feste  promosse  e  le  feste  vietate  in  Firenze 
da  Fra  Girolamo  Savonarola. 

Sommario. 

Cose  antecedentemente  provate  che  si  hanno  da  conceder  per  vere.  —  Nuove  accuse  lanciato  contro  il 
Savonarola,  e  difficoltà  di  conciliarle  con  le  virtù  di  lui.  —  Un  giudizio  del  Perrens.  —  Le  fun- 
zioni sacre  in  Firenze  prima  del  Savonarola.  —  Ogni  cosa  è  ordinata  a  Dio,  e  i  tiepidi  volgono 
a  sè  ogni  cosa.  — Dio  non  degna  i  sacriHcj  de'  tiepidi.  —  La  festa  di  San  Giovanni  ridotta  a  gi- 
randole, spiritelli  e  lascivie.  —  Il  canto  figurato  e  il  canto  fermo.  —  Le  acque  del  giudizio  di  Dio. 

—  Processioni  a  cui  il  prato  avrebbe  voluto  non  essere  stato.  —  Le  feste  e  lo  processioni  de'  Savo- 
naroliani.  —  Festa  e  processione  nel  carnevale  del  1496:  relazione  e  giudizj  del  Savonarola.  —  La 
mutazione  de'  fanciulli  fiorentini  opera  di  Dio.  —  Raffronti.  —  Relazione  del  cronista  Landucci.  — 
Predica  e  processione  della  domenica  dell'olivo,  1406.  —  Ordine  e  ornamenti.  —  Gli  evviva  a  Cristo.  — 
Le  pazzie  dell'amore  Divino  e  le  pazzie  dell'  ambre  mondano.  —  La  Domenica  dell'  ulivo  in  Gerusa- 
lemme e  in  Firenze.  —  Per  rispondere  ai  savj  del  mondo.  —  David  o  ìlicol.  —  Gli  occhiali  de'  Prin- 
cipi de'  sacerdoti  e  il  Salvatore.  —  Il  carnovale  in  Firenze  nel  1498,  secondo  Jacopo  Nardi  e  il  Bur- 
lamacchi.  — Il  significato  d'una  parola.  —  Cose  taciute  indebitamente  dal  Pastor.  —  Alto  significate! 
della  festa  savonaroliana.  —  Il  trionfo  di  Cristo  del  nostro  Frate,  e  il  trionfo  della  Croce  del 
Duprè.  —  F/u'  eccezione  non  dev'essere  eretta  a  regola.  —  La  gravità  nelle  feste.  —  Lo  prediche 
buttate  via.  —  Che  cosa  combattesse  nel  culto  Fra  Girolamo.  —  Inni  da  cantarsi  a  preferenza — 
La  carità  per  i  poveri  o  le  feste  del  Savonarola.  —  Elemosine  raccolte  nello  processioni  di  Fra 
Girolamo.  —  Le  processioni  in  Italia  all'epoca  del  rinascimento  secondo  il  Pastor.  —  Il  Corpus 
Domini  in  Viterbo  1'  anno  1462.  —  Le  feste  del  rinascimento  e  quelle  del  nostro  Frate.  —  Feste 
in  Forrara  1'  anno  1459-60  o  Girolamo  Savonarola.  —  Giudizio  dell'Aquaroue  e  nostra  ipotosi. 

—  Stiamo  con  San  Filippo  e  non  con  il  Pastor.  —  Il  Pastor  e  il  Gaspary  egualmente  condanna- 
bili dai  cattolici.  —  Un  passo  del  Gianuotti  cho  ha  bisogno  di  spiegazione.  —  Quello  che  avrebbe 
dovuto  fare  il  Pastor.  —  Divertimenti  e  foste  vietate  dal  Savonarola.  —  La  mondanità  nelle  lesto 
religioso.  —  Il  giuoco  ai  sassi.  —  Lo  mascherate  e  i  canti  carnascialeschi  all'  epoca  medicea.  — 
Lodo  al  Savonarola.  —  Corso  al  palio,  quando  sconsigliate  da  Fra  Girolamo.  —  Il  Gianuotti  o  il 
Savonarola.  —  Il  bruciamento  delle  vanità.  —  Il  Pastor  loda  o  biasima  la  stessa  cosa.  —  Chi 
sia  ridicolo. 

Ma  noi  udiamo  levarcisi  contro,  non  solo  dal  Pastor,  sì  bene  anche  da 
parecchi  altri,  delle  gravi  obiezioni.  È  d'  uopo  sentirle  tutte,  a  una  a  una.  Si 
conceda  pure  che  Fra  Girolamo  avesse  le  eccellenti  e  rare  doli  esaminate 
fin  qui  e  fosse  adorno  in  sommo  grado  delle  qualità  richieste  dalla  Lettera  cir- 
colare nel  predicatore  della  parola  divina,  fosse  cioè  fornito  di  vera  pietà  cri- 
stiana, compreso  di  grande  amore  a  Gesù  Grislo,  e  cercasse  soprattutto  la  sa- 


—  133  - 


Iute  delle  anime  e  la  gloria  di  Dio  ;  ammettiamo  altresì  che  la  pietà  cristiana 
rispondesse  anche  nella  condotta  esteriore  di  lui  sì  ch'egli  fosse  «  un  modello 
vivo  e  parlante  dei  principj  che  inculcava  »  (Pastor,  p.  127),  e  che  alla  pietà 
e  alla  virtù  cristiana  andasse  in  lui  congiunta  anche  la  scienza;  e  diamoci  an- 
che per  vinti  in  ciò  che  riguarda  le  materie  e  la  forma  della  predicazione.  Si, 
l'Oratore  fiorentino  predicava  la  Scrittura  ritenuta  da  lui  per  primo  fonte  del- 
l'oratoria sacra,  e  la  predicava  mirabilmente;  era  luce  del  popolo,  illuminan- 
dolo nelle  cose  che  s'  hanno  da  credere,  dirigendolo  nelle  virtù  che  s'  hanno 
da  praticare,  mostrandogli  i  vizi  che  s'  hanno  da  evitare.  Acconsentiamo  an- 
cora che  1'  animo  del  Nostro  Frate  fosse  adorno  di  una  mirabile  fermezza  e 
eh'  egli  splendesse  nelle  sue  prediche  per  vera  semplicità  evangelica,  e  che 
ognora  nel  predicare  non  cercasse  mai  se  slesso;  e  che  a  tutte  queste  belle 
doti  egli  dovesse  i  suoi  più  segnalati  trionfi  oratorj.  Ma  che  perciò?  Concede 
volentieri  anche  il  Pastor  (p.  122)  che  molte  buone  qualità  della  predica- 
zione di  allora  fossero  nel  Savonarola  «  sviluppate  in  sommo  grado;  »  ma  tanto 
il  Pastor  quanto  altri  insigni  scrittori  potranno  legittimamente  biasimarlo,  se 
a  tali  ottime  doti  andavano  unite  altrettante  «  cattive  qualità,  »  sviluppate 
anch'  esse  «  in  sommo  grado.  » 

E  per  venir  subito  al  punto,  non  vi  pare  (ci  dicono)  almeno  assai  strano 
in  molte  cose  il  vostro  Frate?  Come  potrete  scusare  il  ridicolo  che  vi  è  in 
lui?  «  Le  non  sane  esagerazioni  de' fiorentini  in  materia  religiosa,  le  quali 
erano  dirette  con  poteri  illimitati  dal  Savonarola,  eccitarono  le  beffe  di  tutta 
Italia....  Dopo  le  sue  prediche  i  suoi  fautori  si  atteggiavano  sovente  in  strane 
fogge,  ciò  che  essi  dicevano  essere  —  pizzi  per  amore  di  Cristo.  —  Anche  il 
così  detto  bruciamento  delle  vanità  prendeva  un  carattere  triviale  e  da  tea- 
tro. Quando  si  dava  fuoco  alla  catasta,  la  Signoria  usciva  sul  balcone,  la  cam- 
pana di  Palazzo  Vecchio  suonava  a  distesa,  canti  e  squilli  di  tromba  riempi- 
vano l'aria;  quindi  si  muoveva  alla  piazza  di  San  Marco  per  celebrarvi  una 
festa  di  maggior  pazzia,  come  la  (')  chiamava  lo  stesso  Savonarola.  Si  for- 
mavano tre  circoli,  nel  più  interno  i  Domenicani  di  San  Marco  alternati  con 
fanciulli  vestiti  da  angelo,  di  poi  giovani  preti  e  laici,  nell'  esterno  vecchi  cit- 
tadini e  preti.  Tutti  cinti  il  capo  di  corone  ballavano  quindi  sulla  piazza  il  rid- 
done.  11  Savonarola  non  capiva  il  ridicolo  di  tali  spedienti,  anzi  difendeva 
queste  strane  danze,  ricordando  Davide,  ed  annunziava  non  andrebbe  molto 
che  si  vedrebbero  cose  più  straordinarie.  »  (Pastor,  pag.  137,  139,  1 4-0.) 

Ecco  una  prima  accusa  grandissima  senza  dubbio  !  Pigliamola  in  esame, 
e  vediamo  di  venire  ad  una  sentenza  giusta  e  ben  motivata. 

È  proprio  vero  adunque  che  fossero  ridicole  le  processioni  e  le  altre  fun- 
zioni del  Frate  in  Firenze?  e  ch'egli  fosse  la  colpa  del  ridicolo  e  non  si  ac- 
corgesse del  medesimo?  Non  ha  egli  in  queste  feste  merito  alcuno,  ma  solo 
torto  e  tutto  il  torto,  guardando,  s'intende,  con  occhio  cristiano?  Di  queste 


(')  Nella  traduzione  italiana,  che  noi  esaminiamo,  si  legge  lo.  Se  non  è  un  orrore  ti- 
pografico è  un  tedeschismo  che  C.  Renetti  non  doveva  conservare  in  italiano. 


—  134  — 


funzioni  il  Frate  parla  molto  sovente,  e  le  descrive  con  molti  e  minuti  parti- 
colari. Mettiamone  insieme  una  descrizione  completa,  e  poi  vedremo  se 
un  cattolico  pratico  e  fervente,  avuto  in  ispecie  riguardo  alle  circostanze  di 
luogo  e  di  tempo,  le  possa  chiamar  ridicole  e  condannare  senz'altro.  S'intende 
ch'io  non  mi  propongo  di  dare  qui  una  descrizione  artistica,  ma  semplicemente 
vera  ed  esprimente  tutto  il  disegno  del  Frate.  Raccoglierò  adunque  passi  di  lui; 
chi  legge  intenderà  bene  da  sè,  e  potrà  senz'altro  pronunciare  un  giudizio  equo 
e  a  ragion  veduta;  e  son  certo  che  non  condannerà  il  Frate;  ma,  se  è  cattolico, 
gli  darà  per  contrario  molta  lode.  Per  queste  descrizioni  mi  servirò  di  due  pre- 
dicazioni del  Frale:  quella  sopra  Amos  e  Zaccaria;  e  quella  sopra  Rut  e  Michea. 

E  prima,  quali  erano  in  Firenze  le  funzioni  pubbliche,  e  come  vi  si  face- 
vano le  processioni  avanti  la  riforma  del  Frate?  Mi  pare  che  il  Savonarola 
nella  XVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria,  parli  con  una  sicurezza  e  con  un'evidenza 
tale  da  non  permetterci  punto  di  credere  che  egli  esageri,  tanto  più  se  si  pensa 
che,  qualora  avesse  esageralo  o  detto  il  falso,  tutto  il  popolo  avrebbe  potuto 
levarsi  a  contradirlo,  o  almeno  1'  avrebbe  dovuto  disapprovare  e  togliergli  sti- 
ma. Sentiamolo  adunque:  «  Guardatevi  d'esser  tiepidi;  e  guardatevi  da  loro, 
perchè  tutta  la  guerra  noslra  viene  da  questi  tiepidi,  e  non  abbiamo  altra 
guerra  che  questa.  —  Frate,  tu  hai  detto  che  questa  dei  tiepidi  sarà  così  gran 
guerra  ;  sarà  ella  così  ?  —  Io  ti  dico,  che  sarà  così  come  ti  ho  detto.  Ora  state 
a  udire  quello  che  dice  di  loro  il  nostro  profeta  :  Io  odio  e  rigetto  le  vostre  fe- 
stività, e  non  gradirò  gli  odori  delle  vostre  adunanze.  (4)  Il  culto  divino  esteriore 
ti  ho  detto  altre  volte  che  è  ordinato  allo  interiore,  e  tutto  1'  ordine  di  questo 
universo  è  ordinato  a  Dio,  e  per  dare  gloria  al  Creatore,  acciocché  gli  uomini 
vivan  bene  con  umiltà  e  carità.  Le  cerimonie  della  Chiesa  sono  ordinate  ai  sa- 
cramenti, i  sacramenti  sono  ordinati  all'  uomo,  e  1'  uomo  al  bene  e  beato  vi- 
vere e  il  beato  vivere  a  perfezione  dello  universo,  e  quella  è  ordinata  a  Dio  ; 
sicché  ogni  cosa  viene  a  essere  ordinata  a  Dio,  come  a  primo  principio.  Ma 
i  tiepidi  hanno  fatto  tutto  a  rovescio,  perchè  dove  ogni  cosa  è  ordinata  e 
debbesi  fare  per  gloria  di  Dio,  eglino  hanno  convertito  ogni  cosa  in  gloria  loro, 
e  hanno  fatta  sua  ogni  cosa  che  doveva  essere  di  Dio.  I  tiepidi  preti  e  reli- 
giosi ordinano  là  quelle  belle  feste  e  uccellano  a  pane,  danari  e  candele;  e 
poco  si  curano  dell'  onore  di  Dio.  Voi,  secolari,  aspettate  le  feste  per  fare 
onore  a  voi  e  non  a  Dio,  e  vestite  allora  più  pomposamente,  quando  si  do- 
vrebbe andar  più  onestamente  a  onore  di  Dio.  Le  donne  vanno  il  dì  della 
festa  più  spettorale  (2)  che  gli  altri  giorni,  e  hanno  conversa  la  festa  tutta  in  fare 


C)  Amos,  V,  21;  of.  Isaia,  I,  11;  Geremia,  VI,  20;  Malachia,  I,  10. 

(2)  La  necessita,  di  predicare  contro  questo  guasto  era  stata  già  rilevata  da  Dante: 
Tempo  futuro  ru'  è  già  nel  cospetto 
Cui  non  sarà  quest'ora  molto  antica, 
Nel  qual  sarà  in  pergamo  interdetto 
Alle  slacciate  donne  fiorentine 
L'  andar  mostrando  colle  poppe  il  petto. 
E  il  Savonarola  lo  faceva  quasi  sempre  mostrando  comò  esempio  da  seguirsi,  la  Vergini» 
Maria.  Of.  anche  sopra,  p.  52. 


—  135  — 


stimare  sè,  e  non  in  onore  di  Dio.  Se  tu  vuoi  udire  ragionare  di  desinari  e 
cene  e  di  trebbiani,  va  nelle  chiese  il  dì  delle  feste;  se  tu  vuoi  udire  cattive 
cose,  va  nei  cori.  Così  va,  vedi  le  belle  banche  ornate  nelle  chiese  il  dì  delle 
feste,  per  mettervi  suso  le  belle  madonne,  i  giovani  stanno  là  a  fare  la  siepe, 
e  le  donne  passano  pel  mezzo,  e  loro  dicono  mille  disoneste  parole!  Parti  a 
te  che  queste  feste  sieno  ordinate  in  onore  di  Dio?  Dice  il  Signore  Dio  :  Io  non 
piglierò  questo  odore  de'  vostri  sacrifizj  ;  io  non  piglierò  di  queste  vostre  messe, 
chè  si  vede  in  certe  chiese  quei  calici  brutti,  quei  corporali  neri.  Ma  lasciamo 
andare  questo,  che  non  fa  molto;  diciamo  di  quelli  che  giuocano  la  notte  e 
tengono  concubine,  e  poi  la  mattina  vanno  a  dir  messa:  Io  non  piglierò  di 
questi  sacrificj,  dice  il  Signore,  e  sarebbe  meglio  che  voi  non  li  faceste.  Quel- 
1' altro  dice  messa  da  cavalcare  e  da  caccia  :  (*)  io  non  le  piglierò,  dice  il  Si- 
gnore. In  effetto  non  vi  è  più  riverenza  nel  culto  Divino;  e  se  qualche  oDera 
esteriore  si  fa,  si  fa  per  proprio  onore,  e  ognuno  fa  le  cappelle  con  le  arme 
sue.  Che  vuole  dire?  se  io  ti  dicessi  :  Dammi  dieci  ducati  per  dare  a  un  povero, 
tu  noi  faresti  ;  ma  se  io  ti  dico,  spendine  cento  in  una  cappella  qui  in  San  Marco, 
tu  lo  farai,  per  mettervi  1'  arme  tue  e  farailo  per  tuo  onore,  non  per  onore  di 
Dio  ;  e  però  Lui,  vedendo  questo,  dice  :  Che  se  voi  mi  offerite  gli  olocausti  e  i  doni 
vostri,  io  non  gli  accetterò,  e  non  volgerò  gli  occhi  alle  grasse  ostie  offerte  per 
volo  da  voi.  (*)  Io  non  riguarderò  i  vostri  voti,  e  li  vostri  digiuni.  E  benché  la 
festa  sia  fatta  per  digiunare,  tuttavia  non  è  ordinata  però  per  mangiare.  Va,  vedi 
la  tua  festa  di  Santo  Giovanni,  che  è  il  tuo  padrone,  come  tu  1'  hai  ridotta?!  A 
fare  girandole,  e  spiritelli  (3j  e  mille  altre  lascivie.  (*)  Però  dice  Dio,  non  le  riguar- 
derò queste  vostre  feste.  Cittadini,  si  vorrebbe  che  voi  faceste  una  legge;  che 
per  quella  festa  non  si  faccia  più  girandole,  nè  correr  palj  o  simili  cose;  per- 
chè altrimenti  Dio  si  adirerebbe  con  voi.  (5)  Ancora,  perle  ville  si  fanno  balli  il 
dì  delle  feste,  e  si  vorria  che  voi  faceste  provisione,  che  i  podestà  e  i  ret- 
tori, che  sono  in  quei  luoghi,  non  li  lasciassero  fare;  il  Signore  non  vuole 
queste  cose  ;  ma  dice  :  Lungi  da  me  lo  sconcerto  de'  vostri  carmi,  io  non  ascol- 


(4)  La  frase:  Messa  da  cacciatore,  è  sempre  viva  noli'  uso  fiorentino. 
(J)  Amos,  V,  *2. 

(3)  Gli  spiritelli  probabilmente  erano  amorini  o  putti,  o  piccole  Xinfe  e  Grazie.  E  usato 
anche  dal  Varchi,  Storia  Fiorentina  ;  ed.  Firenze  1833-41.  voi.  2°,  p.  355:  «  La  mattina  di  San 
Giovanni  (1530)  invece  di  ceri  e  paliotti  e  spiritelli  e  d'  altre  feste  e  badalucchi  (trastulli) 
che  in  tal  giorno  a' buoni  tempi  si  solevan  fare,  si  fece  una  bella  e  molto  devota  Proces- 
sione. »  Nel  senso  di  amorini  è  usato  anche  dal  Boccaccio.  Vedi  Vocabolario  deila  Crusca  a 
questa  voce. 

(4)  V.  Guasti,  Le  feste  di  San  Giovanni  in  Firenze,  1884;  e  Aurelio  Gotti,  altro  opuscoletto 
col  medesimo  titolo,  Firenze,  1887.  Ambedue  questi  autori  convengono  nel  dar  lode  a  Fra  Gi- 
rolamo d'aver  fatto  si  che  dalle  feste  di  San  Giovanni  si  dismettesse  ogni  profanità- 

O  Fra  Girolamo  fu  ascoltato  e  nel  1494  la  festa  esteriore  si  ridusse  alla  semplice  pro- 
cessione e  all'  offerta.  Ma  dopo  la  morte  sua  «  si  tornò  alle  feste  di  San  Giovanni,  ai  fuochi, 
alle  mostre,  ai  palii,  ai  carri,  e  le  donne  a  far  pompa  della  loro  bellezza  e  adornezza  e  gli 
uomini  del  vigore  prestante  e  della  balda  gioventù.  •  E  si  andò  poi  tant'  oltre  che  la  festa 
di  San  Giovanni  del  1513  fu  dal  cronista  Cambi  chiamata  con  piena  ragione  «  festa  diabo- 
lica. »  Cf.  Gotti,  op.  cit. 


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terò  le  canzoni  cantate  da  te  sulla  lira;(l)  dice  Dio:  Leva  via  quelli  tuoi  belli 
canti  figurati.  Egli  hanno  questi  signori  le  cappelle  dei  cantori,  che  bene 
pare  proprio  uno  tumulto,  come  dice  qui  il  profeta,  perchè  vi  sta  là  un  can- 
tore con  una  voce  grossa  che  pare  un  vitello,  e  gli  altri  gli  gridano  attorno 
come  cani,  e  non  s'intende  cosa  dicano.  Lasciate  andare  i  canti  figurati,  e 
cantate  i  canti  fermi  ordinati  dalla  Chiesa:  voi  volete  pur  sonare  organi,  voi 
andate  alla  Chiesa  per  udire  organi;  dice  Dio:  io  non  odo  i  vostri  organi,  voi 
non  volete  ancora  intendere.  La  vendetta  verrà  fuori  come  acqua,  e  la  giustizia 
come  impetuoso  torrente.  (2)  Il  giudizio  di  Dio,  vi  dico,  si  rivelerà,  e  uscirà  fuori  come 
una  grande  acqua.  Hai  tu  mai  veduto  quando  egli  è  un'acqua  ascosta,  e 
eh'  ella  esce  in  un  tratto  fuora  e  cuopre  tulla  la  terra?  Così  verrà  il  giudi- 
zio di  Dio,  perchè  Lui  ha  nella  mano  sua  di  molte  acque,  le  quali  Lui  farà 
rompere  fuora  da  ogni  banda  per  tutta  la  Italia,  che  non  potria  rimediarvi, 
credimelo  a  me.  Voi  credete  pure  per  fare  e'  vostri  officj  e  vostre  cerimonie 
aver  placato  lo  eterno  Iddio,  e  io  vi  dico  che  Egli  è  adirato  massime  contro 
di  voi  preti,  e  frati  cattivi,  cominciando  da  Roma,  perchè  questi  tali  hanno  gua- 
sto tutto  il  culto  divino  interiore.  » 

E  non  meno  espressive  sono  le  frasi  della  predica  IX  sopra  Ruth  e  Michea: 
«  E'  si  vorria  che  in  questa  festa  del  Corpus  Domini,  si  facesse  una  processione 
di  Dio  e  non  del  Diavolo.  Fra  l'altre  cose,  si  vuole  che  le  donne  non  slieno 
per  le  strade,  e  quando  passa  il  Corpus  Domini,  che  elle  non  stieno  là  appa- 
rate come  meretrice  nella  sua  sella.  Io  mi  ricordo  già  quando  sono  andato  a 
queste  processioni,  che  poi  quando  io  sono  tornato,  vorrei  essere  stato  piutto- 
sto a  fare  una  grande  penitenza.  Venivano  là  quelli  garzonotti  tra'  frati  e  dice- 
vano mille  ribalderie.  Fate  che  siano  divisi  gli  uomini  dalle  donne,  e  passata 
la  processione,  la  Signoria  andrà  poi,  e  poi  gli  uomini  e  poi  le  donne,  pregando 
ognuno  Dio  che  mandi  lo  Spirito  Santo  nel  core  dei  suoi  fedeli,  e  che  vi  dia 
grazia  di  avere  bene,  e  non  male.  E  chi  non  può  andare  per  la  moltitudine, 
stia  dentro  a  1'  uscio  e  non  per  le  strade.  » 

Dopo  tali  prediche  che  cosa  si  faceva?  Già  nella  I  sopra  Amos  e  Zaccaria 
troviamo  una  pagina  preziosa.  Ivi  il  Frate  si  compiace  di  una  festa  e  di  una 
processione  de' suoi  fanciulli  assai  ben  riuscita,  fatta  nel  carnevale  del  1496: 
e  dice  tra  1'  altro.  «  Vedete  quanto  frutto  fanno  1'  orazione  con  la  buona  vita, 
e  predicazione,  che  la  città  di  Firenze,  che  nel  tempo  del  carnasciale,  soleva 
esser  tutta  dissoluta,  questa  volta  è  stata  in  gran  divozione,  e  i  fanciulli  vostri 
che  solevano  fare  a' sassi  e  stili  e  molte  altre  pazzie,  (3j  ora  sono  rivoltati  alle 
laudi  divine  e  hanno  fatto  una  processione  il  di  di  carnasciale,  che  mi  pareva 
di  vedere  quei  fanciulli  e  quel  popolo  che  andarono  incontro  al  Salvatore  quando 
venne  in  su  l'asina  e  l'asinelio  in  Gerusalemme.  Credi  a  me,  che  questo  non 


(')  Amos,  V,  23. 
O  Ivi,  V,  24. 

(3)  Parla  di  questi  giuochi  il  Villari,  voi.  I,  p.  414,  o  riferisco  che  il  (jiuoco  da' «assi  orti 
dotto  dai  cronisti  pazzo  e  bestiale. 


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è  stalo  fallo  senza  mistero,  benché  gli  uomini  carnali  non  lo  conoscono.  Que- 
sti fanciulli  saranno  quelli  che  godranno  la  felicità  di  Firenze,  e  la  governe- 
ranno bene,  perchè  non  avranno  presa  la  piega  del  ciambellotto,  come  hanno 
presa  i  padri  loro,  (')  che  non  si  possono  spiccare  dal  reggimento  tirannico, 
nè  sanno  conoscere  quanto  è  grande  questa  grazia  della  libertà.  E  che  questa 
mutazione  de'  fanciulli  sia  stata  opera  di  Dio,  tu  ne  hai  di  molti  segni.  E  pri- 
ma, perchè  tu  sai  che  per  i  tempi  passati  non  si  è  mai  potuto  per  forza  di  al- 
cun magistrato,  nè  per  bandi  e  pene  forti  rimuovere  quella  mala  consuetudine 
di  trarre  i  sassi  in  carnasciale,  che  ogni  anno  ne  moriva  qualcuno,  e  ora  un 
fraticello  con  poche  parole,  mediante  l'orazione  dei  buoni,  l'ha  rimossa.  Se- 
condo, tu  sai  che  per  il  carnasciale  si  facevano  molti  peccati,  e  ora  si  sono 
confessati  anche  i  fanciulli,  ed  è  stato  questo  carnasciale  come  una  quaresima, 
che  non  può  essere  se  non  opera  Divina.  Terzo,  solevano  accattare  i  fanciulli 
per  fare  stili,  (2)  e  ardere  scope  e  mangiare  e  bere,  ora  hanno  accattalo  tanti 
danari  per  i  poveri,  che  tu  che  sei  sì  savio  non  avresti  trovati  tanti.  Quarto, 
per  il  ridere,  per  le  dissoluzioni  che  soleva  fare  il,  popolo  in  quel  giorno:  tu 
sai  quante  lacrime  furono  sparse,  quando  si  sentivano  quelle  voci  puerili  can- 
tare le  laude  del  nostro  Signor  Gesù  Cristo,  e  della  sua  Madre  Maria;  gri- 
dando spesso  ad  alla  voce  tutti  insieme  con  gran  giubilo:  Viva  il  Signore  Gesù 
Cristo  Re  nostro,  e  la  nostra  Regina  Sua  Madre  Vergine  Maria.  Quinto,  tu  sai 
che  tutte  le  opere  di  Dio  hanno  contradizione,  e  però,  insieme  con  gli  altri  se- 
gni, la  contradizione  che  ha  avuta  questa  santa  opera  è  segno  che  è  stata  da 
Dio.  Prima  molti  non  volevano  che  la  si  facesse;  alcuni  per  malizia,  alcuni  per 
un  certo  zelo  indiscreto,  alcuni  altri  per  poca  fede  e  pusillanimità,  perchè  te* 


(')  Di  questi  fanciulli  si  formò  poi  «  quella  plebe  ingenua  ed  incorrotta  temprata  alle  dot- 
trine del  frate,  che  sotto  lo  strano  nome  di  Piar/noni  »  comprese  ai  tempi  dell'assedio  «  gli  uomini 
in  arme  più.  prodi  e  di  fede  incrollabile.  »  V.  Capponi,  Storia  della  Rep.  Fiorentina,  Libro  IV, 
cap.  6».  8°  h  lo». 

(2)  Gli  stili  «  erano  bastoni  con  cui  i  radazzi  sbarravano  la  via  alle  spose  novelle  per 
averne  da  far  cene  e  baldorie.  Il  Savonarola  volgeva  a  bene  gli  strumenti  di  corruzione  per 
poi  toglierli  affatto.  »  Isidoro  Del  Lungo.  Arch.  St.  Ital.  N.  S.  XVIII,  p.  I  Nota  al  Docum.  5° 
Dalla  Vita  del  Savonarola  ms.  di  F.  Serafino  Razzi  dei  Pred.,  lib.  II,  cap.  4  (fol.  92  retro  del  ms. 
Laurenziano)  togliamo  questo  passo  che  ci  dà  notizia  degli  stili,  dei  capannucci  e  del  gioco 
dei  sassi.  «  Acciò  meglio  conoscano  i  benigni  lettori  la  gran  mutazione  di  questi  figlioli  è 
da  sapere  come  anticamente  in  Firenze  nel  tempo  del  carnovale  si  congregavano  i  fanciulli 
in  diverse  compagnie,  da  loro  potenze  chiamate,  e  costumavano  di  porsi  al  capo  di  qualche 
strada  con  un'asta  da  loro  chiamata  lo  stile,  e  quando  vedevan  passare  alcuna  donna  e 
massime  fanciulle  nobili,  correndo  attraversavau  queir  asta;  e  se  ella  voleva  passare,  biso- 
gnava cbe  pagasse  loro  un  beveraggio;  e  di  tali  danari  facevano  tra  loro  cene;  e  compra- 
vano ancora  un  albero  lungo  il  quale  chiamavano  lo  stile  del  capannnccio,  e  rizzandolo  sul 
crucicchìo  di  qualche  strada,  lo  circondavan  di  fascine  e  di  scope  e  poi  la  sera  del  carno- 
vale l'abbruciavano.  E  ciascheduna  potenza  si  sforzava  di  superar  l'altra  col  fare  il  suo 
capannnccio  maggiore  e  lo  stavan  tutto  il  giorno  a  guardare,  ciascuna  potenza  il  suo;  acciò 
non  fosser  venuti  quelli  d'un' altra  a  metterci  fuoco:  e  per  quest'altra  cagion  si  facevano 
gran  battaglie  fra  loro,  prima  con  le  pugna  e  bastoni  e  poscia  coi  sassi  e  con  l'armi;  e  ne 
rimanevano  talora  alcuni  morti  e  stroppiati,  nè  ci  valeva  per  reprimerli  nè  autorità  di  bar- 
gelli nè  di  Signoria.  Riparò  nondimeno  a  tanto  disordine  il  solo  Jeronimo  Savonarola....  » 
Quanto  ai  capannucci  deducesi  qui  dal  Razzi  che  avevano  la  forma  usata  in  Toscana  pei  pa- 
gliai, l' asta  dei  quali  chiamasi  stile  o  stollo. 


—  138  - 


mevano  di  qualche  novità.  Di  poi  hanno  avuto  i  fanciulli  di  gran  contradizione 
dai  cattivi,  dai  quali  sono  stati  beffati,  scacciali  e  perseguitati,  e  niente  di  meno 
loro,  come  vecchi  di  senno,  hanno  avuta  pazienza  e  hanno  insegnato  a  chi  do- 
veva insegnare  a  loro.  Questi  cattivi,  quando  li  vedevano  a  far  male  e  tirar  i 
sassi,  non  li  correggevano,  anzi  ridevano  ;  ora  che  li  vedono  a  far  bene  si  se- 
gnano e  li  perseguitano,  in  questo  dimostrando  che  sono  piuttosto  diavoli,  che 
buoni.  Sesto,  Dio  te  ne  die' segno:  piovendo  tutta  la  notte,  e  la  mattina  pa- 
rendo il  tempo  tutto  rannuvolato,  ti  fu  detto  dal  predicatore  (*)  che  predicava 
allora,  che  non  pioverebbe  e  che  sarebbe  buon  tempo,  e  così  fu.  Sicché  tu 
vedi,  o  popolo,  quante  cose  fa  Dio  mediante  l'orazione;  questo  non  vedono  i 
superbi  e  savj  di  questo  mondo,  quando  dice  il  nostro  Salvatore:  Io  son  ve- 
nuto in  questo  mondo  per  far  giudizio,  acciocché  quei  che  non  vedono,  veggano,  e 
quei  che  veggono,  diventino  deciti.  »  (2) 

E  di  nuovo  il  Frate  si  compiace  di  questa  processione  nella  predica  VII, 
vero  segno  che  in  essa  i  fanciulli  dovevano  aver  davvero  commossa  tutta  la 
città!  E  che  egli  non  errasse  lo  prova  ad  evidenza  la  descrizione  lasciata  dal 
cronista  Landucci  (3j  che  giorno  per  giorno  scriveva  quanto  avveniva  in  Fi- 
renze: «  Avendo  predicato  Fra  Girolamo  più  giorni  innanzi,  che  e' fanciulli  do- 
vessino,  in  luogo  di  pazzie  del  gittare  i  sassi  e  fare  i  capannucci,  dovessino 
accattare  e  fare  litnosine  a' poveri  vergognosi;  e,  come  piacque  alla  divina 
grazia,  fu  fatta  tale  commutazione,  che  in  luogo  di  pazzie  accattorno  molti  dì 
innanzi;  e  in  luogo  di  stili  trovavi  su  per  tutti  i  canti  Crocifissi  nelle  mani  della 
purità  santa.  »  Seguita  poi  a  descrivere  la  processione  fatta  nel  carnevale  e  ci 
dice  che  «  i  savi  uomini  e  buoni  lacrimavano  tenerameule  dicendo:  Veramente 
questa  è  opera  di  Dio.  Questi  giovanetti  son  quegli  che  hanno  a  godere  le  cose 
buone  promesse....  Furono  stimati  sei  mila  fanciulli  o  più,  tutti  da  5  o  6  anni 
infino  a  15.  »  Racconta  poi  dell'offerta  che  «  fu  slimata  parecchie  centinaia 
di  fiorini.  Vedovasi  dato  loro  ne'  bacini  molti  fiorini  d'  oro  e  la  maggior  parte 
grossi  e  alienti.  Fu  dato  loro  veliere,  cucchiai  d'  ariento,  fazzoletti,  sciugatoi 
e  molte  altre  cose.  Si  dava  senza  avarizia.  Pareva  eh'  ognuno  volesse  offe- 
rire a  Cristo  e  alla  sua  Madre.  Io  ho  scritte  queste  cose  che  sono  vere;  e  io 
l'ho  vedute  e  sentito  di  tal  dolcezza,  e  de' miei  figlioli  furono  in  fra  le  be- 
nedette e  pudiche  schiere.  » 

Ma  più  di  proposito  si  diffonde  il  Savonarola  a  parlare  delle  sue  proces- 
sioni nelle  prediche  XXXIII,  e  nella  XL:  «  Fanciulli  miei,  io  intendo  che  volete 
fare  una  processione  la  Domenica  dell'Ulivo;  io  prego  voi  cittadini,  che  gli  la- 
sciale fare,  perchè  egli  è  istinto  divino.  Voi  dite:  tante  croci,  tante  croci  che  gli 
han  fatte!  Non  abbiale  paura  di  croci,  ma  abbiate  paura  delle  spade  e  non 
delle  croci,  perchè  le  croci  hanno  a  salvare  la  vostra  città.  Orsù,  fanciulli  miei, 
fate  ogni  cosa  con  gravità,  che  induciate  gli  uomini  a  lacrimare,  e  la  Signoria 


(')  Fra  Domenico  da  Poscia. 

C)  Vang.  di  San  Giovanni,  IX,  89. 

(a)  Diario  Fiorentino.  Ed.  Firenze  1883,  p.  DU-12Ò. 


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vi  presterà  anche  della  sua  autorità,  e  aspettate  Domenica  la  vostra  predica.  » 
(Sopra  Amos  e  Zaccaria  XXXIII.) 

E  la  domenica,  che  era  appunto  quella  dell'  Ulivo,  fece  proprio  la  predica 
a' fanciulli,  esponendo  il  capitolo  XXI  di  San  Matteo,  e  segnatamente  il  ver- 
setto: Osanna  al  figliuolo  di  David:  benedetto  colui,  che  viene  nel  nome  del  Si- 
gnore: Osanna  nel  più  alto  de' deli:  disponendo  cosi  i  fanciulli  e  tutto  il  popolo 
a  fare  a  Cristo  una  processione  e  una  festa  simile  in  tutto  a  quella  che  si  fece 
nell'ingresso  trionfale  di  Gesù  in  Gerusalemme:  e  poi  sul  finire:  «  Oggi  alla 
processione  ognuno;  uomini,  donne  e  fanciulli,  grandi  e  piccoli.  Andranno 
prima  i  fanciulli  con  le  croci,  poi  gli  uomini  secolari,  i  quali  tutti  porterete 
V  ulivo,  e  anche  saria  bene  porlare  la  vostra  crocetta  in  mano.  Poi  le  donne 
con  le  fanciulle,  ina  non  portino  ghirlande  le  donne,  se  non  le  fanciulle,  perchè  que- 
sto saria  segno  di  levità  nelle  donne.  Lauderà  ognuno  il  Signore,  e  pregherà  per 
la  città,  e  per  i  cattivi  che  si  convertino.  Or  su  ...  .  guardate  di  non  vi  af- 
freddare  nelle  orazioni  ....  Inoltre  vada  ad  offrire  ognuno  ;  .  .  .  .  ognuno 
aiuti  e  aumenti  questa  offerta,  la  quale  si  fa  per  il  Monte  di  pietà.  Fate  sopra 
lutto  che  cominci  ad  andare  la  processione  di  buon'ora,  che  almanco  a  dician- 
nove ore  si  cominci.  Laudiamo  colui  che  è  venuto  nel  nome  del  Signore.  Lau- 
diamo Gesù  che  è  venuto  nel  nome  suo;  laudiamo  il  Salvatore  che  è  venuto  a 
salvare:  0  Signore  dell'  universo,  o  speciale  nostro  Signore,  quanto  è  mirabile 
il  nome  tuo  !  ....  »  (Sopra  Amos  e  Zaccaria  XL.)  i1) 

E  la  processione  si  fece  ad  un  sole  splendidissimo  e  sorridente;  e  i  canti 
furono  così  dolci  e  gravi,  e  fu  tanto  il  fervore  delle  preci,  che  non  pure  i  fan- 
ciulli, ma  tutto  il  popolo,  non  polendo  contenere  dentro  l'anima  T  immenso  af- 
fetto per  Gesù,  ruppero  in  mollo  pianto  di  commozione  e  in  alte  grida  di:  Ev- 
viva Cristo.  Anche  questa  processione  è  narrala  dal  Landucci,  (2)  che  ci  dice 
che  «  furono  stimati  5  mila  fanciulli  e  poi  grande  numero  di  fanciulle  tutti 
vestiti  di  bianco  e  cosi  le  fanciulle  colle  croci  e  coli'  ulivo  in  mano  e  di  poi 
tutti  gli  uffici  di  Firenze  e  tulte  le  Gapitudini;  di  poi  tutti  gli  uomini  di  Firenze, 
di  poi  le  donne  che  non  fu  mai  fatta  la  maggior  processione.  Non  credo  re- 
stasse nè  uomo  nè  donna  che  non  andasse  a  far  tale  offerta.  E  offersesi  in 
San  la  Maria  del  Fiore  in  su  un  altare  per  fare  il  Monte  della  Pietà.  »  E  giusta- 
mente il  Frale  Tse  ne  compiaceva  col  suo  ditello  popolo  e  diceva  poi  nella  pre- 
dica XLI:  «  Io  vi  ho  pur  fatti  una  volta  diventar  tutti  pazzi;  e^li  è  vero?  Egli  è 
pur  stato  Grislo,  e  non  noi.  E'  furono  qua  ier  maltina  pur  gli  uomini  che  comin- 
ciarono gridare:  Viva  Cristo,  non  i  fanciulli.  Io  vi  ho  predicato  tanto  a  parole 
contro  la  sapienza  umana  che  mi  pare  che  oramai  voi  facciate  con  i  fatti,  e  che 


(')  Anche  con  i  simboli  portati  nelle  processioni,  il  Frate  voleva  insegnare  cose  belle  e 
buone.  La  veste  bia  nca  de'  fanciulli  era  simbolo  della  semplicità,  purità  e  mondezza  di  co- 
scienza in  cui  essi  dovevano  allevai  si.  La  croce  simboleggiava  i1  ben  vivere  cristiano  che 
consiste  nel  fare  il  bene  e  patire  il  male  e  sopportare  le  tribolazioni.  L'ulivo  significava  che 
Dio  illuminerebbe  Firenze,  se  essa  facesse  bene,  di  olio  e  di  Spirito  Santo.  Vedi  la  citata  pre- 
dica XL  sopra  Amos  e  Zaccaria. 

(')  Landucci,  ivi,  p.  128. 


—  140  — 


voi  la  confondiate!  Che  direte  voi  se  vi  farò  fare  un  dì  maggior  pazzia?  Ma  non 
sarò  io;  e'sarà  pur  Cristo,  che  farete  un  dì  un  ballo,  là  in  piazza,  attorno  al  Cro- 
cifisso; io  dico  ancora  i  vecchi  e  le  vecchie;  che  direte  voi  allora?  Orsù,  sopra 
questo  io  ti  dirò  una  parola  in  ultimo  della  predicazione  ....  Io  so  che  volete 
apparecchiarvi  tutti  alla  Santa  Comunione  questa  Pasqua.  Egli  è  ben  lecito  qual- 
che volta  fare  come  ieri,  e  impazzire  per  amor  di  Cristo;  ma  poi  bisogna  tornare 
alla  gravità.  Fassi  di  queste  cose  rade  volte;  ma  quando  si  fanno,  è  perchè  Cri- 
sto vuol  dimostrare  che  se  l'amor  mondano  fa  fare  agli  uomini  delle  pazzie, 
molte  maggior  cose  fa  l'amor  Divino:  e  come  io  sarò  alla  fine  della  predica- 
zione ve  lo  mostrerò  per  le  Scritture  del  Testamento  Vecchio  e  Nuovo.  Bisogna 
adunque  ora  ritirarsi  in  sè  medesimo  e  nella  sua  gravità,  e  pensare  a  comuni- 
carsi a  questa  Santa  Pasqua.  »...  E  al  fine  della  predicazione  mantenne 
la  promessa;  e  parlò  al  suo  popolo  come  segue:  «  Or  su,  dilettissimi,  che  di- 
remo noi  delle  pazzie  che  costoro  dicono,  che  voi  faceste  ieri?  Or  su,  egli  è 
stato  per  amore  di  Cristo.  Voi  avete  fatto  già  per  il  passato  tante  pazzie  ne'vo- 
stri  carnesciali;  e  ricordomi  già  quando  io  ero  al  secolo,  veder  fare  a'  vecchi  e 
vecchie,  ch'erano  reputati  gravi,  di  molte  pazzie.  Sicché,  se  è  lecito  per  amore 
del  mondo,  quanto  maggiormente  l'amore  Divino  cava  alle  volte  l'uomo  de'sen- 
si,  e  fagli  fare   mille  pazzie!  perchè  è  più  gagliardo  l'amor  Divino  che 

l'umano.  Ma  questi  tiepidi  mormoreranno  In  questo  giorno  dell'Ulivo, 

quando  Cristo  andò  in  Gerusalemme,  dice  l'Evangelio,  si  commosse  tutta  la 
città  ....  Cosi  è  stato  qui;  molti  si  sono  commossi,  e  il  Salvatore  venne  ieri 
in  Firenze,  e  non  ci  era  altra  differenza  da  questo  dì  a  quello,  che  voi  non  ve- 
devate il  Salvatore  e  allora  fu  veduto;  ed  eranvi  gli  angeli  che  giubilavano,  e 
ci  è  chi  ha  visto  giubilare  gli  angeli  ....  Or  torniamo  a  proposito  nostro. 
Egli  è  lecito  qualche  volta  per  V  amor  Divino  uscir  dalla  sua  gravità;  tu  hai 
1'  esempio  in  David;  il  quale,  quando  si  portava  l'arca  del  Signore  in  Gerusa- 
lemme, disse:  Da'qua  una  veste  bianca  ancora  a  me:  e  misesi  là  attorno  l'arca, 
e  saltava  alto  e  ballava,  e  eccitava  gli  altri  a  saltare,  e  diceva:  Che  state  voi  a 
fàre?('}  Eppur  David  era  re,  e  profeta  così  grande!  (')  Micol  sua  moglie  lo  ri- 
prese; alla  quale  incontrò  una  cosa  ch'io  li  dirò  di  sotto.  Voi  vi  fate  beffe  di 
queste  cose,  perchè  non  avete  studiate  le  Scritture.  Elia,  quando  venne  la  piova, 
andò  correndo,  e  saltando  innanzi  al  Re;  e  [iure  era  profeta.  (3)  Ma  più  forte, 
dimmi  :  il  nostro  Salvatore  è  divenuto  egli  mai  pazzo  in  questo  mondo?  Va, 
leggi  in  San  Marco,  al  terzo  capo,  dove  e'  dice  che  venne  in  tanto  furore  che 
i  parenti  uscirono  fuora  a  tenerlo.  I  suoi  andaron  per  pigliarlo,  imperocché  di- 
cevano: Ha  dato  in  pazzia.  »  (4)  Che  diremo  degli  Apostoli  quando  vennero  in 
Spirito  Santo,  che  giubilavano  e  cantavano,  e  la  brigala  diceva:  Che  forse  co- 
storo sono  ubriachi? (5)  Similmente  a  San  Paolo,  essendo  venuto  in  gran  fu- 


(')  Mb.  II  dei  Se,  cap.  VI,  v.  14  e  segg. 

(-)  Dante,  Pttrg. :  C.  X  v.  (16:  «  E  più  e  raon  che  re  era  in  quel  caso.  . 
(3)  Tiibro  III  dei  Re.  cap.  XVIII,  v.  46. 
(')  Vang.  di  S.  Marco,  cap.  Ili,  v.  21. 
(5)  Atti  itegli  Apostoli,  cap.  IT,  v.  IH. 


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rore  dinanzi  ad  Agrippa,  fu  detto:  Paolo,  tu  impazzi.  (')  Rispose:  io  non  sono 
pazzo.  Agrippa  lo  guardava  e  disse:  Tu  mi  conforli  un  poco  a  farmi  cristiano; 
e  Paolo  rispose:  fo  desidero  che  tutti  gli  uomini  sieno  ebrj  come  me.  Di  San 
Francesco  ancora  si  legge  ch'era  inebbriato  dall'amor  Divino.  Io  ho  udito  dire 
che  una  volta  facendo  un  ballo  (2)  cantando  laude  i  nostri  religiosi,  uno  di  que- 
sti vecchi  venne  in  tanto  spirito,  che  cadde  là  rovesciato  in  terra,  e  però  vi 
dico,  voi  non  avete  provato  quello  che  fa  fare  l'amore  Divino.  Che  direste  voi, 
se  io  vi  facessi  ballare  un  giorno  e  i  vecchi  e  le  vecchie,  e  ognuno  attorno  al 
Crocifisso,  e  io  più  pazzo  di  nessuno  in  mezzo  a  tutti  voi?  Or  intendete  bene, 
io  non  dico  che  facciate  di  queste  cose  spesso;  ma  io  vi  ho  allegate  queste  ra- 
gioni, perchè  voi  sappiate  rispondere  a'  savj  del  mondo  e  ai  tiepidi  i  quali  di- 
cono: quel  cittadino  è  impazzilo;  e  quel  vecchio  e  quel  prete  ha  fatto  le  paz- 
zie, ha  gridato  per  le  strade  e  portato  la  croce  e  saltato.  Micol  donna  di  David 
stava  alle  finestre  quando  l'arca  veniva,  e  domandò:  Dov'è  il  Re?  Fu  risposto: 
egli  è  quello  che  salta  e  balla  là  attorno  all'  Arca.  Per  la  qual  cosa,  come  fu 
giunto  in  casa,  lei  gli  disse:  Che  bella  cosa  è  questa  che  tu  sia  Re,  e  in  pre- 
senza del  popolo  e  delle  ancelle  come  un  buffone  abbia  saltato  e  ballato?  Da- 
vid le  rispose:  Saul  tuo  padre  fu  superbo,  e  non  volle  umiliarsi,  e  per  quella 
superbia  fu  riprovato:  io  non  voglio  esser  superbo;  ma  voglio  umiliarmi  in 
mezzo  degli  schiavi  e  delle  ancelle,  e  voglio  diventar  pazzo  per  amore  di  Dio. 
Dice  la  Scrittura  che  da  quel  punto  innanzi  Micol  moglie  di  David  diventò  ste- 
rile. Quando  adunque  il  Salvatore  entrò  in  Gerusalemme,  si  commosse  tutta  la 
città,  e  i  principi  de'  sacerdoti,  vedendo  i  fanciulli  che  acclamavano  nel  tempio 
e  dicevano:  Osanna  al  figliolo  di  David,  s' indignarono.  (3)  Si  sdegnarono  i  tie- 
pidi vedendo  che  i  fanciulli  e  il  popolo  laudava  il  Salvatore  ;  e  perchè  avevano 
gli  occhiali,  quello  che  era  buono  gli  pareva  cattivo,  e  avrebberlo  morto,  se  non 
che  avevano  paura  del  popolo.  Andarono  dunque  a  lui,  e  dìssergli:  Non  odi  tu 
che  i  fanciulli  ti  laudano?  11  Salvatore  rispose:  Non  avete  mai  letto:  Dalla 
bocca  de'  fanciulli  e  de  lattanti  ito  fatta  perfetta  la  lode?  {*)  E  lasciatili  uscì 
dalla  città.  Partissi  il  Salvatore  da  loro,  e  li  lasciò,  e  andossene  fuora  della 
città  perchè  non  meritarono  che  stesse  con  loro.  Così  farà  ancora  in  questi 
tempi,  e  partirassi  da  questi  savj  e  da'  tiepidi.  State  adunque  voi  uniti  col  Sal- 
vatore e  lui  non  si  partirà  da  voi.  »  (Predica  XLII.) 

Parlando  Fra  Girolamo  sopra  della  processione  fatta  la  Domenica  del- 
l' Ulivo,  diceva,  come  abbiamo  sentito  or  ora,  che  un  giorno  i  suoi  Fioren- 
tini avrebbero  fatto  cose  anche  più  grandi  e  celebrato  feste  anche  maggiori. 
Nè  mal  si  appose.  Infatti  nel  carnevale  del  1498  si  celebrò  in  Firenze  dai 
Savonaroiiani  una  festa  quant'  altra  mai  celebre  e  singolare. 


(')  Atti  degli  Apostoli,  cap.  XXVI,  v.  21. 

(s)  Da  questo  passo  sembra  si  possa  dedurre  che  i  balli  di  cui  parloremo  or  ora  non 
fossero  del  tutto  estranei  nei  religiosi  di  San  Domenico;  e  che  quindi  non  siano  nemmeno 
un  trovato  de'  Savonaroiiani.  Vedi  anche  Razzi.  Ms.  citato,  p.  H\  retro. 

(3)  Vangelo  di  San  Matteo,  cup.  XXI,  v.  15  e  segg. 

{*)  Salmo  Vili,  v.  3. 


—  142  — 


Anche  in  quel  carnevale,  come  puoi  leggere  nelle  Istorie  di  Iacopo 
Nardi,  (voi.  I,  pag.  140)  «  i  fanciulli  e  i  giovinetti  della  riforma,  i  quartieri  di- 
visi tutti  secondo  l1  ordine  usato,  portando  in  processione  un  bello  o  ornalis- 
simo  tabernacolo  con  la  immagine  di  Gesù  Cristo,  andarono  per  I ulta  la  città 
cantando  inni  e  salmi  e  laudi  volgari;  e  la  sera  medesima,  essendo  ricondotti 
alla  piazza  de'  signori,  furono  da  quelli  arse  molle  cose  disoneste,  lascive  e 
vane,  che  nei  precedenti  giorni  da'  medesimi  fanciulli  erano  state  accattate  e 
ragunate  nel  modo  che  l'anno  passato  avevano  usato  di  fare;  e  tutto  con  gran 
letizia  e  festa  di  detti  fanciulli,  e  di  tutte  quelle  persone  che  alle  profezie  del 
detto  Frate  prestavano  fede.  Di  modo  che  que'  giorni,  i  quali  sogliono  essere 
esposti  comunemente  a'  servigi  e  piaceri  del  mondo,  parvero  quella  fiata  che 
fossero  stali  consacrati  tutti  e  celebrati  od  onore  e  gloria  di  Cristo.  » 

Poi,  se  si  deve  credere  al  Burlamacchi  (e  qui  il  Paslor  pare  che  gli  creda, 
o  almeno  gli  crede  il  Perrens  dal  quale  il  Pastor  copia,  e  lo  fa  assai  spesso), 
«  collocarono  la  immagine  del  nostro  Salvator  Crocifisso  con  i  quattro  tabernacoli 
de'  quartieri,  intorno  a'  quali  fecero  tre  balli.  Prima  tulli  i  Frati,  deposte  le 
cappe,  con  gran  fervore  uscirono  fuori  del  convento,  e  ciaschedun  novizio  si 
accompagnò  con  uno  di  quei  fanciulli  vestiti  da  angelo,  e  fecero  il  primo  ballo 
tondo.  Dipoi  i  giovani  del  convento  accompagnandosi  ciascheduno  con  un  gio- 
vane secolare  fecero  il  secondo  ballo  tondo  cantando.  In  ultimo  i  vecchi,  e  i 
sacerdoti,  lasciata  ogni  sapienza  umana,  con  ghirlande  d'ulivo  in  capo  accom- 
pagnandosi ciascuno  con  un  cittadino  maturo  fecero  il  terzo  ballo,  nel  quale 
restava  chiuso  il  primo  e  il  secondo,  con  gran  giubilo  e  festa,  e  cantando 
molte  laudi  intorno  al  Crocifisso  stettero  con  gran  fervore  quivi  fino  al  tra- 
montar del  sole.  » 

Osservo  che  il  Nardi  e  il  Somenzi  (l)  non  accennano  al  Crocifisso  innalzato 
in  mezzo  alla  piazza,  nè  accennano  tampoco  che  i  sacerdoti  e  i  secolari  vec- 
chi adornassero  il  capo  di  corone;  ma  solo  dicono  che  i  seguaci  del  Savona- 
rola avevano  in  mano  ramoscelli  d'olivi.  E  che  nella  descrizione  del  Burlamac- 
chi siavi  qualche  aggiunta  o  abbellimento,  apparisce  anche  dalla  citata  Cronaca 
del  Landucci  che  non  parla  neppure  dei  balli.  E  siccome  questi  scriveva  pun- 
tualmente giorno  per  giorno  quanto  accadeva,  non  saprei  intendere  come 
avrebbe  taciuto  questa  singolare  particolarità.  Certo  la  descrizione  del  Nardi  e 
del  Landucci,  come  quella  del  Somenzi,  meglio  si  accordano  con  le  prediche 
del  Frate.  Ma  crediamo  pure,  se  piace,  al  Burlamacchi.  Dove  trovate  ad  ogni 
modo  qui  il  ridicolo  ?  dove  trovate  che  tutti  ballassero  semplicemente  il 
riddonet  La  parola  ballo  a  questo  luogo  del  Burlamacchi  si  può  certo  intendere 
per  un  semplice  muoversi  misurato  in  giro  cantando.  Il  Villari  a  buon  conto  si 
contentò  d'interpretare  il  biografo  del  nostro  Frate  cosi  :  «  Intorno  al  Crocifisso 
frali  e  secolari,  dandosi  la  mano  formarono  tre  cerchi  e  girando  cantavano  salmi 


(')  Vedi  la  lettera  di  quest'oratore  del  duca  di  Milano  in  Firenze,  noi  Villari;  voi.  I, 
doc.  XXVI.  Essa  si  limita  per  altro  a  dare  notizia  della  processione. 


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e  laudi  spirituali.  »  (')  In  verità  non  mi  par  qui  cosa  essenzialmente  diversa 
da  una  processione  comune.  Questa  in  ciò  solo  differisce  dalle  altre  che  le 
genti  per  natura  del  luogo  qui  movevano  in  giro,  mentre  nelle  altre  vanno 
innanzi.  E  una  cosa  ancora  mi  viene  in  mente.  Non  potrebb'essere  che  si  fos- 
sero i  frati  e  i  preti  e  i  cittadini  cosi  disposti  per  aiutare  i  fanciulli  a  dir  me- 
glio e  più  sicuramente  le  lodi  di  Cristo,  e  ad  impedire  che  questi  innocenti 
fossero  disturbati  da' compagnacci,  e  che  nessuno  facesse  ingiuria  al  loro  Re  ? 
Per  vero,  nella  processione  che  precedè  questo  ballo  e  questi  canti  i  fanciulli 
ebbero  a  patire  non  poco  dagli  sfacciati  loro  avversar)',  i  quali  scandalizzarono 
anche  il  Nardi  che  li  disapprova  aspramente.  Così  forse  interpretando  la  cosa, 
non  potremmo  veder  somma  prudenza,  dico  umana,  dove  ad  altri  pare  di 
scorgere  ridicolaggine?  Ci  sembra  assennato  il  Landucci  quando  dice:  «  Gli 
sciocchi  si  ridon  del  male  come  del  bene  »  (p.  151).  Del  resto  chi  non  sa  che 
queste  usanze  devono  esser  giudicate  secondo  lo  spirito  dei  tempi?  Chi  ha  letto 
il  Pastor  troverà  spesso  accenni  a  costumanze  italiane  che,  ripetute  oggidì,  pro- 
vocherebbero al  riso.  Chi,  per  esempio,  potrebbe  oggi  in  Firenze  raltenere  il  riso 
vedendo  sulla  sommità  del  carro  di  San  Giovanni  un  uomo  dell'  infima  plebe 
vestito  di  pelli  con  diadema  in  testa  e  una  croce  in  mano,  legato  ad  un  palo 
fare  le  parti  del  Santo  Precursore,  perla  moneta  di  lire  dieci,  stabilita  per  leg- 
ge? Eppure  questo  spettacolo  si  ripetè  ogni  anno  in  mezzo  a  quel  popolo,  che 
era  il  più  culto  del  mondo,  fino  al  1  749!  (*)  Chi  non  rimarrebbe  oggidì  poco  meno 
che  scandalizzato  se  si  rinnovasse  la  curiosissima  festa  dello  sposalizio  del  Ve- 
scovo di  Firenze  coli'  Abbadessa  di  San  Pier  Maggiore  che  rappresentava  la 
chiesa  fiorentina  ?  Eppure  questa  festa  si  ripetè,  come  ci  dice  il  Del  Lungo, 
«  tante  volte,  quanti  vescovi  (salvo  rare  eccezioni)  ebbe  per  parecchi  secoli  la 
Firenze  del  Medio  Evo,  del  Rinascimento  e  del  Principato  Mediceo  !  »  (3)  Ma  sia 
di  ciò  quel  che  si  vuole.  Ditemi  piuttosto:  perchè  voi  tacete  ciò  che  tutti  affer- 
mano, le  preghiere  ferventi  e  i  canti  sacri  e  gli  inni  di  quei  festanti?  Vi  paion 
esse  cose  indifferenti  e  che  si  possano  lasciare,  senza  nuocere  alla  verità?  Ad 
ogni  modo,  perchè  guardare  sempre  poco  benignamente  queste  cose?  Perchè 
non  vedervi  altro  che  ridicolaggini  e  non  ammirare  invece  1'  alto  significato  che 
ha  in  sè  la  festa?  Non  è  qui  un  simbolo  e  una  prova  per  il  popolo  del  trionfo  di 
Cristo?  del  trionfo  sopra  tutte  le  vanità,  sopra  tutte  le  superbie  della  vita  pagana  ? 
Un  cattolico  il  quale  conosca  il  modo  come  il  Savonarola  era  uso  di  rappresen- 
tare il  trionfo  della  Croce  di  Cristo,  qui  resta  ammirato  dell'  ardita  concezione 

(')  Villari,  v.  II,  p.  95.  Questi  balli  o  giri  nel  tempo  del  Carnevale  erano  comuni.  Anche 
Isidoro  Del  Lungo.  L  e.  ci  dice  che  solevansi  tare  nel  carnevale  i  capannucci  carnevaleschi  e 
intorno  ad  essi  si  danzava  e  si  giocava  ai  sassi.  Anche  in  questo  caso  il  Savonarola  non 
avrebbe  fatto  altro  che  volgere  al  bene  un'usanza  profana  che  già  esisteva.  E  forse  il  severo 
Frate  aveva  di  mira  in  modo  speciale  di  cristianizzare  le  canzoni  a  ballo,  o  almeno  di  trarre 
quel  bene  che  si  poteva  per  allora  dall'  usanza  tanto  antica  in  Firenze  e  tanto  abusata  dai  Me- 
dici de' canti  in  accompagnamento  de'  giri  del  ballo.  Che  poi  i  secolari  si  unissero  ai  frati  in 
questi  balli,  si  deduce  dal  1.  c.  del  ms.  del  Razzi:  «  I  primi  cittadini  di  Firenze  non  si  sdegna- 
vano, deposti  in  terra  i  lor  lacchi....  mettersi  in  ballo  tondo  con  altri  secolari  e  frati....  » 

(*)  V.  Gotti,  opusc.  cit.,  p.  25. 

(*)  Cfr.  La  donna  fiorentina  nel  volume  La  vita  italiana  nel  rinascimento.  1,  Storia,  p.  18b\ 


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del  Frate,  e  spontanee  si  sente  piegar  le  ginocchia  per  adorare  il  gran  mistero 
della  nostra  redenzione.  Io  nel  vedere  elevato  in  aria  il  Crocifisso  sopra  le  ceneri 
delle  vanità,  sopra  le  ceneri  dell'anatema;  nel  sentire  le  voci  innocenti  de*  fan- 
ciulli che  ne  cantan  le  lodi  e  il  trionfo,  e  con  queste  unite  le  voci  de'  sacerdoti 
e  del  popolo,  sento  nell'  anima  che  son  davanti  a  qualche  cosa  di  veramente 
sublime,  davanti  a  uno  spettacolo  di  fede  che  mi  rapisce  e  m' inebria  l'anima,  mi 
conforta  nel  bene  e  quasi  non  dissi  che  mi  stacca  dalle  basse  lordure  della  sciocca 
e  turpe  nostra  età.  Non  ho  mai  potuto  contemplare  il  Trionfo  che  lo  scalpello  del 
Duprè  scolpì  sopra  la  porta  di  Santa  Croce,  senza  che  mi  ricorresse  alla  mente 
Fra  Girolamo.  Una  differenza  sola  corre  fra  i  due;  che  il  Trionfo  del  Frate  era 
un  trionfo  vivo  e  reale;  quello  del  Duprè  è  un  Trionfo  rappresentato.  Insomma 
io  non  so  persuadermi  come  un  cattolico  possa  qui  astenersi  dall'  ammirare  e 
lodare,  e  tanto  meno  so  capire  che  vi  sieno  cattolici  che  possano  biasimar 
tutto  e  non  vedervi  nulla  di  bello  e  di  buono.  Io  chino  il  capo  e  adoro,  adoro 
la  potenza,  adoro  la  stoltezza  delia  Croce  di  Cristo  che  confonde  la  superbia 
dei  sapienti  del  secolo. 

Del  resto,  pensando  bene  ogni  cosa,  si  può  credere  proprio  sul  serio  che 
gli  eccessi  dal  Pastor  accusati,  non  siano  puro  effetto  di  un  singolare  slancio 
di  amor  divino?  Si  può  credere  sul  serio  che  fosser  cose  riflessivamente  vo- 
lute e  ordinate  preventivamente  dal  Savonarola  tutte  quelle  che  avvennero 
in  queste  processioni  e  feste?  Sopra  che  cosa  poggerebbe  questa  fede  od 
opinione?  E  come  si  spiegherebbero  poi  le  parole  del  Frale  tanto  sovente 
ripetute,  che  non  si  doveva  uscire  di  gravila,  che  di  quelle  cose  non  se  ne  dove- 
vano fare  spesso,  che  era  lecito  solo  qualche  volta  uscire  dalla  sua  gravità 
per  l'amor  di  Dio?...  Le  stesse  ragioni  che  adduce  a  favore  d'alcuni  partico- 
lari, non  vi  mostrano  eh'  egli  scusa  il  fatto  straordinario,  ma  che  avrebbe 
condannato  l'abitudine?  Era  così  severo  in  ciò  il  Frale,  che  dal  pulpito  non 
dubitò  più  volte  di  riprendere  i  suoi  seguaci  perchè  gridavano  troppo  so- 
vente e  per  troppo  tempo  per  le  strade,  ne' forti  entusiasmi,  il  nome  di 
Gesù.  «  Voi,  diceva  aspramente;  fareste  venire  a  noia  anche  questo  nome 
benedetto.  »  (*")  Si  compiaceva  che  l'amor  divino  li  avesse  falli  uscire  un 
momento  fuori  di  sè,  ma  voleva  che  rientrassero  subito  nella  solita  gravità. 
Non  è  giusto  far  regola  di  un'  eccezione.  Del  resto  forse  neppure  una  volta 
parla  egli  delle  sue  feste,  senza  raccomandare  la  gravità.  Nella  predica  XXVI 
sopra  Rulli  e  Michea,  avendo  saputo  che  avevano  ordinata  una  processione 


i1)  Nella  IV  sopra  Amos  e  Zaccaria  dice  ai  fanciulli:  •  Io  non  voglio  che  voi  gridate 
più:  Viva  Gesù,  per  insino  alla  domenica  dell'  Ulivo,  se  io  non  vi  dico  altro;  perchè  tanto  gri- 
dare questo  nome,  come  voi  fate,  verrebbe  poi  in  qualche  modo  in  dispregio  alla  gente;  e 
le  cose  di  Dio  non  si  vogliono  avvilire,  ma  farle  a  tempi  e  con  ogni  riverenza.  Sicché  farete 
quanto  vi  ho  detto.  »  Terminando  la  predica  XIX  sopra  Ruth  e  Michea  aveva  egli  gridato: 
Viva  Cristo;  e  il  popolo  andava  riputendo  Viva  Cristo.  Ma  nella  predica  XXII,  diceva:  «  Non 
dico  che  gridiate;  ina  fate  orazione  e  non  gridate  anche  più:  Viva  (ir.»»,  mi  dimenticai  l'altra 
volta  di  dirvvlo.  Voi  lareste  venire  a  vile  questo  nome:  si  vuole  dirlo  di  rado  e  con  reverenza, 
e  per  tempo  di  qualche  gaudio.  Sicché  non  gridate  più....  » 


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per  il  dì  d'Ognissanti  disse:  «  La  processione  che  avete  ordinato  si  vuole 
fare,  ma  fatela  divotamente  e  col  cuore  volto  a  Dio,  e  prima  confessatevi,  e 
chi  non  può  per  di  qui  a  domenica,  innanzi  la  processione  sia  confessato;  ad 
ogni  modo  innanzi  ad  Ognissanti.  Poi  il  di  d'  Ognissanti  comunicatevi  devota- 
mente. Secondo,  non  si  vuole  andare  ornati  in  questa  processione;  ma  tutti 
umiliati  andare  pregando  Dio  tutti  per  la  città,  e  che  Dio  ci  liberi  da  un  certo 
gran  male.  Pregate  ancora  per  questi  cattivi  che  Dio  li  converta....  Or  su, 
alla  processione:  pregate  adunque  per  la  città  e  fate  che  le  donne  siano  se- 
parate dagli  uomini,  come  si  fece  1'  altra  volta....  » 

No,  nelle  feste  del  Savonarola  cerretaneria  non  ne  trovate.  Anzi,  come  per 
altri  abusi,  troverete  che  egli  lottava  anche  per  questo,  per  toglier  via  ogni 
mondanità  dalle  feste  religiose.  In  questo,  come  in  tutto  il  resto  delle  cose, 
egli  non  voleva  altro  che  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime.  Per  que- 
sto gli  piacevano  poco  le  predicazioni  fatte  nelle  feste  di  tumulto.  «  Io  ho 
detto  qualche  volta  che  quando  si  fanno  le  feste,  ognuno  vuole  la  predica 
alle  sue  feste,  non  per  bene  o  utilità  che  credino  che  abbia  a  fare  il  popolo; 
ma  per  una  certa  usanza;  e  io  ti  dico  che  in  quei  tumulti  le  prediche  sono 
buttate  via;  però  vogliamo  tor  via  quella  usanza  in  quanto  possiamo  ».  (Sopra 
Amos  e  Zaccaria,  Pred.  XXVIII  ;  e  Pred.  XVII,  sopra  Ruth  e  Michea.) 

Piuttosto  che  accusare  Fra  Girolamo  di  favorire  e  dirigere  non  sane  mani- 
festazioni religiose,  il  Pastor  sarebbe  stato  più  giusto  se  avesse  detto  che  il  Sa- 
vonarola combatteva  anche  nel  culto  quanto  non  era  stato  ordinato  da  Cristo, 
dagli  Apostoli,  dalla  tradizione,  dalla  Chiesa.  Qui  forse  avrebbe  potuto  lo  storico 
d'Innsbruck  trovare  nel  Frate  della  severità  e  del  rigore.Per  esempio  nella  XXIV 
sui  Salmi  riprova  tanti  canti  figurati  e  tante  musiche  nei  monasteri  :  «  Tutti  i 
di  canta,  canta,  canta,  e  poi  non  c'è  nulla  di  spirito;  le  monache  tutto  dì  orga- 
ni, organi,  e  poi  non  c'  è  nulla  ».  E  nella  XX  sopra  Rut  e  Michea  è  severo 
contro  i  suoni,  i  balli  e  gli  organi  quali  erano  in  uso  nel  suo  tempo.  E  segui- 
tando, si  compiace  delle  laudi  che  cantavano  i  fanciulli  la  mattina,  ma  pur 
mostra  che  darebbe  in  chiesa  la  preferenza  agli  inni  della  Chiesa.  «  Ora  a 
voi  fanciulli  parliamo  un  poco;  ascoltatemi.  Voi  cantate  qua  delle  laudi  la 
mattina,  e  sta  bene  ;  ma  io  vorrei  ancora  che  voi  cantaste  qualche  volta  de'canti 
della  Chiesa  com'  è  Ave  maris  stella,  o  Veni  Creator  Spiritus.  E  non  saria  an- 
che male  nessuno  che  il  popolo  rispondesse,  e  quando  io  vengo  in  pergamo, 
se  io  trovassi  che  cantaste  quella  Ave  maris  stella,  canterei  forse  ancora  io: 
non  dico  già  che  voi  la  cominciate  per  questo,  ma  parlo  cosi,  quando  venissi 
a  caso  ;  ch'io  venissi,  e  voi  1'  aveste  cominciata  ». 

Queste  erano  le  musiche  che  il  Savonarola  gustava  e  voleva,  quelle  che 
inducono  alla  compunzione  e  al  pentimento  dei  peccati.  (')  «  Gesù  Cristo  non 
venne  in  questo  mondo  per  darsi  piacere  e  buon  tempo  »  diceva,  e  così  vo- 
leva che  anche  noi  cercassimo  soprattutto  la  «  compunzione....  e  così  verranno 


(')  Vedi:  Dì  Musica  Sacri;  Dissertalo,  autore  Aemilio  BerarJi. 


10 


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giù  quelle  dolci  lacrime  delle  quali  si  pascono  1'  anime  rrostre  in  questa  valle 
di  miserie.  Vedi  come  bene  apparse  a  Sant'  Agostino....  quando  lo  risolvette 
in  lacrime  e  lamenti,  onde  di  lui  è  scritto:  Quando  egli  udiva  cantare  qne'begli 
inni  e  cantici  della  Chiesa,  ne  pigliava  gran  piacere  ;  e  quelle  voci  della  Chiesa  lo 
riducevano  a  lacrimare,  e  godeva,  dice,  con  quelle  lacrime.  (l)  E  quali  erano 
quelle  voci  della  Chiesa  se  non  le  parole  di  Dio  che  uscivano  dalla  bocca  di 
questi  uomini  santi  come  di  trombe?  » 

Che  poi  il  Savonarola  non  riprovasse  se  non  gli  abusi,  è  manifesto  dalla 
predica  tenuta  il  dì  4  giugno  1495  allorché  diede  le  istruzioni  sulla  proces- 
sione da  farsi  per  portare  in  Firenze  il  miracoloso  simulacro  della  Vergine 
dell'  Impruneta  :  «  Orsù,  fate  che  si  conduca  con  lumi  assai  e  trombe  e  suoni  e 
onorevolmente  e  li  uomini  separati  dalle  donne;  porterassi  a  Santo  Felice  in 
Piazza  secondo  1'  ordine....  »  (XVIII  sopra  i  salmi.) 

Del  resto  il  Pastor  se  intende  in  ciò  condannare  il  nostro  predicatore,  non 
pensa  qui  o  dimentica  una  cosa  molto  importante,  uno  de'  fini  pe'  quali  Fra 
Girolamo  e  i  suoi  ordinavano  queste  processioni.  Siamo  sempre  nel  tempo 
della  terribile  carestia,  la  città  è  sempre  ripiena  di  poveri,  le  provvisioni  di 
grano  son  sempre  difficili,  gli  usurai  continuano  sempre  a  rovinare  molti.  Anzi 
appunto  di  questi  anni  scrive  il  Nardi,  che  «  la  città  si  trovava  in  gran  travaglio, 
perchè  quivi  concorrevano  le  intere  famiglie  di  contadini  ed  altri  mendicanti 
forestieri  grandi  e  piccoli,  e  molti  d'  essi  per  la  lunga  fame  condotti  in  tanta 
debolezza  e  in  modo  consumati,  che  non  si  potevano  più  ristorare.  De'  quali 
essendo  pieni  tutti  gli  ospedali  e  altri  luoghi  perciò  di  nuovo  ordinati,  non 
bastavano  a  ricevergli;  sì  che,  venendo  meno,  cadevano  morti  per  le  strade,  e 
sopra  i  muricciuoli  appresso  alle  porte  delle  case,  e  negli  sportelli  delle  bot- 
teghe, in  tanto  che  nella  città  ne  morirono  di  fame  alcune  migliaia  >.  (Lib.  II, 
pag.  115.)  E  miserandi  casi  racconta  anche  il  Landucci  :  «  Ci  cascava  uomini  e 
donne  e  fanciulli  per  la  faine  e  alcuni  ne  moriva,  e  molti  ne  moriva  allo  spe- 
dale, eh'  eran  venuti  meno  per  la  fame....  »  (p.  145.)  E  il  Frate  commosso  nel- 
1'  animo  suo  per  gì'  indigenti  continua  a  predicare  la  carità  e  s' industria  a 
trovare  elemosine  :  e  una  delle  industrie  sono  le  feste  che  fa  celebrare,  le 
quali,  oltre  ad  uno  scopo  religioso,  hanno  adunque  anche  un  altissimo  scopo 
umanitario  e  filantropico:  sono  inspirate  e  da  amore  verso  Dio  e  da  amore 
per  il  prossimo,  segnatamente  per  i  bisognosi.  Già  abbiamo  visto  sopra  qualche 
cosa  della  carità  per  i  poveri  che  scaldava  l'animo  del  Savonarola,  e  ne  ab- 
biamo anche  una  prova  nella  predica  del  dì  8  giugno  1495  fatta  appunto 
nel  tempo  della  carestia.  Era  stata  portata  processionalmente  in  Firenze  la 
Vergine  dell' Impruneta,  come  soleva  farsi  nei  casi  di  pubbliche  calamità; 
e  già  lo  abbiamo  veduto;  e  il  Savonarola  si  compiace  della  processione  ben 
riuscita.  E  dovendosi  due  giorni  dopo  far  la  processione  del  Corpus  Do- 
mini, diceva:  «  Ognuno  si  disponga  a  quest'altra  processione  del  Corpo  di 


(')  In  officio  proprio  'S".  Auguhtini. 


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Cristo,  e  così  poi  a  quella  di  San  Giovanni,  le  quali  si  facciano  in  questa  forma 
che  si  è  fatta  questa  ora  alla  Vergine,  e  non  correre  tanti  polii,  come  solete  fare, 
ma  più  presto  dispensare  i  danari  di  questo  palio  di  San  Giovanni  ai  po- 
veri, ovvero  li  prestate  al  Comune  che  ha  bisogno  ».  (Predica  XIX  sopra  i 
Salmi.)  Questo  si  raccoglie  da  tutti  gli  scrittori  del  tempo,  ed  è  una  grave 
omissione  nel  Pastor  il  tacerlo.  Perchè  uno  storico  possa  dirsi  imparziale  e  ve- 
ritiero, non  basta  che  tutto  ciò  che  narra  sia  avvenuto,  me  è  necessario  che 
narri  1'  avvenuto  intieramente  senza  dimezzare  alcun  fatto. 

Notate,  per  esempio,  l'elemosina  ordinata  dal  Frate  pei  poveri  vergognosi 
in  quattro  chiese  il  6  dicembre  1494,  «  che  (come  dice  il  Landucci)  fu  sì  grande 
da  non  poterla  stimare  d'oro,  e  d' ariento,  pannilane,  perle  ed  altro;  ognuno 
porgeva  con  tanto  amore  e  carità  (p.  90)  ».  E  a  dì  8,  «  fu  fatta  una  processione 
molto  maravigliosa  e  tuttavolta  s'offerse  pei  detti  vergognosi  che  non  fu  manco. 
E  fu  di  sì  grande  numero  d'uomini  e  di  donne  d'una  stima  grandissima  e  con 
tanto  ordine  e  ubbidienza  del  Frate....  Non  fu  manco  limosina  che  la  prima 
della  domenica  (cioè  del  giorno  6);  non  ebbi  el  vero  del  numero  della  limosina, 
ma  furono  migliaia  di  fiorini  (p.  90-91)».  Sappiamo  altresì  che  nella  processione 
del  1496  vennero  dai  fanciulli  raccolte  tante  elemosine  che  se  ne  fondarono  ben 
quattro  monti  di  pietà.  Perchè  dunque  il  Pastor  non  dice  una  parola  di  tutto  ciò? 
Nè  crediate  già  che  il  raccogliere  elemosine  in  tali  feste  fosse  cosa  del  tutto 
secondaria  ;  no,  era  invece  uno  de'  fini  importanti  che  Fra  Girolamo  si  propo- 
neva. A  persuaderci  di  ciò  anche  lasciando  i  cronisti  del  tempo  e  i  biografi  del 
Frate,  che  dicono  cose  mirabili,  basta  aprire  le  prediche  sopra  Ruth  e  Michea: 
«  Or  su,  alla  processione....  Offrite  elemosine  assai,  e  ordinate  che  vadano  agli 
uomini  di  San  Martino,  che  le  distribuiscano  poi  loro  ai  poverelli.  E  voi  poveri  uo- 
mini buoni,  non  dubitate,  chè  se  voi  vi  confidate  in  Dio,  senza  dubbio  alcuno 
Lui  vi  aiuterà  ad  ogni  modo,  se  voi  farete  bene.  Io  non  ho  mai  letto,  nè  mai 
inteso  dire,  che  io  mi  ricordi,  che  nessun  servo  di  Dio  morisse  di  fame.  Orsù, 
offerisca  adunque  ognuno  per  aiutare  i  poverelli,  e  voi  ricchi  offerite  abbon- 
dantemente oro  ed  argento.  E  questo  è  quanto  io  v'  ho  voluto  dire  per  ordine 
della  processione....  Tu  povero  uomo,  che  temi  la  carestia,  di':  L'ha  fatta  ve- 
nire il  Frate.  Io  ho  buone  spalle,  dite  pure  quanto  male  volete  di  me  :  povero 
uomo  che  tu  sei!  Io  ho  esortato  ognuno  a  lavorare  ed  ho  fatto  fare  processioni 
e  trovare  limosine  per  te:  domanda  pure  quelli  di  San  Martino  che  lo  sanno  ». 
(Pred.  XXVI  e  XIX.)  Ma  del  resto  erano  poi  proprio  queste  feste  e  queste  pro- 
cessioni del  tutto  cosa  del  Savonarola?  Prima  di  lui  in  Italia,  in  Firenze  non 
se  ne  facevano  di  simili?  Già  non  abbiamo  visto  di  sopra  che  anche  prima  del 
Savonarola  se  ne  facevano;  e  il  Pastor  ha  cura  di  notarlo  nell'introduzione 
del  suo  libro  dove  parla  del  bene  in  Italia  all'epoca  del  risorgimento;  e  si  com- 
piace di  dirci  che  le  feste  cristiane  erano  accompagnate  da  una  pompa  e  da 
un  gusto,  di  cui  il  settentrione  non  aveva  alcuna  idea....  Le  descrizioni  de'con- 
lemporanei  ci  mostrano  come  in  tali  occasioni  venisse  in  servizio  della  religione 
tutto  lo  sfarzo  e  lo  splendore  delle  festività  sì  altamente  sviluppato  neh'  epoca 
del  rinascimento.  E  già  nel  II  volume  a  pag.  198-199  lo  storico  de' Papi  com- 


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move  e  rapisce  con  1'  artistica  descrizione  della  processione  del  Corpus  Vomirti 
celebrata  in  Viterbo  da  Pio  II  l'anno  1462:  «  Tutta  la  pompa  ned'  epoca  del 
rinascimento,  venne  in  tali  circostanze  messa  a  servigio  della  religione....  Uni- 
versale stupore  destarono  gli  arazzi  superbi  dei  cardinali  francesi.  Altri  del 
sacro  Collegio  avevano  esposti  dei  quadri  viventi:  p.  es.  il  Torquemada  la  isti- 
tuzione dell'  ultima  Cena,  presso  la  quale  si  vedeva  una  statua  di  San  Tom- 
maso d'  Aquino.  Il  Carvajal  aveva  rappresentato  la  caduta  degli  angeli  ru- 
belli,  il  Borgia  una  fontana  zampillante  vino,  e  il  SS.  Sacramento  adorato  da 
due  angeli,  il  Bessarione  un  grande  coro  di  spiriti  celesti.  Accanto  si  vedevano 
altresì  composizioni  ancora  oggi  assai  difficili  ad  intendersi,  come  le  lotte  di 
uomini  selvaggi  con  leoni  ed  orsi.  Sulla  piazza  del  mercato  era  imitato  il 
santo  sepolcro,  dal  quale  all'  avvicinarsi  del  papa,  il  Salvatore  sorgeva  ed  an- 
nunziava al  popolo  in  versi  italiani  la  redenzione.  In  simil  guisa  si  poteva  ve- 
dere la  tomba  della  beatissima  Vergine;  dopo  il  pontificale  e  la  benedizione 
venne  quivi  parimente  rappresentata  da  figure  viventi  l'  assunzione  di  Maria. 
Oltre  a  ciò  tutte  le  vie,  per  le  quali  si  moveva  il  corteggio  solenne,  erano 
adorne  di  olezzanti  corone,  di  drappi  azzurri  brillanti  di  stelle  dorate  e  di 
altari  ed  archi  trionfali  sontuosissimi;  in  ogni  luogo  risonavano  sacri  concenti. 
A  migliaia  erano  gli  accorsi  dai  dintorni  per  vedere  la  processione,  nella  quale 
Pio  II  in  preziosi  abiti  pontificali  portava  il  Santissimo.  A  detta  dei  cronisti 
di  Viterbo,  non  solo  la  città  loro,  ma  nemmeno  l' Italia  intera  aveva  mai  ve- 
duta una  festa  ecclesiastica  cotanto  maravigliosa  ».  E  venendo  a  parlar  proprio 
di  Firenze,  il  Pastor  nota  a  pag.  65  del  Voi.  Ili  che,  «  Un  carattere  semidram- 
matico aveva  la  famosa  processione  solenne  il  giorno  di  San  Giovanni  in  Fi- 
renze, della  quale  ci  rimangono  descrizioni  degli  anni  1439  e  1454....  E 
evidente,  che  nel  solenne  corteggio  si  rappresentava  l'intera  storia  universale 
dalla  caduta  di  Lucifero  fino  all'  ultimo  giudizio  ».  E  un'  altra  particolarità  di 
quella  festa  ricordammo  noi  di  sopra.  (')  Ora,  quale  differenza  corre  Ira  que- 
ste pompe  religiose  e  quelle  del  Savonarola?  Questa  solamente  forse:  che 
le  feste  del  Savonarola  erano  un  poco  più  semplici  e  fatte  con  più  fervore, 
con  più  abbondanza  di  spirito  cristiano  e  con  più  riguardi  a'  fanciulli,  e  niente 
altro.  Da  quelle  del  Savonarola  non  dovevano  gran  fatto  differire  le  dirette 


(')  Una  completa  ed  interessante  descrizione  di  questa  festa  vedila  nella  Storia  della 
Repubblica  Fiorentina  del  Capponi,  voi.  II,  pag.  531,  tratta  da  tìoro  Dati.  Parlando  delle 
feste  Savonaroliane  bisognerebbe  non  dimenticarci  die  quella  €  era  l'epoca  de' grandi 
corteggi,  di  processioni  ecclesiastiche,  cavalcate,  corse  carnascialesche,  tornei,  gare,  com- 
battimenti di  tori;  l'epoca  in  cui  Lucrezia  e  Cesaro  Borgia  uscivano  a  cavallo  seguiti  da 
centinaia  di  cavalieri;  quando  cardinali  di  case  regnanti  recandosi  a  cavallo  al  Vati- 
cano, per  lo  spazio  e  il  numero  del  loro  seguito  gareggiavano  cogli  stessi  re;  quando 
vita  secolaresca  e  pompa  profana  aduggiavano  il  costume  ecclesiastico  >.  (Reumont  citato 
dal  Pastor  a  pag.  452).  Vedi  anche  nel  Pastor  medesimo  a  pag.  33  il  testo  e  la  nota  2  molto 
importante.  Questa  finisce  cosi:  «  Anche  oggi  l'evangelo  della  passione  vien  cantato  nella 
Chiesa  cattolica  drammaticamente  a  voci  diverse;  tutt'  oggi  essa  celebra  le  processioni  simbo- 
liche, la  sepoltura,  la  resurrezione  così  da  appagare  i  sensi  ».  Prendendo  a  rigore  le  osservazioni 
del  Pastor  contro  le  feste  del  Savonarola,  dovremmo  condannare  tutta  la  letteratura  dram- 
matica sacra. 


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dai  Domenicani  di  Pistoja  e  fatte  da  un  sodalizio  di  giovanetti  che  colle  loro 
«  processioni  simboliche  »  e  «  spettacoli  sacri  »  commovevano  il  popolo  fino 
alle  lacrime.  (Pastor,  pag.  3(i.)  Perchè  dunque  il  Pastor  biasima  nel  Frate 
ciò  che  loda,  e  si  rallegra  di  vedere  in  tanti  altri? 

Del  resto  il  Savonarola  può  forse  anche  aver  preso  altrove  l' idea  di  tali 
feste.  L'Aquarone  (Cap.  1)  trae  dalle  Antichità  Estensi  del  Muratori  una  breve 
descrizione  delle  sontuosissime  feste  celebrate  1'  anno  1459-60  in  Ferrara,  al- 
lorché fu  accolto,  nell'andata  al  Concilio  di  Mantova  e  nel  ritorno  da  esso, 
Pio  II  Papa:  (')  e  nota  che  nella  descrizione  minuta  del  Muratori  si  vedono 
sulle  sponde  del  fiume,  disposte  di  mano  a  mano  rappresentazioni  festose  e 
magnifiche  di  Dei  e  Dee,  di  Giganti  e  Virtù....  Succedevano  fanciulli  e  fanciulle 
in  numerose  schiere,  con  ghirlande  in  capo,  die  cantavano  e  frammischiavano 
a'  loro  canti  i:  Viva  al  Papa  e  al  duca  Borso.  »  (2) 

«  11  fanciullo  Ieronimo,  »  segue  l'Aquarone,  «  figlio  di  persona  addetta  alla 
corte,  non  può  non  aver  veduto  e  sentito  a  parlar  di  quelle  feste  anche  da 
vicino:  e  se  era  tuttavia  fanciullo,  era  pure  in  età  da  poterne  serbare  memo- 
ria. E  di  esse  si  sarà  forse  ricordato  nel  convento  di  San  Marco,  meditando 
la  riforma  della  Chiesa;  e  quelle  rappresentazioni  di  Dei  e  di  Dee,  le  schiere  di 
que'  fanciulli  e  fanciulle  acclamanti  al  duca  e  al  Papa,  mentre  appunto  la 
mezzaluna  minacciava  vittoriosa  da  Costantinopoli,  avranno  ad  essergli  ap- 
parse quasi  uno  sciierno  e  un  dileggio  al  principio  cristiano.  »  (3J 

Ma  chi  sa  che,  come  la  Chiesa  trasse  da'  pagani  molte  cose  e  le  volse  a 
celebrare  le  glorie  di  Dio  vero;  così  il  Savonarola  non  pensasse  di  trarre  queste 
usanze  che  arieggiavano  il  paganesimo,  a  gloria  di  Cristo  Dio  vivo?  Questo  pen- 
siero forse  non  è  del  tutto  falso.  Guido  Biagi  nella  conferenza  intitolata  :  La 
vita  privata  dei  fiorentini  (*)  dice:  «  La  paganità  rinascente  invadeva  le  feste 
religiose  e  le  trasformava  ai  suoi  fini  ».  Non  potrebbe  dirsi  che  il  Savonarola, 
non  potendo  del  tutto  togliere  quanto  di  profano  era  nelle  feste,  cercasse  di 
rivolgerlo  a  fine  cristiano?  Certo  questo  si  conforma  e  consuona  al  sistema 
del  Frate  di  San  Marco.  E  in  questo  caso,  non  s'  avrebbe  a  far  altro  che  tri- 
buirgli  nuova  lode  e  gloria.  Ad  ogni  modo,  se  il  Pastor  vorrà  persistere  nel 


(')  Anche  il  Pastor  parlando  di  questo  viaggio  di  Pio  II  non  solo  scrive,  che  tutti  i 
luoghi  toccati  da  quello  facevano  il  possibile  per  un  solenne  ricevimento  del  vicario  di 
Cristo,  e  preti  e  laici  gareggiavano  nel  testimoniargli  la  loro  riverenza;  ma  nota  di  più 
anch' egli  che  «  fanciulli  e  ragazze  con  corone  di  alloro  in  capo  e  palme  d'olivo  in  mano,  augu- 
ravano lunga  vita  e  felicità  all'  ospite  eccelso.  »  (Voi.  II,  p.  35,  vedi  anche  p.  41  e  p.  419-422.) 

(*)  V.  anche  Villari,  voi.  I,  p.  10  e  11. 

(3)  Ci  sembra  anche  molto  a  proposito  il  notare  qui  ciò  che  si  legge  nel  Pastor  (II, 
p.  200)  rispetto  alle  feste  di  Santa  Caterina  celebrate  ne' chiostri  Domenicani:  «Ogni  anno 
ne' chiostri  dei  Domenicani  l' anniversario  di  Caterina  era  una  festa:  si  predicava  delle 
virtù  di  lei  e  donzelle  recavano  dinanzi  alla  sua  effigie  mazzi  e  ghirlande  di  fiori.  In  sulla 
sera  nell'atrio  esterno  del  chiostro  si  rappresentavano  in  scene  drammatiche  le  azioni  più 
importanti  della  sua  vita;  i  cori  cantati  in  tale  circostanza  ci  rimangono  tuttavia.  «  O  città 
della  Vergine  »  vi  si  dice,  «  o  dolce  patria  Siena,  la  gloria  di  questa  povera  vergine  sopravanza 
ogni  tuo  splendore  ». 

(4)  Nel  volume  cit.  La  vita  italiana,  ecc.  pag.  139. 


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condannare  qui  il  Savonarola,  lo  faccia:  noi  crediamo  di  poterlo  non  pure 
assolvere,  ma  lodare;  pensando  alla  consuetudine  che  vige  tuttora  nella  Chiesa, 
specialmente  la  Settimana  Santa;  ci  piacerà  sempre  stare  con  San  Filippo,  il 
quale,  come  c'insegna  1'  eminentissimo  cardinale  Gapecelatro,  imitò  in  questo 
il  Frate  di  San  Marco.  Non  rileviamo  poi  1'  accusa  che  il  Pastor  lancia  contro 
i  seguaci  del  Savonarola,  nella  nota  prima  della  pagina  140,  dicendo  che  il 
loro  «  tramenio  ricorda  in  molti  tratti  quello  dell'esercito  della  salute  a' tempi 
nostri  »  :  essa  non  ha  nulla  di  vero;  e  non  ci  pare  affatto  seria.  Stiamo  anche 
qui  col  Capecelatro:  «  Gli  effetti  che  derivarono  sì  dalle  radunanze  del  Savo- 
narola, sì  da  quelle  di  San  Filippo  furono  sempre  un  ravvivamento  grande  di 
fervore  religioso  e  un  ritorno  di  tutti  al  sentimento  della  severa  morale  cri- 
stiana ».  (Vita  di  San  Filippo,  lib.  II,  cap.  V.) 

Un'altra  cosa  che  un  cattolico  spiega  difficilmente,  si  legge  nel  Pastor: 
la  condanna  del  Frate  di  San  Marco  per  i  divertimenti  che  proibiva:  «  Nel 
suo  zelo  smoderato  il  Frate  Domenicano  proibiva  divertimenti  per  sè  lecitis- 
simi ».  Qui  il  severo  critico  s'  appoggia  anche  al  Gaspary,  e  indirettamente 
ad  un  passo,  che  ei  chiama  notevole,  del  Giannotti.  Ora  che  dice  al  propo- 
sito il  Gaspary?  Ecco  :  dopo  d'aver  accennato  alla  religiosità  specialmente 
de'  letterati  nel  secolo  XV,  diversa  da  quella  del  secolo  XIII,  alla  religiosità 
divenuta  più  fredda,  più  razionale,  più  mondana;  dopo  aver  detto  che  nel  se- 
colo XV,  si  credeva  ancora  nel  cielo,  ma  accanto  anche  la  terra  faceva  valere 
i  suoi  diritti,  le  pie  consuetudini  erano  ancora  mantenute  e  praticate,  ma  non 
formavano  più  il  contenuto  più  importante  della  vita  e  dovevano  tollerare  presso 
di  sè  altri  interessi;  dopo  d'  aver  detto  tutto  questo,  afferma  che:  «  Ciò  disco- 
nobbe il  Savonarola  quando  sullo  scorcio  del  secolo  volle  ricondurre  la  fede  a 
tutta  la  sua  forza  e  purezza:  egli  non  si  avvide  che  i  tempi  erano  mutati,  e, 
mentre  si  opponeva  alla  indifferenza  e  alla  corruzione  crescenti,  esagerò  la 
sua  reazione,  volle  rinnovare  1'  ascetismo  medioevale.  Perciò  (segue  sempre  il 
Gaspary)  egli  potè  trovare  per  qualche  tempo  seguaci  si  aderenti  e  pieni  di 
entusiasmo;  ma  1'  opera  sua,  per  la  quale  incontrò  il  martirio,  non  fu  dure- 
vole ;  chè  egli  non  seppe,  come  Lutero,  legare  la  sua  riforma  con  nodi  indis- 
solubili alla  realtà  ».  In  nota  poi,  quasi  a  spiegar  meglio  il  suo  pensiero,  il 
Gaspary  aggiunge:  «  Il  Savonarola,  come  i  predicatori  di  penitenza,  che  lo 
avevano  preceduto,  abbruciò  le  vanità,  maschere,  imagini  e  libri  frivoli;  Lu- 
tero abbruciò  la  bolla  papale  di  scomunica  ».  (Storia  della  Letteratura  Ita- 
liana, voi.  II,  part.  1,  pag.  185-186.) 

Per  un  cattolico  mi  pare  che  questo  linguaggio  non  abbia  bisogno  di  molti 
commenti.  Lascio  alcune  inesattezze  di  giudizio  intorno  all'  opera  del  Savona- 
rola. Vedremo  fra  poco  se  sia  vero  che  il  Frate  esagerò  la  sua  reazione;  ora 
stando  al  punto  e  all'  intento  principale  del  Gaspary,  dico  che  il  linguaggio  di 
lui,  ebreo,  non  è  linguaggio  da  cattolico.  Un  cattolico  è  impossibile  che  sotto- 
scriva semplicemente  la  sentenza  di  condanna  a  chi  vuole  ricondurre  la  fede  a 
tutta  la  sua  forza  e  purezza  e  per  1'  opera  sua  incontra  il  martirio.  Un  cattolico 
capisce  subito  che  questa  non  è  esagerazione,  nè  perciò  un  cattolico  pronun- 


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cierà  in  disapprovazione  le  parole  ascetismo  medioevale,  fatte,  o  quasi,  sinonimo 
di  forza  e  purezza  di  fede.  II  raffronto,  o  meglio,  I'  antitesi  fra  il  Savonarola 
e  Lutero  è  tutta  verità;  ma  i  cattolici  non  devono  stare  in  dubbio  nemmeno 
un  istante  nella  scelta  de' due  sistemi;  e  la  parola  realtà,  così  come  l'usa  il 
Gaspary,  pe' cattolici  può  anche  essere  senza  significato;  ed  è  impossibile  che 
questi  tengano  per  buona  la  sentenza  di  quello  in  proposito.  Certo  si  deve 
pensare  che  il  Pastor,  poggiandosi  a  questo  passo,  Io  facesse  con  tutte  le 
debite  riserve,  e  non  intendesse  altro  se  non  di  dire  .che  anche  il  Gaspary 
tiene  il  Frate  per  troppo  severo  ed  esagerato. 

Ma  nulla  del  resto  fin  qui  si  capisce  de' divertimenti  e  de' piaceri  per  sè 
lecitissimi  proibiti  dal  Frate:  a  questo  si  riferisce  piuttosto  il  passo  del  Gian- 
notti  citato  in  appendice  dal  Gaspary,  e  a  quello  ancora  ci  rimanda  il  Pa- 
stor. Eccolo  adunque:  «  Si  vede  manifestamente,  che  chi  vuole  privare  gli 
uomini  di  questi  piaceri  mondani,  cerca  combattere  contro  la  natura.  Siccome 
noi  vedemmo  che  fece  Fra  Girolamo,  il  quale,  volendo  fare  gli  uomini  buoni, 
messe  tanto  terribili  e  violente  usanze,  togliendo  via  tutte  le  allegrezze  e  feste 
pubbliche,  che  ebbero  poca  stabilità,  ed  insieme  con  la  voce  di  quello  rui- 
narono  ». 

Che  valore  ha  questo  passo?  Ci  mostra  l'efficacia  della  parola  di  Fra 
Girolamo,  e  poco  o  nulla  altro:  mostra  che  aveva  ragione  il  Frate  quando 
diceva  che,  essendo  ancor  tenera  la  pianta  del  ben  vivere  da  lui  messa  in 
Firenze,  terra  avvilita  dalla  lunga  servitù,  aveva  bisogno  di  assidua  coltura, 
aveva  bisogno  del  continuo  aiuto  della  parola  divina,  e  che,  mancando  questo 
anche  per  poco,  la  pianta  aduggiava  e  intristiva,  i  vizj  crescevano  e  dilaga- 
vano. Questo  si  raccoglie  chiaro  chiaro  da  questo  passo  notevole,  nel  quale 
si  constata  che  i  costumi  e  gli  uomini  buoni  minarono  con  la  ruina  del  Frate, 
ma  nuli'  altro  veramente  si  rileva. 

L'  espressione  poi  che  dice  che  il  Frate  pose  terribili  e  violenti  usanze,  la 
esamineremo  in  seguito  e  vedremo  che  valore  abbia  e  quanto  erronea  sia  ; 
per  adesso  mi  contento  d'  affermare  che  è  manifestamente  falso  che  il  Savo- 
narola togliesse  via  tutte  le  feste  pubbliche:  già  dal  narrato  fin  qui  è  mani- 
festo il  contrario.  La  parola  allegrezze  richiederebbe  pur  essa  qualche  schiari- 
mento, se  si  vuole  che  abbia  un  senso:  o  almeno  un  senso  preciso.  Il  let- 
tore poi  resta  certo  sempre  con  un  desiderio  :  quali  sono  i  piaceri  mondani 
de'  quali  Fra  Girolamo  volle  privare  i  Fiorentini?  E  chiaro  che  la  frase  può 
aver  buono  e  cattivo  senso.  Se  i  piaceri  mondani  fosser  i  condannati  dalla 
morale  del  Vangelo,  o  anche  semplicemente  dalla  morale  civile,  chi  potrebbe 
rimproverare  il  Frate  d'averli  proibiti?  Egli  non  avrebbe  fatto  altro  che  il  do- 
vere del  buon  predicatore  e  del  buon  cittadino.  Ma  starebbe  altrimenti  la  cosa 
se  questi  piaceri  mondani  fosser  di  quelli  leciti  e  permessi  da  ogni  legge  e 
buona  costumanza,  chè  allora  il  Frate  avrebbe  imposto  a  tutti  pesi  che  il 
maggior  numero  degli  uomini  non  sono  obbligati  a  portare;  e  forse  avrebbe 
anche  imposto  oneri  importabili  biasimati  anche  dal  Vangelo  ;  il  che  non  po- 
trebbe essere  senza  danno,  nè  passare  senza  biasimo. 


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Procura  il  Pastor  forse  di  risolvere  questa  questione?  chiarisce  questi  dubbj? 
Per  nulla;  assolutamente  per  nulla.  Afferma  che  «  nel  suo  zelo  smoderato  il 
Frate  domenicano  proibiva  divertimenti  profani  anche  lecitissimi,  »  e  questo  gli 
basta.  Dunque,  se  vogliamo  capir  qualche  cosa,  non  ci  resta  altro  che  cer- 
car noi  quali  sieno  queste  feste  e  questi  piaceri  mondani,  questi  divertimenti 
profani  e  pur  lecitissimi,  che  il  Frate  non  voleva  e  proibiva,  allora  forse  e 
soltanto  allora  potremo  dare  sentenza  ragionevole  sopra  di  lui  e  valutare  il 
peso  delle  parole  del  Pastor  e  del  Giannotti:  altrimenti  ci  troveremmo  nel 
caso  di  votare  con  un  «  non  liquet  ». 

Ma  in  parte  noi  già  abbiamo  visto  quali  feste,  quai  divertimenti  spiaces- 
sero al  Frate  di  San  Marco  :  gli  spiaceva  la  mondanità  nelle  feste  de'  Santi 
Cristiani  ;  ma  qui  nessuno  si  accorge,  tra  i  buoni,  che  il  Savonarola  fosse  ani- 
mato da  zelo  smoderato;  anzi  ognuno  vi  trova  uno  zelo  assai  giusto  e  lode- 
vole. «  Si  fa  certe  feste  le  domeniche  di  quaresima,  diceva,  a  San  Gaggio,  a 
Fiesole,  al  Paradiso,  e  vassi  qui  alle  taverne....  Figliuoli  miei,  io  non  voglio 
che  vi  andiate.  Provvedete  voi,  cittadini,  che  queste  feste  non  si  facciano.  Fi- 
renze è  la  città  di  Dio,  e  però  bisogna  che  viviate  costumatamente....  Dovete 
attendere  ad  unirvi  con  Cristo  e  vivere  costumatamente  e  andare  ai  vespri  il 
dì  delle  feste,  e  non  a  Fiesole  e  in  questi  altri  luoghi,  che  non  sta  bene  in  questo 
tempo  di  quaresima  andare  in  simili  luoghi,  massime  i  fanciulli  che  vi  sono  poi 
sviati  ».  (V,  sopra  Amos.)  Le  sue  parole  non  erano  già  contro  a'  divertimenti 
profani  come  tali,  ma  a  quel  culto  esterno  che  piegava  al  soverchio  e  al  super- 
stizioso; le  sue  parole  suonavano  semplicemente  disapprovazione  della  cerre- 
taneria  nelle  feste  di  Dio;  volevano  toglier  semplicemente  dalla  chiesa  la  dissi- 
pazione. Volle  anche  toglier  via,  e  vi  riuscì,  il  gioco  dei  sassi, •(')  ma  anche  di  que- 
sto dobbiamo  lodarlo,  e  lo  lodarono  tutti,  amici  e  nemici;  e  anche  il  Giannotti, 
come  vedremo  quanto  prima,  conviene  in  ciò  col  Frate.  Era  tanto  poco  lecito 
questo  divertimento,  che  finiva  sovente  con  la  morte  di  alcuno  de' giocatori,  e 
recava  sempre  danno  e  turbamento  non  piccolo  a'cittadini.  (Cf.  Nardi,  v.I,  p.  96.) 

Oltre  alla  mondanità  nelle  feste  cristiane  e  «  al  bestiale  gioco  de' sassi  e 
altre  cose  più  dannate  del  corrotto  secolo  »  come  si  esprime  il  Nardi  (I,  p.  1 14), 
il  Savonarola  volle  anche  toglier  via  da  Firenze,  e  riuscì  nell'intento,  i  canti 
carnascialeschi,  i  trionfi,  le  mascherate,  quali  erano  in  usò'  al  tempo  de'Medici.  (*) 
Ma  anche  qui  è  impossibile  che  un  cattolico  biasimi  o  condanni  il  Frate  nostro. 

De'  carnasciali  fiorentini  medicei  molto  è  stato  scritto.  Con  magnifico  ap- 
parato Mascherate  e  Trionfi  uscivano  fuori  nel  dopo  pranzo,  e  duravano  fino 
a  tarda  ora  di  notte;  tiravansi  dietro  un  codazzo  di  gente  riccamente  vestita 
a  cavallo;  a  volte  passava  i  trecento,  nè  minori  contavansi  i  pedoni,  i  quali  veni- 
vano portando  in  mano  torce  bianche  accese  la  sera,  sì  che  rendevano  al  par 
del  giorno  luminosa  la  notte.  In  tal  guisa  con  la  mimica  espressiva  degli  attori  e 


(')  V.  sopra,  pag.  137,  nota  2. 

C)  Anche  il  Perreus  (p.  13"»),  nota  ohe  «  sparve  o<;i)i  canzone  oscena  od  anche  profana  »; 
ma  non  pare  perciò  eh'  egli  biasimi  il  Frate. 


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delle  attrici,  a  quattro,  a  otto,  a  dodici  e  sino  a  quindici  voci  accompagnate  da 
varj  strumenti  con  musica  armoniosa  cantavansi  i  trionfi  e  i  canti  carnascialeschi, 
una  modificazione  delle  canzoni  a  ballo,  che  nel  primo  concetto  hanno  qualche 
cosa  de'  saturnali  antichi,  ripieni  di  oscenità.  E  non  è  certo  punto  esagerato 
il  Villari  quando  scrive  che  i  canti  carnascialeschi  che  formavano  la  prediletta 
occupazione  d'  un  principe  lodato  per  tutto  il  mondo,  e  tenuto  come  il  modello 
d'ogni  sovrano,  un  prodigio  d'accortezza,  un  genio  politico  e  letterario,  oggi 
1'  ultima  plebe  li  avrebbe  a  sdegno,  e  1'  andarli  cantando  per  la  città  sarebbe 
considerato  un'offesa  al  pubblico  decoro,  nè  resterebbe  impunito.^)  Predicano, 
dice  il  Carducci  (2),  aperto  il  disconoscimento  d'ogni  legge  morale,  o  fanno  della 
disonestà  una  galanteria,  o  agli  amori  inverecondi  alludono  con  equivoci  con- 
tinuati ad  allegoria.  Non  pare  che  si  possa  mostrar  meglio  in  suo  regno  lo 
spirito  pagano  sensuale  di  quello  che  si  mostri  in  tali  componimenti;  tasse 
metafore,  figure  invereconde,  quando  non  si  parla  sveltamente  e  in  senso 
proprio,  sono  chiamale,  meglio  che  a  velare,  a  rappresentar  vivo  vivo  quanto 
v'  ha  di  brutto  neh'  uomo  rotto  al  turpe  vizio  di  lussuria. 

Pittori,  scultori,  meccanici,  musici,  poeti,  facevano  prova,  scrive  il  Lasca, 
a  chi  più  lussuriosamente  sapeva  porgere  sollazzo  al  popolo  fiorentino.  Roma 
e  Grecia,  dicesi,  non  videro  spettacoli  più  grandiosi.  Gli  effetti  di  tuttociò  quali 
furono?  Corruzione  tale  che  i  giovani,  scrive  il  Marchese,  (3)  parevano  non  ago- 
gnare ad  altro  che  a  lascivia,  nè  saziare  mai  loro  voglia.  Ogni  idea  di  libertà, 
ogni  generoso  sentimento,  ne' cosiffatti  spegnevasi;  cresceva  l'ateismo  pratico; 
i  buoni  attristavansi.  E  sovente  quelle  feste  erano  anche  un  insulto  alla  comune 
miseria,  perchè  vi  si  gettavano  incredibili  somme.  Nella  citata  conferenza  di 
Isidoro  Del  Lungo  La  donna  fiorentina  (*),  vien  descritta  l' eccessiva  sontuosità 
d'  una  festa  fatta  il  7#febbraio  1468,  nella  quale  il  solo  Lorenzo  dei  Medici,  allora 
giovanetto,  spese  10,000  fiorini.  Invero  giusto  e  mite  era  Savonarola  quando  scri- 
veva nel  suo  Trattato  del  Reggimento  di  Firenze:  «  Il  tiranno  molte  volte,  massima- 
mente in  tempo  di  abbondanza  e  quiete,  occupa  il  popolo  in  spettacoli  e  feste, 
acciocché  pensi  a  sè  e  non  a  lui;  e  che  similmente  i  cittadini  pensino  al  governo 
della  casa  propria,  e  non  si  occupino  nei  secreti  dello  stato,  acciocché  siano 

inesperti  e  imprudenti  nel  Governo  della  città  Il   tiranno  sempre 

cerca  di  corrompere  la  gioventù,  e  tutto  il  ben  vivere  della  città,  come  cosa  a  lui 
sommamente  contraria.  E  se  questo  è  grande,  anzi  sommo  male  in  ogni  città 
e  regno,  massime  è  gravissimo  in  quelle  de'  Cristiani  »  (5) 


(')  Villari,  voi.  I,  pag.  41. 

(2)  Delle  Poesie  di  Lorenzo  de'  Sledici,  Prefazione  all'edizione  Barbèra,  1859. 

(3)  Scritti  varii,  v.  I,  p.  142. 

(4)  Voi.  citato  La  vita  italiana,  ecc.  p.  172  e  segg. 

()  Anche  il  Pastor  parlando  del  carnovale,  certo  non  pari  a' Medicei,  celebratosi  in 
Roma  da  Paolo  li,  che  pur  non  era  un  tiranno,  nè  corrompitore  degli  uomini,  dice:  «Già 
fin  d'allora  si  levarono  del  resto  voci  di  biasimo  contro  simili  procedimenti  assai  mondani; 
ma  esse  non  trovarono  ascolto  presso  Paolo  II,  il  quali1  si  partiva  dal  calcolo  che  mediante 
gli  avariati  sollazzi  popolari,  si  sottraeva  il  terreno  alle  mene  demagogiche  e  rivoluzio- 
narie ».  (Voi.  II,  p.  2S0-281.; 


—  154  - 


L'esser  adunque  il  Savonarola  riuscito  a  far  cessare  questa  inverecondia, 
a  noi  pare  che  non  sia  1'  ultima  delle  benemerenze  di  lui  verso  la  civiltà  e  la 
religione,  verso  la  libertà  e  il  buon  costume.  Se  alcuno  lo  volesse  condan- 
nare perciò,  credo  non  farebbe  altro  che  condannar  se  stesso.  E  certo  il  Pastor 
nè  altro  cattolico  moverà  qui  rimprovero  d'  alcuna  sorta  al  severo  Riforma- 
tore. E  come  potrebbero  farlo?! 

Ma  il  Savonarola  proibiva  pure  altre  feste,  per  esempio,  il  correr  del  pa- 
lio.... Ecco  :  a  Fra  Girolamo  certo  non  piaceva  molto  che  il  correr  del  palio  gua- 
stasse la  gravità  e  la  santità  delle  feste  religiose  :  ma  non  troverete  che  con- 
dannasse mai  la  cosa  in  sè  ;  nè  che  si  adoperasse  di  proposito  per  far  cessare 
questa  usanza  come  tale.  Ben  è  vero  che  per  consiglio  di  lui  non  furon  corsi 
alcuni  palj,  ma  se  consideriamo  bene  le  circostanze  nelle  quali  ciò  avvenne, 
ammireremo  la  prudenza  e  la  carità  del  Frate.  Ciò  avvenne  o  quando  la  città  era 
piena  di  poveri  che  pur  ne  morivano  molti  di  fame  per  le  vie,  o  quando  la  città 
trovavasi  in  pericoli  estremi,  o  per  lo  meno  in  condizioni  finanziarie  strettissime. 
Già  abbiamo  visto  per  esempio  (pag.  35)  che  non  si  corser  i  palj  nell'  anno 
1495,  ma  si  rilegga  quel  capitolo,  e  poi  non  pure  un  cattolico,  ma  un  uomo 
mondano,  solo  che  abbia  un  poco  di  cuore  e  di  senno,  ammirerà  e  loderà  la 
saviezza  del  Frate.  Mentre  pur  morivano  di  fame  «  molte  migliaia  »  a  che 
correr  palj?  Non  fu  opera  eminentemente  cristiana  il  destinare  il  denaro  a 
sollevare  un  poco  la  miseria  de'  poveri  ?  Parimenti  nel  1496,  quando  la  città 
era  ancor  piena  di  poveri  ed  era  stremata  di  finanze  e  in  manifesto  pericolo 
pe'  nemici  esterni,  il  Frate,  avendo  inteso  che  si  voleva  correre  il  palio,  disse 
dal  pulpito:  «Io  intendo  che  il  dì  di  San  Barnaba  si  corre  il  palio.  Pare  egli 
a  voi  che  sia  tempo  da  palio?  lo  vi  dico  che  egli  è  tempo  da  piangere  e  non 
da  ridere.  Voi  dovete  più  presto  fare  ne'  vostri  Consigli,  che  quei  denari  si 
dieno  alla  compagnia  di  San  Martino  per  distribuirli  a'  poveri  vergognosi,  e 
farete  cosa  che  piacerà  più  a  San  Barnaba  che  correre  palio.  Così  dico  del 
palio  di  San  Giovanni:  fate  eh' e'  si  faccia  senza  palio,  e  San  Giovanni  l'avrà 
molto  più  per  bene,  altrimenti  lui  I'  avrebbe  molto  per  male.  Io  vi  dico  che 
gli  è  tempo  da  piangere  e  non  da  ridere.  E'  si  vuole  in  questa  festa  di  San 
Giovanni,  che  è  il  padrone  della  terra  vostra,  che  voi  vi  confessiate,  e  farete 
cosa  che  gli  piacerà.  Non  tanti  spiritelli,  non  tante  frasche;  bisogna  che  le 
cose  vostre  sieno  tutte  unite  a  Cristo,  perchè  egli  è  tempo,  vi  dico,  da  pian- 
gere. Bisogna  essere  apparecchiati  a  piangere  ed  ululare,  perchè  il  tempo  si 
approssima  da  patire  per  amore  del  nostro  Salvatore  Gesù  Cristo  ».  (Sopra 
Ruth  e  Michea,  pred.  IX.) 

Ora  chi  dice  che,  se  i  tempi  fossero  stati  d' altra  guisa,  il  Frate  no- 
stro avrebbe  avuto  difficoltà  di  permettere  siffatti  divertimenti,  certo  per  sè 
leciti? 

Ma  nel  Giannolti  si  rimprovera  di  questo  solo  il  Frate?  Veramente  questa 
domanda  avrebbe  dovuto  moverla  il  Pastor  a  se  stesso;  e  diligente  ricerca- 
tore come  è,  doveva  vedere  un  poco  in  concreto  che  cosa  apponesse  questo 
politico  al  suo  condannato:  le  accuse  vaghe  valgono  poco;  bisogna  specificare. 


—  155  — 


Ma  questo  non  fecero  nè  il  Pastor  nè  il  Gaspary,  e  forse  noi  potevan  fare.  Nel 
C.  VI,  del  L.  IV  della  Storia  della  Repubblica  di  Firenze,  nel  quale  si  legge  il 
passo  notevole  come  lo  chiama  il  Pastor,  di  che  parla  il  Giannotti  ì  «  De'  pasti 
pubblici.  »  Or  qui  che  c'  entra  il  Savonarola?  Ma  i  pasti  pubblici  sono  un 
particolare;  l'importante  è  il  principio  generale  da  cui  move  il  Giannotti,  e  pel 
quale  crede  condannabile  il  Frate.  Qual  è  questo  principio?  Ecco:  «  Il  desiderio 
che  hanno  gli  uomini  di  rallegrarsi  è  tanto  naturale,  che  eziandio  quelli  che 
sono  involti  in  qualche  miseria  cercano,  sforzati  dalla  natura,  che  s' aiuta 
quanto  può,  con  qualche  lieto  rinfrescamento  temperare  i  loro  affanni:  e  però 
si  vede  manifestamente  che  chi  vuole  privare  gli  uomini  di  questi  piaceri  mon- 
dani cerca  combattere  contro  la  natura  ».  E  perciò  il  Giannotti  condanna  con 
le  parole  sopra  trascritte  il  nostro  Frate,  ma  la  condanna  si  tiene  del  tutto 
sulle  generali  e  non  è  illuminala  punto,  nè  motivata  da  nessun  fatto. 

Ora,  è  per  sè  evidente  che  prima  di  obbligarci  a  tener  per  vera  questa 
sentenza  è  assolutamente  necessario  dimostrare  e  provare  che  il  Savonarola 
togliesse  via  tutte  le  allegrezze  e  feste  pubbliche.  Ma  questo  come  potrà  farlo 
il  Giannotti?  Il  Frate  tolse  via  semplicemente  quelle  feste  ed  allegrezze  che 
non  avevano  i  caratteri  che  il  Giannotti  vuole  che  abbiano  le  feste,  e  nel  ca- 
pitolo citato,  e  nel  XVIII  del  libro  III.  E  come  il  Giannotti,  riteneva  ancora  il 
nostro  Frale  che  «  bisognava  proibire  con  ogni  diligenza  tutte  quelle  cose  che 
assuefanno  gli  uomini  a  pigliar  piacere  del  male  operare,  siccome  è  il  giuoco 
delle  pugna  e  de' sassi  ;  l'andare  in  maschera  col  pallone  facendo  quelle  in- 
solenze che  si  solevano  nella  città  di  Firenze  fare,  e  finalmente  tutte  quelle 
cose  che  rendono  gli  uomini  nemici  1'  un  dell'  altro  ».  E  come  il  Giannotti, 
il  nostro  Frate  pensava  ancora  che  «  non  basta  proibire  il  male,  senza  intro- 
durre il  bene,  a  voler  fare  gli  uomini  buoni  »;  e  perciò,  siccome  voleva  il 
Giannotti  che  tutti  quei  costumi  dai  quali  nascono  i  sopraddetti  inconvenienti 
fossero  proibiti,  e  che  «  s'introducessero  tutte  quelle  usanze  che  producono 
il  contrario»;  così  del  pari  voleva  e  predicava  il  Savonarola. 

Il  Savonarola  adunque  senza  vietare  alcuna  festa  lecita,  credeva  col  grande 
politico  fiorentino  «  esser  necessario  ad  ogni  bene  ordinata  repubblica  provvedere 
che  nelle  allegrezze  e  feste  che  fanno  gli  uomini  in  qualche  tempo  dell'anno  non 
si  faccia  cosa  alcuna  che  trapassila  civile  costumatezza  e  moderanza....  le  com- 
medie e  mascherate  volevache  fossero  di  buon  esempio,  e  fossero  in  modo  ordi- 
nate che  non  dessero  autorità  al  male  ».  Al  Savonarola,  come  al  Giannotti,  «  spia- 
cevano le  feste  e  i  sollazzi  che  guastavano  i  bei  costumi,  anziché  educare  gli 
animi;  spiacevano  le  maschere  carnevalesce  piene  di  violenze  e  di  stranezze, 
le  nozze  alla  guisa  di  quelle  di  Jacopo  Fornaciaio,  e  giudicava  che  fosse  da  fare 
ogni  opera  che  i  giovani  fossero  allevati  di  sorta  che  apparissero  poi  temperati, 
gravi,  reverenti  ai  vecchi,  amatori  de' buoni,  nemici  de' malvagi  (o  meglio  della 
malvagità),  studiosi  del  ben  pubblico,  osservatori  delle  leggi,  timorosi  di  Dio; 
e  in  ogni  loro  azione  lieti  e  giocondi  ».  Dopo  ciò  noi  crediamo  di  aver  diritto 
di  annullare  con  quella  del  Pastor  e  del  Gaspary,  anche  la  sentenza  del  po- 
litico fiorentino,  che  condanna  il  Frale  di  San  Marco;  e  di  annullarla  nel 


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nome  stesso  di  lui  che  l'ha  pronunciata,  e  proclamare  anche  qui  perfetta- 
mente puro  il  grande  riformatore. 

Ancora  una  parola  con  ispecial  riguardo  al  bruciamento  delle  vanità.  11 
Pastor  si  spiccia  presto  su  questo  fatto  importantissimo;  e  già  abbiamo  notato 
alcune  inesattezze  nelle  quali  incorre  parlandone.  Qui  ci  piace  di  osservare  e 
di  aggiungere  solamente  che  un'  altra  volta  il  Pastor,  condannando  il  Frate, 
pare  dimentichi  se  stesso.  Infatti  a  pag.  120  nota,  non  senza  compiacersene,, 
che  «  uno  de'  primi  successi  de'  predicatori  di  penitenza  era  il  bruciamento 
delle  vanità,  cioè  dadi,  carte,  maschere,  capelli  finti,  amuleti,  quadri  scanda- 
losi, canzonieri  profani,  strumenti  musicali.  «  Tutte  le  quali  cose  (dice)  portale 
su  di  una  pubblica  piazza  e  fattane  una  catasta,  a  cui  veniva  di  solito  collocata 
in  cima  una  figura  di  demonio,  eran  date  alle  fiamme.  »  Ora  che  facevano  di 
differente  i  seguaci  del  Frate?  E,  come  ci  piace  notare,  questi  fuochi  in  Fi- 
renze non  furon  cosa  nuova  introdotta  dal  Savonarola,  come  taluno  crederà. 
Era  comune  in  tempo  di  carnevale  I'  uso  dei  capannucci  più  o  meno  grandi  che 
facevansi  per  le  piazze  e  poi  ardevansi  V  ultimo  giorno  di  carnevale  in  mezzo 
ai  canti  e  alle  danze;  (4)  e  questo  costume  rimane  ancora  in  molti  paesi  d'Italia 
ove  si  brucia,  come  dicesi,  il  carnevale.  Se  il  Savonarola  anche  in  questo  con- 
vertì a  scopo  eminentemente  morale  un  divertimento  già  esistente,  chi  vorrà 
condannarlo?  Il  Frate  anche  qui,  come  nota  bene  il  Del  Lungo,  (I.  c.  nota  al 
doc.  V),  volgeva  al  bene  gli  strumenti  di  corruzione  per  poi  toglierli  affatto.  E 
quanto  agli  oggetti  che  si  ardevan  ne'  carnevali  savonaroliani,  sono  appunto 
come  quelli  numerati  dal  Pastor  a  pag.  138,  che  i  ragazzi  adunavano  sulla  piazza 
per  farne  una  catasta  e  darvi  il  fuoco  :  «  carte,  dadi,  arpe,  liuti,  essenze  odo- 
rose, specchi,  maschere  e  opere  di  poeti  ».  Perchè,  se  là  si  faceva  bene,  qui  si 
deve  disapprovare?  —  Ma  in  Firenze  si  bruciaron  libri  di  poeti!  —  Che  questo 
bruciamento  si  riducesse  a  poca  cosa  è  ormai  dimostrato  troppo  bene  dal  Vii- 
lari,  (*J  e  non  è  più  possibile  ripetere  la  stolta  parola  del  Maffei  che,  dopo  aver 
narrato  la  morte  di  Fra  Girolamo,  esclama:  «  Le  ombre  del  Boccaccio  e  del  Pe- 
trarca furono  vendicate!!  »  (3)  Gli  onesti  applaudiscono;  come,  dopo  aver  rac- 
contato di  Pico  della  Mirandola  che  convertito  per  opera  del  Savonarola  bru- 
ciò tutti  i  suoi  versi  d'  amore,  invece  di  dolersi  di  quella  perdita  (per  taluni 
certo  lacrimevole)  il  prof.  Nencioni  esclama:  Grande  e  raccomandabilissimo 
esempio!  {*)  —  Ma  in  Firenze  quando  si  dava  fuoco  alla  catasta  suonavan 
le  campane,  suonavano  le  trombe,  si  cantavano  inni  ....  —  E  che  perciò? 
Dov'è  qui  il  carattere  ridicolo  e  triviale?  È  poi  credibile  proprio  che  i  predica- 
tori di  penitenza  bruciassero  le  vanità  senz'altro  apparato?  Ridicolo  e  triviale?! 
Ma  pure  i  cronisti  affermano  che  le  lagrime  per  la  commozione  calavano  giù 


(')  V.  sopra,  p.  137,  n.  2. 

C)  Lib.  I.  p.  óOó  e  segg. 

{3)  Marchese,  Scritti  rarii,  voi.  I,  p.  211. 

(')  Conf.  La  lirica  nel  rinascimento,  nel  voi.  citato:  La  vita  italiana,  ecc. 


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a' pii  astanti;  e  che  tutti  i  buoni  ne  pigliavano  grande  edificazione  Ri- 
dicolo e  triviale?!  Ma  i  nostri  missionari  si  stimerebbero  certamente  felici  se 
potessero  fare  in  ogni  luogo  il  simigliante!  I  santi,  soltanto  i  santi,  posson  giungere 
a  tanto!  (*) 


(')  Jl  P.  Marchese  (L  e,  p.  212)  cita  l' esempio  di  San  Bernardino  da  Siena,  che  fece  un  si- 
mile bruciamento  in  Perugia  il  29  settembre  1425  c  con  la  stessa  pompa  e  festa  che  Fra  Giro- 
lamo fece  in  Firenze  ». 


XIII. 


Se  lo  zelo  passionato  facesse  dimenticare  al  Savo= 
narola  che  la  Chiesa  di  natura  sua  è  in  questo 
mondo. 


Sommario. 

L'  accasa  di  eccesso  contro  il  Savonarola  ripetuta  dal  Pastor.  —  Il  l'astor  e  il  Perreus.  —  L'  Amba- 
sciatore di  Mantova  e  valore  delle  parole  di  lui.  —  Esame  diretto  delle  accuse.  —  Parole  oscure. 
—  Se  il  Frate  fosse  troppo  severo  nell'  imporre  e  nel  vietare.  —  Domande  al  Pastor.  —  Il  lusso 
delle  gioie  e  Fra  Girolamo  secondo  il  Perreus.  —  Un  perchè  cui  il  Pastor  dovrebbe  dire.  —  La 
regola  del  Savonarola.  —  I  bisogni  della  vita  corporale  e  spirituale  e  i  bisogni  dello  stato.  — 
La  semplicità  savonaroliana  nelle  cose  esteriori  non  convieue  egualmente  a  ciascuno.  — 
Diversità  di  stati  e  ufficj,  e  relativi  segni  esteriori.  —  Misura  della  semplicità  esteriore  secondo 
la  condizione  di  ciascuno.  -  -  Autorità  e  principi  assunti  dal  Savonarola.  —  Le  vesti,  le  abitazioni, 
le  mense.  —  Il  tutto  per  il  Savonarola  sta  nell'  evitar  lo  scandalo,  e  mostrarsi  cristiano.  —  Fra  Gi- 
rolamo a  Giovauua  Caraffa  e  Diouora  della  Mirandola.  —  La  penitenza  nella  Confessione.  —  Kuovo 
senso  alle  parole  del  Pastor.  —  11  Savonarola  non  esigeva  troppo  per  la  vita  spirituale.  —  Pen- 
sieri del  Frate  sopra  la  preghiera.  —  Esposizione  del  precetto  di  Cristo  di  pregare  incessante, 
mente.  —  Asserzioni  del  Savonarola  che  contradicono  alle  asserzioni  del  Pastor.  —  L'  accusa 
senza  appoggio.  —  Xostra  istanza.  —  I  tristi  e  i  buoni  nella  Chiesa.  —  Sentenze  del  Frate.  —  Il 
Savonarola  a  Stefano  da  Codipoute.  —  Siamo  ancora  da  capo.  —  Accusa  di  durezza  contro  il  Sa- 
vonarola nella  ginsta  lotta  coi  tristi.  —  Si  ribatte.  —  Accusa  contro  il  Savonarola  di  eccesso  Del- 
l' imporre  quaresime  e  digiuni.  —  Essa  non  è  degna  di  un  cattolico.  —  Un'  ipotesi.  —  La  predica- 
zione di  San  Paolo  in  Efeso  e  quella  del  Savonarola  in  Firenze.  —  I  digiuni  del  nostro  Frate  non 
sono  eccessivi,  ma  pieni  di  prudenza  e  mitezza.  —  Passi  del  Savonarola.  —  Fra  Girolamo  a  Lodo- 
vico Pittorio.  —  Precetto  e  consiglio.  —  Conclnsione. 


Ma  andiamo  oltre,  chè  molto  ci  resta  ancora  da  fare,  e  già  da  alcuno  si 
desidera  di  vedere  il  fine.  Il  Pastor  ripete  contro  Fra  Girolamo  ben  altre  ac- 
cuse. Sopra  una  poi  insiste  di  proposito  a  pag.  137-138:  è  l'accusa  che  il 
Savonarola  fosse  eccessivo  nella  sua  riforma.  Infatti  dice  il  Pastor  che:  «  In- 
dubbiamente colle  migliori  intenzioni  egli  voleva  segregare  dalia  Chiesa  ogni 
cosa  che  sapesse  di  mondano,  nel  suo  zelo  passionato  perdendo  però  di  vista, 
che  la  Chiesa  di  natura  sua  è  in  questo  mondo.  Senza  essere  mai  venuto  a 
vicino  conlatto  colla  vita  pratica,  applicò  le  sue  vedute  di  claustrale  a  tutte  le 


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varie  attinenze  del  civile  consorzio,  e  con  una  durezza  e  parzialità  (l)  senza  esem- 
pio riprovò  altresì  cose  che  per  sè  eran  lecite.  Il  biasimo  continuo  de'  suoi 
emuli,  voler  lui  della  città  di  Firenze  formare  un  solo  convento  e  di  tutti  i 
suoi  abitatori  altrettanti  frati  e  monache,  non  è  infondato.  Ciò  che  la  Chiesa, 
la  quale  tenne  in  ogni  tempo  la  giusta  misura,  raccomanda  come  consiglio  e  (2) 
soltanto  ai  perfetti,  egli  di  spesso  predicava  come  prescrizione  e  obbligo  per 
tutti  quanti:  «  Un  frate  di  San  Domenico  »  scriveva  già  il  17  novembre  14-94 
l'ambasciatore  di  Mantova,  «  ha  messo  tanto  sgomento  nella  popolazione,  che 
«  tutti  si  sono  dati  alla  pietà,  e  tre  giorni  la  settimana  non  vivono  che  a  pane 
«  ed  acqua  e  in  due  solamente  prendono  vino  e  brodo. {3)  Le  fanciulle  ed  in  parte 
«  anche  donne  maritate  si  sono  rifuggite  ne' chiostri,  di  maniera  che  in  Firenze 
«  non  vedi  più  che  garzoni,  uomini  e  vecchie  ».  Si  venne  a  tale,  che  fu  me- 
stieri abbassare  la  tassa  che  i  macellai  avevano  da  pagare  alla  città,  per  causa 
della  rovina  totale  che  minacciava  la  loro  industria....  Coloro  che  non  aderi- 
rivano  al  nuovo  movimento,  facevano  alti  clamori,  perchè  contro  la  volontà  loro 
si  trovavano  involti  in  garbugli  manifestamente  esagerati  e  le  molte  volte  ridi- 
coli, talmente  che  perfino  alcuni  partigiani  del  Savonarola  presero  in  ultimo  a 
credere  che  la  cosa  andasse  troppo  avanti.  Il  nostro  Frate  sentì  la  necessità  di 
rassodare  i  suoi  devoti  e  di  confutare  in  una  predica  le  obiezioni  che  ogni 
giorno  diventavano  più  forti.  «  Fratello,  tu  ci  hai  rovinati  del  tutto:  tutto  il 
«  giorno  pregare  e  digiunare,  e  da  capo  digiunare  e  pregare.  Non  possiamo 
«  più  durarla;  siamo  diventati  la  favola  di  tutta  Italia.  I  nostri  vicini  in  aria 
«  di  beffa  ci  domandano:  Non  si  digiuna  più  in  Firenze?  Per  il  nostro  inces- 
«  sante  digiuno  ci  si  perseguita.  Firenze,  dicono,  ha  indossato  la  cocolla,  il  po- 
«  polo  adesso  è  una  schiera  di  frati.  Non  ci  regge  più  l'  animo  a  sostenere  lo 
«  scherno,  che  questo  digiunare  ed  eterno  pregare  ci  tirano  addosso.  —  Vieni 
«  qua  un  poco!  Su,  dì,  quello  che  fai,  è  buono  o  cattivo?  Tu  non  puoi  già  af- 
«  fermare  che  il  digiuno  e  la  preghiera  siano  alcun  che  di  male.  Se  pertanto 
«  è  qualche  cosa  di  bene,  tira  innanzi  e  lascia  dire  la  gente  >. 

Le  accuse,  ci  vuol  poco  a  vederlo,  son  gravi  assai;  ma,  e  le  prove?  Anche 
qui  il  Pastor  trascrive  senza  darsi  cura  d'  esaminare  se  ciò  che  trascrive  sia 
vero  e  provato.  Trascrive  dal  Perrens,  (4)  ma  vi  interpone  anche  il  giudizio  e  la 


(')  Questo  vocabolo  parzialità  della  versione  italiaua  è  almeno  oscuro.  Forse  il  voca- 
bolo tedesco  porta  con  sè  l'idea  di  unilateralità  non  proprio  nel  senso  del  nostro  parzialità, 
ma  vorrebbe  dire  che  il  Savonarola  vedeva  le  cose  come  da  un  lato  solo,  cioè  vedeva  me- 
glio il  lato  cattivo  di  esse  che  non  il  buono.  Forse  si  vuole  anche  dire  che  il  Frate  era 
esaltato  di  quell'  esaltazione  che  nasce  dal  vedere  una  cosa  sola  e  dal  pensare  solo  ad  essa. 
A  noi  varrà  sempre  la  scusa  che  esaminiamo  la  versione  e  non  il  testo  originale;  e  poi  le 
cose  che  qui  diciamo  stanno  ferme  ad  ogni  modo.  Anche  l'accusa  di  unilateralità  e  di  esalta- 
zione sarebbe  infondata  e  non  giusta. 

(•)  La  congiunzione  è  della  versione  italiana. 

(3)  La  parola  brodo  è  della  versione  italiana;  il  testo  della  lettera  dice }/ane.  Cf.  pag,  seg. 

{')  Il  eut  (Savonarole)  le  tort  grave  de  vouloir  transformer  une  ville  en  un  couvent,  des 
oitoyens  en  religieux,  et,  en  les  invitant  à  passer  presque  tout  le  jour  à  1' église,  de  les  dé- 
tourner  du  travail....  (pag.  145). 

Presque  la  moitié  de  l' année  ètait  donnée  au  'jeùne  et  à  l' abstinence.  Quiconque 


—  160  - 


sentenza  di  un  contemporaneo  del  Frate,  l'ambasciatore  di  Mantova  che  toglie 
dall'Archivio  Storico  Lombardo,  I,  331,  o  meglio  dal  Grisar.  (')  Che  valore  daremo 
alle  parole  di  quest'oratore?  Certo  esse  non  sarebbero  state  possibili,  se  già 
nel  1494  le  prediche  del  Frate  non  avessero  prodotto  effetti  al  tutto  mirabili 
ne' costumi  di  Firenze:  ma  non  ci  par  poi  che  sia  necessaria  molta  avvedu- 
tezza e  critica,  e  nemmeno  molto  spirito  cristiano  per  iscorgervi  dentro  una 
esagerazione.  E  ad  alcuni  cattolici  son  certo  che  esse  devono  puzzare  subito 
di  sensuale;  e  per  tutti  sanno  almeno  di  mondanità  o  di  poca  religiosità. 
Ecco  le  parole  precise  che  l'Oratore  Angelo  Gliivizzano  scriveva  al  Duca 
di  Mantova  il  17  novembre  1494:  «  Tuti  sono  dati  alla  divotione  e  (il  Frate) 
fa  che  tri  giorni  della  settimana  tuta  questa  terra  digiuna  pane  et  aqua  ;  et 
dui  pane  et  vino,  etc.  Apresso  a  fato  fugire  tute  le  donzelle  e  parte  delle  ma- 
ritate in  de  monasteri  per  modo  che  non  se  vede  in  Fiorenza  se  non  fante 
e  schiavone  e  vecchiame,  ecc.  »  Il  linguaggio  stesso  tenuto  dal  documento  mi 
sembra  die  ne  indichi  abbastanza  il  valore.  Del  resto  il  Pastor,  se  avesse 
letto  tutta  intera  quella  lettera  del  Ghivizzano,  non  avrebbe  penato  molto  a  ri- 
conoscerne il  vero  valore;  ed  avrebbe  veduto  e  provato  col  Cosci  che  «  vi  si 
contano  cose  strane  »;  e  quanto  alle  parole  ove  il  sarcastico  Oratore  parla 
del  Savonarola,  avrebbe  ripetuto  col  Cosci  medesimo:  «  Non  è  difficile  rilevare 
che  qui  egli  scherniva  la  santimonia  del  Frate  ».  (*) 

Nè  mi  fa  meno  male  al  vedere  il  Pastor  trarre  argomento  contro  il  ri- 
gore del  Frate  dal  passo  di  lui  citalo  dal  Perrens.  Anche  qui  mi  pare  che 
per  un  cattolico  sia  facile  scorgere  il  giusto  merito  delle  parole  del  predica- 
tore di  penitenza;  e  fa  davvero  meraviglia  che  il  Pastor  s'  unisca  invece  con 


achetait  de  la  viande.  les  jours  fixés  par  Savonarole  pour  l'aire  pénitence,  devenait  un  objefc 
de  scandalo,  et  bientòt  il  fallut  réduire  la  taxe  que  payaient  a  l'État  les  boucliers,  rnenacés 
d*  une  ruine  complète.  Dans  les  rues,  on  n'  enteudait  plus  quo  le  chaut  des  laudes  et  des  can- 
tiques  spirituels  :  toute  chanson  obscèno  ouméme  profane  avait  disparu.  (Pag.  135). 

Les  jeùnes,  les  macérations,  toutes  les  pratiques  1  eligieuses  redoublèrent  ;  il  n'était  plus 
question  d'autre  chose  dans  Florence,  et.  cette  ville  était  devenue  pour  cela  la  risée  de  touto 
l' Italie.  Les  Arrabbiati  se  plaignaient  si  vivement  d'ètre  enveloppès  malgré  eux  dans  le  ridi- 
cule  que  les  Piagnoni  faisaient  rejaillirsur  la  citò  tout  entière,  que  quelques-uns  de  ceux-ci 
finirent  par  croire  qu'ils  allaient  trop  loin.  Savonarole  sentit  la  nécessitó  de  les  raffermir 
dans  sa  voie  :  «  Frère,  tu  nous  as  rais  sur  les  dents.  Tout  le  jour  des  prières  et  des  jeùnes,  des 
jeùnes  et  des  prières!  Nous  n'en  pouvons  plus,  nous  sommes  la  table  de  l'Italie.  No  fait-on 
plus  de  caréme  a  Florence,  disent  nos  voisins?  On  nous  persi'cuto  avec  ces  carèmes:  Florence, 
dit-on,  a  pria  le  froc:  ce  peuple  s'est  fait  moine.  Nous  ne  pouvons  plus  supportcr  les  raille- 
ries  que  ces  carèmes  et  ces  oraisons  nous  attirent. —  Qk,  vions  ici  ;  ce  que  tu  f'ais  est-il  bien  ou 
mal?  Tu  ne  peux  dire  que  ce  soit  mal  de  prier  et  de  jeùner.  Continue  donc,  puisque  c'est 
bien,  et  laisse  parler  ».  (Pag.  179-1S0). 

(')  Nella  Zt'itschr.  far  Kathol.  Theoloqie,  articolo  intitolato:  Za  den  neuen  Pabìicationen 
ueber  Savonarola,  IV,  391,  Innsbruck,  1880,  dove  son  tutte  le  parole  riportate  dal  Pastor. 

(■)  Arci).  St.  Itti.,  Serie  IV,  voi.  IV,  anno  1879,  pag.  293.  In  questa  lettera  del  Ghivizzano 
ha  il  lettore  un  saggio  di  quel  cho  i  nemici  del  .Savonarola  facevano  in  Firenze  per  attiz- 
zare il  fuoco  contro  di  lui  presso  i  potentati  d'Italia.  Questo  punto  già  rilevato  bene  dal 
Villari  mariterebbe  di  essere  vieppiù  studiato;  e  si  vedrebbe  chiaro  il  perfido  modo  usato 
dai  inulti  nemici  del  ben  vivere  per  nutrirò  questo  fuoco  cho  poi  doveva  scoppiare  in  un  fa- 
tale incendio  a  danno  del  Frate  e  di  tutta  la  repubblica. 


—  161  — 


un  razionalista  nel  dar  loro  un  senso  e  una  portata  che  non  hanno  e  che 
anzi  le  aggravi  più  che  il  razionalista  non  faccia.  (*) 

Ma  lasciamo  ciò  e  veniamo  ad  esaminare  le  accuse  in  se  stesse  a  parte 
a  parte. 

È  vero  che  nel  suo  zelo  passionato  il  Savonarola  perdesse  di  vista  che 
la  Chiesa  di  natura  sua  è  in  questo  mondo?  Qui  per  rispondere  bisognerebbe 
prima  di  tutto  che  il  Pastor  chiarisse  un  poco  il  suo  giudizio.  Le  sue  parole 
sono  piuttosto  oscure.  Non  v'ha  dubbio  che  il  critico  d' Innsbruck  intende  par- 
lare della  Chiesa  militante,  perchè  altrimenti  le  sue  parole  non  avrebbero 
significato  alcuno.  In  che  senso  dunque  il  Savonarola  avrebbe  dimenticato 
che  la  Chiesa  militante  di  natura  sua  è  in  questo  mondo?  Chi  lo  sa?!!  Il  Sa- 
vonarola dice  sovente  (e  lo  vedremo  chiaramente  andando  innanzi),  che  la 
Chiesa  è  composta  de'  buoni  e  de'  cattivi  e  ripete  che  de'  cattivi  ve  ne  saranno 
sempre  e  da  per  tutto  ad  esercitare  la  pazienza  de'  buoni.  Non  si  può  dunque 
intendere  1'  accusa  del  Pastor  nel  senso  che  il  Frate  di  San  Marco  dimenticava 
che  nel  mondo  vi  sono  dei  cattivi  cristiani.  Questo  sarebbe  follia.  Dunque  non 
resta  altro  che  intendere  che  il  Savonarola  dimenticasse  che  i  buoni  i  quali 
appartengono  alla  Chiesa  come  membra  vive,  i  buoni  odiati  e  perseguitati  dal 
mondo  che,  come  sta  scritto,  non  conobbe  Cristo,  sono  di  natura  in  questa  terra 
mentre  che  vivono., Ed  allora  noi  domandiamo  :  che  si  vuol  dire  quando  s'afferma 
che  il  Savonarola  perdè  di  vista  che  i  buoni  membri  della  Chiesa  militante 
sono  per  natura  loro  in  questo  mondo  ?  Si  vuol  dire  che  il  Frate  fosse  troppo 
severo  coi  buoni  n eli'  imporre  e  nel  vietare. 

E  questo  mi  par  probabile  che  sia  veramente  il  senso  delle  parole  del 
grave  critico,  imperocché  nella  stessa  pag.  137  scrive  che  «  il  Savonarola  portò 
nella  vita  religiosa  una  strettezza,  una  scrupolosità  e  uno  zelo  soverchio,  al 
medio  evo  affatto  (2)  sconosciuti.  Rigorista,  di  un  pensare  affine  a  quello  di  Ter- 
tulliano, egli  non  seppe  tenere  mai  il  giusto  mezzo  ». 

Il  Savonarola  adunque  sarebbe  per  Firenze  un  nuovo  Licurgo  o  un  Dra- 
cone:  avrebbe  imposto  a' cittadini  della  bella  città  oneri  incomportabili  .  .  .  . 
Avrebbe  preteso  da  loro  un  grado  di  perfezione  impossibile  a  raggiungersi  dal 
maggior  numero;  avrebbe  imposto  oneri  non  imposti  da  Cristo,  nè  dalla  Chie- 
sa, o  almeno  aggravati  e  gli  uni  e  gli  altri;  sarebbe  stato  soverchiamente  ri- 
gido nella  sua  ascetica.  Ma  in  che  consistevano  questi  pesi?  e  qual  è  questo 
soverchio  rigore?  e  perchè  il  Pastor  non  ce  lo  dice  chiaramente?  Ecco:  «  11  Sa- 
vonarola applicò  le  sue  vedute  di  claustrale  a  tutte  le  varie  attinenze  del  civile 
consorzio;  e  con  una  durezza  e  parzialità  senza  esempio  riprovò  altresì  cose  per 
sè  lecite.  Volle  formare  della  città  di  Firenze  un  solo  convento,  e  di  tutti  i 
suoi  abitatori  altrettanti  frati  e  monache  ».  —  E  le  prove?  Le  autorità  a  cui  si  ap- 


(')  Crediamo  che  le  parole  soprascritte  sieno  quelle  che  si  leggono  nella  predica  XXXV 
sopra  Amos  e  Zaccaria.  Il  lettore  veda  colà  il  passo  intiero,  e  capirà  subito  che  non  è  giusto 
il  dargli  quel  senso  e  valore  che  gli  dà  il  Pastor. 

(J)  Quest'  affatto  è  della  versione  italiana.  Cf.  il  testo,  p.  148. 

11 


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poggia  il  Pastor  non  ci  bastano  per  dar  senz'altro  come  vera  un'accusa  tanto 
grave!  Quali  sono  poi  le  cose  per  se  lecite  che  il  Frate  nel  suo  zelo  passionato 
riprovò?  Dove  trovate  ch'egli  volesse  fare  di  Firenze  un  convento  e  de' suoi 
abitatori  altrettanti  frati  e  monache?  Certo  1'  accusa  del  Pastor  non  può  rife- 
rirsi alle  feste  che  il  Savonarola  vietava:  abbiamo  all'  evidenza  mostrato 
che  ciò  che  il  Savonarola  vietava  nelle  feste  era  quanto  in  esse  accadeva  di  il- 
lecito; e  se  talvolta  sconsigliava  feste  per  se  stesse  lecite,  come  certi  giuochi 
e  palj,  ciò  faceva  in  circostanze  in  cui  il  farle  sarebbe  stato  illecito,  perchè  in- 
sulto grave  alla  miseria  e  alle  calamità  altrui.  Chi  sa?  forse  le  cose  per  sè  le- 
cite e  pur  vietate  dal  Savonarola  saran  quelle  delle  quali  il  Perrens  parla  a 
pag.  131  ;  il  lusso  delle  gioie  e  de'  diamanti.  Ma  noi  già  abbiamo  visto  (p.  33,  34) 
le  occasioni  straordinarie  nelle  quali  il  Savonarola  predicava  sopra  questi  argo- 
menti. Perchè  il  Pastor,  se  vuole  sostenere  quest'accusa,  non  dimostra  che 
quelle  straordinarie  circostanze  non  esistevano  o  anche  in  quelle  la  prescri- 
zione del  Frate  è  eccessiva?  Del  resto,  la  proibizione  anche  del  lusso  era  poi 
proprio  assoluta?  Ma  il  Perrens  medesimo  dice  pure  che  il  severo  riforma- 
tore «  lo  permetteva  questo  lusso  in  una  certa  misura  alle  donne  di  più  alta 
condizione  e  stato  ;  ciò  che  mostra  eh'  egli  voleva  solamente  evitare,  dice  sem- 
pre il  Perrens,  che  la  vanità  delle  femmine  facili  a  dimenticare  la  modicità 
delle  loro  risorse  non  portasse  la  ruina  nelle  case,  o  non  s'impiegasse  in  orna- 
menti inutili  denaro  che  poteva  esser  meglio  impiegato  e  contribuire  alla 
prosperità  di  Firenze  ».  (Pag.  131-132.)  Or  questo  sarebbe  eccesso?  E  perchè, 
se  mai,  togliere  dal  Perrens  1'  accusa  e  non  la  giustificazione,  o  almeno  le  atte- 
nuanti? Il  Pastor  dovrebbe  dircelo  questo  perchè. 

Tanto  è  falso  che  il  Savonarola  in  ciò  fosse  duro  e  parziale  senz'  esem- 
pio e  scrupoloso,  che  per  contrario  era  a  mio  giudizio  tutt'  altro;  era  pieno  di 
riguardi,  era  largo  più  che  molti  non  sarebbero  nemmeno  oggi  giorno!  Ve- 
diamolo leggendo  neh'  aureo  libro  che  parla  di  proposito  della  Semplicità  della 
vita  cristiana.  La  conclusione  V  del  libro  IV  è  già  mollo  importante  e  potrebbe 
dimostrare  non  solo  infondata  1'  accusa  che  esaminiamo,  sì  ben  anche  molte 
di  quelle  che  vengono  poi.  Bisogna  leggerla  intiera.  «  L'  uomo  cristiano  può 
senza  peccato  desiderare  e  dar  opera  d'  aver  le  cose  necessarie  al  bisogno 
dello  stato  suo,  quando  bene  non  fossero  necessarie  alla  vita  spirituale  o 
corporale.  Imperocché  essendo,  come  è  detto,  1'  uomo  animale  civile,  e  vivendo 
comunemente  con  gli  altri  uomini,  non  deve  essere  in  offensione  dei  prossimi, 
o  rendersi  inutile  alla  comunità,  ma  più  presto  farsi  membro  utile  e  neces- 
sario di  quella. 

«  Quando  adunque  alcuno,  o  sia  principe,  o  sia  cittadino,  o  sia  artefice, 
non  intende  di  abbandonar  il  mondo,  e  farsi  prete  o  religioso,  o  altrimenti 
mutar  lo  stalo  suo,  ma  vuole  più  presto  starsi  al  secolo  e  secondo  la  sua 
condizione  vivere  civilmente,  dico  che  se  questo  tale  avesse  solo  quelle  cose 
le  quali  sono  necessarie  alla  conservazione  della  vita  corporale,  non  po- 
trebbe decentemente  vivere  nella  sua  città.  E  però,  non  essendo  ad  alcuno 
proibito,  anzi  più  presto  essendogli  comandato  il  vivere  decentemente,  non 


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pecca  colui  il  quale  cerca  d'aver  quel  solamente  che  è  necessario  al  bisogno 
dello  stato  suo,  quando  bene  non  fosse  necessario  alla  conservazione  della 
vita  spirituale,  o  corporale;  anzi  non  conversando  secondo  che  alla  sua  con- 
dizione si  richiede,  si  parte  dall'ordine  debito,  sì  perchè  si  dimostrerà  essere 
un  ostentatore  di  scienza,  e  sarà  più  presto  giudicato  un  ipocrita  che  un 
vero  cristiano,  e  così  offenderà  più  presto  1'  animo  di  molti  che  lo  edifichi, 
sì  perchè  si  renderà  inutile  alla  sua  comunità,  non  potendo  per  questo  one- 
stamente esercitar  gli  ufficj  ovvero  magistrati  della  città,  i  quali  ricercano 
veste  idonea,  facoltà  competente  ed  uomini  onorati,  sì  ancora  perchè  non  potrà 
sovvenir  a'  poveri,  e  così  far  molti  altri  beni  e  utilità  ».  (4) 

E  nella  conclusione  V.  del  libr.  Ili,  dice  pure:  «  La  semplicità  nelle  cose 
esteriori  non  conviene  egualmente  a  ciascuno.  Imperocché  noi  vediamo  che 
le  opere  della  natura  sono  opere  semplici,  e  nientedimeno  vediamo  in  loro 
ineguaglianza,  perchè  certe  cose  sono  più  belle  e  più  perfette  che  le  altre 
differenti  in  preziosità  di  natura,  e  in  figura  ;  come  è  manifesto  negli  alberi 
inferiori  e  negli  animali  e  nelle  altre  cose  naturali.  Così  ancora,  essendo 
tutte  le  opere  e  tutti  i  beni  esteriori  della  vita  cristiana  semplici,  sono  però 
differenti  in  preziosità,  in  colore,  in  figura  e  in  altre  differenze,  secondo  che 
ricerca  la  condizione  di  ciascuno.  Imperocché,  essendo  1'  uomo  animale  civi- 
le, perchè  egli  non  è  per  sè  solo  sufficiente  a  provvedersi  tutte  quelle  cose 
che  gli  sono  necessarie  alla  vita  corporale  e  spirituale,  bisogna  che  insieme 
si  raduni  moltitudine  d'uomini  sotto  qualche  reggimento,  acciocché  l'uno 
aiuti  all'  altro.  (2)  Onde  è  necessario  che  in  ogni  moltitudine  d'  uomini,  sieno 
diversi  gli  ufficj,  gradi  e  opere.  E  perchè  gli  uomini  conoscono  e  governano 
le  cose  interiori  per  le  esteriori,  bisogna  ancora  che  queste  diversità  delle 
opere,  delle  dignità,  e  degli  ufficj  sieno  distinte  per  alcuni  segni  esteriori,  in- 
fra i  quali  le  vesti  tengono  il  principato.  Di  qui  è  adunque  che  gli  uomini 
nel  vestirsi  sono  diversi,  e  in  colore  e  in  figura  e  in  preziosità  di  vesti;  e  si- 
milmente hanno  le  abitazioni  e  le  altre  lor  cose  esteriori  diverse  per  rispetto 
della  diversità  predetta.  Con  ciò  sia  dunque  che  nessuno  debba  vivere  incon- 
venientemente,  ma  si  debba  ciascuno  conformar  nel  bene  a  quelli  con  i  quali 
vive,  però  non  deve  alcuno  stoltamente  intendere  questa  semplicità  esteriore, 
cioè  che  voglia  vestire,  o  abitare  in  quel  modo  nel  quale  non  fa  alcun  altro, 
perchè  questo  sarebbe  più  presto  ostentazione  che  semplicità  ». 

Vogliamo  anche  qui  venire  a  qualche  particolare;  e  lo  facciamo  togliendo 


(')  Vedi  questa  dottrina  in  San  Tommaso,  Somma,  P.  II-II,  qu.  XXXII  a.  6,  ove  si  ha  la 
distinzione  della  necessità  per  la  conservazione  della  vita  e  della  necessità  per  la  conservazione 
del  proprio  stato  e  della  propria  dignità.  San  Tommaso,  come  il  Savonarola,  ritiene  che  sarebbe, 
regolarmente  parlando,  azione  disordinata  il  dare  elemosina  sottraendo  a  se  stessi  il  neces- 
sario alla  vita  ed  anche  alla  conservazione  del  proprio  stato,  ed  eccettua  solo  tre  casi:  1°  allor- 
ché l'uomo  muta  stato,  come  quando  entra  in  religione;  2°  quando  il  danno  che  ne  viene  può 
esser  agevolmente  risarcito;  3° quando  nel  prossimo  è  necessità  estrema  o  privata  o  pubblica, 
nel  qual  caso  dovrebbe  l'uomo  spogliarsi  anche  di  quello  che  ordinariamente  stimasi  conve- 
niente alla  conservazione  del  proprio  stato  e  della  propria  dignità. 

(2)  San  Tommaso,  De  regimine  principum,  L.  I,  c.  I. 


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dalla  conclusione  VII  del  medesimo  libro  HI:  non  si  lagni  il  lettore  se  saremo 
un  poco  lunghi;  l'obbligo  della  difesa  c'impone  di  mostrare  almeno  l'ombra 
del  vero  Savonarola:  qui  il  Frate  è  calunniato  assai  e  l'ombra  sua  richiede 
che  le  si  tergano  le  brutte  tacce. 

Nella  detta  conclusione  V  Asceta  domenicano  tratta  della  misura  della 
semplicità  esteriore  secondo  la  condizione  di  ciascuno;  e  comincia  dall' affer- 
mare ch'essa  si  può  trarre  dalle  Sacre  Scritture.  E  poiché  gli  uomini  sogliono 
misurare  dalle  vesti  la  semplicità  esteriore,  da  queste  egli  comincia  a  parlare. 
Ma  perchè  intendiamo  eh'  egli  non  tratterà  tutti  i  semplici  cristiani  come 
tanti  frati  o  monache,  vuole  subito  farci  avvisati  che  non  si  vuol  credere  che 
si  possa  per  le  Scritture  dare  particolarmente  a  ciascuno  stato  una  regola  spe- 
ciale quanto  alla  figura,  ai  colori,  ed  alla  preziosità  ovvero  viltà  di  esse  vesti 
in  quel  modo  che  i  Santi  Padri  hanno  fatto  colle  loro  regole  ai  religiosi. 
Dice  quindi  ch'egli  assume  come  autorità  i  passi  dell' Epistola  Ia  di  San  Pie- 
tro, cap.  III,  v.  3:  «  Non  abbiano  esse  donne  capillatura  scoperta  e  non  sieno 
ornate  d'oro  o  di  culto  prezioso  di  veste,  ecc.  »,  e  della  Ia  di  San  Paolo  a  Ti- 
moteo, cap.  II,  v.  9  e  10:  «  Le  donne  in  abito  ornato  si  adornino  con  vere- 
condia e  sobrietà  non  con  i  capelli  intorti  o  con  oro,  o  con  perle  e  vesti 
preziose,  ma  in  quel  modo  che  si  conviene  alle  donne,  le  quali  hanno  pro- 
messo a  Dio  di  vivere  piamente  ».  Poi  ferma  ancor  cinque  principj,  cioè  che 
ne'  detti  passi  gli  Apostoli  non  intendono  di  parlare  alle  sole  donne  maritate 
o  alle  sole  povere  o  alle  sole  ricche.  Secondo,  che  gli  Apostoli  stessi  si  rivolgono 
alle  donne,  perchè  naturalmente  la  donna  più  dell'  uomo  è  inclinata  all'ornato 
del  corpo;  ma  intendono  a  più  forte  ragione  di  parlar  anche  degli  uomini; 
terzo,  che,  benché  noi  per  le  vesti  preziose  comunemente  intendiamo  quelle  le 
quali  sono  d'  oro  e  d'  argento  e  di  seta,  è  però  da  considerare  e  misurare 
questa  tale  preziosità  secondo  i  diversi  gradi  di  dignità:  imperocché  tal  cosa  è 
preziosa  ad  uno  che  è  vile  ad  un  altro.  Quarto,  che  la  proporzione  e  la  mi- 
sura deve  stabilirsi  secondo  il  sentire  comune  degli  uomini,  sicché  per  cia- 
scun grado  e  dignità  s'  abbiano  a  reputar  preziose  le  vesti  le  quali  presso 
degli  uomini  tolgono  comunemente  1'  opinione  della  santità  nella  quale  sen 
vive  ogni  cristiano:  che  sia  preziosa  insomma  quella  veste  che  da  te  portata 
debba  alla  comune  degli  uomini  mostrarti  men  che  cristiano.  Quinto,  che 
ogni  cristiano,  in  quanto  cristiano,  fa  professione  di  santità  e  di  vita  spiri- 
tuale, la  qual  vita  non  può  essere  senza  la  semplicità  del  cuore  e  delle  cose 
estrinseche. 

Poste  queste  verità  e  fermati  questi  principj,  volendo  scendere  ad  alcuni 
particolari,  ci  avvisa  che  egli  parlerà  «  secondo  V  umana  fragilità  per  rispetto 
della  infermità  della  carne  e  della  già  inveterata  mala  consuetudine,  consigliando, 
non  comandando  ;  e  così  dirà  a  ciascuno  in  che  modo,  volendo  vivere  spiritual- 
mente e  da  cristiano,  debba  e  nelle  vesti  e  nelle  abitazioni  e  in  tutte  le  altre 
cose  esteriori  serbare  essa  semplicità  ».  E  perchè,  contro  1'  accusa  che  gli 
movono  i  suoi  critici,  egli  sapeva  benissimo  la  diversità  degli  stati  e  delle 
condizioni  sociali,  lo  fa  e  per  le  donne  e  per  gli  uomini,  e  per  i  ricchi  e  per  i 


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poveri,  e  per  i  vecchi  e  per  i  giovani,  e  per  i  secolari  e  per  i  preti,  per  i  reli- 
giosi e  per  le  monache.  Sentiamo  le  prescrizioni  per  le  donne  (')  le  quali  poi 
valgono  di  norma  per  gli  altri  successivamente:  «  Secondo  il  comandamento 
del  Signore  e  il  voto  del  battesimo,  le  donne  cristiane  le  quali  hanno  promesso 
di  vivere  mediante  le  lor  buone  opere  piamente,  non  si  debbono  per  alcun 
modo  ornar  d'  oro,  di  perle,  o  di  vesti  preziose,  o  con  altri  ornamenti,  a  pompa 
e  a  lascivia.  Secondo,  diamo  questo  per  consiylio  non  per  comandamento,  che  le 
regine  e  le  lor  figliuole  o  nuore,  e  così  ancora  le  duchesse,  e  le  altre  donne 
dei  principi,  non  debbano  usar  se  non  rarissime  volte  e  per  razionabile  ca- 
gione, ed  anche  allora  con  temperanza,  veste  molto  preziosa,  cioè  d'  oro  e 
d'  argento,  nè  gemme  le  quali  pretendono  ostentazione  di  ricchezze  e  gloria 
secolare.  Terzo,  dico  consigliando,  che  le  donne  di  tanta  dignità  possono  usar 
veste  di  seta,  nè  questo  è  in  tali  donne  contro  alla  semplicità  cristiana,  ancora 
che  in  esse  fosse  qualche  poco  d' oro  e  d' argento  temperatamente  permisto, 
questo  per  cagione  della  lor  dignità,  ancoraché  noi  estimiamo  esser  meglio 
che  loro,  per  dar  di  sè  buon  esempio,  usino  spesso  veste  di  lana  ;  non  però 
dicendo  di  lana  dico  intanto  vili,  che  in  esse  apparisca  una  certa  ostentazione 
di  santità,  ma  dico  preziose  per  cagione,  come  ho  detto,  della  dignità.  Quarto, 
diciamo  che  le  donne  nobili,  i  mariti  delle  quali  non  hanno  dignità  d'  alcun 
principato,  non  dovrebbero  usar  vestimenti  di  seta,  ma  di  lana,  in  modo  che 
le  lor  più  preziose  vesti  fossero  di  panno  di  grana  con  le  maniche  però  di 
seta,  come  è  di  consuetudine.  Se  già  alcune  non  fossero,  i  mariti  delle  quali, 
benché  non  abbiano  principato,  sono  però  di  molto  nobile  stirpe,  e  abbon- 
dano assai  di  ricchezze.  Queste  possono  alcuna  volta,  benché  di  raro,  usar 
vesti  di  seta.  Tutte  però  debbono  comunemente  vestir  di  panno  ancora  manco 
prezioso  che  di  grana,  e  massime  quelle  che  sono  di  più  età,  o  che  già 
hanno  passati  trenta  o  trentacinque  anni,  perchè  queste  tali  dovrebbero 
usar  panni  neri,  o  d'  altro  color  onesto.  Le  donne  degli  artefici  o  degli  altri 
i  quali  comunemente  non  sono  secondo  la  consuetudine  dell'umana  con- 
versazione chiamati  nobili,  non  debbono  vestir  di  panni  di  grana,  ma  d'  altri 
panni  di  manco  valore,  e  più  o  meno  preziosi  secondo  la  condizione  di  cia- 
scuno. Le  donne  dei  contadini  o  dei  famigli  e  degli  artefici  di  più  vile 


(')  Quanto  fossero  opportune  allora  queste  prescrizioni,  che  fan  pensare  alle  tante  leggi 
suntuarie  dei  secoli  XIV-XVT,  appar  chiaramente  da  quanto  il  Pastor  narra  a  pagina  72.  In- 
fatti nota  egli  che  il  lusso,  grande  allora  per  ogni  dove,  era  eccessivo,  specialmente  in  Fi- 
renze. «  L'  arredamento  di  un  un'  unica  stanza,  al  dire  di  Leon  Battista  Alberti,  costava  più 
che  non  una  volta  l'intera  abitazione  adornata  per  una  festa  di  nozze....  »  Alessandro  Strozzi 
in  una  lettera  dell'anno  1446,  parlando  del  futuro  matrimonio  del  figliuolo,  scriveva:  «Non 
mi  pare  da  darsene  ora  pensiero,  e  massimo  essendo  il  temporale  che  corre  al  presente; 
che  de' giovani  che  sono  nella  terra,  volentieri  si  stanno  senza  tor  donna:  la  terra  è  in 
cattivo  termine;  e  mai  si  fece  le  maggiori  spese  in  dosso  alle  donne,  che  si  fa  ora.  Non  è 
si  gran  dote,  che  quando  la  fanciulla  va  fuori,  che  tutta  l'ha  indosso  tra  seta  e  gioie. 

«  Al  tempo  di  Lorenzo  de'Medici,  quando  universalmente  incominciò  un  deterioramento, 
si  diedero  perfino  de' casi  che  taluni,  causa  il  lusso,  andarono  in  completa  rovina....  Le 
nozze  di  Bernardo  Bucellai  con  Nannina  de'Medici  celebrato  nel  giugno  14'ì6  assorbirono 
oltre  150,000  lire  a  ragguaglio  della  nostra  moneta  !  » 


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condizione  abitanti  nella  città,  debbono  usar  panni  grossi  e  di  poco  pregio. 
E  così  ancora  certe  poverelle  e  ignobili,  come  sono  serve  e  simili.  Ma  le 
monache,  avendo  fatto  professione  di  servar  povertà,  se  esse  vogliono  perfet- 
tamente custodir  il  voto  loro,  debbono  vestir  de'  panni  vili,  perchè  esse  sono 
tenute  a  dimostrar  non  solo  dentro  della  mente,  ma  ancora  di  fuora  una  vera 
povertà  e  da  ogni  parte  assoluta  semplicità.  E  anche  perchè  esse  non  sieno  co- 
strette a  domandar  ogni  dì  elemosine,  o  andar  fuori  del  monastero,  debbono 
quando  esse  lor  vesti  sono  stracciate,  racconciarle  spesso  e  portarle  sino  a 
tanto  che  esse  possono  esser  utili.  E  la  ragione  di  questo  nostro  consiglio  è, 
perchè  parlando  gli  Apostoli  alle  donne  ricche,  le  quali,  avendo  copia  d'  oro  e 
di  gemme,  sono  naturalmente  molto  inclinate  al  culto  del  corpo,  considerando 
noi  lo  stato  diverso  di  quelle,  diciamo  alcune  vesti  esser  preziose  ad  alcune 
donne,  le  quali  non  sono  preziose  ad  alcune  altre.  Onde  alle  contadine  sono 
preziose  quelle  vesti,  le  quali  usano  però  convenientemente  le  donne  degli  ar- 
tefici, alle  quali  sono  ancora  preziose  quelle  che  usano  le  donne  dei  nobili, 
così  come  a  queste  quelle  che  usano  le  regine  e  le  duchesse,  alle  quali  diciamo 
similmente  essere  quelle  vesti  preziose,  le  quali  sono  appresso  di  ciascuno  as- 
solutamente  preziose  giudicate.  Però,  se  noi  ben  consideriamo  la  consuetudine  e 
il  modo  onesto  del  vivere  di  questi  tempi,  e  con  questo  insieme  quello  che 
1'  uomo  cristiano  ha  nel  suo  battesimo  promesso,  cioè  di  rinunziar  a  Satana 
e  a  tutte  le  sue  pompe  e  opere,  si  vedrà  manifestamente,  o  che  questa  è  la 
misura  retta  delle  vesti  in  qualunque  grado  e  condizione,  o  che,  se  io  non  ho 
cosi  ben  tentila  la  via  di  mezzo,  eh'  io  son  più  presto  declinato  all'  eccesso  che 
al  difetto  ».  (') 

Quindi,  seguendo,  mostra  chiaramente  che  una  cosa  gli  sta  a  cuore  in  que- 
ste materie  e  nelle  affini,  dell'  abitazione,  dei  cibi  e  simili,  delle  quali  pur  di- 
scorre con  ammirabile  prudenza,  che  si  eviti  cioè  lo  scandalo  e  si  dia  buon 
esempio,  o  non  si  diminuisca  la  fama  della  vita  spirituale.  Questo  per  lui  è 
tutto.  Ma  dove  son  qui  vietate  le  cose  per  sè  lecite  ?  Trovatemi  una  sola  pro- 
posizione nel  Savonarola,  (non  nel  Perrens  o  nell'  Hergenròther,  ma  nel  Savo- 
narola) che  sia  contraria  agi'  insegnamenti  della  Chiesa,  alla  Scrittura,  ai  Ca- 
noni, ai  Padri,  e  allora  mi  darò  per  vinto.  Ma  per  trovarmi  questa  proposizione 
dovrete  leggere  le  Opere  del  Frate;  e  leggendole  tutte,  restereste  vinto  da  quelle 
ed  emendereste  i  vostri  giudizj. 

Nè  sappiamo  in  alcun  modo  sottoscrivere  alla  sentenza  di  coloro  che  vo- 
lessero fare  del  Savonarola  un  direttore  di  spirito  stretto,  troppo  rigido  e  scru- 
poloso: un  rigorista  nella  condotta  delle  anime.  Anche  in  questo  senso  le 


(4)  Questa  spiegazione  del  testo  allegato  di  San  Paolo  è  al  tutto  conforme  a  quella 
che  ne  dà  San  Tommaso  nel  commento  a  questo  passo,  Lezione  IT,  salvo,  s'  intende  bene, 
quelle  particolarità  elio  riguardano  1'  uso  del  tempo.  Nelle  quali  chi  ben  consideri  non  troverà 
nulla  di  rigoroso  o  di  esagerato.  Noti  eziandio  il  lettore  quanto  il  Savonarola  era  remissivo 
nelle  sue  opinioni,  scusandosi  anche  qui  se  per  caso  non  avesse  tenuto  il  giusto  mezzo.  E  il  I'a- 
stor,  senza  legger  sillaba  di  questi  documenti  che  orano  ai  Fiorentini  d'allora  norma  di  vita, 
gli  gotta  in  tàccia  appunto  l'  accusa  di  non  aver  tenuto  il  giusto  mezzo!! 


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accuse  del  Pastor  sarebbero  infondate  e  niente  esatte.  Ci  basti  a  provarlo  la 
lettera  che  il  Nostro  scriveva  a' dì  3  aprile  14-97  a  Giovanna  Caraffa  e  a  Dio- 
nora sorella  di  Gio.  Francesco  della  Mirandola,  pubblicataci  dal  Padre  Mar- 
chese: «  Vi  scrivo  »  diceva  adunque  il  pio  Asceta,  «  nel  nome  del  nostro 
Salvator  Gesù  Cristo,  che  voi  vi  sforziate  di  gustare  e  conoscere  quanto  è 
buono  e  soave  il  nostro  Signore  Gesù  Cristo,  il  quale,  benché  non  voglia  noi 
andiamo  per  la  via  larga  de' peccati,  nientedimanco  non  richiede  da  noi  la  co- 
scienza tanto  stretta,  che  ogni  festuca  vogliamo  riputare  una  trave.  Al  nostro 
Salvatore  piace  la  coscienza  serena,  tranquilla  e  pacifica,  la  quale  speri  tanto 
nella  sua  bontà  e  nel  suo  sangue  che  la  creda  che  i  peccati  nostri  minuti  sieno 
facilmente  dalle  viscere  della  sua  pietà  assorti:  e  vuole  da  noi  ci  guardiamo  da 
peccar  ancora  venialmente  quanto  possiamo.  Niente  dimanco,  ancora  gli  piace 
che,  poiché  l'uomo  è  caduto  per  fragilità,  non  si  contristi  tanto  che  perda  la 
tranquillità  della  mente;  anzi  subito  riguardi  la  sua  gran  dolcezza  e  dica:  Il  mio 
benigno  Signore  satisfarà  per  me,  facendo  sempre  buon  proposito  di  servire  a 
lui  di  buon  cuore.  Perchè  chi  si  fa  scrupolo  d'ogni  cosa  più  che  non  bisogna, 
mostra  che  ha  poca  fidanza  nella  bontà  divina,  la  quale  non  richiede  da  noi, 
se  non  quello  che  noi  possiamo.  Ma  star  senza  veniali  noi  non  possiamo  :  e 
voler  poi  fare  de'  veniali,  mortali,  è  inquietare  se  medesimo,  e  far  la  vita  cri- 
stiana serva,  la  quale  per  grazia  di  Dio  è  massimamente  libera,  e  fare  legge  di 
timore  quella  che  è  legge  d'amore.  Date  il  cuore  al  nostro  Signore  Gesù  Cri- 
sto, e  lasciate  l'affetto  del  mondo,  e  servitelo  con  amore  realmente:  perchè 
lui  è  tale  amante,  che  non  si  adira  mai;  anzi  cerca  chi  non  l'ama,  e  del  con- 
tinuo reintegra  l'amore  con  la  sua  sposa.  Sicché  allegramente  camminate  per 
la  via  sua,  considerando  spesso  la  felicità  eterna;  la  quale  lui  ha  apparec- 
chiato ai  suoi  diletti  ». 

E  nella  predica  XLI  sopra  Giobbe  venuto  a  parlare  del  Sacramento  della 
penitenza,  dice  fra  le  altre  cose  belle:  «  Tanto  potrebbe  nel  peccatore  la  con- 
trizione, che  scancellerebbe  da  sè  ogni  pena,  che  dovesse  portare  in  purgato- 
rio. Ma  perchè  pur  sempre  rimane  del  delitto  qualche  segno,  però  bisogna 
che  per  il  giudice  sia  tassata  e  segnata  questa  pena.  E  però  sono  ordinati  i 
sacerdoti  confessori,  che  tassino  questa  penitenza;  i  quali  sacerdoti  debbono 
avere  le  due  chiavi,  cioè  la  scienza  di  sapere  discernere  il  peccato,  e  la  po- 
testà da  potere  assolvere;  e  però  tal  confessore  non  deve  essere  ignorante, 
acciochè  sappia  discernere  da  lebbra  a  lebbra;  e  saper  dare  quella  penitenza 
che  sia  conveniente.  E  deve  il  sacerdote  avere  questa  avvertenza,  se  il  confi- 
dente è  gran  peccatore,  dargli  poca  penitenza  per  non  lo  spaventare;  e  così 
ancora  a  quello  eh'  avesse  grandissima  contrizione  dargli  poca  penitenza,  per 
mostrargli  che  il  Signore  gli  abbia  perdonato.  Ma  a  quelli  eh'  hanno  medio- 
cre contrizione  bisogna  dargli  maggiore  penitenza,  acciocché  meglio  si  soddi- 
sfaccia alia  pena  che  meritano  i  suoi  peccati;  la  quale  pena  si  viene  ancora 
ad  alleggerire  mediante  quelle  parole  che  dice  il  confessore  nell'assoluzione: 
omnia  bona  quae  fecisti  et  facies  et  mala  quae  patieris  sint  tibi  in  remissionem 
tuorum  peccatorwn,  ecc.  ». 


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Dunque  Fra  Girolamo  Savonarola  ai  suoi  Fiorentini  non  vieta  nulla  di 
quanto  è  per  sè  lecito,  nè  riguardo  alle  abitazioni,  nè  riguardo  al  vestito,  nè 
riguardo  al  vitto,  nulla;  o  si  discorra  di  quelli  che  vivono  al  secolo  di  qua- 
lunque stato  o  condizione  siano,  o  si  discorra  di  quelli  che  vivono  ne'  chio- 
stri. Qui  non  appare  in  lui  nessuna  durezza,  nessuna  parzialità;  se  non  già 
vogliasi  dire  parzialità  la  distinzione  delle  classi  sociali.  In  Fra  Girolamo  non 
si  vede  nulla  che  mi  dinoti  strettezza,  scrupolosità,  zelo  soverchio  al  medio 
evo  affatto  sconosciuto,  non  si  trova  che  il  Savonarola  fosse  rigorista,  di  un 
pensare  affine  a  quello  di  Tertulliano,  ch'egli  non  seppe  tenere  il  giusto  mezzo; 
panni  invece  di  non  sentir  altro  che  savj  e  mitissimi  consigli.  Quali  sono 
adunque  le  cose  per  sè  lecite  che  il  Savonarola  vietava?  quali  gli  oneri 
che  imponeva?  quale  il  suo  eccessivo  rigore?  Tocca  sempre  al  Pastor  a  dircelo. 

Il  Perrens  fa  colpa  al  nostro  Frate  d'  aver  avuto  il  torto  di  pretendere 
che  i  Fiorentini  vivessero  di  solo  spirito:  «  l'uomo  non  vive  di  solo  spirito», 
osserva  questo  biografo,  «  ma  anche  di  pane,  e  questo  dimenticava  il  Savo- 
narola. Egli  faceva  pregar  troppo,  pretendendo  nella  vita  spirituale  l' impossi- 
bile ai  più,  invitava  i  Fiorentini  a  passar  pressoché  tutto  il  giorno  alla  Chiesa, 
ritogliendoli  al  iavoro,  dimenticando  che  1'  uomo  ha  troppi  bisogni  fisici  ».  Che 
intenda  proprio  questo  anche  il  Pastor?  Forse  sì,  imperocché  ha  comune  col 
Perrens  l'accusa  che  il  Savonarola  facesse  pregar  troppo  i  suoi  Fiorentini.  Si 
incolpa  dunque  qui  il  Frate  di  non  aver  capito  la  natura  umana,  e  di  aver 
dimenticato  che  noi  siamo  uomini  di  questa  terra  e  non  angeli. 

Ma  si  ha  ragione  di  farlo?  Se  ne  ha  tanta  ragione  quanta  di  negare  che  il 
Savonarola  è  nato  nel  secolo  XV  in  Ferrara  e  nel  secolo  XV  venne  ucciso  e  arso 
da'  suoi  nemici  in  piazza  della  Signoria  in  Firenze.  Essendo  già  stata  ribattuta 
di  sopra  1'  accusa  del  togliere  il  popolo  al  lavoro  e  di  non  pensare  a'  bisogni 
del  corpo,  mi  sbrigherò  qui  cogliendo  alcuni  pensieri  dall'aureo  Trattato  della 
preghiera  e  proprio  dal  capitolo  nel  quale  si  parla  della  durata  della  preghiera. 
Se  gli  avversarj  del  Frate  non  si  chiameranno  soddisfatti,  tirino  in  campo  le  loro 
ragioni,  vengano  al  particolare,  e  noi  siamo  pronti  a  riprendere  la  questione. 
Che  dice  ivi  adunque  quel  Frate  rigorista  che  stancava  i  Fiorentini  e  li  rendeva 
ridicoli  con  farli  pregare?  Comincia  subito  coli' affermare,  che  sopra  questa  mi- 
serabile terra  non  è  possibile  di  pregare  incessantemente  a  cagione  delle  molteplici 
necessità  della  vita;  e  per  conseguenza  ritiene  necessario  d'interpretare  sommaria- 
mente la  sentenza  di  Nostro  Signore:  Bisogna  pregare  incessantemente  ;  (')  e  pensa 
che  con  San  Tommaso  si  possa  tale  precetto  intendere  del  desiderio  della  carità  che 
spinge  l'uomo  a  ricorrere  sovente  alla  preghiera.  (*)  In  questo  senso,  dice  adun- 
que il  Frate,  Nostro  Signore  non  ha  voluto  comandarci  altro  che  il  desiderio  di 
incessantemente  pregare.  Ma  nota  che  il  santo  Dottore  aggiunge  che  è  sempre 
così  di  lutti  i  cristiani  in  istato  di  grazia.  Chi  è  in  grazia,  anche  se  non  esprima 
il  desiderio  di  pregare  e  che  attualmente  non  preghi,  può  tuttavia  dire,  che 


(')  Vang.  di  San  Luca,  c.  XVIII,  v.  1. 

(2)  Vedi  questa  dottrina  in  S.  Tommaso,  P.  II-II,  Qu.  LXXXIII  a.  14. 


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e'  prega  incessantemente,  perchè  egli  conserva  la  carità,  sorgente  e  principio 
della  preghiera-  Nè  di  ciò  si  contenta  ancora;  ma  segue  insegnando  che,  se- 
condo un' altra  interpretazione,  1' uomo  prega  senza  interruzione  quand' esso 
non  manchi  di  pregare  al  tempo  fissato  dalla  Chiesa  :  come  quando  si  reci- 
tano le  ore  canoniche,  o  in  qualunque  altro  momento  della  giornata,  secondo 
la  devozione  di  ciascheduno,  e  ogni  volta  che  si  sente  tribolato  per  qualche  ne- 
cessità spirituale.  (*)  Si  può  ancor  dire  che  preghi  incessantemente  colui  il 
quale  non  cessa  di  fare  qualche  opera  buona,  e  che  principalmente  riferisce 
tutta  la  sua  vita  all'onore  e  al  culto  di  Dio,  secondo  il  precetto  dell'  Apostolo  : 
—  Sia  che  voi  mangiate,  sia  che  voi  beviate,  sia  che  voi  facciate  altra  cosa,  fate 
tutto  per  la  gloria  di  Dio.  —  (2)  Operando  in  questa  guisa,  ogni  nostro  passo  sarà 
meritorio,  e  degno  di  lode,  e  noi  pregheremo   incessantemente,  perchè  noi 
faremo  ognora  opere  che  il  Signore  ricompenserà,  dandoci  vita  eterna  come 
se  noi  gli  avessimo  domandato  questa  grazia  nella  preghiera.  E  qui  il  buon 
Frate  trae  dalla  vita  de'  Padri  un  racconto  che  illustra  assai  bene  il  suo  pen- 
siero e  la  mite  e  soavissima  sua  dottrina.  Un  solitario  diceva  di  pregar  senza 
interruzione,  perchè  egli,  dopo  d'aver  recitato  le  preghiere  d'uso,  lavorava  e 
guadagnava  così  di  che  nutrirsi  e  fare  elemosina.  Quest'  elemosina,  diceva 
egli,  continua  a  pregare  per  me  quand'  io  dormo,  e  mangio  e  bevo  e  fo  altra 
cosa  dopo  d'aver  pregato.  (3) — Egli,  aggiunge  il  nostro  Asceta,  aveva  ragione; 
perchè  la  Santa  Scrittura  ha  detto  :  Deponi  1'  elemosina  nel  seno  de'  poveri  ed 
essi  pregheranno  per  te,  liberandoti  da  ogni  male.  (4)  Pertanto,  conclude,  chi 
vuol  pregare  senza  interruzione  riferisca  tutte  le  sue  azioni  a  gloria  di  Dio, 
compia  le  opere  corporali  e  spirituali  di  misericordia;  protegga  le  vedove  e  gli 
orfanelli,  consoli  gli  afflitti;  soccorra  quanto  gli  è  possibile  coloro  che  sono  vit- 
tima della  malizia  degli  uomini,  perchè  i  cuori  compassionevoli  piacciono  molto 
al  Signore. 

Segue  quindi  a  parlare  della  durata  della  preghiera  sempre  attenendosi  a 
San  Tommaso  e  a  Sant'  Agostino,  e  con  uno  spirito  così  dolce  eh'  io  non  so  se 
nelle  norme  che  dava  ai  suoi  discepoli  il  mitissimo  San  Filippo  Neri  e  negli 
scritti  di  San  Francesco  di  Sales  e  degli  altri  migliori  asceti  cattolici  si  possa 
trovar  di  meglio  :  e  concede  tanto  alla  debolezza  umana  e  al  gusto  individuale, 
che  coloro  i  quali  lo  condannano  per  1'  opposto  o  non  devono  certo  averlo 
letto,  oppur  devono  essere  di  quelli  che  le  cose  spirituali  non  intendono.  E 
dire  che  questo  trattatello  della  preghiera  fu  scritto  ad  istanza  della  superiora 
d'  un  convento,  e  perciò  con  riguardo  speciale  alla  vita  de'  religiosi  !  Quanta 
maggior  larghezza  non  avrebbe  dunque  usato  se  avesse  discorso  a' secolari!  (5) 
Del  resto  ripeta  pure  il  Pastor  che  il  Savonarola  faceva  troppo  pregare  il  popolo, 


(')  Questa  spiegazione  è  del  Ven.  Beda  ed  è  accettata  da  S.  Tommaso.  Vedi  Catena  aurea 
a  questo  luogo,  e  sul  v.  17,  cap.  V,  ep.  I  ai  Tessalonicesi. 

(2)  Ep.  I  ai  Corinti,  X,  31.  Anche  questa  interpretazione  si  trova  in  S.  Tommaso  1.  c. 

(3)  Anche  questo  fatto,  tratto  dal  libro  .De  vitis  Patrum,  è  riferito  da  San  Tommaso,  1.  o. 
C)  Ecclesiastico,  P.  I,  XXIX,  15. 

(5)  V.  Bayonne,  Opere  spirituali  di  Fr.  G.  S.,  I,  p.  120  e  segg.  Off.  la  XVIII  sopra  Amos. 


—  170  — 


e  lo  voleva  pressoché  tutto  il  giorno  in  Chiesa....  ch'egli  era  d'un  rigore  ecces- 
sivo, di  uno  zelo  smoderato....  ma  io  trovo  per  contro  che  egli  diceva  che 
nessuno  deve  sforzarsi  di  troppo  nelle  cose  spirituali,  perchè,  venendogli  meno 
il  fervore  e  il  gusto,  si  volgerà  poi  per  piacere  alle  corporali;  trovo  che  il  Frate 
imponeva  che  si  deve  il  debito  suo  al  corpo,  perchè  non  ne  fosse  aggravata 
anche  l'anima;  trovo  per  contro  che  nessuno  gridava  più  forte  del  Savonarola 
contro  i  farisei  d'ogni  guisa  che  imponevano  ingiuste  gravezze  al  popolo;  trovo 
che  nessuno  semplifica  meglio  di  lui  la  vita  del  cristiano  :  e'non  fa  altro  che 
ripetere:  la  carità  rompere  ogni  altra  legge;  dov'  è  la  carità  e  il  Crocifisso,  es- 
servi tutto,  e  diventare  presso  che  inutili  le  altre  imposizioni.  (*)  Continuamente 
gridava  essere  un  tentar  Dio  il  non  valerci  della  prudenza  umana  e  dei  mezzi 
che  naturalmente  Dio  ci  ha  dati  ;  e  faceva  obbligo  ad  ognuno  di  dar  opera  af- 
fine di  procacciarsi,  secondo  il  proprio  stato,  il  necessario  alla  vita  corporale  e 
spirituale.  E  andò  in  queste  cose  tanto  avanti  da  porgere  perfino  a'  liberaleschi 
moderni  il  pretesto  ch'egli  fosse  uno  de' loro  antecessori.  Quindi  sono  obbligato 
a  respingere  anche  qui  come  ingiusta  e  infondata  1'  accusa.  Veda  il  Pastor  le 
Opere  del  Frate,  per  esempio  la  predica  XXII  sopra  Amos,  e  giudichi  se  non 
ho  piena  ragione  di  affermare  che,  egli,  condannando  il  Savonarola,  bestem- 
mia ciò  che  ignora. 

In  che  cosa  si  fonda,  il  Pastor,  quando  gli  piace  sottoscrivere  la  sentenza 
comune  agli  Arrabbiati  che  accusavano  il  Frate  di  voler  far  di  Firenze  un  con- 
vento, e  de' suoi  abitanti  altrettanti  frati  e  monache?  Le  poche  parole  dell'Am- 
basciatore di  Mantova,  come  già  abbiamo  mostrato,  hanno  troppo  poco  valore 
e  forze  troppo  deboli  per  tanta  accusa;  e  la  dottrina  del  Frate  le  condanna  con 
chiara  evidenza.  Dunque?!  Se  il  Pastor  vuole  tuttavia  aver  ragione,  se  la  fac- 
cia, ma  non  con  sole  affermazioni  e  con  periodi  tolti  da  razionalisti;  se  no,  non 
gli  crederemo,  apparendoci  evidente  il  contrario. 

Ancora  una  volta:  qual  fatto  si  adduce  per  provare  che  nel  suo  zelo  pas- 
sionato Fra  Girolamo  dimenticasse  che  la  Chiesa  per  natura  sua  è  nel  mondo? 
Forse  Fra  Girolamo  vuol  dire  che  nessuna  macchia,  nessuna  ruga,  dev'  essere 
nella  casta  Sposa  di  Cristo?  Ma  queste  parole  che  son  di  San  Paolo  (2)  devono 
propriamente  intendersi  della  Chiesa  trionfante,  e  così  intese  sono  una  verità 
sacrosanta,  e  sarebbe  eretico  chi  dicesse  il  contrario.  Forse  vuol  dire  eh'  essa 
in  teoria  non  tollera  vizio  nè  errore  di  sorta  alcuna,  ma,  come  Dio,  avversa 
ogni  male?  Ma  anche  questa  è  una  verità  sacrosanta,  e  sarebbe  eretico  chi 
dicesse  il  contrario.  La  fede  vince  ogni  errore.  Forse  vuol  significare  che  in 
pratica  la  Chiesa  non  deve  tollerare  gli  erranti  e  i  cattivi,  ma  deve  far  sì 
che  i  buoni  faccian  corpo  assolutamente  da  sè?  Forse  sperava  con  la  sua 
riforma  di  toglier  di  mezzo  tutti  i  viziosi  per  modo  che  non  avesser  più  noia 
i  buoni?  Ma  che  significa  allora  la  postilla  negli  Scritti  Inediti  sul  XXVII  di 
Ezechiele:  «La  Chiesa  sempre  tribolata  è  sempre  forte  nelle  tribolazioni?» 


(')  Vedi  più  innanzi  la  teorica  della  legge  secondo  il  nostro  Frate. 
(J)  V.  Lettera  di  S.  Paolo  agli  Efesini,  V,  27. 


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Allora  la  predica  XI  sopra  l'Esodo,  e  le  altre  simili  dove  il  Savonarola  parla 
del  male  che  posson  fare  e  degli  errori  in  che  possono  cadere  i  prelati  e 
il  Papa  stesso,  come  si  potrebbero  spiegare?  Anzi,  come  si  concilierebbero 
con  questa  opinione  i  molti  luoghi  ne'  quali  il  Savonarola  inveisce  contro  la 
Chiesa,  affermando  che  intende  parlare  de' tristi,  de' cattivi  cristiani?  Le  stesse 
regole  che  ci  dà  per  V  interpretazione  della  Scrittura,  e  specialmente  quella 
che  riferisce  al  corpo  vero  e  simulato  di  Cristo,  sarebbero  inesplicabili,  e 
non  avrebbero  senso  le  molte  pagine  nelle  quali  egli  conforta  i  giusti  a  so- 
stener la  lotta  pel  bene,  mostrando  che  è  condizione  essenziale  alla  vita 
cristiana  il  dolore  ;  e  che,  siccome  la  Chiesa  fu  perseguitata  prima  dagP  im- 
peratori e  poi  dagli  eretici  e  dai  filosofi,  così  allora  era  perseguitata  da'tiepidi,  e 
avrebbe  sempre  dovuto  lottare  fino  al  trionfo  finale  in  cielo.  Nè  avrebbe  più 
senso  la  postilla  inedita  del  capo  XXI  del  li  de'  Re  :  «  La  Chiesa  ha  combatti- 
mento co'  demonj  tutti  i  giorni  di  questa  vita  ».  No,  in  questo  senso  il  Savonarola 
non  aveva  zelo  passionato;  anzi  il  contrario  :  imperocché  riprendeva  coloro  che 
mostrassero  zelo  siffatto.  Non  so  tenermi  dal  dare  qui  tradotta  la  bella  e  affet- 
tuosa lettera  del  Padre  a  Fra  Stefano  da  Codiponte  novizio.  (*) 

«  La  pace  di  Dio  che  sorpassa  ogni  senso  prenda  possesso  dell'anima  tua,  fra- 
tello in  Cristo  dilettissimo.  Sommerso  nelle  occupazioni  non  ho  potuto  soddi- 
sfare al  tuo  desiderio,  poiché  a  volte  dimentico  di  me  stesso,  non  valgo  a 
compiere  i  miei  voti  e  i  miei  disegni.  Ora,  ad  ogni  modo,  per  1'  affezione  tua  e 
il  tuo  smoderato  fervore  sono  obbligato  a  pregarti  che  voglia  camminare  nella 
vocazione  nella  quale  sei  stato  chiamato.  Nel  cielo  son  buoni  tutti;  nell'inferno 
tutti  cattivi;  in  questo  mondo  si  trovano  de' buoni  e  de' cattivi,  nel  quale  per 
vero  non  potrai  trovare  che  sia  mai  stato  diversamente.  Molti  adunque  desi- 
derando di  viver  bene,  e  non  volendo  acquietarsi  all'  esperienza  de'  vecchi, 
cercano  in  questo  mondo  l'impossibile;  imperocché  vogliono  dimorare  tra  i 
santi,  senza  incontrare  un  solo  uomo  cattivo  od  imperfetto.  Il  che  non  venendo 
a  loro,  si  dipartono  dalla  propria  vocazione,  e  s'  aggirano  per  una  strada  non 
vera.  Sono  ingannati  dal  demonio  e  tratti  e  precipitati  d'  errore  in  errore,  nè 
più  tornano  in  appresso  alla  smarrita  via  della  verità,  alla  sapienza.  Figlio  mio, 
viver  bene  vuol  dire  fare  il  bene  e  sopportare  il  male,  e  così  perseverare  fino 
alla  morte.  Chi  vivrebbe  male  tra  i  santi  se  non  1'  uomo  perverso  e  destituito 
affatto  d'ogni  grazia  di  Dio?  Non  è  gran  lode  viver  bene  tra  i  buoni.  E  queste 
cose  ti  dico,  non  già  perchè  coloro  fra  i  quali  tu  vivi  sian  cattivi,  anzi  son 
buoni,  sebbene  forse  alcuni  di  quelli  siano  imperfetti,  ma  perchè  di  una  pa- 
gliuola  ne  fai  una  trave.  Bisogna  fuggire  i  cattivi,  bisogna  fuggire  i  perversi  e 
conversare  co'  buoni.  Imperocché  sta  scritto:  «  Sarai  santo  coi  santi,  eletto  co- 
gli eletti  e  coi  perversi  ti  pervertirai  ».  (2)  Ma  se  tu  pretendi  di  fuggire  assoluta- 


ti È  pubblicata  in  latino  dal  Villari  (II,  Doc.  X);  e  il  Bayonne  traducendola  in  francese 
(Opere  Spirit.  di  Fra  Girolamo  Savonarola,  III)  premette  appunto  che  il  Savonarola  la  scrisse 
al  giovane  novizio  a  fine  di  moderarne  il  nuovo  ardore  e  lo  zelo  indiscreto. 

(J)  Salmo  XVII,  27. 


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mente  i  cattivi,  sarà  necessario  uscire  di  questo  mondo.  Senza  dubbio  tu  già  ne 
sei  uscito  e  crederai  di  entrare  senz'altro  in  Paradiso.  E  nell'atrio  del  Para- 
diso certo  entrasti  ;  ma  non  ancora  in  esso  Paradiso  propriamente.  Nel  mondo 
tu  se'  vissuto  fra  gli  scorpioni;  e  nel  chiostro  hai  da  vivere  bene  fra  i  perfetti, 
gì'  incipienti,  gì'  imperfetti  e  non  più  fra  i  cattivi.  Che  se  vi  si  trovi  qualche 
falso  fratello,  non  te  ne  farai  le  meraviglie;  anzi  meravigliati  se  non  se  ne 
trovi  alcuno.  Nella  casa  d' Àbramo,  nella  casa  d'Isacco,  nella  casa  di  Gia- 
cobbe, nella  casa  di  Mosè,  nella  casa  di  David,  nella  casa  di  nostro  Signor 
Gesù  Cristo  e  degli  Apostoli  e  di  tutti  i  Santi  si  trovò  qualche  empio  e  per- 
verso, persecutore  dei  buoni;  come  dunque  puoi  tu  credere  che  vi  abbia  casa 
alcuna  quaggiù  senza  cattivi?  Erri,  erri,  o  fratello:  grande  tentazione  è  questa 
tua  e  suggeritati  sottilmente  dalla  perfidia  del  diavolo.  Cerca  adunque  la  pace 
con  perseveranza:  cammina  alla  presenza  di  Dio,  e  umiliati  sotto  la  polente 
mano  di  Lui  :  raccogli  la  rosa  tra  le  spine,  credi  ognuno  migliore  di  te  ;  se 
vedrai  cosa  che  non  ti  piaccia,  pensa  ch'essa  sia  stata  inspirata  da  buona  in- 
tenzione. Molti  sono  migliori  dentro  di  quello  che  non  appaion  di  fuora.  Datti 
pace  adunque,  datti  pace,  fratel  mio,  studiati  di  esser  umile,  sottomesso, 
obbediente  :  e  prega  incessantemente  e  sappi  che  la  sede  del  Signore  è 
nella  pace.  Prega  per  me  e  raccomandami  al  tuo  maestro  e  a'  tuoi  condi- 
scepoli ». 

Chi  sapeva  scrivere  così,  poteva  dimenticare  che  i  buoni  cristiani,  la 
Chiesa  è  per  natura  sua  nel  mondo?  Siamo  adunque  daccapo  :  che  vuol  dire  il 
Pastor  quando  accusa  il  Savonarola  d'  aver  dimenticato  che  la  Chiesa  è  per 
natura  sua  in  questo  mondo?  Mi  par  quasi  di  sentirmi  rimproverare  di  non 
aver  capito  da  principio:  —  Vuol  dire  che  il  Savonarola  eia  soverchiamente  duro 
nella  lotta,  pur  giusta,  contro  i  cattivi:  qui  sta  la  sua  asprezza  e  la  sua  par- 
zialità senza  esempio  :  mancava  di  carità  verso  la  debole  natura  umana,  verso 
1'  uomo  che  nasce  guasto  e  corrotto  e  si  sente  dalla  natura  viziata  portato 
al  male. 

Ecco  una  pagina,  fra  le  bellissime  degli  Scritti  Inediti,  che  prova  direttamente 
il  contrario  e  s'intitola: — Le  ottime  regole  per  combattere  al  giorno  d'oggi. — «Se 
alcuno  ha  un  figlio  ammalato,  l'ama  ancora  e  prega  chiedendo  aiuto;  lo  favo- 
risce e  lo  aiuta:  usa  ogni  rimedio,  chiama  il  medico,  e  al  medico  raccomanda 
se  stesso  e  il  figlio:  non  dice:  Taglia,  o  medico;  brucia;  ma  riserba  queste  pa- 
role quanto  può.  E  perchè  noi  amiamo  più  le  membra  nostre  che  non  il  figlio 
e  il  fratello,  quest'ordine  medesimo  noi  manteniamo  molto  più  quando  si  tratta 
d'  esse  membra.  Nè  osiamo  dire  al  medico  :  Amputa  questo  membro  putrido, 
se  non  allora  che  già  abbiamo  appreso  non  restarci  altro  rimedio.  E  nè  anche 
allora  osiamo  di  chieder  ciò  senz'  altro  ;  ma  appena  il  facciamo  con  cenni, 
mentre  con  le  parole  diciamo  piuttosto  il  contrario.  Finalmente  non  c'  esce  di 
bocca  se  non  quel:  fate  voi,  fate  piano.  Cosi  adunque,  dapprima  amiamo  quel 
membro;  secondo,  ne  domandiamo  la  salute;  terzo,  nessuno  ha  in  odio  quella 
carne  e  quell'osso  quantunque  putrido,  ma  lo  nutrisce  e  gli  usa  speciali  ri- 
guardi, ecc.  Nella  stessa  guisa  dobbiamo  comportarci  contro  i  cattivi  che  son 


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nostri  figli  in  Cristo,  e  nostre  membra.  Prima,  li  dobbiamo  amare  ;  secondo, 
pregare;  terzo,  far  del  bene  a  coloro  che  ci  odiano;  quarto,  correggerli  frater- 
namente; e  se  sia  conveniente,  domandare  anche  perdono  a  coloro  che  noi 
non  abbiamo  offeso  e  cercare  ogni  rimedio:  finalmente  chiamare  il  medico  e  non 
dire:  Uccidi,  taglia  via  questo  membro,  cioè  questo  mio  nemico,  ma:  Salvami, 
salvami,  liberami;  e  tentare  ogni  cosa  perchè  non  lo  si  abbia  da  uccidere,  nè 
tagliar  via:  chè  se  non  si  possa  fare  altrimenti,  dire:  Fa,  o  Signore,  ciò  che 
esige  la  giustizia  e  la  verità  tua  per  la  salute  mia  e  del  popolo,  ma  non  per 
vendicar  me,  o  per  contentarmi. 

«  E  quest'ordine,  »  diceva  il  Frate,  «  tiene  la  pia  Chiesa.  Imperocché,  dopo 
che  ha  tollerato  i  nemici,  con  animo  pronto  si  amano,  si  prega  per  loro,  si 
fa  lor  del  bene,  pur  vedendo  che  non  si  convertono,  ma  vogliono  tenersi  in 
fiore  e  perseguitare  e  tradire  i  figli  di  Dio  che  paiono  abbietti  e  giacere  in 
mezzo  ad  essi  ». 

In  nessun  senso  adunque  regge  l'accusa  del  Pastor:  essa  è  campata  in 
aria,  o  per  lo  meno  fu  proferita  leggermente;  è  falso  che  il  Savonarola  appli- 
casse le  sue  vedute  di  claustrale  a  tutte  le  varie  attinenze  del  civile  consor- 
zio: è  infondato  ed  assurdo  il  biasimo  che  gli  Arrabbiati  e  i  Medicei  davano 
al  Savonarola,  di  voler  lui  della  città  di  Firenze  formare  un  solo  convento,  e  di 
tutti  i  suoi  abitatori  altrettanti  frati  e  monache.  Girolamo  Savonarola  non 
dimentica  mai  in  nessun  senso  che  la  Chiesa  di  Dio  è  per  natura  sua  in  que- 
sto mondo.  Girolamo  Savonarola  non  riprova  cose  per  sè  lecite  non  riprovate 
dalla  Chiesa.  Il  ripetere  questa  proposizione  non  è  da  buon  critico;  ed  è  asso- 
lutamente illecito  ripeterla  gratuitamente. 

Ma  le  penitenze,  i  digiuni,  le  quaresime  che  il  Frate  imponeva  al  popolo  non 
erano  eccessive?  Il  fatto  stesso  che  si  dovette  abbassare  la  tassa  che  i  macellai 
pagavano  alla  città  per  la  ruina  totale  che  minacciava  la  loro  industria,  non 
dimostra  un  eccesso  intollerabile?  Ecco  qui  un'altra  volta:  leggendo  nel  Per- 
rens  o  in  un  economista  moderno  quest'accusa  e  questa  ragione,  sorriderei;  ma 
leggendola  nel  Pastor,  mi  fa  del  male,  mi  attrista.  Anche  questo  mi  pare  un 
linguaggio  non  conveniente  ad  un  cattolico.  Ditemi  francamente:  Se  un  predi- 
catore potesse  riuscire  a  persuadere  noi  nel  secolo  XIX  dell'  obbligo  che  si  ha 
d'osservare  i  digiuni  prescritti  dalla  Chiesa,  e  di  astenersi  dalle  carni  ne'gioini 
che  ci  son  vietate;  e  magari  riuscisse  a  persuaderci  che  per  devozione  ci  aste- 
nessimo dai  cibi  grassi  anche  in  qualche  altro  giorno,  commetterebbe  costui  un 
reato  di  rigore  e  di  durezza  eccessiva?  E  se  tutti  noi  osservassimo  davvero 
queste  astinenze,  ditemi  ancora,  i  macellai  nostri,  tutti  i  nostri  macellai  avreb- 
bero ancora  da  vendere  quanto  ora  vendono?  non  avrebbero  proprio  danno 
alcuno?  Dunque  per  volere  evitare  la  ruina  di  alcuni  negozj  di  carne,  non  sarà 
più  lecito  osservare  i  precetti  della  Chiesa?  Ma  dove  si  va  allora  colla  nostra 
critica?  Proprio  allo  spirito  rivoluzionario  ed  economico  de'  protestanti  e  de' li- 
beraleschi dell'  età  nostra.  Quest'  accusa  mi  richiama  a  mente  il  capo  XIX 
degli  Atti  degli  Apostoli.  Paolo  con  la  spada  della  parola  di  Dio  aveva  ornai 
tratto  a  Cristo  gran  parte  dell'Asia,  e  fatto  frutti  copiosissimi  con  1'  aiuto  an- 


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che  di  Gaio  e  Aristarco  in  Efeso.  Ma  ivi  con  la  sua  predicazione  recava  egli 
danno  non  piccolo  a'fabbricatori  di  idoli,  tanto  che  un  certo  orefice,  per  nome 
Demetrio,  il  quale  faceva  in  argento  certi  tempietti  di  Diana, (*)  dava  non  poco 
guadagno  agli  artigiani.  Convocati  i  quali,  e  quelli  che  di  cose  simili  lavoravano, 
disse  :  0  uomini,  voi  sapete  che  da  questo  lavoro  vien  la  nostra  ricchezza.  E 
vedete,  e  sentite,  che  non  solo  in  Efeso,  ma  in  quasi  tutta  l'Asia,  questo  Paolo 
con  sue  persuasioni  ha  fatto  cambiare  di  sentimento  a  molta  gente,  afferman- 
do che  non  son  dei,  quelli  che  si  fan  con  le  mani.  E  non  solo  è  pericolo,  che 
questa  nostra  professione  vituperevole  divenga,  ma  di  più  il  tempio  della  grande 
Diana  sarà  contato  per  niente,  e  comincerà  a  distruggersi  la  maestà  di  lei, 
cui  l'Asia  tutta  e  il  mondo  adora.  Udito  questo,  coloro  si  riempirono  di  sde- 
gno, e  sclamaron  dicendo:  Gran  Diana  degli  Efesini  !  E  si  riempiè  la  città  di 
confusione,  e  corser  tutti  d'  accordo  al  teatro,  trascinando  Gaio  e  Aristarco 
Macedoni,  compagni  di  Paolo.  E  per  più  ore  gridavano  tumultuando:  Gran 
Diana  degli  Efesini  !... 

Non  aggiungo  parole!!  Andiamo  oltre. 

E  poi  vero  che  Fra  Girolamo  fosse  tanto  rigido  neh'  imporre  digiuni?  Io 
vorrei  che  il  Pastor  mi  provasse  che  il  Frate  comandò  pur  un  digiuno  che 
non  fosse  degl'  imposti  allora  dalla  Chiesa,  e  che  ne  consigliasse  pur  uno 
grave  senza  che  la  città  si  trovasse  in  condizioni  straordinarie  e  bisognevole 
di  speciali  aiuti  di  Dio.  Io,  leggendo  le  prediche  del  Savonarola,  trovo  che  in 
ciò  egli  certo  era  allenissimo  dalla  larghezza  dello  spirito  mondano  de'tempi 
nostri:  ma  insieme  trovo  che  era  assai  mite  e  benigno,  avuto  riguardo  agi'  in- 
segnamenti e  a'  precetti  della  Chiesa,  e  alle  consuetudini  e  agli  usi  del  popolo 
cristiano  d'  allora.  Non  trovo  che  raccomandi  mai  il  digiuno  senza  mostrare 
nel  tempo  medesimo  di  conoscere  che  tutti  non  lo  potranno  fare,  e  non  pro- 
curi perciò  di  sostituirvi  qualche  altra  cosa,  dove  si  possa.  No,  oneri  insop- 
portabili il  Frate  di  San  Marco  non  ne  imponeva,  e  chi  dice  il  contrario  non 
lo  ha  letto.  I  peccati  dell'  età  sua  eran  molti,  e  perciò  molte  dovevano  essere 
le  penitenze,  se  si  voleva  placare  la  giustizia  divina  e  chiamare  sopra  la 
città  le  grazie  celesti  ;  ma  il  Savonarola  qui  non  mi  sembra  che  abbia  mai 
dato  neh'  eccesso,  e,  se  non  si  tenne  nel  giusto  mezzo,  bisogna  riconoscere 
che  fu  piuttosto  benigno  che  troppo  duro,  ed  ebbe  riguardo  alla  consuetu- 
dine e  agli  animi  affiacchili.  «  Orsù,  quest'  avvento  che  faremo?  Alla  qua- 
resima. Dico  prima  che  non  si  mangi  carne,  parlo  a  chi  è  sano.  Non  si  mangi 
ancora  cacio,  nè  uova;  ognuno  faccia  questa  quaresima,  piccoli  e  grandi, 
altrimenti  sareste  ingrati  a  Dio,  massime  che  dobbiamo  prepararci  sem- 
pre a  qualche  maggiore  grazia.  Vuoisi  anche  digiunare,  e  se  non  puoi  digiu- 
nare tutta  la  quaresima,  digiunane  parte.  Se  non  puoi  anche  fare  quaresima 
tu  che  se' debole,  fa  almanco  senza  carne,  mangia  delle  uova.  Vuoisi  che 

(')  Il  tempio  di  Diana  celeberrimo  per  tutto  il  mondo  eia  continuamente  visitato  da 
forestieri  che,  per  tenerne  ricordo,  compravano  queste  piccolo  riproduzioni  in  argento  fatte 
dall'  orefice  Demetrio. 


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conosciate  il  beneficio  di  Dio,  almanco  in  qualche  cosa  ».  (Predica  XXIX 
sopra  Ruth  e  Michea  fatta  a'  dì  20  di  novembre  1496.)  E  nella  predica 
fatta  il  27  novembre  dell'anno  stesso  (la  su  Ezechiele):  «Fate  l'avvento, 
chi  può.  »  E  nella  II  delle  prediche  sopra  Ruth  e  Michea  il  dì  dell'Ascen- 
sione, 12  maggio  1496,  ripete  ed  anzi  allarga  le  medesime  cose.  Ivi,  come 
del  resto  sovente  altrove,  il  Savonarola  dimostra  apertamente  che  la  peni- 
tenza principale  è  quella  che  consiste  nel  mortificare  tutto  1'  uomo:  cioè  nel 
cattivare  l' intelletto  alla  fede  e  la  volontà  all'  amore  di  Cristo  e  de'  beni 
eterni:  neh' usar  la  memoria  a  ricordare  del  beneficio  della  creazione  e  della 
redenzione  :  nel  tener  ferma  la  fantasia  che  s'  ha  da  morire,  e  non  immagi- 
nare altro  che  il  Crocifisso.  Quindi  tenere  gli  occhi  che  non  guardino  cose  vane, 
gli  orecchi  che  non  ascoltino  le  persuasioni  de'  tiepidi,  la  lingua  che  non  dica 
male.... E  venendo  al  gusto,  vuol  che  ognuno  dica:  «  Gusto  mio,  e' bisogna  che 
facciamo  un  poco  di  penitenza.  Orsù,  dilettissimi,  che  direte?  Una  quaresima. 
—  E'  bisogna,  dico,  fare  un  poco  di  penitenza,  se  vogliamo  avere  grandissima 
grazia  da  Dio.  Orsù  non  si  mangi  carne  di  qui  a  Pasqua  (di  Pentecoste),  (*) 
e'  sono  pochi  dì,  sarà  penitenza  discreta.  —  0  Frate,  tu  avrai  qualche  inimico, 
questi  beccari  si  dorranno.  —  Oh,  c'è  tant' altra  gente  che  non  viene  alla  pre- 
dica che  basterà  loro;  ma  predicatelo  voi  per  tutto.  Orsù,  e'  saria  bene,  accioc- 
ché e' non  si  dolgano  questi  beccari,  che  voi  gli  levaste  un  poco  delle  gabelle; 
non  mangiale  adunque  carne  voi,  io  non  parlo  degli  infermi  o  deboli,  ma  dico 
chi  è  sano  lo  faccia.  Io  ve  lo  comando  per  obbedienza;  se  volete  mangiar  delle 
uova,  io  lo  rimetto  in  vostra  libertà.  Il  digiuno  chi  può  saria  bene  farlo,  ma  non 


(')  La  Pentecoste  chiamasi  anche  Pasqua  di  Rose.  Tra  1' Ascensione  e  la  Pentecoste  cor- 
rono 10  giorni,  4  dei  quali  erano  vigilie  comandate  dalla  Chiesa.  Per  vedere  che  questa  asti- 
nenza non  fosse  in  nessun  modo  esagerata,  basta  osservare  che  il  precetto  allora  praticato 
nella  Chiesa  era  di  astenersi  dalle  carni  tutta  la  quaresima  e  tutto  l'avventi/,  e  però  l'asti- 
nenza di  pochi  di,  non  poteva  sembrar  cosa  strana.  Giova  anche  riflettere  alle  tristi  condi- 
zioni di  quei  giorni  in  cui  il  Savonarola  fece  quella  esortazione.  Le  disgrazie  si  erano  accu- 
mulate alle  disgrazie.  Una  grandinata  e  nevata  terribile  il  22  marzo  aveva  quasi  distrutte  le 
future  raccolte  e  minacciava  gran  carestia.  Correvano  nel  popolo  le  voci  pur  troppo  avverate 
della  venuta  del  Re  di  Francia  e  false  notizie  si  spargevano  di  bande  di  Veneziani,  Lombardi 
e  Genovesi.  Il  Re  non  curava  il  donativo  di  due  leoni  fattogli  dalla  repubblica  e  si  avvici- 
nava.... Nel  popolo  si  sparse  la  favola  spaventosa,  non  creduta  dagli  uomini  di  giudizio,  che 
a  Siena  fosse  piovuto  sangue  sopra  due  porte.  I  Fiorentini  erano  in  guerra  coi  Pisani  e  agli 
8  e  ai  24  d'  aprile  avevan  toccato  la  peggio.  Nelle  campagne  la  fame  cresceva  e  i  contadini 
atterriti  correvano  in  città....  In  undici  mesi  non  era  quasi  mai  cessato  di  piovere  ed  alla 
carestia  minacciava  di  succedere  la  peste  di  cui  s'  erano  già  scoperti  varj  segni  e  contro  cui 
già  dal  3  marzo  96  si  eran  presi  provvedimenti,  ma  che  poi  venne  terribile....  (v.  Landucci, 
Diario,  p.  128  e  segg.  Cf.  Villari,  v.  I,  p.  473  o  segg.)  Tutto  questi),  attesi  ancora  i  vizi  di  quel 
tempo,  all'occhio  del  cristiano  non  poteva  ragionevolmente  considerarsi  se  non  un  vero  ga- 
stigo  di  Dio.  E  se  il  Savonarola  per  placare  la  collera  divina  voleva  che  il  popolo  facesse 
penitenze  speciali  per  pochi  giorni,  dovrà  per  questo  riprovarsi?  Quanti  altri  esempj  di 
Santi  predicatori  di  penitenza  dovrebbe  riprovare  il  Pastor,  da  lui  stesso  raccontati  e  lodati! 
Osservazioni  analoghe  valgono  per  alcune  altre  penitenze  consigliate  dal  Savonarola,  per 
esempio  quelle  delle  quali  è  discorso  nella  line  del  sermone  XIX  sopra  i  Salmi,  recitato  il 
18  ottobre  1493  allora  che  la  città  era  in  pericolo  per  le  mene  di  Piero  de' Medici:  e  quelle 
proposte  nel  finire  la  IV  sopra  Aggeo  (che  fu  la  prima  dopo  la  cacciata  de'  Medici  stessi) 
perchè  Dio  usasse  misericordia  alla  città.  Cf.  anche  nel  Cappelli,  doc.  55  e  56. 


r 


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lo  voglio  comandare  a  nessuno.  Oppure  aimanco  questi  cinque  dì,  cioè  due  ve- 
nerdì, due  sabati  e  il  mercoledì  sarebbe  bene  digiunare:  io  intendo  di  quelli  che 
sono  sani  e  che  possono  ;  non  dico  dei  deboli.  La  tua  moglie,  se  fosse  indebolita,  non 
la  lasciar  digiunare.  Inoltre  s'ha  a  fare  orazione,  pregare  per  tutta  la  Italia,  per 
la  Chiesa,  per  la  città  e  per  voi.  Ogni  dì  si  dica  i  setti  salmi,  ma  vorrei  che  si 
dicessero  a  un'ora  tutti,  e  non  so  che  ora  mi  trovare  che  sia  più  comoda  a 
ciascuno.  Orsù,  come  suona  vespro  ognuno  gli  dica;  acciocché  Dio  ci  perdoni 
i  nostri  peccati.  Ognuno  si  confessi  e  comunichi  in  questa  Pasqua,  grandi  e  pic- 
coli, chi  è  da  comunicare.  Orsù,  i  miei  fanciulli  digiuneranno  anche  ora  un  dì, 
cioè  la  vigilia  della  Pasqua  ». 

Ma  io  non  so  tenermi  dal  recarvi  qui  ancora  alcuni  pensieri  che  il  Frate 
ha  neh'  Operetta  Della  Vita  Vedovile  nel  capitolo  II  della  parte  II,  il  quale 
tratta  per  V  appunto  del  digiuno  e  dell'  astinenza. 

Ivi  esordisce  col  detto  dell' Apostolo  ai  Galati  V.  17:  «  La  carne  lotta  contro 
lo  spirito  »;  e  agli  Efesini  V.  29:  «  Nessuno  odia  mai  la  propria  carne,  ma  la  nu- 
trisce, e  ne  tien  conto  »  ;  e  segue  affermando  che  per  vivere  saggiamente  in  questo 
mondo,  è  necessario  evitare  i  due  eccessi:  per  una  parte  cioè,  non  mortificare 
troppo  il  corpo  e  per  1'  altra  di  non  permettere  alle  spine  di  soffocare  il  buon 
grano  dello  spirito  ;  e  che  la  scienza  della  misura  e  della  discrezione  è  parti- 
colarmente necessaria  alle  vedove,  le  quali,  all'esempio  di  Sant'Anna,  deside- 
rano di  servire  il  Signore  notte  e  giorno  nel  digiuno  e  nella  preghiera.  Poi 
dice  che  questo  è  un  punto  delicato,  e  che  è  molto  difficile  fissare  una  regola 
pratica,  a  cagione  della  diversità  de'temperamenti,  delle  usanze,  de'  costumi, 
e  delle  numerose  circostanze,  che  cambiano,  per  così  dire,  d'ora  in  ora.  Nien- 
tedimeno si  possono  stabilire  de'  principj  generali  con  la  dottrina  comune 
a' Santi  :  e  chi  li  segue,  si  avvicinerà  ogni  giorno  alla  giusta  misura,  anche  se 
qualche  volta  non  arrivi  ad  intenderla  perfettamente.  L'  essenziale  si  è  di  non 
voler  peccare  :  imperocché  colui  è  perfetto  che  non  pecca  nulla  affatto  per  in- 
tenzione. Dopo  tutto  ciò,  ecco  la  regola  eh'  egli  dà  come  conveniente  alle  ve- 
dove nella  pratica  del  digiuno.  «  Primo,  quelle  che  stanno  bene  e  non  hanno 
alcuna  legittima  scusa  devono  osservare  devotamente  tutti  i  digiuni  prescritti 
dalla  Chiesa.  Di  più,  come  il  buon  Samaritano,  cioè  a  dire  il  nostro  Salvatore 
Gesù  Cristo,  ha  detto  all'albergatore:  «Tutto  ciò  che  tu  avrai  speso  di 
più  te  lo  rimborserò  fedelmente  al  mio  ritorno  »,  (')  mi  sembra  che  sia 
bene  di  fare  qualche  cosa  di  più,  e  che  ogni  vedova  che  sia  in  buona 
salute  digiuni  nell'estate  almeno  una  volta  la  settimana;  al  venerdì  in 
onore  della  passione  di  Gesù  Cristo:  imperocché  se  noi  sapremo  sof- 
frire con  lui,  noi  saremo  anche  glorificati  con  lui.  Questa  è  la  regola  seguita 
dagli  ordini  religiosi:  e  se  ella  vorrà  digiunare  un  altro  giorno,  sia  per  un  mo- 
tivo particolare  di  devozione,  sia  a  causa  d'  una  vigilia,  io  non  la  saprei  biasi- 
mare, solo  che  vi  metta  il  sale  della  discrezione  ».  In  secondo  luogo  osserva  il 
Frate,  che  vi  è  un  altro  digiuno,  che  ogni  uomo  di  qualunque  condizione  sia, 


(')  Vangolo  di  San  Luca,  X,  35. 


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può  e  deve  osservare:  questo  è  quello  che  consiste  nel  praticare  la  tempe- 
ranza, e  non  mangiare  che  secondo  il  bisogno  naturale.  Ma  dice  che  qui  è  im- 
possibile di  fissare  una  regola,  per  l'infinita  varietà  delle  complessioni:  ognuno 
può  dirigere  se  stesso  con  V  aiuto  dello  Spirito  Santo,  il  lume  del  quale  illu- 
mina i  discepoli  prediletti  i  quali  l' implorano  umilmente  con  fervide  preghiere. 
Dice  ad  ogni  modo:  «  Senza  dubbio,  il  troppo  e  il  poco,  il  più  e  il  meno  sono 
egualmente  difettosi;  ma,  come  è  difficilissimo  all'uomo  di  trovare  il  giusto 
mezzo,  allorché  alcuno  vi  s'accosta  sufficientemente,  non  pecca  punto  e  non 
si  allontana  dalla  virtù;  e  nel  caso  che  alcuno  non  sappia  evitare  l'uno  dei  due 
estremi,  va  meglio  portarsi  leggermente  verso  il  meno  che  verso  il  più  :  per- 
chè la  natura  in  questo  punto  si  contenta  di  poco  e  in  qualità  e  in  quantità. 
Ora  la  sobrietà  conviene  a  tutti  gli  uomini,  ma  particolarmente  alle  ve- 
dove.... »  (*) 

Ma  non  ho  ancor  finito.  Le  accuse  del  Pastor  sono  fatte  con  tanta  insistenza 
e  ripetute  con  tanta  sicurezza  e  autorità  che  vogliono  essere  ribattute  bene, 
perchè  siano  distrutte  ne' loro  effetti.  Stiamo  ancora  un  poco  sopra  il  digiuno: 
ecco  una  lettera  al  riguardo  di  Fra  Girolamo  a  Lodovico  Pittorio: 

«  Firenze,  3  agosto  1497. 
«  Amatissimo  in  Cristo  Gesù.  —  Non  bisogna  del  digiuno  osservar  1'  ora 
di  nona  cosi  appunto,  ma  s' intende  largamente,  cioè  che  non  si  anticipi  nota- 
bilmente. Vero  è  che,  secondo  gli  antichi,  l'ora  di  nona  era  dopo  mezzodì;  e 
la  Chiesa,  considerato  che  gli  uomini  allora  comunemente  mangiavano  a 
mezzodì,  cioè  all'  ora  sesta,  volea  che  differissero  il  mangiare  infino  all'ora  di 
nona,  quando  si  digiunava,  acciocché  in  quel  differire  1'  uomo  facesse  qualche 
astinenza.  Ora,  avendo  gli  uomini  ridotto  in  consuetudine  di  desinare  ad  altra 
ora  che  non  facevano  gli  antichi,  hanno  ancora  mutato  consuetudine,  non  solo 
nell'  ora  del  digiuno,  ma  ancora  1'  ordine  degli  offìcj  :  onde  la  Quaresima  si 
solea  mangiare  dopo  vespro,  per  fare  ancora  maggior  penitenza  che  negli  al- 
tri tempi.  Ora,  se  sia  stato  per  gola  o  per  debilità  dei  corpi,  il  vespro  è  stato 
ridotto  alla  mattina  la  Quaresima,  per  parere  di  osservare  la  norma  data.  E 
perchè  questa  consuetudine  è  prevalsa,  essendo  lo  statuto  dell'  ora  del  digiuno 
di  diritto  positivo,  a  me  pare,  che  al  presente  V  ora  di  nona  circa  al  di- 
giuno sia  da  osservare  secondo  la  consuetudine  della  città,  cioè  dopo  1'  ora 
nella  quale  comunemente  si  desina  quando  non  si  digiuna,  dico  dopo  un'  ora 
o  due,  o  più  o  meno,  secondo  la  consuetudine  della  città,  massime  quando  si 
costuma,  sonata  nona  nella  Chiesa  :  la  quale  ora  ancora  essendo  prevenuta 
dall'  uomo  notabilmente  per  qualche  causa  razionabile,  non  giudico  peccato 
alcuno;  ma  senza  causa  chi  prevenisse,  non  in  fraude  del  digiuno  nè  in  di- 
spregio, ma  per  qualche  compagnia  o  per  ignoranza  o  per  inavvertenza,  giu- 


(')  Veda  il  lettore  il  rimanente  del  capitolo  nel  quale  l'Asceta  domenicano  si  ferma  a 
dar  regole  per  la  mortificazione  de' sensi  esterni  ed  interni  e  resterà  ammirato  dalla  saviezza 
del  Maestro. 

12 


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dicherei  peccato  veniale.  Dunque  voi  avendo  prevenuto,  per  essere  in  casa 
d'  altri  e  aver  avuto  rispetto  di  non  dar  noia  al  padrone  o  alla  famiglia,  se- 
condo il  mio  giudicio,  non  avete  perso  il  merito  del  digiuno,  e  non  vedo  in 
questa  vostra  cosa  peccato  alcuno  espressamente,  nè  anche  veniale.  E  per 
l'avvenire,  non  potendo  voi  fare  altrimenti  senza  perturbazione  dove  siete,  la 
quale  ancora  vi  inquieteria  lo  spirito,  giudico  sia  meglio  fare  come  avete  fatto, 
massime  per  dispensazione  del  vostro  confessore  o  dell'ordinario,  quando  si 
può  avere,  e  serbare  la  pace  dell'  anima,  che  star  a  inquietar  voi  e  gli  altri. 
Circa  al  ritardare  troppo  il  mangiare,  non  credo  sia  peccato,  perchè  il  di- 
giuno è  fallo  per  penitenza,  e  quanto  più  l'uomo  indugia,  tanto  più  macera 
il  corpo  ».  (*) 

Or  qui  (parlo  a' cattolici)  dov'è  l'eccesso?  Dove  la  durezza,  la  parzialità? 
Dove  la  strettezza,  la  scrupolosità,  lo  zelo  soverchio,  al  medioevo  affatto 
sconosciuti?  Dove  passa  il  nostro  Frate  il  giusto  mezzo?  Dove  son  qui  le  ve- 
dute del  claustrale  applicate  a  tutte  le  varie  attinenze  del  civile  consorzio? 
Dove  sono  i  digiuni  che  minacciano  la  rovina  totale  dell'industria....  de' ma- 
cellai?!!! 

Vorrei  finire;  ma  non  so  chiudere  il  capitolo  senza  scrivere  ancora  una 
parola  intorno  ad  una  asserzione  speciale:  «  Ciò  che  la  Chiesa,  la  quale 
tenne  in  ogni  tempo  la  giusta  misura,  raccomanda  come  consiglio  e  soltanto 
ai  perfetti,  egli  di  spesso  predicava  come  prescrizione  e  obbligo  per  tutti 
quanti.  » 

11  lettore  che  ci  ha  seguiti  fin  qui  in  questo  capitolo  credo  che  già  ri- 
tenga senz'  altro  per  infondata  quest'accusa;  ma  certo,  come  noi,  desidererà 
che  il  Pastor  od  altri  degli  accusatori  accenni  almeno  un  caso  particolare  in 
cui  il  Savonarola  sia  andato  così  oltre,  e  abbia  così  trapassata  la  giusta  mi- 
sura contro  la  consuetudine  della  Chiesa;  ma  questo  desiderio  non  ci  sarà 
forse  mai  soddisfatto.  In  verità  leggendo  le  Opere  del  Nostro  non  mi  son  mai 
accorto  di  tanto!  Ma  invece  vide  e  conobbe  che  il  severo  Frale  non  racco- 
mandò mai  in  generale  come  precetto  quello  che  è  semplicemente  consiglio  ; 
e  tanto  meno  prescrisse  a  tutti  quanti  ciò  che  la  Chiesa  raccomanda  soltanto 
ai  perfetti.  La  frase  più  forte  eh'  io  abbia  letto  nel  Savonarola  si  è  che  nulla 
esiste  che  sia  semplice  consiglio  che  alcuna  volta  non  possa  diventare  ob- 
bligo. Ma  questa  frase  eh'  egli  ripete  quasi  sempre  quando  invoca  il  soccorso 
per  gì'  indigenti  che  muoion  di  fame  se  tu  che  puoi  non  li  soccorri  del  tuo, 
1'  appoggia,  anzi  attribuisce,  a  Sant'  Agostino,  a  Sani'  Ambrogio,  a  San  Tom- 
maso, ed  è  ad  ogni  modo  ben  lontana  dal  giustificare  o  anche  semplicemente 
dallo  spiegare  l1  accusa  del  Pastor  che  esaminiamo. 

Del  resto  che  il  Savonarola  avesse  ben  chiara  in  mente  la  distinzione  fra 
precetto  e  consiglio  appare  già  dalle  conclusioni  sopracitate  della  Seinjrìicità 


(')  Vedi  questa  lettera  pubblicata  dal  Cappelli.  Fra  Girolamo  Savonarola  e  notizie  intorno 
al  suo  tempo,  nel  voi.  IV  degli  Atti  e  memorie  della  II.  Dep.  di  storia  patria  per  le  Provincie  mo- 
denesi e  parmensi.  Modena,  1862. 


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della  Vita  Cristiana,  e  si  può  vedere  anche  nel  capitolo  XII  del  libro  III  del 
Trionfo  della  Croce.  Ivi,  dopo  di  aver  parlato  de'  comandamenti  della  legge 
cristiana  e  dimostrato  la  eccellenza  di  questa  sovra  ogni  altra  legge,  dice  ap- 
punto che  la  dottrina  cristiana,  dopo  i  precetti,  «  ha  sopraggiunto  i  consigli  per 
fare  perfetta  la  purità  del  cuore  insieme  con  la  carità  necessaria  alla  vita  cri- 
stiana, alla  perfezione  del  divino  amore  »  ;  e  dice  letteralmente:  «  Cristo  con- 
siglia a  chi  vuol  essere  perfetto  che  venda  tutto  il  suo  e  dialo  a'  poveri,  e  se- 
guiti Lui.  E  perchè  sia  ancora  più  spedito,  gli  consiglia  la  castità;  e  per  farlo 
diventare  ancora  più  perfetto,  gli  consiglia  che  vada  alla  religione,  alienandosi 
non  solamente  da  tutte  le  cose  terrene,  ma  eziandio  da  sè  medesimo,  accioc- 
ché sia  sempre  fisso  con  1'  animo  su  le  cose  eterne  e  diventi  in  certo  modo 
una  cosa  con  Dio  ». 

Questa  è  la  dottrina  che  il  Savonarola  svolge  nelle  sue  predicazioni  e 
non  un'  altra.  E  non  troverete  mai  eh'  egli  imponga  nella  pratica  una  sola 
cosa  come  obbligo,  se  come  obbligo  non  l'abbia  imposta  Cristo  e  non  la  im- 
ponga la  Chiesa.  Egli  era  così  lungi  dal  prescrivere  come  precetto  a  tutti 
quanti  ciò  che  era  solo  consigliato  ai  perfetti,  che  anzi  diceva  che  questo 
avrebbe  guastato  ogni  cosa.  Se  volete  venire  ad  un  particolare,  aprite  per  esem- 
pio il  Trattato  circa  il  reggimento  e  governo  della  città  di  Firenze,  e  vi  per- 
suaderete subito  che  il  nostro  Frate  intendeva  a  perfezione  la  massima  che 
dice:  l'ottimo  esser  molte  volte  il  nemico  del  bene:  «  Molte  volte  accade  che 
quello  che  è  ottimo  assolutamente,  non  sia  buono,  anzi  sia  malo  in  qualche 
luogo  o  a  qualche  persona,  come  è  lo  stato  della  perfezione  della  vita  spiri- 
tuale, cioè  lo  stato  religioso,  il  quale  in  tè  è  ottimo  stato;  e  nientedimeno  non 
è  da  imporre  tale  stato  a  tutti  i  cristiani  ;  nè  tal  cosa  si  debbe  attentare,  nè 
saria  buona,  perchè  molti  non  la  potranno  portare,  e  fariano  scissura  nella 
Chiesa,  come  dice  il  nostro  Salvatore  nell'Evangelio:  Niuno  cucia  il  panno 
nuovo  al  vecchio,  altrimenti-si  romperla  il  vecchio  e  fariasi  maggiore  scissura, 
e  niuno  metta  il  vino  nuovo  negli  otri  vecchi,  altrimenti  si  romperanno  gli  otri 
e  spargeriasi  il  vino.  (')  Onde  noi  vediamo  ancora  che  qualche  cibo  in  sè  per- 
fetto è  cattivo  a  qualche  complessione  ».  (Capitolo  II.) 

Mi  tirino  fuori  gli  accusatori  del  Savonarola  un  solo  passo,  un  solo  detto 
del  Frate,  il  quale  non  sia  conforme  a  questa  dottrina,  che  non  sia  conforme 
alla  dottrina  dei  Padri  e  dei  Dottori  e  segnatamente  di  San  Tommaso;  mi  ti- 
rino fuori  una  sola  proposizione  del  Frate  che  non  rispetti  la  giusta  misura 
ognora  tenuta  sapientemente  dalla  Chiesa  e  noi  ci  daremo  per  vinti. 

Ma  già  abbiamo  detto  troppo  :  concludiamo  adunque  un'  altra  volta  :  Bi- 
sogna leggere  prima  di  giudicare,  e  leggere  bene. 


C')  Vangelo  di  San  Matteo,  cap.  IX,  v.  16  e  17. 


XIV. 


Nuove  accuse  contro  Fra  Girolamo  e  difesa  relativa. 


Sommario. 

Perchè  Girolamo  Savonarola  si  ritenesse  ognora  nella  giusta  via.  —  Cammino  che  ci  resta  da  fare  nel- 
P  Apologia  (lei  Frate.  —  Nuove  accuse  del  Pastor.  —  Pazienza  richiesta  ad  esaminarle  tran- 
quilli. —  Testimoni  a  discarico.  —  Se  il  Pastor  creda  o  no  alle  sue  accuse.  —  Il  Pastor  ag- 
grava indebitamente  le  accuse  del  Perreus.  —  Infelicità  di  metodo.  —  Come  le  pene  che  secondo 
il  Perrens  erano  invocate,  nel  Pastor  diventino  per  opera  del  Savonarola  applicate.  —  Si  richie- 
dono prove.  —  Nostra  meraviglia  e  interpretazione  di  alcune  parole  del  Pastor.  —  Cose  verissime. 
—  Passi  Savonaroliani.  —  Uagione  della  trascrizione  e  nostra  protesta.  —  I  passi  del  Savonarola 
provano  contro  il  Pastor.  —  Il  critico  d'  Innsbruck  eccessivamente  rigoroso.  —  Questioni  da  ri- 
solvere. -  •  Concessioni.  —  Fra  Girolamo  nella  punizione  de'  viz.j  mira  alla  tutela  sociale.  —  Ai 
cattivi  quanto  a  sè  basta  la  correzione  fraterna.  —  Distinzione  importante.  —  Parole  oscure  del 
Pastor.  —  A  cho  si  riduca  la  questione.  —  Aiuti  che  ci  porge  il  Pastor.  —  L'  usura,  il  gioco,  ht 
scostumatezza,  gli  schiavi,  la  sodomia  nell'  Italia  del  Risorgimento  e  loro  condanna  e  pene  se- 
condo il  Pastor  e  il  Savonarola.  —  Ragioni  speciali  a  Firenze  che  spiegano  le  punizioni  e  la  po- 
lizia del  Savonarola.  —  I  viziosi  nemici  dello  Stato  di  Firenze.  —  Mezzi  di  perfezionamento  cri- 
stiano secondo  Fra  Girolamo. — Azioni  pubbliche.  — La  mania  del  gioco  e  le  schiave.  —  I  cittadini 
e  i  maestri  corruttori  corretti  e  accusati  agli  Otto  dai  fanciulli.  —  La  pena  del  tallone  agi'  ingiusti 
accusatori.  —  I  fanciulli  della  riforma  Savonaroliana  e  le  donne.  —  Beno  ottenuto.  —  Il  secolo 
del  Savonarola  e  il  secolo  nostro. 


Abbiamo  veduto  assai  chiaramente  che  non  ha  fondamento  veruno  1'  ac- 
cusa di  rigorista  nella  vita  religiosa,  ripetuta  troppo  leggermente  dal  Pastor 
contro  Fra  Girolamo,  e  che  anzi  questi  seppe  in  questo  campo  tenersi  ognora 
nel  giusto  mezzo;  e  se  pensiamo  alle  tristi  condizioni  dell'età  sua,  in  cui  sem- 
brava doversi  a  mali  estremi  porre  estremi  rimedj,  la  sua  ascetica  ci  sembra 
piuttosto  larga  che  stretta.  Ma  così  è:  chi  ha  per  guida  la  Scrittura,  i  Padri,  i 
Dottori,  la  tradizione  della  Chiesa  Cattolica,  chi  vuol  praticare  nella  semplicità 
del  suo  cuore  la  dottrina  di  Cristo  e  chiede  a  ciò  umilmente  lume  a  Dio,  si 
tiene  sempre  nella  giusta  via,  e,  colla  grazia  del  cielo,  cammina  retto  e  i  suoi 
piedi  non  offendono  in  laccio  di  sorta  alcuna. 

Ma  noi  con  ciò  non  siamo  ancora  a  mezzo  del  cammino  che  abbiamo 
da  percorrere,  nel  difendere  dalla  taccia  di  eccessivo  Fra  Girolamo  Savonarola. 


-  181  — 


Il  Pastor  non  è  fin  qui  intieramente  vinto;  perchè  egli  rincara  la  dose  dell'ac- 
cusa entrando  in  un  altro  campo  affine  al  percorso,  ne'  mezzi  usati  dal  nostro 
Frate  nell'  attuazione  della  sua  riforma. 

c  Anclie  i  mezzi  usati  dal  Savonarola  onde  attuare  la  sua  riforma  non 
sono  guari  tutti  commendevoli.  Il  rigore  delle  sue  pene  non  conosceva  con- 
fine. Il  giuoco  andava  punito  issofatto  colla  tortura,  la  bestemmia  colla  perfo- 
razione della  lingua.  Con  tutta  serietà  esigeva  (l)  lo  spionaggio  della  servitù 
contro  il  padrone  di  casa....  I  mezzi  coattivi  più  bruschi,  lo  spionaggio  e  la  denun- 
zia, dovevano  congiurare  a  ristabilire  nella  vita  di  tutti  i  cittadini  una  perfe- 
zione, la  quale  in  questo  grado  non  sarà  mai  possibile,  se  non  a  pochi....  Che 
il  Savonarola  colla  sua  esclusività  e  rigidezza  fosse  1'  uomo  più  inetto  a  com- 
piere realmente  un  durevole  cangiamento  delle  pubbliche  condizioni,  non  et  lo 
potrebbe  forse  più  evidentemente  mostrare  che  il  fatto  di  aver  commesso 
tutta  la  sua  polizia  tirannica  nelle  mani  di  fanciulli  non  peranco  giunti  all'  uso 
di  ragione.  Cotesti  inquisitori  dovevano  percorrere  la  città  per  dar  la  caccia  ai 
viziosi.  La  loro  giurisdizione  si  estendeva  fino  alle  fanciulle  e  alle  donne.  Ne 
seguiva  che  questi  ragazzi  penetravano  con  forza  nelle  case,  dove  ai  giuoca- 
tori  toglievano  di  mano  carte  e  dadi,  persino  il  danaro....  Il  malumore  contro 
queste  insopportabili  vessazioni  aumentava  ogni  dì  più;  ma  il  Savonarola  se  ne 
rideva.  E  poiché  molti  cittadini  di  contro  a  questi  fanciulli  petulanti  usavano 
del  loro  diritto  e  li  mettevano  alla  porta  a  furia  di  picchiate,  il  Savonarola  diè 
loro  delle  guardie  a  difesa  ».  (Pag.  138.) 

Ma  questo  è  un  terrorismo  intollerando!  Davvero  che  questi  mezzi  di 
riforma  non  sono  tutti  guari  commendevoli !!  (Ivi.)  Chi  avrà  ancora  il  coraggio 
di  chiamarsi  piagnone  o  savonaroliano  ?  !  Basta  la  verità  di  una  sola  di  queste 
accuse,  così  come  suonano  nel  Pastor,  per  far  ruinare  intieramente  la  fama 
del  Savonarola  non  pure  come  politico,  ma  anche  come  uomo  e  come  religioso! 
Ma  quali  prove  adduce  il  Pastor  a  conferma  di  queste  accuse?  Trascrive  forse 
dalle  opere  del  Frate,  giudicandolo  dalla  sua  stessa  bocca?  Trascrive  forse 
dalla  legislazione  fiorentina?  Da  documenti  autentici  dell'età  del  Frate,  da  uo- 
mini degni  di  fede,  d'  animo  religioso,  non  presi  da  odio  contro  il  reo?  Pro- 
cura di  mostrarci  le  circostanze  straordinarie  nelle  quali  si  trovava  il  severo 
Riformatore?  Procura  almeno  di  provarci  che  tali  circostanze  non  c'erano? 
Permettetemi  subito  che  ve  lo  dica.  Il  dolore,  eh'  io  provai  nel  leggere  e  nel 
trascrivere  queste  accuse  fu  dei  più  grandi  eh'  io  abbia  sentito  mai.  Qui  non 
riconosco  davvero  più  il  Pastor,  il  professore  tedesco  che  scrive  storia  con 
buona  critica.  Ad  esaminarle  quieti  si  richiederebbe  molta  virtù,  molta  pazienza! 
Facciamolo  per  amore  della  verità,  e  per  cooperare  secondo  le  nostre  forze 
a  sradicare  dalle  menti  i  pregiudizj  immeritamente  coltivati  da  chi  men  do- 
vrebbe! La  responsabilità  del  Pastor  qui  mi  pare  terribile  non  meno  delle  ac- 


(')  La  espressione:  «  Con  tutta  serietà  esigeva,  ecc.  »  è  un  poco  ambigua.  Si  poteva  forse 
anche  tradurre:  «  esigeva  in  tutta  la  sua  gravità,  ecc.  ». 


cuse  ;  crederò  d'avergli  fatto  un  vero  beneficio,  se  lo  persuaderò  a  ripensare 
T  argomento. 

Ecco  come  sta  la  cosa:  il  Pastor  afferma  e  scrive  questo  cumulo  di  accuse 
senza  darsi  il  minimo  pensiero  di  vedere  se  sieno  sostenibili  o  no;  e  le  trascrive 
dal  Perrens,  citandovi  insieme  anche  il  Bòhringer.  E  così  diremo  subito  che 
la  difesa  è  già  compiuta:  il  Pastor  non  fa  altro  che  affermare.  Ora  ad  as- 
serzioni gratuite  avendo  noi  il  diritto  di  opporre  asserzioni  gratuite,  per  noi 
sarebbe  già  troppo  trar  fuori  la  lunga  serie  degli  scrittori  cattolici,  e  anche 
non  cattolici,  che  dissero  il  contrario,  perchè  questa  parte  del  processo  che  il 
Pastor  fa  al  Savonarola  non  valga  più  nulla.  E  quali  uomini  avremmo  pronti 
a  testimoniare  in  favore  del  nostro  reo!  Vedete  l'operetta  del  Padre  Ferretti 
«  Per  la  causa  di  Fra  Girolamo  Savonarola:  Fatti  e  Testimonianze  »  (l)  e 
vi  persuaderete  subito  subito,  che  con  la  serie  dei  testimonj  in  favore,  non 
potrebbero  sostenere  il  contrasto  i  pochi  testimonj  che  il  Pastor  adduce  a 
carico.  Ma  crede  poi  il  Pastor  alle  testimonianze  che  adduce?  Se  vi  crede, 
perchè  poi  a  pag.  377  chiama  il  Savonarola  «  uomo  d' ingegno,  moralmente 
irreprensibile !t  »  E  se  non  vi  crede,  perchè  darle  così  solennemente  come 
certe  e  provate?  In  vero  qui  qualunque  lettore  del  Pastor,  che  solo  abbia  fior 
di  senno,  desidera  spiegazioni;  qui  la  confusione  aumentata  dalle  contradizioni 
è  più  grave  che  mai;  e  il  lettore  da  sè  non  riuscirà  a  chiarirla  e  tanto  meno 
a  toglierla  di  mezzo  o  a  comporla  intieramente! 

Un'altra  cosa  ho  da  osservare:  Qui  il  Pastor,  come  abbiam  detto,  copia 
di  nuovo  dal  Perrens:  ma  non  ci  sembra  che  trascriva  del  tutto  debitamente; 
nè  che  ritragga  tutto  il  pensiero  di  quello;  ci  sembra  anzi  che  lo  falsifichi  o  al- 
meno che  lo  aggravi  assai  più  di  quello  che  abbiamo  visto  fare  nel  capitolo 
antecedente;  quasi  siamo  per  dire  che  qui  la  passione  e  la  parzialità  nello 
storico  d' Innsbruck  appaiono  manifeste.  E  un  pensiero  grave  da  cui  P  animo 
rifugge,  ma  ci  è  difficile  cacciarlo  del  tutto.  Sarebbe  desiderabile  che  il  Pastor 
desse  una  qualche  spiegazione  e  si  scagionasse  in  qualche  modo;  é  vorremmo 
che  lo  potesse  fare  appieno  e  trionfalmente.  Leggendo  la  principal  fonte  a  cui 
attinge  il  Pastor  in  questo  luogo,  proviamo  indubbiamente  un'  impressione 
molto  meno  triste  che  non  leggendo  nel  Pastor  medesimo.  Qui  appare  sempli- 
cemente raccolto  e  aggravato  tutto  ciò  che  là  è  detto  con  attenuanti  a  carico 
del  povero  Frate!  E  così  stando  la  cosa,  chi  potrà  essere  rimproverato,  se 
afferma  che  il  critico  par  che  desideri  di  pronunciar  condanne  e  quasi  senta 
piacere  di  trovare  i  motivi  e  pretesti  per  farlo? 

Infatti  il  Perrens  dice  che  il  Frate  voleva  puniti  i  giuochi;  ma  riconosce  che 
i  fiorentini  avevano  gusto  al  giuoco  giunto  a  tanto  di  frenesia  che  li  spingeva 
alle  più  cattive  azioni  per  procurarsi  il  danaro  o  riparare  alle  perdite;  dice,  sì, 
anche  egli,  il  Perrens,  che  il  Frate  s'immischiava  in  cose  domestiche;  ma  af- 
ferma poi  che  la  promiscuità  nelle  famiglie  è  attestata  con  tanta  asseveranza 
da  non  poterla  affatto  mettere  in  dubbio;  dirà  del  pari  questo  biografo  che  il 


(')  Milano,  1697.  Tip.  Pontificia  San  Giuseppe. 


—  183  — 


Frate  voleva  punito  con  pene  severe  un  vizio  innominabile,  ma  non  si  asterrà 
dal  dirci  nello  stesso  tempo,  che  di  tal  vizio  erano  infetti  uomini  tutt' altro  che 
volgari!  (Pag.  130  e  seguenti.)  Dice  anch' egli,  il  Perrens,  che  il  Frate  voleva 
in  alcuni  casi  la  tortura,  voleva  introdurre  la  delazione  nelle  famiglie,  e  voleva 
proposte  ricompense  a' servitori  che  denunziassero  i  loro  padroni;  ma  adduce 
anche  qui  le  straordinarie  circostanze  nelle  quali  si  trovava  Firenze.  Chiama 
ancora  il  Perrens  quella  de'  fanciulli  vera  tirannia  e  la  peggiore  di  tutte,  per- 
chè i  fanciulli  (secondo  lui)  non  avevano  ancor  l'uso  della  ragione:  ma  rico- 
nosce ad  ogni  modo  ch'essi  furono  con  tuttociò  di  grande  aiuto  al  Frate  a  rifor- 
mare i  costumi  di  Firenze.  (Pagina  130  e  seg.  e  140-142.)  E  cosi  chi  legge  nel 
Perrens  vedrà  in  Fra  Girolamo  un  medico  rigoroso  che  a  mali  estremi  invoca 
estremi  rimedj  e  nient'  altro  o  poco  più  altro.  Ma  chi  legge  l' accusa  nel 
Pastor  giudica  ben  altrimenti:  egli  nel  Riformatore  di  Firenze  vede  addirittura 
un  crudele  esecutore  di  leggi  crudeli!  Ora  questo  metodo  noi  lo  crediamo  (e 

10  abbiamo  detto  fin  da  principio)  infelicissimo,  e  non  dubiteremo  dirlo  anche 
illecito.  Se  vuole  il  Pastor  dare  alle  accuse  un  senso  più  grave  che  non  si 
rilevi  dalle  fonti  dalle  quali  le  trasse,  giustifichi  la  sua  sentenza  con  buoni  mo- 
tivi, e  dia  prova  eh'  egli  ha  saputo  far  nuove  ricerche  e  instruire  un  nuovo  re- 
golare, formale  processo. 

E  un'  altra  cosa  non  so  tacere.  Nel  Perrens  si  raccoglie  chiaramente  che 

11  Savonarola  faceva  sforzi  inauditi,  esagerati  anche,  dava  incoraggiamenti  fu- 
nesti per  estirpare  i  vizj  del  lusso,  del  giuoco,  della  bestemmia,  della  sodo- 
mia; e  che  tutta  la  vita  lottò  per  questo  con  gravi  minacce  e  invocando  severe 
pene;  ma  non  è  detto  che  di  queste  minacce  n'abbia  applicate  mai  alcuna, 
e  tanto  meno  delle  eccessive.  Anzi  in  particolare  lo  storico  francese  scrive  che 
«  se  altri  faceva  fracasso  del  rigore  e  dell'intolleranza  di  Fra  Girolamo,  questi 
ad  ogni  modo  si  tenne  in  generale  entro  giusti  confini  ».  (Pag.  131.)  Per  con- 
tro nel  Pastor  si  legge  chiaro  chiaro  che  il  Savonarola  poneva  senza  meno  in 
pratica  le  pene  invocate  e  minacciate:  «  11  rigore  delle  sue  pene  non  conosceva 
confine.  Il  giuoco  andava  punito  issofatto  colla  tortura,  la  bestemmia  colla  per- 
forazione della  lingua;  con  tutta  serietà  esigeva  lo  spionaggio  della  servitù 
contro  il  padrone  di  casa....  »  Ma  in  qual  legge  del  Savonarola  è  scritto  que- 
sto? E  in  modo  così  semplice  ed  assoluto?  Chi  fu  torturato  per  opera  del  Savo- 
narola? Chi  ebbe  la  lingua  perforata?  Qual  servo  fu  delatore  e  n'ebbe  da  lui 
o  dalla  repubblica  ricompensa?  Lo  storico  non  deve  asserir  nulla  come  fatto, 
Dè  accagionare  alcuno  in  particolare,  senza  aver  prove  e  documenti  che  mo- 
strino che  ciò  che  asserisce  è  realmente  un  fatto,  e  tanto  meno  quando  tale 
asserzione  ritoglie  fama  ad  un  personaggio  famoso,  amato  e  venerato  da 
molti.  Qui  dunque  noi  preghiamo  con  insistenza  il  Pastor  perchè  ci  voglia  dire 
sopra  quali  documenti  egli  si  fonda,  per  pronunziare  con  tanta  sicurezza 
le  gravi  accuse.  Accurato  com'  è  di  illustrare  e  confermare  con  ricchezza  di 
documenti  quanto  asserisce,  segua  anche  qui  il  suo  metodo,  che  è  il  solo  si- 
curo; e  ci  provi  almeno  che  in  Firenze  fu  inopportunamente  e  per  opera  del 
Frate  stabilita  la  barbara  legislazione  che  gli  attribuisce;  dico  barbara,  perchè 


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non  doveva  esser  in  vigore  in  nessun'altra  città  d'Italia.  Allora  potremo 
un'altra  volta  discutere;  ma  finché  questo  non  si  faccia,  noi  ci  crederemo  in 
diritto  di  non  tener  conto  alcuno  delle  accuse  soprascritte. 

Ma  questi  nostri  argomenti  non  bastano  a  mostrare  la  verità  e  a  persua- 
dere i  desiderosi  di  conoscerla,  nè  a  far  veder  nulla  del  vero  Savonarola,  e  nem- 
meno a  distruggere  intieramente  o  a  spiegare  le  tacce  date  al  nostro  Riforma- 
tore. Veniamo  adunque  ad  un  esame  diretto  delle  asserzioni  del  Pastor,  ve- 
diamo come  stia  la  cosa,  come  predicava  il  Savonarola  su  questo  proposito  e 
come  si  diportava. 

Notiamo  prima  di  tutto  che  Fra  Girolamo  non  invocava  pene  solamente 
per  il  giuoco  e  la  bestemmia,  ma  ancora  per  l'  usura,  la  scostumatezza  e  l'in- 
nominabile vizio,  che  appestava  l'Italia.  Ci  fa  meraviglia  che  di  questo 
il  Pastor  si  taccia.  Forse  non  osò  il  severo  critico  d'incolpare  qui  il  Frate; 
o  forse,  chi  sa?  intende  parlar  velatamente  di  quest'altri  vizj,  allorché  dice 
che  «  i  mezzi  coattivi  più  bruschi,  lo  spionaggio  e  la  denunzia  dovevano 
congiurare  a  ristabilire  nella  vita  di  tutti  i  cittadini  una  perfezione,  la 
quale  in  questo  grado  non  sarà  mai  possibile  se  non  a  pochi  ».  Certo,  se  que- 
ste parole  debbono  avere  un  qualche  significato,  e  almeno  una  lontana  appa- 
renza di  verità,  è  necessario  cosi  interpretarle.  Comunque  sia,  noi,  anche  per 
rispondere  al  Perrens  ed  ai  futuri  Pastor,  se  ve  ne  saranno,  e  per  mostrare  ai 
lettori  anche  qui  il  vero  Savonarola,  diremo  un  motto  anche  di  questi  vizj. 

E  verissimo  che  Fra  Girolamo  nelle  sue  prediche  si  scaglia  sovente  e  con 
molta  veemenza  contro  1'  usura,  la  scostumatezza,  il  giuoco,  la  bestemmia,  la 
sodomia  e  anche  contro  gli  usurai,  gli  scostumati,  i  bestemmiatori,  i  sodomiti: 
Ecco  alcuni  de' passi  più  incisivi:  «  Io  ti  voglio  dire,  Firenze,  che  tu  faccia 
giustizia;  leva  via  i  giuochi,  castiga  il  vizio  sodomitico....  Io  vorrei  pure  vedere 
tre  fuochi  in  piazza.  —  Oh!  tu  se' crudele,  Frate!  —  Crudele  sei  tu,  che  per 
un  tristo  vuoi  pericolare  una  città  ».  (Sopra  i  Salmi  XXV.) 

«  Stamattina  voglio  parlare  a  te,  Firenze,  e  tutti  esortare  a  voler  pur- 
gare e  mandar  via  i  tuoi  peccati;  perchè  questo  è  il  secondo  anno  (')  della  tribu- 
lazione:  e  però  bisogna  mutar  nuova  vita  ed  espurgar  via  i  peccati  vecchi. 
Onde  diremo  con  1'  Apostolo  :  Togliete  via  il  vecchio  fermento,  affinchè  siate 
come  una  pasta  nuova  ;  un  poco  di  fermento  corrompe  tutta  la  massa....  (*)  Tu, 
Firenze,  vuoi,  a  posta  di  un  ribaldo  o  di  due,  o  di  cento,  rovinare  la  tua  città; 
uno,  ti  dico,  fa  capitare  male  molti.  Credete  voi  che  io  ve  Io  dica  di  mio  capo? 
Io  dico  che  l'Onnipotente  Iddio  ha  molto  per  male  che  non  facciate  giustizia. 
Popolo,  bisogna  levarsi  su,  e  pigliare  uno  di  questi  ribaldi,  e  menarlo  là,  e 
dire  :  costui  merita  la  morte:  questo  vogliamo  che  muoia.  Quelli  che  sono 
pubblici  sodomiti,  e  pubblici  giuocatori  e  bestemmiatori,  non  hanno  bisogno  di 


(')  Questa  predica  è  «tata  fatta,  presenti  i  magnifici  signori  e  tutti  i  magistrali,  a  di 
28  di  luglio  1495.  •» 

(')  Ep.  I  di  San  Paolo  ai  Corinti,  Cap.  V,  vers.  6-7.  Questa  testimonianza  di  San  Paolo 
è  applicata  nello  stesso  senso  del  Savonarola  da  San  Tommaso  che  reca  le  stesse  ragioni. 


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testimonj;  menalo  là  e  dì:  questo  è  il  luogo  tuo  della  giustizia;  altrimenti  peri- 
colerai tu  e  la  tua  città.  Vedete  che  un  poco  di  fermento  corrompe  una  massa 
di  farina;  così  un  tristo  fa  male  a  molti  altri.... 

«  Il  non  punire  le  cose  minime  fa  poi  venire  alle  cose  grandi.  Firenze, 
tu  hai  dell'anatema.  Bisogna  punire,  dico,  i  cattivi,  e  purgar  via  l'anatema.... 

10  dico  a  voi,  magistrati:  temete  Dio;  purgate  via  i  peccati,  levate  via  i  vizj  : 
fate  giustizia  di  questo  vizio  maledetto  contro  naturam;  non  punite  di  danari, 
nè  secretamente;  ma  fate  un  fuoco,  che  ne  senta  tutta  l'Italia.  —  Oh!  Padre 
e' non  si  vuole  così  malmenare  i  cittadini!  —  0  figliuolo,  e' non  si  vuole  cosi 
rovinare  questa  città  e  il  bene  comune;  chè  potreste  rovinarla  in  parte,  chè  in 
tutto  non  si  può.  Vuoi  che  mille  o  dieci  mila  rovinino  per  un  ribaldo?  Le  poe- 
sie son  causa  dell'ira  di  Dio:  guardate  i  vostri  figliuoli,  con  le  poesie,  in  che 
luogo  voi  li  mettete.  Le  meretrici  rimettetele  là  tutte  al  luogo  pubblico,  e  fa- 
tevele menare  con  le  trombette.  —  0  padre,  eccene  tante  che  farai  mettere 
questa  città  in  gran  confusione.  —  Or  su,  comincia  da  una  e  poi  andrai  ad 
un'  altra.  Tu  le  farai  almanco  più  cautamente  ire  :  Si  non  caste,  tamen  caute.  E 
i  giuochi  fate  che  si  puniscano  ;  e  sappiate  che  ci  son  giuochi  senza  dubbio.  Fate, 
Magnifici  Signori,  che  per  le  strade  non  si  giuochi  a  giuoco  nessuno  del  mondo, 
nè  piccolo,  nè  grande;  e  se  voi  trovate  che  uno  giuoca  cinquanta  ducati,  man- 
date per  lui,  e  dite  che  il  comune  ha  bisogno  di  mille  ducati;  innanzi  che  si 
parta  di  qui,  bisogna  che  tu  li  presti  al  comune.  I  bestemmiatori  fate  che  sia 
loro  forata  la  lingua  a  chi  è  trovato  in  peccalo,  e  che  sieno  puniti  acerbamente. 
San  Lodovico  di  Francia  facendo  cauterizzare  tutte  le  labbra  della  bocca  a  un 
bestemmiatore,  disse:  Io  mi  terrei  beato  che  a  me  fosse  fatto  questo  e  nel  mio 
regno  non  fosse  più  alcun  bestemmiatore.  I  balli  levate  via,  perchè  io  vi  dico 
che  non  è  tempo  da  ballare  adesso,  (4)  fateci  provvisione  che  non  si  facciano 
questi  balli,  nè  in  villa,  nè  in  Firenze;  e  tenetevi  spie,  e  punite  chi  erra.  Le  ta- 
verne ordinate  che  alle  ventiquattro  ore  sieno  serrate;  e  s'è  già  detto  loro 
tante  volte,  e  poi,  passato  qualche  dì,  par  che  l'abbiano  dimenticato.  Serrate  gli 
occhi  ancora  voi  e  fate  vista  di  non  vedere,  e  poi  a  un  tratto  raccoglieteli  tutti 
e  fategli  pagar  la  pena.  Ancora  intendo  che  si  tengono  aperte  le  botteghe  il 
dì  delle  feste:  io  dico  che  si  ponga  rimedio:  e  gli  speziali  fate  che  non  si  ten- 
gano se  non  quelli  che  sono  ordinati  il  dì  delle  feste  per  rispetto  alle  medi- 
cine; ma  non  dovriano  vendere  se  non  medicine  in  quelli  dì,  perchè  in  quello 
non  si  può  far  altro.  Se  tu  che  fai  i  conviti  vuoi  i  pinocchiati  freschi,  fagli  fare 

11  sabato  per  la  domenica.  Se  ti  duole  un  dente,  farlo  cavare  la  festa  non  è 
male;  ma  stare  là  a  vendere  bossolettie  mille  zacchere  è  ben  male  ».  (Ivi,  XXVI.) 

«  Voi  cittadini  se  volete  esser  partecipi  delle  grazie  divine  bisogna  che 
purghiate  tre  vizj  della  vostra  città.  Prima  è  necessario  che  scacciate  il  vizio 
della  sodomia;  e  se  voi  avete  paura  degli  eserciti,  abbiate  anche  più  paura  di 


(*)  Che  il  Savonarola  non  errasse,  dicendo  che  non  era  tempo  di  ballare,  si  vede  a 
colpo  d'  occhio  leggendo  le  storie  di  quel  tempo.  Appunto  in  quei  giorni  Firenze  era  trava- 
gliata dalla  guerra  e  minacciata  dalla  carestia....  Cf.  la  nota  la  della  pagina  antecedente. 


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questo;  perchè  questo  vizio  è  il  maggior  esercito  che  vi  possa  offendere.  Se- 
condo, è  necessario  che  voi  scacciate  il  vizio  della  bestemmia,  il  quale  è  tirato 
dal  giuoco.  Io  intendo  che  si  giuoca,  provvedetevi  voi  magistrati  che  non  si  giuo- 
chi per  le  case.  Voi  fanciulli,  se  lo  intendete,  accusategli,  ma  non  andate  a 
voler  entrare  nelle  case  per  forza,  che  non  voglio  che  facciate  scandalo.  Io 
vi  ho  detto  altra  volta  che  Santo  Lodovico  re  di  Francia  facendo  ardere  le 
labbra  a  un  bestemmiatore  disse:  Dio  volesse  che  a  me  fosse  fatto  questo,  é 
nel  mio  regno  non  fosse  più  alcun  bestemmiatore.  Terzo,  vi  bisogna  correg- 
gere il  vizio  delle  usure;  io  mi  ricordo  già  che  al  tempo  mio,  quando  ero  fan- 
ciullo, solevano  essere  gli  usurai  nella  terra  mia  in  abominazione  come  giudei  ; 
e  quando  i  fanciulli  vedevano  uno  di  questi  usurai  dicevano:  guarda  quel  ri- 
baldo: e  ognuno  li  aveva  in  abominazione.  Gran  vizio  per  certo  è  questo:  la- 
sciategli far  ragione  là  al  vescovado  a  chi  gli  domanda:  e  che  siano  spogliati, 
e  siano  infami,  e  anche  si  vorria  che  non  gli  rendessi  le  fave  (l)  quando  va 
a  partito....  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  pred.  XVII.) 

<  E'  sarebbe  bene  che  si  facesse  una  provvisione  che  quando  gli  usurai 
sono  accusati  al  vescovado,  che  il  vicario  potesse  avere  il  braccio  secolare  per 
castigarli.  Inoltre  io  voglio  dire  questa  mattina  a  voi  magistrati,  cominciando 
alla  Signoria:  E' non  piace  al  Signore  la  vostra  tanta  dolcezza,  perchè  voi  non 
fate  giustizia:  e  vi  bisogna,  dico,  declinare  alla  parte  crudele,  (io  non  vi  ag- 
giungo parola  nessuna)  altrimenti  Lui  si  adirerà;  io  vel  dico  un'altra  volta: 
punite  crudelmente,  io  vi  dico,  chè  non  piace  a  Dio  questa  vostra  dolcezza  >. 
(Ivi,  XXI.) 

«  I  fanciulli  hanno  più  zelo  loro  dell'onore  di  Dio  che  non  avete  voi.  Ma 
si  è  levato  su  contro  di  loro  cittadini,  preti  e  frati.  0  Signore,  che  gran  cosa 
è  questa,  che  e' non  sono  lasciati  far  bene?  Questi  fanciulli  sono  il  flagello 
del  tempio,  che  va  flagellando  per  tutta  la  città,  e  scacciando  i  giuochi  e  le 
mense  de' nummularj,  cioè  le  tavole  de' giuocatori.  Che  cosa  è  questo  che  è 
venuto  oggi  tra'  cristiani,  che  quando  uno  vuol  far  bene  o  sia  prete,  o  frate,  o 
fanciullo,  ognuno  gli  è  addosso  »?  (Ivi,  XXVII.) 

«  Cittadini,  levate  via  il  peccato  della  sodomia:  io  ve  l'ho  detto  tante  volle, 
che  voi  ne  porterete  poi  le  pene;  e  ci  sono  molli  che  sono  infami;  e  non  bi- 
sogna altra  esamina;  se  voi  non  li  volete  ammazzare,  scacciateli  almanco 
dal  vostro  territorio.  Io  vi  ho  a  dire  questo  stamattina.  Io  non  voglio  poi 
esser  tenuto  alla  pena.  Signore,  ecco  ch'io  glie  lo  detto:  bisogna  levar  via  que- 
sta feccia....  —  0  Frate,  costoro  saranno  tuoi  nemici,  e  perseguiteranno.  — 
Io  non  me  ne  curo.  Se  io  non  pensassi  che  c'  è  altra  vita  che  questa,  io 
ne  farei  stima.  Dice  quell'altro  :  —  Siamo  nelle  mani  de' fanciulli.  —  Dimmi, 
i  fanciulli  son  eglino  in  magistrato,  son  eglino  degli  Otto?  Vien  qua,  chiama 
uno  di  questi  tali,  che  sono  infami  e  dimandalo:  E  bene  o  male  a  levar 


(')  he  fave  bianche  e  nere  servivano  allora  por  ilare  i  voti.  Dar  le/ave,  qui  signifioa  dare 

il  voto  o  eleggere  alle  magistrature- 


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via  questa  feccia  della  città?  E' ti  risponderà  e  storcerassi  e  dirà:  oh!  eh! 
ed  infine  non  saprà  che  si  dire.  E' bisogna  rispondere  altro,  che  oh!  eh!  E  però 
vi  dico  che  spegnate  via  questi  vizj,  cliè  altrimenti  e'  non  può  essere  che  Dio 
non  vi  mandi  una  gran  mazzata  ».  (Ivi,  XXXVII.) 

«  Fanciulli,  andate  vedendo,  che  io  intendo  che  si  giuoca  di  nuovo.  I  Si- 
gnori Otto  vi  daranno  licenza  che  voi  togliate  le  carte  ai  giuocatori  che  voi 
trovassi,  ma  non  togliete  loro  altro.  E'  saria  bene  che  si  facesse  provvisione  a 
voler  spegner  questo  giuoco,  che  chi  fosse  trovato  in  peccato  avesse  avere 
qualche  tratto  di  fune.  Sicché,  fanciulli  miei,  andate  vedendo  che  non  si  giuo- 
chi ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  predica  II.) 

«  Tu,  vecchio  ribaldo,  scellerato;  io  parlo  a  te  che  sei  vecchio  d'anni  e 
non  di  senno;  sei  pieno  di  vizj  e  puzzi  di  dentro  e  di  fuori  e  da  ogni  canto,  e 
parli  tanto  disonestamente  ai  fanciulli  e  a  ognuno,  che  si  vorria  pigliare  un 
bastone  e  darti  tanto  che  tu  lasciassi  i  tuoi  vizj  da  un  canto  ».  (Ivi,  V.) 

«  Nelle  botteghe  i  maestri  parlano  ogni  cosa  alla  scoperta  alla  presenza 
dei  discepoli  e  dei  fattorini;  e  loro  imprendono  ogni  male.  Non  ci  è  semplicità 
alcuna,  nè  nei  grandi,  nè  nei  piccoli  ».  (Ivi.) 

«  Io  vi  ho  detto  altre  volte  che  questi  garzoni  di  queste  botteghe,  quando 
passano  le  donne  dabbene,  gli  traggano  mille  bottoni.  (l)  E'  si  vorria  fare  una 
legge,  o  Signori  Otto.  0  Signoria  di  Firenze,  io  dico  a  tutti  quelli  a  chi  appar- 
tiene, che  tutti  quelli  che  danno  noia  in  questo  modo  alle  donne  dabbene  per 
le  strade,  che  la  prima  volta  avessino  qualche  tratto  di  fune,  e  poi  1'  altra 
volta  confinarli  nelle  Stinche.  (2)  Ma  tu  che  noi  vuo'  fare,  e  non  vuoi  che  si 
faccia  giustizia  di  questi  tali  scellerati,  mostri  di  essere  simile  a  loro  ;  altri- 
menti non  lo  patiresti.  Tu,  popolo,  fai  che  tu  gli  ammonisca  questi  tali  che  sono 
nei  magistrati  e  non  vogliono  punire,  nè  far  giustizia  dei  cattivi.  Dagli  sem- 
pre a  questi  tali  delle  fave  bianche,  quando  vanno  a  partito  un'altra  volta,  e 
a  questo  modo  gli  ammonirai.  Andatelo  dicendo  per  tutto  il  popolo,  che  quando 
va  a  partito,  chi  non  vuol  far  giustizia,  che  si  facci  nevicare.  (3)  Questo  è  se- 
condo la  ragione,  che  il  popolo  castighi  i  magistrati  che  fanno  male.  Tu  po- 
polo, sei  il  signore  e  sei  il  vicario  di  Cristo  nostro  Re,  e  a  te  appartiene  fare 
osservare  la  giustizia  ».  (Ivi,  V.) 

«  Tu  non  vuoi  ancora  levar  via  i  giuochi  e  le  meretrici  per  le  strade!  Che 
state  voi  a  fare,  signori  Otto?  Voi  siete  ministri  di  Cristo,  che  è  Re  della  vo- 
stra città,  se  voi  non  farete  giustizia,  lui  vi  punirà.  Guai  alla  barba  vostra.  Io 
ve  lo  dico,  andate  provvedendo  che  questi  non  sieno  nella  nostra  città.  Così 
voi,  fanciulli,  andate  cercando  dei  giuocatori,  toglietegli  le  carte.  Voi  citta- 
dini a  che  fine  siete  voi  fatti  de' magistrati  ?  Forse  per  nutrire  i  peccati?  No, 
vi  dico  io  ;  questo  non  è  il  fine,  voi  fate  il  rovescio.  Voi  siete  creati  magistrati 


(')  Qui  bottoni  vale  -scherzi  o  motteggi. 

(')  Le  Stinche  erano  le  prigioni  di  Firenze  in  quel  tempo,  ed  ebbero  tal  nome  perchè  i 
primi  che  vi  furon  messi  erano  d'  un  certo  castello  del  Chianti  detto  appunto  le  Stinche. 

(')  In  Firenze  dai  tempi  più  remoti  fino  al  presente  i  voti  neri  son  favorevoli  e  i  bian- 
chi contrarj,  sicché  imbiancare  o  far  nevicare  vale  disapprovare  nei  partiti. 


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per  toglier  via  i  vizj  e  i  peccati,  voi  lasciate  il  fine  e  non  imparate  di  fare 
quello  che  è  vostro  ufficio  ».  (Ivi,  Vili.) 

«  Intendo  che  i  giuocatori  sono  per  tutto  e  più  che  mai,  e  tu  non  ne 
vuoi  far  giustizia  nessuna....  A  questo  giuoco  e  a'  vizj  voi  non  vi  mettete  rime- 
dio. —  0  Frate,  i  fanciulli  hanno  preso  ardire!  —  Dimmi,  donde  viene  che  ti 
pare  gli  abbiano  preso  ardire?  Tu  non  vorresti  che  togliessino  le  carte,  e  che 
e'  levassino  via  i  giuochi  per  le  strade.  Fanciulli,  io  non  voglio  già  per  niente 
che  facciate  scandalo.  Se  voi  potete  torre  le  carte  loro  e  levar  via  i  giuochi  senza 
scandalo,  fatelo.  Ma  tu  che  consenti  eh'  e'  si  giuochi,  debbi  essere  giuocatore 
ancora  tu.  Io  t'  ho  detto  che  tu  non  hai  altro  Re  che  Cristo  in  Firenze,  e  lui 
non  vuole  che  si  giuochi,  e  da  parte  sua  ti  dico  che  si  punisca  agentes  et 
consent  ientes. 

«  Io  li  prometto,  popolo,  che  se  tu  non  provvedi  a  questo,  che  noi  faremo 
tante  orazioni  che  tu  avrai  qualche  flagello.  Io  te  lo  prometto  su  questo  pul- 
pito. 11  popolo  è  signore,  e  debbe  fare  eh'  e'  si  viva  bene,  e  dire  alla  Signoria, 
(dico  con  buona  reverenzia):  Noi  vogliamo  eh'  e'  si  viva  bene  e  che  si  levi  i 
vizj....  Tu  di'  che  hai  buone  novelle  e  buone  lettere;  non  sperare  di  aver  nulla, 
se  non  fai  questo.  Io  ti  dico  che  tu  non  avrai  nulla,  se  non  fai  questo.  Io  non 
ve  lo  dico  senza  causa,  di  questa  riforma  delle  donne.  E' sono  causa  questi  ve- 
stiri di  molti  gran  peccati.  Tu  non  sai  ogni  cosa;  se  io  ti  potessi  dire,  io  ti  farei 
stupire  delle  cose  che  abbiamo  negli  orecchi.  Io  non  confesso,  ma  mi  viene  con- 
sigli per  le  mani.  Fate  andare  anche  i  famigli  vestiti  per  casa  e  non  in  farsetto, 
fate  che  stieno  sempre  vestiti  onestamente,  fa' anche  che  poco  conversino  uo- 
mini con  donne.  Io  dico  anche  i  proprj  fratelli;  io  non  trovo  queste  cose  di 
mio  capo,  io  vorrei  che  voi  viveste  santamente.  Tu  di'  dei  fanciulli;  domanda 
ai  confessori  che  differenza  è  nei  fanciulli  in  questo  tempo,  da  quelli  di  qual- 
che anno  addietro.  Vedrai  che  son  molto  più  purificati  dai  vizj,  senza  compa- 
razione, che  prima.  Tu  gli  riprendi  che  tolgono  le  carte;  basta  che  non  faranno 
male.  Bisogna  che  abbino  spasso,  ed  è  meglio  spassarli  nelle  cose  buone  che 
nelle  cattive.  Volete  che  io  vi  dica,  cittadini?  Voi  avete  del  vecchio,  voi  siete 
pusillanimi,  perchè  siete  avvezzi  sotto  un  governo  che  tutti  i  dottori  che  scri- 
vono del  tiranno,  lo  dicono,  che  il  popolo  diventa  pusillanime.  Voi  avete  paura 
de'  visi  d'  uomini  e  non  volete  far  giustizia.  Abbi  paura  della  mano  di  Dio  e 
della  sala  del  popolo  e  non  d'  altro.  Pigliatevi  insieme  quattro,  quando  vedete 
una  cosa  buona  e  dite:  Noi  vogliamo  così  ».  (Ivi,  IX.) 

«  Io  ti  dissi  1'  altro  dì  in  Palazzo,  che  se  tu  volevi  che  le  cose  tue  andas- 
sino  bene,  che  tu  dovevi  purgare  la  città  dai  cattivi,  e  prima  fare  che  il  clero 
fosse  buono,  e  ti  dissi  che  se  c'  era  nessuno  prete  o  frate  cattivo  che  fosse 
causa  del  corrompere  la  tua  città,  come  io  li  dissi  allora,  che  tu  dovevi  farlo 
punire  a' suoi  superiori  o  al  Papa;  e  se  non  lo  voleano  fare,  che  poi  tu  lo  cac- 
ciassi via,  ma  non  tanto  che  tu  non  faccia  il  bene:  tu  fai  tutto  a  rovescio.  Tu 
favorisci  i  cattivi  e  non  per  ignoranza,  ma  per  la  tua  mala  volontà,  ed  anche 
forse  per  qualche  presente  sottecchi.  In  effetto,  tu  non  vuoi  eh'  e'  si  faccia 
giustizia;  fai  venire  su  la  ruota  che  io  l'ho  detto,  e  vedrai  che  si  farà  giustizia. 


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Popolo,  fai  venire  quesla  ruota,  (')  perchè  la  è  cosa  buona.  Quando  siate  tutti 
in  Consiglio,  lievati  su  tutto  il  Consiglio  e  di':  Noi  vogliamo  questa  ruota. 

«  Quando  una  cosa  è  buona,  il  popolo  la  debbe  volere.  Dico  bene  che  an- 
diate con  ogni  debita  reverenza  ai  magistrati,  ma  in  effetto  il  Signore  è  il 
popolo. 

«  I  sodomiti  ancora,  che  meritano  d'  essere  arsi,  voi  magistrati,  a  chi  si 
aspetta,  non  ne  volete  fare  giustizia.  Tu  popolo,  anche  non  vuoi  farlo.  —  Oh, 
io  non  me  ne  impaccio.  —  Tu  debbi  impacciartene,  tu  se' il  Signore,  tu  debbi 
provvedere  eh'  e'  si  faccia  giustizia.  Voi  non  la  volete  fare,  e  però  Dio  vi  met- 
terà tra  il  mare  e  il  monte.  Oh!  come  ne  verrete  voi  poi  a  me,  e  direte:  Pa- 
dre, fate  orazione.  Ed  io,  perchè  tu  non  vuoi  fare  giustizia  e  le  cose  che  sono 
buone  e  che  piaccion  a  Dio,  farò  orazione  e  pregherollo,  e  così  fo  adesso,  che 
ti  dia  una  tale  bastonata  che  tu  la  facci.  Inoltre,  io  intendo  che  a  questi  giorni 
fu  assaltai  una  fanciulla  qui  in  Santa  Reparala  e  non  se  ne  fa  caso;  chè  meri- 
teria  quel  tale,  per  una  cosa  a  questo  modo,  che  il  popolo  gli  fosse  andato 
dietro,  e  che  non  ne  rimanesse  minuzzolo  de'  fatti  suoi.(l)  I  giuocatori  intendo 
che  stanno  rinchiusi  per  le  case  e  giuocacisi  più  che  mai.  E'  si  vorria  fare  una 
legge  che  le  schiave  che  rivelassino  quando  si  giuoca  in  casai  padroni,  fossero  li- 
bere, e  che  i  famigli,  che  ancora  rivelassino  il  giuoco,  avessino  qualche  premio. 
E'ci  saria  di  molti  modi  da  fare,  se  tu  volessi;  ma,  cittadini  miei,  voi  non  volete 
fare  giustizia,  ed  io  vi  dico  che  se  non  la  fate,  non  sperate  nulla;  e  fate  quanto 
volete,  chè  se  non  fate  giustizia,  non  avrete  nulla  ».  (Ivi,  pred.  XI.) 

«  E' non  mi  piace  a  me  che  tu  abbi  dipinta  la  giustizia  là  nel  tuo  Palazzo, 
senza  poi  osservarla.  Butta  giù,  giustizia,  quella  spada,  chè  ad  ogni  modo  tu 
la  tieni  indarno.  Fa'  giudizio,  dice  il  Signore,  cioè  atto  di  giustizia.  Io  non  vor- 
rei tante  dipinture,  ma  che  voi  faceste  giustizia,  e  che  i  Conservatori  della 
legge  e  gli  altri  magistrali  a  chi  si  appartiene  la  facessino  osservare. 

«  Firenze,  e'  mi  pare  che  tu  lasci  andare  ogni  cosa,  tu  non  punisci  per- 
sona che  erra.  E'  può  giuocare  chi  vuole,  può  bestemmiare  chi  vuole,  e  se  i 
giuocatori  son  avvisati  e  dettogli  che  non  giuochino,  e'  cavano  fuori  la  spada. 
Parti  a  te  che  questo  sia  ben  fatto?  Che  a  chi  tu  mandi  a  farli  la  correzione 
gli  sia  cavata  fuori  la  spada?  Tu  non  vuoi  fare  giustizia,  tu  non  vuoi  vincere 
le  buone  leggi.... 

«  Voi  dite  pure  che  si  fa  giustizia:  a  me  non  pare  che  se  ne  faccia  nes- 
suna. E'  si  giuoca  per  tutto  e  si  bestemmia,  e  parlasi  ogni  male.  E'  mi  pare  a 
me  che  ognuno  abbia  licenza  di  fare  e  dire  ciò  che  e'  vuole,  anzi  quelli  che 
fanno  male  sono  bene  accarezzati.  Dicono  questi  fanciulli:  —  0  Padre,  quando 
noi  andiamo  a  fare  che  non  si  giuochi,  ed  a  fare  la  correzione  fraterna,  e'  ti- 


(')  La  Ruota,  che  il  Savonarola  voleva  che  si  creasse  era  un  tribunale  di  giudici  citta- 
dini savj,  ricchi  e  ben  pagati,  acciocché  fossero  incorruttibili.  Cf.  Villari,  V.  I,  p.  301. 

I*)  Anche  nella  Predica  XXIII  sui  Salmi  si  lamenta  di  un  caso  simile:  «  E'  ci  sono 
stati  alcuni  di  quei  tali  che  hanno  voluto  torre  qualche  fanciulla.  Non  sapete  voi  che  per 
uno  peccato  Iddio  punisce  tutti  gli  altri  »? 


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rano  fuori  le  spade  —  Questa  parli  giustizia,  che  di  una  simile  cosa  tu  non  ne 
facci  dimostrazione  alcuna?  Mi  pare  a  me  che  i  fanciulli  ne  fanno  più  di  voi, 
perchè  vogliono  che  si  viva  costumatamente  e  che  si  faccia  giustizia,  e  non 
possiamo,  ma  voi  potete  e  non  volete.  Meritano  questi  cattivi  giuocatori,  che 
non  solamente  e' sia  tolto  loro  le  carte  e  dadi,  ma  meriterebbero  anche  di  es- 
sere arsi  nel  fuoco.  Castiga,  ti  dico,  ognuno,  e  così  questi  che  dicono  tanto  male. 
—  0  Frate,  tu  vorresti  che  si  castigasse  chi  dice  male  di  te?  —  Non  ti  dico  cosi 
io,  che  io  voglia  che  per  me  tu  castighi  persona:  anzi  queste  mormorazioni  e 
V  essermi  dato  calunnie  sono  la  mia  corona  appresso  a  Dio;  non  me  ne  curo 
punto  per  me,  nè  voglio  che  tu  castighi  persona  per  me,  come  io  ti  dissi  ieri. 
E  distinsiti  che  in  quanto  predicatore  tu  facevi  ben  male  a  mormorare  e  dire 
male  della  dottrina  di  Cristo,  ma  in  quanto  me,  non  me  ne  curo.  Ma  e1  ci  è 
ancora  di  quelli  che  fanno  peggio  ».  (Ivi,  Pred.  XX.) 

«  Io  li  ho  scritto  che  tu  facessi  giustizia  e  scacciassi  via  i  vizj  della  tua 
città,  e  che  altrimenti  tu  avresti  tribulazioni  assai.  Va'  un  poco  astrologando  e 
vedendo  che  giustizia  tu  hai  ancora  fatta,  e  che  purgazione  dei  vizj.... 

«  Guarda  un  poco  se  si  giuoca  per  tutto  nella  tua  città,  i  fanciulli  la  pur- 
gavano da'  vizj  e  da' giuochi,  e  tir  gli  hai  impediti.  Fanciulli,  io  dico  a  voi:  la- 
sciate giuocare,  non  ve  ne  impacciate  più,  lasciate  correre....  0  Firenze,  Firen- 
ze, vai  un  poco  astrologando;  tu  vedrai  che  si  giuoca  per  tutte  le  strade,  e 
fatinolo  anche  per  dispregio  delle  cose  di  Dio.  Io  dico  di  molti,  che  dicono  : 
Giuochiamo  pure,  il  Frate  ha  detto  che  facciamo  buone  poste,  e' dicon  proprio, 
e' fanno  male  per  dispregio.  Ed  anche  di  questi  che  giuocano  n' è  alcuno  in 
magistrati.  E  finalmente  anche  i  poveri  giuocano  per  lutto.  Orsù,  giuocate, 
poveri,  provocate  l'ira  di  Dio  contra  di  voi;  io  dico,  poveri,  che  voi  morrete 
di  fame. 

«  Da  questo  giuoco  ancora  viene  la  bestemmia:  che  ti  voglio  dire,  che 
non  è  molto  che  uno,  al  quale  posso  credere,  venne  a  me  e  dissemi,  che  pas- 
sando  per  la  via  dove  si  giuocava,  sentì  uno  bestemmiare  che  benedisse  l'anima 
di  Cristo  (inlendi  al  contrario).  E  dissemi  queste  parole:  Padre,  io  non  so  ve- 
dere come  Dio  possa  più  sostenere. 

«  0  Firenze,  Firenze,  che  modi  ti  paiono  questi?  d'avere  tribulazioni  o 
no?  Va' un  poco  astrologando  queste  cose  e  vedrai  quello  è  da  giudicare.  Fi- 
renze, tu  di':  Noi  siamo  chiari:  io  ti  dico  che  io  sono  chiaro,  die  se  tu  non 
torni  indietro,  che  tu  capiterai  male.  Io  te  1'  ho  detto:  fa'  tu  ».  (Ivi,  pr.  XXVI.) 

«  Religiosi  e  donne,  fate  orazione,  questo  è  l'officio  vostro.  E  voi  cittadini, 
aiutate  la  città  col  fare  giustizia.  0  Firenze,  o  Firenze  sorda,  io  dico  a  te:  fa 
giustizia  e  rigida,  così  vuole  il  Signore.  0  cittadini,  non  impedite  la  giustizia: 
scacciate  via  i  sodomiti,  ardeteli  senza  misericordia  nessuna,  scacciate  via  i 
giuochi  e  tutti  i  vizj  della  vostra  città. 

«  Piiformate  i  fanciulli  e  le  donne,  e  ognuno  al  bene  ed  onesto  vivere.  Dei 
conladini  intendo  anche  che  le  donne  loro  portano  le  cintole  d'argento.  Io  mi 
meraviglio  di  voi,  cittadini,  a  patirlo,  ed  anche  intendo  che  tutti  questi  conta- 
dini giuocano;  provvedeteci  a  questo  e  all'altre  cose.  Che  si  sta  a  fare,  o  Si- 


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gnori  Otto?  0  signori  Otto,  che  slate  voi  a  fare?  Bisogna  pure  che  io  vel  dica 
da  parte  del  Signore.  Bisogna  gridare  qua,  poiché  non  volete  udire.  Dite,  cit- 
tadini, alla  Signoria  nuova  che  se  non  vogliono  fare  gli  Otto  e  i  magistrati, 
tocca  a  lei  a  dirizzare  queste  cose,  e  se  lo  farà,  vedrà  addirizzare  tutte  le  cose 
in  bene,  altrimenti  vi  resta  ancora  qualche  bastonata  ».  (Ivi,  pred.  XXVII.) 

Abbiamo  trascritti  tutti  questi  passi  perchè  ci  piace  che  appaia  qui  evi- 
dente la  verità  ad  ognuno,  e  che  ognuno  possa  giudicare  a  ragion  veduta.  Pro- 
testo che  nelle  prediche  del  Frate  io  non  ne  trovai  de' più  severi  e  credo  che 
de'più  severi  non  ve  ne  siano.  (')  Ora  risulta  da  essi  che  proprio  il  Frate  nel  ri- 
gore delle  pene  non  conoscesse  confini?  risulta  che  il  giuoco  fosse  issofatto  punito 
con  la  tortura?  la  bestemmia  con  la  perforazione  della  lingua?  No  certo. 

In  particolare:  è  vero  ciò  che  il  Pastor  scrive  della  polizia  tirannica  dei 
fanciulli  non  per  anco  giunti  all'uso  di  ragione?  (2)  E  vero  ch'essi  dovevano  per- 
correre la  città  per  dar  la  caccia  ai  viziosi?  che  penetrassero  con  forza  nelle 
case,  e  togliessero  ai  giuocalori  persino  il  denaro?  che  fosser  petulanti?  che  il 
Savonarola  se  ne  ridesse  del  malumore  de' cittadini  per  queste  insopportabili 
vessazioni?  Non  dico  che  non  possa  essere  venuto  qualche  particolare  abuso 
nelP  ufficio  che  adempievano  i  fanciulli,  e  che  alcuno  non  possa  essere  stato 
poco  prudente  e  non  abbia  dato  in  qualche  eccesso;  ma  anche  questo  bisogne- 
rebbe provarlo.  (3j 

Molli  biografi  e  cronisti  dicono  certo  i!  contrario,  e  il  contrario  dice  an- 
che il  Savonarola  il  quale,  per  esempio,  nella  XXX  predica  sopra  Amos  e  Zac- 
caria afferma  con  molta  franchezza,  che  sebbene  qualche  volta  si  fosse  dubitato 
che  i  fanciulli  farebbero  scandalo,  però  i  fanciulli  non  l'hanno  mai  fatto.  (Gonf. 


(')  Qui  non  s'intende  parlare  delle  pone  invocate  dal  Savonarola  contro  chi  volesse 
guastare  il  nuovo  ordine  di  cose,  e  farsi  tiranno.  Di  ciò  diremo  di  sotto,  ne'capitoli  sulla  po- 
litica del  Frate. 

(•)  Qui  non  si  capisce  tanto  bene  che  cosa  il  Perrens,  e  il  Pastor  che  lo  trascrive,  inten- 
dano per  età  della  ragione.  Quale  età  dovevano  avere  i  fanciulli  della  repubblica  Savonaro- 
liana?  Dal  Nardi  (pag.  Ili)  si  raccoglie  che  potevano  averne  diciotto  ;  e  dalla  predica  IV  sopra 
Amos  e  Zaccaria  si  vede  che  ne  potevano  avere  anche  venti,  e  non  dovevano  contarne 
meno  di  dieci.  Prima  di  quest'  età  il  Savonarola  non  li  voleva  neppure  alla  predica,  ma  vo- 
leva che  i  genitori  se  li  tenessero  a  casa;  e  non  li  ammetteva  alla  comunione,  siccome 
appare  dalla  citata  predica  IV  e  dalla  XLI  dello  stesso  quaresimale,  se  non  quando  ne 
avessero  undici  e  mostrassero  discrezione.  Perchè  dunque  ripeter  così  leggermente  che 
questi  figliuoli  non  erano  per  anco  giunti  all'uso  di  rayionc?  Nè  osta  il  passo  del  Landucci 
da  noi  citato  a  pag.  138,  perchè  ivi  soltanto  si  parla  dei  fanciulli  che  prendevano  parte  alle 
processioni  e  che  erano  tutti  da  5  o  0  anni  fino  a  lo. 

(')  Il  fatto  che  riporta  il  Landucci  nel  suo  Diario  (Firenze  1833,  pag.  123)  dei  fanciulli 
che  «  levorno  di  capo  una  veliera  a  una  fanciulla  e  fuvvi  scandalo  di  sua  giente  »  non  fu 
certo  voluto  dal  Savonarola;  nondimeno  lo  stesso  Landucci  non  lo  riprova;  loda  anzi  «die 
dovessino  correggere  le  disoneste  portature  »,  e  soggiunge  che  allora  «  le  donne  andavano 
con  ogni  onestà.  Erano  venuti  in  tanta  reverenzia  e' fanciugli  che  ognuno  si  guardava  dalle 
cose  disoneste  e  massimamente  dal  vizio  inominabile  ».  E  conchiude:  «  Sia  lodato  Idio  da 
po' eh' io  vidi  quel  piccolo  tempo  santo....  l' prego  Iddio  che  ce  lo  renda  quel  santo  vivere  e 
pudico  ».  E  verosimile  assai  che  nel  fatto  surriferito  i  fanciulli  abbiano  con  buona  maniera 
pregato  la  fanciulla  a  lasciare  il  disonesto  abbigliamento;  e  che  lo  scandalo  venisse  tutto 
dalla  famiglia  della  fanciulla. 


-  192  - 


la  predica  XLV1I.)  Ad  ogni  modo  è  chiarissimo  che  nessuno  di  questi  abusi  era 
certo  nel  voler  del  Frate;  ed  è  falsissimo  che  egli  si  ridesse  del  malumore  dei 
cittadini  contro  vessazioni  insopportabili!  Non  v'  ha  dubbio  che  il  Savonarola 
voleva  che  i  suoi  fanciulli  facessero  V  ammonizione  fraterna,  ma  con  tutto 
rispetto  e  con  tutta  prudenza,  e  solo  quando  poteva  dare  buoni  frutti;  ed 
evitassero  in  ogni  caso  lo  scandalo.  E  poi  addiritura  calunnioso  il  dire  e 
l'insinuare  ch'egli  li  lasciasse  penetrare  nelle  case  de' privati  per  forza. 
«  Fanciulli,  io  non  voglio  già  per  niente  che  voi  facciate  scandalo.  Se  voi  potete 
torre  le  carte  e  levar  via  i  giuochi  senza  scandalo,  fatelo....  Non  andate  a  voler  en- 
trare nelle  case  per  forza,  chè  non  voglio  che  facciate  scandalo....  ». 

«  I  Signori  vi  daranno  licenza  di  togliere  le  carte  ai  giuocatori  che  voi  trovate, 
ma  non  togliete  altro  »  .  Come  si  accordano  queste  espressioni,  questi  comandi 
con  le  sentenze  crudeli  del  Pastor?  Si  giuocava  per  tutto  e  si  voleva  impedire 
ai  fanciulli  di  togliere  il  giuoco?  E  il  Savonarola  gridava:  «  Fanciulli,  io  dico  a 
voi  :  lasciate  giuocare,  non  ve  ne  impacciate  più,  lasciate  correre  »  !  Dov'  è  qui  la 
petulanza?  Dov'  è  la  violenza?  Eccessivo  e  niente  preciso  ci  pare  il  Pastor  an- 
che quando  dice  che  molti  cittadini  dicontro  a  questi  fanciulli  petulanti  usa- 
vano  del  loro  diritto  e  li  mettevano  alla  porta  a  furia  di  picchiate,  e  che  il  Savo- 
narola die  loro  delle  guardie  a  difesa.  Ma  dove  aveva  il  Savonarola  le  guardie  da 
dare  all'altrui  difesa?  e  quando  le  diede  alle  migliaia  de' fanciulli  per  difendere 
la  petulanza  contro  il  diritto  de'  cittadini?  Non  mi  par  serio.  La  verità  è  che  ai 
fanciulli  che  compievano  1'  ufficio  permesso  loro  dagli  Otto  di  impedire  i  giuo- 
chi, non  nelle  case,  ma  per  le  vie,  si  resisteva;  e  si  resisteva  tirando  fuori  le 
spade.  Si  dovevano  qui  lasciar  proprio  soli  i  fanciulli  inermi?  e  non  levar  nem- 
meno una  voce  a  loro  difesa?  Il  caso  ad  ogni  modo  è  sempre  un  poco  diffe- 
rente dal  modo  con  cui  ce  lo  vorrebbe  far  credere  il  Pastor.  Mi  par  che  cada 
qui  il  nostro  critico  nel  vizio  che  appone  al  Savonarola.  Egli  è  eccessivamente 
rigoroso  con  questi  fanciulli,  e,  forse,  per  compenso,  si  mostra  troppo  benigno 
coi  tristi. 

Ma  ci  resta  tuttavia  molto  a  dire.  Forse  alcuno  obietterà:  Non  v'  è  dubbio 
che  il  Savonarola  invocava  pene  assolutamente  severe  per  cose  che  a  volte  non 
sono  considerate  delitti  sociali;  egli  invocava  pene  eccessive.  Sia  pure  ch'egli 
non  facesse  torturare  nessun  giuocatore,  nè  perforasse  la  lingua  a  nessun  be- 
stemmiatore, nè  bruciasse  alcun  sodomita,  nè  punisse  altrimenti  alcun  usuraio 
resta  però  sempre  vero  che  queste  pene  egli  le  invocava  di  cuore  e  in  modo 
intemperante,  eccessivo  e  spietato.  È  sempre  vero  che  i  mezzi  coattivi  più 
bruschi,  lo  spionaggio,  la  denunzia  dovevano,  secondo  lui,  congiurare  a  ristabi- 
lire nella  vita  di  tutti  i  cittadini  una  perfezione  la  quale  non  sarà  mai  possibile 
se  non  a'  pochi.... 

Chi  ragiona  così  mi  par  che  non  sappia  bene  ciò  che  si  dice,  nè  di 
(piali  tempi  egli  parli.  Qui  bisogna  ragionar  bene.  (')  Ammettiamo  tutta  la  cruj 


(')  Non  iscrivo  per  il  popolo;  e  credo  che  i  miei  lettori  conoscano  la  legislazione  ni«- 
dioovalo  contro  i  bestemmiatori,  fjl'  eretici,  i  rei  di  magìa,  ili  delitto  contro  natura,  i  l'alai 


—  193  — 


dezza  delle  espressioni  che  abbiam  trascritto  più  sopra;  ammettiamo  pure 
che  ripetute  oggidì,  anche  nella  foga  del  dire,  anche  da  un  oratore  a  cui  la 
buona  vita  desse  il  diritto  di  gridare  più  forte,  sarebbero  addirittura  esagerate 
e  violente;  non  invochiamo  nemmeno  le  attenuanti  che  potrebbero  offrirci  i 
fatti  e  i  casi  speciali  in  cui  il  Savonarola  le  pronunciò,  per  esempio  V  aggres- 
sione in  chiesa  d'  una  fanciulla....  e  tanto  meno  cercheremo  di  spiegarle  come 
effetto  solamente  di  zelo,  e  come  espressioni  enfatiche  uscite  a  lui  di  bocca 
nel  calore  oratorio.  Sappiamo  che  al  Savonarola  questo  non  soleva  succedere: 
egli  non  pronunziava  sentenze  per  ritirarle  poi.  Ma  domandiamo  prima  di  tutto: 
Voleva  il  Frate  di  San  Marco  puniti  semplicemente  questi  vizj  in  se  stessi, 
oppur  mirava  anche  ad  ottenere  la  perfezione  morale  de'  peccatori?  alla 
difesa  della  città  e' del  bene  comune?  La  questione  non  è  priva  d'impor- 
tanza. 11  Perrens  scrive,  per  esempio,  che  il  Frate  non  perseguitava  il  giuoco 
per  se  stesso,  ma  che  voleva  impedire  la  ruina  delle  famiglie.  Ora  il  mede- 
simo non  si  potrebbe  ritenere  per  altri  vizj?  Francamente,  sì.  I  vizj  che  ab- 
biamo nominato  il  Savonarola  non  voleva  punirli  solo  per  se  stessi,  ma  prin- 
cipalmente in  quanto  erano  ruina  della  città  e  del  bene  comune.  Questo 
appar  chiaro  chiaro  dai  passi  citati:  «  Per  un  tristo  vuoi  pericolare  una  città.... 
Tu,  Firenze,  vuoi  apposta  di  un  ribaldo,  o  due,  o  cento,  rovinare  la  tua  città.... 
Un  tristo  fa  male  a  molti  altri....  E'  non  si  vuole  così  rovinare  questa  città  e  il 
ben  comune:  tu  vuoi  che  mille  o  diecimila  rovinino  per  un  ribaldo....  ».  Non  vo- 
leva puniti  i  viziosi  solo  per  conto  proprio,  ma  quelli  che  corrompevano  anche 
gli  altri:  «  i  vecchi  che  puzzavano  di  dentro  e  di  fuori  e  parlavano  disonestamente 
a'  fanciulli;  i  maestri  che  parlano  d'  ogni  cosa  alla  scoperta  alla  presenza  dei  di- 
scepoli e  de'  fattorini  insegnando  loro  ogni  male;  i  garzoni  delle  botteghe  che  in- 
sultano le  donne  dabbene  quando  passano  per  le  strade  ».  Le  stesse  meretrici  si 
contentava  che  si  levasser  dalle  strade....  e  si  facessero  stare  a'  loro  luoghi  al- 
meno pei-  certi  tempi  (sopra  Amos  XLIII),  perchè  non  facesser  pericolare  gli 
innocenti.  Esplicitamente  poi  il  nostro  Frate  lo  dice  nella  predica  X  sopra  Ruth 
e  Michea,  eh'  egli  non  vuole  puniti  i  cattivi  semplicemente  in  quanto  a  sè  ;  per 
questi  basta  la  correzione  fraterna.  Egli  non  parla  mai  di  punire  i  singoli  viziosi, 
ma  sempre  di  purgare  la  città  dai  vizj  di  coloro  che  sono  corruttela  del  prossi- 
mo, di  coloro  il  cui  male  è  nocivo  alla  salute  degli  altri. 


monetarj,  i  venditori  fraudolenti,  i  ladri  recidivi  Altro  che  perforazione  di  lingua  e  caute- 
rizzazione di  labbra!!  Costoro  erano  attanagliati,  mutilati,  impiccati,  bruciati.  La  Chiesa, 
alla  quale  è  affidato  lo  spirito  dulia  nuova  legge,  che  è  legge  di  amore,  apparve  ognora  re- 
lativamente mite,  come  si  può  vedere  anche  dalla  bolla  a  San  Luigi  di  Francia  de'  12  lu- 
glio 1268,  e  nella  lettera  con  la  stessa  data  al  re  di  Navarra  di  Clomente  IV,  nelle  quali  il 
Pontefice  rimprovera  la  troppa  severità  contro  i  bestemmiatori;  ma  ad  ogni  modo  le  leggi 
furon  quelle,  anche  negli  stati  ecclesiastici  o  sotto  la  protezione  della  Chiesa.  Che  se  penso 
ai  processi  fatti  in  Firenze  nel  1498,  al  palco  eretto  in  piazza  della  Signoria,  e  al  rogo  acce- 
sovi a'  di  23  maggio  dell'anno  stesso,  e  alle  vittime  che  divorò,  non  chiedo  altro  per  ritenere 
che  le  parole  del  Savonarola  sono  mitigate  dagli  usi  del  tempo.  E  questo  sarà  tanto  più  vero 
ove  si  accetti,  nel  caso,  per  buona  e  vera  la  spiegazione  delle  parole:  falsa  et  pestifera  dog- 
mata,  che  il  Pastor  ci  dà  nella  nota  1  della  pagina  377!! 

13 


—  194  — 


E  qui  ancora  voleva  che  si  distinguesse  secondo  che  si  trattava  o  del  bene 
privato  o  del  bene  comune.  E  nel  primo  caso  voleva  sempre  che  si  usasse  cle- 
menza, nel  secondo  richiedeva  severità.  «  Ne'  giudizj  si  deve  discernere  il  bene 
comune  dal  bene  privato;  e  aver  l'occhio  più  sempre  al  bene  comune;  e  chi 
fa  contra  quello,  punirlo  acremente;  e  chi  contra  al  bene  privato,  punirlo  con 
misericordia.  Però  ho  detto  a  voi  più  volte  che  voi  conserviate  il  bene  comune. 
Ma  tu  di':  —  Io  giudico  sempre  con  misericordia.  —  Io  li  rispondo  che  questa  mi- 
sericordia, permettendo  che  si  guasti  il  bene  comune,  è  crudeltà.  Dice  Sant'Ago- 
stino, che  il  frate  che  fa  contro  il  bene  comune  e  degli  altri  si  deve  scacciarlo 
via;  e  non  guardare  al  bene  del  particolare».  (l)  Di  qui  si  può  scorgere  che  non 
son  chiare  le  parole  del  Pastor  che  dice  che  per  il  Savonarola  i  mezzi  coattivi 
più  bruschi,  lo  spionaggio,  la  denunzia  dovevano  congiurare  a  ristabilire  nella 
vita  di  tutti  i  cittadini  una  perfezione  la  quale  in  questo  grado  non  sarà  mai 
possibile  se  non  a' pochi;  queste  parole  forse  non  significano  niente  :  certo  non 
se  le  merita  affatto  il  Riformatore  de'  Fiorentini.  Ma  andiamo  oltre. 

Date  tutte  queste  cose,  la  questione  si  riduce  tutta  qui:  vedere  se  Fra 
Girolamo  errasse  e  facesse  male  assolutamente  proponendo  le  pene  che  pro- 
poneva per  i  vizj  nominali,  o  se  almeno  egli  facesse  male  con  richiamare  senza 
bisogno  in  vigore  pene  felicemente  cadute.  11  primo  caso  dai  cattolici  deve  es- 
sere subito  escluso,  perchè  altrimenti  si  dovrebbe  dare  alle  fiamme  più  d'  uno 
de'  Sacri  Libri  e  non  poche  leggi  ecclesiastiche,  per  tacere  di  quelle  di  molti 
stati,  e  bisognerebbe  anche  cancellare  qualche  nome  dal  catalogo  de'Santi.  (*) 
Dacché  le  pene  invocate  dal  Savonarola  esisterono  e  furono  approvate  del  di- 
ritto divino  ed  ecclesiastico,  i  cattolici  non  devono  nè  possono  tenerle  sempli- 
cemente ed  assolutamente  illecite,  senz'  alcuna  considerazione  di  tempo  e  di 
luogo.  Per  risolvere  la  seconda  questione  bisognerebbe  entrare  nella  condizione 
de' tempi  d'  allora  e  sopratutto  ne'  costumi  di  Firenze.  Ma  come  si  fa  a  compier 
tutto  questo  coi  limiti  che  deve  avere  il  nostro  scritto?  Ma  per  buona  ventura  il 
lavoro  è  compiuto  in  modo  mirabile  dal  giudice  stesso  del  Savonarola,  è  com- 
piuto dal  Pastor  ed  è  esposto  nel  volume  che  esaminiamo.  Non  ci  resta  adun- 
que altro  a  fare  che  aprir  questo  volume  e  leggere,  e  vedere  se  i  vizj  condan- 
nati e  voluti  punire  dal  Savonarola  fossero  a  tale  gravezza  allora  da  richieder 
pene  pubbliche:  e  se  le  pene  si  infliggessero  con  la  legislazione  e  pratica  del  tem- 
po, o  almeno  se  gli  uomini  animati  da  vero  spirito  ecclesiastico  ne  minacciassero 
e  invocassero.  È  evidente  che  quando  e  l'unae  l'altra  questione  fosse  risolta  af- 
fermativamente, il  Savonarola  sarebbe  pienamente  scusato,  se  pure,  per  lo  spi- 


(')  In  Iìegula:  «  Non  eniin  boc  fit  crudeliter,  sed  misericorditer,  ne  contagione  pestifera 
plurimoH  perdat  ». 

(2)  S.  Tommaso  II-II,  q.  LXI V,  art.  II,  (Se  sia  lecito  uccidere  i  peccatori)  insogna  che  come 
lodevolmente  si  recide,  ove  torni  espediente  alla  salute  di  tutto  il  corno  umano,  il  membro 
putrido  o  che  corrompo  gli  altri  membri,  cosi  del  pari  so  un  uomo  sia  di'  pericolo  alla  comu- 
nità e  la  guasti  per  gualche  peccato,  lodevolmente  e  salutarmente  lo  si  uccide,  per  conservare 
il  t>eno  comuno;  imperocché  un  poco  (li fermento  corrompe  tutta  la  massa.  CI',  anche  la  qu.  LXV, 
art.  I. 


—  195  - 


rito  rivoluzionario  che  soffia  nelle  legislazioni  moderne,  meglio  fatte  pe'  tristi 
che  pe'  buoni,  non  si  voglia  in  tutto  lodato.  Sentiamo  adunque  il  Pastor, 
ed  egli  ci  dirà  che  l'usura  e  la  frode,  all'epoca  del  rinascimento,  andavano 
compagne  al  lusso  promosso  dalle  ricchezze  e  dal  traffico,  e  che  risultò  chiaro 
che  non  erano  mica  i  soli  ebrei  i  quali  in  modo  inaudito  dissanguassero  il 
popolo:  «  gli  uomini  cristiani  esercitavano  questo  loro  mestiere  in  una  guisa 
molto  più  intemperante.  Va  da  sè  che  questa  piaga  doveva  mostrarsi  più  che 
mai  cancrenosa  in  quelle  città  le  quali,  come  Firenze  e  Venezia,  erano  il  cen- 
tro del  commercio,  segnatamente  del  traffico  del  denaro:  tutti  i  patrioti  e  gli 
scrittori  della  città  dell'  Arno,  i  loro  oratori  e  legislatori  nominano  »,  dice  te- 
stualmente il  critico  d' Innsbruck,  «  in  primo  luogo  e  come  male  maggiore  e 
fondamentale  1'  usura.  Documenti  autentici  confermano  che  coleste  non  erano 
guari  esagerazioni  rettoriche:  un  interesse  del  30  °/0  non  era  nulla  d'  inso- 
lito. Neil'  anno  1420  si  emanò  il  divieto  ai  prestatori  di  pegni  di  esigere  ol- 
tre il  20  per  cento;  ma  le  cose  non  volsero  in  meglio.  Dieci  anni  dopo  fu 
preso  un  altro  spediente  e  si  cercò  d' infrenare  1'  usura  da  parte  de'cristiani, 
dando  libertà  agli  ebrei  a' quali  venne  permesso  di  riscuotere  il  20  per  cento. 
Tutto  indarno:  ebrei  e  cristiani  ora  uniti  insieme  succhiarono  il  popolo». 
(Pag.  73,  74.)  Ci  dice  il  Pastor  che  «  il  decreto  emanato  in  Firenze  per  l'ere- 
zione del  monte  di  Pietà  consigliato  dal  Savonarola  (*)  scopre  tutto  il  marcio 
di  questa  pubblica  calamità;  in  tal  decreto  si  dice  che  gli  ebrei  stanziati 
in  Firenze  imprestavano  al  32  i/i  per  cento  con  l' interesse  composto,  in  ma- 
niera che  s'era  visto,  che  100  fiorini  imprestati  alla  ragione  ordinaria  arri- 
vavano  dopo  50  anni  a  49,792,556  fiorini,  7  grossi  e  7  danari  ».  (Pag.  76.) 

Così  stando  le  cose,  chi  oserà  dir  troppo  gravi  le  espressioni  di  Fra  Girolamo 
contro  cosiffatta  peste  ?  Gli  altri  buoni  oratori  cristiani  tacevano  forse  ed  erano  più 
miti  di  lui?  Nota  il  professore  d' Innsbruck  che  «  preti  e  laici  si  sfogano  in  terribili 
lamenti:  Sant'Antonino  scrisse  un  apposito  libro  contro  la  usura  in  cui  fa  sentire 
più  che  mai  forte  la  sua  voce  contro  questo  vizio.  Vent'anni  dopo  la  morte  del 
santo  (1479),  l'onesto  Vespasiano  Bisticci  gridava:  «0  città  di  Firenze,  ti  biso- 
gna dare  indietro,  chè  tu  se'  colma  d'usura  e  di  disonesti  guadagni.  Uno  con- 
suma 1'  altro,  turpe  inimicizia  ha  inimicato  1'  uno  contro  1'  altro.  Il  malfare  è 
venuto  così  in  costume  che  non  èchi  ne  abbia  vergogna.  In  questi  ultimi  tempi 
si  son  vedute  appo  i  tuoi  cittadini  cose  tanto  inaudite,  tali  disordini  e  fallimenti, 
che  ben  si  mostra  essere  un  castigo  di  Dio;  e  tuttavia  ti  ostini  nel  tuo  induri- 
mento. Per  te  non  ho  speranza,  perciocché  tu  non  pensi  che  a  far  danari,  e 
vedi  pure  come  la  roba  de'  tuoi  cittadini  se  ne  va  in  fumo  appena  che  essi 
hanno  chiuso  gli  occhi  ».  (Pag.  74.)  In  verità  che  il  Savonarola  è  anche  qui  in 
buona  compagnia  e  mostra  davvero  d'essere  animato  da  buono  zelo  per  la 
salute  delle  anime  e  il  bene  di  Firenze  ! 

Che  poi  contro  di  questo  vizio  rovinoso  fosser  minacciate  e  applicate  pene, 

 .  

■ 

(')  Questo  decreto  fu  emanato  il  28  deceoibie  1495.(  V.  Landucci,  Diario,  ed.  1883,  p.  135  n.  3.) 


—  196  — 


il  Pastor  lo  afferma  e  lo  dimostra  apertamente.  «  In  ogni  luogo,  dice,  i  predi- 
catori inveirono  contro  l'  usura  ed  in  parecchie  città  si  fulminavano  le  pene  più 
severe,  come  il  rifiuto  della  Santa  Comunione  e  della  sepoltura  ecclesiastica. 
Già  San  Bernardino  da  Siena  sferza  le  varie  specie  d'inganni  e  soverchierie 
onde  i  mercatanti  si  rendevano  colpevoli  e  riprende  duramente  gli  Stocchi  »(4), 
e  afferma  che  «  dovrebber  venir  messi  al  bando  della  città;  così  pieno  d'indi- 
gnazione il  santo  si  scaglia  contro  gli  usurai  cristiani  »  (pag.  73).  Nè  dovevano 
mancar  pene  de'  magistrati,  come  appare  dalla  citazione  che  il  Pastor  medesi- 
mo fa  di  Della  Corte.  In  vero  che  qui,  se  si  ricercan  bene  le  prediche  del  Sa- 
vonarola, troveremo  ch'egli  concesse  assai  a  Firenze,  e  che  nelle  sue  condanne 
e  prescrizioni  fu  giusto,  mite,  anziché  severo  e  acre,  anche  cogli  stessi  ebrei, 
tanto  più  che  al  suo  tempo  1'  usura  come  appare  dalle  Opere  dello  stesso  Frate, 
durava  bruttissima  più  che  mai!  (2) 

Come  saggio  della  sua  temperanza  in  questo  punto  è  anche  noto  il  parere 
che  il  Savonarola  diede  alla  repubblica  di  Lucca  che  chiedevagli  se  si  potevano 
ricevere  gli  Ebrei  prestatori.  Il  Savonarola  dice  che  gli  Ebrei  «  non  sunt  e  ci- 


(')  Famiglia  senese. 

I2)  c  Aumentando  il  numero  dei  ricorrenti  alle  case  di  prestito,  dice  il  Pastor,  cresce- 
vano naturalmente  le  spese  di  amministrazione,  per  cui  bisognò  desistere  dal  prestito  gra- 
tuito e  introdurre  un  piccolo  risarcimento  onde  sopperire  alle  spese  dell'istituto;  contro  di 
che  i  Domenicani  sostenevano  che  in  tal  modo  si  mancava  alla  proibizione  canonica  di  riscuotere 
il  censo.  (Cf.  Jannet  13,  e  Bruder  Staatslexicon  111.  1093.)  La  saggezza  della  Santa  Sede  seppe  anche 
qui  tenere  il  giusto  mezzo  >  (pag.  76.)  Che  i  Domenicani  si  opponessero  con  tutta  forza  al  vizio 
dell'usura  è  certissimo;  ed  è  loro  gloria  l'aver  sempre  sostenuto  la  tesi  di  San  Tommaso  co- 
mune tra  i  teologi:  Essere  illecito  prender  ricompensa  per  il  denaro  mutuato;  (Somma  Teol-,  P.  II-II, 
qu.  78,  a.  1)  ed  è  noto  che  il  B.  Ambrogio  Sansedoni  Senese  mori  appunto  per  la  rottura  d'una 
vena  cagionatasi  dalla  grande  veemenza  con  cui  predicò  contro  gli  usurai.  Questa,  ripeto,  è 
loro  gloria.  Che  poi  nell' interpretar  la  dottrina  di  San  Tommaso  tenessero  il  giusto  mezzo 
e  si  mantenessero  sempre  conformi  alle  leggi  giuste  e  ragionevoli,  sarebbe  facile  provarlo;  e 
può  vedersi  che  un  compenso,  non  vi  mutui,  ma  per  altre  ragioni  comò  del  lucro  cessante,  del 
danno  emergente,  ecc.  è  ammesso  esplicitamente  da  San  Tommaso  (1.  e),  Sant'  Antonino  (P.  II, 
Tit.  I,  cap.  XVII  e  segg.,  P.  Ili,  Tit.  Vili,  cap.  Ili)  da  San  Raimondo  (Somma  Lib.  II,  Tit.  VII), 
dal  Gaetano  nel  commento  al  citato  articolo,  dal  Billuart  De  contractibus,  Diss.  IV  a  5,  §  V,  e 
in  generale  da  tutti  i  teologi  dell'  Ordine  Domenicano.  Ma  noi  dobbiamo  occuparci  del  Savo- 
rola.  Ebbene,  ecco  a  questo  proposito  un  brano  tolto  dalla  XXI  su  Amos  recitata  appunto 
poco  tempo  dopocbè  era  stato  emanato  il  decreto  di  cui  parla  il  Pastor,  che  spiega  chiaro  se 
almeno  questo  Domenicano  (e  con  lui  i  Domenicani  di  S.  Marco,  che  certo  non  discordavano 
dal  maestro)  sostenesse  esser  illecito  quel  leggero  compenso  :  «Tu  sai  che  tu  hai  fatti  ufficiali 
che  faccino  un  monte  di  pietà  per  levar  via  e'  giudei  della  tua  terra.  E'  si  vuole  questa  cosa 
mandarla  innanzi;  e  pigliate  quel  modo,  se  vi  pare,  che  dicano  questi  padri  di  San  Francesco, 
cho  io  per  me  credo  che  si  possa  sostentare  e  che  non  vi  sia  scrupolo  nessuno  di  coscienza,  » 
vuoisi  farlo  anche  confermare  alla  Sede  Apostolica,...  perchè,  benché  la  regola  sia:  Mutuum  date 
nihil  inde  sperantes,  questo  s'intende:  scilicet,  ratione  mutui;  onde  dice:  Nihil  inde,  idest,  ralion* 
mutui  sperantes,  ma  questo  danaro  del  monte  della  piota  non  si  dà  ratione  mutui,  ma  per  la 
fatica  delli  ministri  (Pastor:  onde  sopperire  alle  spese  dell'  istituto),  delli  quali  non  son  quelli 
danari,  ma  a  loro  si  costituisce  cosi  un  poco  di  salario  per  la  fatica  loro.  Vero  è  che  sari* 
più  retto  quando  la  comunità  costituisse  loro  un  salario  o  cosi  prestando  non  pigliorebbono 
nulla  ».  Parla  degli  ufficiali  del  monte,  e  espone  di  nuovo  il  suo  pensiero  verso  la  fine  della  pre- 
dica XXXIII  dello  stesso  quaresimale.  E  nolla  predica  XX  V I  dice  chiaramente  che  il  prestai» 
senza  frutto  alcuno,  regolarmonte  non  ò  di  precetto,  ma  è  solo  di  consiglio  e  diventa  solo  di 
precetto  quando  v'ò  l'estrema  necessità  d'aiutare  il  comune. 


—  197  — 


vitatibus  'Christianorum  pellendi  »  ma  che,  1'  usura  essendo  proibita,  non  si 
deve  conceder  loro  alcuna  facoltà  di  praticarla.  (i) 

Quanto  al  giuoco  non  sappiamo  davvero  capire  come  potesse  il  Pastor,  per 
esser  coerente  a  quanto  ne  scrisse,  condannare  recisamente  e  senza  nessuna 
considerazione  il  Frate  di  San  Marco. 

Che  scrive  egli  infatti  di  questa  brutta  passione?  Da  lui  apprendiamo  che 
c  al  pari  dell'  usura  era  fin  da  antico  assai  radicato  in  Italia  il  malvezzo  del 
giuoco  »;  che  «  in  nessun  altro  paese  del  mondo  aveva  questo  nell' epoca' del 
risorgimento  trovato  una  sì  larga  diffusione  come  qui.  Già  nel  secolo  deci- 
moterzo e  decimoquarto  poveri  e  ricchi  si  abbandonavano  a  questa  passione  ». 
(Pag.  77.)  Nè  tutto  ciò  gli  basta,  ma  non  dubita  il  Pastor  di  chiamare  il 
giuoco  di  allora  una  mania,  «  la  mania  del  giuoco  ».  E  il  Savonarola  conferma 
tutto  ciò  in  molte  sue  prediche  e  particolarmente  in  quella  sopra  i  Salmi  reci- 
tata il  9  giugno  del  95:  «  Tu  sai,  Firenze,  che  non  molto  tempo  fa  tu  avevi 
una  poca  fede  ed  erano  spente  in  te  quasi  tutte  le  virtù  e  giocavasi  in  pub- 
blico per  quasi  tutte  le  strade  e  dagli  uomini  dabbene  e  in  presenza  dei  loro 
figliuoli,  ed  erano  venuti  in  tanto  lascivia  che  facevano  infino  i  dadi  d'  am- 
bra, d'argento  e  d'oro  e  bestemmiavano  Iddio  e  la  Vergine;  e  il  vizio  della  so- 
domia era  in  te  sommo  quanto  poteva  essere;  le  donne  giocavano  e  andavano 
scoperte  infino  al  mezzo,  e  non  si  vergognavano  e  avevano  fatto  faccia  da  me- 
retrice.... ».  Così  stando  le  cose,  e  pensando  anche  a  ciò  che  abbiamo  sentito 
più  sopra  dal  Perrens  e  della  mina  assai  facile  a  capirsi  che  il  giuoco  accom- 
pagnato dagli  altri  vizj  recava  a  molle  famiglie,  e  alle  bestemmie  che  gene- 
rava, chi  si  maraviglierà  che  il  Savonarola  si  levasse  contro?  E  qui,  non  meno 
che  nel  vizio  dell'usura,  i  tempi  davan  ragione  al  Frate  nel  chiedere  l'azione 
della  legge;  imperocché  nota  opportunamente  il  Pastor  che  «  di  tutte  le 
numerose  raccolte  di  statuti  civili  non  ve  n'  ha  una,  la  quale  non  contenga 
ordinanze  contro  i  giuochi.  In  Firenze  fin  dal  1285  vennero  interdetti  i  giuochi 
al  dado  e  i  giuochi  di  sorte  ».  (Ivi.)  Solo  par  che  si  lamenti  l'egregio  storico 
•che  simili  decreti  rinnovati,  come  egli  nota,  nel  secolo  decimoquinto  approdas- 
sero a  poco;  per  la  ragione  che  in  certi  giorni  veniva  permesso  il  giuocare. 
E  si  compiace  a  questo  proposito  nel  dichiarare  che  miglior  successo  ebbe 
l'intervento  di  uomini  di  un  pensare  strettamente  ecclesiastico,  come  a  dire 
del  B.  Dominici,  di  San  Bernardino  e  Sant'  Antonino. 

Di  quest'  ultimo  racconta  poi  al  proposito  un  fatto  che  davvero  fa  mera- 
viglia come  poi  fosse  da  lui  dimenticato  allorché  parlò  del  Savonarola  e  de'fan- 
ciulli  da  lui  riformati:  «Una  volta  Sant' Antonino,  predicato  che  ebbe  nella 
chiesa  di  San  Stefano,  venne  a  passare  per  Borgo  Santi  Apostoli.  Giunto  presso 
la  loggia  de' Buondelmonti  e  scorto  una  brigata  che  stava  giuocando,  entrò  e 
ribaltò  le  tavole  a  terra  ».  (Pag.  77.)  Or  che  facevano  di  diverso  i  savonaro- 
liani?  E  se  il  Savonarola  seppe  così  bene  far  rivivere  lo  zelo  di  Sant'  Antonino 
nelle  anime  de' giovani  di  Firenze,  perchè  condannarlo?  Nè  varrebbe  il  dire 


(')  Villari,  v.  I,  app.  p.  XXXIX,  n.  1. 


—  198  — 


che  que'  giovani  non  erano  Sant'Antonino;  il  Savonarola  risponderebbe  che 
come  ogni  azione  di  Cristo  è  nostra  istruzione,  così  è  nostra  istruzione  ogni 
azione  lodevole  de'  Santi.  Erano  altrettanti  Santi  Antonini  i  fanciulli  di  Firenze 
in  quanto  facevano  con  lo  stesso  spirito  ciò  eh'  egli  aveva  fatto.... 

E  un'  altra  cosa  è  da  notare.  Sapete  da  quale  sventura  1'  opera  dei  sud- 
detti riformatori,  venne,  secondo  il  Pastor,  frustrata?  «  Dai  disordini  che  cardi- 
nali e  nipoti  de'  Papi  di  vita  mondana  si  permettevano  ».  (Pag.  77.)  Davvero  che 
di  cento  parti  non  ne  diceva  una  il  severo  domenicano  e  ben  a  ragione  lo  ri- 
prendevano :  «  Ma  padre,  voi  non  dite  la  centesima  parte  »  !  (Vedi  discorso  fatto 
il  16  febbraio  1497,  s.  f.)  Davvero  eh'  egli  fu  mite  e  seppe  moderarsi,  se  pen- 
siamo a  tutto  lo  zelo  che  gli  divorava  l'anima  per  l'onore  di  Dio,  la  salut 
delle  anime  e  il  bene  comune  di  Firenze!  I  suoi  lamenti  e  le  sue  accuse  son 
inferiori  al  male,  alle  colpe  di  chi,  pur  dovendolo  edificare,  faceva  rovinare  i 
popolo!  Ma  non  anticipiamo. 

E  della  scostumatezza  che  diremo?  E  forse  necessario  trattenerci  a  no- 
tare che  nel  secolo  XV  essa  era  assai  grave  nella  città  fatta  serva  da'  Medie/ 
e  segnatamente  da  Lorenzo  il  Magnifico  ?  «  Un  lato  oscuro,  e  certamente  il 
più  brutto  nella  vita  degli  Italiani  di  allora,  scrive  il  Pastor,  era  la  scostuma- 
tezza. I  lagni  che  ne  fanno  i  contemporanei,  nominatamente  i  sacri  oratori, 
sono  infiniti.  Uno  di  essi,  Roberto  di  Lecce,  arriva  nientemeno  a  dire  che  al 
suo  tempo  la  disonestà  si  era  più  estesa  che  non  avanti  il  diluvio.  Per  quanto 
ciò  sia  esagerato,  non  sussiste  dubbio  che  il  libertinaggio  nell'  epoca  del  rina- 
scimento fece  rattristanti  progressi  in  tutte  le  grandi  città  e  perfino  in  molte 
di  minor  conto,  che  segnatamente  fra  la  gente  colta  e  signorile  assai  frequenti 
erano  enormi  dissolutezze  ».  (Pag.  77.)  E  le  corti?  Si  legga  nel  Pastor  la  pag. 
78  e  seguenti,  e  si  vedrà  che  triste  spettacolo!  Quando  io  lessi  la  prima  volta 
alcune  pagine  delle  prediche  di  Fra  Girolamo,  mi  pareva  che  egli  in  qualche 
punto  si  lasciasse  prendere  davvero  da  soverchio  zelo  ed  esagerazione  a  que- 
sto riguardo.  Ma  dopo  che  lessi  il  Pastor,  mi  sono  anche  qui  intieramente  per- 
suaso del  contrario.  Uno  de' luoghi  che  mi  dava  più  da  dire  era  quello  che  si 
legge  nella  predica  XXVIII  sopra  i  Salmi,  dove  il  Frate  deplora  che  sotto  i  reg- 
gimenti de' tiranni  (ed  ha  certo  riguardo  speciale  a' Medici)  anche  gli  uomini 
dabbene  hanno  a  dire  gran  mercè  agli  schiavi;  e  accagiona  i  tiranni  stessi  di 
comperare  schiavi  circassi  e  tartari,  e  trattar  meglio  costoro  che  i  proprj  fi- 
gli ....  !  Lo  stato  dei  popoli  d'Italia  appare  al  Frate  simile  a  quello  di 
Sorìa,  cui  Dio  puniva  per  i  suoi  vizj.  Questo  era  uno  de'  passi  più  forti  per  me; 
ma  il  Pastor  si  prese  egli  (certo  involontariamente)  1'  ufficio  di  chiosar  le  fosche 
parole  del  Frate  e  di  mostrarle  vere  e  miti  anch'  esse,  in  ispecie  se  pensiamo 
che  quegli  le  pronunziava  nel  tempo  che  il  tiranno  faceva  tentativo  di  ritornar 
nella  bella  città,  e  le  pronunziava  perchè  i  Fiorentini  divenuti  liberi  sapessero 
reggersi  da  liberi.  Ma  leggiamo  il  Pastor.  «  Di  assai  trista  efficacia  sui  costumi 
della  classe  agiata  fu,  in  uno  colla  pessima  letteratura,  specialmente  1'  uso  vi- 
gente in  Italia  fin  dalla  metà  del  secolo  decimoquarto,  di  tenere  in  qualità  di 
schiave  fanciulle  orientali,  più  di  rado  ragazzi  e  giovanotti.  Avanti  le  conquiste 


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dei  Turchi  erano  a  preferenza  giovani  tartarine  e  circasse,  che  in  ispecie  per 
opera  dei  Veneziani  e  Genovesi  s'importavano  in  Italia.  Posteriormente  s'in- 
contrano in  maggior  numero  fanciulle  serbe,  bulgare,  greche  e  albanesi.  Cre- 
scendo ogni  dì  più  gli  abusi,  le  leggi  relative  a  questo  traffico  divennero  via 
via  più  severe.  E'  fa  una  strana  impressione  il  trovare,  come  in  lettere  private 
di  personaggi,  anche  spettabilissimi,  si  parli  di  questo  brutto  costume  come  della 
cosa  più  naturale  del  mondo  e  con  tutta  ingenuità  si  descriva  la  complessione 
e  le  fattezze  delle  schiave.  In  quasi  tutte  le  maggiori  città  d' Italia,  in  Venezia, 
Firenze,  Mantova,  Ferrara,  Lucca,  Genova  e  Napoli  si  può  con  documenti  pro- 
vare la  presenza  di  questi  servi  e  serve  forzati.  Nelle  splendide  corti  principe- 
sche si  tenevano  per  singolarità,  insieme  cori  nani  e  giullari,  sempre  alcuni 
mori  e  morette,  alla  cui  nerezza  davasi  una  speciale  importanza.  Gli  artisti  di 
corte  ne  hanno  perennato  alcuni  ne'  loro  affreschi.  Presso  che  tutte  le  nobili 
famiglie  in  Firenze  tenevano  schiave.  La  brutta  costumanza  portò  seco  il  ca- 
stigo. Non  di  rado  la  pace  domestica  era  turbata  dalla  presenza  delle  schiave, 
e  figli  legittimi  ed  illegittimi  crescevano  su  alla  rinfusa,  come  per  esempio  nella 
casa  medicea,  dove  Carlo,  in  seguito  prevosto  di  Prato,  figliuolo  di  Cosimo  il 
Vecchio  e  di  una  schiava  turcassa  comperata  in  Venezia,  veniva  allevato  in  com- 
pagnia con  gli  altri  figliuoli,  dovechè  di  Maria,  figliuola  di  Piero  di  Cosimo,  non 
consta  chi  ne  fosse  la  madre.  Si  può  dire:  in  tutte  le  famiglie,  dove  teneansi 
delle  schiave,  la  moralità  dei  signori  non  era  guari  modello.  Da  lettere  private 
ci  consta  come  i  giovani  nobili  mercanti  aborrissero  dal  matrimonio  ;  in  propo- 
sito di  che  Alessandra  Strozzi  scrive  una  volta  a'suoi  figliuoli:  «Il  diavolo  non 
è  cosi  nero,  come  lo  si  dipinge  ».  (Pag.  86  e  S7.) 

E  del  disordine  delle  cortigiane  che  si  può  scrivere?  Le  pagine  che  vi  de- 
dica il  Pastor  non  credo  siane  da  leggersi  da  tutti!  Cerio  esse  non  sono  meno 
fosche  di  alcune  analoghe  del  Savonarola;  eppure  il  Pastor,  dimenticando  se 
stesso,  fa  rimprovero  al  Predicatore  fiorentino  d'  averle  pronunziate!  (')  «  Ma 
il  disordine  delle  cortigiane  non  era  tuttavia  il  pessimo  de'  mali  che  travaglias- 
sero l'Italia  del  rinascimento.  Lo  storico  di  questo  periodo  non  può  non  toc- 
care un  lato  vie  più  doloroso.  Testimonianze  tristissime  non  lasciano  dubbio 
che  il  nefando  vizio  nazionale  dei  Greci  tornasse  allora  a  nuova  vita....  Coi 
miti  ellenici  i  quali  lo  presentavano  in  veste  attraente,  e  coi  poeti  romani  che 
ne  trattarono  in  modo  frivolo  e  licenzioso,  di  soppiatto  s'infiltrò  nuovamente 
nel  mondo  moderno  »  (p.  SS-89J.  E  quanti  uomini  pur  degl'  insigni,  special- 
mente tra  gli  umanisti,  non  bruciarono  il  loro  incenso  a  questa  infame  turpi- 


(')  A  proposito  di  cortigiane  è  notevole,  per  la  città  in  cui  scrivo,  uno  statuto  di  Astor- 
gio  HI,  proprio  dell'anno  più  romoroso  della  vita  del  Savonarola  del  1497.  Questo  statuto  è 
riportato  dal  Matterelli  —  Rerum  Faventinarum  Scriptores  —  colonne  792-795.  E  fatto  ad  repri- 
mendum  inordinatum  sensum  et  appetitimi  meretricum  habituntium  in  civitate  Faventiae;  e  rie- 
sce una  prova  molto  chiara  che  il  male  era  cresciuto  assai  anche  nelle  piccole  città.  Mi  de- 
sta anche  meraviglia  il  vedere  in  questo  statuto  rispetto  a  queste  infelici  creature  espresse 
alcune  idee  che  trovo  quasi  identiche  nel  Frate  di  San  Marco,  e  specialmente  nel  Quaresi- 
male Sopra  Amos  e  Zaccaria,  recitato,  com'è  noto,  nel  1496. 


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tudine!  !  «  Il  peggio  per  la  nazione  italiana  »,  soggiunge  il  Pastor,  «  si  era  che 
cosiffatti  vizj  penetravano  anche  nelle  classi  inferiori.  Oramai  al  tempo  della 
discesa  di  Carlo  Vili  un  cronista  scriveva  che  l' intero  paese,  tutte  le  grandi 
città,  Roma,  Firenze,  Napoli,  Bologna,  Ferrara,  n'  erano  infette....  ». 

Or  pensate  a  che  dovesse  condurre  in  religione  una  depravazione  simile  ! 
Il  Pastor  si  contenta  di  dire  che  doveva  di  necessità  condur  molti  all'indiffe- 
rentismo religioso  ;  e  certo  non  dice  troppo.  Ma  quale  impressione  doveva  fare 

10  spettacolo  di  tanta  corruzione  nell'anima  intemerata  di  Fra  Girolamo!?  Che 
santissimo  sdegno  provocare  su  quest'  uomo  di  una  irreprensibile  moralità  di 
vita!?  (*)  Di  quale  zelo  santissimo  doveva  riempiergli  e  infuocargli  l'anima 
quand'egli  meditava  la  sua  riforma?!  quando  voleva  che  Cristo  trionfasse  un'al- 
tra volta  sopra  le  superbia  pagana?!  Era  possibile  che  egli  qui  desse  in  ec- 
cesso?! «  Roma,  io  ti  ho  detto  che  tu  faccia  penitenza,  Milano,  io  ti  ho  detto 
che  tu  faccia  penitenza,  Venezia,  io  ti  ho  detto  che  tu  faccia  penitenza....  Io 
1'  ho  detto  a  tutti  i  savj  del  mondo;  e  non  ci  è  rimedio,  se  non  penitenza! 
Voi  non  volete  credere,  voi  non  volete  aprire  gli  orecchi,  voi  ve  ne  fate  beffe! 
Per  questo  dice  Iddio:  io  detesto  la  superbia  vostra  e  ho  in  odio  le  case  vo- 
stre le  quali  saranno  arse  e  spiantate  e  voi  andrete  a  casa  del  diavolo  »  !  (So- 
pra Amos  e  Zaccaria,  XXI.) 

Ma  era  poi  solo  nella  Chiesa  a  lottare  il  nostro  Frate?  e  lottava  egli  con 
più  severità  degli  altri?  con  zelo  non  voluto  dalla  Chiesa?  Sentite  ancora  il 
Pastor:  «  Molti  predicatori  italiani  designano  le  piaghe  degl'Italiani,  le  guerre, 
la  carestia,  e  il  terremoto,  come  un  giusto  castigo  del  cielo  per  questa  scelle- 
raggine  continuata.  Il  Patriarca  di  Venezia,  Alfonso  Contarini  diceva  l'anno 
1511  a' suoi  connazionali  interroriti  da  forte  terremoto,  ch'esso  era  la  puni- 
zione di  Dio,  perchè  non  si  cessava  dalla  vita  viziosa  (p.  91).  San  Bernar- 
dino da  Siena  predicò  in  pubblico  contro  il  vizio  innominabile,  minacciando 
l' ira  di  Dio,  la  quale  manderebbe  il  fuoco  come  sopra  Sodoma  e  Gomorra. 
Dei  predicatori  venuti  dopo  furono  Roberto  da  Lecce,  Michele  da  Milano  e  Ga- 
briele Barletta  quelli  che  nominatamente  alzarono  la  voce  ammonitrice  contro 

11  crescente  mal  costume  »  (p.  90).  Or  che  altro  faceva  Fra  Girolamo?  In  vero 
che  anche  qui  egli  si  mostra  misurato,  si  mostra  mite,  a  preferenza  degli  altri 
oratori  onorandi. 

Nè  ciò  basta.  «  Anche,  soggiunge  lo  storico  di  Innsbruck,  la  legislazione 
civile  cercò  con  pene  assai  severe  di  porre  un  argine  alla  corruzione.  La  Chiesa 
e  la  legislazione  sorta  con  lei  e  sotto  la  sua  efficacia  avevano  minacciato  con 
tremendo  rigore  questo  vizio,  impressovi  il  marchio  d'  infamia....  ».  Dunque?! 
E  troppo  chiaro  che  Fra  Girolamo  non  errava  lungi  dallo  spirito  della  Chiesa, 
allorché  levava  la  voce  contro  i  vizj  che  vedemmo  ;  è  chiaro  chiarissimo 
eh'  egli   non  chiedeva  importunamente  la  punizione  de'  medesimi.  (2)  Essi 


(')  Pastor:  Savonarola....  moralmente  irreprensibile  (p.  377). 

(')  Per  mostrare  vieppiù  che  i  rigori  delle  peno  devon  giudicarsi  secondo  i  costumi  del 
tempo,  citiamo  qui  la  pona  imposta  dalla  Chiesa  per  colpo  assai  mono  gravi  delle  accennato 


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nuocevano  troppo  non  pure  al  viver  cristiano,  ma  anche  alla  famiglia  ed  alla 
società  ;  e  un  riformatore  cattolico  che  voleva  la  costituzione  dello  Stato  coi 
principj  dell'  Evangelo,  proprio  come  la  vuole  il  nostro  Leone  XIII,  non  poteva 
non  adoperarsi  per  vedere  di  metter  riparo  a  questo  tenente  impuro,  limac- 
cioso, che  minacciava  di  travolgere  seco  ogni  bel  costume,  ogni  fede  ed  ogni 
libertà. 

E  per  Firenze  occorrevano  anche  ragioni  speciali.  Il  Savonarola  non  in- 
tendeva che  Cristo  fosse  per  burla  Re  di  quella  città,  ma  che  davvero  la  go- 
vernasse con  la  sua  dottrina,  coi  suoi  esempi,  con  la  sua  fede,  col  suo  aiuto, 
col  suo  lume,  e  ciò  doveva  naturalmente  procurare.  Ora  i  nemici  del  nuovo  stato 
erano  appunto  i  Compagnacci,  i  Medicei,  la  gente  libera  e  bestemmiatrice.  Per 
un  lato  gli  amici  della  libertà  riconoscenti  a  Dio  e  al  Frate  guardavano  a  San 
Marco  e  gridavano:  Viva  a  Cristo;  per  altro  lato  gli  avversar)'  del  nuovo  ordine 
di  cose  si  sfogavano  bestemmiando,  e  con  le  bestemmie  e  con  il  giuoco  pare 
che  intendessero  fare  le  beffe  al  Frate,  a'  nuovi  signori,  al  nuovo  popolo,  al 
nuovo  Re.  E  il  Frate  e  i  nuovi  signori  ministri  di  Cristo,  il  nuovo  popolo  vi- 
cario di  Cristo  doveva  necessariamente  combattere  1'  opposizione  nel  campo 
ove  ella  si  era  messa.  E  perciò  il  Frate  gridava  sovente  che  non  punendo  i 
viziosi,  i  bestemmiatori,  i  giuocatori,  i  sodomiti,  si  andava  incontro  alla  ruina 
della  città.  (*)  Costoro  miravano  a  cacciar  Cristo  dal  trono  e  spianavano  la  via 
lubrica  al  tiranno,  e  gli  aprivano  le  porte  di  Firenze,  onde  il  Frate,  come  sen- 
tinella avanzata,  gridava  incessantemente.  E  così  fosse  piaciuto  a  Dio  che  l'aves- 
sero ascoltato  di  più,  e  che  1'  avessero  sostenuto  e  meno  combattuto  i  prin- 
cipi e  i  gran  maestri  !  La  sua  riforma  ci  avrebbe  davvero  dato  un  esempio  di 
stato  cristiano  quale  non  se  n'  era  ancor  forse  veduto  e  quale  forse  non  se 
ne  vedrà  tanto  presto  neh'  Europa. 

Alcuno  forse  resta  tuttavia  in  dubbio  per  la  qualità  delle  pene  invocate 
dal  Savonarola?  Il  Pastor  ci  aiuta  anche  qui  a  toglier  di  mezzo  ogni  esitanza. 
A  pag.  417  parlando  d'  una  maschera  che  aveva  in  Roma  osato  proferir 
parole  poco  gradite  a  Cesare  Rorgia,  dice  che  essa  «  espiò  la  sua  libertà  di  pa- 
rola col  taglio  d' una  mano  e  della  lingua  che  a  quella  venne  attaccata  ».  E  per- 
chè non  ce  ne  facciamo  le  meraviglie,  detto  ciò,  usa  per  Cesare  Rorgia  una  be- 


nel  testo.  Nel  libretto  intitolato  Ordine  delle  processioni  che  s'  hanno  a  fare  in  Firenze  e  suo 
distretto  stampato  in  Firenze  senza  data,  ma  certo  verso  quel  tempo  (Bibl.  Naz.  di  Firenze, 
Cust.  D,  n.  9)  si  cita  tina  Bolla  della  Santità  del  Nostro  Signore,  ove  sotto  pena  di  scomunicazione 
e  di  ducati  X  d'oro  si  comanda  che  alle  dette  processioni  nessun  uomo  si  mescoli  fra  le  donne, 
ma  vadino  gli  uomini  eie  donne  separate;  e  parimente  sotto  pena  di  exeomunicatione  lata;  sen- 
tentice  si  proibisce  di  dar  mangiare  o  bere  ad  alcuno  innanzi  che  si  facesse  la  processione. 
Questo,  evidentemente,  facevasi  per  impedire  l'ubriachezza.  Rifletta  il  lettore  se  i  tempi  in 
cui  si  usava  tale  severità  devono  giudicarsi  cogli  stessi  criterii  dei  nostri;  e  se  perciò  è 
lecito  movere  al  Savonarola  le  accuso  che  gli  mosso  il  Pastor,  e  cosi  corno  fa  questo  storico! 

(')  Vedi  la  Lettera  ad  un  amico  e  troverai  compendiata  in  una  bella  pagina  la  predica- 
zione del  Frate  riguardo  alle  punizioni  che  voleva  s'infliggessero  ai  cattivi,  e  alla  giustizia 
che  incessantemente  invocava  da  Firenze;  e  vedrai  chiaramente  che  il  Fiate  perchè  non  lo 
volevano  in  ciò  ascoltare,  nè  cacciar  via  i  cattivi,  prevede  la  ruina  della  città. 


-  202  — 


nignità  che  per  Fra  Girolamo  moralmente  irreprensibile  non  crede  di  usare  e  nota 
che  «  tali  pene  allora  erano  universalmente  in  uso  ».  Se  questo  è  vero,  e  nessuno 
ne  dubita,  Fra  Girolamo  ha  preceduto,  anche  nel  punire  i  delitti,  i  tempi:  Del- 
l' età  in  cui  universalmente  si  puniva  in  modo  assai  crudele  e  vendicativo,  egli  ci 
si  mostra  davvero  misurato  e  alieno  da  crudeltà  e  da  vendetta,  come  avremo 
anche  occasione  di  vedere  disotto.  Non  si  dica  più  adunque  che  il  nostro 
Frate  (il  quale  non  ha  del  resto  mai  punito  nè  fatto  punire  alcuno  in  particolare) 
nel  rigore  delle  sue  pene  non  conosceva  confine:  sarebbe  un  parlare  troppo 
apertamente  contrario  alla  verità  storica. 

Poche  cose  ci  restano  a  dire  perchè  sian  tutte  e  intieramente  ribattute  le 
soprascritte  accuse  del  Pastor  contro  del  nostro  Frate,  poche  cose  rispetto 
allo  spionaggio  e  alla  denunzia  volute  dal  Savonarola,  e  poi  della  giurisdi- 
zione data  ai  fanciulli  sopra  le  donne. 

Il  Pastor  asserisce  con  molta  franchezza,  prendendo  sempre  dal  Perrens, 
che  questi  «  bruschi  mezzi  coattivi  dovevano  congiurare  a  ristabilire  nella  vita 
di  tutti  i  cittadini  una  perfezione,  la  quale  in  questo  grado  (*)  non  sarà  mai 
possibile  se  non  a  pochi  >.  Ora  noi  abbiamo  già  visto  che  è  per  lo  meno  inesatto 
dire  che  il  Savonarola  si  valesse  di  questi  mezzi  unicamente  per  la  morale  privata 
e  la  perfezione  degli  uomini. 

Per  ottenere  nel  popolo  cristiano  la  perfezione  morale  e  religiosa,  non 
1'  eccessiva,  ma  quella  che  ad  ognuno  si  conviene,  quella  che  si  può  e  deve 
richiedere  da  ogni  cristiane  secondo  il  proprio  stato,  i  mezzi  usati  dal  Savo- 
narola erano  la  predicazione  della  Scrittura,  la  preghiera,  e  segnatamente  la 
frequenza  de'  Sacramenti  e  poi  la  correzione  fraterna  ;  (*)  cose  tutte  sante  e 
perciò  per  nulla  brusche  nè  illecite.  I  mezzi  coattivi,  lo  spionaggio  e  la  dela- 
zione, il  Frate  li  avrebbe  consentiti  solo  per  riuscire  a  far  osservare  le  giuste 
leggi  e  ad  impedire  i  delitti  e  la  ruina  delle  anime  innocenti  e  del  bene  co- 
mune da  parte  di  scellerati.  Così,  per  esempio,  il  Frate  non  sarebbe  stato  alieno 
per  guarire  la  mania  del  giuoco  dal  consigliare  agli  Otto  di  valersi  delle  schiave 
per  iscoprire  i  siti  dove  quella  veniva  coltivata  contro  le  disposizioni  degli  sta- 
tuti; e  anche  di  proporre  una  ricompensa  ai  famigli  che  rivelassero  i  padroni 
che  tenevano  giuoco  :  «  I  giuocatori  intendo  che  stanno  rinchiusi  per  le  case 


(')  Riesce  difficile  capire  quale  sia  questo  grado;  nel  Pastor  non  è  detto. 

(2)  Non  mi  trattengo  qui  a  parlare  della  correzione  fraterna  e  del  modo  come  la  voleva 
fatta  il  Savonarola,  sebbene  non  sarebbe  del  tutto  fuori  di  luogo;  ma  penso  che  sia  impossibile 
che  un  futuro  Pastor  critichi  a  tale  riguardo  l'apostolico  Frate.  Chi  volesse  ad  ogni  modo 
vedere  qualche  cosa  al  proposito  legga  per  esempio  la  predica  XXI  e  la  XXVII  sopra  Amos 
e  Zaccaria,  e  sarà  soddisfatto.  Ivi  troverà  per  esempio  che  «  la  correzione  fraterna  è  intro- 
dotta per  medicina  del  peccato;  ma  il  peccato  si  può  considerare  in  due  modi:  primo  si 
considera  in  quanto  è  contro  a  colui  che  pecca,  secondo  in  quanto  è  contro  la  comunità. 
Quanto  al  priruo  modo,  la  correzione  fraterna  si  adibisco  come  medicina  per  rimuovere  il 
male  del  peccato,  perchè  è  atto  di  carità  tale  correzione.  Quanto  al  secondo  modo,  quando 
è  detrimento  del  bene  comune,  la  correzione  si  adibisce  come  atto  di  giustizia  e  questo  per 
medicare  la  comunità,  e  conservare  il  bene  pubblico  >.  Cf.  San  Tommaso,  Somma  Teol., 
P.  II-II,  qn.  XXXIII.  Il  Pastor  sembra  aver  dimenticata  questa  dottrina  e  questa  importan- 
tissima distinzione. 


—  203  — 


e  giuocano  più  che  mai.  E'  si  vorria  fare  una  legge,  che  le  schiave  che  rive- 
lassero quando  si  giuoca  in  casa  i  padroni,  fossero  libere:  e  che  i  famigli  che 
ancora  rivelassero  il  giuoco  avessero  qualche  premio  ».  Qui  è  impossibile  non 
capire  che  si  tratta  non  già  di  giuochi  di  divertimento  e  di  conversazione,  di 
piccoli  giuochi  che  le  famiglie  facesser  tra  loro  e  cogli  amici,  ma  sibbene  di 
giuochi  vietati,  di  giuochi  rovinosi,  di  quei  giuochi  che  il  Pastor  medesimo  si 
compiaceva  di  veder  repressi.  Ora  le  case  dove  si  giuocava  più  che  mai,  dove 
stavan  rinchiusi  i  giuocatori,  le  case  dove  si  tenevano  giuochi  vietati,  quale  po- 
litico non  doveva  cercar  di  conoscerle  e  sorvegliarle  ?  La  legge  consigliata  dal 
Savonarola  era  certo  un  bene  e  per  Firenze  e  per  quelle  misere  creature  tenute 
schiave  e  costrette  non  pure  a  servire  ma  a  servire  a  passione  così  scandalosa. 
Del  resto  quanti  credete  che  avrebbero  avuto  occasione  di  denunziare  i  giuochi? 
Ben  pochi:  l'effetto  della  legge,  1'  effetto  immediato  doveva  esser  quello  di  ces- 
sare tal  giuoco  e  non  adoperarvi  o  farvi  assistere  schiave.  Il  che  sarebbe  già 
stato  tanto  di  guadagnato.  Un' altra  considerazione  poi  mi  convien  fare:  lana- 
tura  speciale  del  governo  fiorentino  a' tempi  del  Savonarola  faceva  il  popolo 
signore;  e  quindi  ognuno  doveva  aver  cura  del  bene  comune  ed  era  in  qualche 
misura  obbligato  alla  tutela  della  cosa  pubblica;  e  perciò,  qual  meraviglia  che 
il  Frate  nei  casi  più  gravi  non  esitasse  a  consigliare  agli  Otto  di  valersi  del- 
l' opera  de'  cittadini  per  estirpare  i  vizj,  che  erano  di  nocumento  al  pubblico?  A 
me  pare  che  in  questi  casi  il  Savonarola  non  si  governasse  in  modo  molto  dissi- 
mile da  quello  che  usa  la  Chiesa  la  quale,  per  esempio,  fa  obbligo  ad  ognuno 
di  denunziare  gl'impedimenti  canonici  a  contrarre  il  matrimonio  e  i  sacri  or- 
dini. Quindi,  se  anche  le  parole  sopra  scritte  del  Savonarola  dovessero  avere 
il  senso  (e  non  1'  hanno)  che  ad  esse  attribuiscono  il  Perrens  ed  il  Pastor, 
il  servo  che  avesse  narrato  non  sarebbe  stato  condannabile,  e  perciò  non  con- 
dannabile il  consigliere  del  servo. 

Del  resto,  col  mirare  a  liberar  quelle  infelici  creature  da'  padroni  viziosi, 
il  nostro  Frate  mostra  ancor  una  volta  la  carità  molta  che  gli  scaldava  l'anima 
per  i  miseri  e  gli  sventurati,  carità  di  cui  il  Pastor  avrebbe  pur  dovuto  tenere 
qualche  conto!  Che  del  resto  il  Savonarola  con  simili  proposte  non  mirasse  alla 
correzione  privata  direttamente  e  solamente,  ma  al  bene  pubblico  e  al  bene 
comune,  il  quale  deve  sovrastare  ad  ogni  altro  nella  città,  ci  è  provato  da 
molti  passi.  Eccone  uno  che  può  bastare  per  tutti  :  «  Se  avrà  peccato  contro 
di  te  il  fratel  tuo   (')  Nota  perchè  dice  contro  te  :  vuol  dire  che  se  il  pec- 
cato è  noto  a  te  solo,  correggilo  da  te  solo  ;  ma  se  gli  è  pubblico,  correggilo 
pure  in  pubblico.  Contro  te,  s'intende  ancora  quando  non  è  conlra  la  comu- 
nità. Se  tu  sapessi  che  uno  facesse  contra  al  pubblico,  e  tu  credessi  poterlo 
da  te  a  lui  correggere,  fallo;  ma  perchè  il  bene  pubblico  importa  grande- 
mente, se  tu  dubitassi  da  te  solo  poterlo  correggere,  questo  caso  dubito  debba 
notificarlo;  perchè  quando  tu  se' dubbio,  devi  più  presto  inclinare  al  bene  pub- 
blico, che  al  privato;  perchè  ancora  che  tu  qualche  volta  errassi  per  zelo  del 


(')  Vangelo  di  S.  Matteo,  cap.  XVIII. 


—  204  — 


bene  pubblico,  non  è  gran  peccato;  e  benché  tu  punissi  qualcuno,  che  non  avesse 
cosi  errato  come  tu  credi,  se  tu  se'  indotto  solo  dallo  zelo  del  bene  pubblico, 
servate  le  debite  circostanze,  non  fai  gran  male.  Così  dicono  ancora  i  dot- 
tori della  Chiesa,  d'un  eretico;  che  se  tu  dubitassi  di  non  poterlo  correggere 
da  te,  devi  accusarlo.  E  nota  questo  parlare  del  testo:  Se  aorà  peccato  contro 
te:  chè,  se  il  peccato  d'  uno  è  noto  a  te  e  non  è  pubblico,  che  tu  devi  correg- 
gerlo da  te  a  lui;  la  ragione  è  questa,  perchè  si  deve  conservare  la  fama  del 
prossimo:  massime  cl>e  alle  volte  la  infamia  di  uno  nuoce  a  molti.  Vedi  che 
l'infamia  d'una  figliuola  d'un  uomo,  nuoce  molte  volte  alle  altre  sue  sorelle, 
e  a  tutta  la  casa  :  però  fanno  gran  peccato  coloro  che  infamano  una  fan- 
ciulla.... ».  (Sopra  Amos,  predica  XXI.) 

Ma  vi  era  poi  un  caso  nel  quale  il  Savonarola  consigliava  apertamente  a 
servi,  alle  serve  e  agli  alunni  di  pubblicare  i  vizj  de'  padroni  o  de'  maestri  e 
degli  altri  :  quando  questi  avesser  voluto  ad  ogni  costo  corromper  quelli  ed 
abusarne.  «  Fanciulli  miei,  io  ho  detto  a'  vostri  padri,  che  sarà  buono  che  i 
figliuoli  loro  imparassero  tutti  un  poco  di  grammatica,  e  salariare  i  maestri,  e 
che  fossero  buoni  e  dargli  buon  salario.  Ma  se  non  fossero  buoni  quegli  mae- 
stri, e  vi  volessero  fare  qualche  male,  fanciulli  miei,  accusateli  agli  Otto  ».  (So- 
pra Amos  e  Zaccaria,  XX.)  «  Se  nessuno  di  questi  ribaldi  che  attendono  a 
quel  maledetto  vizio  vi  dicesse  parola  disonesta  in  secreto,  la  prima  volta  cor- 
reggetelo da  voi  a  lui;  e  dite:  ribaldo,  vergognati,  ecc.  La  seconda  volta  siate 
parecchi  e  fategli  la  correzione  fraterna:  la  terza,  siate  tutti  insieme,  e  fategli 
la  baia  là  in  piazza,  e  ognuno  dica:  questo  è  il  ribaldo;  o  voi  lo  accusate  agli 
Otto  ».  (Ivi,  predica  III.) 

Questa  era  tirannide?  questi  i  più  bruschi  mezzi  coercitivi?  Io  lo  con- 
fesso francamente,  e  sento  di  far  bene  a  confessarlo,  che  sarò  felice  sé  i 
figliuoli  miei  intenderanno  bene  quest'  insegnamento,  e  saran  pronti  e  disposti 
a  metterlo  in  pratica  senz'  alcuna  paura.  Noi  siamo  ancor  troppo  usi  a'  governi 
tirannici,  e  odiosi  ;  siamo  ancora  troppo  usi  a  costituzioni  poco  felici  e  poco 
buone,  siamo  ancor  troppo  usi  a  piegarci  innanzi  alla  prepotenza  del  ladro  e 
del  vizioso,  nè  perciò  sappiamo  ancora  spiccarci  dalle  tradizioni  che  ci  fanno 
considerare  1'  autorità  sociale  come  un  peso,  la  società  come  un  male.  Firenze 
aveva  avuto  per  consiglio  del  Frate  una  libertà  che  non  meritava,  uno  stato 
troppo  cristiano,  troppo  amabile,  troppo  superiore  agli  stati  che  ha  anche 
di  presente  l'Europa  e  però  troppo  più  caro  di  quanto  noi  si  capisca  e  troppo 
più  degno,  degli  stati  moderni,  che  i  cittadini  ne  avesser  cura  e  lo  difendessero! 
Per  questo  non  sappiamo  capire  del  tutto  il  merito  di  alcuni  mezzi  che  il 
Frate  consentiva  a  tutela  di  quella.  Quando  V  intenderemo,  dovremo  ammi- 
rarli; e  allora  apparirà  cinta  di  nuovi  raggi  la  persona  del  politico  Fiorentino. 
Ma  anche  di  questo  fra  poco  ritoccheremo. 

Del  resto  nessuno  creda  ad  ogni  modo  che  la  delazione  consentila  dal  Sa- 
vonarola potesse  non  essere  seria  e  fondata.  Il  Frate  in  questo  caso  l'avrebbe 
voluta  punita  gravemente:  «  E' si  vorrebbe  che  quando  uno  sparla  di  un  cit- 
tadino, che  quel  magistrato  a  chi  s'aspetta,  mandasse  per  lui  e  dicessegli  : 


—  205  — 


Vien  quu,  se  tu  mi  giustifichi  quello  che  tu  di',  io  voglio  punire  quel  tale  cit- 
tadino ;  ma  se  non  è  vero,  io  voglio  punire  te  poena  talionis,  cioè  quella  me- 
desima pena  che  meritava  lui,  io  voglio  che  tu  V  abbia  tu.  Se  si  facesse  così, 
non  si  mormorerebbe  tanto.  Ma  voi  avete  troppi  riguardi  a  vostre  specialità,  e 
non  volete  punire  chi  erra.  Donde  nasce  che  le  vostre  specialità  guastano  la 
città  vostra  ». 

Dunque  nulla  di  male,  nulla  di  condannabile,  nulla  di  eccessivo  troviamo 
fin  qui  ne'  mezzi  onde  il  Frate  si  valeva  per  conseguire  la  sua  riforma:  e  per 
contro  ci  appaiono  essi  fin  qui  tutti  pieni  di  saviezza.  Mail  Pastornon  è  ancora 
del  tutto  soddisfatto,  nè  è  forse  contentato  in  ogni  suo  desiderio  il  lettore  no- 
stro. «  La  giurisdizione  de'  fanciulli  si  estendeva  fino  alle  fanciulle  e  alle 
donne  ».  Quest'accusa  del  critico  d' Innsbruck  non  è  ancora  in  modo  d:retto 
ribattuta  nè  gettata  a  terra:  si  potrà  forse  già  capire  ed  argomentare  dal  detto 
fin  qui  eh'  essa  non  regge,  ma  in  modo  esplicito  non  si  è  ragionato  contro  di 
essa,  e  anche  un  solo  dubbio  eh'  essa  abbia  qualche  fondamento  è  già  cosa 
grave. 

Esaminiamo  adunque  brevemente  questa  sentenza.  Osserviamo  prima  di 
tutto  che  la  parola  giurisdizione  qui  è  per  lo  meno  impropria  e  sa  di  eccesso. 
Il  Savonarola  griderebbe:  «  Dimmi,  i  fanciulli  sono  eglino  in  magistrato,  sono 
eglino  degli  Otto  »?  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XXXVII.)  Ma  lasciamo  le  questioni 
di  parole,  e  veniamo  alle  cose.  Quale  ufficio  dovevano  esercitare  questi  fanciulli 
con  le  donne  e  con  le  fanciulle?  Al  più  la  correzione  fraterna,  quand'essi  aves- 
sero speranza,  senza  fare  altrimenti  scandalo,  di  buona  riuscita.  E  qui  fortuna- 
tamente sappiamo  anche  in  modo  positivo  eh'  essi  usavano  ogni  bella  maniera 
e  ogni  grazia,  e  che  senza  scandalo  alcuno  ottenevano  molto  bene.  «  Andando 
per  le  strade,  se  avessero  trovato  qualcuna  di  queste  giovani  pompose,  con 
{■strascichi,  o  con  fogge  disoneste,  la  salutavano  con  gentilezza,  facendole  una 
riprensione  piacevole,  dicendo:  Gentile  donna,  ricordatevi  che  voi  avete  a  mo- 
rire, e  lasciare  ogni  pompa  e  delicatezza,  e  tutta  cotesta  vanità;  con  certe  al- 
tre parole  accomodate  a  simile  opera,  dimodoché  da  una  volta  in  là,  se  non 
per  amore,  per  vergogna,  lasciavano  buona  parte  di  loro  vanità.  Così  ancora  gli 
uomini  infami  e  viziosi,  per  paura  di  non  essere  additati  nè  iscoperti  si  astenevano 
da  molte  cose  ».  (*)  Or  qui,  quale  fra  i  cattolici  ha  ragione  di  lagnarsi  del  Frate? 
Mi  par  di  sentirlo  il  Frate  zelante,  il  quale  non  teneva  che  le  teoriche  cristiane 
fosser  da  riputarsi  per  vane  concessioni,  ma  voleva  che  si  mettessero  in  pratica, 
mi  pare  di  sentirlo  gridare:  «  Io  ti  dissi  che  se  tu  credevi  far  frutto,  che  tu  dovevi 
correggere  il  tuo  fratello:  ed  ancora  i  fanciulli  posson  correggere  i  vecchi,  ma  con 
reverenza  sempre,  quando  vedessino  che  eglino  errassero.  Tu  non  hai  bene  stu- 
diato, tu  che  di'  che  i  fanciulli  con  ogni  umiltà  non  debbono  correggere  i  mag- 
giori, che  errassero:  Ognuno,  ti  dico,  è  obbligato  a  correggere  il  suo  fratello,  per 


(')  Lettere  di  Giovanni  da  Empoli  a  suo  padre;  e  Vita  dello  stesso,  ecc.  Archivio 
Storico  Italiano,  Appendice,  tom.  Ili,  pag.  22:  cfr.  il  Marchese,  Sunto  storico  del  convento  di 
San  Marco,  lib.  II,  p.  210. 


—  206  — 


chè  dicono  i  dottori,  che  se  uno  morisse  di  fame  e  tu  hai  del  pane,  e  puoi 
aiutarlo,  e  far  che  non  muoia,  che  se  tu  noi  fai,  non  vedendo  che  altri  lo  fac- 
cia, acquisti  peccato  mortale:  quanto  più  questo  debbe  esser  nell'anima  se  tu 
vedi  di  poter  correggere  le  anime  e  levarle  da'  vizj,  e  tu  noi  fai,  e  lascile 
dannare,  pecchi  mortalmente  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XXVII.)  E  mi  par 
di  sentirlo  ancora  gridare  forte  e  amaro  il  severo  Frate,  che  coloro  i  quali  si 
lagnavano  de1  fanciulli  erano  quelli  che  volevano  persistere  nel  far  inalee  dare 
lo  scandalo....  erano  i  tristi  che  non  volevano  lasciare  il  vizio....  I  buoni 
n'  erano  contenti.  (') 

Certo  a  noi  del  secolo  XIX  produce  un  poco  di  meraviglia  la  vita  di  Fi- 
renze nel  finire  del  secolo  XV;  a  noi  fanno  un  poco  di  meraviglia  le  prediche 
del  Savonarola;  ma  se  si  considerassero  le  cose  con  occhio  cattolico  e  nel  se- 
colo in  cui  avvenivano,  se  pensassimo  al  rispetto  che  si  deve  alla  morale  pub- 
blica e  al  popolo  che  vuol  viver  bene,  troveremmo  per  savio  e  discreto  anche 
qui  il  severo  Frate  di  San  Domenico;  e  se  non  volessimo  addirittura  ammi- 
rarlo, cesseremmo  almeno  dall' irriderlo! 

Ma  già  ci  chiamano  a  sè  cose  anche  maggiori,  e  qui  ci  par  che  debba  esser 
soddisfatto  ogni  desiderio  e  cancellata  ogni  accusa.  Procediamo  adunque.  An- 
dando innanzi  ci  si  offrirà  l'occasione  di  ritornare  ancora  sopra  alcuni  dei 
punti  qui  toccati. 


(')  Per  vedere  la  temperanza  e  la  relativa  larghezza  del  Savonarola  nella  materia  che 
ci  occupa,  tra  i  molti  passi  che  si  potrebbero  vedere,  rimando  ancora  il  lettore  alla  predica 
XLII  sopra  Amos  e  Z.iccaria. 


XV. 


La  famiglia  cristiana  e  Girolamo  Savonarola. 


Sommario. 

Importanza  dell'  argomento.  —  Merito  del  Savonarola.  —  La  famiglia  in  Italia  nel  secolo  XV.  — 
Ombra  fosca  gettata  sopra  il  Frate  dal  Pastor.  —  I  nemici  della  famiglia  cristiana  e  il 
Frate  di  San  Marco.  —  Il  Pastor  che  copia  sempre.  —  Perché  si  ribatte  ora  accuse  vecchie. 

—  Il  Pastor  lustramento  di  Dio  a  glorificare  Fra  Girolamo.  —  Si  trascrivono  le  accnse  e  la 
fonte  onde  il  Pastor  le  trasse.  —  Giudizio  contro  il  Pastor  ed  il  Perrens.  —  S'  entra  nel  merito 
delle  accuse.  —  Come  procederemo.  —  I  sacri  canoni  e  Girolamo  Savonarola.  —  La  donna  sog- 
getta all'  uomo.  —  Una  lettera  del  Frate  a  Giovanna  Caraffa  contessa  della  Mirandola.  —  La 
donna  buona  e  sapiente  e  la  donna  stolta.  —  Un'  accusa  che  non  fa  delitto.  —  Il  matrimonio 
cristiano  secondo  Fra  Girolamo.  —  11  Savonarola  non  sollecitava  troppo  alcnno  a  vestirsi  frate. 

—  Vii  documento  ai  fanciulli.  —  La  discordia  nella  famiglia  e  Fra  Girolamo.  —  Fraternità 
de'  Savouaroliani.  —  Una  spiegazione  dataci  dal  Vaglienti.  —  Cose  che  nessuno  nega.  —  Fra  chi 
la  discordia.  —  L'  amicizia  cristiana  e  Girolamo  Savonarola.  —  Alcuni  terribili  passi  del  Frate. 

—  Flia  e  Fra  Girolamo.  —  La  guerra  generata  dal  Savonarola.  —  Fuoco  che  scoppierà  o  la 
pace  de'  buoni  e  la  separazione  de'  cattivi.  —  La  vera  cagione  della  guerra.  —  Fra  Girolamo  in 
mezzo  all'  indifferentismo  generale  chiama  le  cose  con  il  loro  nome.  —  Il  Savonarola  raccomanda 
1'  unione  e  la  pace.  —  Il  rumore  degli  avversari  rende  sorda  1'  eco  della  voce  del  Frate.  — 
Esposizione  del  VII  di  Michea.  —  Ingiustizia  enorme.  —  Vii  racconto.  —  Vn'  accusa  iuqualitì- 
cabile.  —  Le  testuali  parole  del  Frate.  —  Il  Savonarola  commentato  con  il  Savonarola.  —  Vn 
fatto  evidente  e  un  naturale  desiderio  degli  amici  del  Pastor.  —  Le  accuse  del  Perrens  aggra- 
vate senza  motivo.  —  Vn  domanda  spontanea.  —  Doveri  de'  genitori  verso  i  figli.  —  La  madre 
allatti  il  figliuolo.  —  Il  Savonarola  confuta  il  Rousseau.  —  Vn  principio  adottato  dal  Savonarola 
riproposto  alla  meditazione  de' genitori  e  de' maestri  cattolici.  —  Insistenza  del  Savonarola  perchè 
i  padri  e  le  madri  nutriscano  i  figlinoli  nelle  cose  di  Dio.  —  Obbligo  de'  genitori  di  correggere 
i  figli.  —  I  padri  che  guastano  i  proprj  figli-  —  Cautele  per  mantenere  l'innocenza  de' fanciulli. 

—  Obbligo  de'  genitori  di  procurare  istruzione  civile  e  letteraria  ai  figliuoli.  —  I  padri  e  le  ma- 
dri amino  i  figli  senza  specialità  e  li  mantengano  concordi.  —  Padroni  e  servi.  —  Doveri  de'  figlinoli 
verso  i  genitori.  —  Fatica  nostra  uell'  esser  brevi.  —  Rispetto,  amore,  obbedienza,  aiuto  de'  figli 
al  padre  e  alla  madre.  —  Conclusione. 

L'  argomento  del  capitolo  presente  è,  senza  dubbio,  uno  de'  più  impor- 
tanti che,  specialmente  pei  giorni  nostri,  esistano  nel  campo  della  scienza  e 
della  religione.  Basterebbe  a  provarlo  la  grave  lotta  che  alla  famiglia  cristiana 
muovono  le  sette.  Perciò,  come  sembravami  che  fosse  degno  d'encomio  Fra  Gi- 
rolamo per  aver  saputo  conoscere  assai  bene  la  natura  della  società  dome- 
stica, per  avere  parlato  con  molto  zelo  de'  doveri  e  de'  diritti  che  in  essa 
esistono,  e  per  aver  fatto  per  parte  sua  tutto  il  possibile  affine  di  ristorarla 


—  208  — 


mentre  era  guasta  e  corrotta  dal  paganesimo;  (*)  così  mi  sembrava  cosa  degna 
di  qualche  considerazione  e  di  qualche  utilità  poter  raccogliere  le  idee  del 
Frate  di  San  Marco  al  riguardo  e  segnatamente  quelle  rispetto  ai  doveri  dei 
genitori  verso  i  figli  e  di  questi  verso  quelli;  e  offrirle  all'età  nostra  come  in 
un  trattatello  o  manuale  cristiano. 

Ma  il  Pastor  anche  qui  ripete  cose  tanto  fosche  e  tristi  contro  il  Savona- 
rola, che,  ove  fosser  tutte  vere,  il  Frate  dovrebbe  apparir  meglio  accetto  agli 
avversar)"  della  pace  domestica  e  della  famiglia  cristiana  che  non  agli  amici  e 
difensori  di  queste. 

Preme  adunque,  messo  per  ora  da  parte  ogni  altro  pensiero,  esaminare 
prima  di  tutto  le  strane  accuse,  e  vederne  il  valore.  Il  resto  si  farà  poi. 

E  bene  dirlo  subito:  il  Pastor  copia  anche  in  questo  punto  da  autori  mo- 
derni, senza  darsi  il  minimo  pensiero  di  constatare  se  quanto  copia  sia  vero 
o  no.  Le  accuse  adunque  che  qui  si  muovono  contro  il  nostro  Maestro 
non  son  del  tutto  nuove,  nè  appartengono  come  proprietà  al  critico  d' Inn- 
sbruck.  Ma  noi  credevamo,  prima  che  questi  le  ripetesse,  di  poterle  trascu- 
rare, sia  per  la  loro  esagerazione,  sia  ancora  perchè,  non  essendo  esse  ripetute 
da  cattolici  autorevoli,  stimavamo  che  non  potessero  esser  credute  da  nessun 
uomo  serio.  Ma  ora  che  le  scrive  il  Pastor,  a  cui  credono  molti,  nel  campo 
cattolico,  bisogna  gettarle  a  terra.  Gol  Pastor  va  da  sè,  combatteremo  anche 
le  fonti  onde  egli  beve.  Trascriviamo  prima  di  tutto  le  accuse,  e  gli  amici  del 
Frate  ritengano  un  poco  lo  sdegno,  pensando  che  tutto  si  volgerà  in  meglio,  e 
al  trionfo  del  calunniato  Domenicano.  Nessuno  cooperò  tanto  a  far  conoscere  il 
vero  Savonarola  per  la  parte  della  sua  cattolicità  quanto  la  statua  di  Worms  (2); 
ma  a  far  conoscere  intieramente  e  apprezzare  i  meriti  del  Frate  coopererà 
moltissimo  il  libro  di  L.  Pastor.  Vedremo  che  il  Frate  aveva  ragione  quando 
gridava  a  tutto  il  mondo  eh'  egli  aveva  da  vincere  ad  ogni  modo. 

Ecco  adunque  le  accuse  e  la  fonte  principale  onde  il  Pastor  le  attinse  e 
cui  direttamente  cita. 


(')  Non  ci  soffermiamo  a  mostrare  a  qual  punto  fosse  ridotta  la  famiglia  in  Firenze 
all'epoca  del  Rinascimento  nel  secolo  XV.  Questo  può  vederlo  chi  ne  avesse  bisogno  e  va- 
ghezza nell'  Introduzione  del  volume  del  Pastor  dove  parla  del  divorzio  (p.  82)  e  della  dis- 
soluzione del  matrimonio  (p.  87);  e  anche  nel  Perrens  per  tutto  il  capitolo  IV  dell'  Opera: 
«  La  ciuilisation  Fiorentine  du  XIlIe  au  XVle  siede  ».  Pensando  alla  decadenza  delle  più 
sante  e  naturali  affezioni  che  in  molti  si  verificarono  allora,  noi  ammiriamo  sempre  più  le 
lettere  del  Savonarola  alla  famiglia,  e  ci  sembrano  più  che  mai  preziose  le  belle  pagine  che 
si  leggono  nel  Compendio  di  tutta  la  filosofia  e  nelle  prediche  riguardo  a  questa  santa  istitu- 
zione; e  ci  fa  sempre  più  rancore  che  la  penna  del  professor  d'Innsbrucli  non  le  abbia  ap- 
prezzate come  poteva  fare  tanto  utilmente. 

(2)  Dalla  prefazione  premessa  dal  P.  L.  Ferretti  all'  opuscolo  del  I'.  Gr.  Procter:  Il  Dome- 
nicano Savonarola  e  la  riforma  già  citato  a  p.  122,  n.  4,  togliamo  quanto  seguo:  «  Ai  piodi  dell» 
statua  di  Lutero  (in  Worms)  si  vede  sullo  zoccolo  del  piedistallo  il  Savonarola  seduto  in- 
sieme all'  Hu8S,  al  Whychliff  e  a  Pietro  di  Vaux;  errore  volgare  che  il  Guasti  chiamava  «stac- 
ciata calunnia  »  e  il  Card.  Capccelatro  «  audacia,  anzi  improntitudine  intollerabile;  »  e  voci 
eloquenti  si  levarono  per  rivendicare  all'  Italia  questo  onoro  e  alla  Chiesa  questa  gloria.  Il 
Cardinale  Alimonda  pieno  di  nobile  sdegno  gridava:  «Levate  dal  monumento  di  Worms  la 
statua  del  Savonarola!  Vi  sta  per  gridare  a  Lutero  :  Tu  sei  il  malvagio  fedifrago.  E  gli  volg» 
le  spalle  ». 


—  209  — 


Pastok 

Nessuno  scrupolo  aveva  il  nostro 
frate  d' ingerirsi  perfino  ne'  diritti  pa- 
terni. Anche  qui  predicava  apertamente 
la  disubbidienza  contro  l' autorità  da 
Dio  stabilita  aggiungendovi  ancora  lo 
scherno.  Alcuni  padri  volevano  inviare 
i  loro  figliuoli  in  Francia,  a  fine  di  sot- 
trarli all'influsso  irresistibile  del  frate. 
«  Mandateli  dove  volete  »,  gridava  il 
Savonarola  con  tono  di  provocazione, 
«  essi  faranno  ritorno....  »  Il  malumore 
delle  famiglie  le  cui  onde  avrebbero 
poi  inghiottito  il  capo  popolo,  s'ina- 
spriva di  giorno  in  giorno.... 


Anziché  godere  della  pace  promes- 
sa, tutta  Firenze,  ogni  famiglia  era  lace- 
rata da  litigi  e  discordie.  I  rimproveri, 
che  più  tardi  mossero  in  questo  riguardo 
al  Savonarola  gli  accaniti  suoi  nemici, 
sono  giustificati. 

«  In  tutte  le  case  »,  così  si  la- 
gnavano, «  era  sorta  la  disunione,  ila- 
»  rito  e  moglie,  padre  e  figliuoli,  tutti 
»  insomma  venivano  fra  loro  a  conte- 
»  sa.  Tutto  quanto  il  giorno  udivansi 
»  fiere  minacce.  La  suocera  scacciava 
»  di  casa  la  nuora,  il  marito  la  moglie, 
»  uniti  solo  in  questo,  di  vivere  sepa- 
»  rati.  Le  donne  scrivevano  di  nasco- 
»  sto  al  Frate,  per  palesargli  le  trame 
»  che  i  loro  mariti  ordivano  contro  di 
»  lui».  Genitori  piantavano  i  loro  figliuo- 
li per  entrare  in  un  convento.  (P.  139). 

Contrariamente  ai  sacri  canoni,  il 
Savonarola  approvava  1'  entrata  di  co- 
niugate ne'  conventi  senza  previo  con- 
senso de'  mariti,  ovvero  la  separazione 
della  sposa  dallo  sposo,  contro  la  vo- 
lontà di  quest'  ultimo  (pag.  137). 


Perrens 

I  padri  s' irritavano  al  vedere  i 
figli  loro  entrare  a  capo  basso  a  far 
parte  d'una  fazione  di  cui  essi  eran 
lungi  dal  partecipar  le  passioni  Alcuni 
parlaron  di  mandarli  in  Francia,  per 
sottrarli  all'  irresistibile  influenza  del 
Savonarola.  «  Mandateli  dove  volete  », 
gridava  il  frate  in  tuono  di  sfida,  «  essi 
torneranno  ».  Con  parole  sì  provocanti 
quasi  forzava  la  gioventù  alla  disub- 
bidienza. Tuttavia  non  mancava  di  rac- 
comandarle il  rispetto  a'  parenti  e  an- 
che la  sommissione,  la  quale  però  non 
doveva  essere  illimitata,  uè  doveva  pre- 
starsi in  cose  contrarie  alla  legge  di  Dio 
o  alle  ingiunzioni  del  predicatore....  (l) 

Per  avere  ascoltato  più  il  suo  zelo 
che  la  sua  prudenza,  il  Savonarola  me- 
rita in  parte  le  accuse  portate  contro 
di  lui  dai  suoi  nemici,  nel  processo  : 
«  La  discordia,  »  vi  si  dice.  «  era  sorta 
»  in  tutte  le  case.  La  moglie  e  il  ma- 
»  rito,  il  padre  e  i  figli,  tutti  erano  in 
»  litigio.  Ogni  giorno  si  udivano  atroci 
»  minacce,  ia  suocera  cacciava  di  casa 
»  la  nuora,  il  marito  la  moglie  e  non 
»  si  trovavano  d'  accordo,  se  non  per 
•>  vivere  separati.  Le  donne  scrivevano 
>  segretamente  al  Savonarola  per  de- 
»  nunziargli  le  trarne  che  i  loro  ma- 
»  riti  ordivano  contro  di  lui  ».  (Pag.  140 
e  141.) 


Giunse  al  punto  d' approvare  le 
donne  che,  non  avendo  potuto  ottenere 
dai  mariti  il  consenso  di  monacarsi, 
prendevano  la  risoluzione  di  viver 
tutta  la  loro  vita  come  se  maritate 
non  fossero.  Osava  stabilire  pubblica- 
mente i  tempi  in  cui  le  donne  dove- 
vano astenersi  dai  mariti;  per  esempio, 
l'avvento,  la  quaresima  e  ogni  voltache 
dovean  recarsi  alla  chiesa.  (8)  (P.  137.) 


(l)  Queste  parole  contengono  ann  grave  inesattezza.  Il  Savonarola  non  comandò  né 
consigliò  mai  nulla  che  non  fosse  comandato  o  consigliato  dal  Vangelo  o  dalla  Chiesa. 

(=)  Anche  questo  luogo  del  Perrens  vuole  esser  corretto.  Non  è  esatto  che  il  Savonarola 
«  osasse  fissare  pubblicamente  i  tempi  in  cui  le  mogli  dovevano  astenersi  dai  loro  mariti  »; 
e  non  è  nemmeno  esatto   ohe  tali  epoche  fossero   «per  esempio,  l'avvento,  la  quare- 

14 


—  210  — 


Ecco  dunque  tutta  la  famiglia  gettata  a  terra!  Non  più  unione  tra  marito 
e  moglie,  non  più  cura  de'  genitori  per  i  figli,  non  più  obbedienza,  nè  rispetto 
de'  figli  per  i  padri!!  Glie  farci  adunque  di  un  frate  cagione  di  tanto  male!? 


sima,  e  ogni  volta  che  dovevano  recarsi  alla  chiesa  ».  Il  Savonarola  piamente,  e  il  più  delle 
volte  in  modo  coperto,  si  contentava  di  consigliar  di  star  lungi  e  ai  mariti  e  alle  mogli  in 
qualche  tempo  o  giorno  straordinario:  per  esempio,  negli  ultimi  giorni  della  settimana 
Siinta,  o  in  quollo  in  cui  si  faceva  la  Pasqua,  o  in  qualche  giorno  di  digiuno  straordinario 
indetto  per  ottener  grazie  speciali,  o  allontanare  qualche  flagello  dalla  città.  E  il  consigliar 
questo  ogni  cattolico  che  non  sia  del  tutto  estraneo  alla  Sacra  Scrittura,  all'antica  disciplina 
ecclesiastica  e  all'  ascetica  de'  nostri  più  insigni  dottori,  conosce  che  non  è  niente  affatto  male 
o  troppo  rigoroso.  San  Girolamo  citato  da  San  Tommaso,  P.  Ili,  qu.  80  a  7.  ad.  2m,  riporta 
l'esempio  degli  Ebrei  che  solevano  tenersi  lontani  dalle  lori  mogli  allorché  dovevano  man- 
giare i  pani  della  proposizione;  e  l'applica  con  più  forte  ragione  ai  cristiani  che  devon  man- 
giare il  Pane  disceso  dal  cielo.  V.  a  questo  proposito  la  dottrina  di  S.  Alfonso  dei  Liguori 
Tuoi,  morale,  C.  VI,  a.  272.  Son  noti  poi  a  questo  proposito  alcuni  canoni  del  Decreto,  II  part., 
causa  XXXII,  quest.  IV.  Il  canone  Quotiescumque,  attribuito  a  Sant'Agostino,  dice:  «  Ogni 
volta  che  ritornano  o  il  Natale  del  Signore  o  le  altre  festività,  dobbiamo,  parecchi  giorni  in- 
nanzi, astenerci  dalle  proprie  mogli  ».  Il  canone  Fratres,  citato  da  un  discorso  per  l'Avvento 
di  Sant'Ambrogio,  dice:  «  Fratelli,  non  solo  dovete  serbarvi  puri  da  ogni  immondizia,  ma 
contenetevi  anche  studiosissimamente  dalle  proprie  mogli.  Nessuno  affatto  si  congiunga  con 
la  moglie  sua  ne' giorni  dei  digiuni».  E  cosi  altri.  Nicolò  I  (Responso,  ad  Consulta  Bulgaro- 
rum)  al  capo  LXIII  prescrive  1'  astensione  in  ogni  Domenica:  e  al  capo  L  stabilisce  la  me- 
desima cosa  per  il  tempo  della  quaresima:  «  Quadragesimae  tempore  ab  uxoribus  abstinendurn». 
E  finalmente,  per  tacer  d'altri,  il  Catechismo  del  Concilio  Tridentino,  parte  II  —  Del  Sacra- 
mento del  Matrimonio  —  N.  XXXVIII,  dice:  €  Perchè  ogni  bene  si  vuole  impetrare  da  Dio 
con  sante  preghiere,  bisogna  insegnare  ai  fedeli,  che,  al  fine  di  pregar  Dio  e  impetrarne  i 
favori,  si  astengano  qualche  volta  dall'ufficio  del  matrimonio;  e  prima  di  tutto  sappiano 
che  ciò  devono  essi  fare  almeno  tre  giorni  innanzi  che  ricevano  la  Sacra  Eucaristia;  e 
molto  spesso  poi  quando  si  celebrano  i  solenni  digiuni  della  quaresima;  si  come  i  Padri 

nostri  rettamente  e  santamente  comandarono  »  Pensando  a  queste  autorevoli  prescrizioni 

ed  a  più  altre  che  si  leggono  specialmente  ne'  rituali  delle  varie  chiese,  il  Savonarola,  guar- 
dato ne' tempi  suoi,  ci  apparirà  anche  qui  come  larghissimo.  Ecco  alcuni  de' passi  suoi  al 
riguardo:  «  Quanto  al  tatto,  stieno  in  questi  giorni  i  mariti  separati  dalle  mogli  e  ognuno 
esorti  1'  uno  l'altro  a  star  casti;  e  raccomandatevi  al  Signoro,  che  Lui  è  quello  che  dà  la  ca- 
stità. Si  che  quanto  alla  dilettazione  del  tatto  ognuno  si  astenga  e  faccia  un  poco  di  peni- 
tenza ».  (Pred.  II  sopra  Ruth  e  Micbea,  fatta  il  di  dell'  Ascensione,  1496.)  E  nella  predica  XLII 
sopra  Amos  e  Zaccaria  parlando,  come  già  sappiamo,  del  Sacramento  della  Comunione  c  di- 
sponendo i  Fiorentini  a  fare  una  buona  Pasqua,  dopo  eh'  ebbe  notato,  proprio  con  le  parole 
di  San  Tommaso,  non  esservi  cosa  che  impedisca  più  la  preparazione  del  Sacramento,  quanto 
la  libidine,  e  aver  detto  la  ragione  di  ciò,  aggiunge:  cE  però  dovrebbero  staro  i  maritati 
la  Quaresima  senza  le  donne;  o  se  pure  alcuni  sono  tanto  fragili,  che  non  possano  contenersi, 
dovrebbero  almanco  stare  questi  di  santi,  o  almeno  almeno  tre  di  prima  e  tre  di  poi  a  rive- 
renza della  Santa  Trinità.  Io  non  dico  che  sia  peccato  mortale  o  veniale....  »  Dove  trovate  qui  lo 
cose  attribuite  al  Savonarola  dal  Perrens?  Del  resto,  generalizzando,  diceva  che  «chi  vuole 
viver  bene,  vivere  da  cristiano....  deve  levare  l'affetto  della  carne  e  vivere  castamente  fug- 
gendo le  donne  e  l'altre  occasioni  della  lussuria;  e  benché  sia  in  istato  di  matrimonio,  devesi 
in  quello  stato  servare  con  ogni  onestà  secondo  ehi  gli  sarà  insegnato  dal  suo  padre  spirituale», 
(Del  Ben  Vivere.)  l'assi  più  rigidi  io  nel  Savonarola  non  ne  ricordo;  e  mi  pare  quindi  che 
nessun  uomo  onesto  possa  aver  nulla  a  ridire.  Del  resto,  proprio  nella  predica  XX  sopra 
Ezechiele,  alla  quale  il  Perrens  s'appoggia,  il  Frate  dice  diametralmente  il  contrario  di 
quanto  questo  suo  biografo  gli  fa  dire.  Imperocché  dopo  di  essersi  ivi  doluto  che  le  donne 
«  piangessero  Adonide  amoroso  di  Venere  »  e  si  facessero  sporcizie  da  meretrice,  soggiunge: 
«  Sai  che  si  logge,  che  quella  donna,  che  aveva  fatto  l'atto  del  matrimonio  la  notte,  e  an- 
dando alle  reliquie  di  San  Bastiano,  che  il  diavolo  la  vollo  soffocare;  se  non  che  Dio  l'aiutò. 
Non  dico  però  che  sia  peccato  lo  andare  in  chiesa  così,  acciocché  nessuno  avesse  scrupolo;  ma 
prima  si  soleva  andare  con  una  gran  purità  ».  (Vedi  Sau  Gregorio,  Lib.  I  do'  Dialoghi,  cap.  X, 


—  211  — 


o  che  giudizio  pronunciarne?!  Prima  di  tutlo  permettetemi  che  !e  accuse  del 
Perrens  io  le  dica  tulle  assolutainenle  infondate  e  false;  e  permettetemi  eh' io 
ripeta  qui  apertamente  una  nota  di  biasimo  al  Pastor,  che  le  ha  troppo  leg- 
germente ripetute.  Ad  ognuno  è  fatto  obbligo  di  guardarsi  non  solo  di  perse- 
guitare; e  di  punire,  ma  anche  di  giudicare  ingiustamente  chicchessia.  Non  solo 
è  reo  chi  dice  il  falso  contro  alcuno,  ma  anche  chi  alle  imputazioni  apre  troppo 
presto  le  orecchie.  De'  due  giudici,  nel  caso  presente,  mi  pare  del  resto  più 
colpevole  il  Pastor  che  non  il  Perrens;  sia  perchè  il  Perrens  attenua  assai  al- 
cune accuse,  le  quali  nel  Pastor  appaiono  più  crude  e  di  peggiore  effetto;  sia 
perchè  il  Perrens,  come  razionalista,  non  intendeva  molte  delle  cose  che  di- 
ceva; mentre  tutto  il  contrario  si  deve  dire  del  Pastor. 

Oltre  a  questo  abbiamo  un  diritto  di  lamentarci  altamente  che  il  Pastor, 
mentre  accetta  a  chiusi  occhi  la  testimonianza  del  Perrens  e  del  Vaglienti  evi- 
dentemente appassionato  contro  il  Frate,  mentre  accetta  senza  riserva  quanto 
dicevasi  in  Firenze  e  fuori  dai  Compagnacci  e  da  tutti  i  derisori  del  Frate,  non 
cura  in  alcun  modo  la  favorevole  testimonianza  della  maggiore  e  miglior  parte 
dei  Fiorentini,  specialmente  sul  nostro  argomento.  Non  parlo  dei  molti  biografi, 
perchè  essi,  secondo  il  Pastor,  sono  apologisti  prevenuti  in  favore  del  Frate;  ma 
mi  rimetto  solo  agli  innumerevoli  documenti  pubblicati  fin  qui,  alle  lettere 
scritte  appunto  nei  giorni  in  cui  i  fatti  avvenivano,  e  alle  consulte  tenute  in  Pa- 
lazzo dai  rappresentanti  di  tutte  le  famiglie  fiorentine.  Leggansi  queste  lettere, 
si  consultino  con  calma  tutti  questi  documenti, e  vedremo  a  chi  deve  darsi  ragione. 
Citiamo  per  saggio  la  lettera  della  Signoria  scritta  ad  Alessandro  VI  in  uno  dei 
momenti  più  tempestosi  della  vita  del  Frate  (4  marzo  1498),  ove  tra  i  frutti  della 
predicazione  di  lui  è  annoverato  questo  :  «  insegnare  ai  genitori  la  migliore 
educazione  ed  istruzione  dei  figli,  perchè  siano  degni  del  nome  cristiano....  »  (*); 
la  lettera  dei  frati  di  San  Marco,  ove  parlasi  del  «  vero  vivere  cristiano  »  in- 
trodotto per  opera  del  Savonarola  in  città,  e  delle  sue  esortazioni  alla  «  vera 


•ov'e  narrato  queslo  fatto.)  Nessun  dubbio  adunque  che  qui  il  Savonarola  griderebbe  al  suo 
biografo  francese:  —  Tu  non  hai  ben  letto.  Questo  che  tu  di',  io  non  lo  dissi  mai;  e  quello 
che  io  dissi  tu  non  lo  hai  inteso  punto.  -Ma  per  tutto  ciò  che  riguarda  l'ascetica  cristiana 
il  Perrens  doveva  chiamarsi  e  ritenersi  profano,  si  come  egli  fa  per  il  dogma  (Conf.  Vii- 
lari,  Arte,  Storia  e  Filosofia,  saggi  critici,  Firenze,  1881,  pag.  319),  e,  come  incompetente,  aste- 
nersi dal  giudicare  e  dal  parlarne.  Il  Perrens  che  ebbe  il  merito  di  risvegliare  il  fervore 
degli  studj  Savonaroliani  tra  i  moderni,  non  evitò  gravi  errori,  come  il  Villari  nel  luogo 
citato  fa  toccar  con  mano.  Vedi  nel  Periodico:  il  Rosario  Memorie.  Domenicane,  anno  XIII, 
fase.  16.  un  articolo  del  P.  L.  Ferretti  dei  Predicatori,  intitolato  :  Una  preziosa  ietterà  di 
SanV  Antonino  e  un  giudizio  del  Perrens.  Fra  le  altre  cose  il  P.  Ferretti  dice  (e  dice  bene)  che 
il  Perrens  ha  falsato  il  carattere  di  Fra  Girolamo  Savonarola  e  prestato  materia  per  falsarlo  a 
storici  posteriori.  Ma  più  di  lui  sono  colpevoli  i  cattolici  che  gli  credono  e  gli  vanno  die- 
tro. Anche  qui  mi  par  di  sentirlo  un'altra  volta  il  Frate  gridare  sdegnato:  «  Perdoniamo  a 
quelli  che  non  hanno  udito,  nè  potuto  udire,  perchè  molti  stanno  di  fuora,  e  gli  è  scritto 
molto  male,  e  molte  bugio,  e  non  possono  intendere  il  vero  ;  ma  non  perdoniamo  già  a  voi, 
che  avete  udito,  ni  a  quelli  che  hanno  potuto  udire  ».  (Sopra  Ezechiele,  pred.  XXX.) 

(')  Vedi  pubblicata  questa  lettera  nell'opuscolo  citato  del  P.  Procter  II  Domenicano 
Savonarola  e  la  riforma,  p.  66. 


  212   


pace  di  tutti  gli  uomini  »,  lettera  seguita  da  un'altra  dei  cittadini  e  sottoscritta 
da  358  dei  più  nobili  ed  autorevoli,  che  dovevano  in  massima  parte  esser  pa- 
dri di  famiglia  ('),  i  quali  confermano  che  le  cose  dette  dai  dugento  frati  di 
San  Marco  erano  «  la  vera  e  sincera  e  indubitata  verità  ».  (2)  Leggasi  nel  Lupi 
(Nuovi  documenti)  la  pratica  tenuta  il  giorno  innanzi  la  spedizione  della  sud- 
detta lettera  della  Signoria,  leggasi  nel  Gherardi  (pag.  157)  la  lettera  dei  Dieci 
all'  Oratore  fiorentino  di  Roma,  ove  si  dice  che  «  qui  nella  terra  intra  tutti  li 
cittadini  universalmente  non  s' intende  alcuna  discordia,  nè  disunione  »  e  si  la- 
menta solo  che  in  Roma  «  si  ascoltino  alcuni  abbaiamenti  di  persone  disperati 
e  passionati  senza  credito  alcuno  »;  leggansi  le  parole  che  V  oratore  stesso  di- 
ceva al  Papa  (ivi,  pag.  165)  della  «  singulare  affezione  e  devozione  »  la  quale  uni- 
versalmente era  portata  al  Frate  dal  popolo  fiorentino  «  per  la  sua  maravi- 
gliosa  dottrina  e  integrità  di  vita  e  per  i  grandissimi  frutti  che  ha  fatto  e  fa 
nella  città  circabonos  mores  et  adbene  recteque  vivendum  »;  leggansi  (ivi,  pag.  87) 
le  sottoscrizioni  dei  principali  cittadini  Pratesi  che  accettano  le  norme  del  ben 
vivere  indicate  da  Fra  Girolamo  e  praticate  con  tanto  frutto  in  Firenze  ;  (3) 
leggasi,  dico,  tutto  questo,  e  vedrassi  a  prima  vista  se  alle  parole  dei  nemici 
e  degli  arrabbiati,  doveva  darsi  valore. 

Ma  esaminiamo;  i  lettori  vedranno  da  sè  quale  giudizio  abbiano  da  fare 
de' critici  del  Frate:  nostro  ufficio  è  di  provar  che  le  brutte  sentenze  si  de- 
vono cassare!  Procederemo  così.  Prima  mostreremo  brevemente  l'inesistenza 
de'  reati  apposti  al  Frate  a  uno  a  uno:  poi,  come  per  addolcirci  dell'  attosca- 
mento  delle  calunnie,  diremo,  del  pari  brevemente,  della  famiglia  secondo  il 
Savonarola  con  ispeciai  riguardo  ai  figli:  brevemente,  anche  per  non  usurpare 
la  materia  ad  uno  scritto  speciale  che  abbiamo  in  cuore  di  fare  in  tempo  non 
lontano,  quando  ci  saremo  sbarazzati  degli  errori  più  grossi  che  c'ingom- 
brano il  cammino  neh'  Apologia  del  Savonarola,  e  avremo  sradicati  alcuni  per- 
niciosissimi pregiudizj  che  gravitano  sopra  di  quello  e  paiono  indebolirne  la 
fama. 

«  Contrariamente  ai  Sacri  Canoni  il  Savonarola  approvava  1'  entrata  di 
coniugate  nei  conventi  senza  previo  consenso  de' mariti  ».  (Pastor,  pag.  137.) 


(')  Nella  citata  lettera  i  Frati  ili  San  Marco  si  dicou  pronti  a  mandare  ni  Papa  «  non 
solo  molte  centinaia,  ma  migliaia  *>  di  sottoscrizioni. 

(2)  Vedi  questo  lettere  nel  Villari,  voi.  2,  p.  xlij  e  xliij. 

(3)  Leggasi  anche  la  lettera  che  Guglielmina  della  Stufa  scrive  a  Luigi  suo  marito  com- 
missario in  Arozzo  per  informarlo  della  malattia  di  un  loro  piccolo  figlinolo  o  di  essore 
stata  ad  una  predica  del  Savonarola,  e  se  si  resterà  ammirati  per  la  devozione  di  questa  gen- 
tildonna per  il  Frate,  non  si  resterà  meno  per  l'amore  grande  ch'essa  porta  a  tutta  la  sua 
casa  e  al  marito  col  quale  visse  in  grando  intimità  d'affetto  por  altri  cinquant'  anni.  11  Ghe- 
rardi, pubblicando  questa  lettera,  la  dice  alfettuosissi ma,  e  crede  sia  forse  la  prima  che  venga 
in  luco  d'una  di  quello  centinaia  anzi  migliaia  di  donne  fiorentine  che  frequentavano  le  pre- 
dicho  del  Savonarola:  o  dice  del  pari  elio  le  poche  lettere  famigliari  ohe  ci  rimangono  di 
questa  donna  sono  addirittura  una  meraviglia  d'affetto  e  di  stilo  e  potrebbero  essere  una 
buona  fonte  di  storia.  Non  è  forse  nemmeno  inutile  1'  osservare  che  il  marito  di  Guglielmina 
il  Gherardi  lo  dice  di  famiglia  medicea  e  mediceo.  (Ivi,  pag.  121-129.) 


—  213  — 


È  una  calunnia!  II  Savonarola  invece  scrive  cosi:  «  A  nessun  sacerdote 
■sia  lecito  ignorare  i  Canoni,  nè  fare  alcuna  cosa  contraria  alle  regole  dei  Padri: 
Nulli  Sacerdotum  liceat  canone*  ignorare,  nec  quidquam  facere  quod  jjossit  patrutn 
regulis  obviare  »;  e:  «  Io  mi  sono  sempre  governato  secondo  i  Sacri  Canoni  ». 
(Scritti  inediti,  in  principio  della  Bibbia  Magliabeccbiana  ;  Lettera  al  Duca  di 
Milano,  25  aprile  1496.) 

Mi  trovi  il  Pastor  una  parola  o  mi  adduca  qualche  fatto  accertato  che  ab- 
bia almeno  l'apparenza  del  dubbio  che  Fra  Girolamo  non  fosse  fedelissimo  a 
questa  norma,  e  allora  cesserò  dal  chiamare  calunniosa  la  grave  accusa. 

Del  pari:  «  Il  Savonarola  (sempre  contrariamente  a'Sacri  Canoni)  approvava 
la  separazione  della  sposa  dallo  sposo  contro  la  volontà  di  quest'ultimo  ». 

E  una  calunnia:  Il  Savonarola  scrive  nella  conclusione  VII  del  libro  III 
della  Semplicità  della  vita:  «  Le  donne  sicno  soggette  ai  loro  mariti,  acciocché 
quelli  che  non  credono  alla  parola,  diventino,  per  la  conversazione  di  quelle, 
senza  parola,  fedeli  ».  E  nella  IX  sulla  prima  di  San  Giovanni:  «  Cristo  è  capo 
di  ogni  uomo,  e  l'uomo  è  capo  della  donna...  l'uomo  deve  insegnare...  e  le 
donne  debbono  a  casa  domandare  ai  loro  mariti.  Onde  dice  l'Apostolo:  Le 
donne,  se  vogliono  imparare  alcuna  cosa,  la  domandino  a  casa  ai  loro  mariti  ». 
E  a  Giovanna  Caraffa  contessa  della  Mirandola  scriveva  ancora  il  Frale:  «  Vo- 
lete voi  piacere  a  Dio?  Vivete  nell'allegrezza;  e  invece  di  pensare  a' vostri 
scrupoli,  non  meditate  se  non  la  sua  liberalità.  E  se  con  ciò  la  vostra  coscienza 
è  tuttavia  inquieta,  consultate  uomini  prudenti,  e  seguite  i  loro  consigli.  Non 
avete  voi  d'altra  parte  vostro  marito,  il  conte  Giovanni  Francesco,  per  diman- 
dargli consiglio  ?  Voi  potete,  anzi  dovete  rapportarvi  a  lui.  Io  so  che  i  suoi 
avvisi  saranno  eccellenti.  Accettandoli  umilmente,  voi  vi  renderete  grata  a  Dio, 
e  attirerete  sopra  di  voi  la  grazia  celeste,  e  tranquillizzerete  l'anima  vostra  ». 

11  Savonarola  diceva  alla  donna  buona:  «  Va  e  ordina  la  casa  tua  in 
modo  che  stia  bene...  la  donna  sapiente  edifica  la  casa  sua  e  la  stolta  con  le 
sue  mani  la  distrurrà  ».  (XXXVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria  ;  IX  sulla  I  di 
San  Giovanni.)  E  nella  predica  XIX  sopra  Ezechiele  esponendo  il  primo  verso 
del  capitolo  VII  di  questo  profeta,  applicando  alle  varie  condizioni  e  stati  di 
persone  le  parole:  a'  cinque  del  mese,  rivolto  alle  donne  dice:  «  E  tu,  donna, 
i  cinque  dì,  sono  i  tuoi,  il  primo  è  1'  onore  di  Dio,  secondo  1'  anima  tua,  terzo 
il  tuo  marito,  se  tu  l'hai,  quarto  i  figliuoli,  quinto  i  prossimi  parenti  e  amici, 
i  tuoi  servi  e  la  casa  tua  ». 

Mi  trovi  il  Pastor  che  queste  norme,  questi  precetti  e  questi  consigli  Fra 
Girolamo  non  li  tenesse  per  buoni  e  insegnasse  almeno  una  volta  ad  alcuno 
a  trapassarli,  e  allora  cesserò  di  chiamar  calunnia  la  grave  accusa.  Mi  trovi 
il  Pastor  una  parola  o  mi  adduca  qualche  fatto  accertato  che  lascino  almeno 
V  apparenza  del  dubbio  che  Fra  Girolamo  non  fosse  fedelissimo  a  queste  idee, 
e  allora  mi  ridirò.  (i) 


(')  Il  Perrens  per  sostenere  la  sua  pur  gravissima  asserzione,  1'  appoggia  alla  pre- 
dica XXIX  sopra  Ezechiele  (Ct.  Ilistoire  de  Florence,  II,  pag.  231);  ora  questa  predica  è  la 


—  214  — 


«  Le  donne  scrivevano  di  nascosto  al  Frate,  per  palesargli  le  trame  che 
i  loro  mariti  ordinavano  contro  di  lui.  » 

Ridicolaggine!  Qual  donna  scrisse?  e  se  mai,  qual  colpa  ne  aveva  il  Frate? 
anzi  qual  merito?!  Imperocché  qui  non  trovo  nemmeno  che  l'accusa  costitui- 
sca delitto  di  alcuna  sorta:  anzi  mi  parrebbe  male  che  si  dovesse  dire  il  con- 
trario. Supponete:  Io  sono  un  ribaldo  scellerato,  e  con  altri  scellerati  e  ribaldi 
al  par  di  me  ordisco  una  trama  contro  di  Lodovico  Pastor;  tramo  di  togliergli 
la  vita:  mia  moglie  che  si  è  accorta  della  trama,  ed  ha  coscienza  dignitosa  e 
netta  e  non  vuole  che  nè  io  nè  altri  ci  rendiamo  rei  di  un  delitto  così  grave  e 
lo  consumiamo,  nè  che  Lodovico  Pastor  ne  sia  vittima,  nascostamente  scrive  al 
chiaro  professore  e  gli  manifesta  la  trama  perchè  se  ne  guardi.  Qual  delitto 
nel  caso  avrebbe  commesso  Lodovico  Pastor  ?  E  nel  caso  identico,  quale 
delitto  avrebbe  commesso  adunque  il  Savonarola?...  Datemi  una  buona  ragione, 
e  cesserò  dal  chiamare  ridicolaggine  l'accusa  contro  il  Frate. 

«  I  genitori  piantavano  i  loro  figliuoli  per  entrare  in  un  convento  ».  A.v- 
veniva  ciò  davvero?  i  genitori  piantarono  davvero  all'epoca  del  Savonarola  i 
loro  figliuoli  per  entrare  in  convento?  Datemi  qualche  prova,  qualche  esempio. 
Avveniva,  come  voi  insinuate,  per  consiglio  e  opera  di  Fra  Girolamo  ? 

E  dunque  un'altra  calunnia!  Fra  Girolamo  raccomandava  ai  genitori  i  loro 
figliuoli,  e  faceva  loro  gran  carico  e  gran  peccato  se  li  lasciassero  perdere  il  tem- 
po. Il  matrimonio  per  Fra  Girolamo  era,  come  è  per  tutti  i  canonisti,  sacramento 
della  nuova  legge  per  generare  ed  educare  piamente  e  cristianamente  la  prole, 
e  non  per  farsi  frati  e  piantare  la  prole  generata,  allorché  questa  ha  bisogno 
dell'opera  de' genitori:  «  Alla  vita  corporale  bisogna  prima  la  generazione,  cioè 
essere  generato  l'uomo;  e  perchè  il  principio  della  generazione  è  cosa  imper- 
fetta, gli  bisogna  l'augmento  e  poi  il  nutrimento  a  poco  a  poco,  acciocché  si 
faccia  perfetta  la  cosa  generata;  e  poi  bisogna  che  la  conservi  e  vada  mante- 


piè  recisa  condanna  che  si  possa  pronunciare  intorno  all'  accusa  stessa  come  anche  intorno- 
a  quella  che  il  Frate  mettesse  discordia  nella  famiglia  e  a  più  altre  già  da  noi  esaminate 
altrove  e  segnatamente  a  quella  di  eccessivo  rigore.  Ivi  il  Frate  si  la  a  parlare  della  vita- 
cristiana  e  della  via  che  conduce  alla  perfezione;  e  dopo  aver  detto  che  la  vita  cristiana  è 
la  cognizione  di  Dio,  e  che  bisogna  prima  di  tutto  darsi  a  questa  cognizione  e  intender 
sempre  questa  cosa  con  fede,  e  che  la  carità  gli  vada  dietro,  e  più  altre  ed  altre  cose  belle, 
venendo  al  punto  ch'ora  più  ci  riguarda,  dice:  «  Bisogna  domare  le  sue  passioni,  stare  pa- 
cifico e  basso:  non  andar  a  comunicarsi  e  poi  gridare  tuttodì.  Leggendo  ieri  dell'Abbate 
Macario,  trovai  che  gli  fu  detto  una  voltai  che  due  donne  erano  di  cosi  perfetta  vita;  lui 
volle  parlar  loro,  e  disse:  —  Glie  bene  fate  voi?  —  Risposero:  —  Nulla:  pensa  che  stanotte 
siamo  state  con  i  nostri  mariti.  —  E  lui  pure:  —  Che  fate  voi?  E' mi  è  detto  di  voi  tanta 
perfezione....  —  Risposero:  —  Noi  siamo  due  cognate,  che  volevamo  andare  alla  religione  ;  i 
nostri  mariti  non  hanno  mai  voluto,  intanto  che  da  noi  due  ci  siamo  accordate  di  fare 
come  so  fossimo  alla  religione,  cioè  di  stare  in  una  santa  pace  insieme  e  obbedire  Vunal'aUraT 
e  cosi  facciamo.  —  Oh!  oh!  disse  Macario:  andatevi  con  Dio,  o  seguite,  che  siate  benedette; 
perchè  lo  spirito  spira  dove  egli  vuole.  —  Io  dico  che  bisogna  domare  queste  passioni  ». 
Qui  appar  evidente  anche  ai  ciechi,  die  il  Perrens  lesse  con  gli  occhiali  colorati,  come  di- 
rebbe il  nostro  Frate,  e  non  ha  punto  inteso!  Ma  quanto  non  dee  far  pena  ai  cattolici,  e 
specialmente  ai  Piagnoni,  che  il  Pastor  gli  abbia  prestato  cieca  fede,  e  non  si  sia  curato  tam- 
poco di  dare  uno  sguardo  a  quest'aurea  predica!!!  E  chi  ci  potrà  far  cessaro  dal  rido- 
lerci ch'egli  scrivesse  impreparato  e  senza  conoscor  lo  opero  dell'illustre  condannato?!! 


« 


—  215  - 


nendola;  e  questi  sono  il  padre  e  la  madre,  che  fanno  e  allevano  e  nutriscono 
i  figliuoli.... 

«  Del  Sacramento  del  matrimonio  diciamo  che  è  stato  convenientemente 
ordinato  non  solamente  per  conservazione  della  specie  umana  o  per  utilità 
del  bene  pubblico,  ma  eziandio  per  moltiplicazione  e  conservazione  de'  fedeli 
insino  alla  fine  del  mondo;  la  quale  risulta  in  onore  di  Dio.  La  congiun- 
zione dunque  del  maschio  e  della  femmina,  quanto  la  concerne  il  ben  della 
Chiesa,  è  vero  matrimonio  e  sacramento.  Onde  i  sacerdoti  lo  benedicono.  E 
come  gli  altri  sacramenti  per  i  segni  esteriori  significano  qualche  cosa  spiri- 
tuale e  danno  la  grazia,  così  questo  sacramento  significa  la  congiunzione  di 
Cristo  e  della  Chiesa,  e  conferisce  grazia  a  chi  lo  riceve  devotamente;  e  con- 
siste più  nella  congiunzione  degli  animi,  che  nella  congiunzione  corporab.  Ed 
essendo  solamente  un  Cristo  ed  una  Chiesa,  volendo  noi  che  il  figurato  risponda 
alla  figura,  è  necessario  che  il  matrimonio,  che  è  sacramento  della  Chiesa,  sia 
congiunzione  inseparabile  di  uno  solo  e  di  una  sola  per  generare  figliuoli  al  cullo 
divino  e  perpetuare  la  santa  Chiesa  ».(')  (Lettera  al  Padre  25  aprile  1475  ;  sopra 
Giobbe  predica  XLI;  Trionfo,  libro  III,  cap.  XVI,  cfr.  la  predica  XXXVII  sopra 
Ezechiele.) 

Leggendo  nelle  Opere  del  Savonarola  io  ho  visto  esser  verissimo  quello 
che  di  lui  scrive  il  Villari;  cioè  ch'egli  con  la  massima  prudenza  consigliava 
tutti  coloro  che  si  convertivano  vinti  dalla  sua  parola,  come  aveva  fatto  Bet- 
tuccio;  ne  mai  sollecitò  troppo  alcuno  a  vestirsi  frate.  Il  suo  unico  scopo  era 
migliorare  i  costumi  e  diffondere  la  morale,  rigenerare  quella  religione  di  Cristo 
che  sembrava  morta  negli  animi.  (Lib.  II,  cap.  VII.)  Una  prova  della  verità  che 
qui  si  afferma  l'avete  nella  predica  XI  sopra  Amos,  dove  dice:  «  Or  su  fanciulli 
miei,  al  ben  vivere:  io  vi  voglio  dare  un  documento:  Chi  è  prete  viva  bene, 
chè  guai  a  questa  volta  alla  chierica  rasa  che  non  vivrà  bene.  E'  si  soleva 
dire:  Beata  è  quella  casa  che  ha  chierica  rasa;  e  io  vi  dico  che  verrà  tempo, 
che  si  dirà:  Guai  a  quella  casa  che  ha  chierica  rasa,  se  non  vivrà  bene.  Fan- 
ciullo mio,  io  ti  voglio  dare  un  documento:  se  tu  se' chierico,  se  tuo  padre 
ti  volesse  dar  beneficj,  massime  con  cura,  che  tu  non  li  pigli  insino  a 
tanto,  che  tu  non  hai  venticinque  anni;  e  non  fare  a  modo  di  tuo  padre  in 
questo.  La  religione  de'  preti  è  buona,  sì,  se  è  bene  osservata.  Così  anche  voi, 
fanciullini,  non  vi  fate  frati,  aspettate  almanco  che  abbiate  quattordici  anni, 
e  poi  delibererete  quello  che  abbiate  a  fare;  perchè,  per  avere  prevaricato  i 
preti  e  frati,  il  popolo  è  fatto  ancora  cattivo  ;  e  però  questo  flagello  viene,  e 
non  per  altro;  cioè  questa  è  la  principale  causa  del  flagello  ».  E  nella  pre- 
dica XIII  sopra  Ruth  e  Michea  il  Savonarola  dice  ancora  esplicitamente,  che 
egli  non  stimola  nessuno  a  farsi  frate,  che  non  andassero  a  dar  noia  a  lui, 
ch'egli  non  dà  noia  a  nessuno.  E  questo  dice  parlando  de'  figliuoli  :  quanto 
più  adunque  dobbiamo  intendere  de' genitori,  che  per  entrare  in  convento  aves- 


si Cfr.  San  Tommaso  Soriima  Filosofica  contro  i  Gentili,  Lib.  IV,  Cap.  LXXVIII,  e  più 
altri  luoghi. 


—  216  — 


sero  a  piantare  i  loro  figliuoli,  cioè  avessero  a  vestir  l'abito  di  frate  com- 
mettendo un  grave  peccato  con  venir  meno  agli  obblighi  loro  imposti  dalla 
legge  naturale,  dalla  civile  e  dalla  ecclesiastica?!  In  verità  io  trovo  ben  altro 
nelle  prediche  del  Savonarola  da  quello  che  mi  si  vuol  far  credere  rispetto 
al  Frate  ed  ai  conventi!!  Sentite,  e  non  iscandalizzatevi,  o  buoni,  ma  intendete 
le  parole  del  severo  Riformatore  come  vogliono  essere  intese:  «Fanno  oggi  i 
nostri  sacerdoti  come  i  farisei,  i  quali  Cristo  riprende  nel  Vangelo,  che  dicono  ai 
padri  e  alle  madri:  —  Lasciate  qualche  cosa  alla  nostra  chiesa,  o  al  nostro  con- 
vento, per  fare  una  cappella.  —  Io  vi  dico  che  voi  fate  male,  perchè  la  roba 
principalmente  è  fatta  per  i  secolari;  benché  i  sacerdoti  n'abbiano  avere  il 
loro  bisogno.  Saria  troppo  lungo  discorso  a  raccontare  tutti  i  modi  ne' quali 
costoro  rubano  le  povere  madri  vedovelle!  Arrecano  loro  certe  coronelle  e  le 
ingannano.  Tu  ancora,  donna,  non  fai  bene  a  dar  via  la  roba  del  tuo  marito,  che 
non  sai  se  vuole.  Guardatevi  adunque,  dico,  dalle  mani  di  frati  e  monache  e 
preti!  Io  parlo  sempre  di  cattivi,  non  dico  di  chi  è  buono,  perchè  i  buoni  non 
fanno  questo,  ma  enne  certi  che  vanno  troppo  rapinando...  » 

Altro  che  rompere  le  famiglie  e  porvi  la  discordia!  Mi  sappia  il  Pastor  tro- 
vare un  solo  caso  in  cui  Fra  Girolamo  abbia  consigliato  ad  entrare  ne'  conventi 
o  in  monasteri  altrui,  o  abbia  accettato  tra  i  suoi  un  padre  di  famiglia  o  una 
madre,  contrariamente  ai  canoni  e  allo  spirito  della  Chiesa,  e  io  cesserò  di 
chiamar  calunniosa  la  grave  accusa  e  mi  darò  per  vinto.  Ma  finché  il  Pastor 
non  lo  farà,  avrò  diritto  di  ripetere  con  Isidoro  Del  Lungo:  «  Il  Savonarola 
che  sulla  caduta  della  supremazia  medicea  tentò  costruire  saldamente  1'  edifi- 
cio del  governo  popolare,  sentì  quanto  importasse  al  suo  intedimento  avere 
a  ciò  profonde  basi  nella  famiglia;  pensò  come  la  prima  delle  sue  riforme  la  ri- 
forma del  costume,  e  si  rivolse  alle  donne;  e  non  tanto,  intendo,  alle  mistiche, 
quanto  alle  madri  proprio  di  famiglia;  il  Savonarola  si  rivolgeva  alle  donne  e 
a'  fanciulli  che  è  quanto  dire  alle  forze  dell'  affetto  materno....  Il  magnanimo 
frate  fu  arso  ....  ma  molta  parte  di  quella  generazione  informata  da  lui  rimase 
fedele  al  popolo  e  libertà  ....  »  (') 

«  In  tutte  le  case  (continua  il  Pastor)  era  sorta  la  disunione.  Marito  e  mo- 
glie, padre  e  figliuoli,  tutti  insomma  venivano  fra  loro  a  contesa.  Tutto  quanto 
il  giorno  udivansi  fiere  minacce.  La  suocera  scacciava  di  casa  la  nuora,  il  ma- 
rito la  moglie,  uniti  solo  in  questo  di  vivere  separati.  »  (2) 

Questo,  continuando,  afferma  il  Pastor;  ma  dove  ha  egli  trovato  prove  suf- 
ficienti per  asserire  accusa  si  grave?!  e  che  fece  il  Savonarola  per  mutare  in 


(')  La  dama  fiorentina,  conferenza  nel  volume  La  vita  italiana,  eec.,p.  I,  Stoiia,  pag.  200. 

(J)  Non  mi  soffermo  ad  esaminare  la  forma  ili  quest'  accusa,  ma  vi  avrei  pure  qualche 
cosa  a  ridirei  Per  esempio,  se  la  suocera,  la  nuora,  il  marito,  la  moglie  «  erano  uniti  in 
questo  di  viveiv  separati  »,  a  che  minacciarsi  tutto  il  giorno  fieramente  e  scacciarsi  di  casa? 
Qui  l'esagerazione  e  l'eccesso,  per  non  dir  la  passione,  sono  manifesti  o  avrebbe  dovuto 
scorgerli  il  Pastor  cho  accusa  tanto  sovente  il  Frate  di  eccesso  e  di  passiono,  di  veder  solo 
il  malo  e  non  il  bene.  Anche  qui,  pur  troppo,  si  è  tentati  di  ripetere:  L'  affetto  l'intelletto 
lega:  e  il  pretesto  di  ripeterlo  v'  è  senza  dubbio. 


—  217  — 


una  specie  di  vestibolo  infernale  la  bella  città  del  Fiore?  !  Il  Perrens,  apag.  134, 
ripete  ciò  che  dicono  i  biografi  del  Frate  che,  confluendo  da  ogni  banda  gente 
per  udir  la  predica,  e  insino  dalle  montagne  asprissime,  non  mancavano  ric- 
chi e  pieni  di  carità  che  avevano  grazia  di  dar  mangiare  e  bere  e  alloggio  in 
casa  loro  a  venti  e  trenta  e  quaranta  forestieri  per  volta  di  quelli  che  venivano 
alla  predica,  andando  spontaneamente  ad  invitarli.  Anzi  dice  proprio  che  una 
specie  di  fraternità  s'era  stabilita  tra  i  seguaci  del  Padre;  e  par  che  ci  con- 
senta di  credere  al  Burlamacchi  che  in  Firenze  pareva  proprio  una  primitiva 
Chiesa....  E  poi  notissimo  che  il  Savonarola  ed  i  Savonaroliani  godevano  di 
starsi  uniti  insieme  e  vivere  d'amore  e  d'accordo;  imperocché  ripetevano  in- 
cessantemente :  Quanto  è  buono  e  giocondo  abitare  i  fratelli  tutti  insieme,  (l)  op- 
pure in  un  cuore,  come  il  Savonarola  stesso  traduce  nella  XLVI  sopra  Amos  e 
Zaccaria.  Come  si  spiega  adunque  tanta  unione  con  tanta  discordia?!  Ho  ca- 
pito. La  spiegazione  non  è  difficile,  e  se  mai  ce  la  dà  il  Vaglienti.  «  Andando 
pure  colle  sue  predicazioni  seguitando,  dicendo  che  le  parole  che  proponeva 
le  aveva  da  Dio,  e  '1  popolo  dandoli  fede  chi  sì  e  chi  nò,  mise  nella  città  tanta 
eresia  e  tanta  setta,  eh'  era  venuto  in  nella  terra  parte  grande  nei  cittadini, 
e  nelle  case  della  terra  tra  padre  e  figliuolo  e  fra  moglie  e  marito;  e  a  mezza- 
notte si  levavano  le  donne,  e  li  uomini  per  andare  a  Santa  Maria  del  Fiore  a 
pigliare  e' luoghi;  e  alle  volte  presi  i  luoghi,  vi  era  di  grandi  questioni  tra 
donne  e  donne,  dicendo  loro  che  quello  che  diceva  era  il  vero  lume,  e  chi  non 
credeva  alle  parole  che  predicava  era  eretico  e  fuora  del  vero  lume...  » 

Questa  è  la  descrizione  nella  Riv.  delle  Bibliot.  voi.  IV,  pag.  53-61  cui  il  Pa- 
stor  accenna  in  conforto  delle  asserzioni  del  Perrens  e  sue.  Ora  che  cosa  si 
raccoglie  quindi  che  faccia  torto  al  Frate?  Io  non  vi  veggo  nulla.  Essa  mi  ma- 
nifesta uno  de'  molti  sforzi  che  i  Medici  fecero  sempre  inutilmente  per  accusare 
il  povero  Frate  e  nulla  più.  Che  non  tutti  credessero  alle  parole  di  Fra  Giro- 
lamo, e  che  non  tutti  si  riducessero  al  semplice  vivere  cristiano,  che  non 
tutti  s'  acquietassero  al  nuovo  stato  di  cose,  chi  mai  lo  potrebbe  negare  ?  chi 
mai  l'ha  negato?  Non  lo  afferma  il  Savonarola  continuamente  anch' egli? 
Dunque,  ecco  tutto:  gli  avversarj  del  Savonarola,  cioè  i  Compagnacci,  gli  Ar- 
rabbiati, i  tiepidi  (lascio  per  ora  i  Palleschi  de' quali  dobbiamo  occuparci  in 
altro  capitolo  trattando  della  politica  del  Savonarola)  discordavano  da'  seguaci 
del  Frate;  e  con  tutti  gli  sforzi,  anche  inauditi,  il  Savonarola  non  riusci  a 
trarre  costoro  dalla  sua:  essi  non  vollero  lasciare  le  pompe,  i  giuochi,  le 
usure  e  gl'  innominabili  vizj  a  cui  erano  rotti,  e  però  non  potevano  sopportare 
il  predicatore  che  continuamente  abbaiava  loro  contro,  nè  i  Piagnoni  ch'erano 
ad  essi  un  continuo  rimprovero!  E  però  fra  questi  e  quelli  v'era  discordia. 
Questo  ve  lo  concediamo;  ma  che  doveva,  che  poteva  fare  il  Predicatore  fio- 
rentino, che  non  ha  fatto  per  toglier  questa  discordia  e  ridurre  tutti  ad  unirsi 
nella  carità  di  Cristo?  Chi  ha  saputo  scrivere  cose  più  belle  dell'amicizia  dei 


(')  Salmo  132. 


-  218  — 


cristiani  di  quello  che  ha  fatto  Girolamo  Savonarola  ?  La  predica  XX  sopra  il 
Salmo  Quam  Bonus  è  tale  che  difficilmente  la  potrai  leggere  intiera  senza  ar- 
restarti più  volte  per  la  grande  ammirazione  e  commozione  dell'  anima  alle 
ineffabili  dolcezze  che  si  provano:  si  vegga  e  «  s'intenderà  quanto  dolce  pa- 
radiso è  »  secondo  il  Savonarola,  «  la  mente  del  giusto  e  la  congregazione 
de' giusti  ».  Or  chi  sapeva  scrivere  cose  di  quella  fatta  poteva  non  adoperarsi 
con  tutte  le  forze  sue  perchè  regnasse  l'amicizia  e  la  pace  in  una  città  e  in 
un  popolo  che  egli  amava  più  di  se  stesso  ?!  Ma  gli  uomini  (per  un  cristiano 
è  troppo  noto)  non  si  amano  comechessia:  si  ama  prima  Dio  con  tutto  il  cuore, 
con  tutta  1'  anima,  con  tutta  la  mente,  con  tutte  le  forze  nostre,  e  poi  il  pros- 
simo come  noi  stessi:  cioè  a  quel  fine  al  quale  noi  amiamo  noi  medesimi:  che 
non  vuol  dir  altro  se  non  che  noi  desideriamo  al  prossimo  nostro  quella  beatitu- 
dine e  perfezione  di  vita  e  ogni  altro  bene  che  noi  desideriamo  a  noi  medesimi, 
acciocché  in  lui  come  in  opera  perfetta  sia  onorato  e  lodato  Dio.  (Cf.  Trionfo, 
lib.  Ili,  cap.  XI.) 

Ma  che  si  potrà  fare  quando  dell'onore  e  della  lode  di  Dio  altri  non  ne 
vuol  sapere?  che  si  potrà  fare  quando  i  cattivi  de'  tempi  passati  vogliono  ancor 
essere  i  cattivi  de' tempi  presenti?!  Che  si  può  fare,  se  coloro  i  quali  dovreb- 
bero aiutare  chi  si  affatica  per  metter  la  pace  tra'  fratelli,  renderli  tutti  buoni 
e  perfetti  cristiani,  o  per  superbia  o  per  invidia  o  per  avarizia  fanno  il  con- 
trario?! Si  dovrebbe  combattere  con  quelle  regole  con  cui  il  Savonarola  com- 
batteva (l)  e  nient' altro,  se  si  vuole  esser  cattolici.  E  chi  vuol  esser  cattolico,  e 
imitar  Cristo,  dovrà  nel  caso  ripetere  col  Savonarola:  «  Che  cosa  è  questa  che 
è  venuta  oggi  tra  i  cristiani,  che  quando  uno  vuol  far  bene,  o  sia  prelato,  o 
prete,  o  frate,  o  fanciullo,  ognuno  gli  è  addosso?!  E'  sono  de'  buoni  in  ogni  reli- 
gione che  hanno  avuto  qualche  lume,  benché  siano  la  minor  parte;  ma  i  prelati 
loro  gli  danno  in  sulla  bocca  e  non  gli  lasciano  parlare  »  ?! 

In  conclusione  che  cosa  predicava  il  Savonarola?  La  dottrina  di  Cristo,  la 
verità  della  fede,  la  semplicità  della  vita  cristiana,  il  timore  di  Dio,  la  riforma 
de'  buoni  costumi,  1'  amore  al  bene  comune,  la  pace  universale. 

A  chi  assentiva  a  queste  cose,  il  Frate  non  chiedeva  altro,  e  non  gì' im- 
portava nemmeno  se  non  credeva  alle  sue  profezie.  Ma  con  quelli  che  queste 
cose  non  volevano  eseguire,  che  unione  potevano  fare  i  buoni  ?  e  che  poteva 
far  loro  il  Frate  se  non  ciò  che  Cristo  agli  scribi  e  ai  farisei?  Chi  oserebbe 

condannar  Dio  perchè  avversario  d'ogni  male?         Sentiamo  alcuni  passi  del 

Frate,  quelli  ai  quali  forse  il  Perrens  s'  è  appoggiato  scrivendo  le  parole  co- 
piate dallo  storico  d'  Innsbruck. 

«  Tu  non  sai  ancora  veder  dove  io  arrivo;  io  mi  son  lamentato  al  Signore 
ed  è  accaduto  a  me  come  intervenne  ad  Elia,  il  quale  ebbe  paura:  e  pure  egli 
era  così  gran  profeta!  ancor' io  ho  avuto  paura.  Elia  se  n'andò  là  sotto 
un  ginepro,  cominciò  a  lamentarsi  al  Signore  e  dire:  Tolte  anitmm  meam:  ego 


(')  Vedi  sopra  a  vmg.  172  e  set». 


—  219  - 


non  sum  mélior  patribus  meis:^)  deh  !  Signore,  togli  l'anima  mia;  già  non  sono 
io  migliore  de'  miei  padri,  i  quali  son  tutti  morti,  ammazza  ancora  me.  L'  an- 
gelo suo  venne,  toccollo  e  dissegli:  Che  cosa  è  questa?  di  che  ti  lamenti?  Lui 
rispose:  Zelo  zelavi  legem  tuam.(2)  Signore,  io  ho  zelato  la  tua  legge  e  in- 
segato il  popolo  ad  osservarla;  ma  loro  l'hanno  guasta  e  ancora  cercano  di 
ammazzarmi.  —  Così  mi  sono  lamentato  io  al  Signore,  e  dissi:  che  voglio  io  fare 
in  tanta  vigna?  io  non  posso  per  me  solo  resistere  a  tanta  contradizione!  Ro- 
gate Dominion  messis:  ut  mittat  operarios  in  vineam  suam;  (3)  prega  il  Signore  che 
mandi  degli  operai  nella  sua  vigna,  io  non  vorrei  che  fossimo  sì  pochi  a  tanta 
campagna;  e'  ci  bisogna  adiutorio  se  vogliamo  andare  a  pescare;  e  però  io 
sono  venuto  a  mettere  guerra,  a  mettere  la  spada  tra  gli  uomini,  e  divider 
1'  uno  dall'altro;  io  sono  venuto  a  mettere  la  verità  nel  mondo;  chi  è  del 
mondo  seguita  la  falsità.  E  questi  sono  due  contrarj  i  quali  sono  massime  di- 
stanti, però  bisogna  che  sieno  divisi  e  non  possano  esser  insieme  veri,  ma  i 
falsi  stanno  bene  insieme.  Chi  seguita  la  verità  si  discosta  dalla  falsità  e  non 
possono  star  questi  due  contrarj  insieme  e  però  io  son  venuto  a  metter  guerra. 
Ecce  duo  erunt  in  plano  et  unus  assumetur  et  alter  relinquetur :(4)  saranno  due  alla 
campagna  della  mercanzia  e  1'  uno  sarà  assunto  e  1'  altro  lasciato.  Et  duo 
erunt  in  ledo:  unus  relinqaetur  et  alter  assumetur  :  (3)  saranno  due  nel  letto  delle 
voluttà,  1'  uno  sarà  tolto  su  e  1'  altro  no;  e  però  son  venuto  a  metter  la  spada 
tra  1'  uno  e  l'altro.  Son  venuto  ad  illuminarti  della  verità  e  ti  dico:  Xoli  cre- 
dere ei  qui  dormit  tecum;  i6)  non  vi  confidate  di  nessuno  :  venite  al  consiglio  mio  : 
venite  a  chi  vi  dice  la  verità;  non  vi  lasciate  ingannare  dagli  amici  vostri.  Dice 
Michea:  Inimici  hominis  domestici  eius.  (7j  Ognuno  si  guardi  dagli  amici  suoi; 
non  vi  lasciate  consigliare  a  ognuno  perchè  i  nemici  dell'  uomo  sono  i  suoi  do- 
mestici. Et  frater  supplantabit  fratrem.  (*)  L'un  fratello  ha  soppiantato  l'altro  fra- 
tello e  però  vi  dico:  attenetevi  al  mio  consiglio,  l'un  fratello  si  divida  dall'altro, 
lo  son  venuto  a  mettere  questa  guerra;  io  solevo  dire:  Veli!  mater  mea:  quia 
me  genuisti  virum  rixae  et  virum  discordiae,  (9)  cioè  solevo  dire:  Ohimè,  madre 
mia,  perchè  mi  hai  tu  generato  uomo  di  rissa  e  discordia?!  Io  non  ti  dico  più 
così;  madre  mia,  perdonami:  io  son  contento  di  essere  uomo  di  questa  tale 
discordia  e  voglio  mettere  questa  guerra  in  ogni  luogo,  e  son  venuto  per  se- 
parare la  moglie  dal  marito,  il  fratello  dalla  sorella,  il  figliuolo  dal  padre  e 
dalla  madre  e  finalmente  per  mettere  discordia  in  ogni  luogo».  (10J  (Sopra  Amos 
e  Zaccaria,  Pred.  XLVII.) 


(')  L.  Ili  dei  He,  cap.  XIX,  v.  4. 

(2)  Ivi,  v.  10. 

(3)  Vangelo  di  S.  Matteo,  cap.  IX,  v.  38. 

(4)  Ivi,  cap.  XXIV,  v.  40. 

(*)  Vangelo  di  San  Luca,  cap.  XVII.  v.  34. 
(")  Michea,  cap.  VII,  v.  5. 
(')  Ivi  v.  6. 

(")  Cf.  Isaia  c.  XIX  v.  2 
(*)  Geremia,  c.  XV,  v.  10. 

(xs>>  Vangelo  di  San  Matteo,  c.  X,  v.  31,  35.  36. 


—  220  — 


«  lo  ti  dissi  a  questi  giorni  eli' egli  era  acceso  questo  fuoco  in  tanti  luo- 
ghi e  in  ogni  religione  ;  eh'  esso  scoppierà  tu  vedrai  che  egli  farà  un  grande 
scoppio.  Ego  non  veni  mittere  pacem  in  terram,  sei  gladium;  {l)  queste  sono  pa- 
role del  Salvatore,  il  quale  disse:  —  Credete  voi  che  io  sia  venuto  a  mettere  in 
terra  pace?  io  sono  venuto  a  mettere  il  coltello  e  il  fuoco;  e  dividere  ognuno. 
Così  vi  dico  io.  In  non  sono  venuto  a  mettere  in  terra  pace,  io  sono  venuto 
a  dividere  i  regni,  io  sono  venuto  a  dividere  le  case,  io  sono  venuto  a  divi- 
dere religioni,  non  sono  venuto  per  mettere  pace,  ma  che  sia  divisa  la  mo- 
glie dal  marito,  il  fratello  dal  fratello  e  che  ognuno  combatta  per  la  verità 
di  Cristo,  e  dividere  i  buoni  dai  cattivi,  non  son  venuto  a  metter  pace.  Oh, 
tu  hai  pur  fatto  far  la  pace?  Si,  la  pace  e  1'  unione  di  Dio;  questo  si,  ma  che 
i  buoni  sieno  divisi  dai  cattivi;  questa  non  è  pace  del  mondo;  l'unione  di 
Dio  mi  piace,  e  che  i  buoni  piglino  la  spada  contro  de'  cattivi  ».  (Ivi,  XXVII.) 

.  Adunque  ecco  tutto:  il  Savonarola  venne  a  separare  i  buoni  da' cattivi. 
Egli  con  San  Gregorio  Nazianzeno  (oraz.  XII)  voleva  le  ottime  dissensioni  e  ri- 
provava le  perniciose  concordie,  e  ripeteva  collo  stesso:  «E  meglio  contendere 
per  la  pietà  che  esser  concordi  nel  vizio  ».  Qui  sta  in  vero  gran  parte  della  sua 
missione.  Quand'egli  saliva  il  pergamo  in  Firenze  molti  si  acquietavano  agli 
estremi  opposti,  ai  canti  carnascialeschi  e  insieme  ai  misteri  e  alle  laudi  spiri- 
tuali ;  Fra  Girolamo  chiamò  e  insegnò  a  chiamare  le  cose  col  nome  loro  ;  a  lodar 
le  buone  e  a  proscriver  le  cattive,  e  destò  grande  fervore  ed  entusiasmo  e  com- 
mosse non  pochi  di  mezzo  alla  generale  indifferenza.  Or  che  colpa  è  questa?  Mi 
par  che  sieno  quanto  vere  altrettanto  giudiziose  e  piene  di  zelo  le  seguenti  pa- 
role del  Savonarola  a'  suoi  fiorentini  :  —  «  Io  vi  esorto  ad  unirvi  e  fare  pace 
insieme:  ma  tu  di':  — Frate;  tu  sei  cagione  della  guerra  nostra!  —  E  io  tiri- 
spondo;  che  la  tua  mala  vita  è  cagione  della  guerra.  Cristo  non  venne  a 
metter  pace  tra  i  buoni  e  i  cattivi,  ma  guerra;  dividere  il  padre  dal  figliuo- 
lo, la  madre  dalla  figliuola:  il  suocero  dalla  nuora,  il  fratello  dal  fratello  e 
1' un  parente  dall'altro;  ma  ben  venne  a  metter  la  pace  tra  i  buoni  e  farli 
d'  un  cuore  e  d'  un'  anima.  Vivi  bene,  e  sia  fatta  la  pace,  altrimenti  tu  sei 
causa  della  guerra  e  non  io;  perchè  volendo  e  dovendo  vivere  bene  i  buoni, 
e  tu  volendo  e  non  dovendo  vivere  male,  non  può  essere  pace  tra  voi.  Tu 
cerchi  d'  impedire  la  predica  per  poter  vivere  a  tuo  modo;  non  lo  fare,  cliè 
tu  ne  capiterai  male  ».  (Sopra  Ezechiele,  Pred.  XLIX.) 

«  —  0  Frate,  tu  insegni  a  dividere.  —  Egli  è  meglio  star  divisi  al  bene,  che 
uniti  al  male.  E'  non  mi  pare  già  che  voi  siate  divisi  al  male.  Voi  siete  ma- 
levoli 1'  uno  contro  all'  altro  e  invidiosi.  Paroulum  occidit  invidia.  (2)  La  invidia 
è  quella  che  v'ammazza.  Voi  avete  il  core  stretto  e  siete  piccolini  ;  siate  una 
volta  magnanimi,  e  andate  seguitando  la  verità  e  non  la  bugia  ».  (Sopra 
Ruth  e  Michea,  pred.  IX.) 

La  pace  il  Savonarola  la  raccomandava  quanto  non  si  può  dire;  non  vi' 

(')  Vangelo  di  San  Matteo,  cap.  IX,  v.  31  o  San  Luca  XII,  v.  51. 
(*]  Giobbe,  c.  V,  v.  2. 

■ 


I 


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è  forse  predica  nella  quale  non  la  raccomandi.  «  A  voi,  uomini,  ho  a  dire  que- 
sto: che  dobbiate  stare  uniti,  perchè  vi  ho  detto  altre  volte  che  la  primitiva 
chiesa,  benché  fossero  pochi,  perchè  fu  unita,  vinse  i  tiranni,  e  prese  il  regno 
dei  Romani.  Unitivi  adunque  tutti  in  carità  ;  e  se  quelli  che  sono  stati  cattivi 
per  i  tempi  passati  vogliono  esser  buoni,  abbracciateli  tutti;  e  se  fosse  nessuno 
che  avesse  cercato  di  offender  me,  io  l'abbraccio,  io  gli  voglio  bene,  e  prego 
Iddio  che  gli  perdoni.  Voi  cominciate  già  a  entrare  in  termini  che  Iddio  solo 
potrà  cavarvene.  Voi  non  vi  siete  però  arrivati  ancora;  ma  vi  andate  a  poco 
a  poco;  state  adunque  uniti,  come  vi  ho  detto,  e  abbiale;  fede  chè,  se  voi  foste 
nel  profondo  del  mare,  Dio  ve  ne  caverà....  Attendete  adunque  a  stare  uniti 
sotto  il  vostro  Re  Gesù  Cristo,  il  quale  verrà  ancora  nella  città  di  Firenze  e 
dirà:  Ecco  io  sono  costituito  Re....  »  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  Pred.  XXXIII.) 

«  Firenze  io  te  1'  ho  detto  altre  volte,  e  cosi  te  lo  dico  di  nuovo;  se  voi  vor- 
rete, voi  avrete  poche  tribolazioni  ;  volete  voi  ? — Ben  sai  che  vogliamo.  —  Voi  non 
volete,  cattivi,  andare  in  Paradiso.  Quando  io  ti  dicessi:  va  là  alla  tua  villa,  e 
tu  andassi  in  qua,  tu  non  vi  ti  condurresti,  perchè  non  pigli  la  via  buona.  Fi- 
renze, la  via  buona  è  questa,  che  vi  amiate  insieme,  e  che  siate  in  pace.  Egli  è 
vero  che  il  diavolo  va  sempre  suscitando  triboli  dentro  e  di  fuora  e  non  si  può 
far  che  non  si  trovi  de1  cattivi....  ;  ma  lasciate  tribolare  chi  tribola;  state  rac- 
colti, Jasciate  gridare  chi  vuole,  non  abbiate  paura  nessuna;  non  abbiate 
paura  di  povertà.  Cristo  fu  povero  Lui  ....  Unitevi  pure  in  orazione  e  non  ab- 
biate paura,  perchè  io  vi  prometto  questo  che  se  venisse  tutto  il  mondo  contra 
voi,  sarete  liberati.  Voi  lo  vedrete:  io  non  mi  parto  di  qua  ».  (Iv>,  XXVI.) 

«  Fatevi  innanzi,  cittadini,  a  voi  tocca  questa.  Io  dico  a  quelli  che  hanno 
odio  insieme,  anche  alle  donne,  chè  ce  n'è  ancora  delle  donne  che  tengono 
odio:  io  vi  domando  se  si  può  fare  buona  unione  di  diverse  cose  mettendole 
insieme,  non  vi  essendo  cosa  che  colleghi  le  altre:  certo  direte  di  no,  chè  non 
possono  stare  insieme  se  non  v'  è  chi  unisca  e  colleghi.  Guarda  questo  nostro 
corpo  che  è  composto  di  diverse  cose,  cioè  carne,  ossa,  nervi,  e  poi  vi  è  l'anima 
che  lega  e  tiene  unite  tutte  queste  cose  insieme;  ma  come  tu  togli  via  l'anima, 
tutto  il  corpo  si  dissolve.  Guarda  ancora  tutto  questo  universo;  cieli,  elementi 
che  stanno  uniti  per  una  virtù  che  li  collega  insieme:  se  Dio  togliesse  via 
quella  virtù,  ogni  cosa  ruinerebbe  e  dissolverebbesi;  dove  non  è  dunque  una 
virtù  che  unisca,  le  cose  si  dissolvono.  Questo  interviene  adesso  a  voi:  vedete 
che  si  è  fatto  il  consiglio  e  dato  l'appello  alle  sei  fave  e  fatta  la  pace  univer- 
sale: che  vuol  dire  adunque  che  le  cose  vanno  così  ancora  sconquassate?  Egli 
è  perchè  vi  manca  la  virtù  che  le  unisca  bene  insieme.  Amor  est  virtus  unitiva:  (4) 
l'amore  che  è  virtù  unitiva  è  quello  che  vi  manca.  Se  voi  vi  amaste  perfetta- 
mente, le  cose  andrebbero  meglio  che  non  vanno.  Tu  dirai:  se  non  c'è  la  virtù 
che  le  unisca,  le  non  minano  però.  Sai  tu  perchè?  P&rchè  ce  n'è  pure  qualche 
•  poco  di  questa  virtù.  Tu  mi  domandi:  Che  reggimento  è  questo?  Io  ti  domando 
a  le:  Che  cuore  è  il  tuo?  Se  tu  avessi  il  cuore  buono  e  che  tu  andassi  retto  e 


(')  S.  Dionisio,  de  div.  nom.,  cap.  IV,  lect.  9.  Cf.  S.  Tommaso  EHI.  Qu.  XXVIII,  a.  1. 


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non  portassi  odio,  tu  vedresti  che  questo  reggimento  andrebbe  bene:  se  tu 
avessi  posto  giù  intieramente  le  tue  passioni,  credi  a  me  che  tu  avresti  già 
avuto  qualcuna  delle  tue  grazie.  Egli  interviene  a  voi  come  vi  ho  detto  di 
Esaù,  di  Iacob  e  di  quei  due  popoli  che  discesero  di  loro,  cioè  gì' Idumei  e 
Giudei,  i  quali  furono  sempre  inimici  e  nutrironsi  da  principio  nell'odio:  così 
siete  voi  che  non  volete  posare  ancora  le  inimicizie  antiche  de' vostri  passati. 
Figliuoli  miei,  io  dico  a  voi,  fanciulli,  che  avete  ad  essere  quei  buoni  cittadini, 
che  avete  a  godere  il  bene  promesso  da  Dio  a  questa  città,  e  verrà  tempo  che 
voi  vedrete  che  molti  luoghi  verranno  a  voi  per  consiglio,  come  s'abbino  a 
governare  e  vorranno  pigliare  modo  di  riformarsi  dal  vostro  governo.  Fate, 
figliuoli  miei,  quando  udite  dire  a'  vostri  padri:  quello  o  quell'altro  è  nostro  ini- 
mico, o  costui  è  dalla  tal  parte,  eh'  e'  fece  viale  alla  casa  nostra;  dite  allora:  io 
voglio  bene  ad  ogni  uomo  e  non  voglio  tenere  odio  con  persona,  ne  avere  alcuno 
per  inimico.  In  questo  fate  che  non  ubbidiate  a' padri  vostri,  ma  ubbidite  al  Pa- 
dre vostro  celestiale,  il  quale  vuole  che  amiate  ognuno  come  voi  medesimi.  Voi  cit- 
tadini, che  ne  guadagnate  voi  a  non  voler  lasciar  l'odio?  Il  tenere  inimicizia 
non  è  utile  a  nessuno,  e  non  ne  cavale  bene  alcuno,  ma  più  presto  male. 
Ecco;  il  vero  bene  è  quello  che  non  fa  mai  male  all'uomo  e  che  non  ti  può 
mai  essere  tolto,  se  tu  non  vuoi.  Il  vero  bene  adunque  è  la  grazia  di  Dio  e  la 
carità  ».  (Ivi,  pred.  V.) 

«  Dice  il  Santo  Evangelo,  che  i  farisei  dicevano  che  era  scritto  nella  legge, 
che  si  doveva  amare  l'amico  e  avere  in  odio  il  nemico.  (*)  Non  era  vero  che 
così  fosse  scritto  questo  nella  legge;  ma  loro  nelle  loro  tradizioni  lo  avevano 
scritto....  (2)  Figliuoli  miei,  amatevi  insieme,  perchè  questo  è  il  comandamento 
del  Signore.  Lasciate  gli  odj  e  non  seguitate  la  via  de'vostri  padri,  i  quali  non 
vogliono  lasciare  gli  odj  inveterati.  Venite  qua,  cittadini;  voi  dite:  —  che  abbiamo 
a  fare?  —  Voi  avete  a  fare  quello  che  io  ho  detto  a  questi  fanciulli:  amatevi  in- 
sieme. Udite  quello  che  dice  l'Evangelo:  «  Non  abbiate  in  odio  i  vostri  nemici, 
ma  amateli.  Se  voi  amate  i  vostri  amici,  quello  fanno  i  turchi;  (3)  ma  fate  bene 
ai  vostri  nemici  e  insegnate  questo,  o  padri,  ai  vostri  figliuoli.  Città  mia,  la- 
scia gli  odj,  fa  pace,  fa  pace  ;  tu  non  1'  hai  fatta  in  verità;  ma  tu  hai  fatto  un 
empiastro  di  fuori,  e  però,  se  tu  non  fai  altrimenti,  sarà  la  piaga  tua  mortale. 
Lascia  l'ambizione,  sta  in  umiltà  e  tu  starai  in  pace  ».  (Ivi,  pred.  III.) 

Ma  pur  troppo  l'eco  trovata  negli  animi  de' Fiorentini  dalla  parola  del 
Frate  venne  in  non  piccola  parte  resa  sorda  e  distrutta  dal  rumore  degli  av- 
versai^; la  unione,  come  egli  la  predicava,  non  si  volle  da  tutti,  la  giustizia  se- 
vera non  si  fece  a  modo:  e  allora  le  minacce  pigliarono  giustamente  il  luogo 
delle  promesse  non  solo  per  Firenze,  ma  per  tutta  l' Italia,  e  ne  venne  fuori  il 
bruttissimo  ritratto  della  discordia  e  de' suoi  effetti. 

«  Popolo  senza  prudenza,  Dio  ti  aveva  appropinquato  alle  sue  consola- 


(')  Vangelo  di  San  Matteo,  Capo  V,  v.  43. 

(J)  Cosi  dice  San  Tommaso  In  evant/.  S.  Mattai,  cap. 

(3)  Cfr.  Vang.  di  San  Matteo,  l.  c.  v.  iti,  47. 


V. 


—  223  - 


zioni  per  la  via  del  ben  vivere,  ora  tu  ti  se' scostato  da  ogni  ben  vivere,  e  sei 
popolo  senza  consiglio  e  però  tu  avrai  qualche  bastonata.  Il  rimedio  tuo  è  il 
ben  vivere,  e  di  qui  ha  a  venire  il  bene  tuo.  Tu  crederai  poterti  difendere  per 
altro  modo:  tu  non  ti  difenderai.  Ora  ti  prometto,  Italia,  che  viene  il  tuo  flagello. 
E1  vengono  i  giorni  cheti  sono  stati  preannunziati:  e' viene  la  tua  visitazione:  (l)  ma 
sarà  mala  visitazione....  La  guerra  non  è  morta,  la  carestia  non  è  morta,  la  pesti- 
lenza non  è  morta;  ogni  cosa  ha  i  segni.  Non  vogliale  credere  ad  amico,  tiè  confi- 
darvi in  capitano.  (2)  E'  non  vi  varrà  a  confidarvi  se  non  in  Dio.  Italia,  non  ti  con- 
fidare in  capitano  nessuno,  che  non  ti  varrà  nulla.  Io  ti  dico  che  non  ti  varrà  quel 
gran  maestro.  Fa' con  chi  tu  vuoi,  chè  Dio  ha  deliberato  far  cosi.  Da  quella 
che  dorme  nel  seno  tuo,  dice  il  testo  nostro,  guardati.  Tanto  è  dire  questo 
quanto  dire:  Guardati  dalla  tua  moglie,  non  gli  dire  i  tuoi  segreti.  Or  nota, 
che  questa  che  ti  è  stata  prenunziata  ha  a  essere  tanta  grande  tabulazione, 
quanta  sia  stata  in  Italia  parecchie  centinaia  d'anni  fa  intensive  ed  extensive,  e 
sarà  questa  tribulazione  in  Italia  e  fuora  d' Italia.  Ma  più  forte  sarà  a  Roma 
che  negli  altri  luoghi.  E  sarà  anche  questa  tribulazione  mista,  cioè  non  sola- 
mente ai  cattivi,  ma  anche  ai  buoni,  perchè  saranno  perseguitati  i  buoni  con 
grandissime  persecuzioni.  E  questo  vuol  dire:  tieni  chiusa  la  tua  bocca  con 
quella  che  dorme  teco.  Cioè,  che  avranno  i  buoni  persecuzione  insino  dalla  mo- 
glie. Tu  vedi  già  questa  persecuzione  cominciata  ed  ha  il  germe  fuora:  come 
tu  vedi  anche  che  la  guerra  ha  il  germe  fuora,  cosi  la  carestia  e  la  pestilenza 
ha  il  germe  fuora,  come  tu  vedi.  Sarà  adunque  grande  questa  persecuzione 
dei  buoni.  Va',  vedi  per  molte  cose,  tu  ritroverai  che  questa  persecuzione  ha 
il  germe  fuora  ed  è  cominciata  la  divisione  fra  loro.  Il  marito  con  la  moglie 
sono  divisi,  il  padre  col  figliuolo  divisi;  tra' preti  tu  vedi  cominciata  divisione: 
uno  crede,  l'altro  no;  tra  le  monache  l'una  crede,  l'altra  no.  Va' pure,  vedi, 
tu  troverai  che  gli  sono  dentro  per  tutte  le  questioni.  Non  ti  ricorda  egli 
quanto  egli  è  che  io  ti  dissi  che  questa  persecuzione  aveva  ad  essere  grandis- 
sima, e  maggior  guerra  di  quella  che  non  era  stata  quella  dei  tiranni  contra 
i  martiri,  e  maggiore  che  non  fu  quella  degli  eretici?  E  però  dice  qui  il  testo: 
Guardati  da  quella  che  dorme  nel  seno  tuo.  Vuol  dire  :  se  li  occorrerà  che  la 
moglie  tua  non  creda,  e  che  tu  creda  e  veda  che  ella  sia  cattiva,  guardati  da 
lei,  perchè  persuasa  dai  lepidi  eh' e' sia  bene  ammazzarti,  cercherà  per  qual- 
che via  darti  la  morte.  Guardati  adunque  da  colei  che  donne  nel  seno  tuo,  e  se 
tu  crederai  a  quel  tempo,  sta' cheto,  serra  la  bocca.  Perchè  e' sarà  tanta  la 
persecuzione  e  la  crudele  guerra  de'  tiepidi,  che  bisognerà  serrarsi  la  bocca 
chi  crederà.  Marito  che  credi,  sta'  cheto  allora  e  guardati  dalla  tua  moglie  ;  e 
tu  moglie,  che  credi,  sta'cheta  e  guardati  allora  dal  tuo  marito.  Frati  che  cre- 
dete, state  cheti,  chè  vi  sarà  dato  in  sul  capo  dagli  altri  che  non  credono.  Mo- 
nache che  credete,  state  chete  ed  attendete  a  vivere  quietamente,  perchè  i  vo- 
stri superiori  vi  daranno  in  sul  capo.  Preti,  state  cheti;  prelati  che  credele, 


(')  Michea,  Capo  VII,  v.  4. 
(J)  Ivi,  v.  5. 


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state  cheti.  —  Sta' cheto  ancora  tu,  frate.  —  Io  starò  a  quell'ora  cheto  ;  mi  avrai 
in  prigione,  ed  anche  non  starò  allora  cheto,  perchè  parlerò  pure  con  chi  mi 
porterà  da  mangiare,  se  tu  non  vorrai  che  io  mi  muoia  di  fame.  Ognuno  dun- 
que s'  apparecchi  a  questa  guerra  perchè  sarà  grande,  e  faranno  i  tepidi  ogni 
insidia  per  ammazzareii  buoni,  e  per  ogni  via  con  veneni  e  con  ispade  cerche- 
ranno la  morte  di  chi  crederà.  E  però  chi  non  si  sente  gagliardo  di  andare  alla 
morte  stia  cheto:  Perocché  il  figliuolo  farà  contumelia  al  padre,  (')  non  sola- 
mente 1'  uno  nemico  perseguiterà  1'  altro  inimico,  ma  il  proprio  figliuolo  che 
non  crede,  farà  contumelia  al  padre.  Padre,  guardati  da  lui  che  sarà  tanto  per- 
suaso da' tepidi  che  t'ammazzi,  che  egli  cercherà  di  ammazzarti.  Quando  il  padre 
non  crederà,  guardati  da  lui,  figliuolo,  chè  egli  cercherà  farti  morire.  Figliuolo 
che  credi,  guardati  da  tua  madre  che  non  crede.  Madre  che  credi,  guardati 
della  tua  figliuola  che  non  crede,  chè  ella  ti  caccerà  di  casa,  e  sarà  quella  che 
ti  ammazzerà.  Eia  figliuola  si  ribellerà  contro  la  madre,  la  nuora  contro  la  suocera 
sua.  (2)  La  figliuola  sarà  contro  la  madre  sua,  e  la  nuora  contro  la  suocera,  e  la 
suocera  contro  la  nuora:  sarà  una  guerra  terribile.  I  nemici  delV  uomo  sono 
quelli  della  sita  famiglia.  (3)  I  ni  mici  dell'  uomo  saranno  i  suoi  domestici  e  quelli 
che  conversano  con  lui.  Frate,  i  nimici  vostri  saranno  i  vostri  medesimi.  Mona- 
che, le  vostre  saranno  quelle  che  saranno  vostre  nemiche.  Prelati,  i  vostri  ini- 
mici saranno  i  vostri  prelati  medesimi.  Predicatori,  i  voslri  saranno  quelli  che 
vi  faranno  più  guerra,  e  più  vi  saranno  inimici  che  altri.  E  tu  allora,  frate,  a 
che  ti  apparecchi?  Io  per  me  non  aspetto  altro,  se  non  che  un  dì  e'  si  levino 
suso  e  dicano:  Costui  è  reo  di  morte.  Costui  merita  di  morire;  morte,  morte, 
ammazziamo  costui.  Io  risguarderò  allora  al  mio  Signore,  e  dirò:  Eccomi  appa- 
recchiato, io  sono  contento  di  morire.  Ed  aspetterò  Iddio  Salvatore  mio.  (4)  lo 
aspetterò  il  mio  Signore  e  risguarderò  te  Salvatore  mio.  Gesù  mio,  tu  moristi 
per  me,  io  sono  contento  a  morire  per  te;  tu  moristi  per  la  verità,  ed  eccomi 
parato  morire  per  la  verità,  e  se  bisognerà  morire,  io  avrò  pazienza.  E'  biso- 
gnerà aver  pazienza  ad  ognuno.  A  me  basta  obbedire  al  mid  Signore.  E  mi 
udirà  il  mio  Dio.  Il  mio  Dio  allora  mi  esaudirà.  (5J  Signor  mio,  tu  mi  udirai 
pure  allora  una  parola.  Dammi  fortezza  d'animo;  io  mi  ti  raccomando  in 
quel  punto.  Io  ti  raccomando  questo  popolo.  Raccomandoti  i  tuoi  eletti  che  tu 
li  tenga  forti  ed  aiutili  in  tanta  persecuzione  e  tanta  guerra.  Da',  Signore,  loro 
questa  gran  fortezza  che  stiano  saldi  a  servirti  nella  tua  fede,  acciocché  poi 
vengano  alla  patria  tua  ».  (XXII,  sopra  Ruth  e  Michea.) 

E  così  avvenne  davvero  in  gran  parte.  Questa  predica  fu  recitata  a' dì  29 
d'agosto  1496;  e  chi  conosce  anche  per  poco  la  storia  d'Italia  e  di  Firenze  e 
segnatamente  di  Roma  che  seguì  negli  anni  successivi,  sa  pur  troppo  i  dolorosi 


(')  Michea,  c.  VII,  v.  S. 

{')  Cf.  Vang.  di  San  Matteo,  cap.  X.  v.  35. 

(')  Michea,  c.  VII,  v,  ti  e  Vangelo  di  San  Matteo,  e.  X,  v.  26. 
(')  Michea  capo  VII.  v.  7. 
(J)  Ivi. 


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fatti,  le  guerre,  i  tradimenti,  le  morti  e  le  distruzioni  che  desolarono  le  nostre 
belle  contrade...  !!  Ma  incolpare  di  questo  il  Frate  è  davvero  ingiustizia  enor- 
me, avendo  egli  fatto  di  tutto  perchè  succedesse  il  contrario.  Questo  mi  richiama 
alla  mente  un  racconto  che  il  Savonarola  disse  al  popolo  il  13  marzo  1496,  nè 
so  astenermi  dal  riportarlo  qui  a  chiusura  di  questa  parte  del  presente  capi- 
tolo: «  E'  si  legge  che,  al  tempo  di  Arcadio  Imperatore,  i  Goti  passarono  in 
Italia  con  dugento  migliaia  di  persone,  e  cominciarono  a  spaventare  ognuno  e 
temere  in  modo  che  i  Romani  temeron  grandemente.  Era  allora  parte  di  quel 
popolo  pagano,  parte  cristiano,  e  levaronsi  su  i  pagani  e  massime  uno  Simmaco 
predicatore,  il  quale  diceva:  Questo  flagello  viene,  perchè  voi  avete  lasciato 
gl'idoli,  e  bisogna  tornare  ad  adorarli.  Dall'altra  parte  i  cristiani  dicevano: 
Non  è  vero;  perchè  voi  pagani  innanzi  che  qui  si  adorasse  Cristo  aveste  di 
molti  flagelli  e  molti  esterminj,  come  tutti  li  mostra  Sant'Agostino  in  primo 
de  civitate  Dei>  che  vennero  al  tempo  dei  Romani.  Unironsi  adunque  tutti  i 
cristiani  insieme  e  fecero  orazione  e  gridavano  :  0  Signore,  esalta  e  difendi  la 
tua  fede.  Quando  questo  re  dei  Goti  fu  sul  monte  di  Fiesole,  entrò  un  rumore 
negli  orecchi  a  lui  e  al  suo  esercito  ;  e  avevano  una  gran  paura,  intanto  che 
il  re  si  partì  di  notte  dall'esercito  e  fu  morto.  L'esercito,  vedendosi  senza 
capo,  si  sbaragliò  e  furono  presi,  legati  e  venduti  come  pecore;  ma  perchè  i 
cattivi  non  erano  stati  puniti,  mandò  Iddio  un  altro  capitano  de' Goti,  che  fu 
Alarico  il  quale  andò  a  Roma  e  entrato  dentro,  fece  un  editto  che  tutti  quelli 
che  fuggivano  alle  chiese  fossero  salvi;  e  così  li  salvò  e  andò  nella  Calabria. 
E  perchè  Dio  voleva  che  le  chiese  fossero  disfatte,  mandò  saette  sopra  delle 
chiese  in  quel  tempo  ;  e  tornando  poi  Alarico,  disfece  le  chiese  e  Roma  insino 
a'  fondamenti.  Però  v'  ho  detto  che  stiate  uniti  insieme  e  fate  orazione,  perchè, 
quando  verranno  le  tribolazioni,  i  cattivi  diranno:  questo  governo  non  è  buono, 
leviamolo  via ....  »  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  pred.  XXVI.)  Ma  andiamo  oltre. 

«  Nessuno  scrupolo,  seguita  il  Pastor,  aveva  il  nostro  Frate  d'ingerirsi 
perfino  ne' diritti  paterni.  Anche  qui  predicava  apertamente  la  disobbedienza 
contro  l'autorità  da  Dio  stabilita,  aggiungendovi  ancora  lo  scherno.  Alcuni  padri 
volevano  inviare  i  loro  figliuoli  in  Francia,  a  fine  di  sottrarli  all'influsso  irresi- 
stibile del  Frate.  «  Mandateli  dove  volete  »  gridava  il  Savonarola  con  tono  di 
provocazione;  «  essi  faranno  ritorno  ». 

Come  chiameremo  quest'accusa?  Io  non  so  come  dirla,  e  mi  faccio  forza 
a  tener  la  penna  che  non  scriva  le  parole  gravi  che  spontaneamente  uscireb- 
bero da  essa.  Ma  il  Savonarola  voleva  la  calma  ne'  disputanti  ;  e  perde  il  di- 
ritto di  esser  rispettato  chi  non  rispetta  l'avversario.  Ma  poche  volte  ho  sen- 
tito difficoltà  di  tenermi  calmo  come  ora....  Forse  non  si  è  mai  nella  storia 
inventata  una  pappolata  più  marchiana  della  presente  e  fa  pena  che  l'abbia 
bevuta  e  copiata  un  cattolico  di  molta  fama! 

Ma  dove  trovate,  o  professore,  nelle  prediche  di  Fra  Girolamo  le  provo- 
cazioni che  gli  apponete?  Accuse  così  gravi  e  disonoranti  sufficienti  a  togliere 
intera  la  stima  ad  un  religioso  che  reclama  un  posto  segnalato  nella  storia 
della  pedagogia,  che  pose  gran  parte  delle  sue  speranze  e  cure  ne'  fanciulli, 

15 


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che  ne' fanciulli  destò  un  entusiasmo  non  più  udito,  non  si  vogliono  lanciare 
alla  leggiera  ;  o  almeno  almeno  si  dovrebbe  vedere  e  citare  il  luogo  dove  il 
Frate  pronunciò  le  parole  stolte  e  provocanti.  Ma  non  è  tempo  che  ci  perdiamo 
in  lamenti.  Il  luogo,  sebbene  il  Pastor  non  lo  dica,  nel  quale  il  Savonarola 
avrebbe  predicato  apertamente  la  disobbedienza  contro  1'  autorità  stabilita  da 
Dio  aggiungendovi  ancora  lo  scherno,  è  la  predica  ultima  del  quaresimale  so- 
pra Amos  e  Zaccaria.  (')  Sentite  le  testuali  parole  del  Frate  e  poi  giudicate: 
«  Fanciulli,  fate  orazione  chè  la  vostra  riforma  ancora  si  fa,  nella  quale  impa- 
rerete come  avete  a  viver  bene  e  sarete  poi  buoni  cittadini.  Dice  alcuno  che 
questa  cosa  è  fatta  per  tirare  i  fanciulli  a  farsi  frati;  non  dite  così,  perchè 
errate,  lo  vi  avviso  di  questo,  che  quando  uno  avrà  a  venire  al  servizio  di  Dio, 
che  non  si  potrà  tenere  con  questa  corda:  lasciate  pur  fare  a  Dio:  voi  volete 
mandarli  in  Francia,  io  vi  avviso  che  ci  è  di  quelli  che  sono  tornati  di  Francia 
e  sonsi  fatti  frati  :  così  chi  sarà  tirato  da  Dio,  mandalo  dove  tu  vuoi,  che  tor- 
nerà. E  mi  ricordo  quando  io  mi  feci  frate,  dissi  mille  volte  al  secolo  che  io 
non  mi  farei  mai  frate:  pure  mi  bisognò  andare  quando  a  Dio  piacque.  E  non 
potevo  mangiare  e  andava  aggirandomi:  quando  il  pensiero  viene,  e'  non  si  può 
dormire;  di  poi  quando  l'uomo  vi  è  giunto,  si  vive  tutto  contento:  adesso  che 
io  son  frate,  non  cambierei  il  vostro  stato  col  mio.  Sicché,  fanciulli  miei,  fate 
orazione,  chè  la  vostra  riforma  si  fa.  Voglio  che,  abbiate  un  luogo  fuora  di 
San  Marco  dove  vi  raduniate  e  che  stiate  da  voi;  osservando  quella  riforma, 
vivrete  più  puramente.  Voi  che  dite  male  di  questa  riforma  de'  fanciulli,  di- 
mandate i  confessori  se  li  hanno  trovati  quest'anno  più  mondi  e  più  netti  di 
peccato  che  gli  altri  anni  ».  (Pred.  XLVIII  su  Amos.) 

Qui  non  è  proprio  il  caso  d'aggiunger  commenti:  la  cosa  è  per  sè  evidente; 
ad  ogni  modo,  se  un  piccolo  commento  lo  volete,  abbiatevelo  dal  Savonarola 
stesso:  «  Si  legge  di  un  frale  a  Bologna  che  prima  non  voleva  esser  frate:  non 
andava  a  San  Domenico,  dove  si  predicava,  per  non  si  convertire  e  non  si  far 
frate.  Lui  non  voleva,  pur  udiva  volentieri  messa  in  quella  Chiesa,  e  una  mat- 
tina predicandosi  a  San  Domenico,  andò  a  San  Procolo  e  poi  a  San  Domenico. 
E  non  essendo  ancora  finita  la  predica,  si  fermò  cosi  fuortt  della  porta  perchè 
vi  era  gente  assai  ed  era  il  dì  di  Santo  Stefano.  Cominciò  quel  predicatore  a 
gridare:  Ecce  video  coslos  apertos,  ed  entrò  a  costui  quel  grido  negli  orecchi  ed 
andò  a  farsi  frate  e  fu  la  sua  salute.  Qualche  volta  ti  penetra  una  parola 
tanto  che  ti  passa  il  cuore  e  ti  manda  la  tua  salute,  lo  andai  una  volta,  quan- 
d'ero al  secolo,  a  Faenza  a  spasso;  e  entrando  a  caso  in  Sant'Agostino  (~)  udii 
una  parola  da  un  predicatore  di  Sant'Agostino,  che  non  te  la  voglio  dire  ades- 


(')  Cf.  del  Perrena  anche  1'  Bistoir'e  de  Florence,  tomo  II,  pag.  210,  testo,  e  nota  1. 

(J)  Dalla  finestra  presso  la  qualo  scrivo,  vedo  il  campanile  di  questa  bella  chiesa,  ed 
Ogni  volta  che  lo  guardo  mi  suona,  dentro  spontanea  l'esclamazione:  Chi  avrebbe  mai  pen- 
sato, o  buon  Frate,  che  la  legge  ondo  lo  Spirito  di  Dio  move  e  governa  lo  anime  che  trae 
a  sé  in  modo  tutto  speciale,  da  te  colà  imparata  la  prima  volta  sarebbe  al  secolo  XIX,  nelle 
tue  paiole,  tanto  contorta  e  da  Franassi  o  da  Tedeschi!! 


so,  che  insino  adesso  l'ho  nel  cuore,  e  andai  e  feci  mi  frate,  non  passò  un 
anno  ».  (Sopra  Ezechiele,  pred.  XXVIII.) 

E  troppo  evidente  che  il  Pastor  qui  disse  ciò  che  la  sua  volontà,  se  fosse 
stata  illuminata  dal  suo  intelletto,  non  gli  avrebbe  mai  permesso  di  dire;  com'è 
troppo  evidente  che  il  Perrens  non  intese  per  nulla  il  Savonarola.  Se  il  Pastor 
avesse  letto  il  Frate,  sarebbe  stato  impossibile  che  scrivesse  come  ha  fatto, 
salvo  se  in  quel  giorno  volesse  dimenticare  la  sua  onestà  e  rettitudine. 

Gli  amici  e  gli  ammiratori  del  Professore  d' Innsbruck  è  impossibile  che 
non  desiderino  da  lui  una  parola  franca,  che  rimetta  al  posto  le  cose  ;  tanto 
più  che  alcuno  potrebbe  qui  forse  sentirsi  nascere  un'  altra  volta  il  dubbio 
che  gli  sia  mancata  un  poco  la  buona  fede  ;  e  certo  almeno  un  pretesto,  il 
quale  ha  tutta  l'apparenza  di  ragione,  per  dirlo  passionato,  esiste  anch?  in 
■questo  luogo,  per  chi  volesse  credere  simile  ingiuria. 

Infatti  prima  di  tutto  egli  aggrava,  come  già  l'abbiamo  visto  far  altrove, 
senza  alcuna  giustificazione  le  sentenze  e  le  condanne  del  biografo  francese 
continuando  a  mostrare  già  con  ciò  desiderio  di  mettere  in  mala  vista  il  Erate. 
Il  Perrens  dice  :  «  Il  Savonarola  merita  in  parte  le  accuse  che  i  suoi  nemici 
portano  contro  di  lui  ne' suoi  processi  ».  E  il  Pastor  invece  afferma:  «  I  rim- 
proveri che  più  tardi  mossero  in  questo  riguardo  al  Savonarola  gli  accaniti 
suoi  nemici,  sono  giustificati  ». 

Il  Perrens  calunnia,  con  parole  di  dubbio  significato,  il  Frate,  dicendo 
che  egli  «  giunse  al  punto  d'approvare  le  donne  che,  non  avendo  potuto  ot; 
tenere  il  consenso  del  marito  di  farsi  religiose,  prendevano  la  risoluzione  di 
vivere  il  resto  della  loro  vita  come  se  non  fossero  maritate  »(*),  e  il  Pastor  dice 
senza  meno  che  «  contrariamente  a'  Sacri  Canoni  il  Savonarola  approvava 
l'entrata  di  coniugate  ne'  conventi  senza  previo  consenso  del  marito,  ovvero  la 
separazione  della  sposa  dallo  sposo  contro  la  volontà  di  quest'ultimo».  Il 
Perrens  dice  che  «  il  Savonarola  spingeva  pressoché  i  fanciulli  alla  disobbe- 
dienza »,  e  il  Pastor  afferma  che  il  Frale  «  predicava  apertamente  la  disobbe- 
dienza  contro  l'autorità  da  Dio  stabilita  ». 

Ma  v' è  di  peggio.  Il  Perrens  (è  impossibile  che  al  lettore  sia  sfuggito), 
pure  asserendo  che  il  Frate  quasi  forzava  la  gioventù  alla  disobbedienza,  nota 
tuttavia  che  il  Frate  «  non  cessava  dal  raccomandare  il  rispetto  ai  genitori  e 
anche  la  sommissione  »  ;  e  solo  aggiunge  che  tale  sommissione  doveva  aver 
de' confini;  e  che  il  Savonarola  invitava  i  fanciulli  a  ricusare  l'obbedienza 
«quando  i  comandi  de' parenti  fosser  contrarj  alle  cose  di  Dio,  o  alle  ingiun- 
zioni del  predicatore,  come  di  adornarsi  troppo  e  di  giuocare  »;  nel  qual  caso 
scrive  il  Perrens  che  il  Frate  invitava  il  figlio  a  dire  al  padre:  io  ti  rinunzio  in 
questo,  perchè  in  questo  io  ho  un  altro  padre,  che  è  maggiore  di  te,  cioè  Dio; 
e  se  il  padre  battesse  per  questo  il  figlio,  il  Savonarola  gli  diceva  ancora: 
<  Abbi  pazienza,  chè  Dio  ti  renderà  una  corona  ». 


(')  Vedi  anche  llistoire  de  Florence,  voi.  II,  png.  231. 


—  228  — 


E  come  se  ciò  non  bastasse,  il  razionalista  francese  continua  dopo  le  parole 
da  noi  citale,  e  dice:  «  Egli  è  certo  che  vi  sono  ordini  del  padre  che  un  figlia 
deve  evitare  di  compiere:  gli  antichi  sono  in  ciò  d'accordo  co' moderni  ....  *> 
Ora  tutto  ciò  perchè  lo  tace  assolutamente  lo  storico  cattolico?!  Almeno  le 
parole  del  Perrens  avrebber  dovuto  invitarlo  a  studiare  il  fatto,  veder  la  que- 
stione, prima  di  decider  cosi  solennemente.  Qui,  è  inutile  dissimularlo,  il  dis- 
gusto ehe  si  prova  nel  leggere  il  Paslor  è  grande,  e  a  noi  duole  assai  assai 
il  veder  simil  cosa;  imperocché  ci  sentiamo  come  diminuita  la  fede  che  allo 
storico  de' Papi  avevamo!  Sorge  spontanea  in  noi  la  domanda:  Si  sarà  il 
Pastor  ingannato  a  questo  modo  solo  qui?!  solo  parlando  del  Savonarola?  Ci 
adduca  l'illustre  uomo  i  motivi  della  sua  grave  sentenza,  e  ci  tolga  in  ogni  caso 
assolutamente  di  dosso  il  brutto  sospetto. 

Ma  come  si  fa  a  provare  che  è  giusta  tale  sentenza?  Prima  di  tutto  biso- 
gna ricordarsi  che  Fra  Girolamo  non  si  governava  nella  pratica  diversamente 
da  quanto  predicava,  e  che  le  prediche  sue  pubblicate  lui  vivente  contengono 
veramente  ciò  che  egli  aveva  predicato  dal  pergamo,  come  dice  egli  stesso- 
scrivendo  a  Alessandro  VI  con  la  data  del  22  maggio  1497  ;  e  posto  ciò  poi  biso- 
gna gettare  a  terra  o  spiegarci  un  numero  infinito  di  luoghi  dove  il  Frate  dice 
tutto  l'opposto  dell'accusa  mossagli....  Pensi  a  ciò  il  Pastor,  e  poi  discorreremo 
un'altra  volta,  se  vi  sarà  bisogno,  della  questione  presente. 

Ora  noi,  come  per  allietarci  un  poco  e  confortare  gli  amici,  che  ci  lessero 
sin  qui,  dell'amarezza  che  ci  ha  versato  neh'  animo  la  critica  che  abbiamo  do- 
vuto fare,  trarremo  dalle  opere  del  Savonarola  alcuni  passi  relativi  ai  diritti  e 
doveri  nella  famiglia  cristiana. 

Nel  Compendio  della  Filosofìa,  L.  VI,  n.  4,  parla  il  Savonarola  del  diritto 
paterno,  cioè  del  padre  sui  figli  ;  del  diritto  economico,  del  marito  sopra  la 
moglie;  e  del  diritto  dominativo,  del  padrone  sul  servo. 

E  nel  n°  G°  parlando  specialmente  dei  doveri  dei  figli  verso  i  genitori,  dice 
che  la  pietà  è  virtù  annessa  alla  giustizia  e  della  pietà  stessa  ripete  quanto  San 
Tommaso  ha  nella  p.  IP-II",  Qu.  101,  e  ci  dice  che  dopo  il  culto  eccellentissi- 
mo che  devesi  a  Dio  viene  quello  che  siam  tenuti  ad  avere  verso  i  parenti  e 
la  patria,  che  son  principio  secondario  del  nostro  essere  e  del  nostro  vivere.  Nei 
parenti  comprendonsi  tutti  i  consanguinei,  nella  patria  tutti  i  concittadini  e  gli 
amici.  Perchè,  essendo  V  uomo  debitore  ai  parenti  e  alla  patria,  deve  ad  essi 
culto  dopo  Dio.  Ai  parenti  devesi  riverenza  ed  ossequio,  e,  se  son  bisognosi, 
devesi  il  sostentamento.  Questo  cullo  è  una  professione  di  carità,  come  la  re- 
ligione è  professione  di  fede,  di  speranza  e  di  carità.  La  qual  dottrina  è  presa 
da  San  Tommaso  (Qu.  cit.,  art.  Ili  ad  l.m),  e  non  è  mai  dimenticata  in  nes- 
suna predicazione,  ma  viene  sovente  ripetuta  in  tutte. 

Ma  veniamo  a  qualche  particolare. 

Uno  dei  veri  in  cui  anche  il  Perrens  riconosce  che  il  Savonarola  ha  prece- 
duto i  pedagogisti  moderni  si  è  la  convenienza  che  la  mamma  sana  e  buona  allatti 
il  suo  figliuolo;  vorrei  aggiungere  che  forse  nessuno  de'  pedagogisti  nostri  ci  de- 
scrive meglio  del  Frate  di  San  Marco  gl'inconvenienti  del  costume  contrario: 


-  229  — 

«  Le  madri  allora,  ne' tempi  antichi,  allevavano  i  figliuoli;  il  che  intendo  che 
qui  non  si  usa,  e  che  le  donne  non  allattano  i  figliuoli.  Voi  fate  male,  perchè 
voi  li  fate  allattare  a  gente  grossa  e  diventano  poi  spiriti  grossi,  e  chi  diventa 
libidinoso,  chi  iracondo,  chi  stizzoso,  perchè  li  fate  allattare  ancora  dalle  schia- 
ve, e  quel  primo  latte  dà  grande  inclinazione  al  fanciullo;  e  sono  poi  mezzi 
vostri  figliuoli  e  mezzi  no  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XLII.) 

Un  altro  punto  che  il  Savonarola  ribatte  con  maggior  frequenza  è  l'ob- 
bligo che  i  genitori  hanno  della  prima  educazione  morale  e  religiosa  de'  fi- 
gliuoli. La  sua  teorica  a  questo  riguardo  non  deve  assolutamente  tacersi;  essa 
•è  la  confutazione  della  teorica  del  Rousseau  e  di  tutti  i  suoi  seguaci,  e  sarebbe 
opporlunissimo  risvegliarla  ora  e  inculcarne  il  principio  fondamentale.  È  noto 
che  il  Rousseau  avvisava  che  1'  educazione  e  l' istruzione  religiosa  non  sia  ac- 
cessibile all', infanzia,  e  sentenziava  che  di  Dio  non  s'abbia  a  parlare  punto  sin 
a  quando  il  fanciullo  non  possa  formarsene  un'  idea  chiara.  Ma  il  supposto  è 
falso  e  la  sentenza  è  sofisma  di  quelli  che  i  logici  dicono  provar  troppo  e 
dare  nell'  assurdo.  (')  Il  nostro  Frate  per  contrario  era  solito  di  dire  che  Cristo 
siede  nell'intelletto  de' grandi  e  dei  piccoli  e  tutti  li  governa,  e  dalla  bocca  dei 
fanciulli  sa  trarre  a  Dio  lode  ben  più  perfetta  che  non  sia  quella  che  esce  dai 
superbi  filosofi.  Inoltre  egli  era  solito  di  ripetere  1'  aurea  sentenza  biblica  :  II 
fanciullo,  anche  quando  sarà  invecchiato,  non  si  partirà  dalla  via  sua,  nella  quale 
-sj  è  messo.  (2)  Ora  qual  valore  avrebbe  tuttociò  quando  non  fosse  accessibile 
all'infanzia  alcuna  educazione  ed  istruzione  morale  e  religiosa?  Del  resto  il 
nostro  Frate  non  solo  voleva  che  si  seguisse  in  pratica  la  buona  regola,  ma 
seppe  anche  dare  una  ragione  così  forte  della  norma  sua,  che  mi  par  davvero 
•che  uccida  la  teorica  del  Rousseau  e  de' seguaci  suoi:  non  so  se  essa  si  legga 
in  alcuno  de'  pedagogisti  moderni,  onde  la  ripropongo  alla  meditazione  de'  ge- 
nitori e  di  tutti  i  maestri  cristiani.  Con  San  Tommaso  adunque  il  nostro  Frate 
insegnava  che  i  fanciulli  che  si  battezzano,  perchè  non  hanno  ancora  il  libero 
arbitrio  e  sono  d'  una  medesima  specie,  cioè  di  eguale  perfezione  naturale,  per- 
ciò tutti  nel  battesimo  le  conseguitano  eguali  grazie.  Quando  poi  vengono  all'  uso 
^del  libero  arbitrio,  per  essere  bene  allevati,  le  conseguitano  tutti  molto  bene; 
ma  1'  uno  conseguita  alle  volte  un  maggiore  aumento  di  grazie  che  1'  altro,  se- 
condo che  1'  uno  è  meglio  allevato  che  1'  altro,  perchè  fa  maggior  conato  che 
l'altro  e  meglio  si  dispone.  Quelli  che  sono  male  allevati  fanno  il  contrario, 
perchè  quando  vengono  all'uso  del  libero  arbitrio,  dove  si  avrebbero  a  vol- 
tare al  bene,  si  voltano  al  peccato  mortale,  e  così  perdono  la  grazia  battesi- 
male. E  quando  il  fanciullo  viene  all'  uso  del  libero  arbitrio,  continua  sempre 
il  Savonarola,  immediatamente,  per  la  prima  operazione  che  fa,  è  tenuto  a 
voltarsi  a  Dio:  se  lo  fa,  accresce  grazia,  se  non  lo  fa,  pecca  mortalmente. 


0)  Cfr.  A.  Conti  :  Xuovi  discorsi  del  tempo,  o  Famiglia,  Patria,  Dio.  P.  I  Famiglia.  Ri- 
creazione XVI  e  altre.  —  G.  Allievo,  Studi  Pedagogici,  passim  ;  e  specialmente,  Sezione  IV, 
.cap.  I,  art.  2. 

0  Proverbi,  cap.  XXII,  v.  6. 


—  230  — 


Il  Savonarola  ripete  molto  sovente  questa  dottrina  nelle  sue  prediche,  e 
non  dimenticando  mai  che  negli  atti  nostri  non  dobbiamo  perder  di  vista  l'ultimo 
fine  a  cui  è  fatto  il  figliuolo  e  V  alunno,  che  è  di  conseguitare  vita  eterna  me- 
diante l'esercizio  della  virtù  e  la  grazia  divina,  ne  trae  conseguenze  bellissime. 
Prima  di  tutto  argomenta  quindi  il  nostro  educatore  essere  grandissima  la 
diligenza  con  cui  i  padri,  le  madri,  i  maestri,  le  maestre  debbono  nutrire  i 
figliuolini  e  le  figliuoline  nel  timore  di  Dio;  poi  vuole  in  particolare  eh'  essi 
insegnino  loro  che  si  hanno  da  inginocchiare  e  fare  orazione  sera  e  mattina, 
onorar  Dio  e  i  Santi,  andar  alle  messe  e  alle  prediche,  spesso  parlando  loro 
delle  cose  del  paradiso  semplicemente  e  in  quel  modo  che  ne  sono  capaci. 
Del  pari  vuole  che  dipingano  loro  le  pene  dell'  inferno,  e  dicano,  che  chi 
giura  e  chi  bestemmia  e  chi  giuoca  e  fa  delle  cose  tristi  e  delle  disonestà  an- 
drà all' inferno;  mostrino  loro  la  provvidenza  del  Padre  celeste  in  ogni 
cosa,  pongano  sulle  tenere  loro  labbra  brevi  e  semplici  preghiere,  insistano 
in  ogni  occasione  che  Dio  vede  tutti  e  tutto,  che  vuole  tutti  beati,  ma  che  pu- 
nisce molto  severamente  coloro  che  fanno  il  male.  Ove  i  genitori  usassero  di- 
ligenza e  cura  nel  compiere  queste  cose  e  nel  dar  buon  esempio,  vedrebbero 
come  crescerebbero  bene  i  loro  pargoli  e  comeDio  abiterebbe  nei  loro  teneri  cuori. 
Ecco  fra  i  molti  luoghi  che  potrei  citare  ciò  che  il  Frate  dice  nella  predica  XLVI 
sopra  Ezechiele  fatta  il  venerdì  dopo  la  V  domenica  di  quaresima:  «  Ora  diciamo 
a  questi  padri  e  madri:  I  fanciulli  adesso  vengono  presto  al  libero  arbitrio,  e  però 
pensate  voi,  padri  e  madri,  quanta  diligenza  dovete  avere  ai  vostri  figliuolini. 
Dicono  i  Dottori  che  i  padri  guastano  i  fanciulli  molte  volte  con  dar  loro  animo 
alle  cose  mal  fatte.  Dice  quel  padre  al  fanciullino:  Dagli  a  colui,  dagli,  poltrone. 
Questo  è  quello  che  guasta  i  fanciulli,  il  non  usar  loro  buona  cura  da  princi- 
pio. Quell'  altra  madre  lascia  la  fanciulla  trasandare  in  qualche  parola,  o  atti 
inconvenienti,  o  sola,  o  in  compagnia  pericolosa;  voi,  padri  e  madri,  fate  per- 
dere loro  1'  innocenza  battesimale  che  mai  più  poi  non  si  riacquista,  e  non 
possono  mai  più  dire:  Io  sono  innocente.  Del  pari,  tu  dai  loro  un 
principio  inclinativo  agli  altri  mali,  e  sei  causa  di  molti  altri  loro  pec- 
cali, poiché  il  principio  è  la  massima  parte  del  tutto.  Che  s'  ha  adunque  a 
fare?  Hai  a  fare  tu  padre  e  tu  madre,  che  tu  non  faccia  mai  atto,  o  gesto,  o 
parola  in  presenza  dei  tuoi  fanciulli  che  possa  loro  nuocere  alla  salute.  Tu 
in'  intendi  bene,  se  tu  vuoi  intendere....  Benché  siano  piccolini,  dico  che  hanno 
le  orecchie  lunghe:  la  malvagità  oggidì  è  grande,  il  diavolo  aiuta:  stanno  a 
udire,  e  benché  non  parlino  allora,  tu  non  sai  poi  quello  che  fanno  insieme, 
quando  ei  non  ti  vedono.  Inoltre,  leva  via  di  camera  e  di  casa  tua  quelle  figure 
disoneste.  Allevali  con  semplicità,  fa  loro  vedere  le  cose  di  Dio  e  dilettali  in 
esse  ;  fa'loro  dipingere  una  tavola  dove  sia  dipinto  l' inferno  e  il  paradiso,  e  mo- 
stra loro  l'inferno  e  di':  Vedi  li,  figliuoli  no  mio,  questi  sono  quelli  dannati  fan- 
ciulli, che  hanno  disobbedito  il  padre  e  la  madre;  questi  sono  quelli  che  hanno 
furato  il  pane,  o  il  cacio,  o  1'  uve  secche;  e  così  li  avvezza  in  questa  semplicità 
e  con  timore  di  Dio  e  dello  inferno,  mentre  che  sono  piccolini.  Dall'altra  parte 
mostra  loro  il  paradiso  e  di'  :   Questi  che  sono  con  gli  Angeli,  son  quelli  che 


—  231  — 


hanno  obbedito  il  padre  e  la  madre:  e  che  non  hanno  detto  le  parole  cattive,  e 
che  sono  stati  buoni  e  devoti.  Se  tu  li  avvezzerai  in  questa-  semplicità,  vedrai 
che  quando  verranno  al  termine  del  libero  arbitrio  ed  al  conoscimento  del  ben 
vivere  e  del  male  e  al  discorso  della  ragione,  subito,  nel  primo  atto  del  libero 
arbitrio  si  ordineranno  verso  Dio  fine  loro.  Fate,  dico,  padri  e  madri,  che  i  vo- 
stri fìgliuolini  non  perdano  l' innocenza  battesimale,  fate  che  odano  le  predi- 
che, e  avvezzateveli,  perchè  il  verbo  di  Dio  ha  gran  forza  di  custodire  l'anima 
innocente.  Guarda  che  dove  si  odono  le  prediche  spesso  vedrai  gente  divota, 
ma  dove  non  si  odono,  vedrai  gente  senza  legge,  e  non  saprà  ragionare  nulla 
di  Dio.  Or  sì,  abbiate  questa  diligenza  e  cura  voi,  padri  e  madri,  ai  vostri 
fìgliuolini  ».  (Cfr.  la  XXIII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus.) 

E  con  questa  teorica,  coli'  inculcare  questi  principj,  il  Savonarola  ottenne 
tali  e  tanti  frutti  che  a' molti  testimoni  oculari  parvero  miracolo! 

Quante  non  son  poi  le  norme  che  si  leggono  nelle  Opere  del  Frate  per 
una  buona  istruzione  ed  educazione  religiosa  de' fanciulli,  e  quanto  non  in- 
siste egli  per  questo  punto  sugli  obblighi  de'  genitori  !  Vedeva  egli  chiara  la 
necessità  di  avvezzarsi  per  tempo  alle  cose  di  Dio,  perchè  «  se  non  sono  av- 
vezzati nel  verbo  di  Dio,  e  udire  quello  che  hanno  a  fare,  non  torneranno  mai 
più  a  penitenza,  perchè  nessuno  o  rarissimi  se  ne  convertono,  quando  sono  nu- 
triti senza  cognizione  delle  cose  divine  ».  (Sopra  Ezechiele,  XLIII.)  Onde  egli 
vedeva  chiaro  il  bisogno  che  i  fìgliuolini  di  Firenze  amassero  e  temessero  il 
loro  Re  e  la  Vergine  loro  Regina,  imparassero  bene  le  cose  della  fede;  e 
prima  che  il  loro  Dio  è  il  Padre,  Figliuolo  e  Spirito  Santo,  e  non  sono  tre 
dei,  ma  un  Dio;  e  che  il  loro  Salvatore  è  Dio  e  uomo,  figliuolo  di  Dio  e  della 
Vergine  Maria.  Sapessero  che  in  paradiso  sono  gli  Angeli  e  le  anime  de'Santi 
che  trionfano  con  Cristo,  dove  andrebbero  anch'essi,  se  avesser  fatta  la  volontà 
di  Dio.  Con  questa  fede  voleva  eh'  essi  si  amassero  insieme,  perchè  questo,  di- 
ceva, è  il  comandamento  del  Signore.  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  III.) 

Onde  nella  XXIV  sopra  Ezechiele  gridava  ai  padri  :  «  Or  su,  insegnate  al- 
manco bene  a'  vostri  fanciulli,  fate  che  non  siano  assaltati  da  quelli  peccati 
disonesti  ».  Nella  XXVIII  sopra  Amos  esponendo  misticamente  il  versetto  13 
del  cap.  VII  di  questo  profeta  :  In  quel  giorno  verran  meno  per  la  sete  le  ver- 
gini avvenenti,  e  i  giovanetti,  dice:  «  Le  vostre  vergini  sono  le  anime  delle  vo- 
stre figliuole,  donne,  che  non  gì'  insegnate  nulla  di  Dio,  ma  sono  come  paga- 
nelle  e  come  giudeette.  Io  vi  dico  che  andranno  all'inferno  nel  tempo  della 
tribulazione,  e  le  madri  e  i  padri  andran  loro  dietro,  die  ne  sono  cagione  ». 

«  Io  vi  dico  che  San  Gregorio  pone  un  fanciullo  di  cinque  anni  che  fu 
portato  all'  inferno,  {*)  per  i  mali  costumi  che  gì'  insegnava  il  padre  ».  E  nella 
XXI  dello  stesso  quaresimale  si  vede  assai  bene  quanto  per  il  Savonarola  fosse 
grave  l'obbligo  de'genitori  di  correggere  i  figliuoli  che  per  disgrazia  si  fossero 
messi  per  una  cattiva  via,  e  quanto  si  rendessero  rei,  se,  invece  di  edificarli 


(')  Cfr.  la  predica  XL  sopra  Amos. 


—  232  — 


con  il  buon  esempio,  li  guastassero  insegnando  loro  la  via  del  peccato:  «Dice 
Sant'  Agostino,  nel  primo  della  Città  di  Dio,  che  se  tu  conosci  che  una  fan- 
ciulla sia  in  peccato,  e  sappia  che  tu  potresti  liberarla  e  tu  noi  faccia,  per 
dire:  il  tale  è  innamorato  di  lei,  ei  mi  ammazzeria,  dice  che  fai  male;  e  che 
tu  debbi  mettervi  la  vita,  e  levarla  da  tal  peccato.  E  se  questo  è  vero  che  dice 
Sant'  Agostino,  dimmi  :  quanto  più  dobbiamo  dire  che  pecca  il  padre  che  vede 
il  figliuolo  nel  peccato  e  noi  corregge?  Padre,  io  ti  dico  che  tu  renderai  ra- 
gione di  tutti  i  peccati,  che  han  fatti  i  tuoi  figliuoli  per  la  tua  negligenza. 
Donna,  io  dico  ancora  a  te,  tu  renderai  ragione  di  tutti  i  peccati  che  fanno  le 
tue  figliuole,  per  tua  negligenza.  Or  che  diremo  di  que'  padri  che  danno  i  de- 
nari a'  figliuoli  per  fare  peccato  »  ?  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  XXI.) 

Contro  genitori  siffatti  che  invece  di  edificare  con  le  parole  e  1'  esempio  i 
loro  figli,  li  guastano  e  li  mettono  per  la  via  del  peccato,  inveisce  il  Savonarola 
nella  XIII  del  medesimo  quaresimale,  esponendo  il  versetto  10  del  IV  di  Amos: 
«  Ho  percosso  i  vostri  giovani  nel  coltello  ».  E  grida  ai  Fiorentini:  «  Questo 
vuol  dire  che  i  padri  hanno  insegnato  a'  figliuoli  la  via  de'  peccati,  i  quali  sono 
stati  come  un  coltello  all'  anima  loro,  che  1'  ha  morta  della  vita  spirituale  e 
della  grazia....  11  mal  esempio  de'  padri  è  quello  che  ha  ruinate  le  anime 
de' figliuoli;  e  l'averli  posti  ad  esercizj,  che  sono  nocivi  all'anima:  la  prima 
cosa  i  padri  li  pongono  ad  imparare  poesie,  e  di  poi  a'  banchi  a  imparare 
cambi  ed  usure,  e  così  li  mandano  a  casa  del  diavolo.  Così  ancora  le  fan- 
ciulle, appena  oggi  sono  nate,  che  le  sanno  ogni  male.  Anticamente  non  era 
così;  avevano  venti  anni  che  non  sapevano  che  cosa  fosse  matrimonio,  ma 
erano  tutte  semplicità;  e  però  era  allora  consuetudine,  quando  andavano  a 
marito,  dar  loro  le  donne  paraninfe  che  gì'  insegnassero  le  cose  matrimoniali  : 
e  questo  era  perchè  i  padri  e  le  madri  si  guardavano  di  non  parlare,  nè  far 
cosa  in  detti  o  in  fatti,  che  desse  a'  figliuoli  o  figliuole  occasione  di  peccare,  e 
che  gli  desse  qualche  mal  esempio.  Oggi  non  si  fa  così,  ma  in  presenza  loro 
dicono  e  fanno  ogni  male;  e  però  questo  è  stato  il  coltello  che  gli  ha  morta 
l'anima  e  toltogli  la  grazia;  e  però  dice  il  Signore:  lo  ho  percosso  i  vostri 
figliuoli  ìiel  coltello,  cioè  li  ho  lasciati  per  la  vostra  mala  vita  incorrere  in  que- 
sti peccati  e  non  siete  tornati  a  me  ». 

E  per  contro,  affine  di  mantenere  i  figliuoli  nell'  innocenza,  Girolamo  Sa- 
vonarola consigliava  di  non  condurli  troppo,  e  specialmente  di  quaresima,  alle 
feste  di  mondo,  di  non  lasciarli  frequentar  taverne,  e  insisteva  perchè  i  ge- 
nitori non  tenessero  immagini  disoneste  in  camera ....  (')  Aureo  è  un  passo 
della  predica  XII  sopra  il  salmo  Quam  Bonus:  «  Audite  hoc,  senes;  voi  dico, 
che  avete  figliuoli,  e  che  siete  padri  di  famiglia,  udite  se  i  padri  vostri  hanno 
fatto  come  voi.  Loro  allevavano  i  loro  figliuoli  in  semplicità  e  quanto  al  vitto 
e  quanto  al  vestito  e  quanto  alla  conversazione,  chè  quando  eglino  erano  adulti 
e  nubili,  non  sapevano  niente  di  matrimonio,  nè  pensavano  a  tante  sporcizie 


(')  V.  sopra  a  pag.  53. 


—  233  — 


quanto  pensano  oggi  i  nostri  costituiti  ancora  in  tenera  età;  ma  voi  cominciate 
dalla  puerizia  loro  a  vestirli  lascivamente  e  metterli  in  sulle  gale  e  varietà  di 
foggie.  E  le  madri  li  assettano,  li  ornano,  e  cominciano  a  mettervi  tempo,  come 
alle  fanciulle,  in  modo  che  e'  non  hanno  appena  cinque  anni,  che  titilla  loro  la 
carne,  e  risentonsi,  e  fanno  di  molte  cose  brutte,  che  i  padri  nostri  in  tale  età 
non  si  immaginavano.  Non  solo  fra  loro,  ma  con  i  propri  fratelli  e  con  le  pro- 
prie sorelle,  e  voi  non  ve  ne  avvedete,  e  li  tenete  insieme,  e  facilmente  perdono 
il  fiore  della  loro  verginità.  E  tutto  procede  dal  cattivo  reggimento  de'  padri 
e  delle  madri,  li  lasciano  andar  fuora  tutta  la  notte,  slanno  coi  ribaldi  giuo- 
cando,  e  fanno  di  molti  altri  peccali,  che  per  onestà  li  voglio  tacere.  Viene 
ancora  questo  dal  cattivo  esempio  che  e'  pigliano  dai  loro  padri  e  madri.  Voi 
state  qualche  volta  là  al  fuoco  o  a  mensa,  e  comincerete  a  entrare  in  qual- 
che cosa  lasciva  e  motteggiate  così  sottecchi  e  voi  credete  che  e'non  intendino, 
e  loro  apprendono  ogni  cosa,  e  imparano  la  malizia  da  voi.  Peggio  fanno  an- 
cora alcuni  e  padri  e  madri,  che  gì' insegnano  nominare  cose  brutte,  e 
quando  le  dicono,  se  ne  ridono.  Tengono  in  casa  alle  lettiere  e  a' lettucci 
figure  disonestissime,  fanciulle  ignude  con  uomini,  con  certi  atti  e  modi  di- 
sonesti che  sarebbero  indecenti  nel  luogo  pubblico,  e  credono  poi  che  i  fan- 
ciulli si  contenghino.  Noi  dovremmo  imparare  da'  pagani.  Aristotile  fu  pagano, 
e  proibiva  che  nelle  case  non  si  facessero  simili  figure,  acciò  che  i  fanciulli 
non  imparassero.  Quanto  al  vitto  ancora  del  mangiare  e  del  bere,  gli  antichi 
vostri  gli  allevavano  parcamente  ;  ora  i  giovanetti  mangiano  e  bevono  più  che 
non  fanno  i  vecchi,  e  bevono  il  vin  pretto.  E  non  è  maraviglia  se  e'  fanno 
de'  peccati  carnali.  La  conversazione  cattiva  nuoce  assai  loro,  e  voi  li  lasciate 
andare  con  ognuno.  Così  non  facevano  i  padri  nostri  antichi,  i  nostri  anteces- 
sori. Non  vi  maravigliate  adunque  se  voi  li  avete  scorretti,  e  se  e'vi  danno 
de'  malanni,  perchè  Dio  vuole  che  ne  facciate  la  penitenza  ». 

Raccomandava  poi  incessantemente  alle  madri  d' aver  l' occhio  alle 
figliuole  e  in  casa  e  fuori:  voleva  chele  giovani  per  le  strade  e  in  Chiesa  prece- 
dessero, «  perchè  gli  è  pericolo  non  aver  la  figliuola  giovanetta  avanti  gli  occhi, 
per  le  paure  notturne  che  dai  cattivi  uomini  non  siano  corrotte  mentre  non 
hanno  custodia.  Nella  figliuola  che  si  volta,  dice  l'Ecclesiastico  sta  in  guardia,  ac' 
ciocche,  trovata  l'occasione,  non  usi  male  di  se  medesima  ».  (/)  (Sulla  1  di  San  Gio- 
vanni, pred.  IX.)  Voleva  il  nostro  buon  Frate  che  i  figliuoli  e  le  figliuole  ri- 
parassero presso  il  padre  e  la  madre  come  presso  una  siepe  di  mirti.  Nella 
predica  XXXIV  esponendo  Zaccaria,  ne'  mirteti  al  versetto  8  del  cap.  I,  vede 
appunto  i  padri  e  le  madri  adornati  di  virtù  che  danno  buon  esempio,  per  il 
quale  ammaestrano  i  figliuoli,  e  soggiunge:  «  Quando  il  padre  e  la  madre  sono 
buoni,  i  figliuoli  e  le  figliuole  si  riposano  sotto  quella  ombra  e  pigliano  buon 
esempio....  » 

Ed  oltre  l'istruzione  e  l'educazione  religiosa,  il  Savonarola,  come  già  si  può 


0)  Eccles.  p.  I.  c.  XXVI.  v.  13. 


—  234  — 


raccogliere  assai  bene  da  quanto  abbiamo  detto  ne'  capitoli  antecedenti,  voleva 
che  i  genitori  si  pigliassero  cura  di  far  dare  loro  l'istruzione,  diremmo  cosi, 
letteraria;  e  a  provar  questo  basterà  qui  aggiungere  un  passo  semplicissimo 
analogo  a  quello  già  citato  nel  capit.  IX:  (*)  «  Voi  padri  fate  imparare  a'  vostri 
fanciulli  grammatica,  e  che  si  tengano  per  maestri  delle  scuole  uomini  buoni  e 
casti,  non  giuocatori;  che  abbino  fede  e  che  per  i  poeti  non  guastino  poi 
ogni  cosa.  Fate  che  non  vi  siano  buche,  nè  cantoni  per  le  scuole;  chè  non 
si  faccia  quivi  qualche  male;  e  vorrebbesi  che  non  si  leggessero  per  le 
scuole  poeti  cattivi  come  è  Ovidio,  de  arte  amandi,  Tibullo,  nè  Catullo  e  si- 
mili, nè  Terenzio  dove  parla  di  quelle  meretricole.  Leggete  San  Girolamo, 
Sani'  Agostino,  Virgilio  e  qualche  cosa  di  Scrittura  Santa.  E  dove  voi  maestri 
trovate  in  quei  vostri  libri  di  poesie  Giove,  Plutone,  dite  loro:  figliuoli  miei;  que- 
ste sono  favole,  e  mostrategli  che  Dio  solo  è  quello  che  regge  il  mondo  ». 
(Sopra  Amos  e  Zaccaria,  pred.  HI  ;  cfr.  anche  la  pred.  XXVIII.)  In  questi 
precetti  come  già  notammo  a  pag.  96,  precorse  di  molto  il  tempo  suo;  e 
il  lettore  che  volesse  averne  conferma  legga  la  bella  conferenza  del  Biagi  : 
La  vita  privata  dei  fiorentini  (2)  ove  sono  citate  le  parole  di  Paolo  di  Ser  Pace, 
§  79,  che  dà  le  norme  per  l' istruzione  delle  donne:  «  S'  ella  è  fanciulla  fem- 
mina ponla  a  tucire  e  non  a  leggere,  chè  non  istà  troppo  bene  a  una  femmina 
saper  leggere  se  già  non  la  volessi  far  monaca  ».  Nel  Savonarola  dove  trovate 
un  precetto  cosi  esclusivo? 

Una  cosa  ancora  e  poi  basta:  I  fratelli  devonsi  amare  a  vicenda,  questa 
è  verità  molto  saputa,  come  è  saputo  che  i  genitori  devono  amare  i  figli  e 
tutti  ugualmente,  o  almeno  secondo  i  meriti  loro  e  ognora  senza  specialità. 
Ora  il  nostro  Frate  raccomandava  appunto  ai  genitori  che  si  prendessero  guar- 
dia neh' amare  più  l'uno  che  l'altro  de' figliuoli,  che  non  facessero  nascere 
discordie  fra  loro.  Savissimo  consiglio  anche  questo.  (Sopra  Amos,  V.) 

Nè  il  buon  Frale,  parlando  della  società  domestica,  dimenticava  la  società 
erile.  Lasciando  tutte  le  altre  cose  che  egli  dice  a  questo  proposito,  ci  basterà 
accennare  all'  obbligo  che  egli  faceva  ai  padroni  per  ciò  che  riguarda  la  cu- 
stodia morale,  di  curarsi  delle  serve  siccome  dovevano  curarsi  delle  proprie 
figliuole;  onde  nel  citato  sermone  IX  sulla  I  di  San  Giovanni  soggiungeva  clie 
quanto  insegnava  della  custodia  filiale  si  aveva  appunto  da  intendere  anche  per 
le  serve  giovani;  «  le  quali  si  debbono  avere  in  questo  conto  come  le  figliuole: 
le  serve  giovani  vadano  avanti  alle  serve  più  vecchie,  o  almeno  così  presso  alla 
padrona  che  non  possano  male  usare  se  medesime,  nè  con  cenni,  nè  con  pa- 
role. E  so  io,  madonne,  che  in  questo  è  gran  difetto.  Voi  mandate  qua  e  là  le 
vostre  serve  giovani,  e  nascono  molti  scandali;  non  ti  fidar  del  marito,  nè 
del  figliuolo,  nè  di  alcun  uomo  che  sia  in  casa;  ferma  la  custodia  sopra  la 
serva  tua;  e  non  dire:  la  è  buona,  perchè  i  cattivi  parlamenti  corrompono  i 
buoni  costumi;  1'  uomo  parla  a  quella,  e  son  le  sue  parole  più  morbide  che 


(')  V.  Hoprn  a  png.  95. 

(•)  Voi.  La  vita  italiana  nel  rinascimento,  I'.  L  Storia,  p.  90. 


l'olio,  e  esse  sono  coltelli  ».  E  nella  XL1I  sopra  Amos  e  Zaccaria  è  ancor  più 
incisivo  il  nostro  educatore:  «  Io  vi  ho  a  ricordare  una  cosa,  perchè  intendo  le 
serve  vostre,  che  sono  giovani,  voi  le  lasciate  andar  sole,  donde  ne  nasce  molti 
inconvenienti:  io  vi  avviso  che  voi  dovete  tenerle  quanto  a  questa  parte  della 
castità,  come  figliuole.  E' si  vorria,  che  gli  Otto  ci  provvedessero.  E  voi  fan- 
ciulli, quando  le  trovate  su  questi  cantoni  a  parlare  con  questi  ribaldi,  gridate 
loro;  e  le  serve  rimandatele  a  casa.  Voi  che  siete  padroni  e  padrone  di  que- 
ste serve  che  si  sviano  in  questo  modo,  siete  tenuti  a  confessarvi  di  questo 
peccato,  perchè  è  grave  ». 

Quante  altre  cose  vere  e  belle  non  mi  si  affollano  alla  mente!  Il  Savona- 
rola ne  ha  tante  da  formarne  un  volume.  Ma  devo  pur  giungere  alla  fine.  Il 
detto  mi  par  che  ad  ogni  modo  basti  all'  intento  presente;  affrettiamoci  z  tra- 
scriver qualche  cosa  de' doveri  dei  figli  verso  i  genitori. 

Ma  qui  non  sappiamo  davvero  da  quali  passi  incominciare,  e  ci  è  fatica 
straordinaria  il  dover  esser  brevi.  (*)  Ci  restringeremo  ad  ogni  modo  a  pochis- 
sime cose  rispetto  all'  amore  e  all'  obbedienza  che  il  Savonarola  inculca  ai  fi- 
gliuoli verso  il  padre  e  la  madre. 

Un  passo  aureo  che  potrebbe  bastar  per  molti  si  legge  nella  XXII  sopra 
Amos:  «Dio  ne' suoi  comandamenti  dice:  Onora  il  padre  e  la  madre  tua.  Fi- 
gliuoli miei,  io  vorrei  che  voi  aveste  più  riverenza  a'  padri  e  madri  vostre,  e 
che  chiamaste  :  Messer  tale  mio  padre,  e  non  :  Piero  mio  padre,  come  si  fa  a 
Firenze,  massime  negli  uomini  dabbene.  Vorrei  che  voi  metteste  quest'  usanza 


[})  Il  Marchese  diceva  bellissimi  i  pensieri  del  Savonarola  intorno  la  pedagogia;  e  aveva 
certo  ogni  ragione  di  cosi  dirli.  A  noi  quasi  spiace  che  l'intento  dello  scritto  presente  c'im- 
pedisca di  raccoglierli  qui  ora.  I  consigli  poi  che  il  Frate  di  tratto  in  tratto  dava  ai  fanciulli 
e  giovinetti  sono  cosa  degna  d'ammirazione.  In  parte  l'abbiamo  già  visto  sopra  (V):  eccone 
qui  un  altro  piccolo  saggio:  «Or  su,  figliuoli  miei,  voi  volete  riformarvi:  alle  mani,  a  rifor- 
marsi. Voi  avete  inteso  quanta  gloria  dà  il  Signore  nostro  a  chi  lo  segue;  e  perchè  a  chi  lo 
segue  bisogna  patire  tribolazioni,  volendo  acquistare  merito  e  la  gloria  sua,  però  vi  dico 
elle  quando  qualcuno  di  questi  ribaldi  vi  seguitasse,  o  strignesse  in  qualche  luogo  per  farvi 
cadere  in  quel  maledetto  vizio,  lasciatevi  prima  morire  che  far  peccato:  io  dico,  figlioli 
miei,  lasciatevi  ammazzare  prima,  perchè  andrete  subito  in  paradiso».  (Sopra  Amos  e  Zac- 
caria, pred.  X.)  «  Or  su,  piglia  questi  documenti,  figliuolo  :  prima,  che  tu  tema  Dio,  e  datti  nel 
viver  bene,  e  confessati  spesso.  Secondo,  fa  questo,  se  tu  voi  diventare  buon  cittadino,  fa  che 
inai  dica  bugie;  perchè  chi  si  nutrisce  nelle  bugie,  quando  sarà  poi  grande,  andrà  su  nella 
bigoncia,  e  non  dirà  mai  la  verità.  Terzo,  non  tener  mai  parte  di  nessuno,  non  ti  curare  elio 
ti  sia  donato  nulla;  non  accettare  i  doni,  non  volere  danari:  fa  che  tu  sia  magnanimo:  di; 
che  voglio  io  fare  de'  presenti?  io  sarei  fatto  servo  di  colui.  Quarto,  fa  che  nelle  cose  della 
verità  tu  non  abbia  mai  paura:  fa  una  faccia  di  leone,  sta  forte,  acciocché  tu  non  abbia 
paura  di  fare  la  giustizia,  come  hanno  fatto  costoro....  »  (Sopra  Ezechiele,  XXIV.) 

I  passi  analoghi  sono  infiniti  nelle  prediche  del  nostro  Frate.  Egli  reclama  e  vuole  un 
posto  segnalato  fra  i  grandi  educatori  italiani.  E  anche  per  questo  ci  fanno  male  e  assai  le 
parole  scritte  dal  Pastor  esaminate  nel  testo.  Egli  avrebbe  invece  dovuto  scrivere  qualche 
bella  pagina  di  più  intorno  al  Savonarola  colà  dove  parla  di  Alessandro  Maciughi  Strozzi, 
di  Francesco  Datini,  di  Feo  Belcari,  di  Giovanni  Morelli,  di  Giovanni  Rucellai,  di  Vespasiano 
da  Bisticci,  di  Luca  Landucci  e  di  Giovanni  Dominici  e  di  altri  insigni  pedagogisti  italiani 
del  secolo  XV.  Anche  in  questa  bellissima  parte  il  suo  libro  sarebbe  riuscito  più  giusto  e 
completo  se  si  fosse  occupato  un  poco  di  Girolamo  Savonarola.  Certo  questi  reclama  e  vuole 
un  buon  posto  tra  i  pedagogisti  cristiani,  e  a  non  assegnarglielo  non  si  è  giusti  nè  equi. 


—  236  — 


in  Firenze,  e  che  voi  rendeste  riverenza  a'  vostri  padri,  e  consideraste  che  voi 
avete  l'esser  del  corpo  da  loro;  e  vorrei  che  ogni  volta  che  vedete  i  vostri  pa- 
dri, vi  cavaste  di  capo  e  inchinastevi.  E  anche  voi,  figliuole,  quando  in  casa 
vostra  passate  dinanzi  alle  vostre  madri,  vorrei  che  voi  gli  faceste  un  poco 
di  riverenza.  Sicché,  figliuoli  miei,  è  bene  portare  ogni  riverenza  al  padre 
e  alla  madre.  E  se  vi  percuotessero  qualche  volta  a  torto,  aver  pazienza; 
e  ubbidite  loro  in  tutte  quelle  cose  che  non  sono  contra  Dio  ».  E  nella  pre- 
dica XXIV  sopra  Ezechiele  dice  ancora  a'  figliuoli  che  siano  obbedienti  a'  buoni 
genitori  come  a  Dio.  E  ivi  stesso  raccomanda  loro  di  imitare  le  buone  opere 
de'  padri,  dicendo  che  se  noi  facciano,  lo  stesso  loro  gloriarsi  de'  genitori  sa- 
rebbe la  loro  condanna.  E  questi  concetti  il  Savonarola  con  leggerissime 
varianti,  li  ripete  spessissimo. 

È  notissimo  V  obbligo  naturale  che  i  figli  hanno  di  sovvenire  ne'  loro  bisogni 
i  genitori.  Invero  è  cosa  turpissima  che  il  padre  e  la  madre  vivano  nella  penu- 
ria, mentre  il  figliuolo  conduce  i  giorni  nell'agiatezza;  come  è  turpissimo  il  ve- 
dere i  vecchi  infermi  e  senza  forze  tollerar  la  fatica  per  campar  la  vita,  e  i 
figliuoli  sani  e  robusti  non  sovvenirli  dell'  opera  loro.  Fra  Girolamo  per  ciò 
gridava  con  tutta  ragione:  «  Il  figliuolo  è  tanto  obbligato  al  padre,  che  non 
potria  mai  satisfargli  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  pred.  XLVI);  e  però  con 
tutta  ragiono  diceva  egli  ai  fanciulli:  «  Sappi,  figliuolo,  che  non  solo  tu  sei 
obbligato  alla  obbedienza  del  padre  e  madre  e  agi'  inchini;  ma  a  sovvenirgli 
della  tua  fatica  e  alimentarli  come  hanno  allevato  te  con  la  loro  fatica.  Gli 
scribi  e  i  farisei,  i  quali  Cristo  riprende  nel  Vangelo,  non  osservavano  il  pre- 
cetto della  riverenza  paterna,  perchè  insegnavano  ai  figliuoli  che  offerissero  al 
tempio  la  roba,  e  a  questo  confortassero  i  padri  e  le  madri;  e  se  i  padri  loro 
dicevano  e  le  madri:  Noi  non  abbiamo  da  mangiare;  li  rispondevano:  Abbiate 
pazienza,  questo  presente  è  fatto  a  Dio,  il  quale  ci  ristorerà.  A  questo  modo 
i  farisei  toglievano  il  pane  di  mano  ai  loro  padri  e  madri  ». 

Si  può  adunque  trovar  predicatore  o  pedagogista  cristiano  che  parli  più 
corretto  e  meglio  del  Savonarola  ?  Forse  che  egli  è  men  retto  ne' limiti  che 
poneva  all'obbligo  dell'obbedienza?  Sentiamo  quali  erano  queste  restrizioni. 
Le  troviamo  nelle  stesse  prediche  ora  citate:  I  figliuoli,  notava  il  Savonarola, 
sono  uomini,  e  come  tali  hanno  un'anima  razionale  ed  un  corpo:  questo 
1'  hanno  da'  genitori,  quella  da  Dio  solo:  onde  se  il  padre  e  la  madre  vivono 
bene,  diceva  al  figliuolo:  «  Sii  loro  obbediente  come  a  Dio,  perchè  Dio  abita  in 
loro.  Ma  perchè  (soggiungeva)  è  maggiore  Iddio,  che  ti  ha  dato  tali  padri  e 
madri,  però  se  sono  cattivi,  se  sono  senza  devozione  e  senza  gusto  spirituale, 
devi  obbedire  loro  solo  nelle  cose  della  casa  e  nelle  cose  buone,  perchè  Dio  vuole 
così.  Omnia  quaecunque  dixerint  vobis  facite,  secundum  vero  opera  eorum  nolite 
facere:(l)  fate  quello  che  vi  dicono  di  bene,  ma  non  quello  che  fanno  loro. 
(Sopra  Ezechiele,  1.  c.)  Lo  stesso  dice  nella  XXII  sopra  Amos:  «  Se  i  genitori 


(')  Vang.  di  San  Matteo,  o.  XXIII,  v.  8.  Cfr.  li.  Taparelli ,  Saggio  teorico  di  Diritto  Naturale, 
Voi.  Il,  Diaaert.  VII.  cap.  Ili,  art.  V,  e  Berardi,  L'uomo  apostolico,  voi.  Ili,  pred.  XIV,  p.  221. 


—  237  — 


comandassero  cose  che  fossero  contro  Dio,  non  si  devono  obbedire,  ma  rinun- 
ciare allora  al  padre  terreno  per  il  celeste,  cioè  dire  al  padre  carnale  :  io  ti 
rinunzio  in  questo,  perchè  in  questo  io  ho  un  altro  padre  maggiore  di  te  cbe 
è  Dio  ».  Così,  per  venire  a  qualche  particolare:  «Se  il  tuo  padre  ti  dicesse: 
va',  giuoca;  e  a  te  figliuola  la  tua  madre:  va'  lisciati;  non  le  obbedire;  ma  di* 
con  reverenza  :  Padre,  in  questo  non  sono  obbligato  a  obbedirli,  ma  al  mio 
Padre  eterno  ».  Cosi  facendo  il  Savonarola  aveva  anche  speranza  che  i  figli 
richiamassero  a  savj  pensieri  i  genitori,  quando  non  fossero  perversi;  nel  caso 
contrario  consigliava  a'  figli  di  sopportare  in  pace  con  pazienza  e  rassegna- 
zione anche  le  percosse:  «  Dio,  ripete  il  Frate,  ti  renderà  una  corona  in  Pa- 
ra liso  ».  Ecco  tutta  la  teorica  del  Savonarola.  (')  Chi  cerca  di  condannarla  a 
me  pare  debba  lacerare  tutti  i  trattati  di  morale  cristiana  e  segnatamente  la 
Somma  e  le  altre  opere  di  San  Tommaso.  (2) 

Ma  chiudiamo  ornai  questo  capitolo,  che,  se  non  si  è  detto  tutto,  s'è  tutta- 
via detto  abbastanza  sia  per  ribattere  le  ingiuste  accuse  contro  il  Frate  nostro, 
sia  per  mostrare  eh'  egli  insegnava  appunto  1'  opposto  di  quanto  i  suoi  avver- 
sar] gli  rinfacciano. 


(')  Cfr.  anche  la  pred.  XXII  sopra  i  Salmi. 

(*)  Vedi  la  Somma  Teologia  di  San  Tommaso,  li-IT,  q.  CIV,  art.  V,  il  Quodl.  IT,  q.  V, 
a.  IX  e  più  altri  luoghi. 


XVI 


Se  Girolamo  Savonarola  eccedesse  nel  riprendere 

i  vizj  del  clero. 

Sommario. 

Accusa  ripetuta  da  molti.  —  Argomento  complesso.  —  Le  accuse  formolate  dal  Pastor.  —  Il 
Savonarola  non  eccedette  nel  lamentare  la  corruzione  della  società  nel  secolo  XV.  —  La 
Chiesa  di  Cristo  e  le  maldicenze  di  Fra  Girolamo  nel  Pastor.  —  Un  punto  serio,  e  un 
colloquio  col  P.  V.  Marchese.  —  I  Borgia,  C.  Cipolla  e  L.  Pastor.  —  Le  accuse  contro  il  clero 
nel  Savonarola  e  nel  Pastor.  —  Preterizione.  —  Pervertimento  del  clero  e  spirito  mondano 
dei  preiati  nel  secolo  XV.  —  La  Bolla  di  riforma  di  Alessandro  VI.  —  I  pellegrini  a  Poma 
nell'  anno  del  Giubileo  1500.  —  Tristi  parole  di  un  romano.  —  Conseguenze  e  osservazioni.  —  L'ac- 
cusa piglia  nuova  forma.  —  Il  Savonarola  riconosceva  il  bene  esistente  nel  secolo  XV.  —  Pazzia 
di  chi  crede  che  non  ci  sian  buoni.  —  Domande  contrarie.  —  Soluzione.  —  Il  profeta  Michea  in  cerca 
di  un  giusto.  —  Parum  pio  nihilo  reputatur.  —  Espressioni  da  non  intendersi  letteralmente.  — 
Asaph  e  David,  ossia  la  diversità  di  natura  e  la  grazia  divina.  —  Si  entra  nella  questione.  — 
Come  la  Chiesa  abbraccia  buoni  e  cattivi.  —  I  passi  terribili  del  Frate  s'  hanno  da  intendere 
de'  cattivi  e  gli  altri  de'  buoni.  —  Una  regola  di  ermeneutica  sacra.  —  Le  invettive  contro  il  clero. 

—  Difesa  già  fatta.  —  La  dignità  del  Sacerdozio  e  Girolamo  Savonarola.  —  U  Savonarola  non 
tira  al  particolare.  —  La  fama  di  prelati  e  la  salute  delle  anime.  —  Ogni  azione  di  Cristo  è  no- 
stra istruzione.  —  Ufficio  del  sapiente.  —  Le  magague  del  clero,  Fra  Girolamo  e  i  Padri  della 
Chiesa.  —  Esempi  di  San  Bernardo,  di  San  Pier  Damiani,  del  Crisostomo,  di  San  Tommaso.  — 
Il  sacco  di  Roma,  Fra  Girolamo  e  il  cardinal  Gaetano.  —  Le  lettere  di  Santa  Caterina  da  Siena 
«  i  sermoni  del  Savonarola.  —  Il  Savonarola  non  disse  male  di  Alessandro  VI.  —  Autodifesa. 

—  Dna  lettera  della  Signoria  di  Firenze.  —  Un'obbiezione  senza  fondamento  ributtata  con  il 
Pastor.  —  Conclusione. 


Un'  obbiezione  assai  grave  ripetuta  non  solo  dal  Pastor,  ma  da  molti 
non  passionati  punto  contro  il  Savonarola  ed  anche  da  alcuni  amici  e  ammi- 
ratori di  lui  e  favorevoli  alla  sua  causa,  è  1'  accusa  di  eccesso  di  zelo,  di  zelo 
passionato,  e  quasi  non  dissi,  fanatico.  Anche  ammettendo  tutta  la  buona  in- 
tenzione e  la  buona  fede  nell'ardente  Riformatore,  e  dando  per  dimostrato  che 
egli  non  eccedette  ne' singoli  casi  esaminati  nei  precedenti  capitoli,  chi  può, 
dicon  parecchi,  sostenere  che  non  eccedesse  e  mancasse  di  prudenza  per  molli 
lati?  Che  cosa  non  dice  egli  della  corruzione  generale  del  suo  tempo,  della 
corruzione  del  clero,  e  segnatamente  della  Curia  Romana,  e  della  scandalosa 


—  239  — 


vita  del  Papa?!  Per  lui  più  nessuno  faceva  bene,  non  vi  era  più  prete,  mè 
frate  buono,  e  Roma  era  divenuta  una  nuova  Babilonia,  ripudiata  da  Dio,  la 
Chiesa  era  caduta  per  terra,  era  fatta  meretrice....  !  !  Quel  non  veder  proprio 
nulla  di  buono  chi  lo  può  difendere  da  zelo  passionato  nel  severo  Domenicano? 
Ed  era  proprio  ufficio  suo,  scevro  da  intemperanza,  il  gridar  tanto  contro 
ogni  ordine  di  persone,  ed  il  voler  cambiar  la  faccia  a  tutta  Italia  e  a  tutta  la 
Chiesa?  Lo  zelo  buono  non  è  mai  senza  prudenza  e  appar  sempre  tempe- 
rato; ma  di  prudenza  non  si  mostra  punto  fornito  il  Frate  fanatico,  e  1'  auda- 
cia sua,  che  così  ha  da  chiamarsi  piuttosto  che  zelo,  non  conobbe  mai  limite 
alcuno.  Egli  è  un  esaltato;  e  anche  se  gli  volete  consentire  il  merito  delle 
buone  intenzioni,  dovrete  pur  convenire  che  con  1'  eccesso  guastò  l'opera  sua, 
e  quanto  di  buono  operò,  non  ebbe  perciò  uneffettodurevole.il  meno  che  si 
possa  dire  sarà  sempre  questo:  ad  un  eccesso  il  Frate  di  San  Marco  oppose 
un  altro  eccesso.  E  un  eccesso  sarebbe  apparsa,  quando  fosse  stato  possibile 
di  effettuarla  durevolmente,  anche  la  sua  riforma!  Che  giudizio  era  quel  voler 
nel  secolo  XV  ridurre  la  Chiesa  alla  semplicità  de'  tempi  primitivi,  e  quel  vo- 
lerla spoglia  di  ogni  maniera  di  beni  temporali?  Questo  era  almeno  affine  al- 
l' eresia  de'  Fraticelli,  ed  è  manifestamente  eccessivo. 

Così  parlano  alcuni,  anzi  molti,  i  quali  pure  hanno  parole  di  lode  per  Fra 
Girolamo.  Hanno  essi  ragione  in  nulla?  Come  si  deve  pensare  di  questi  loro  giu- 
dizj?!  Ecco  una  grave  questione  che  bisogna  risolvere,  se  vogliamo  che  la  figura 
del  Savonarola  appaia  integra,  e  non  resti  in  un  lato  in  brutta  penombra.  E  noi 
lo  faremo  nel  modo  migliore  che  ci  sarà  possibile.  L'argomento  però  è  complesso, 
ed  il  lettore  ci  permetterà  che  se  ne  dica  alquanto  a  lungo.  Qui  non  si  tratta  di 
risponder  solo  al  Pastor,  ma  anche  a  molti  altri;  nè  solo  di  distruggere,  sì  ben  an- 
che di  edificare.  A  procedere  con  qualche  ordine  esamineremo  prima  se  Fra  Gi- 
rolamo esagerasse  nel  vedere  il  male  che  deplorava  nella  Chiesa  nel  secolo  XV: 
poi  s'  egli  si  rendesse  reo  con  iscoprir  le  magagne  di  Alessandro  VI  e  dirne 
male  dal  pulpito,  e  se  eccedesse  nel  lamentar  la  corruzione  del  clero  in  gene- 
rale. Quindi  esamineremo  se  convenisse  all'ufficio  suo  di  predicatore  il  tentar, 
come  fece,  la  riforma  della  Chiesa;  e  finalmente  se  eccedesse  nella  riforma 
stessa,  s'  egli  volesse  cioè  una  Chiesa  differente  da  quella  voluta  da  tutti  i  buoni 
all'  età  sua  :  o,  che  è  lo  stesso,  una  Chiesa  differente  da  quella  che  voleva  Cri- 
sto e  volevano  gli  Apostoli,  ed  attraverso  i  secoli  hanno  sempre  voluto  tutti  i 
cattolici.  In  tutto  però,  sebbene  noi  intendiamo  qui  più  che  negli  altri  capitoli 
rispondere  a  molti,  terremo  pur  sempre  1'  occhio  a  preferenza  volto  verso  il  Pa- 
stor; nessuno  forse  è  più  severo  di  lui;  onde  confutando  il  Pastor  e  convin- 
cendolo di  inesattezza,  saranno  del  pari  confutati  anche  gli  altri  che  giudicarono 
come  lui  ;  confutati  e  convinti,  e,  speriamo,  anche  persuasi. 

Già  nell'  opuscolo  Del  disprezzo  del  mondo,  dice  il  Pastor,  «  il  fervente  gio- 
vane abbozza  un  orribile  quadro  de'  costumi  del  tempo  suo.  Del  bene  che  pur 
v'  era  in  copia,  pare  eh'  egli  ancor  nuovo  del  mondo  non  si  avvegga.  Egli  non 
iscorge  se  non  il  male  che  gli  ricorda  Sodoma  e  Gomorra.  Nel  primo  anno 
della  sua  vita  claustrale  il  Savonarola  compose  la  sua  celebre  canzone  De 


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ruina  Ecclesiae,  dove  ugualmente  vengono  descritte  le  sole  macchie  che  detur- 
pavano il  suo  secolo  ».  (Pag.  !22,  123.)  Mandato  in  Firenze  «  il  suo  zelo  pas- 
sionato non  lasciavagli  vedere  la  copia  del  bene  che  tuttavia  si  era  conservato; 
egli  non  iscorgeva  che  il  male,  contro  cui  sorse  con  tanto  zelo  impetuoso 
che  fin  dalle  prime  gli  alienò  l'animo  di  molti  ».  (pag.  ["l'i.)  «  Movendo  dalla 
falsa  idea  che  l' intera  società  fosse  corrotta,  non  vide  il  molto  bene  che  pure 
esisteva  in  gran  copia  ».  (pag.  137.)  All'intemperanza  del  rinascimento  con- 
trappose un'altra  intemperanza. 

Insomma,  a  dir  breve,  la  passione  e  1'  eccesso  sono  le  doti  proprie  dello 
zelo  del  Savonarola,  e  quindi  1'  opera  sua  non  poteva  produrre  frutti  durevoli. 
Per  questo,  tanto  l'accusa,  che  al  Savonarola  mosse  anche  il  Perrens,  d'es- 
sere inclinalo  a  veder  piuttosto  il  male  che  non  il  bene,  quanto  l1  accusa  di 
eccesso  di  zelo,  restano  assai  aggravate. 

Ma  noi  già  abbiamo  veduto  che  Fra  Girolamo  non  esagerava  punto,  se 
vogliam  credere  alle  cose  che  ci  narra  il  Pastor,  nel  parlare  della  corruzione 
dell'età  sua:  il  lusso,  l'usura,  la  frode,  la  mania  del  giuoco  e  dei  sollazzi, 
1'immoralilà  ne'ceti  superiori,  e  la  scostumatezza  de' principi  italiani,  il  liberti- 
naggio, le  cortigiane,  la  sodomia,  le  intemperanze  degli  umanisti,  la  mania 
per  le  antichità  pagane,  son  tutte  cose  dipinte  dal  Pastor  nel!'  introduzione 
del  suo  volume  con  caratteri  molto  più  foschi  di  quello  che  non  troviamo  fatto 
dal  Savonarola.  Certo  molto  bene  era  tuttavia  rimasto  nella  Chiesa  e  nella  so- 
cietà di  allora,  ma  nessuno  vorrà  negare  che  molta  fu  la  corruzione  della  so- 
cietà e  della  Chiesa  stessa  all'  epoca  del  rinascimento,  e  forse  quanta  fino  allora 
non  s'  era  mai  vista.  Nei  lamenti  adunque  del  Frate  nessuno  vorrà  notare  ec- 
cesso, tanto  meno  il  Pastor,  salvo  che  questi  non  voglia  essere  in  aperta  con- 
tradizione con  se  stesso,  perchè  evidentemente  ci  concede  che  la  società  in 
genere  era  pur  troppo  assai  più  guasta  di  quel  che  Fra  Girolamo  non  la  dipin- 
gesse dal  pulpito.  E  d'  altra  parte  il  Savonarola  non  trasse  mai  a  nessuno  in 
particolare;  ma  solo  si  contentava  di  condannar  i  vizj  in  generale  e  chiamare 
i  viziosi  a  penitenza,  unico  rimedio  per  salvar  essi  e  la  nostra  penisola  dal 
flagello  onde  s'  era  minacciati. 

E  parlando  del  guasto  nella  Chiesa,  dava  forse  neh'  esagerazione  il  buon 
Frate?  Fu  eccessivo  e  imprudente  nel  dipingere  i  mali  del  clero?  nell'  accen- 
nare alla  vita  immorale  e  scandalosa  dei  Prelati?  Molti  credono  di  sì:  e  il 
Pastor  è  certo  con  costoro,  poiché  non  dubita  di  condannare  apertamente  il 
nostro  Domenicano  per  non  aver  saputo  risparmiare  dalle  sue  maldicenze  la 
casta  Sposa  di  Cristo.  E  che  non  dice  egli  infatti  della  corruzione  della 
Chiesa  nelle  sue  prediche?  «  Fatti  in  qua  »  gridava  egli  «fatti  in  qua,  ri- 
balda Chiesa.  Io  ti  avevo  dato,  dice  il  Signore,  le  belle  vestimenta,  e  tu  ne 
hai  fatto  idolo.  I  vasi  desti  alla  superbia,  i  Sacramenti  alla  simonia,  nella  lus- 
suria sei  fatta  meretrice  sfacciata;  tu  sei  peggio  che  bestia;  tu  sei  un  mostro 
abominevole.  Una  volta  ti  vergognavi  de'  tuoi  peccati,  ma  ora  non  più.  Una 
volta  i  sacerdoti  chiamavano  nipoti  i  loro  figliuoli;  ora  non  più  nipoti,  ma 
figliuoli,  figliuoli  per  tutto.  Tu  hai  fatto  un  luogo  pubblico,  tu  hai  edificato  un 


—  241  — 


postribolo  per  tutto.  Che  fa  la  meretrice?  Ella  siede  sulla  sedia  di  Salomone, 
e  provoca  ognuno  ;  chi  ha  denari  passa  e  fa  quel  che  vuole,  chi  cerca  il  bene 
è  scacciato  via....  E  così,  o  meretrice  Chiesa,  tu  hai  fatto  vedere  la  tua  brut- 
tezza a  tutto  il  mondo,  e  il  tuo  fetore  è  salito  al  Cielo.  Tu  hai  moltiplicato  le 
tue  fornicazioni  in  Italia,  in  Francia,  in  Ispagna,  per  tutto».  (Pastor,  p.  355.) 

Si  potrebbero  dare  invettive  più  atroci?!  quanti  non  sono  i  passi  del  Savo- 
narola analoghi  al  presente,  e  anche  più  incisivi?!  Lasciando,  che  è  bello  il 
tacerne,  l'enumerazione  e  le  altre  cose  della  predica  XII  sopra  Amos  e  Zaccaria, 
(Pastor,  p.  353),  ha  forse  torto  lo  storico  d' Innsbrnck  quando  afferma  (p.  355) 
che  «nelle  prediche  recitate  la  quaresima  del  1497  le  accuse  contro  la  Chiesa 
di  Roma  formarono  il  tema  principale  del  Savonarola  »?  Pia  forse  torto  il  critico 
d' Innsbruck  quando  dice  contumeliose  le  prediche  del  Savonarola  specialmente 
le  recitate  V  anno  1496?  E  che  diremo  di  quelle  dette  la  quaresima  del  1498?! 
Or  chi  potrebbe  assolvere  il  Frate  di  eccesso  e  d'intemperanza?  Chi  potrebbe 
ritenerlo  per  fornito  di  prudenza?  E  un  uomo  senza  misura  e  senza  prudenza 
qual  bene  può  fare,  anche  se  animato  dalle  migliori  intenzioni?  E  nella  Apolo- 
gia de'  Frati  di  San  Marco  che  non  dice  del  guasto  degli  ordini  religiosi?  che 
non  dice  nelle  stesse  sue  prediche  non  solo  de'  frati,  ma  anche  dellé  monache?! 
Le  invettive  contro  il  clero  sono  così  fosche,  che  non  ci  par  possibile  che  altri 
fosse  tollerato  facendole  dal  pergamo. 

«  Già  nelle  prediche  dell'Avvento  del  14-93  il  Savonarola  inveiva  con  auda- 
cia che  passa  ogni  misura  contro  il  marcio  degli  ecclesiastici:  —  Con  Aristotile, 
Platone,  Virgilio  e  Petrarca,  solleticano  le  orecchie,  e  non  si  occupano  della 
salute  delle  anime.  Perchè,  invece  di  tanti  libri,  non  insegnano  quel  solo  dove 
è  la  legge  e  lo  spirito  della  vita?  L'  evangelio,  o  cristiani,  bisognerebbe  por- 
tarlo sempre  indosso:  non  dico  già  il  libro,  ma  lo  spirito  di  esso.  Che  se  tu 
non  hai  lo  spirito  della  grazia  e  tu  porti  indosso  1'  intero  volume,  non  ti  gio- 
verà a  nulla.  Oh  quanto  sono  più  sciocchi  ancora  quelli  che  s'empiono  il  collo 
di  brevi,  di  polizze  e  di  carte,  che  sembrano  botteghini  che  vanno  alla  fiera! 
La  carità  non  sta  nelle  carte.  I  veri  libri  di  Cristo  sono  gli  apostoli  e  i  santi; 
la  vera  lettura  sta  neh' imitare  la  vita  loro.  Ma  oggi  gli  uomini  sono  fatti  libri 
del  diavolo.  Parlano  contro  la  superbia  e  1'  ambizione,  e  sonvi  immersi  fino  agli 
occhi;  predicano  la  castità,  e  tengono  le  concubine;  comandano  che  si  digiuni, 
e  vogliono  splendidamente  vivere....  Costoro  sono  libri  disutili,  libri  falsi,  libri 
cattivi  e  del  diavolo,  perchè  esso  vi  scrive  dentro  tutta  la  sua  malizia....  Que- 
sti prelati  s'  estollono  delle  loro  dignità  e  disprezzano  gli  altri  ;  sono  quelli  che 
vogliono  essere  riveriti  e  temuti;  sono  quelli  che  cercano  le  prime  cattedre 
nelle  sinagoghe,  i  primi  pergami  di  Italia.  Costoro  cercano  la  mattina  di  essere 
trovati  in  piazza,  ed  essere  salutati,  ed  essere  chiamati  maestri  e  rabbi;  dila- 
tano le  fimbrie  e  filatterie  loro  (')  ;  sputano  tondo  ;  vanno  in  sul  grave  e  vogliono 
essere  intesi  ai  cenni....  Vedi  oggi  li  prelati  prostrati  coli'  affetto  in  terra  ed  in 


(')  Vangelo  di  San  Matteo,  cap.  XXIII,  v.  5-7. 


16 


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cose  terrene;  la  cura  delle  anime  non  è  più  loro  a  cuore  ;  basta  tirar  le  en- 
trale.... Nella  primitiva  Chiesa  erano  li  calici  di  legno  e  li  prelati  d'oro;  oggi 
la  Chiesa  ha  li  calici  d'oro  e  li  prelati  di  legno  ».  (Pastor,  pag.  127-128.)  (*) 

A  quali  espressioni  non  si  lasciò  trarre  quel  Frate  nelle  prediche  del 
1496?  «  Per  tutto  il  ciclo  di  queste  prediche  si  stende  la  intemperante  de- 
scrizione dei  vizj  di  Roma.  Se  anche  di  tratto  in  tratto  toccava  di  questioni 
politiche,  il  sodo  stava  sempre  nelle  sue  invettive  contro  la  curia  romana. 
Queste  crebbero  a  segno  da  gridare  :  Fuggitevi  da  Roma,  perchè  Babilonia 
vuol  dire  confusione;  e  Roma  ha  confuso  tutta  la  Scrittura,  ha  confuso  insieme 
tutti  i  vizj,  ha  confuso  ogni  cosa  ».  (Pag.  353;  conf.  la  pag.  362.) 

Nelle  sue  prediche,  o  meglio  nelle  sue  continuate  filippiche  quell'  infelice 
trattava  il  papa  più  malamente  che  se  fosse  un  turco,  tantoché  Alessandro  VI 
dovette  egli  stesso  con  1'  oratore  fiorentino  dolersi  che  la  Signoria  di  Firenze 
tollerasse  che  questo  Frate  aggredisse,  minacciasse,  vilipendesse  in  guisa 
inaudita  lui  Papa,  e  lo  ingiuriasse  e  disprezzasse....  «  Il  passo  contro  i  figliuoli 
de'  preti  di  sopra  trascritto  è  rivolto  proprio  contro  Alessandro  VI  ».  (2) 
(P.  356).  Che  si  può  dire  di  più  audace  ed  imprudente?  Non  è  zelo  questo,  ma 
fanatismo  ;  e  se  è  zelo,  è  zelo  passionato....  eccessivo  e  del  tutto  condannabile 
in  un  predicatore  savio,  in  un  religioso!! 

Qui  mi  trovo  innanzi  ad  un  punto  il  quale  mi  ha  sempre  dato  seria- 
mente da  pensare.  Io  lo  ricordo  come  fosse  ora:  in  uno  degli  ultimi  colloquj 
che  ebbi  col  Padre  Vincenzo  Marchese  (3)  gli  espressi  il  desiderio  di  studiare  la 
riforma  ecclesiastica  tentata  da  Fra  Girolamo:  egli  levò  le  braccia  verso  il 
cielo,  giunse  le  palme,  e  «  Figlio  mio,  disse,  a  difendere  in  questo  campo  Fra 
Girolamo,  bisogna  mostrare  tante  infamie,  svelare  tante  lordure!...  »  E  pro- 
nunciò quesle  parole  con  modo  e  forza  tale  da  farmi  credere  eh'  egli  amava 
meglio  che  restasse  un  po'  di  nebbia  attorno  alla  santa  memoria  del  suo  Frate, 
piuttosto  che  rompere  la  parete  e  mostrare  l'abbominazione  di  Gerusalemme.... 
Egli  aveva  forse  allora  anche  riguardo  alla  mia  giovinezza...!  «  Ma  il  tempo,  mi 
soggiungeva,  farà  poi  certamente  giustizia....  la  causa  del  Savonarola  cammina: 
ma  a'  cattolici  torna  amara  la  sua  completa  rivendicazione,  se  lo  consideriamo 
levato  contro  il  guasto  nella  Chiesa  e  alle  prese  co'  vizj  del  clero  ».  Quanta 
delicatezza  di  coscienza!  E  io  gli  credei:  perchè  anche  un  altro  uomo  inte- 
merato, narrando  la  storia  delle  Signorie  Italiane,  (4j  giunto  a  parlare  del  Bor- 
gia, scriveva:  «  Coli'  animo  addolorato  noi  ci  facciamo  a  parlare  de' fatti  de- 
plorabili e  che  mostrano  come  la  caducità  dell'  uomo  sia  divisa  dalla  santità 
impersonale  della  Chiesa  e  del  Pontificato  ».  (Pag.  671.)  E  sopra  non  pochi 


(')  Queste  citazioni  tratte  dallo  prediche  Rul  salmo  Quam  bonus  sono  state,  come  tante 
altro  del  Pastor,  da  lui  trascritte  dal  Villari;  V.  voi.  I,  p.  194  e  seffg. 

(2)  Il  Villari,  voi.  II,  p.  4,  nota  1,  osserva  :  «Qui  è  chiaro  che  s"  allude  ad  Alessandro  VI 
il  qualo,  senza  pudore,  scriveva  e  parlava  de'  suoi  figli  ». 

(3J  II  P.  Vincenzo  Marchese  dei  Predicatori  mori  santamente  in  O enova  il  di  24  Reu- 
naio  1891. 

C)  C.  Cipolla,  Le  sifinoric  italiane  dal  1800  al  1660 •  Milano  1881. 


—  243  - 


degli  avvenimenti  che  pur  lo  storico  era  costretto  a  narrare,  certo  avrebbe 
amato  meglio  qnesl'  autore  tirare  un  velo  e  andar  oltre!  Ma  il  velo  non  lo 
tirò  il  Pastor  nella  storia  dei  Papi;  la  parete  fu  rotta  e  tutta  si  mostrò  1'  abbo- 
minazione  di  Gerusalemme.  Noi,  mettendo  da  parte  ogni  scrupolo,  non  abbiamo 
se  non  che  da  lodarlo.  Occultare  il  male  qui  non  giova  ;  se  il  marcio  vi  è,  è 
meglio  che  sia  schiettamente  svelato  non  solo  dai  nemici  della  Chiesa,  ma 
anche  dai  cattolici. 

Le  cose  che  leggiamo  nel  Savonarola  contro  la  corruzione  del  clero  in 
generale  e  di  Roma  in  particolare  son  gravi,  non  lo  neghiamo;  ma  non  gravi 
almeno  più  di  quelle  che  si  leggono  nel  Pastor.  Siamo  tenuti  ad  usar  riguardo 
ai  nostri  lettori;  ma  l'obbligo  della  difesa  ci  costringe  a  trascrivere  qui  qual- 
che periodo:  essi  vedranno  da  sè  che  aveva  ragione  il  Frate  allorché  affer- 
mava che  egli  non  diceva  tutto  il  male  che  sapea  esistere  nella  Chiesa  di  Dio. 

Ci  avvisa  innanzi  tutto  il  Pastor  che  «  1'  eccessivo  entusiasmo  per  1'  anti- 
chità produsse  in  molti  una  debilitazione  del  sentimento  religioso  »  :  della  me- 
scolanza di  paganesimo  e  cristianesimo  ci  dà  le  prove  parlando  di  «  una  rac- 
colta di  poesie  dell'  epoca  di  Alessandro  VI  contenenti  una  serie  progressiva 
di  epigrammi  i  quali  in  prima  celebrano  la  Madonna  e  molte  Sante  Vergini,  e 
tutto  di  seguito,  senza  osservazione  alcuna,  glorificano  le  cortigiane  di  quel  tempo. 
Le  Sante  del  Cielo  e  le  pulzelle  di  Venere  venivano  senza  più  schierate  1'  una 
accanto  all'  altra  come  donne  famose  ».  Nota  altresì  non  esser  di  troppo  se  si 
afferma  che  la  imitazione  degli  antichi  presso  i  seguaci  del  falso  rinascimento 
non  cristiano  crebbe  fino  alla  manìa  (pag.  95).  Biasima  l'introduzione  della 
fraseologia  pagana  e  dell'  elegante  stile  umanistico  nelle  cose  ecclesiastiche  e 
nella  stessa  scienza  teologica  (pag.  96-97),  ed  accenna  alle  molte  superstizioni, 
che,  con  l'astrologia,  affliggevano  allora  gl'Italiani,  (pag.  99  e  seguenti).  Ma 
di  tutto  questo  già  abbiamo  detto  di  sopra  e  però  ora  ce  ne  passiamo.  Nel- 
l'introduzione al  libro  del  Pastor  i  lettori  avranno  di  che  saziarsi.  Lasciamo  di 
notare  come  lo  storico  d'Innsbruck  ci  insegni  che  nel  falso  rinascimento  s'era 
andati  tanto  oltre,  che  «  con  tutta  pietà  venne  proposto  che  dopo  la  pericope 
domenicale  del  vangelo  si  leggessero  brani  degli  scritti  di  Platone  »  :  lasciamo 
tuttociò  che  dice  non  pur  de' Platonici,  ma  e  degli  Aristotelici  e  degli  Averroisti, 
e  delle  massime  pericolose  che  eseguivano  (pag.  103-104  e  seguenti).  Nè  diciamo 
del  modo  onde  molti  predicatori  annunciavano  la  parola  di  Dio  (pag.  122).  A 
prova  della  temperanza  del  nostro  Frate  ci  basterà  di  trascrivere  poche  cose 
che  il  Pastor  dice  di  proposito,  dopo  d'  aver  parlato  del  Macchiavelli,  del  «  per- 
vertimento del  clero  »  e  dello  «  spirto  mondano  della  Santa  Sede  e  de'  Cardi- 
nali ».  (Pag.  114.)  «  Non  avvi  dubbio  che  una  gran  parte  del  clero  italiano  dal 
Frate  mendicante  fin  su  alla  cima  suprema,  aveva  la  sua  buona  colpa  di  quasi 
tutti  i  malanni  fin  qui  descritti.  Quanto  più  intimamente  la  Chiesa  era  venuta 
crescendo  insieme  con  tutta  la  vita  pubblica  e  sociale,  tanto  più  anch'  essa 
ne'  suoi  membri  e  rappresentanti  venne  minacciata  da  pericoli  e  infella  dalla 
corruttela  del  mondo.  Egoismo,  superbia,  cupidigia,  le  quali  si  manifestarono 
nella  inaudita  accumulazione  di  prebende  e  nella  simonia,  nello  sfarzo  e  nella 


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vita  godereccia,  nel  raffinato  e  grossolano  godimento  sensuale,  avevano  tro- 
vato fra  gli  uomini  di  chiesa  una  larga  diffusione.  Della  gravità  del  male  son 
testimonj  i  lai  spaventosi  di  contemporanei  e  fatti  moltissimi  ed  evidenti....  » 
(pag.  114).  «  La  disciplina  ecclesiastica  nel  clero  su  su  fino  ai  primissimi  gradi 
era  rilassata  all' estremo,  ed  eziandio  in  mezzo  al  clero  regolare  e  secolare  an- 
davano vieppiù  prendendo  radice  disordini  e  dissolutezze  d'  ogni  ragione.  11 
sale  della  terra  era  scipidito.  Ora  dove  la  purezza  di  costumi  svanisce,  anche  la 
fede  non  rimane  incorrotta.  Al  che  si  aggiunse  1'  azione  del  falso  rinascimento 
a  tirar  molti  su  vie  torte.  Preti  indegni  su  questo  taglio  erano  quelli  che  ad 
Erasmo  e  Lutero  venuti  a  Roma  al  tempo  di  Giulio  II  porsero  occasione  alle 
loro  rimostranze  senza  dubbio  esagerate.  Ingiusto  è  peraltro  il  credere  che  il 
marcio  del  clero  sia  stato  proprio  in  Roma  più  grande  che  mai;  per  quasi 
tutte  le  città  della  penisola  italiana  abbiamo  documenti  a  provare  la  deprava- 
zione del  clero.  In  certi  luoghi,  p.  e.,  in  Venezia  le  condizioni  erano  assai 
peggiori  che  in  Roma.  Che  in  mezzo  a  tali  contingenze  in  molti  luoghi  venisse 
affatto  a  cessare  l'  efficacia  e  il  rispetto  dello  stato  sacerdotale,  come  il  deplo- 
rano moltissimi  de'  contemporanei,  è  cosa  spiegabilissima.  La  immoralilà  nel 
clero  era  così  grande  e  pressoché  universale,  che  si  elevarono  delle  voci  chie- 
denti il  matrimonio  de'  preti.  Contro  uno  scritto  di  tal  natura  Roderico  de 
Sancla  Ella  compose  una  trattazione  da  lui  dedicata  al  Papa  Sisto  IV.  Indi- 
cibilmente tristi  erano  le  condizioni  in  molti  conventi:  in  tanti  di  questi  i  tre 
voli  essenziali,  castità,  povertà  ed  obbedienza,  non  erano  punto  osservati .... 
Anche  nei  chiostri  di  monache  la  disciplina  era  assai  rilassata  ».  (Pag.  115-117.) 
Nè  qui  stava  il  tutto  secondo  il  Pastor.  «  Il  peggio  era  che  eziandio  la  Santa 
Sede  non  andò  immune  da  tale  pervertimento.  Il  vivere  secolaresco  principia 
in  essa  con  Paolo  II  ;  cresce  sotto  Sisto  IV  e  Innocenzo  Vili,  e  tocca  il  suo  apice 
sotto  Alessandro  VI,  il  quale  colla  sua  vita  scostumata  contaminò  turpemente 
la  sede  del  principe  degli  Apostoli.  11  depravamento  de' costumi  a  quell'epoca 
dette  nell'occhio  anche  ad  osservatori  stranieri,  come  il  cavaliere  Arnolfo 
De  Harff  ».  (Pag.  115.) 

«  Un  quadro  invero  rattristante  ci  presenta  anche  la  vita  di  molti  cardi- 
nali, vescovi  e  prelati  di  quel  tempo,  i  quali  radunavano  nelle  loro  mani  bene- 
fizj  sopra  benefizj  e  senza  riguardo  si  davano  tutti  ad  una  condotta  non  punto 
ecclesiastica,  sì  anzi  mondana  e  peccaminosa.  Il  cangiamento  in  male  nel  sa- 
cro Collegio  intervenne  sotto  il  pontefice  Sisto  IV.  Durante  il  governo  d'Inno- 
cenzo VIII  il  guasto  crebbe  a  tale  che,  dopo  la  sua  morte,  per  corruzione, 
potè  venire  eletto  con  denaro  un  Alessandro  VI.  Quali  uomini  depravati  fra  i 
Borgia  entrassero  nel  senato  della  Chiesa,  ce  lo  mostra  un'  occhiata  alla  vita 
di  un  Ippolito  d'  Este,  Francesco  Iloris,  Cesare  Borgia  ed  altri.  Soltanto  sotto 
il  pontificalo  di  Giulio  li  cominciò  almeno  in  parte  un  miglioramento  delle  cose, 
sebbene  ancor  egli  insignisse  della  porpora  uomini  indegni,  quali  erano  Sigi- 
smondo Gonzaga  e  Francesco  Alidosi.  Non  fu  che  alla  metà  del  secolo  deci- 
mosesto  che  nel  Collegio  cardinalizio  tornò  a  prevalere  lo  spirito  strettamente 
ecclesiastico  ».  (Ivi.) 


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E  già  il  Pastor  dietro  il  titolo  del  II  volume  e  poi  a  pag.  8  del  medesimo, 
ci  ha  fatto  conoscere  1'  allocuzione  che  il  dotto  umanista  Domenico  de'  Dome- 
nichi  vescovo  di  Torcello  tenne  a'  cardinali  eh'  erano  per  entrare  nel  conclave 
onde  uscì  Papa  Pio  II  (1458).  Or  che  non  diceva  già  allora  il  pio  oratore? 
«  Esortava  gli  elettori  a  deporre  ogni  ambizione,  finzione  e  discordia,  sfer- 
zando fortemente  in  ispecie  quel  primo  vizio.  —  Oh  quanti  si  sarebbero  per 
l' addietro  tenuti  paghi  della  più  piccola  chiesetta,  laddove  aspirano  oggi  a' pri- 
missimi posti  nella  Chiesa  o  alla  signoria  del  mondo  !!....  —  Faceva  poi  notare 
l'importanza  dell' elezione,  segnatamente  a  rispetto  della  miserabile  condi- 
zione di  allora.  —  I  principi  terreni,  esclama,  sono  fra  di  loro  in  guerra  e  con- 
tro la  propria  carne  dirigono  quelle  armi  che  dovrebbero  brandire  contro  ai 
Turchi.  Miuno  valse  a  rappaciarli.  I  costumi  del  clero  sono  corrotti  e  son 
divenuti  scandalo  a' laici;  ogni  ordine  è  sparito.  Di  giorno  in  giorno  la  rive- 
renza verso  la  Chiesa  si  fa  minore,  il  potere  delle  sue  censure  sembra  presso 
che  morto.  Chi  1'  ha  di  bel  nuovo  riscossa?  La  Curia  Romana  è  in  molte  cose 
deformata:  chi  l'ha  deformata  »?  (Voi.  II,  pag.  8.) 

Come  si  può  quindi  condannare  il  Savonarola  se  lamentava  i  medesimi 
mali,  allorché  la  mondanità  nella  Curia  e  nel  clero  era  giunta  all'estremo?! 

Ma  a  che  andar  cercando  prove  che  il  Savonarola  non  diceva  altro  che 
la  verità,  se  queste  ci  sono  date  evidentissime  da  Alessandro  VI  nella  bolla  di 
riforma  pubblicataci  dal  Pastor  medesimo,  e  pur  troppo  rimasta  in  abbozzo  ? 
(Pag.  342-343.)  Che  non  raccoglie  da  essa  lo  storico  d' Innsbruck?!  «  Gli  or- 
dinamenti di  questa  bolla  ci  mostrano  quali  abusi  fossero  entrati  nel  Sacro 
Collegio,  e  ancor  più  a  fondo  ci  lasciano  vedere  nelle  condizioni  scompigliate 
gli  ordini  riguardanti  gì'  impiegati  ponlificj,  i  quali  si  permettevano  delle  esor- 
bitanze.... La  bolla  vuole  abolita  anche  la  venalità  degli  ufficj.  Altre  serie  ma- 
gagne mettono  a  nudo  gli  statuti  concernenti  le  spettanze  e  le  riservazioni  ; 
inoltre  quelle  contro  i  concubinarj.  In  quest'  ultimo  rispetto  venne  sancito  che 
ogni  prete,  anche  prelato  di  primi  gradi,  debba  entro  dieci  giorni  dopo  esami- 
nata la  bolla  di  riforma,  metterla  in  esecuzione....  » 

Ma  non  se  ne  fece  nulla  ;  «  via  via  »  osserva  il  nostro  critico  «  tornarono 
a  ridestarsi  a  forza  raddoppiata  le  tendenze  al  nepotismo  ed  il  demone  della 
sensualità  spense  tutte  le  migliori  commozioni!!  Le  ultime  cose  diventarono 
adesso  più  brutte  assai  che  le  prime»!!!  (Pag.  343.) 

Non  senza  profonda  tristezza  un  cattolico  legge  ciò  che  il  Pastor  dice  a 
pagina  443!  Siamo  al  grande  giubileo  del  1500;  e  da  ogni  banda  peregrini 
spinti  da  vera  pietà  traevano  a  Roma  «  dove  tante  cose  dovevano  offendere  ben 
addentro  i  loro  sentimenti  religiosi.  Anche  gente,  come  Sigismondo  de' Conti, 
non  guari  avverso  ai  Rorgia,  non  potevano  proprio  di  quei  giorni  celare  la  loro 
disapprovazione  quanto  al  nepotismo  di  Alessandro  eccedente  ogni  misura. 
Cesare  allora  abbisognava  di  molto  danaro  per  le  imprese  della  Romagna,  e 

il  Papa  senza  un  riguardo  al  mondo  gli  diede  le  rendite  del  giubileo    » 

Nè  diversa  era  la  Roma  degli  anni  immediatamente  anteriori ....  come  ricorda 
ivi  il  Pastor.  Quale  impressione  non  si  ha  nelle  parole  che  il  Vettori  intese  da 


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un  romano,  il  quale  stava  al  servizio  del  cardinale  Briconnet?  «  Se  mi  domandi 
perchè  io  abbia  lasciala  Roma,  ti  rispondo  che  noi  altri  romani  siamo  buoni 
cristiani  ed  abbiamo  udito  e  letto  che  la  fede  cristiana  è  stata  fondata  col  san- 
gue dei  martiri  sui  buoni  costumi,  e  confermata  da  tanti  miracoli,  cosicché 
sarebbe  impossibile  che  un  romano  dubiti  della  fede.  Io  sono  stato  anni  parec- 
chi in  Roma,  ed  ho  visto  !a  vita  de' prelati  e  de' grandi  ;  e  se  mi  fossi  fermato 
più  a  lungo,  avrei  avuto  paura,  non  solo  di  perder  la  fede,  ma  di  diventare  un 
epicureo  e  di  mettere  in  dubbio  l'immortalità  dell'anima  ».  (Pag.  443,  nota  2.) 

Ora  chi  potrà  condannare  il  Savonarola  quando  diceva  eh'  era  difficile 
a'  religiosi  vivere  a  lungo  in  Roma  co'  gran  maestri  e  co'  prelati,  senza  correr 
pericolo  di  guastarsi  e  perdere  il  buono  spirito,  e  quando  condannava  coloro 
che  questa  vita  cercavano,  che  1'  amavano,  e  l'avrebber  condotta  volentieri?  (*)■ 
Il  Pastor  ci  ha  offerto  anche  qui  1'  assolutoria  del  Frate  di  San  Marco.  Pur 
troppo  era  vero  e  reale  e  ben  conosciuto  da  tutti  il  male  che  Girolamo  Sa- 
vonarola lamentava  nella  Chiesa,  negli  ordini  ecclesiastici  e  religiosi,  pur  troppo 
era  vero  il  guasto  che  egli  lamentava  in  Roma. 

Così  foss'  egli  qui  stato  eccessivo  ed  esagerato ....  !  Ma  che  sono  mai 
le  sue  severe  ed  incisive  parole  in  confronto  della  realtà?  Se  penso  ch'egli 
era  agitato  da  zelo  ardentissimo,  che  parlava  con  calore,  che  si  trovava  in 
mezzo  a'  mali  che  voleva  correggere  e  che  gli  guastavano  1'  opera  della  sua  ri» 
forma,  io,  ripetendo  le  parole  che  gli  dicevano  gli  amici:  —  Ma  padre,  voi  non 
dite  la  centesima  parte!  —  (predica  del  15  febb.  1498),  mi  meraviglio  ch'egli  non 
sia  andato  più  oltre  nè  abbia  usato  parole  ancor  più  gravi,  parole  almeno 
uguali  a  quelle  che  con  lo  stile  e  la  freddezza  dello  storico  trecent' anni  dopo 
scrive  Lodovico  Pastor! 

Ma  andiamo  oltre,  chè  la  via  è  lunga.  Sia  adunque  prosciolto,  mi  par  di 
sentir  dire,  il  Frale  di  San  Marco  per  il  male  che  egli  vedeva  nello  scorcio  del 
secolo  XV;  ma  che  perciò?  non  di  questo  propriamente  noi  lo  accusiamo: 
ma  di  non  aver  visto  il  molto  bene  che  pur  vi  era ....  Qui  sta  1'  eccesso,  nel- 
1' aver  visto  tutto  guasto  e  corrotto  e  niente  sano  e  integro.  Questa  è  l'accusa 
ripetuta  sovente  dal  Perrens,  dal  Pastor  e  da  molli  cattolici.  Questa  è  1'  ac- 
cusa, diciamo  noi,  ripetuta  da  chi  non  ha  letto  Fra  Girolamo  o  non  lo  ha  letto 
bene.  Chi  1'  ha  letto  bene  pensa  il  contrario.  Anzitutto,  chi  erano  coloro  a'quali 
rivolse  dapprima  il  Savonarola  la  sua  predicazione  della  semplice  fede  del  lume 
soprannaturale?!  I  buoni;  lo  ripete  egli  sovente.  Dunque  egli  non  credeva  che 
proprio  tutti  fosser  corrotti.  E  che  cosa  scrive  poi  a  Stefano  da  Codiponte  nella 
lettera  che  abbiamo  di  sopra  riportata?  (2)  Che  nel  mondo  vi  furono  sempre 
tristi  e  buoni,  e  che  il  medesimo  era  allora;  e  insiste  nell' affermare  che  i 
frati  del  convento  dove  si  trovava  questo  fervente  novizio  eran  buoni,  anche 


(')  Sopra  questo  punto  il  Savonarola  è  stato  difeso  (nè  ó  possibile  far  meglio)  da  Tom- 
maso Neri  domenicano,  neWApolouia  della  doltrinadel  Savonarola  ;  Firenze,  1561,  a  pagina  78- 
e  seguenti,  nè  è  più  il  caso  d'ajjgiuugorvi  parole. 

0  Vedi  sopra  p.  171. 


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se  per  avventura  alcuno  paresse  il  contrario.  Dunque  il  Savonarola  non  cre- 
deva che  tutti  fosser  guasti  e  sapeva  veder  sopra  la  terra  de'  buoni  anche 
in  quella  infelice  età.  E  nelle  sue  prediche  poi  e  ne'  suoi  scritti,  specialmente 
negli  spirituali,  si  volge  molto  spesso  a'  buoni,  e  li  conforta  a  star  saldi  e  a 
praticar  la  fede,  assicurandoli  ognora  che  finiranno  con  il  trionfare.  E  tra 
i  buoni  e  di  Firenze  e  d'Italia  annovera  uomini,  donne,  fanciulli,  che  avevano  ad 
esser  la  semente  di  que' che  venivano;  preti,  frati,  monache,  che  avevan  da  far 
rifiorire  nel  clero  e  nelle  religioni  lo  spirito  buono  e  la  vita  degli  antichi  padri. 
E  nella  sua  terribile  predica  da  noi  citata  più  volte,  fatta  il  15  febbraio  1498 
in  San  Marco  ai  soli  sacerdoti  religiosi  e  secolari,  ove  lamenta  con  amarissime 
parole  il  guasto  di  molti  chierici,  egli  dice:  «  Io  volevo  parlare  alli  miei  preti  e 
sacerdoti  buoni....  »  :  «  Io  parlo  de' cattivi,  e  con  riverenzia  di  questi  buoni  sacer- 
doti ».  Or  che  valore  avrebber  le  sue  parole,  se  egli  credeva  che  tutti  fosser 
guasti  e  corrotti?  se  egli  avesse  visto  tutto  brutto  nell'Italia  d'allora?  A  me 
pare  strano  che  certe  affermazioni,  senza  fondamento  alcuno  di  verità,  si  siano 
potute,  non  pur  formulare,  ma  quasi  generalizzare.  Ditemi:  non  erano  buoni  al- 
meno quelli  i  quali  in  Firenze  e  fuori  volevano  la  riforma  del  Savonarola? 
Ora:  credeva  egli  che  fosser  pochi  i  cosiffatti  pronti  come  lui  a  predicare  la  verità 
della  fede  e  la  semplicità  della  vita  cristiana  e  a  risanare  il  clero  nella  parte 
guasta,  e  a  riformare  i  costumi  del  popolo?  Sentiamo  le  sue  parole:  «  E' sono 
dei  buoni  in  ogni  religione  ....  Io  ti  dissi  questi  giorni  che  egli  era  acceso 
questo  fuoco  in  tanti  luoghi  e  in  ogni  religione,  e  scoppierà  ....  »  (Sopra 
Amos  e  Zaccaria  XXVII.)  E  infatti  nella  predica  XXI  aveva  detto  che  tutta 
Italia  s'  era  commossa  alla  sua  predica  e  che  non  poteva  gettar  per  terra 
l'opera  della  riforma,  ma  che  essa  sarebbe  andata  innanzi  ad  ogni  modo; 
perchè  era  opera  di  Cristo.  E  quand'  anche  seguisse  che  egli  fosse  cacciato 
di  quella  città,  era  sicuro  che  la  riforma  non  si  arresterebbe;  e  invitava  a 
scrivere  a  Roma  che  quel  fuoco  e  quel  lume  era  attaccato  in  tanti  luoghi, 
in  tutte  le  religioni,  e  si  sarebbe  suscitato  in  molta  gente;  e  si  sarebbero 
sollevati  molti  contro  di  loro  medesimi  e  del  loro  ordine,  ne'  quali  era  ac- 
ceso questo  fuoco.  E  seguiva  confidentemente  e  audacemente:  «Va,  scrivilo 
a  Roma  e  dì:  E'  dice  quel  Frate  che  tu  faccia  quanto  tu  vuoi.,  Roma,  chè  tu 
non  spegnerai  questo  fuoco:  e  se  tu  ne  spegnerai  uno,  ne  verranno  fuori 
degli  altri  e  più  forti  che  questo  e  susciterassene  per  tutta  Italia  di  questi 
fuochi  e  susciterassene  ancora  a  Roma,  benché  sieno  ancora  occulti.  Io  ti 
dico:  che  vi  è  acceso  di  questo  fuoco  in  vescovi,  in  prelati  e  cardinali;  che 
vi  è  anche  qualche  cardinale  che  difende  questa  verità;  è  acceso  questo  fuoco 
in  diverse  parti  d' Italia,  in  gran  maestri  secolari,  che  quando  sarà  il  tempo 
la  scoppierà  fuori  questa  verità,  e  io  anche  n'  ho  lettere  da  certi  gran  maestri 
che  io  non  ti  voglio  dire  al  presente,  che  sono  contenti  metterci  la  vita  per 
questa  verità.  E  scrivi  che  io  invito  tutti  gli  savj  di  Firenze,  di  Roma  e  di  tutta 
Italia  a  disputare  questa  verità,  e  se  loro  superano  me  e  quelli  che  son 
meco  in  questa  verità,  son  contento  cedere  e  anche  a  morire,  se  biso" 
gna.  E  pinglinla  per  qual  modo  vogliono  questa  disputa:  o  voglionla  far  con 


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ragione  o  per  altri  mezzi,  che  non  ti  voglio  dire  adesso,  chè  a  tutto  sono  appa- 
recchiato, o  vogliono  per  via  naturale,  o  per  via  soprannaturale  ».  (Sopra  Amos 
e  Zaccaria  XXI.) 

Chi  scriveva  e  predicava  cosi  non  aveva  occhi  per  vedere  il  bene  che  re- 
stava tuttavia  nella  Chiesa  sullo  scorcio  del  secolo  XV?!  Egli  diceva  sovente  che 
molti  buon'  erano  in  Italia;  e  di  tratto  in  tratto  per  mostrare  l'ingratitudine  del 
popolo  cristiano  che  non  voleva  convertirsi,  ripeteva  che  Dio  usava  misericordia 
e  invitava  al  bene  e  con  buoni  predicatori  e  mediante  la  recordazione  de'santi 

passati,  e  ancora  mediante  i  buoni  esempi  di  quelli  che  son  vivi   (Sopra 

Amos  XVI;  sopra  il  Salmo  Qtiam  Bonus  XII.)  E  questo  pensiero  era  tanto  caro 
al  Savonarola  e  davagli  tanta  importanza  che  vi  poetò  anche  sopra: 

O  anima  cecata, 


Astrologi  e  profeti. 
Omini  dotti  e  santi, 
Predicator  discreti, 
T'han  preditti  i  tuoi  pianti  ; 

Deh!  mille  grazie  e  doni 
Che  Dio  t'  ha  conceduti, 
E  gran  pensieri  boni 
Nel  cor  ti  son  venuti  : 
Quanti  divini  aiuti  ! 


(Poesia  II.) 

Sapete  che  cosa  pensava  il  nostro  Frate  di  coloro  che  tenevano  che  tutto 
fosse  corrotto  e  più  nulla  vi  fosse  di  bene  nel  mondo?  Sentitelo  da  lui  con  le 
sue  parole:  «Noi  predicammo  l'altra  volta  ai  cattivi,  e  stamani  tocca  ai  buoni. 
—  0  Padre,  quali  sono  questi  buoni?  —  lo  credo  che  ce  ne  siano  molti  buoni, 
ma  il  cattivo  che  non  vuole  fare  bene  perde  anche  il  cervello,  come  io  t'  ho 
detto  altre  volte  ;  e  non  crede  che  nessuno  sia  buono,  ed  è  simile  ad  uno  paz- 
zo. Siccome  dice  Salomone,  che  il  pazzo  va  per  la  via  e  vede  gli  altri  uomini, 
e  crede  che  ognuno  sia  pazzo  come  lui  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  XIII.) 

Nè  ha  predicazione  nella  quale  non  raccomandi  che  si  preghi  Dio  perchè 
voglia  aiutare  i  buoni  e  i  retti  di  cuore,  e  diceva  spesso  col  profeta:  Benefac 
Domine  bonis  et  rectis  corde.  (£)  A  che  ciò,  se  al  mondo  non  vedeva  altro  che 
perversi?! 

Ma  perchè  dunque,  ci  dicono,  egli  insiste  tanto  a  dir  male  della  Chiesa,  e 
gridare  che  la  Chiesa  è  gettata  a  terra  e  distrutta?  Le  cose  che  dice  qui  il  Sa- 
vonarola, non  pur  da'suoi  avversarj,  ma  anche  da'suoi  ammiratori  si  tengono 


(*)  Salmo  124,  v.  4. 


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per  un  prodotto  di  zelo  malinteso,  che  accecava  lo  stesso  predicatore:  se  in- 
fatti dicono  essi  stessi,  non  esisteva  più  Chiesa  di  Dio,  (l)  che  cosa  predicava 
egli?  chi  era?  da  chi  aveva  la  missione?  Molte  delle  cose  che  dice  per  esempio 
nella  predica  XXIII  sopra  il  salmo  Quarti  Bouts  non  sono  un  suo  malignare? 
non  sono  poco  meno  di  quello  che  dicono  Lutero  e  Calvino  e  in  generale  i  pro- 
testanti? Come  si  spiegano  queste  cose? 

Prima  di  rispondere  a  queste  domande,  vorrei  farne  alcune  anch'io:  Che 
vuol  significare  il  Savonarola  nella  stessa  predica  XXIII  sopra  il  Salmo  Quam  Bo- 
nus, allorché,  dopo  aver  fatto  un  quadro  così  brutto  della  Chiesa,  dopo  aver  gri- 
dato ch'essa  è  nelle  mani  de'  diavoli,  de' tiranni,  de' cattivi  prelati,  che  è  piena 
d'  animali,  piena  di  bestie,  leoni,  orsi  e  lupi  che  1'  hanno  tutta  guasta,  dopo 
tutto,  la  chiama  pur  Chiesa  del  Signore?  E  volgendosi  al  Signore  il  buon  Frate 
grida:  «Non  vedi  tu,  Signore,  la  nostra  tribulazione  ?  Ti  se'  tu  dimenticato  della 
Chiesa  tua?  EU'  e  pur  la  sposa  tua!  Non  la  conosci  tu?  1'  è  quella  medesima  per 
la  quale  tu  discendesti  nel  ventre  di  Maria,  per  la  quale  tu  pigliasti  carne  uma- 
na, per  la  quale  tu  patisti  tanti  obbrobrj,  per  la  quale  tu  volesti  versare  il 
sangue  tuo  in  croce;  dunque  la  t'  è  costata  assai,  Signore,  e  però  noi  ti  pre- 
ghiamo che  tu  venga  e  presto  a  liberarla  ....  Vieni  ....  »  Che  voglion  dire 
tutte  queste  cose?  E  ancora  ivi  nella  predica  VII  dice  che  «  la  Chiesa  ci  mostra 
con  esempio  quello  che  ella  c'  insegna  con  parole;  e  che  1'  ha  fondata  Cristo  per 
comandamento  del  Padre,  mediante  la  sua  dottrina,  mediante  i  suoi  miracoli, 
mediante  gli  esempi  de'  santi,  della  sua  innocentissima  vita.  E  poi  in  croce 

morendo  1'  offerse  monda  al  padre  suo    La  Chiesa  è  l' arca  sopra  la 

quale  siede  Dio,  siede  Cristo.  La  Chieza  di  Cristo  è  fatta  di  molti  uomini  santi 
uniti  insieme  per  fede  e  amore;  è  la  congregazione  de'  giusti  che  sono  pietre  vive 
composte  insieme  dalla  carità  (2) —  quelli  che  appartengono  alla  Chiesa  di  Cristo 
sono  mondi,  puri,  casti  di  dentro  e  di  fuori,  perchè  nè  in  mente  ritengono  al- 
cuna inonesta  fantasia,  e  fuora  nel  parlare  riluce  tutta  castità,  mondezza  e  pu- 
rità   » 

Or  queste,  e  molte  altre  cose  bellissime  che  ivi  dice  il  Frate  della  Chiesa 
di  Cristo,  che  vogliono  significare?  E  che  vuol  dire  ancora  che  nella  poesia 
della  Buina  della  Chiesa  egli  raffigura  essa  Chiesa  in  una  vergine  casta?  E 
nella  predica  XXVIII  sopra  Amos  che  ci  vuol  dire  il  nostro  Frate  quando  af- 
ferma che  la  Chiesa  è  fruttuosa  come  terra  buona?  E  che  vuol  dirci  quando 
ripete  che  la  Chiesa  di  Cristo  è  santa,  ed  era  allora,  quale  fu  sempre  e  che  si 
manterrebbe  fino  alla  fine  del  mondo  ?  eh'  essa  salea  tutti  quelli  che  sperano 
in  Cristo?  !  E  sopra  Ruth  e  Michea,  che  voleva  mai  significare  il  nostro 
Frate  mostrandoci  la  Chiesa  nella  donna  biblica  vestita  di  sole,  cioè  di  lume 


(*)  Vedi  nell'  edizione  di  Piato,  1816,  la  nota  a  pag.  568  alla  predica  XXIII,  sopra  il 
Salmo  Quam  Bonus. 

(s)  Qui  è  manifesto  che  il  Savonarola  intende  della  Chiesa  il  senso  propriissimo,  come 
spiega  più  sotto  a  pag.  251f  e  questo  senso  si  distingue  dal  proprio  che  è  di  congregazione,  di 
tutti  i  fedeli. 


—  250  — 


di  fede;  coronata  da  dodici  stelle,  ossia  dalla  dottrina  de' dodici  Patriar- 
chi e  de'  dodici  Apostoli,  con  la  luna  sotto  i  piedi,  cioè  che  calpesta  gli 
affetti  delle  cose  di  questo  mondo,  le  quali  questa  Chiesa  ha  posto  sotto  i  piedi 
e  disprezzati?!  E  che  voleva  dirci  con  molte  altre  espressioni  tutte  purezza  e 
tutte  santità  riferite  alla  Chiesa?  Per  ogni  passo  che  voi  mi  recate  in  cui  il  Savo- 
narola par  che  voglia  la  Chiesa  di  Cristo  invecchiata  e  disfatta,  io  ve  ne  posso 
recar  dieci  in  cui  si  canta  la  perpetua  gioventù  della  Chiesa,  e  la  sua  indeffet- 
tibilità,  anzi  il  suo  progresso  sopra  la  terra  fino  al  dì  del  giudizio,  quando 
trionferà  in  cielo  gloriosa.  Che  risponderemo  dunque?  come  si  conciliano  le 
opposte  affermazioni?!  Leggiamo  nella  predica  XXII  tra  le  fatte  l'anno  1496: 
«  Il  profeta  Michea  andava  cercando  se  trovava  un  uomo  giusto  e  santo 
che  si  opponesse  all'ira  di  Dio,  e  che  con  i  suoi  preghi  e  co'  suoi  meriti  lo  pla- 
casse: e  cercato  tutto,  non  lo  trovò.  (i)  Il  Profeta  ha  cercato  tutto,  e  final- 
mente, non  trovando  un  uomo  santo  e  giusto  che  possa  placare  la  ira  di  Dio 
lamentandosi  dice:  Misero  a  me,  chè  io  sono  andato  cercando  qualche  uomo 
giusto  e  non  l'ho  trovato;  io  sono  diventato  come  colui  che  va  cercando  nel- 
1'  autunno  dopo  la  vendemmia  se  e'  trova  nessuno  grappolo  che  sia  buono  da 
mangiare.  L' anima  mia  ha  desiderato  di  trovare  qualche  fico  buono:  quasi 
dica:  Non  ho  potuto  adempiere  questo  mio  desiderio,  non  ho  trovato  nessuno. 
Per  la  qual  cosa  il  profeta  conclude  e  dice:  Io  non  ho  trovato  uomo  santo, 
giusto  in  terra;  e' non  ci  è  alcuno  che  vada  retto  di  cuore  a  Dio.  E' sono  morti 
tutti  i  santi.  Ohimè,  dice  il  profeta,  chè  io  non  ci  ho  trovato  pure  un  uomo 
retto  ». 

Qui  giunto  il  nostro  Frate  dice  molto  opportunamente:  «  Nota  che  il  pro- 
feta parla  qui  per  iperbole,  chè  bene  ne  era  qualcuno,  ma  erano  molto  pochi, 
e  tanto  pochi  che  erano  quasi  niente,  quia  parimi  prò  nihilo  reputatur  ». 

Adunque  qui  già  appare  che  alcune  espressioni  recise  ed  assolute  nella 
forma  non  dobbiamo  intenderle  letteralmente,  ma  prenderle  nel  loro  giusto 
valore  morale.  Sono  espressioni  enfatiche,  iperboliche,  se  vi  piace,  prodotte  dallo 
zelo  ardente  che  divorava  1'  autore,  e  non  proposizioni  di  precisione  metafi- 
sica! Nella  stessa  predica  XXIII  sopra  il  salmo  Quam  Bonus,  che  dà  pur  tanto 
dadire  ad  alcuni,  e  che  pare  scandalizzasse  anche  qualche  savonaroliano,  il 
nostro  Frate  ci  preavvisa  ed  invita  a  stare  attenti  a  non  fraintendere.  Ivi  intro- 
duce a  lamentare  i  mali  della  Chiesa  Asaph  e  Davidde  uomini  di  natura  diversa 
e  zelanti  lutti  e  due,  e  dopo  dì  aver  esposto  una  bella  quanto  vera  teorica  della 
grazia  e  della  natura,  segue,  e  dice  al  popolo  di  non  scandalizzarsi  di  Asaph  il 

quale  pareva  troppo  collerico  «  Piglia  le  parole  terribili  e  severe  di 

Asaph  in  buona  parte,  perchè  procedono  da  zelo,  e  la  grazia  divina  lo  faceva 
parlare  con  zelo,  come  faceva  parlare  David  con  dolcezza  e  mansuetudine.  Onde, 
(piando  tu  vedi  gli  uomini  buoni  desiderare  che  venga  il  coltello  e  la  peste  e  la 
fittnc  e  gli  altri  flagelli  di  Dio,  non  te  ne  scandalizzare;  perchè  lo  fanno  per 
zelo  della  Chiesa  di  Dio;  e  non  ti  scandalizzare  adunque  quando  tu  hai  certi  pre- 


(')  Michea,  o.  VII,  v.  1  e  2,  cf.  David,  sai.  13,  v.4,  e  sai.  52,  v.  3,  ed  Ecclesiaste  c.  VII,  v.21. 


—  251  — 


lati  severi  (dico  a  te,  religioso),  perchè  molte  volte  quello  che  dicono  e  fanno  è 
tutto  zelo;  e  tu  popolo  non  ti  scandalizzare  quando  tu  vedi  qualcuno  in  magi- 
strato, come  sarebbe  de'  Signori  o  degli  Otto,  che  è  buono  e  fa  1'  ufficio  suo, 
non  dico  ingiustamente,  nè  crudelmente,  ma  severamente  e  rigidamente,  e 
vuole  che  s'osservino  le  leggi  e  li  capitoli  che  trova,  e  non  perdona  così  facil- 
mente; di  questi  tali  dico  non  te  ne  scandalizzare,  perchè  vien  da  zelo.  E  voi, 
figliuoli  miei,  non  vi  scandalizzale  delli  padri  vostri  e  delle  madri  vostre  quando 
vi  puniscono  degli  errori  che  voi  fate,  quando  non  vi  lasciano  la  briglia  sul 
collo,  come  fanno  molti,  perchè  viene  dall'  intenso  amore  che  vi  portano,  e 
vorrebbero  che  voi  foste  buoni  e  costumati;  e  tu  altro  non  ti  scandalizzare  di 
San  Girolamo  che  parea  sempre  iracondo  nello  scrivere  a  Ruffino  e  a  San- 
t' Agostino,  perchè  tutto  procedeva  da  zelo  ». 

Di  qui  appare  adunque  anche  più  chiaro  che  molte  espressioni  del  Savo- 
narola non  vogliono  generalizzarsi:  ma  dirle  effetto  di  zelo  e  non  più:  e  ammi- 
rarle, non  come  frutto  di  zelo  eccessivo,  ma  santo  e  sdegnoso  che  vorrebbe 
rimovere  dalla  Chiesa  ogni  male. 

Ma  fin  qui  non  siamo  ancora  entrali  veramente  nel  vivo  della  questione. 
Di  chi  parla  Fra  Girolamo  quando  usa  le  terribili  espressioni  di  ruina?  Di  chi 
quando  le  opposte?  Ecco  due  domande  importanti.  Mi  risponderete  che  parla 
sempre  deila  Chiesa,  e  nell'  uno  e  nell'  altro  caso.  Che  è  dunque  la  Chiesa  per 
il  Savonarola?  Se  fosse  solo  la  congregazione  de'  buoni  legati  insieme  dalla 
carità,  il  dirne  male  sarebbe  da  pazzo;  se  fosse  solo  gregge  de' cattivi,  piena 
di  odio  e  di  vizj,  le  belle  espressioni  che  ne  celebrano  le  doti  chi  le  intende- 
rebbe?! Ecco  adunque:  «  Quale  sia  la  Chiesa  cattolica  sono  tra  i  teologi  di- 
verse opinioni;  ma  lasciamo  andare  queste  dispute,  e  diciamo  così:  —  La 
Chiesa  cattolica  si  chiama  propriissime  quelli  cristiani  che  vivono  bene  e  hanno 
la  grazia  di  Dio,  e  manco  proprie  son  quegli  che  hanno  solamente  fede  ». 
Questo  dice  il  Savonarola  nella  XLV1II  sopra  Amos  e  Zaccaria  e  ripete  altrove 
molto  spesso.  (2) 

Ecco  dunque  ciò  che  si  ha  da  dire:  quando  il  Savonarola  usa  espressioni 
forti  ed  amare  di  condanna,  intende  parlar  de'  tristi  che  sono  nella  Chiesa,  e 
quando  usa  tante  belle  espressioni,  intende  parlar  de'  buoni.  Nè  questa  è  cosa 
che  noi  diciamo  di  nostro  capo,  ma  è  dal  Frate  medesimo  mille  volte  almeno 
ripetuta:  se  il  Pastor  avesse  letto  la  predica  sopra  Ezechiele  alla  quale  appar- 
tiene il  passo  da  lui  sopra  citato  non  avrebbe  certo  inflitto  biasimo  al  Savona- 


(')  La  coscienza  delicata  del  Savonarola  appare  qui  assai  chiara:  sebbene  sia  univer- 
salmente consentito  che  anche  i  peccatori  battezzati  ohe  non  han  perduta  intieramente  la 
fede  nè  rotto  ogni  legame  con  la  Chiesa,  appartengono  al  corpo  della  Chiesa  medesima,  e 
però  la  sua  definizione  soprascritta  sia  verissima,  ciò  non  pertanto  soggiunge  ivi:  «  A  chia- 
rire quale  sia  questa  Chiesa  cattolica  me  ne  riferisco  sempre  a  Cristo  e  alla  determinasi  ohe 
della  Chiesa  Romana  ».  Se  il  lettore  amasse  vedere  chiosata  ampiamente  questa  definizione, 
lo  rimando  all'-4poiO(/ia  citata  di  Tommaso  Neri  alla  pag.  25  e  seguenti,  nè  v'aggiungo  altro. 

(')  Cfr.  San  Girolamo,  Omelia  I  sopra  Ezechiele  e  cap.  I  del  Commento  sopra  1'  Epist. 
ai  Galati. 


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rola,  imperocché  egli,  così,  senza  accorgersene,  biasima  anche  San  Girolamo  e 
dimentica  una  regola  di  ermeneutica  sacra  che  il  Frate  aveva  ognora  presente, 
come  vedremo  fra  poco.  Pronunciate  le  terribili  parole,  si  fa  ad  obiettare: 
«  Oh!  tu  hai  detto  che  la  Chiesa  è  una  meretrice.  Oh!  Padre,  la  Chiesa  è  san- 
ta! Che  hai  tu  detto?!  »  Ma  subito  risponde:  «  Tu  sei  uno  sciocco;  guarda 
San  Girolamo  qua  sopra  Ezechiele  che  dice:  Queste  cose  possiamo  riferirle  alla 
Chiesa.  (')  Or  va,  studia  e  poi  dì  coteste  cose.  E  nota  questa  regola  che  si 
chiama  chiave  della  Scrittura;  che  la  Chiesa  ha  il  corpo  mislo  de'  buoni  e 
de' cattivi;  e  questo  nome  Chiesa  si  piglierà  quando  per  i  buoni  e  quando  per 
i  cattivi  ».  (Sopra  Ezechiele,  pred.  XXII;  cf.  la  XXIII.)  (?) 

E  nella  predica  XIV  sopra  Amos  e  Zaccaria  con  riguardo  speciale  alla 
Chiesa  di  Roma,  esponendo  i  primi  versetti  del  V  di  Amos  dice  terribilmente  : 
«  La  casa  d' Israele  è  caduta;  ella  è  ruinata,  ella  è  per  terra.  Questo  fu  detto 
e  veduto  dal  nostro  profeta  sopra  Israele;  e  poiché  ogni  cosa  avveniva  loro  in 
figura,  che  diremo  noi  de'  fatti  nostri?  che  diremo  della  rinnovazione  della 
Chiesa  che  vi  è  stata  predetta?  che  ne  credete  voi?  io  vi  dico  che  questa  è 
assoluta  e  non  può  mancare  e  sarà  ad  ogni  modo.  —  Del  flagello  che  ne  dì  tu, 
Frate?  Tu  hai  detto  che  la  penitenza  è  il  rimedio  a  non  lo  lasciare  venire.  —  Egli 
è  vero  che  io  1'  ho  detto;  ma  che  ne  credi  tu  che  e'  faccino  penitenza?  Io  non 

10  credo  già  io,  e  però  anche  questa  è  assoluta  quanto  a  Dio,  benché  quanto 
alle  seconde  cause  sia  condizionala.  Or  su,  diciamo  adunque  noi  come  dice  qui 

11  nostro  profeta:  La  casa  d' Israele  è  caduta:  la  casa  della  chiesa  di  Cristo  è 
caduta.  La  Chiesa  è  come  una  casa,  e  1  fondamenti  suoi  sono  Cristo,  i  Santi 
Apostoli  e  i  Martiri  sopra  i  quali  è  fondata  questa  Chiesa;  ma  questi  fonda- 
menti sono  in  cielo,  e  hanno  il  tetto  in  terra.  Chi  vuole  bene  fondarsi  nella 
fede,  faccia  i  fondamenti  della  casa  sua  in  cielo;  ma  noi  abbiamo  fatto  i  fon- 
damenti in  terra  alle  case  nostre,  e  il  tetto  vogliamo  che  sia  in  cielo.  La  non 
va  bene;  e' non  ci  è  fede;  questa  nostra  casa  è  caduta,  e  sono  separati  i  fon- 
damenti dal  tetto,  la  fede  vera  è  quasi  spenta  e  massime  ne' capi  de'  quali  al- 
cuni 1'  hanno  come  rinnegata,  altri  v'  hanno  mille  dubitazioni  dentro  e  mille 
dispute.  Altri  hanno  la  fede,  ma  informe,  cioè  senza  opere;  queste  mura  adun- 


(')  Le  paiole  del  cap.  XVI  di  Ezechiele  a  cui  si  allude  son  queste:  «  Fai  sapere  a  Ge- 
rusalemme le  sue  abbominazioni....  Queste  cose  dice  Iddio  a  Gerusalemme:...  Superba  di 
tua  bellezza  ti  disonorasti  quasi  padrona  di  te  ed  esponesti  la  tua  disonestà  ad  ogni  pas- 
seggero per  darti  a  lui....  È  ella  leggera  cosa  la  tua  fornicazione?...  Ti  fabbricasti  dei 
lupanari,  alzasti  postriboli  per  tutte  le  piazze,  a  ogni  capo  di  strada  tacesti  il  seguo  di  tua 
prostituzione  e  abbominabile  rendesti  la  tua  beltà....  aggiungesti  fornicazione  a  fornicazione 
per  irritarmi....  In  qual  modo  purificherò  il  tuo  cuore....  mentre  queste  opere  tutte  tu  fai  pro- 
prie di  donna  meretrice  e  procace?...  O  meretrice,  ascolta  la  parola  del  Signore....  Farò  giu- 
dizio di  te,  come  di  adultera  e  di  sanguinaria....  Tua  sorella  maggioro  è  Samaria....  la  tua 
minor  sorella  è  Sodoma,  ecc.  ».  E  san  Girolamo  nell'esposizione  di  questo  terribile  capitolo 
ripete  più  volte:  La  parola  t:  rivolta  alla  nostra  Gerusalemme,  ossia  alla  Chiesa;...  tuttociù  clic  si 
dice  ili  Gerusalemme  si  riferisce  alla  Chiesa,  ecc.,  intendendo  sempre  dei  cattivi,  e  specialmente 
dei  Prelati  scandalosi  «  che  deturpano  collo  opere  la  lor  dignità  e  corrompono  i  laici  col- 
l' esempio  dei  loro  vizj  ».  Libro  V,  sopra  Ezechiele.  Ed.  maurina  1704,  v.  Ili,  col.  797,  ecc. 

(:)  Ep.  I  ai  Corinti,  C.  X,  v.  11. 


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que  di  questa  casa  sono  cadute:  le  sono  per  terra,  percliè  non  ci  è  più  calcina 
che  colleglli  insieme  queste  pietre,  cioè  non  ci  è  più  carità  che  unisca  insieme 
i  cuori  umani.  E  però,  essendo  dissoluto  ogni  cosa  senza  amore  e  senza  carità 
il  muro  della  fede  è  andato  per  terra.  La  casa  adunque  d' Israele  è  caduta:  la 
casa  d' Israel,  cioè  Roma,  è  caduta  nei  peccati.  E  non  tornerà  a  risorgere:  e 
non  risorgerà  a  penitenza,  perchè  ella  è  riprovata  per  la  ostinata  malizia,  per 
la  grande  moltitudine  di  peccati  che  sono  in  lei.  La  Vergine  di  Israele  è  stata 
buttata  per  terra,  e  non  è  chi  la  resusciti,  ne  chi  la  rilevi  su.  Questa  Chiesa 
Romana  per  il  tempo  passato  è  stata  sempre  vergine;  e  ora,  parlando  della 
Chiesa  Romana  in  sè,  è  ancora  vergine  nella  fede:  ma  al  presente  per  Roma 
intendiamo  i  cattivi  di  Roma,  ostinati  nel  mal  vivere,  e  che  sono  senza  fede. 
Questa  Roma  dunque,  cioè  questi  cattivi,  hanno  persa  la  fede:  Roma  dunque 
ha  fornicato  ed  è  gittata  nella  terra  sua;  cioè  nella  terra  del  diavolo,  ne'  pec- 
cati; e  non  ci  è  alcuno  huono  che  voglia  suscitarla  e  levarla  su  e  riavere  l'onore 
di  Dio,  che  è  gittato  a  terra,  e  morire  per  quello;  e  però  dice  il  Signore  Iddio 
queste  parole  per  rispetto  di  tanti  peccati,  anche  la  fede  e  la  Chiesa  è  tutta 
guasta;  la  città,  che  dava  mille  uomini,  rimarrà  con  cento;  e  quella  che  ne  dava 
cento  resterà  con  dieci  nella  famiglia  d' Israele  ;  cioè  io  manderò  tanta  pesti- 
lenza, tanta  guerra,  tanta  carestia,  tanta  fame  e  tanto  esercito  da  tutte  quattro 
le  parti  del  mondo,  che  di  quella  casa  e  di  quella  città  che  ne  uscivano  mille, 
ve  ne  rimarranno  cento;  e  di  quella  che  ne  uscivano  cento  ve  ne  rimarranno 
dieci  ;  così  dice  qui  il  testo  nostro.  Io  non  dico  già  il  numero  determinato, 
perchè  non  lo  so;  pur  dico  questo,  che  sarà  tanto  grande  la  tribulazione  e 
tanti  ne  morranno  che  forse  di  dieci  non  ne  rimarrà  uno  :  credi  almeno  che 
si  rarificherà  la  brigata  mollo  bene.  Ma  per  ora  esponiamo  questo  testo  misti- 
camente. Il  numero  di  dieci  significa  coloro  che  osservano  i  dieci  comanda- 
menti, cento  significa  coloro  che  hanno  la  perfezione  de' comandamenti  e  della 
fede,  e  di  questi  non  se  ne  trova  molti  e  questi  sono  quelli  che  rimarranno, 
massime  quanto  alla  maggior  parte  ». 

Chi  si  sente  di  dar  qui  torlo  al  severo  predicatore  e  profeta?!  Gran  parte 
dei  fatti  narrati  nella  storia  del  Pastor  sono  più  che  altro  un  commento  ed  una 
chiosa  a  queste  frasi  terribili  del  Frate  di  San  Marco.  E  perciò  lo  storico 
d' Innsbruck  non  dovrebbe  unirsi  a  coloro  che  ne  lo  condannano. 

Ma  è  lecito  questo  metodo  di  generalizzare  ciò  che  è  speciale,  attribuire 
a  tutti  ciò  che  è  di  pochi,  o  anche,  se  vuoisi,  di  molti?  Rimproverando  al  Savo- 
narola le  espressioni  generali  contro  la  corruzione  della  Chiesa,  si  dimentica  una 
regola  di  sacra  ermeneutica  molto  comune.  Ecco:  fra  gli  esegeti  sono  conosciu- 
tissime  le  regole  di  Ticonio  compiute  ed  illustrate  da  Sant'Agostino;  e  fra 
queste  si  contano  le  seguenti:  —  Del  capo  del  Salvatore  vero  e  simulalo,  e  del 
genere  e  della  specie.  —  Chi  le  dimentica,  come  non  intenderà  molti  passi  dei 
libri  sacri,  cosi  non  intenderà  molle  delle  prediche  savonaroliane.  Il  corpo  vero 
del  Signore  sono  i  Cristiani  con  lui  uniti  per  fede  e  carità.  Il  corpo  simulato 
sono  i  cattivi  cristiani  che  gli  sono  uniti  solamente  per  fede.  Si  potrebbe  anche 
dire  che  si  parla  qui  del  corpo  misto  del  Salvatore,  cioè  della  Chiesa  nel  senso 


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largo  di  questa  parola.  Sant'  Agostino  nota  opportunamente  che  questa  regola 
richiede  e  vuole  che  il  lettore  della  Sacra  Scrittura  sia  vigilante,  e  stia  bene 
attento  per  conoscere  allorché  quella,  già  parlando  ad  altri,  pare  dica  ancora 
a  coloro  stessi  a  cui  prima  diceva;  o  tiene  discorso  di  questi  medesimi,  quando 
di  altri  già  teneva  discorso,  come  se,  per  la  temporanea  mistione  e  comunione 
de'  sacramenti  un  solo  fosse  il  corpo  degli  uni  e  degli  altri. 

Il  Savonarola  nella  predica  XXII  sopra  il  Salmo  Qiiam  Bonus  dice  an- 
ch'egli:  «  In  un  medesimo  contesto  di  parole  e  senza  alcun  intervallo  la 
Scrittura  Sacra  esprime  quello  che  appartiene  a' buoni  e  quello  che  appartiene 
ai  cattivi  ».  E  nella  Vili  sopra  1'  Esodo  dice  del  puri  :  «  Egli  è  necessario  che 
tu  intenda  che  la  Scrittura,  come  diceva  Agostino,  è  come  un  corpo  che  ha 
diversi  membri,  e  di  questo  si  parla  diversamente  secondo  diversi  membri; 
benché  tu  parli  tuttavia  di  un  corpo  medesimo.  Bisogna  adunque  avere  buon 
occhio  ad  intendere  bene  la  Scrittura.  Ecco,  se  tu  avessi  male  a' piedi,  e  il 
resto  del  corpo  sano,  e  tu  dicessi:  io  sono  infermo;  s'  intende  quanto  a' piedi; 
e  se  tu  dicessi  io  sono  sano,  s' intende  quanto  al  capo  e  le  mani  e  gli  altri 
membri.  E  così  parlando  di  un  medesimo  corpo  s' intende  di  parlare  diversa- 
mente; ed  è  retto  parlare  bencliè  paia  contrario;  e  così  si  parla  ancora  nella 
Scrittura  diversamente  ».  (Cfr.  la  XXXVIII  sopra  Ezechiele.) 

Analoga  a  questa  regola,  che  già  basterebbe  da  sola  a  giustificare  piena- 
mente il  Frate  di  San  Marco,  è  l'altra  detta  del  genere  e  della  specie:  que- 
ste due  regole  sono  in  qualche  modo  affini,  pure  essendo  distinte;  si  comple- 
tano bellamente  a  vicenda.  Siccome  il  genere  è  un  tutto  del  quale  la  spe- 
cie è  una  parte,  per  questo  il  Savonarola  chiama  questa  regola  anche 
regola  del  tutto  e  della  parie.  Co;ì  ogni  singola  città,  Gerusalemme  per  esem- 
pio, è»  parte  dell'  università  delle  genti,  e  l'università  delle  genti  è  il  tutto.  Ti- 
conio  chiama  specie  la  città,  e  genere  chiama  tutte  le  genti.  Appare  quindi 
che  non  si  ha  in  questo  luogo  da  usare  tutta  quella  sottilità  di  distinzione 
che  si  fa  dai  dialettici,  i  quali  disputano  acutissimamente  la  differenza  che 
corre  fra  parte  e  specie.  Ha  ancor  luogo  questa  regola,  e  vale  la  ragione  me- 
desima, se,  anziché  di  una  singola  città,  sia  discorso  nelle  Sacre  Lettere  di 
una  determinata  provincia  o  di  una  gente  o  di  un  regno;  e  quindi  senz'inter- 
vallo si  passi  a  tutto  l'universo,  a  tutti  i  popoli;  imperocché  non  pure  Geru- 
salemme o  Tiro,  si  bene  anche  la  Giudea,  l'Egitto  e  l'Assiria  sono  e  si  pos- 
sono considerare  come  parte  delle  genti  e  del  mondo  o  come  specie  del  genere 
umano:  e  avviene  o  può  avvenire,  che  nella  Sacra  Scrittura,  pure  dicendo  di 
queste  regioni,  si  passi  a  dire  senz'intervallo  di  cose  che  eccedono  il  modo 
conveniente  ad  esse,  e  meglio  convenga  tutto  a  tutti  gli  uomini.  E  ha  luogo 
ancora  questa  legge  quando  è  discorso  di  un  essere  individuo,  di  un  uomo 
segnatamente  ;  e  dicendo  cose  adesso  convenienti,  subito,  senz'  intervallo,  se 
ne  aggiungono  di  quelle  che  V  eccedono  e  meglio  che  ad  un  individuo  con- 
vengono a  tutta  una  classe.  Queste  osservazioni  sono  di  Agostino,  il  quale  op- 
portunamente soggiunge  che  questa  regola  vuole  che  il  lettore  sia  attento  nel 
vedere  quando  la  Sacra  Scrittura  passa  dalla  specie  al  genere,  pur  sembrando 


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che  continui  a  parlare  della  specie,  affinchè  non  gli  avvenga  di  ricercare  nella 
specie  ciò  che  si  può  meglio  e  con  più  sicurezza  trovare  nel  genere.  E  ciò  ri- 
pete il  Savonarola  nella  predica  XXII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus  e  altrove  : 
«  La  Scrittura  qualche  volta  in  un  medesimo  ordine  di  parole  passa  dal  ge- 
nere alla  specie,  dal  tutto  alla  parte  e  viceversa.  Onde  Isaia  nel  terzo  decimo 
capitolo,  prima  parla  specialmente  contro  alla  città  di  Babilonia:  Onus  Babilo- 
nis;  e  immediatamente  passa  a  parlare  di  tutto  il  mondo  generalmente,  dicendo  : 
A  summitate  coeli  Dominus  et  vasa  furoris  eius  ut  disperdat  omnem  terram:  poi 
immediatamente  ritorna  a  parlare  di  Babilonia  specialmente  ».  Un  altro  esem- 
pio bellissimo  e  anche  abbastanza  chiaro  V  abbiamo,  come  nota  il  Savonarola, 
nel  capitolo  XXIV  di  Matteo,  dove  Cristo,  profetando  la  rovina  del  tempio  e  le 
guerre  che  dovevano  desolare  la  Giudea,  subito  passa  a  parlare  delle  perse- 
cuzioni future  nella  Chiesa  e  della  fine  del  mondo,  e  similmente  parlando  agli 
Apostoli  ed  ai  Giudei  subito  s'  estende  a  tutto  il  popolo  di  Dio  e  a  tutte  le 
genti;  e  ritorna  quindi  al  particolare  per  passar  altra  volta  all'  universale  e 
dire  del  giorno  del  giudizio  finale.  Pensando  a  queste  regole  che,  come  noi  di- 
mostriamo nel  libro  III  dello  studio  della  Sacra  Scrittura,  il  Savonarola  aveva 
famigliarissime,  ci  riuscirà  mollo  facile  capire  il  valore  di  alcune  espressioni 
generali  che  diedero  e  danno  tuttavia  grande  noia,  sebbene  stiano  benissimo. 
Tanto  più  che  il  Savonarola  ha  cura  di  avvisare,  come  si  è  detto,  di  tratto  in 
tratto  il  popolo  del  modo  con  cui  egli  parla.  Davvero  che  è  maraviglioso  que- 
sto Frate  e  a  condannarlo  bisogna  andare  co'piedi  di  piombo,  e  non  farlo  mai 
senza  aver  prima  letto  assai  bene. 

Molti  nondimeno,  e  con  questi  il  Paslor,  trovano  eccessivo,  audace,  intem- 
perante, impudente,  contumelioso,  ingiusto  il  Frate  nelle  sue  invettive  contro 
il  clero  e  alto  e  basso  e  regolare  e  secolare.  Si  conviene  che  allora  il  marcio 
era  molto  in  questo  campo,  massime  la  dissoluzione;  ma  perchè  svelar  queste 
brutte  magagne  dal  pulpito?  a  che  denunciarle  al  popolo?  E  questo  l'ufficio 
del  sacro  predicatore?  dell'ottimo  religioso?  è  questo  buon  zelo  per  la  casa 
di  Dio?  è  lecito  il  far  questo? 

Ecco  un  punto  nel  quale  mi  parrebbe  che  nessuno  più  dovesse  aprir  la 
bocca  contro  il  Frate,  ma  o  tacere,  o  lodarlo.  La  difesa  del  Savonarola  qui  già 
fu  intrapresa  e  compiuta  in  un  modo  esauriente  da  molti  e  fra  gli  altri  dal  pio 
e  dotto  teologo  Tommaso  Neri  nella  sua  Apologia  della  dottrina  del  lì.  P.  F.  Gi- 
rolamo Savonarola.  (*)  Per  non  chiamare  del  tutto  ingiustizia  il  ripetere  insistente 
della  brutta  accusa,  diremo  che  ci  fa  pensare  come  da  molti  piuttosto  s' ignori 
come  stia  la  cosa  :  ne  parleremo  qui  brevemente.  Prima  di  tutto  nessuno 
pensi  che  Fra  Girolamo  non  conoscesse  1'  alta  dignità  del  sacerdote  e  non  mo- 
strasse al  popolo  il  rispetto  che  al  sacerdote  è  dovuto,  anche  se  peccatore; 
imperocché  penserebbe  il  falso.  È  aureo  a  questo  riguardo  un  passo  della  Vili 
sopra  la  prima  di  San  Giovanni:  «  Il  sacerdote,  dice  ivi  al  popolo,  è  il  capo  e 


(s)  Vedi  sopra  a  pa;».  216,  nota  1.  Cf.  anche  Bartoli  Apologia  di  Fra  G.  Savonarola  ;  Fi- 
renze 1732,  pag.  302. 


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voi  siete  le  membra;  se  adunque  la  mano  o  il  piede  fosse  di  sopra  la  testa, 
che  mostro  saria  questo  »?  E  poi  lagnandosi  che  in  Firenze  non  si  rispettas- 
sero i  sacerdoti,  grida:  «  Se  non  volete  onorarvi  l'un  l'altro,  onorate  almanco  i 
sacerdoti  del  Signore.  Ma  che  dirò  io,  che  trattano  i  sacerdoti  come  servi,  non 
gli  danno  onorata  sedia?  Ma  Innocenzo  III  riprese  l'imperatore  costantinopoli- 
tano, perchè  non  faceva  il  debito  onore  al  suo  vescovo  e  patriarca,  ma  face- 
vaio  sedere  sotto  lo  scabello  dei  piedi  suoi  dalla  parte  sinistra.  Essendo  che, 
dice,  che  gli  altri  re  e  principi  facciano  onore  ai  vescovi  e  arcivescovi,  e  gli  diano 
onorabil  sedia,  perchè  lo  defraudi  del  debito  onore?  Imperocché  il  regno  spi- 
rituale è  più  degno  del  temporale.  Onde  Costantino  imperatore  chiamò  il  Papa 
Dio,  come  si  ha  nei  decreti  alla  distinzione  nonagesima  sesta  nel  capitolo  che 
comincia:  Satis ;  e  nel  capitolo  seguente  dice  che  se  lui  vedesse  un. prete, 
ovver  monaco  a  peccare,  lo  coprirebbe  col  suo  mantello,  acciò  non  fosse  ve- 
duto dagli  altri.  E  leggesi  nell'istoria  tripartita,  che,  congregati  i  vescovi  nel 
concilio  mceno,  entrò  Costantino  e  stette  neh'  ultimo  luogo  e  dimandò  licenza 
di  sedere.  E  al  presente  non  si  obbedisce  al  Pontefice,  quando  non  piace  la 
obbedienza,  tiè  si  onorano  i  vescovi,  nè  i  sacerdoti  ;  e,  se  peccano,  sono  in- 
famati da  tutti  ». 

E  questi  pensieri  il  Savonarola  non  li  dimenticò  mai.  Dunque,  se  vicino  a 
così  onorevoli  asserzioni  ne  troviamo  altre  tanto  gravi  e  acerbe  per  il  clero 
vi  dovrà  pur  esser  una  ragione!  Perchè  dunque  parlava  così  audacemente 
de' vizj  del  clero  il  Frate?  «Perchè  ancora  loro  sono  causa  di  questo  male, 
perchè  peccano  pubblicamente  e  si  spongono  in  dispregio  degli  uomini.  Essi 
sono  il  sale  della  terra,  ma  se  il  sale  sarà  fatto  insipido,  in  che  cosa  si  in- 
salerà? A  niente  altro  se  non  che  sia  mandato  fuori  e  conculcato  dagli 
uomini  Cosi  nella  stessa  predica  ora  citata.  Ma  con  ciò  egli  non  diceva 
male  di  alcuno  in  particolare,  e  gridava  che  non  di  manco  i  cittadini  non 
peccavano  meno,  perchè  in  quelli  stessi  sacerdoti  dovevano  onorar  Cristo  stesso. 
Svolgiamo  questi  concetti  e  vedremo  quanta  luce  ne  scaturirà. 

Prima  di  tutto  mettiamo  in  sodo  che  il  Savonarola  non  tirava  mai  al 
particolare  e  ai  grandi,  ma  solo  sferzava  i  vizj  in  generale:  questo  è  provato 
da  tutte  le  prediche  del  Frate,  dove  non  troverete  mai  che  egli  dicesse  di  nes- 
suno in  particolare;  ed  è  ancora  provato  dalle  asserzioni  di  molti,  per  esempio 
della  Signoria  di  Firenze,  la  quale  mentre  i  nemici  del  Frate  ripetevano  eh'  egli 
sparlasse  di  grandi  personaggi  in  particolare,  scriveva  al  suo  oratore  in  Roma 
che  ciò  era  falso,  e  voleva  che  l'oratore  lo  dicesse  e  facesse  sapere.  Al  Savo- 
narola molto  rincresceva  che  così  i  nemici  suoi  Io  calunniassero;  e  si  sentiva 
qui  tanto  puro,  che  protestava  spesso  la  sua  innocenza  al  popolo,  e  invitava  i 
cancellieri  di  quelli  a  scrivere  come  egli  diceva  e  non  altrimenti,  che  allora  si 
sarebbe  visto  ch'egli  non  nominava  nessuno  e  non  diceva  i  peccati  di  nessuno. 
Nella  predica  XVII  sopra  Amos  e  Zaccaria,  nella  quale  parla  assai  della  corru- 


(')  Vangelo  di  Sau  Matteo,  o.  5,  v.  13;  S.  Marco  IX,  49;  S.  Luca  XIV,  34. 


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zione  del  clero,  dice:  «  Io  non  dico  i  peccati  di  nessuno,  io  non  nomino  persona, 
ma  voi  fate  i  peccati,  e  però  vi  pare  che  io  dica  di  voi  ».  «  Tu  pur  dì  eh'  io 
predichi  la  Scrittura;  io  non  predico  altro,  e  tu  pur  sempre  scrivi  a  Roma: 
non  ti  diss' io  che  tu  scriveresti  a  Roma?  Sappiate  che  egli  hanno  scritto,  che 
io  ho  detto  male  del  Papa,  de'  cardinali,  de'  vescovi  e  de'  prelati;  credi  che  io 
lo  so,  ed  hollo  per  via  umana,  chè  n'  ho  avuto  lettera  di  quanto  tu  hai  scritto: 
Io  non  ho  nominato  persona  riprendendo  i  vizj,  e  non  ho  fatto  vergogna  a  nes- 
suno. Tu  se'  tu  di  quelli  che  gli  fai  vergogna:  io  dico  in  genere;  e  tu  di  ch'io 
tocco  quello  e  quello  altro:  adunque  loro  debbono  essere  così,  e  tu  se' quello 
che  giudichi  di  loro,  e  non  io,  che  non  dico  in  particolare  di  persona.  Io  1'  ho 
detto  altre  volte,  che  io  son  fatto  come  la  gragnuola,  che  va  per  tutto,  e  chi 
non  vuole  esser  tocco  stia  coperto:  sta  adunque  coperto  e  io  non  ti  toccherò». 
E  nella  predica  XXVII  sopra  Ruth  e  Michea:  «  Or  su,  ai  cattivi  ora  diciamo 
una  parola.  Cattivi,  eccene  nessuno  qua?  Io  parlo  a  voi  adesso,  ma  io  voglio 
cavare  via  prima  una  dubitazione  delle  menti  degli  audienti,  perchè  pare  che 
ognuno,  quando  si  parla  oggi  dei  cattivi,  dica:  I  grandi  sono  quelli  di  cui  si 
parla.  Io  vi  dico  che  molti  di  loro  vanno  bene,  benché  molti  anche  male.  Voi 
fate  un  giudizio  che  non  sta  bene,  a  voler,  quando  si  parla  dei  cattivi,  inten- 
dere e  giudicare  di  tutti  i  grandi  ».  «  Oli!  tu  hai  detto  male  di  molti.  —  Io  non 
nomino  qua  nessuno.  —  Oh!  e'  s'intende  del  tale.  —  Tu  se'  tu  che  nomini  quel 
tale,  perchè  dicendo  tu,  che  s'intende  di  lui,  tu  di'  che  gli  è  di  quelli  che  io 
riprendo  ».  (Sopra  Ezech.,  pred.  XXXIII.)  Questi  passi  li  potrei  moltiplicare  a 
piacimento.  Il  Savonarola  era  anzi  solilo  di  pregaie  il  popolo  a  non  tirar  mai 
al  particolare  le  sue  parole,  perchè  in  tal  modo  perderebbero  essi  la  libertà 
necessaria  per  udire  la  parola  di  Dio,  e  la  toglierebbero  anche  a  lui,  e  si  sa- 
rebbe diminuito  grandemente  il  frutto  del  predicare.  Resta  adunque  fermo 
questo  per  prima  cosa,  che  predicando  contro  i  vizj  del  clero,  il  Savonarola  non 
mirava  ad  alcuno  in  particolare  e  nemmeno  ai  grandi  esclusivamente,  ma  di- 
ceva in  generale  ;  e  andiamo  oltre  un  altro  passo. 

Girolamo  Savonaiola  credeva  male  salvar  la  fama  al  clero  corrotto  quando 
esso  è  la  ruitia  delle  anime  e  guasta  la  fede:  anzi  credeva  in  questo  caso  ob- 
bligo dell'  oratore  cristiano  di  dichiarar  la  verità,  anche  a  costo  di  metterci  la 
vita.  Si  può  condannare  questa  proposizione?  Prima  di  pronunziar  la  sentenza, 
sentite  le  ragioni  del  reo.  Lasciando  molte  e'  molte  cose  che  potremmo  dire  al 
riguardo  e  specialmente  sopra  la  correzione  fraterna  che  si  leggono  in  Fra  Gi- 
rolamo, ci  contenteremo  per  ragione  di  brevità  di  pochi  passi  che  riguardano 
più  da  presso  1'  argomento  presente.  Nella  predica  XXVII  sopra  Amos,  par- 
lando del  riprender  che  Cristo  fece  i  Farisei,  posto  il  principio  che  «  ogni 
azione  di  Cristo  è  nostra  istruzione  »,  segue:  «  Il  Salvatore  dunque,  benché 
fosse  Dio,  pure,  quanto  all'  apparenza  di  fuori,  era  uomo  e  reputato  molto 
vile  dai  Giudei;  e  non  essendo  sacerdote  legale,  perchè  era  della  tribù  di 
Giuda,  non  parea  che  potesse  correggere  i  suoi  maggiori;  pure  noi  leggiamo 
stamani  eh'  egli  andò  nel  tempio  e  corresse  quelli  che  di  lui  parevano  mag- 
giori. Adunque  lui  ci  dà  l'esempio  che  noi  possiamo  e  qualche  volta  dobbiamo 

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correggere  i  nostri  superiori;  e  quando  i  peccati  de' superiori  son  pubblici  e  in 
detrimento  deila  fede,  si  possono  riprendere  pubblicamente.  Andò  adunque 
nel  tempio  a  far  questa  correzione  per  darvi  esempio  che  voi  dobbiate  difen- 
dere 1'  onore  di  Dio  e  per  mostrarvi  che  siate  obbligati  a  difenderlo  con  la 
spada  in  mano:  io  dico  cioè  col  verbo  di  Dio;  questa  è  la  nostra  spada  ». 

E  nella  predica  XXI  già  citata  :  «  Dice  San  Tommaso  che  non  sola- 
mente il  maggiore  debba  correggere  il  minore,  ma  ancora  che  il  minore  debba 
correggere  il  maggiore,  ma  con  umiltà  ;  ma  quando  vi  ha  il  pericolo  della  fede, 
ognuno  debba  esser  eguale  nella  correzione,  perchè  tutti  siamo  cristiani  e 
ognuno  parimente  è  obbligalo  a  difender  la  fede.  (')  San  Tommaso  allega  San 
Paolo  il  quale  riprese  San  Pietro  che  era  allora  Papa  e  superiore  di  San  Paolo, 
perchè  San  Pietro  in  presenza  de'  giudei  non  mangiava  coi  gentili,  ma  bensì 
in  assenza;  la  quale  simulazione  dispiacque,  a  Paolo  parendogli  che  fosse  con- 
tro la  verità  dell'  evangelo,  e  poi  gli  disse  in  presenza  di  tutti:  Se  tu,  essendo 
giudeo,  vivi  al  modo  de1  gentili  e  non  de'  giudei,  come  potrai  obbligare  le  genti  a 
giudaizzare?(2)  Onde  San  Paolo  ch'era  il  dottore  delle  genti,  perchè  vedeva  che 
questo  era  scandalo  de'  gentili  dice  :  Lo  ripresi,  perchè  era  reprensibile  ;  (3)  e 
dissegli:  Pietro,  tu  erri:  questo  non  è  il  bisogno  della  fede  di  Cristo.  Donde  dice 
San  Tommaso  che  ogni  volta  che  si  vede  che  la  fede  va  in  pericolo,  si  debba 
mettervi  insino  alla  vita.  Tu  dì  che  ei  ci  è  comandamento  che  non  si  può  pre- 
dicare contro  i  prelati,  per  non  detrarre  alla  fama  loro  :  nota  quel  vocabolo 
detrarre,  che  significa  denigrare  la  fama.  Questo  s'intende  adunque  dove  fosse 
la  buona  fama;  ma  dove  non  è  fama,  non  si  può  adunque  detrarre.  Intendesi 
ancora  questo  comandamento  con  questa  chiosa:  Se  già  non  sia  imminente  il 
pericolo  della  fede;  cioè,  se  già  non  andasse  la  fede  a  pericolo,  perchè  allora 
ognuno  è  eguale,  perchè  ognuno  è  cristiano.  E  però,  se  tu  vedi,  che  io  riprendo 
i  peccati  de'  prelati,  credi  adunque  che  io  vo  con  grandissimo  fondamento. 
Concludiamo  che  la  correzione  si  debba  fare  ».  Nella  XXVII  ancor  più  esplici- 
tamente: «  Come  io  ti  dissi  l'altro  dì,  tu  se'  obbligato,  secondo  tutti  i  dottori  e 
l'opinione  di  San  Tommaso,  di  Santo  Agostino  e  di  tutti  gli  altri,  a  metter  la 
vita  per  la  salute  dell'anima  del  tuo  fratello  ed  anche  che  i  minori  sono  ob- 
bligati a  correggere  i  maggiori,  cioè  i  figliuoli  i  padri,  i  sudditi  i  prelati,  ma  con 
umiltà;  e  anche  il  papa,  quando  egli  errasse.  E  del  pari  nella  predica  XIV: 
«  Orsù,  come  esporremo  questo  evangelo  stamane  ?(4)  o  Signore  Gesù  come  lo 
esponesti  tu?  Tu  lo  dicesti  contro  gli  scribi  e  i  farisei  i  quali  erano  riputati  in 
quel  tempo  più  santi  degli  altri  e  migliori.  0  Signore,  benché  tu  sia  Iddio,  e 


(')  Vedi  questa  dottrina  iu  San  Tommaso  somma  Teol.  p.H-II,  qu.  XXXIII,  a.  4,  e  nelle 
questioni  disputate,  Vili,  de  correctìone  fraterna.  Cf.  anohe  l'esposizione  del  c.  II  dell'Epi- 
stola ai  Galati. 

I*)  Epistola  ai  Calati,  c.  II,  v.  14. 

(3;  Ivi,  v.  11. 

(  )  E  il  vangelo  del  Martedì  dopo  la  2'  Domenica  di  Quaresima  tratto  dal  capo  XXIII 
<li  S.  Matteo  che  comincia:  «  Gesù  parlò  alle  turbe  e  ai  suoi  discepoli  dicendo:  Sulla  Catte- 
dra di  Mosè  si  assisero  gli  scribi  e  i  farisei,  ecc.»- 


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che  ciò  che  tu  fai  sia  ben  fatto,  non  puoi  errare;  tuttavia  io  voglio  che  mi  sia 
lecito  un  poco  disputare  teco.  Tu  venisti  in  questo  mondo,  non  solo  per  sal- 
varci e  ricomperarci,  ma  anche  per  darci  esempio  di  vita  in  ogni  tua  opera: 
•che  esempio  ci  dai  tu  in  questa  mattina?  Tu  riprendi  costoro  che  erano  ripu- 
tati buoni,  tu  li  scuopri;  come?  dobbiamo  far  anche  noi  così?  Questi  scribi  e 
farisei  erano  riputati  i  migliori  uomini  che  vi  fossero,  e  tu  ammaestri  che  non 
si  faccin  le  opere  che  fanno  loro:  adunque  tu  togli  loro  la  fama  chè  non  pare 
cosa  conveniente.  Inoltre,  eglino  erano  quei  vecchioni  che  parevano  santi,  non 
pare  che  sia  cosa  lecita  a  riprendere  i  vecchi  e  massime  i  sacerdoti  e  i  prelati 
ne'  quali  par  che  sia  la  prudenza.  Così  non  pareva  che  tu  li  dovessi  ripren- 
dere per  non  impedire  la  predicazione  e  per  non  farteli  nemici:  vedi,  quanta 
persecuzione  poi  tu  ti  concitasti  contro  per  discoprire  la  vita  loro;  la  quale 
persecuzione  tu  non  avresti  avuta,  se  tu  non  avessi  discoperto  le  loro  maga- 
gne. Risponde  il  Signore  e  dice:  Ogni  cosa  che  si  fa,  si  ordina  ad  un  qualche  fine; 
€  colui  che  è  savio  sempre  ordina  che  le  cose  vadano  al  fine  suo,  e  quando  quelle 
cose  non  sono  buone  a  condurre  a  quel  fine  che  le  sono  ordinate,  non  le 
cura,  ma  lasciale  andare.  Verbi  grazia;  l'orazione  vocale  è  ordinata  per  ecci- 
tare la  mente  dell'uomo  e  condurlo  a  Dio  fine  suo:  e  però  quando  tu  fai  ora- 
zione vocale  e  che  tu  dì  le  parole  della  tua  orazione  per  eccitarti  e  applicarti 
a  Dio,  quando  tu  senti  che  tu  hai  la  mente  unita  con  Dio  e  che  1'  orazione  vo- 
cale ti  affatica  la  mente,  e  sviala  da  quella  applicazione  che  tu  hai  fatta  a 
Dio,  devi  lasciare  l'orazione  vocale  allora,  perchè  tu  se'  pervenuto  a  quel  fine 
che  tu  volevi;  e  per  allora  non  hai  più  bisogno.  A  proposito:  il  fine  della  re- 
denzione del  nostro  Salvatore  Gesù  Cristo  è  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle 
anime  :  la  fama  degli  uomini  è  ordinata  alla  salute  del  prossimo;  e  però  quando 
questa  fama  non  giova  più  alla  salute  de'  prossimi,  anzi  nuoce,  non  si  deve 
curare  più,  nè  farne  più  stima.  Se  dunque  la  fama  dell'  ipocrita  fa  maggior 
danno  alle  anime  che  la  loro  infamia,  non  dobbiamo  curare  la  loro  fama,  anzi 
pubblicare  i  loro  vizj:  e  però  tu  vedi  che  il  Salvatore  entro  in  questo  loco 
scuopre  le  magagne  di  questi  scribi  e  farisei  pubblicamente,  perchè  eglino 
erano  distruttori  di  culto  interiore  di  Dio  e  della  salute  delle  anime.  E  però, 
se  noi  diremo  contro  i  prelati  e  pastori  e  predicatori  cattivi  e  che  sono  in  ap- 
parenza esteriormente  di  buoni  costumi,  ma  dentro  sono  cattivi  e  sono  causa 
della  ruina  delle  anime,  non  faremo  inconveniente  alcuno.  Inoltre  non  offen- 
diamo persona,  parlando  la  verità  e  massime  in  generale  e  universale  e  non 
nominando  persona,  perchè  la  verità  detta  in  generale  non  toglie  fama  a  nes- 
suno. In  quanto  dicemmo,  che  non  pare  lecito  riprendere  i  vecchi,  diciamo  che 
questi  non  sono  vecchi  di  sapienza  e  di  bontà  a'  quali  si  deve  portare  reve- 
renza :  anzi  sono  fanciulli  di  cento  anni.  (')  Sono  fanciulli  quanto  al  senso  e  vec- 
chi d'anni  e  di  mala  vita.  Parimente,  non  s'impedisce  il  frumento  della  pre- 
dicazione, perchè  il  frutto  della  predicazione  è  la  salute  delle  anime  e  il  predicare 


(')  Cf.  Isaia,  capo  LXV.  v.  20. 


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la  verità  ;  noi  predichiamo  la  verità  e  loro  fanno  contra  la  salute  delle  anime. 
Parimente,  se  noi  avremo  persecuzione  per  questo  dire  la  verità,  non  ce  ne 
curiamo,  anzi  siamo  parati  metterci  la  vita  per  l'onore  di  Dio  e  per  la  verità. 
E  però,  secondo  l'esempio  che  ci  ha  dato  il  nostro  Salvatore  in  questo  sacro 
evangelo,  vogliamo  esporlo  contro  i  tiepidi  e  i  prelati  cattivi;  perchè  la  loro 
buona  fama  in  apparenza  esteriore  fa  tutto  il  contrario  di  quello  a  che  è  stata 
ordinata  la  fama  de'  prelati  superiori  e  religiosi.  Questa  loro  faina  è  in  perdi- 
zione delle  anime;  e  però  dobbiamo  discoprire  le  loro  macchie,  acciocché  non 
siano  più  custodite  le  pecore  dai  lupi  vestiti  in  forma  di  pastori  ». 

I  passi  analoghi  ai  presenti  li  potrei  moltiplicare  a  piacimento,  ma  credo  inu- 
tile aggiungerne  altri.  Dirò  solo  che  nel  fatto  Girolamo  Savonarola  non  venne 
mai  meno  a  questa  dottrina.  Quindi  protesto  che  nessuno  troverà  nelle  sue 
prediche  un  solo  passo  il  quale  sferzi  uno  in  particolare  e  tolga  la  fama  a  chi 
già  non  se  1'  è  tolta  da  sè  stesso.  (*)  Nessuno  troverà  un  solo  passo  nelle 
prediche  del  Savonarola  che  non  miri  alla  verità  della  fede  o  alla  purezza  della 
vita  cristiana,  alla  salvezza  insomma  delle  anime.  Celebre  è  il  luogo  che  si 
legge  nella  XLV1II  sopra  Amos;  eccolo:  «  Ai  prelati  grandi  e  piccoli  dico:  A  voi 
prelati,  o  padri  miei,  che  v'ho  io  fatto?  o  che  molestia  v'ho  dato?  (a)  Il  Signore  m'ha 
posto  qua;  e  disse:  io  ho  posto  te  speculatore  (s)  nel  mezzo  dell'Italia;  e  dice:  io 
t'  ho  posto  qui,  perchè  tu  oda  le  mie  parole  e  annunziale  a  loro:  dice  il  Signore: 
se  io  ti  mostrerò  e  dirò  che  viene  la  spada,  annunzia  la  spada:  se  non  vor- 
ranno convertirsi,  tu  avrai  obbedito  e  sarai  salvo.  Ma  se  la  spada  viene  e  tu 
non  la  annunzi,  e  loro  muoiono  all'improvviso;  io  ricercherò  il  sangue  loro  dalle 
tue  mani{4)  e  tu  ne  porterai  la  pena:  sicché  mi  è  bisognato  dire  e  annunziare  che 
viene  la  spada:  perchè  vi  dolete  adunque  di  me,  o  padri  miei  ?  Io  ho  visto  tre 
spade:  la  prima  è  quella  del  malo  esempio  de'  prelati  e  de'  capi  che  iugula 
l'anime  dei  semplici:  questa  è  ancora  il  malo  esempio  de' religiosi  per  il  quale 
diventa  cattivo  tutto  il  popolo:  e  però  io  sono  stato  costretto  a  dire  alla  gente 
e  annunziarle  che  fuggano  questa  spada  e  che  non  seguitassero  quei  mali 
esempj,  acciocché  non  cadessero  in  quella  medesima  tiepidità  nella  quale  è 
oggi  il  clero,  e  acciocché  i  cittadini  non  facessero  i  loro  figliuoli  simili  a  quei 
tiepidi,  e  acciocché  non  gli  dessero  beneficj,  come  si  è  fatto  insino  a  qui.  La 
seconda  spada  che  io  ho  vista  si  è  la  spada  dell'  inferno,  la  quale  mi  è  biso- 
gnato annunziare.  La  terza  spada  è  quella  del  flagello  che  ha  da  venire:  cioè 
carestia,  pestilenza  e  guerra.  Questa  io  1'  ho  annunziata  a  tutta  l' Italia,  per- 
chè m' è  bisognato  far  così;  non  ho  tuttavia  nominato  nessuno:  ma  ho  detto  in 
generale  e  non  in  particolare.  0  tu  che  scrivi  a  Roma  e  dì  che  io  ho  detto  male 
di  questo  e  di  quello,  scrivi  questo  che  io  dico,  che  la  causa  del  flagello  è  la 


(')  Nessuno  ci  opponga  la  predica  XXXIX  sopra  Ezechiele  dove  s'accenna  evidente- 
mente a  Fra  Alariano.  Il  caso  è  troppo  speciale,  e  conferma  la  regola.  Ct'r.  la  XXXV  del  me- 
desimo quaresimale. 

(J)  Miohea,  c.  VI,  v.  3. 

(•')  Ezechiele,  c.  Ili,  v.  17. 

(4)  Ivi,  v.  J9. 


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mala  vita  de' prelati  e  del  clero.  Il  male  esempio  de' capi  è  quello  che  fa  venire 
il  flagello,  e  però  io  v'  ho  annunziato  che  voi  facciate  penitenza;  e  se  voi  non 
la  farete,  io  v'  annunzio  due  grandissimi  flagelli  :  uno  in  questo  mondo  il  quale 
non  potrete  scampare,  cioè  le  tribolazioni  che  vengono,  perchè  il  Signore  Id- 
dio accelera  presto,  io  vi  dico  che  viene.  L'  altro  flagello  sarà  che  andranno 
neir  inferno.  Oh  se  sapessero  quello  che  so  io  !  Perchè  in  questo  flagello  ne 
morrà  grandissima  moltitudine  in  Italia  e  fuori.  Ma  io  voglio  restringermi  al- 
l'Italia, della  quale  vi  dico  che  se  ne  salverà  molti  pochi.  Annunziate  loro  che 
facciano  penitenza  e  scrivete  loro  che  io  non  mi  rivoco,  ma  che  io  dico  il  me- 
desimo e  sto  più  saldo  e  più  forte  che  mai.  E  questo  basta  quanto  ai  prelati: 
ora  veniamo  un  poco  a  più  bassa  gente.  Alli  sacerdoti  non  prelati,  canonici, 
piovani  e  altri  preti  per  tutta  Italia,  io  dico  quelle  parole  di  Malachia  profeta: 
Le  labbra  del  sacerdote  hanno  il  deposito  della  scienza  e  dalla  bocca  di  lui  ap- 
parerassi  la  legge,  perchè  egli  è  V  Angelo  del  Signore  degli  eserciti.  Ma  voi  siete 
ìisciti  di  strada,  e  a  moltissimi  foste  di  scandalo  a  violare  la  legge:  annullaste  il 
patto  di  Levi,  dice  il  Signore  degli  eserciti.  Per  questo,  siccome  voi  non  avete 
seguitate  le  mie  vie,  e  trattandosi  della  legge,  avete  fatta  accettazione  di  per- 
sone, io  pure  vi  ho  venduti  spregevoli  e  abbietti  dinanzi  a  tutte  le  nazioni.  (*) 
Dice  il  Signore  per  la  bocca  di  Malachia  profeta  :  Il  sacerdote  deve  saper  la 
legge,  perchè  lui  è  come  Angelo  di  Dio;  e  oggi  non  sanno  nulla  della  Scrit- 
tura, e  non  sapete  pur  grammatica;  ma  questo  ancora  si  sopporterà,  se  voi 
foste  pure  di  buona  vita  e  deste  buon  esempio.  Per  questa  cagione,  dice  il 
Signore  Iddio,  io  vi  ho  dato  in  dispregio  del  popolo  per  i  vostri  cattivi  por- 
tamenti. Voi  tenete  le  concubine,  voi  attendete  alle  sodomie,  voi  giuocate 
manifestamente  e  fate  peggio  che  i  secolari:  ed  è  pur  questa  però  una  gran- 
dissima vergogna  che  il  popolo  sia  migliore  del  clero  :  io  non  parlo  de'  buoni, 
ina  bensì  de' cattivi.  Lasciate  le  vostre  mule,  lasciate  i  cavalli,  lasciate  i  cani 
e  gli  schiavi  :  non  date  la  roba  di  Cristo  e  le  cose  de'  beneficj  a'  cani,  a'  muli  : 
questo  medesimo  avevo  a  dire  di  sopra  ai  prelati.  Se  voi  non  lasciate  i  be- 
neficj superflui  che  avete,  io  vi  dico  e  sì  vi  annunzio  (e  questa  è  la  parola 
del  Signore)  voi  perderete  la  vita,  i  beneficj,  la  roba  e  andrete  a  casa  del 
diavolo:  lasciate  adunque  i  beneficj,  che  ad  ogni  modo  gli  avete  a  perdere,  e 
questo  vedrete  per  esperienza  ». 

Ora,  che  sentenza  si  deve  dare?!  Andiamo  però  ancora  adagio  a  condan- 
nare, imperocché  si  correrebbe  rischio  di  condannare  con  Fra  Girolamo  una 
serie  di  uomini  grandi  e  dotti  e  santi.  Prima  di  tutto  è  chiaro,  anche  per  quello 
che  abbiam  detto  or  ora,  e  sarà  anche  più  per  quello  che  diremo,  che  Fra 
Girolamo  non  toccò  mai  la  dignità  sacerdotale,  che  sempre  celebrò  con  lodi 
amplissime;  ma  solo  egli  riprovò  i  vizj.  Ora  i  vizj  e  i  peccati,  sian  pur  nel  clero, 
o  basso  o  alto,  che  meritano  essi?  onore,  riverenza,  rispetto?  No,  in  verun 
modo,  ma  riprensione  e  biasimo.  Se  è  eretico  e  scandaloso  il  Savonarola,  che 
diremo  di  San  Bernardo  che  anch'  egli  pubblicamente  e  con  più  gravi  parole 


(')  Malachia,  c.  II,  v.  7-9. 


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di  lui  riprovò  gli  stessi  peccati  negli  indegni  ministri?  «  Tu  vedrai  nella 
Chiesa,  molti  diventati,  di  vili  nobili,  e  di  poveri  ricchi,  insuperbirsi  e  della 
loro  viltà  sdimenticarsi  e  eziandio  vergognarsi  del  proprio  parentado,  e  non 
voler  veder  pure  i  loro  poveri  parenti.  Tu  vedrai  ancora  certi  uomini  da- 
narosi volare  a  tutti  gli  ecclesiastici  onori,  e  incontanente  applaudersi  la  san- 
tità, avendo  solamente  mutata  la  veste,  ma  non  già  gli  animi  ;  e  riputarsi  de- 
gni di  quel  grado,  al  quale  ei  sono  per  ambizione  saliti  :  e  oso  io  di  dire,  che 
quel  che  eglino  hanno  acquistalo  per  forza  dei  denari,  l'attribuiscono  a'  propr] 
meriti.  Io  lascio  di  parlar  di  quegli  i  quali  accieca  l'ambizione,  e  l'onore  stesso 
è  lor  materia  d'insuperbirsi  ».  (£j  Vedi  tu  qui  esser  da  San  Bernardo  tassata 
1'  ambizione,  1'  arroganza,  la  superbia  e  la  simonia  de'  prelati,  certo  non  dei 
buoni,  che  son  netti  da  colali  vizj  bruttissimi,  ma  dei  cattivi.  Ma  ascolta  pa- 
role vieppiù  gravi  di  queste,  che  altrove  ei  dice  :  «  E  ora,  quegli  stessi  perse- 
guitan  Cristo,  che  è  cosa  men  tollerabile,  i  quali  da  lui,  son  nominati  Cri- 
stiani. 0  Dio,  gli  amici  tuoi,  e  i  prossimi  tuoi,  contr'  a  te  si  sono  appressati, 
e  si  son  fermati  !  Ei  par  proprio  che  tutta  l'universalità  del  popolo  cristiano  si 
sia  congiurata  contro  di  te.  Dal  minimo  per  fin'  al  maggiore,  dalla  pianta  del 
piede  per  fin' al  cocuzzol  del  capo,  ei  non  c'è  sanità  veruna.  L'iniquità  è 
uscita  da' maggiori,  da' Giudici,  da' Vicarj  tuoi,  i  quali  vedonsi  reggere  il  po- 
polo tuo.  E  non  si  può  già  più  dire,  che  quale  è  il  popolo,  tale  è  il  sacerdote. 
Ohimè,  ohimè  !  Signor  Iddio,  che  i  primi  a  perseguitarti  son  quegli  stessi,  i 
quali  vedonsi  amare  il  primato,  ed  esser  principi  nella  tua  Chiesa  !  Egli  hanno 
occupata  la  ròcca  di  Sion,  eglino  hanno  pigliate  le  munizioni,  e  di  poi  libera- 
mente, e  con  podestà  abbruciali  la  città  tutta.  Infelice  è  la  pratica  loro,  mi- 
serabile è  la  sovversione  del  tuo  popolo.  Ma  piacesse  a  Dio,  che  ei  nocesser 
solamente  da  questa  parte  !  chè  ci  saria  forse  qualcuno,  il  quale  ammonito 
innanzi,  e  non  meno  armato  con  l'  esortazione  del  Signore,  attendesse  a  non 
imitar  1'  opere  loro,  ma  solamente  a  osservar  i  comandamenti,  secondo  quel 
detto  :  Fate  quel  che  vi  dicono,  e  non  guardate  a  quel  che  ei  fanno  (2).  Ma  sono 
al  presente  dati  i  gradi  sacri  in  occasion  di  guadagno  laido,  e  stiman  questi 
la  pietà  esser  una  bottega.  Mostran  certamente  grandissima  pietà  nel  ricevere 
e  prender  la  cura  delle  anime,  ma  questa  cura  è  appresso  di  lor  minore,  e 
1'  ultimo  pensier  che  egli  abbiano  è  quel  della  salute  delle  anime.  Or  può  egli 
esser  al  Salvator  delle  anime,  alcuna  persecuzione  più  grave  di  questa? 
Anche  gli  altri  agiscono  iniquamente  contro  Gesù  Cristo  e  molti  sono  gli  An- 
ticristi. Ma  più  crudele  e  più  grave  egli  stima  la  persecuzione  che  sostiene  dai 
proprj  ministri  ....  »  (3)  Quando  poi  Fra  Girolamo  esorta  a  lasciar  le  mule,  i. 
cavalli  e  i  cani,  e  che  ei  non  diano  alle  mule  e  ai  cani  la  roba  di  Cristo  e 
delle  chiese,  le  parole  sue  devon'  essere  sanamente  intese,  cioè,  che  si  guar- 
dino, in  quelle  cose,  dalla  superfluità,  e  lascino  quel  che  ad  altro  non  serve, 


(')  Umilia  IV  sopra  il  vangelo  MttKIU  eat. 
i2)  Vangelo  di  San  Matteo,  c.  XXIII,  v.  3. 
(a)  Sermone  I  per  la  Conversione  di  San  Paolo. 


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eccetto  che  a  un  disordinato  eccesso  ;  ma  non  già  quel  che  è  necessario  asso- 
lutamente, ovvero  convenevole  alla  maestà  e  grado  loro.  Al  che  pur  consente 
San  Girolamo  quando  dice  :  «  Paolo  afferma  che  quei  che  all'  aitar  ministrano, 
devon  partecipare  e  vivere  dell'altare.^)  Ei  ti  si  concede,  o  sacerdote,  che 
tu  vivi  dell'altare,  non  che  tu  ne  sguazzi  e  trionfi  ».(2)I1  medesimo  volle  signi- 
ficar San  Bernardo,  quando  fece  un  suo  sermone  a'  prelati,  che  eran  ragu- 
nati  nel  concilio,  sotto  Innocenzo  secondo,  dicendo  queste  tra  l'altre  parole: 
«  Voi  siete  da  Cristo  detti  e  chiamati  Cristiani.  Non  dovete  voi  adunque, 
come  quegli  che  siete  suoi  Vicarj,  conversar  nel  modo,  che  egli  ha  conver- 
sato? Senza  dubbio  sì,  se  già  non  vi  paresse  forse  d'esser  o  più  dotti,  o  più 
santi  di  lui.  Ditemi  per  tanto,  voi  Archidiaconi ,  ditemi,  voi  Preti,  ditemi,  voi 
Pontefici:  A  che  serve  l'oro  nelle  selle,  e  ne' freni  ?  Come  si  convengon  tanti 
ornamenti  nel  vestire,  e  tanti  soverchi  apparecchi  nel  mangiar  vostro?  Il  cibo 
al  ventre,  e  '1  ventre  al  cibo  ;  ma  Iddio  distruggerà  1'  uno  e  1'  altro.  Era  certa- 
mente grande  lo  splendor  delle  vesti  e  delizioso  l'apparecchio  dè' cibi,  ap- 
presso di  quel  ricco,  il  qual  di  porpora  e  di  bisso  vestiva,  e  giornalmente  con- 
vitava splendidamente;  eppur  mori  e  fu  sepolto  neh'  inferno  ».  (3) 

E  nel  sermone  LXXVII  sopra  la  Cantica  dice  lo  stesso  San  Bernardo  ai 
cattivi  prelati:  «  Noi  dicevamo  ieri  nel  nostro  sermone,  quali  Duci  noi  vorre- 
mo avere  in  questa  via,  per  la  quale  camminiamo,  perciocché  noi  per  espe- 
rienza vediamo  quanto  noi  gli  abbiamo  di  gran  lunga  dissomiglianti.  Ei  non 
son  tutti  amici  dello  sposo  quei,  che  tu  vedi  quinci  e  quindi  accanto  alla  sposa. 
Ei  son  pochissimi  de' cari  suoi,  queglino  che  non  cerchin  solamente  quel  che 
fa  per  loro;  eglino  amano  i  presenti,  e  non  posson  amar  insieme  Cristo: 
perciochè  eglino  hanno  dato  all'  avarizia  le  lor  mani.  Considera  come  ei  se  ne 
vanno  ornati  e  vestiti  di  varj  colori,  non  altrimenti,  che  una  sposa  esce  ad- 
dobbata e  acconcia  dalla  camera  sua.  Se  tu  vedessi  qualcuno  di  questi  da 
discosto,  non  ti  verrebbe  ei  pensiero,  così  in  un  subito,  che  ei  fosse  piuttosto 
la  sposa,  che  un  suo  guardiano?  E  donde  stimi  tu  che  egli  avanzi  lor  tanta 
roba,  che  egli  abbia  tante  belle  vesti,  tanta  abbondanza  di  vivande  in  tavola, 
tanta  copia  di  vasi  d'oro  e  d'argento,  se  non  dai  beni  della  sposa?  Quindi 
nasce  che  ella  è  lasciata  povera,  abbandonata  e  nuda,  macilenta,  sordida, 
sucida,  e  quasi  senza  vita.  Ei  non  s'  attende,  in  questo  tempo,  a  ornar  la  spo- 
sa, ma  a  spogliarla;  non  a  tenerne  cura,  ma  a  farla  mal  capitare;  non  a  di- 
fenderla, ma  a  metterla  ne' perigli;  non  ad  ammaestrarla,  ma  a  vituperarla. 
Ei  non  s'  attende  a  pascer  la  greggia,  ma  ad  ammazzarla  e  divorarla,  come 
dice  '1  Signore  di  lor  parlando.  Ei  s'  hanno  divorato  'l  mio  popolo  come  'l  cibo 
del  pane;  ed  fiatinosi  mangiato  Giacobbe,  e  desolato  'l  luogo  suo.  (4)  E  in  un  altro 
profeta:  Ei  mangiano  i  peccati  del  popolo  mio  ».  (5)  E  poco  più  sotto:  «  Dove  è 


(  )  Ep.  1  ai  Corinti,  c.  IX,  v.  13. 

('-')  Sopra  Michea,  cap.  IV,  Ed.  cit.  col.  1521. 

(3)  Serrilo  ad  pastores  in  si/nodo  conyregatos, 

(■»}  Salmo  XIV.  v.  i,  e  LXXVI1I,  v.  7. 

C)  Osea,  cap.  IV,  v. 


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chi  con  l'orazioni  pieghi  l'ira  di  Dio,  e  predichi  l'anno  piacevole  al  Signore?  Noi 
diciamo  le  cose  più  leggiere;  chè  alle  più  gravi,  più  grave  giudizio  s'aspetta.  Ma 
indarno  noi  dimoriamo  o  in  queste  o  in  quelle;  perchè  ei  non  ci  odono,  e 
comecché  forse  queste  cose,  che  noi  diciamo  si  scrivessero,  tuttavia  ei  si 
sdegnerebbero  di  leggerle;  e  se  pur  forse  ei  le  leggessero,  si  sdegnerebbero 
contr'  a  me,  sebbene  più  rettamente  ei  s' avesser  a  sdegnar  contr'  a  loro 
stessi  ».  Queste  son  le  parole  di  San  Bernardo,  il  cui  santissimo,  e  disertis- 
simo zelo  ti  conviene  di  riprendere,  se  tu  pur  vuoi  biasimare  Fra  Girolamo. (') 

Nè  certo  San  Bernardo  è  il  solo  tra  i  gran  santi  a  riprendere  e  a  biasi- 
mare i  vizj  de!  clero  come  fece  fra  Girolamo  Savonarola.  Basta  aprire  le 
Opere  de' Padri  per  trovarvi  tutte  le  espressioni  che  usa  il  severo  Domeni- 
cano. Nè  certo  nelle  opere  di  questo  troveremo  maj  espressioni  così  ardite 
come  quelle  di  San  Pier  Damiani  nel  suo  libro  appositamente  scritto  contro 
i  cattivi  chierici  intitolato  da  lui  Gomorriano.  L'  audace  scritto  del  severo  ro- 
mito non  tutti  sapevano  lodarlo,  temendo,  come  dice  il  card.  Capecelatro  «  uno 
scandalo  dove  era  un  ammonimento.  Perchè,  dicevano  essi,  entrare  in  una  via 
tanto  lubrica?  Perchè  accusare  sacerdoti  di  sì  ree  turpitudini  che  neppure 
si  posson  proferire  senza  rossore?  Se  sono  occulti  questi  mali,  qual  prò 
dallo  svelarli?  se  noti,  sarebbe  meglio  lagrimarne  e  tacere.  Non  aveva  detto 
1'  Apostolo  Paolo  che  certe  sozze  lascivie  non  si  vogliono  neanche  nominare 
tra  i  battezzati?  Or  così  fatte  cagioni  che  avevano  solo  apparenza  di  vero  non 
isvigorirono  il  monaco  avellanese,  il  quale  fermo  nel  suo  proposito  non  mo- 
strò mai  di  pentirsi  di  avere  svelate  quelle  pessime  turpitudini  ed  anzi  con 
grande  animo  resistè  agli  oppositori.  Ben  egli  si  era  accostato  con  ribrezzo 
a  trattare  delle  sacerdotali  impudicizie;  ina  nondimeno  avea  stimato  (dice 
così  egli  stesso)  che  mal  si  comporti  quel  medico  che  nasconde  la  piaga,  an- 
ziché curarla  arditamente  ».  (*)  E  arrivando  quel  lamento  fino  al  Pontefice,  il 
Damiano  non  si  scoraggi.  Al  Pontefice  stesso  scrisse  una  lettera  memoranda 
cosi  ardita  che  appena  ne  trovo  di  simili  nelle  scritte  da  Fra  Girolamo  ad  Ales- 
sandro VI.  Al  Pontefice  diceva  «  che  non  si  doveva  aggiustar  fede  così  di  leg- 
gieri a  qualunque  male  ci  si  dica....  senza  ponderarlo  accuratamente»,  e  sog- 
giungeva: «  Ove  non  sia  per  l'  amore  di  Cristo  (di  cui  sono  servo  indegno) 
non  chiedo  la  grazia  di  uomo  alcuno,  nè  l'ira  di  alcuno  pavento.  Bastami  il 
testimonio  della  buona  coscienza  ».  (3)  Questo  era  il  coraggio  che  nell'  anima 
di  quel  gran  Santo  nasceva  dal  vedere  flagellati  i  popoli  per  le  colpe  dei  cat- 
tivi pastori.  E  simili  parole  potremmo  trovare  in  San  Girolamo  a  cui  meglio 
che  ad  ogni  altro  pare  somigli  il  nostro  Frate.  (4) 

Ma  vediamo  qual  fosse  su  questo  punto  il  pensiero  del  grande  maestro  e 


(')  Veli  l'Opera  più  volte  citata  del  P.Tommaso  Xeri.  p.  37  e  seguenti. 
(*}  Capecelatro,  Via  di  San  Pier  Damiano,  Lio.  Ili,  p.  162. 
(*)  Capecelatro,  1.  c.  p.  161. 

(4)  Cf.  la  lettera  del  Papa  S.  Gregorio  VII  a  Ermanno  vescovo  di  Metz,  ove  gli  dice 
che  vai  più  l'umile  e  buon  popolano  che  il  re  o  il  prelato  cattivo.  Labbceus,  Sacrosancta 

eOneOia,  ed.  di  Venezia,  1730,  voi.  XII,  col.  197  e  segg. 


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confratello  del  Savonarola,  San  Tommaso  d'  Aquino.  Fra  Girolamo  ripeteva 
sovente  che  al  clero  e  ai  prelati,  segnatamente  ai  capi,  si  avevano  da  attribuire 
molti  de' peccati  del  popolo:  e  la  predica  XXIII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus, 
non  dubitò  d' intitolarla  :  «  Della  distruzione  del  popolo  cristiano  per  il  malo 
esempio  di  cattivi  prelati  ».  Ora  ivi  e  ne'  passi  analoghi  il  nostro  predicatore 
non  fa  altro  che  ripetere  e  chiarire  un  passo  del  Crisostomo  recato  da  San  Tom- 
maso nella  Catena  aurea,  ove  espone  il  XXI  di  San  Matteo,  v.  12.  Questo  Dot- 
tore adunque  ammira  la  divina  sapienza  del  Salvatore  il  quale,  dice,  essendo 
venuto  a  salvare  la  città,  come  buon  medico,  entrò  da  prima  nel  tempio  per 
intendere  alla  radice  del  male.  Imperocché,  segue  il  Crisostomo  «  come  dal 
tempio  esce  ogni  bene,  così  dal  tempio  procede  ogni  male.  Imperocché,  se  il 
sacerdozio  sarà  integro,  tutta  la  Chiesa  fiorirà;  ma  s'esso  sarà  corrotto,  tutta 
la  fede  è  marcia.  Perchè,  siccome  tu,  quando  vedi  l'albero  dalle  foglie  pallide 
pallide,  capisci  eh'  esso  ha  il  vizio  nella  radice,  così,  quando  vedi  il  popolo  in- 
disciplinato, argomenta  senza  dubbio  che  il  sacerdozio  di  esso  non  è  sano  ». 

E  che  cosa  non  si  legge  d'  acerbo  contro  i  profanatori  del  tempio  nella 
esposizione  che  Tommaso  fa  del  cap.  II  di  San  Giovanni  al  verso  17?  E  nel- 
1'  opuscolo  LXV  attribuito  all'  Angelico  (')  si  dice  pure  che  i  laici  si  corrom- 
pono facilmente  per  la  cattiva  vita  de'  sacerdoti,  e  per  i  perversi  esempj  del 
sacerdote  diventano  peggiori.  E  perciò,  soggiunge  1'  autore,  «  quanti  sono  i  sa- 
cerdoti che  offrono  a'  sudditi  esempio  di  perdizione,  altrettanti  sono  degni  di 
morte;  (*)  e  il  sacerdote  che  non  ha  per  sè  nè  regime,  nè  metodo  e  non  de- 
terge i  delitti,  nè  corregge  i  peccati  de' figli,  s'  ha  a  dir  cane  impudico  piut- 
tosto che  vescovo  ».  (3) 

Non  sarebbe  impresa  disagevole  per  tutti  i  luoghi  del  Savonarola,  che  pur 
sono  moltissimi  o  riguardili  la  teorica  o  il  fatto,  addurne  parecchi  de'  Padri  e 
de'  Dottori.  Lasciatemi  ancora  trascrivere  un  passo  qui  che  mi  par  che  abbia 
importanza  tutta  speciale.  È  noto  che  il  Savonarola  minacciava  guai  all'Italia, 
dicendone  specialmente  cagione  i  cattivi  chierici,  per  i  quali  era  sorta  la  tem- 
pesta; e  cosi  anche  con  non  minore  insistenza  ne  gridava  a  Roma  in  partico- 
lare. E  qui  davvero  che,  quasi  non  bastassero  i  flagelli  dell'immoralità  e  la  per- 
dita in  molti  della  fede,  i  flagelli  non  si  fecero  aspettare  molto,  ma  vennero 
e  terribili,  nel  miserabile  caso  dell'  eterna  città,  e  nel  crudelissimo  sacco  che 
ne  fecero  i  Lanzi  e  gli  Spaglinoli  nel  1527,  al  tempo  di  papa  Clemente  VII. 
Ora,  vedendo  questo  flagello  il  cardinal  Gaetano,  e  commentando  le  parole  di 
Cristo:  —  che  il  sale  diventato  sciocco  non  serve  più —  scriveva:  «  Ei  si  ve- 
rifica quel  che  in  questo  luogo  dice  il  Signore  continuamente,  neh'  esser  giu- 
stamente disprezzata  la  vita  de'  pastori,  al  che  seguita  che  siano  altresì  beffate 
le  lor  parole.  Lo  sperimentiamo  noi  ora,  prelati  della  Chiesa,  in  un  particolar 
modo,  dati  per  giustissimo  giudizio  di  Dio,  in  preda,  in  sacco  e  in  prigionia, 


(*)  V.  l'edizione  napoletana  del  1778  in  6  volami:  tomo  VI,  p.  103-136. 
(2)  Dect.  secund.  part.  caus.  XI,  q.  III.  can.  Precipue- 
(')  Dect.  secund.  part.  caus.  II,  q.  VII,  can.  Qui  nec. 


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non  nelle  mani  d'infedeli,  ma  di  Cristiani;  perciocché,  essendo  noi  eletti  per 
sale  della  terra,  noi  siamo  svaniti,  nè  più  a  cosa  veruna  utili,  eccetto  che  alle 
cerimonie,  e  beni  di  fuori;  noi  siamo  stati  calpestati,  ancor  di  corporal  prigio- 
nia, insieme  con  tutta  la  città  di  Roma  ».  (/) 

Citato  questo  passo,  Fra  Tommaso  Neri  domanda  ad  un  calunniatore  di 
Fra  Girolamo:  «  Deh,  dimmi:  devesi  condannar  il  Gaetano,  perchè  egli  scrive 
queste  cose,  poiché  eli'  eran  occorse,  da  che  s'accusa  Fra  Girolamo,  il  quale 
le  predisse  innanzi?  0  bisognerà  condannar  ancor  molti  profeti,  i  quali  è- 
certo,  che  hanno  favellato  contr'  a  sacerdoti,  e  prelati  cattivi,  e  tra  gli  altri 
massimamente  Geremia  e  Ezechiele,  che  furono  amendue  sacerdoti,  e  inoltre 
Osea,  Sofonia,  Malachia,  i  quali  nondimeno  saria  troppo  gran  sacrilegio  non 
onorare,  e  non  adorare  ».  (2) 

Così  domando  io:  vi  piace  condannare  Girolamo  Savonarola  per  le  cose 
che  disse  contro  i  cattivi  del  clero?  E  allora  condannate  tutti  i  Santi  Padri 
e  i  più  zelanti  Dottori  cattolici  e  in  particolare  condannate  Santa  Caterina  da 
Siena;  imperocché,  come  ben  nota  lo  storico  delle  Signorie  Italiane,  «  i  ser- 
moni del  Frate,  dove  combattono  la  scostumatezza  degli  ecclesiastici,  si  di- 
rebbero copiati  dalle  lettere  di  Santa  Caterina  da  Siena  ».  (Pag.  746.)  (3) 

Già  il  Pastor  (voi.  I,  pag.  82)  ci  fa  sapere  che  a  capo  dell'opposizione  con- 
tra  i  cattivi  pastor i  della  Chiesa  era  un  secolo  innanzi  al  Savonarola  la  repubblica 
di  Firenze  ;  il  che  solo,  quando  anche  le  invettive  terribili  di  Dante  e  del  Petrarca 
non  si  conoscessero,  ci  mostrerebbe  che  1'  opposizione  di  fra  Girolamo  contro 
i  nuovi  profanatori  del  tempio  non  era  una  novità  pei  Fiorentini.  Ma  chi  era 
che  particolarmente  moveva  il  popolo  all'  opposizione?  Era  «  la  più  fida  ade- 
rente di  Gregorio  XI,  Santa  Caterina  da  Siena  »  che  «  non  ebbe  punto  riguardo 
di  bollare  (come  ci  dice  il  Pastor)  con  le  più  forti  espressioni  i  portamenti 
dei  cattivi  pastori  della  Chiesa  e  di  eccitare  il  papa  a  procedere  con  energia 
contro  gl'  indegni  che  attossicano  e  imputridiscono  questo  giardino  della  Chiesa  ». 
(Ivi.)  E  con  pari  severità,  come  lo  stesso  Pastor  ci  fa  sapere,  (ivi,  nota  1) 
«  giudicò  più  tardi  Sant'  Antonino  Arcivescovo  di  Firenze  ».  Ove  trovare  nel 
Savonarola  paroie  più  terribili  delle  seguenti  di  Santa  Caterina  da  Siena  ci- 
tate dal  Pastor?  «  Parlando  della  Chiesa,  essa  diceva  al  Papa:  Riponetele  il 
cuore,  che  ha  perduto,  dell'  ardentissima  carità,  chè  tanto  sangue  ci  è  stato 
succhialo  dagli  iniqui  devoratori,  che  tutta  è  impallidita  »  (pag.  85).  E  come 
soggiunge  il  Pastor,  (pag.  87)  la  stessa  Santa  «  deplorava  altamente  di  trovare 
nella  corte  Papale,  che  dovrebb' essere  un  paradiso  di  virtù,  il  puzzo  infernale 
dei  vizi  ».  Queste  parole  della  Santa  il  Pastor  le  approva  ;  e  chiama  «  bella  te- 
stimonianza per  Gregorio  che  Caterina  potesse  sì  francamente  parlare  e  per  lei 


(')  Commento  sopra  Muttto,  o.  V.  v.  13. 
(4)  Op.  cit.  pag.  18. 

(3)  La  maggiore  unzione  ascetica  che  l'egregio  storico  trova  nelle  lettere  (lolla  Santa 
non  è  certo  cosa  da  farci  biasimar  quelli,  pur  mentre  si  lodan  queste;  e  chi  la  invocasse  con- 
tro ili  noi  per  negare  la  parità  del  caso,  credo  non  indovinerebbe  del  tutto  il  pensiero  del- 
l'illustre uomo. 


—  267  — 


che  parlasse  in  tal  guisa  »  (ivi).  Se  si  venisse  al  caso  del  Savonarola,  si 
vedrebbe  pur  troppo  che  chi  meritava  condanna  non  era  certamente  il  con- 
fratello di  Santa  Caterina.  E  il  Pastor  ci  concederà  facilmente,  che  i  prelati 
contro  cui  egli  declamava  non  erano  certo  migliori  di  quelli  che  la  Santa  chia- 
mava «  Dimoni  incarnati  che  han  fatto  nascere  Anticristo  contro  Cristo  in  terra  », 
non  erano  migliori  di  quelli  a  cui  la  Santa  regalava  i  titoli  di  «  ingrati,  vil- 
lani, mercenari,  vili  e  miserabili  cavalieri,  avvelenati  dal  veleno  dell'amor  proprio, 
che  d'angeli  terrestri  che  dovrebbero  essere  hanno  preso  l'ufficio  delle  dimonia, 
matti  e  seduttori,  stolti,  degni  di  nulle  morti,  ciechi  e  menzogneri  e  idolatri,  simo- 
niaci a  procacciar  le  grazie  e  usarle  illecitamente  »  (ivi,  pag.  S6  e  seg.).  Il  para- 
gone terribile  del  Savonarola  nella  predica  XXVII  sopra  Amos  ove  l'innalzare 
un  peccatore  pubblico  al  vescovato  lo  chiama  «  mettere  il  diavolo  nella  sedia 
di  Cristo  »  (*)  perde  la  sua  forza  al  confronto  dei  citati  improperj  della  Santa 
senese.  Nè  si  dica  che  ella,  parlando  degli  elettori  dell'antipapa,  poteva  usar  pa- 
role così  severe,  perchè  il  carattere  sacerdotale  ed  episcopale  era  in  loro  come 
negli  elettori  di  Alessandro  VI;  e  che  questi  ultimi  non  avessero  diritto  a  mag- 
giori riguardi  ce  lo  concedei  à  facilmente  il  Pastor,  i!  quale  racconta  di  essi  ciò 
che  il  Savonarola  non  ebbe  mai  ardire  di  raccontare  (sebbene  ne  fosse  troppo 
bene  informato)  per  non  offendere  le  orecchie  degli  uditori  suoi. 

Ci  resta  un'accusa  speciale  che  merita  che  si  ribalta  direttamente.  È  stato 
detto  e  ripetuto  che  Fra  Girolamo  vilipendeva  dal  pergamo  il  Papa  Alessan- 
dro VI.  Qui  l'esempio  di  santa  Caterina,  secondo  il  giudizio  del  Pastor,  con- 
danna il  Savonarola.  «  Santa  Caterina  da  Siena  aveva  scritto  una  volta  alla 
Signoria  che,  eziandio  se  il  Papa  fosse  un  demonio  incarnato,  conviene  esser 
sudditi  e  ubbidienti  a  Lui,  non  per  lui  inquanto  lui,  ma  per  l'obbedienza  a 
Lui  come  Vicario  di  Cristo  »  (pag.  143).  E  cosi  ancora  per  il  posto  che  occupa 
nella  Chiesa  e  nella  Gerarchia  ecclesiastica,  noi  crediamo  che  non  ci  sia  sempre 
lecito,  parlando  in  genere,  pubblicare  i  vizj  del  Pontefice  e  direttamente  lan- 
ciare contro  di  lui  l'infamia  senz' alcun  riguardo.  D'altra  parte  è  chiaro  che, 
ove  il  Savonarola  avesse  mostrato  al  popolo  le  turpitudini  del  Borgia,  egli 
avrebbe  certo  mirato  al  particolare,  nè  si  potrebbe  difenderlo.  Come  dobbiamo 
adunque  pensare  qui?  Dobbiamo  negare  recisamente  l'accusa,  imperocché  essa 
è  falsa  e  calunniosa. 

«Oh!  e' dicono  che  tu  hai  detto  male  del  Papa,  e  che  tu  sei  entrato  molto 
dentro!  Che  vuol  dire  che  non  fanno  guerra  a  chi  ne  ha  detto  male  qua  aper- 
tamente?! Io  non  ho  nominato  qua  nessuno.  (Sopra  Ezechiele,  XIX.) 

«  Hanno  detto  che  io  ho  detto  male  del  Papa:  Popolo,  tu  mi  sei  testimo- 
nio: mi  hai  udito  se  io  ho  detto  mai  simile  cosa?  ho  nominato  il  Papa  in 
male  nessuno  »?  (Predica  XXVIII  sopra  alquanti  salmi.) 

«  Al  Papa  ora  parliamo:  Egli  è  stato  affermato  e  scritto  alla  Sua  Santità, 


(')  Un'espressione  simile  trovasi  nel  discorso  ad  clerum  in  concilio  Hhemensi  congregatum 
posto  tra  quelli  di  San  Bernardo,  che,  se  non  è  del  santo  Dottore,  almeno  è  tratto  tutto  da  altre 
opere  di  lui.  V.  ed.  di  Venezia,  1727,  col.  819. 


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«he  io  lio  detto  male  di  quella;  il  che  non  è  vero:  Egli  è  scritto  nella  Scrit- 
tura Santa:  Non  dire  male  del  principe  del  tuo  popolo.  (')  Questo  io  non  l'ho 
mai  fatto;  io  non  ho  nominato  qua  nessuno.  Voi  avete  scritto  a  Roma  che  io 
ho  detto  male  del  Papa.  E'  non  è  vero.  S'  ei  ti  dimanda:  che  dice  egli  de'  fatti 
miei?  rispondi:  Nulla.  Dico  che  sarà  dannato  chi  non  obbedirà  alla  Santa  Ro- 
mana Chiesa. 

«  Tu  se' perseguitato,  perchè  tu  hai  detto  male  del  Papa.  Io  non  ho  nomi- 
nato qua  nessuno:  come  ho  io  detto  adunque  male  del  Papa?  Io  ho  ripreso  i 
vizj  in  generale,  ed  ho  detto  la  verità  :  e  tu  sai  che  son  già  sette  anni  pas- 
sati che  cominciai  a  predicare;  e  dissi  allora  che  io  era  come  la  gragnuola,  e 
che  chi  non  voleva  eh'  ella  il  percotesse,  stesse  coperto.  E  sai  che  io  dissi  : 
Metti  l'armadura  in  capo:  mettiti  la  virtù;  ella  non  ti  percuoterà.  Ella  veniva 
allora  piccolina;  ma  ora  ella  è  venuta  tanto  grossa,  che  ella  ti  rompe  il  capo, 
e  tu  non  la  puoi  patire.  Non  sai  tu  che  egli  è  stato  detto  male  del  Papa 
apertamente  da  altri  là  sul  pergamo  di  Santa  Reparata;  e  che  il  Papa  era 
infedele  e  marrano  e  fatto  per  simonia,  e  pure  lui  non  ha  persecuzione.  Egli 
bisogna  discuoprire.  Dio  vuole  così.  Lui  ora  è  il  bello  e  il  buono,  e  gli  altri 
sono  perseguitati.  Questo  è  adunque  segno  che  quelle  non  erano  le  parole  di 
Dio  e  che  non  era  per  zelo  dell'onore  del  Signore;  io  ti  avviso  che  questi 
tali  sono  soldati  di  uomini  grandi,  e  dicevano  cosi  allora  per  compiacere  ai 
grandi  Maestri  ».  (Sopra  1'  Esodo,  XVIII.) 

E  nella  lettera  ad  Alessandro  VI  del  22  maggio  1407: 

«  Beatissimo  Padre, 

«  Perchè  il  mio  Signore  si  sdegna  col  suo  servo?  Che  colpa  ci  ho  io  se  i 
figliuoli  dell'iniquità  mi  calunniano  ingiustamente?  Perchè  il  mio  Signore, 
prima  di  aggiustar  fede,  non  interroga  e  ascolta  il  suo  servo?  Benché,  è  troppo 
difficile  che  animo  già  inclinato  dalla  parte  degli  avversari,  si  possa  discre- 
dere. Una  frotta  di  cani  mi  si  è  messa  d'intorno,  una  turba  di  maligni  mi 
ha  assediato.  E  mi  dicono:  Bene  sta,  bene  sta!  non  è  salute  per  lui  nel  suo 
L'io.  Imperocché  tiene  in  terra  le  veci  di  Dio  la  Santità  Vostra,  a  cui  mi  accu- 
sano di  lesa  maestà,  pensatamente  inventando  che  io  non  mi  sto  dal  morderla 
e  lacerarla  con  male  parole,  e  le  mie  parole  in  mille  modi  storgono  e  sacri- 
legamente pervertono.  Fecero  lo  stesso  due  anni  sono.  Ma  vi  ha  molte  mi- 
gliaia di  uditori  in  testimonio  della  mia  innocenza:  vi  sono  le  parole  mie,  prese, 
se  io  non  m'inganno,  tali  e  quali  uscirono  dalla  mia  bocca,  ed  in  parte  ancora 
divulgate  per  tutto  dai  librai  e  stampatori.  Queste  si  mettano  fuori,  si  leggano, 
si  esaminino,  per  vedere  s'è  cosa  in  esse  da  cui  la  Santità  Vostra  resti  offesa, 
come  hanno  costoro  tante  volte  falsamente  riferito.  E  per  convincermi  di  ma- 
nifestissima conti-adizione,  si  penserà  che  io  volessi  dire  una  cosa  in  pubblico  e 
un'altra  scrivere?  Che  bel  giudizio,  che  prò!  sarebbe  una  cosa  da  pazzo!  E  mi 


(')  Esodo  c.  XXII,  v.  28,  e  Atti  degli  apostoli,  c.  XXIII,  v.  5. 


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fa  meraviglia  come  la  S.  V.  non  riprovi  tanta  loro  rabbia  e  nequizia.  Con  qua} 
faccia,  con  qual  coscienza  questo  egregio  predicatore  (*)  così  portato  in  palma 
di  mano  rinfaccia  a  me  innocente  la  colpa,  ond'egli  è  grandemente  reo?  dacché 
son  costretto  a  mettere  in  aperto  le  sue  parole.  Asserisco  dunque  che  vi  sono 
infiniti  testimonj,  i  quali  un  tempo  lo  hanno  udito  dal  pulpito  dir  cose  di  fuoco 
contro  Vostra  Santità.  E  perchè  non  s'abbia  a  credere  che  io  mentisca,  produrrò, 
se  occorra,  la  fede  per  man  di  notaro  di  buoni  testimonj.  Anche  mi  ricordo  che 
la  sua  insolenza  fu  già  redarguita  e  condannata;  non  essendo  lecito  inveire  contro 
persona,  pur  piccola,  ma  tanto  meno  poi  contro  chi  è  primo  e  pastore  di  tutti.  E 
chi  è  tanto  sciocco  da  non  saper  queste  cose?  Non  sono,  grazie  a  Dio,  così  stolto 
da  non  conoscermi.  Io  sempre  mi  sottoposi  al  gastigo,  e  quante  volte  occorra,  son 
qua  per  sottopormivi  ora  e  sempre.  Chè  io  son  pure  peccatore,  il  quale  grido  con 
quanto  ho  di  voce,  di  far  penitenza  de' peccali,  di  emendare  i  costumi  e  di  tornare 
alla  fede  del  nostro  Signor  Gesù  Cristo,  mentre  mi  adopro  di  riaccender  nei 
cuori  degli  uomini  la  fede  cristiana  quasi  estinta,  e  penso  di  stampare  fra 
poco,  chè  così  piace  a  Dio,  l'opera  del  Trionfo  di  Cristo,  per  corroborare  la 
fede.  Dal  qual  libro  apparirà  manifestamente,  se  io  sia  seminatore  d'eresie 
(che  tolga  Iddio!)  o  non  piuttosto  di  fede  cattolica.  Non  voglia  dunque  la  Bea- 
titudine Vostra  porgere  orecchio  agli  insidiosi  ed  ai  malevoli,  senz'averne  le 
prove;  mentre  fin  qui  si  possono  convincere  di  molte  menzogne.  E  se,  poten- 
done più.  la  iniquità  dei  tristi,  a  me  verranno  meno  gli  umani  soccorsi,  porrò 
in  Dio  aiutatore  mio  la  speranza,  e  farò  constare  a  tutto  il  mondo  la  loro  ma- 
lizia, onde  abbiano  forse  una  volta  a  pentirsi  della  impresa.  Mi  raccomando- 
umilmente  a  Vostra  Beatitudine  ».  (2) 

Nè  le  asserzioni,  che  abbiamo  fin  qui  addotte,  rimasero  o  ci  furono  tra- 
mandate senza  prove,  senza  il  conforto  dell'altrui  testimonianza.  Lascio  da 
parte  1'  autorevole  apologia  che  molti  insigni  scrittori  contemporanei  ci  lascia- 
rono del  nostro  Frate  e  della  rettitudine  dell'  animo  di  lui  e  della  bontà  della 
dottrina  e  del  rispetto  alla  potestà  ecclesiastica;  e  mi  sto  contento  a  questo  ri- 
guardo di  citare,  a  prova  che  le  asserzioni  soprascritte  e  le  altre  simili  del 
Savonarola  sono  vere,  l'  autorevole  testimonianza  di  tutti  i  Frati  di  San  Marco, 
di  centinaia  d'illustri  cittadini,  della  Signoria  di  Firenze  che,  attesa  la  sua  so- 
lennità, vale  certo  per  molte;  il  carteggio  scambiato  tra  la  Signoria  e  1'  amba- 
sciatore Alessandro  Bracci  e  I'  oratore  Domenico  Bonsi  pubblicato  dal  Mar- 


c') Cioè  Mariano  da  Genazzano. 

(2)  Versione  di  Cesare  Guasti.  Vedila  nell'articolo  Filippo  Neri,  Archivio  storico  ita- 
liano, Serie  IV,  T.  XIV,  pag.  236.  Il  Papa  sembra  che  accogliesse  molto  bene  le  ragioni  del 
Frate,  imperocché  questi  nella  famosa  lettera  ad  un  amico,  scrive  che  i  suoi  detrattori, 
mancando  loro  ogni  argomento,  si  erano  bensi  sforzati  finalmente  di  persuadere  al  Papa 
eh'  egli  aveva  detto  male  particolarmante  della  Sua  Santità  e  di  alcuno  de'  suoi  Reveren- 
dissimi Cardinali;  ma  soggiunge,  questo  non  ha  ancora  loro  giovato.  Perchè  come  si  dice 
in  proverbio,  le  bugie  hanno  le  gambe  corte  e  massime  quando  le  sono  contro  alla  verità 
manilesta  a  molte  migliaia  di  persone;  perchè  egli  non  predicava  ne' cantoni ,  nè  faceva 
conventicoli  per  le  case,  come  i  suoi  nemici  e  i  tiepidi,  ma  predicava  nelle  chiese  dove  po- 
teva convenire  tutto  il  popolo. 


—  270  — 


-chese  nell'  Archivio  Storico  Italiano  e  dal  Gherardi  ne'  Nuovi  Documenti:  si 
legga  la  lettera  che  la  Signoria  stessa  scrisse  a  Francesco  Pepi  oratore  a  Mi- 
lano, a'  di  3  marzo  1497,  e  meglio  ancora  le  lettere  che  essa  spedi  ad  Ales- 
sandro VI  a'  dì  4  marzo  e  a'  dì  8  luglio  dell'anno  medesimo,  e  si  resterà  certo 
persuasi  che  le  asserzioni  del  Savonarola  non  ci  pervennero  nude  e  gratuite, 
ma  ben  confermate!  (') 

Ma  il  passo  di  sopra  riferito  a  pag.  240  non  deve  proprio  intendersi  di  Ales- 
sandro VI?  —  E  perchè  si  dovrà  intendere  di  Alessandro  VI?  Dio  volesse  che  qui 
il  Savonarola  mirasse  appunto  a  quest'  uomo  e  a  quella  casa  immorale  e,  non 
potendo  mirare  ad  altro,  non  avesse  avuto  nessuna  più  generale  ragione  di 
pronunciar  tanto  gravi  parole!  Ma  il  prof.  Cipolla  parlando  di  questo  brutto 
fatto  dice:  «  In  quell'  epoca  una  simile  condotta  morale  era  tanto  comune  che 
perdonavasi  e  dimenticavasi  facilmente  anche  nelle  persone  ecclesiastiche  ». 
Op.  cit.,  pag.  671.  (2) 


(')  Ecco  un  passo  molto  espressivo  della  lettera  scritta  da'  Dieci  di  Libertà  e  Balia  al 
Becchi,  al  di  9  marzo  1496.  <  Noi  habbiamo  chiaramente  conosciuto,  per  le  ultime  vostre  alli 
spettabili  X,  con  quanta  cura,  amore  e  fede  vi  siete  operato  et  con  la  Santità  del  nostro  Si- 
gnore, e  con  molti  Reverendissimi  Cardinali,  che  Irate  Hieronymo  habbi  licentia  di  perse- 
verare nelle  sue  predicationi.  La  qual  cosa  et  ad  noi  et  a  tutto  questo  popolo  è  molto  pia- 
ciuta, benché  non  abbia  ancora  hauto  quello  effecto  desideravamo;  et  da  tutti  ne  siate  uni- 
versalmente commendato:  et  veramente  credono  che  non  sia  per  voi  restato,  ma  per  le  false 
calumnie,  che  sono  dagli  emuli  et  perversi  huomini  contro  a  frate  Hieronymo  tutto  el  di 
ficte  et  miichinate.  Ma  sappiamo  certo,  che  se  la  verità  rilucesse  nel  cospecto  di  coloro  da 
chi  sono  poste  tali  calumnie,  come  «noi  è  noto  e  chiaro,  non  vi  sarebbe  molta  fatica  ad  im- 
petrare il  nostro  desiderio. 

Et  perchè  non  solo  lui,  m-i  noi  ne  siamo  in  qualche  parte,  secondo  ne  scrivete,  non 
poco  gravati,  come  quelli  che  pare  patiamo  che  frate  Hieronymo  nelle  sue  predicationi  et 
contro  alla  Ecclesia  et  alla  Santità  di  nostro  Signore,  ardisca  con  poco  honore  et  dignità 
di  quella  pubblicamente  parlare;  ci  pare  conveniente  farvi  manifesto  intendere,  che  né  lui 
mai  insino  a  qui  in  tal  cosa  è  trascorso,  più  che  si  patisca  1'  honesto  della  universale  con- 
suetudine de' predicanti,  in  riprendere  in  genere  i  viti]  et  mancamenti  de' Pi  incipi,  et  incu- 
tere terrore  alli  peccatori,  con  qualche  promissione  et  assertione  de'divini  flagelli:  et  noi 
se  di  questo  fussi  in  modo  alcuno  uscito,  praesertim  toccando  la  Santità  del  nostro  Signore 
della  quale  sempre  fummo  et  siamo  fidelissimi  et  observantissimi  figlioli,  non  haremo  in  modo 
alcuno  comportato  predicassi.  Et  veramente  non  poco  ci  maravigliamo  di  quelli  che  ardi- 
scono tali  ineptie  et  calumnie  fingere  d'un  tanto  huomo;  et  appresso  a  tali,  a  chi  la  verità 
con  il  tempo  bisogna  sia  notissima.  Et  perchè  fermamente  speriamo  che  presto  sarà  cono- 
sciuta, vi  conlortiamo,  graviamo  et  vogliamo,  che  con  tutti  quelli  Reverendissimi  Cardinali 
che  vi  pare  sia  a  proposito,  et  con  la  Santità  del  nostro  Signore  operiate  iuxta  il  poter  vo- 
stro, che  non  sia  prestata  più  fede  agli  iniqui  et  dectratori,  che  a  voi;  el  quale  in  nostro 
nome  siete  stato  vero  e  fedele  testimonio  della  vita,  opere,  sanctimonia,  e  predicationi  lau- 
dabili di  frate  Hieronymo,  e  della  ferma  e  constante  observantia,  et  devotione  nostra  verso 
la  Santità  del  nostro  Signore,  et  di  ciascuno  di  cotesti  Reverendissimi  Cardinali».  (Marchese, 
documenti  pubblicati  nell'Archivio  Storico  Italiano,  App.,  t.  Vili,  anno  1850,  pag  147.) 

(2)  Questo  medesimo  storico  parlando  dello  stato  di  Roma  d'allora,  nota  a  pag.  654,  che 
meglio  di  molte  parole  potrebbe  servire  a  formarcene  il  concetto  un  fatto  raccontato  dal- 
l'Int'essura  (Apud.  Murat.  Ili,  2.  1217),  il  rapimento  cioè  della  figlia  di  Giacomo  Cuch  tentato 
da  Franceschetto  Cybo  e  da  Girolamo  Tuttavilla,  figlio  del  cardinale  di  Rohan. 

Mi  furono  sempre  d'un  vero  conforto,  quante  volte  la  necessità  mi  costrinse  a  leggere 
delle  turpitudini  di  quella  infelice  età,  le  savie  e  profonde  parole  che  quest'uomo  insigne 
scrive  a  pag.  697:  «La  Grecia  soggiogata  diede  la  civiltà  a  Roma  antica.  Le  inondazioni 
delle  genti  germaniche  oltre  i  confini  dell'  impero  romano,  e  il  loro  stabilimento  sulle  antiche 


E  il  Pastor  a  pag.  78  ci  dice  che  «  la  depravazione  spaventevole  dei  Bor- 
gia non  è  un  fatto  isolalo;  chè  quasi  tutti  i  grandi  d'allora  vivevano  in  si- 
mile guisa  >.  E  quanto  al  clero,  come  abbiamo  visto  or  ora,  ci  dice  il  Pa- 
stor che  in  esso  la  immoralità  era  cosi  grande  e  pressoché  universale,  che  si 
elevarono  delle  voci  chiedenti  il  matrimonio  de' preti e  ne' conventi  i  voti 
di  castità  non  erano  osservati.  (Pag.  116.)  E  a  pagina  89,  dove  narra  di  ciò 
che  ci  par  pur  bello  il  tacere,  dice  che  nonostante  tutto  lo  sforzo  dei  missio- 
nari e  l'opera  della  Chiesa  contro  il  guasto  morale,  le  condizioni  in  complesso 
rimasero  tristi,  in  Roma  più  che  altrove,  in  causa  del  pessimo  esempio  dato 
dallo  stesso  clero. 

Con  qual  fondamento  adunque  s'  accusa  il  Savonarola  di  aver  alluso  ad 
Alessandro  VI  in  particolare  colle  parole  di  sopra  trascritte?  0  forse  doveva 
egli  tacere,  perchè  il  papa  era  avvolto  nel  vizio  comune?  o  perchè  i  suoi  ne- 
mici e  i  viziosi  lo  calunniavano  di  dir  male  del  papa?  È  questa  la  libertà  del 
predicatore  cattolico?! 

Dopo  ciò  è  per  lo  meno  lecito  a  noi  il  chiedere  a  coloro  i  quali  affermano 
che  il  nostro  Frate  diceva  male  in  pubblico  del  Pontefice,  che  vogliano  indi- 
carci in  qual  tempo  e  in  qual  luogo  lo  abbia  fatto;  e  quali  cose  abbia  pronun- 
ciato o  scritto.  Ci  è  per  lo  meno  lecito,  finché  non  si  adducano  buone  prove 
di  ritenere  il  contrario,  o  almeno  sospendere  il  giudizio  e  non  condannare.  E 
chi,  e  con  qual  sistema  di  leggi,  può  mai  condannare  prima  di  aver  visto  e 
udito  prove  convincenti?  Nessuno  può  mostrare  che  il  Savonarola  mancasse 
di  rispetto  al  Supremo  Gerarca  della  Chiesa  ;  e  se  la  sferza,  certo  singolare  e 
nuova,  perchè  mossa  dalla  fede,  colla  quale  egli  flagella  il  vizio  pareva  perco- 
tere  e  percoteva  anche  1'  anima  del  Borgia;  se  la  gragnuola  grossa  e  strana 
che  cadeva  sopra  i  tiepidi  e  i  guasti  pareva  non  rispiarmiasse  e  non  rispar- 
miava il  capo  di  Alessandro  VI,  perchè  il  giudizio  comune  l'annoverava  tra 
quelli;  che  colpa  ne  aveva  l'ardente  e  severo  Frate  di  San  Marco?  Perchè  è 
vizioso  un  potente,  il  predicatore  cattolico  dovrà  chiuder  la  bocca,  porvi  su  il 
dito  e  più  non  fulminare  il  vizio?  Anzi,  allora  egli  prende  animo  e  scuote  più 
arditamente  la  sua  verga  ad  esempio  di  Cristo.  Ma  se  terribili  erano  le  sue 
parole  e  severe  le  sue  minacce,  egli  sempre,  come  dice  il  P.  Bayonne  (*)  «  par- 
lava sulle  generali,  senza  fare  allusione  a  persone,  evitando  con  cura  di  at- 
tentare al  sacro  carattere  ond'  erano  rivestite.  Tale  è  la  testimonianza  resa  a 
lui  incessantemente  dai  magistrati  e  principali  cittadini  di  Firenze;  ce  ne  pos- 
siamo accertare  leggendo  le  sue  prediche  e  i  suoi  scritti,  e  sfidiamo  ardita- 
mente a  trovarci  una  frase,  una  parola  sola  irriverente  verso  alcun  prelato  o 


Provincie  di  questo,  facilitarono  alle  medesime  la  conversione  al  Cristianesimo  e  la  parte- 
cipazione alla  civiltà  greco-latina.  Le  guerre  che  dopo  la  discesa  di  Carlo  Vili  per  lunghi 
decenni  senza  interruzione  desolarono  le  province  italiane,  corse  dagli  eserciti  di  Francia, 
di  Spagna  e  di  Germania,  furono  il  terribile  mezzo  di  cui  si  servi  la  Provvidenza  per  punir 
noi,  ed  aprir  ai  popoli  d'  Europa  la  nostra  cultura. 
(')  Bayonne,  Éhide.,  etc.  p.  60. 


  272  — 


verso  il  Sommo  Pontefice.  I  suoi  nemici  soltanto  potevano  a  loro  agio  falsare 
le  sue  parole  presso  coloro  che  non  lo  avevano  inteso,  e  far  loro  intendere 
che,  flagellando  i  vizi,  egli  diffamasse  le  persone  ».  Del  resto,  coloro  che  vo- 
gliono a  tutti  i  costi  pronunciare  la  condanna  del  Ferrarese,  pensino  che  sono 
essi,  in  caso,  che  fanno  reo  il  Pontefice,  particolareggiando  e  individuando;  non 
egli,  che  non  scese  mai  al  particolare.  In  verità  non  era  Fra  Girolamo  che 
accusava  Alessandro  VI,  ma  era  «  la  vita  »  di  quel  Pontefice,  che  il  Pastor 
chiama  «  buontempone  d'  indomita  sensualità,  che  contradiceva  in  tutto  alle 
esigenze  dell'ufficio  che  sulla  terra  doveva  rappresentare  »;  era  «  l'abbando- 
narsi ch'egli  fece  finché  visse  con  tutta  disinvoltura  ad  una  condotta  pecca- 
minosa »  (pag.  435)  ;  (*j  queste  eran  le  cagioni  di  accusa  presso  il  popolo 
cristiano.  Ma  di  ciò  Fra  Girolamo  non  aveva  colpa  davvero.  Con  tutta  l'energia 
che  aveva  non  cessò  mai  di  gridare  :  «  0  persecutori  dei  buoni,  che  domando 
io  a  voi?  o  tiepidi,  o  Roma,  che  ti  domando  io?  Io  voglio  una  bolla  da  potere 
ben  vivere;  questo  è  quello  che  io  vorrei  da  voi;  ma  si  attende  piuttosto  qua 
a  procurar  bolle  che  siano  contro  il  ben  vivere  e  che  lo  gettino  per  terra.... 
Ma  voi  non  vedete  che  viene  la  morte?  Io  la  veggo  venire,  bisogna  portare 
l'olio  santo  a  cintola!  Italia,  tu  credi  d'aver  fuggito  il  flagello,  tu  credi  aver 

composto  ogni  cosa,  e  non  ne  sarà  nulla        Italia,  non  c'  è  rimedio  se  non 

tórre  via  i  peccati....  » 

Ma  già  abbiamo  detto  abbastanza,  ed  è  tempo  che  chiudiamo  questo  ca- 
pitolo diventato  lungo  anche  troppo.  Per  nessun  lato  adunque  regge  1'  ac- 
cusa di  eccesso  e  d'imprudenza  contro  Fra  Girolamo:  non  ha  intempe- 
ranza la  sua  maniera  di  lamentare  la  corruzione  nella  Chiesa  del  secolo  XV; 
egli,  predicando  contro  i  vizj  del  clero,  si  contenne  ognora  nel  diritto  nel  quale 
conviene  che  si  contenga  il  predicatore  cattolico.  A  lui  non  si  può  in  questa 
causa  muover  alcun  giusto  rimprovero. 


(')  Dopo  queste  e  altre  severissime  parole,  il  Pastor  soggiunge  molto  opportunamente 
che,  nonostante  tutto  questo  «il  modo  con  cui  Alessandro  Vi  trattò  gli  affari  puramente 
ecclesiastici  non  ha  dato  appiglio  ad  alcun  biasimo  fondato...  e  la  purità  della  dottrina 
ecclesiastica  rimase  intatta».  E  cosi  l'egregio  storico  che  ritiene  esser  dovere  dei  cattolici 
condannare  con  severità  Alessandro  VI,  dà  ai  lettori  suoi  il  modo  di  poter  trarre  dalla 
vita  stessa  di  alcuni  uomini  di  chiesa  un  argomento  di  più  per  provare  l'indefettibilità  di 
lei  e  l' infallibile  suo  magistero  nella  tede  e  nel  costume. 


XVII. 


Zelo  di  Fra  Girolamo  per  la  Casa  di  Dio. 


Sommario. 

Breve  epilogo.  —  Argomento  nuovo.  —  Nostra  insufficienza.  —  Limiti  del  nostro  lavoro.  —  Natura 
dello  zelo  secondo  Fra  Girolamo,  Tommaso  d'  Aquino  e  Giovanni  Crisostomo.  —  Si  svolge  la 
definizione  —  Eccellenza  della  vita  cristiana  secondo  il  Savonarola.  —  De'  miracoli  fatti  da  Dio 
a  conforto  della  verità  cristiana.  —  La  fede  e  la  vita  dei  santi.  —  La  Gerusalemme  celeste  no- 
stra madre.  —  Eccellenza  della  Chiesa  e  dei  prelati  che  la  governarono.  —  Dolori  del  Frate  ve- 
dendo guasta  la  vigna  del  Signore.  —  Invito  ad  aiutar  le  fatiche  di  San  Pietro  edi  San  Paolo  e 
de'  grandi  fondatori  degli  ordini  religiosi.  —  Il  Frate  è  contento  di  dare  il  sangue  per  la  Chiesa. 

—  Le  bestie  del  deserto  e  le  tristi  condizioni  della  vigna  del  Signore.  —  Obbligo  del  martirio 
per  la  salute  delle  anime.  —  Saldezza  nel  proprio  dovere.  —  Un  celebre  sermone.  —  Caratteri 
dello  zelo  —  Lo  zelo  audace  e  passionato.  —  Il  Savonarola  accoppiato  dal  Pastor  coi  santi.  — 
Il  Savonarola  e  San  Pier  Damiano  secondo  il  Capecelatro.  —  L'  inno  di  gloria  a  Fra  Girolamo. 

—  Non  occorron  miracoli.  —  Ancora  un'  accusa  di  eccesso.  —  I  beni  ecclesiastici  e  Girolamo 
Savonarola.   -  Si  cerca  il  quaresimale  soprr  Ezechiele.  —  Lodovico  il  Bavaro  e  Fra  Girolamo. 

—  Il  potere  temporale  e  il  Savonarola.  —  Le  ricchezze  nel  guasto  della  Chiesa.  —  Il  Savona- 
rola non  approva  il  male.  —  Giudizio  assoluto  e  giudizio  relativo.  —  Chi  ha  rubato  restituisca. 

—  Nessun  Canone  coutio  la  verità.  —  Osservazioni.  —  I  beni  ecclesiastici,  Girolamo  Savona- 
rola e  Leone  Nili.  —  La  semplicità  primitiva  della  Chiesa  e  la  riforma  Savonaroliana.  —  I  beni 
ecclesiastici  e  i  poveri  secondo  San  Tommaso.  —  La  chiesa  voluta  dal  Savonarola.  —  Conclu- 
sione. 


A  questo  punto  ci  pare  d'  aver  tolto  ogni  dubbio  sulla  legittimità  della 
condotta  di  Fra  Girolamo  nel  lamentare  la  corruzione  nella  Chiesa.  Pur  troppo 
egli  era  nel  vero;  e,  se  ben  si  considera,  troveremo  assai  giusto  il  dire  che  si 
tenesse,  per  prudenza,  al  disotto  della  verità.  Del  resto  alcune  espressioni  di 
lui,  mosse  da  zelo,  non  devono  intendersi  come  proposizioni  universali  meta- 
fisiche. Egli  seppe  ad  ogni  modo  assai  ben  distinguere  nella  Chiesa  i  buoni 
da'  tristi  e  parlar  convenientemente,  secondo  1'  uso  e  il  modo  della  Scrittura 
Sacra,  degli  uni  e  degli  altri.  Del  pari,  egli  rettamente  si  governò  nel  ripren- 
dere dal  pergamo  i  vizj  de'  sacerdoti  e  de'  prelati  che  tornavano  a  danno 
delle  anime  ed  erano  pubblici:  egli  non  venne  mai  al  particolare,  e  tanto 
meno  osò  dir  male  del  Borgia,  Pontefice.  Egli  fece  quello  che  avevano  già 
fatto  i  più  grandi  predicatori  cristiani,  molti  Santi  Padri  e  Dottori;  e  nulla  più. 

18 


-  274  — 

Il  condannare  adunque  qui  Fra  Girolamo  significa  condannare  i  più  grandi 
maestri  ed  esemplari  cattolici,  venerati  dalla  Chiesa. 

Pertanto  si  può  dire  del  Savonarola  quello  che  egli,  come  sopra  abbiamo 
riferito,  (v.  pag.  250)  diceva  di  Asaph  :  «  Piglia  le  severe  e  terribili  sue  parole 
in  buona  parte  perchè  procedono  da  zelo....  Onde  quando  tu  lo  vedi  desiderare 
che  venga  il  coltello,  la  peste  e  la  fame  e  gli  altri  flagelli  di  Dio,  non  te  ne  scan- 
dalizzare, perchè  lo  fa  per  zelo  della  casa  di  Dio:  non  ti  scandalizzare,  come  non 
ti  scandalizzi  di  San  Girolamo  che  pare  sempre  iracondo  nello  scrivere  a  Ruf- 
fino e  a  Sant'Agostino,  perchè  tutto  procedeva  da  zelo  ».  Ma  con  ciò  noi  non 
abbiamo  ancora  mostrato  a'  nostri  lettori  il  lato  più  bello  dello  zelo  di  Fra  Gi- 
rolamo: tutti  fissi  nello  scagionare  il  Savonarola  dalle  accuse  che  gli  erano 
mosse  contro,  non  abbiamo,  se  non  da  lungi,  potuto  vedere  la  santità  dello 
zelo  di  lui,  e  le  poche  cose  che  noi  ne  abbiamo  detto  qua  e  là  sono  assai  in- 
sufficienti a  farcelo  comprendere  come  si  conviene.  Merita  che  lo  miriamo  con 
uno  sguardo  sintetico.  Ma  pur  troppo  io  sento  anche  qui  l' insufficienza  della 
mia  penna  per  mostrarvelo.  Leggete  e  meditate  le  sue  prediche  e  specialmente 
la  XX,  la  XXI,  la  XXVII,  la  XXIII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus:  leggete  la  pre- 
ghiera per  la  Chiesa  e  1'  esposizione  del  Salmo:  Qui  regis  Israel,  e  il  lamento 
contro  i  tiepidi,  e  vedrete  quanta  ammirazione  prenderete  del  nostro  Autore  ! 

Noi  ci  contenteremo  qui  di  esporre  alcune  cose,  tenendo  sotto  gli  occhi  spe- 
cialmente la  predica  sopra  Ezechiele  fatta  il  martedì  dopo  la  quinta  domenica 
di  quaresima,  il  discorso  fatto  il  15  maggio  1498  in  San  Marco  a  molti  sacer- 
doti, religiosi  e  secolari,  e  la  XXVIII  sopra  Amos.  Prima  di  tutto  qual  è  la 
natura  dello  zelo  secondo  Fra  Girolamo?  Per  comprendere  ciò,  basterà  che  voi 
leggiate  nella  Somma  di  San  Tommaso  parte  I— II,  questione  XXVIII,  articolo  IV,  e 
nella  Catena  Aurea  1'  esposizione  del  II  di  San  Giovanni  e  del  XXI  di  San  Mat- 
teo. Fra  Girolamo  si  può  dire  che  non  fa  altro  che  ripetere  le  cose  dette  ivi 
dal  Santo  Dottore;  questo  solo  vi  potrete  trovare  di  più:  quel  calore  che  s'ag- 
giunge naturalmente  alla  pura  speculazione  o  meditazione  dal  trovarsi  in  mezzo 
alla  lotta:  Fra  Girolamo  non  doveva  solo  parlare  di  zelo;  ma  ancora  zelava. 

Che  cosa  è  adunque  lo  zelo  per  il  nostro  Frale?  E  già  definito  nella  pre- 
dica XXIII  sopra  il  Salmo  Quam  Bonus:  zelo  non  è  altro  che  l'effetto  d'un 
intenso  amore  che  è  nel  cuore  del  giusto,  che  non  lo  lascia  posare,  ma  sem- 
pre cerca  di  rimovere  tutto  quello  che  vede  esser  contro  all'  onore  di  Dio,  il 
quale  lui  veramente  ama  ».  (')  È  poi  questa  definizione  assai  bene  svolta  e 
colorita  nella  predica  XXVII  sopra  Amos:  «  L'  amore,  tra  gli  altri  effetti  che 
fa  nell'anima  nostra,  uno  è  questo,  che  fa  unione,  onde  dice  Dionisio  :  L'amore 


(l)  È  la  definizione  che  si  legge  nella  Catena  Aurea  all'esposizione  del  XXI  di  Sau  Gio- 
vanni. La  dottrina  del  Savonarola  e  di  San  Tommaso  è  in  tutto  simile  a  quella  del  Criso- 
stomo il  iiuale,  nella  esposizione  del  IV  di  San  Matteo,  parlaudo  di  Cristo  che  cucciò  Satana, 
che  gli  proponeva  di  adorarlo,  scrive  :  «  Impariamo  dall'  esempio  di  Lui  a  non  sopportare 
elio  le  ingiurie  contro  a  Dio  ci  giungano  nemmeno  alle  orecchie:  imperocché  il  dissimulare 
le  ingiurie  di  Dio  è  cosa  troppo  empia».  Cfr.  La  predica  XIX,  sopra  Ruth  e  Michea  e  Sau 
Tommaso,  Quodlibcto  V,  art.  XXVI. 


—  275  — 


è  viriti  unitiva,  per  la  qual  cosa  tra  coloro  che  si  amano  si  vede  che  è  sempre 
unione.  Il  secondo  effetto  dell'amore  è  questo:  una  mutua  inesione  che  si  fa 
tra  l' amante  e  l'amato,  perchè  l'affetto  dell'uno  è  sempre  trasferito  nel- 
l'altro, e  l'uno  amante  è  nell'altro;  cioè  la  cosa  amata  entra  nell'intelletto 
e  nell'affetto  dell'amante  e  così  al  contrario.  Il  terzo  effetto  che  fa  l'amore,  è 
che  fa  venire  1'  uomo  in  estasi,  cioè  che  lo  fa  uscire  fuori  di  sè,  e  massime 
quando  quell'amore  è  veemente;  perchè  lira  tanto  l'amante  al  pensare  della 
cosa  amata  che  lo  cava  fuori  di  sè.  Quarto,  1'  amore  genera  zelo;  come  che  è 
quando  un  uomo  ama  la  moglie  sua  tanto  veementemente,  che  egli  ha  quasi 
paura  che  gli  uccelli  glie  la  tolgano;  donde  si  chiama  poi  geloso  per  il  zelo 
che  ha,  e  questo  zelo  cerca  sempre  di  escludere  ogni  cosa  contraria,  donde 
interviene  che  qualche  volta  per  questo  zelo  nelle  città  nascono  invidie,  come 
verbi  grazia:  quando  un  dottore  ha  zelo  dell' onor  proprio  e  della  singolarità, 
ha  poi  invidia  agli  altri  della  città  sua  che  avessero  simil  virtù,  che  fosse  con- 
traria alla  sua  singolarità.  L'  amore  divino  è  massimo  sopra  tutti  gli  amori,  e 
colui  che  ama  Dio  veramente  ed  è  in  carità,  vuole  piuttosto  andare  all'inferno 
che  offender  Dio.  Non  dico  già  che  tu  entri  in  questa  cogitazione,  se  tu  vor- 
resti prima  l'inferno  che  offender  Dio;  ma  dico  che  colui  che  veramente  ama 
Dio  ha  questa  volontà;  e  però  questo  amore  divino  tira  tanto  l'uomo  in  ca- 
rità che  1'  unisce  con  Dio,  e  sta  sempre  intento  alla  volontà  sua.  Secondo,  lo 
accosta  a  Dio  tanto  che  1'  ha  sempre  nell'  intelletto.  Terzo,  lo  tira  in  estasi,  in 
tanto  che  per  Cristo  non  cura  la  morte,  non  cura  quello  che  dica  la  gente  di 
lui,  ma  in  qualche  modo  fuori  di  sè  è  tutto  assorto  in  Dio.  Quarto,  genera  in 
lui  grandissimo  zelo,  e  vuole  sempre  escludere  tutte  le  cose,  che  son  contra 
Dio;  donde  dice  una  chiosa  (4)  sopra  questa  parola:  Lo  zelo  della  casa  di  Dio 
mi  ha  divorato,  (2)  che  1'  amore  di  Dio  ha  tanto  zelo,  infiamma  tanto  1'  uomo 
di  carità,  che  ferma  V  anima  per  la  difesa  della  verità,  in  modo  che  ha  rimosso 
da  sè  ogni  timore,  e  non  cura  di  perder  la  roba,  l'onore,  la  fama  e  la  vita:  è 
tanto  assorto  in  Dio,  che  quando  vede  che  una  cosa  è  contraria  all'  onore  di 
Dio  o  alla  salute  delle  anime  non  si  cureria  mettervi  la  vita  per  salvare  l'onore 
di  Dio.  Deve  dunque  ognuno  essere  zelatore  dell'  onor  di  Dio,  e  così  come  tu 
se'  obbligato  alla  carità  e  ad  amar  Dio  sopra  di  te  e  sopra  l'anima  tua,  così 
sèi  obbligato  a  questo  zelo:  poiché  ogni  volta  che  tu  se' obbligato  a  una  cosa 
s' intende  che  anche  tu  se'  obbligato  ad  ogni  altra  che  si  contiene  in  quella 
e  senza  la  quale  quella  prima  non  può  stare.  E  ognuno  per  il  primo  coman- 
damento di  Dio;  Amerai  il  Signore  Iddio  tuo,  è  obbligato  amare  Dio:  adunque 
è  obbligato  anche  a  cercare  l'onore  di  Dio  e  che  le  anime  sien  salve  ». 

Già  da  quanto  abbiamo  scritto  fin  qui  appare,  in  qualche  modo,  che  que- 
sto zelo  era  proprio  quello  che  divorava  il  nostro  Frate.  Vediamolo  ora  di 
proposito. 


(')  Questa  chiosa  è  di  Sant'Agostino  ed  è  riportata  di  San  Tommaso,  I-II,  qu.  XXIX, 
».  4,  ove  è  esposta  tutta  questa  dottrina  sullo  zelo. 
(2)  Salmo  LXVIII,  v.  10. 


—  276  — 


Non  v'  è  quasi  pagina  nelle  opere  del  nostro  Domenicano,  in  cui  non  si 
affermi  e  dimostri  che  il  più  bello  e  prezioso  bene  che  esista  è  la  vita  cristiana, 
la  dottrina  di  Cristo  di  cui  è  depositaria  a  banditrice  la  Chiesa:  anzi  la  vita 
cristiana  pel  nostro  Frate  è  uno  de'  più  grandi  miracoli.  Infatti  nella  pre- 
dica XLII  sopra  Ezechiele,  esponendo  il  versetto  10  del  capitolo  XIX  di  questo 
profeta,  parlato  de'  tre  gradi  a  cui  si  riducono  da'  teologi  i  miracoli,  sog- 
giunge :  «  La  vita  cristiana  vince  tutti  questi  tre  gradi:  perchè  la  vita  del  cri- 
stiano consiste  nella  grazia,  la  quale  non  dà  l'uomo,  ma  Dio  solo;  perchè  viene 
per  creazione  da  Dio,  ed  è  cosa  soprannaturale,  e  perduta,  non  può  natura 
umana  restaurarla  ». 

Posto  e  dimostrato  ampiamente  questo  principio,  il  Frate  segue  dicendo 
assai  bellamente  de' miracoli  che  Dio  fece  a  persuadere  gli  uomini  di  tanta  ve- 
rità :  e  s' indugia,  come  è  solito  di  far  sovente,  a  mostrare  quanto  conforto  sia 
venuto  alla  fede  dalla  vita  de' santi  e  de' martiri;  e  quanti  siansi  quindi  mossi 
ad  abbracciare  e  a  seguire  il  tesoro  della  fede  e  la  legge  di  Cristo.  Quindi  os- 
serva che  i  miracoli  e  la  vita  de'  santi,  che  confortarono  la  fede  di  Cristo,  fu- 
rono anche  per  utilità  di  quelli  che  allora  vivevano,  come  per  utilità  di  tutti 
si  è  compiuto  il  mistero  dell'incarnazione  e  sparso  il  sangue  del  Salvatore. 
Considera  come  nostra  madre,  la  Gerusalemme  celeste  formata  de' beati,  i 
quali,  dice,  ci  generano  nella  vita  spirituale,  e  ci  dispongono  a  ricever  la  grazia 
di  Dio.  Poi  afferma  e  nota  che  i  santi  hanno  sudato  sangue  per  noi  loro  figliuoli, 
e  furono  come  una  vigna  messa  nello  strettoio  delle  tribulazioni  per  nostra 
utilità.  E  questa  vigna  eh'  ei  soggiunge  esser  la  vera  Chiesa,  la  vede,  per  le 
opere  de'  santi  medesimi  e  per  la  buona  vita  e  la  predicazione,  crescere,  esten- 
dersi e  andare  per  tutto  il  mondo.  Ammira  quindi  egli  i  prelati  che  la  gover- 
narono, andando  retti  a  Dio  senza  paura  d'imperatori,  nè  di  altre  cose  del 
mondo;  ma  tutti  solidi  e  saldi  e  fermi:  e  poi  finalmente  accenna  all'esaltarsi 
di  questa  vigna  quando  le  fu  dato  il  regno. 

Ma  dopo  ciò  segue  amaramente:  «Or  vediamo  come  la  ci  è  stata  distrutta! 
Quante  fatiche  hanno  durato  i  nostri  Padri  a  fare  questa  vigna,  ed  esaltarla! 
E  noi  vogliamo  lasciarla  guastare  »  ?!  Detto  quindi  poche  parole  del  male  prodotto 
in  essa  dalle  ricchezze  e  dalla  superbia;  affermato,  che  le  radici  della  Chiesa 
primitiva  erano  lassù  in  cielo,  ma  adesso  son  tutte  per  terra,  perchè  non  pen- 
sano se  non  di  roba,  di  stati,  di  cose  terrene;  accennato  al  cattivo  esempio 
de'  prelati  che  è  venuto  per  tutta  la  Chiesa  e  ha  seccato  in  modo  i  frutti,  cioè 
le  opere  buone,  che  non  si  sa  quasi  più  che  cosa  sia  cristiano,  e  che  i  chierici 
e  gli  altri  religiosi  sono  quasi  tutti  mancati  e  convertiti  in  putredine  di  lussu- 
ria, secchi  dall'  avarizia  e  dalla  superbia,  in  modo  che  non  sono  più  buoni  da 
nulla  se  non  a  bruciare,  grida  forte:  «Che  vogliamo  adunque  fare?  che  faremo? 
gli  è  guasta  la  vigna!!  Io  vi  ho  condotti  fin  qui  per  questo  punto.  Egli  è  pianto 
e  sarà  pianto:  (')  o  ingrati  cristiani,  o  popolo  cristiano,  ingrato  del  sangue  di 


(.')  Ezechiele,  cap.  IX,  v.  14. 


—  277  — 


Cristo,  ingrato  di  quel  sangue  de'martiri,  il  quale  fu  sparso  per  piantare  que- 
sta vigna,  e  ora  è  guasta!  Non  ti  pare  a  te  che  sia  vero?!  Ella  è  ora  piantata 
nel  deserto  ;  ella  è  abbandonata!  Noi  vogliamo  aiutare  le  fatiche  di  San  Pietro  e 
di  San  Paolo.  Ditelo  ai  vescovi,  che  tocca  a  loro.  E  voi  Padri  miei,  e  figliuoli  miei, 
non  vogliamo  noi  aiutare  le  fatiche  di  San  Domenico,  il  quale  durava  in  Fran- 
cia, in  Italia  e  negli  altri  paesi  tante  fatiche  e  tanti  sudori  e  constituì  questa 
religione?  0  Padri  di  San  Francesco,  non  vedete  voi  quanti  sudori  pali  lui,  e 
quelli  suoi  primi  per  questa  vigna,  per  la  vostra  religione?!  Non  volete  voi 
aiutarli?!  Cosi  voi,  Padri  di  Santo  Agostino,  di  San  Benedetto,  e  li  altri,  aiutate 
le  fatiche  loro.  Deh!  Padri  miei,  mettiamoli  le  mani:  cominciamo  a  aiutarli: 
loro  hanno  sparso  il  sangue  per  noi  e  a  nostra  utilità;  deh!  spargiamolo  an- 
cora noi  per  gli  altri,  che  verranno!  Eccomi  qua  per  uno,  io  sono  contento 
spargere  il  mio  sangue:  egli  è  tanta  la  pravità  che  è  oggi  che  bisogna  metterli 
il  sangue:  perchè  vediamo  che  altrimenti  la  vigna  se  ne  va  in  rovina:  deh!  sta 
a  udire  che  siamo  obbligati  a  metterli  il  sangue. 

«  Non  vedete  voi  che  questa  vigna  è  stata  trapiantata  in  un  deserto?!  E' 
non  bisogna  che  io  vi  provi  questo,  voi  lo  vedete:  nel  deserto  sono  orsi,  leoni, 
e  altre  bestie:  guardate  se  sono  in  questa  vigna,  se  la  guastano  tutta  quanta. 
Ella  è  piantata  in  una  terra  dove  non  si  può  andare;  questo  vuol  dire  che  non 
vi  può  venire  lo  Spirito  Santo:  e  piantata  in  una  terra  arida  e  siziente (l) ,  perchè 
ha  sete  ogni  di  più  di  ricchezza.  Uscì  dalla  verga  de' suoi  rami  un  fuoco.  La 
verga  significa  l'altezza  della  loro  superbia:  il  fuoco  è  uscito  di  questa  verga 
per  tutto,  e  ha  abbruciata  e  guasta  ogni  cosa.  E  non  rimase  di  lei  una  terga 
salda  da  servir  di  scettro  a'  sovrani  (*)  ;  cioè  non  si  trova  un  uomo,  il  quale  possa 
reggere  bene  oggi  una  città,  o  un  vescovado.  Che  abbiamo  adunque  a  fare? 
Egli  è  pianto  e  sarà  pianto.  Non  voghamo  noi  aiutare  questa  vigna?  Or  su, 
figliuoli  miei,  e  voi,  chiericini  fanciulli,  e  ognuno  state  ad  udire  quello  che  vo- 
glio: E' bisogna  qua  una  gran  forza:  notate  bene  e  mettetavelo  nel  capo: 
Poni  qua  uno  che  muoia  di  fame,  e  non  ci  sia  nessuno,  che  abbia  del  pane 
da  dargli  se  non  tu;  se  e' muore,  tu  sei  obbligato  a  sovvenirlo:  questo  intende 
ogni  dotto  e  ogni  ignorante!  Pensa  poi  quanto  saresti  obbligato  se  fosserdue, 
tre  o  quattro,  a  non  li  lasciar  morire  di  fame!  Or  dimmi,  quale  è  più  degno,  o 
l'anima  o  il  corpo?  —  L'anima.  —  E  però  molto  più  sei  obbligato  a  sovvenire 
uno  che  muore  nel  peccato,  se  tu  puoi.  Ecco  un  esempio:  Tu  vedi  uno,  che 
piglia  amicizia  con  una  donna,  o  con  un  fanciullo,  il  quale  crede  che  vada 
bene,  e  tuttavia  lui  lo  vuole  far  fare  peccato:  dice  Sant'Agostino  che  se  tu 
puoi  rimediarvi,  tu  se'  obbligato  a  mettervi  la  vita,  e  se  tu  sarai  tagliato  a 
pezzi,  tu  andrai  in  paradiso.  0  se  fossero  dieci,  o  venti,  quanto  più  obbligo 
avresti  »  ! 

E  qui  insiste  il  Frate  perchè  nulla  tolga  i  volonterosi  dal  compiere  il  loro 
dovere,  dall'  eseguire  la  legge  di  carità,  che  impone  ad  ognuno  di  curarsi  del 


(')  Ezechiele,  cap.  IX.  v.  13. 
0  Ivi,  v.  14. 


—  278  - 


prossimo  suo;  nessun'  autorità,  nessuna  legge  può  impedirci  qui  il  nostro  uf- 
ficio; e  segue:  «  Guarda  i  nostri  padri,  i  quali  non  tornarono  mai  indietro.... 
Or  su,  bisogna  prima  che  voi  siate  forti  nell'  orazione,  poi  anche  al  martirio. 
E  così  io  sono  contento,  Signor  mio,  di  metterci  la  vita.  Figliuoli  miei,  state 
saldi,  non  vi  smarrite,  perchè  verranno  adesso  tribulazioni  grandi....  Bisogna 
prepararvi  a  buon'ora:  facciamo  anche  noi  come  i  Santi  Padri  passati, accioc- 
ché sia  glorificato  il  nome  di  Dio  ». 

E  fece  davvero  come  i  padri  antichi,  e  per  rassettare  la  vigna,  madre  no- 
stra, per  purgarla  dagli  sterpi,  e  farla  rifiorire  e  fruttificare  vi  mise  davvero  la 
vita!  Se  questo  non  è  zelo  buono,  ditemi,  quale  sarà  esso  mai?! 

Ma  per  comprendere  tutta  la  forza  dello  zelo  di  Fra  Girolamo  bisognerebbe 
legger  tutto  intiero  il  discorso  da  noi  sopra  citato  fatto  in  San  Marco  a  molli 
sacerdoti  religiosi  e  secolari  il  dì  11  febbraio  1498  (*)  allorché  già  il  Savonarola 
*  era  stato  colpito  dalla  scomunica.  Egli  aveva  la  domenica  innanzi  invitato  i  sa- 
cerdoti della  città  non  per  tener  loro  una  predica,  ma  per  far  loro  in  una  sala 
del  convento  una  lezione  sul  modo  di  vivere  sacerdotale.  Ma  tanto  fu  il  con- 
corso che  fu  necessario  scendere  nella  Chiesa:  chi  conosca  la  tristezza  di  quei 
tempi  (e  leggendo  il  Pastor  si  conosce  abbastanza),  chi  sappia  dell'abominazione 
che  regnava  nel  santuario,  non  può  rattener  le  lacrime  nel  legger  quel  discorso 
fatto  appunto  in  quei  tristissimi  giorni.  «  Onde  viene  il  mal  vivere  della  Chie- 
sa? !!  E  piuttosto  da  piangere  che  da  raccontare....  »  !!! 

Ivi  il  buon  Frate  mentre  dimostra  un  amore  immenso  per  gli  uomini  e 
specialmente  pel  clero,  palesa  ancora  un  odio  mortale  contro  quei  vizj  dei 
chierici  che  nel  capitolo  precedente  noi,  colla  guida  specialmente  del  Pastor,. 
abbiamo  dovuto  palesare.  Flagella  terribilmente  quelle  lordure,  e  tutto  il 
suo  sermone  è  un  gemito  di  dolore:  «  Qua  s'  attende  a  cani  e  mule  e  scudieri 
e  pompe....  Questo  è  un  dispregiar  Cristo  e  la  sua  fede.  Ma  vi  sono  altri  che 
fanno  ancor  peggio....  Tirano  altri  alla  mala  via,  rubano  le  anime  a  Cristo.... 
Viene  quella  pecorella,  quella  donna,  quella  fanciulla  che  sarà  caduta  in  qual- 
che peccato  e  Cristo  l'ha  perduta.  Il  buon  sacerdote  la  trova  e  debbe  renderla 
a  Cristo.  Ma  il  cattivo  la  comincia  a  blandire  e  alleggerirgli  la  cosa  e  diceli  : 
Io  so  bene  che  non  si  può  stare  sempre  in  castità,  e  non  si  può  vivere  senza 
peccato;  e  a  poco  a  poco  la  va  tirando  ancora  più  e  falla  più  perdere  a  Cristo, 
che  prima.  —  0  frate,  non  toccar  qua!  —  Bisogna,  ti  dico  io,  dire  la  verità;  io 
non  nomino  nessuno,  ma  basta  bene  che  quello  che  io  dico  è  il  vero.  Egli  la 
va  blandiendo  ed  attraendo,  tu  m' intendi,  in  modo  che  quella  pecorella  smar- 
rita e' non  la  rende  a  Cristo,  ma  gliela  toglie  più.  lo  ti  dico  che  n'  è  pieno  di 
questa  cosa  hi  tutte  le  città  d'Italia.  Se  tu  sapessi  quelle  cose  che  n'ho  avute 
io  nelle  mani,  io  ti  dico,  cose  sporche  e  cose  bruttissime,  tu  stupiresti  !!  E  ne 
è  anco  più  milioni  che  io  non  ho  intese,  e  quando  io  penso  a  questa  cosa  e 


(')  Ve  n'ó  un'edizione  in  un  opuscolo,  senza  luogo  nò  anno,  ma  coito  stampato  in  Fi- 
renze in  quei  medesimi  giorni. 


-  279  - 


alla  vita  de' sacerdoti  mi  bisogna  piangere!  Oh!  fratelli,  o  figliuoli  miei,  pian- 
gete sopra  questo  male  della  Chiesa  »!! 

Un  altro  male  che  egli  riprova  è  il  grande  abuso  biasimato  tanto  anche 
dal  Pastor  di  «  torre  assai  benefizj  e  mandarvi  poi  cappellani.  Io  ti  dico  che 
bisogna  guidare  le  pecorelle  tue  da  te  stesso.  Così  potria  ancora  torre  benefizj 
questo  legno  di  questo  pergamo,  e  mandare  là  cappellani.  Bisogna,  dico,  of- 
ferire se  stesso  a  Cristo,  e  anche  volere  per  lui  morire  e  metterli  la  vita  per 
la  sua  verità....,  non  solo  i  benefizj,  ma  ancora  la  vita.  Io  ho  inteso  dire  che 
quando  l'Arcivescovo  Antonino  voleva  che  si  facesse  qualche  cosa  buona  e 
che  ci  aveva  contradizione  e  che  gli  era  minacciato  che  perderebbe  l'Arcive- 
scovato e  lui  disse:  Io  ho  ancora  la  chiave  della  mia  cella  di  Santo  Marco. 
Similmente  Santo  Ambrogio,  vedendo  che  portava  l'onore  di  Dio,  andò  incontro 
a  Teodosio  e  dissegli:  0  io  sarò  oggi  martire  o  tu  andrai  fuori  di  questa 
chiesa....  Ma  quis  est  hic  et  laudàbimus  eumt..  (*)  Non  solo  non  si  trova  più  di 
questi  sacerdoti,  non  solo  non  voglion  patire  per  1'  umore  di  Dio,  ma  vendono 
perfino  i  Sacramenti.  Dimmi,  non  sono  fatti  oggi  sensali  sopra  li  beneficj?  A 
chi  più  ne  ha  e  chi  ha  più  danari  quello  ha  li  beneficj.  Credete  voi  che  Cristo 
voglia  patir  più?  Che  si  può  oramai  fare  peggio?!  Guai  alla  Italia,  guai  a  Roma! 
guai,  guai  ai  sacerdoti!  Povere  anime,  poveri  popoli,  che  con  il  male  esempio 
dei  cattivi  pastori  siete  condotti  in  perdizione  »  !! 

Un  altra  magagna  del  clero  era  l' ignoranza  delle  scienze  sacre  e  della 
Scrittura.  «  Questa  dottrina,  diceva  I'  infuocato  Predicatore,  è  quella  che  deve 
avere  il  Sacerdote.  Questa  debbono  studiare  i  sacerdoti  e  religiosi  per  dare 
ai  popoli!  Non  bisogna  adunque  andarsi  a  spasso  tutto  dì  per  le  piazze;  nè 
li  sacerdoti  e  li  religiosi  andare  a  visitare  tutto  di  le  comari.  Ma  bisogna  stu- 
diare questa  Scrittura  e  tener  perfetta  vita  ». 

E  per  difendersi  dall'accusa,  che  potevano  movergli,  sull'inutilità  di  que- 
sti lamenti,  soggiungeva:  «  Io  ti  dico  questo,  acciocché  tu  ami  e  cerchi  di  avere 
buoni  sacerdoti  e  discacci  via  li  cattivi....  Comincia  pur  da  Roma  e  infin  qua 
e  troverai  che  quasi  tutti  hanno  beneficj  impetrati  con  simonie.  E  molti  che 
fanno  impetrare  beneficj  ai  loro  figlioli  e  loro  fratelli  e  entrano  su  quelli 
beneficj  con  superbia  e  mille  peccati....  Io  non  dico  di  nessuno  in  partico- 
lare, ma  dico  in  genere  dei  vizj  loro.  Quando  tu  li  vedi  di  mala  vita,  non  dare 
loro  fanciulli  a  conversare  con  loro.  Abbi  ben  1'  occhio.  —  0  frate,  dov'  entri 
tu?!  —  Abbi  pazienza;  e'  bisogna  dire  la  verità.  Ei  n'  è  anco  state  in  chiesa 
delle  donne  vestite  da  fanciulli  come  chierici....  Stanno  anche  in  coro  i  sacer- 
doti a  vagheggiare....  Quanti  ne  vanno  poi  come  gli  è  sera  chi  qua  chi  là  a 
loro  concubine  »!!  (2)  E  al  pensare  a  tante  ribalderie  dice  che:  «  dovrebbe 
scoppiare  il  cuore  a  tutto  il  popolo  cristiano  »  ! 

Dopo  uh  quadro  così  terribile,  fa  una  magnifica  preghiera  a  Dio,  che  vo- 


(*)  Ecclesiastico,  c.  XXXI,  v.  9. 

(s)  Cfr.  anche  sopra  pag.  135.  Eaccomandiamo  al  lettore  ili  non  dimenticare  che  il  di- 
scorso era  tatto  al  solo  clero. 


-  280  - 


lentieri  noi  vorremmo  riportar  per  intiero,  parafrasando  1'  orazione  di  Geremia 
Profeta:  Becordare  Domine,  ecc.  Lo  zelo  per  la  casa  di  Dio  e  il  dolore  sulle 
corruzioni  degl'  indegni  ministri  qui  arrivano  al  colmo.  Dovrei  dire  che  affetto 
così  tenero  e  zelo  così  ardente  per  la  Chiesa  è  difficile  trovarlo  nelle  più  ac- 
cese preghiere  dei  santi.  Nè  reca  meraviglia  se  anche  qui  si  nota  che  «  il 
Padre  finisse  il  sermone  in  pianto  insieme  con  li  auditori  ». 

Ma  se  ancor  vi  fossero  lettori  che  volessero  continuare  a  muovere  la  do- 
manda: Lo  zelo  del  Savonarola  non  è  forse  eccessivo?  non  deve  dirsi  appas- 
sionato ed  audace?  odano  essi  la  risposta. 

Notammo  sopra  con  San  Tommaso  che  lo  zelo  è  effetto  dell'  amore. 
«  Quanto  più  (dice  l'Angelico)  una  virtù  internamente  tende  ad  una  cosa,  tanto 
più  forte  respinge  quanto  le  è  contrario  e  ripugnante,  e  perciò  lo  zelo  spinge 
1'  uomo  con  veemenza  contro  tutto  ciò  che  impedisce  il  bene  della  cosa  amata, 
sicché  T  uomo  secondo  tutto  il  suo  potere,  si  sforza  di  respingere  quanto  va 
contro  l'onore  di  Dio  e  la  sua  volontà».  E  Sant'Agostino  nella  spiegazione  del 
famoso  passo  del  salmo  LXVIII:  Lo  zelo  della  tua  casa  mi  ha  divorato,  dice:  «  È 
divorato  da  buono  zelo,  chi  si  sforza  di  correggere  quanto  vede  di  pravo,  e  se 
non  può,  tollera  e  geme  ».  (l)  San  Girolamo  attribuisce  alla  grazia  di  Dio  il 
poter  «  resistere  all'  impudenza  e,  allorché  fa  di  mestieri,  cozzare  fronte  con 
fronte  ».  (2)  E  Cornelio  Alapide  ci  fa  notare  che  questo  suo  insegnamento 
San  Girolamo  lo  mise  bene  in  pratica  nel  riprendere  i  vizj  dei  chierici  per  cui 
incorse  nelF  odio  loro,  e  soggiunge  che  il  predicatore  dev'  essere  «  audace, 
forte,  costante,  e  libero  ».  Ma  non  è  forse  un  vizio  l'audacia?  Certo  vi  è 
un'audacia  cattiva,  ma  v' è  n'  è  anche  una  buona.  In  San  Tommaso  io  trovo 
che  uno  dei  caratteri  dello  zelo  è  appunto  l'audacia.  «  Dalla  parte  di  chi 
denunzia  richiedesi  una  certa  audacia,  tale  che  1'  uomo  non  si  spaventi  dal  dire 
la  verità  per  causa  degli  avversarj  della  medesima,  secondo  le  parole  dette  dal 
Signore  ad  Ezechiele:  lo  do  a  te  faccia  più  dura  delle  facce  loro  e  fronte  più 
dura  delle  loro  fronti;  ti  darò  faccia  come  di  diamante  e  di  selce,  non  aver  paura 
e  non  ti  conturbare  dinanzi  a  loro  ».  (3) 

Fra  Girolamo,  che  fin  dalla  sua  gioventù  avea  pianto  sulla  ruina  della 
Chiesa  : 

Prostrato  è  il  tempio  e  1'  edificio  casto  ! 
e,  balenatagli  la  speranza  di  poter  rialzare  1'  edifizio  cadente,  ripensava  poi 
alla  sua  giovane  età  e  diceva: 

Tu  piangi  e  taci,  questo  meglio  par  me!  (4) 
in  seguito,  dotato  coni'  era  da  Dio  di  doni  straordinarj  come  oratore  cristiano, 
potè  prender  nuovo  coraggio;  e  pur  sapendo  che  si  sarebbe  procacciato  terri- 
bili nemici,  accingersi  all'  opera  santa.  Vi  si  mise  con  ardore,  dite  pure  con 


(')  V.  Ir  citazione  in  San  Tommaso,  Somma  Tool.  I-H,  qu.  XXIX,  a.  4. 

(")  Citato  nell'Alapide,  corniti,  sul.  II  di  San  Giovanni. 

(8)  Ezechiele,  III,  8. 

(')  Canzono  De  Iiuina  ecclesia: 


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audacia,  cliè  San  Tommaso  lo  giustifica.  —  Ma  il  suo  zelo  è  passionato!  —  Ma 
se  per  jwssionato  s'  intende  acceso  d'  una  passione  santa,  come  poteva  non 
esserlo?  IlPastor  trova  nel  Beato  Giovanni  Domenici  «  un'energia  non  scevra  d'un 
cotal  po'  di  passione».  (')  e  non  lo  biasima;  nè  lo  può  biasimare  chiunque  con- 
sideri che  vi  possono  esser  passioni  sante  e  che  dal  Redentore  fu  santificata,  di- 
vinizzata l'ira  contro  i  profanatori  del  tempio,  che  furon  simbolo,  a  testimonianza 
di  tutti  gl'interpreti,  del  sacerdozio  corrotto  e  simoniaco.  E  il  Pastor  stesso 
parlando  dei  predicatori  del  400  ci  dice:  «  Chi  un  giorno  torrà  a  scrivere  la 
storia  della  predicazione  neh'  Italia  del  rinascimento  farà  vedere  come  il 
zelante  e  franco  esercizio  della  divina  parola  fosse  uno  dei  segni  più  conso- 
lanti di  quel  tempo  che  del  resto  presenta  lati  oscuri  non  pochi.  Appunto  qui 
si  manifesta  come  nella  vita  della  Chiesa  cominciasse  a  muoversi  uno  spirito 
novello.  Tanto  nell'  Italia  come  negli  altri  paesi  della  Cristianità  abbondano 
le  prove  che  quelle  voci  di  minaccia  e  di  ammonizione  non  risuonavano  in- 
darno. E  nessun  altro  tempo  forse  ci  offre  esempi  c'osi  grandiosi  di  conversioni 
d'  ogni  classe  nel  popolo  d' intere  città  e  provincie  quanto  il  secolo  i  cui  tre- 
mendi guasti  furono  sema  riguardo  messi  a  nudo  da  Vincenzo  Ferreri,  Bernar- 
dino da  Siena,  Giovanni  da  Capistrano  e  Savonarola  ». 

Ecco  lo  zelo  del  Savonarola  giustificato;  egli  accoppiato  con  tre  grandi 
santi,  uno  dei  quali  suo  confratello,  e  due  figli  dell'  ordine  illustre  Francescano 
che  come  il  Domenicano  combattè  sempre  senza  paura  le  battaglie  del  Signore, 
divide  con  loro  la  bella  colpa  di  mettere  a  nudo  senza  riguardo  i  tremendi  guasti 
del  suo  secolo,  senza  che  i  popoli  ne  prendessero  scandalo,  ma  dando  invece 
esempj  grandiosi  di  conversioni  d'ogni  classe  nel  popolo.  E  se  si  considera  che 
quando  il  Savonarola  lamentava  1'  abominazione  della  desolazione  che  stava 
nel  luogo  santo,  quella  magnifica  corona  di  santi  e  beati  che  il  popolo  italiano 
avea  prodotto  (Pastor,  pag.  59)  quasi  non  era  più,  e  che  neh'  ordine  domenicano 
il  più  ricco  di  santi  e  beati  in  quel  tempo  (Pastor,  v.  I,  pag.  33),  erano  nel  1494 
già  morti  tutti  quei  celebri  e  santi  predicatori  che  il  Pastor  enumera,  ad  ecce- 
zione del  siciliano  Giovanni  Licci,  già  centenario,  non  potremo  dare  altro  che 
lode  al  Savonarola  che  rimasto  quasi  solo  (2)  raddoppiò  il  suo  zelo  e  levò  più 
alta  la  sua  voce.  (3) 

Questa  ben  meritata  lode  al  Savonarola  rende  giustamente  il  cardinale 


(')  Voi.  II,  p.  44. 

(s)  Veclansi  nel  Pastor  le  date  della  morte  dei  santi  dal  (1400)  e  fino  al  1520  (voi.  Ili,  p.  59-61 
e  v.  I,  p.  33)  e  giustamente  si  osserverà  che  fra  tanta  ricchezza  di  santi,  il  decennio  della  pre- 
dicazione Savonaroliana  è  appunto  un  dei  più  poveri. 

(3)  Con  tutto  ciò  non  intendiamo  (e  preghiamo  il  lettore  a  notarlo)  lodare  iu  modo 
assoluto  alcuni  passi  duri  ed  anche  audaci  del  nostro  Frate:  solo  riteniamo  che,  avuto  ri- 
guardo ai  tempi,  si  possono  spiegare  e  difendere.  Chi  potrebbe,  del  resto,  ripeter  oggi  dal 
pulpito  anche  certe  pagine  di  San  Bernardino  da  Siena?  Ma  chi  riguardi  lo  stato  deplore- 
vole dell'Italia  alla  fine  del  secolo  XV,  riconoscerà  il  merito  del  Savonarola  nel  non  aver 
temuto  di  pronunciare  quelle  espressioni  allorché  erano  opportune,  e  nell' averlo  fatto,  an- 
che con  grave  suo  pericolo,  per  un  fine  santo. 


—  282  — 


Capecelatro  che  non  dubita  di  paragonarlo  a  San  Pier  Damiani.  Dopo  aver 
riferito  le  tremende  invettive  del  Damiani  contro  la  corruttela  del  sacerdozio 
all'età  sua  e  dopo  averne  lodato  lo  zelo  con  sapientissime  riflessioni,  conchiude: 
«  Parmi  quasi  eh'  egli  precorra  nella  durezza  del  dire  al  Savonarola,  e  inizi 
con  più  di  ragione  nel  secolo  XI  quella  maniera  di  terribile  apostolato  che 
questi  avrebbe  compiuto  nel  XV.  Il  monaco  avellanese  (così  appresso  il  frate 
predicatore)  quando  è  turbato  dalla  vista  della  sacerdotale  impudicizia  quasi 
dimentica  la  mitezza  evangelica  ed  è  come  invaso  da  un  santo  furore  che  lo 
scuote,  lo  infiamma,  lo  agita.  Ei  flagella  impetuosamente  i  lascivi  e  chiamatili 
innanzi  tempo  al  cospetto  del  divin  giudice,  cerca  contro  di  loro  le  immagini 
dei  Profeti  dell'  antico  patto,  ricorda  le  subite  morti  ed  i  terribili  gastighi  del 
popolo  soggetto  ad  una  legge  di  servitù  per  iscuotere  coloro  che  cogli  iniqui 
fatti  troppo  bruttamente  contradicevano  alla  legge  di  amore.  Amos  ed  Aggeo 
erano  i  profeti  diletti  del  Savonarola  il  quale  traeva  da  essi  la  terribilità  del 
suo  furore  contro  il  vizio;  questi  medesimi  e  gli  altri  profeti  incalorivano  la 
parola  del  Damiano  e  le  davano  una  forma  meno  recisa,  forse  anche  meno  ter- 
ribile, ma  certo  egualmente  impetuosa  e  severissima.  Gli  uomini  di  siffatta 
tempra  sono  non  so  se  più  utili  o  ammirabili,  mentre  ci  mostrano  che,  se  tal- 
volta le  corruzioni  furono  assai  grandi  nella  cristianità,  la  Chiesa  non  solo  pro- 
testò sempre  per  mezzo  dei  migliori  suoi  membri,  ma  alcune  fiate  il  fece  con 
un  impeto  e  bollore  che  è  bellissimo  e  divino  quando  procede  dallo  smisurato 
amore  della  virtù  ».  (*) 

I  Giudei,  allorché  videro  Gesù  cacciar  dal  tempio  i  profanatori,  domanda- 
rono da  Lui  un  miracolo.  0  ciechi  e  stolti  !  ma  e'  v'  ha  qui  uopo  d'  altro  mira- 
colo? Forsechè,  dice  il  Crisostomo,  l'aver  Cristo  preso  tale  zelo  per  la  casa  del 
Padre  suo,  per  la  casa  di  Dio  non  è  un  grandissimo  segno  di  virtù  ?  (2)  Così 
vorremmo  risponder  noi  a  coloro  che  domandavano  al  Savonarola  miracoli 
per  comprovare  la  sua  missione:  Forsechè  l'aver  egli  preso  tale  zelo  non  è  già 
per  sè  un  grandissimo  segno  di  virtù?  e  che  v'ha  mestieri  d'altro  miracolo 
perchè  lasciate  i  vostri  vizj  e  torniate  bella  la  chiesa  di  Cristo?  «  Generazione 
perversa,  adultera,  tu  domandi  un  miracolo:  non  ti  sarà  dato  »  ;  (3)  chè  tu  se' cieca 
e  non  lo  potresti  vedere  dacché  non  vedi  il  singoiar  merito  del  Frate  che  per 
1'  onore  della  casa  di  Dio  e  per  la  salute  delle  anime  si  riempie  tutto  di  zelo  e 
ne  è  divorato  e  vi  pone  la  vita.  Gloria  al  martire  dell'  onore  di  Dio,  al  martire 
della  casta  Sposa  di  Cristo! 

Gloria?!  Oh!  troppo  presto!  Egli  voleva  una  Chiesa  non  possibile  ad  esi- 
stere nel  secolo  XV:  una  Chiesa  quale  era  la  Chiesa  a' tempi  di  San  Pietro; 
e  forse  più  povera  ancora.  Questa  è  una  esagerazione,  e  vuole  esser  condannato. 

Ecco  una  nuova  calunnia.  Altrove  (*)  tratto  a  lungo  la  questione  de'  rap. 


(')  Vita  di  San  Pier  Damiano,  Firenze  1862,  p.  296-297. 

I?)  Ofr.  La  Catena  Aurea:  EspoBiz.  del  cap.  II  di  Giovanni. 

(3)  Vangelo  di  San  Matteo,  e.  XII,  v.  39,  e  cap.  XVI,  v.  4;  cf.  San  Luca  e.  XI,  v.  29. 

(4)  Della  Chiesa  e  del  Pontefice  (li  Iloma  secondo  Girolamo  Savonarola;  di  prossima  pub- 
blicazione. 


—  283  - 


porti  della  Chiesa  con  lo  Stato  e  quella  del  poter  temporale,  e  dimostro  che  in 
esse  Fra  Girolamo  è  perfettamente  d'accordo  con  l'Encicliche  di  Leone  XIII, 
qui  limitandomi  a  poche  cose  intorno  a' beni  ecclesiastici  affermo  e  dico  che 
Fra  Girolamo  non  insegnava  nulla,  nè  voleva  nulla  che  non  fosse  del  tutto 
conforme  ai  canoni,  e  agi'  insegnamenti  di  San  Tommaso  e  della  Chiesa 
oggidì  ripetuti  da  Leone  XIII.  Il  Villari,  nel  lib.  IV,  capo  I,  della  sua  Storia 
della  Vita  del  nostro  Frate,  scrive:  «  Nel  quaresimale  sopra  Ezechiele  (fatto 
l'anno  1407),  il  Savonarola  disse  chiaramente  che  la  Chiesa  può  aver  beni 
temporali,  che  essi  sono  stati  qualche  volta  utili,  anzi  necessarj....  »  Cerchiamo 
adunque  questo  quaresimale  e  vediamo  direttamente  le  idee  de!  Frate  rifor- 
matore. E  noto  che  il  Savonarola  fu  ripetutamente  accusato  da'  suoi  avver- 
sari' di  eresia,  e  fra  gli  altri  motivi  dell'  accusa  si  adduceva  anche  1'  aver  egli 
detto  che  la  Chiesa  non  può  tener  beni  temporali.  Ma  egli  come  da  altre,  cosi 
seppe  assai  bene  purgarsi  da  questa  accusa;  e  quanto  al  motivo  speciale  ora 
accennato  troviamo  nella  predica  VI  quanto  segue:  «  Quell'altro  dice,  che  il 
Frate  ha  detto,  che  la  Chiesa  non  può  tenere  beni  temporali.  Tu  non  hai  bene 
udito:  l'ordine  nostro  non  tiene  cotesta  opinione;  anzi  la  contraria.  Va,  leggi, 
e  troverai  che  al  tempo  di  Lodovico  il  Bavaro,  che  passò  in  Italia  per  farsi 
imperatore,  volendo  i  frati  dell'  ordine  nostro  sostenere  che  la  Chiesa  poteva 
tener  beni  proprj,  furono  molto  da  lui  perseguitati.  E  io  molte  volte  l'ho  difesa 
questa  opinione,  che  la  Chiesa  possa  tenere  beni  proprj,  contra  a  chi  ha  voluto 
dire  il  contrario,  perchè  tenere  il  contrario  è  eresia  espressa  ». 

Questo  dice  nella  predica  citata,  e  altro  vi  aggiunge  con  molto  calore,  ac- 
ciocché il  popolo  non  si  lasci  sedurre,  nè  ingannare  da  quelli  che  hanno  in  odio 
la  verità  da  lui  predicata;  e  a  noi  tali  cose  paiono  di  molta  e  grave  importanza 
per  l' argomento  che  abbiamo  alle  mani.  Da  questo  passo  si  vede  chiara- 
mente che  il  Savonarola  teneva  eresia  espressa  1'  opinione  che  vieta  alla 
Chiesa  il  diritto  ai  beni  temporali,  egli  ivi  si  schiera  tra  i  difensori  della  verità 
opposta  e  sposa  nella  grave  questione  sorta  a'  tempi  di  Lodovico  il  Bavaro 
la  parte  dell'  ordine  suo.  Or  chi  ignora  che  tale  questione  è  vitale  per  le  ric- 
chezze della  Chiesa?  Eccovene  un  breve  cenno.  Nel  finire  del  secolo  XIII  era 
sorla  una  schiera  d'  eretici  che  sotto  pretesto  di  una  vita  più  ristretta  e  mori- 
gerata e  severa  che  non  fosse  la  comune  disseminarono  errori  non  pochi 
nel  popolo  cristiano.  Pretendevano,  con  Pietro  Giovanni  Olivi  di  Sarignano, 
che  la  vita  evangelica  consiste  in  non  posseder  nulla,  neppure  in  comune,  e 
che  perciò  tutti  i  chierici  secolari  e  regolari  possidenti  in  tal  guisa  erano  in 
errore.  Tacciavano  poi  la  Chiesa  Cattolica  Bornana  di  Babilonia  e  promette- 
vano l'esaltazione  di  una  nuova  Chiesa  più  perfetta,  e  molte  altre  cose  sif- 
fatte. Condannati  da  Clemente  V  e  poi  da  Giovanni  XXII,  molti  di  essi  si 
ritirarono  in  Germania,  ed  entrati  sotto  la  protezione  di  Lodovico  il  Bavaro, 
fecero  un  antipapa,  e  con  più  audacia  di  prima  sostennero  non  poter  la  Chiesa 
possedere  beni  temporali,  ma  doversi  ridurre  alla  primitiva  povertà.  Cristo  e 
gli  Apostoli  non  aver  posseduto  nulla,  nè  singolarmente  nè  in  comune.  II  Ba- 
varo in  lotta  con  Giovanni  XXII,  seguiva  molto  volentieri  questa  dottrina,  e 


—  284  — 


per  essa  pretendeva  di  render  suoi  proprj  i  possessi  della  Chiesa  cominciando 
da  quei  del  Papa,  e  venendo  giù  fino  a  quelli  del  clero  secolare:  preda  certo 

non  magra.  (l) 

E  chiarissimo  che  ove  si  fosse  potuto  effettuare  tale  disegno,  scompa- 
rendo non  pure  il  patrimonio  di  San  Pietro,  ma  ogni  maniera  di  beni  ecclesia- 
stici, la  Chiesa  veniva  davvero  ridotta  alla  povertà  primitiva,  alle  reti  del  Pe- 
scatore. Ora  se  Fra  Girolamo  come  1'  accusarono  i  suoi  nemici  e  1'  accusano 
tuttavia  alcuni  che  non  san  bene  ciò  che  si  dicono,  avesse  voluto  qualche 
cosa  di  simile,  si  sarebbe  egli,  in  questa  faccenda,  mostrato  pronto  a  conti- 
nuare a  combattere  nelle  file  del  suo  ordine  contro  i  Fraticelli,  e  a  dar 
torto  ai  Bavari  ed  ai  loro  seguaci  e  sostenitori?  No  certo.  Ma  egli  invece  si 
gloria  di  star  saldo  co'  Frati  di  San  Domenico,  che  particolarmente  avevano 
sostenuto  il  Pontefice  Giovanni  XXII,  e  s' erano  opposti  alle  pretese  del- 
l'Imperatore;  nè  v'  è  Bavaro  alcuno  che  possa  smoverlo,  perchè  egli  non  vuol 
cadere  in  eresie  espresse,  ma  crede  e  ritiene  che  la  Chiesa  possa  acquistare 
e  possedere  beni  temporali  d'ogni  fatta. 

«  0  Frate,  vuoi  tu  dire  che  la  Chiesa  non  possa  avere  beni  temporali? 
—  Questa  sarìa  eresia;  non  dico  questo  io,  anzi  dico  il  contrario;  perchè  non 
è  da  credere,  se  non  li  potesse  tenere,  che  San  Silvestro  li  avesse  accettati  e 
San  Gregorio  li  avesse  confermati.  Però  noi  ci  sottomettiamo  alla  Chiesa  Ro- 
mana ».  (Sopra  Ezechiele,  XLIV.) 

E  nella  predica  XVI  sopra  Ruth  e  Michea  fatta  a  di  primo  luglio  149G, 
«on  accenno  anche  più  chiaro  al  potere  temporale  de'  Papi,  dice  :  «  Dio  non 
dette  stato  temporale  alla  Chiesa  da  principio  mentre  che  la  fede  era  viva, 
perchè  allora  questo  spirito  si  poteva  reggere  senza  beni  temporali.  Ma  poi, 
cominciando  a  mancare  la  vivacità  dello  spirito,  non  potendo  più  fare  senza 
corpo,  perchè  la  non  mancasse  per  le  tante  persecuzioni  ch'ella  aveva,  gli 
dette  il  regno  temporale,  acciocché  si  conservasse  ».  Queste  le  idee  di  Fra  Gi- 
rolamo rispetto  ai  beni  e  allo  stato  temporale  della  Chiesa;  queste  e  non  altre. 
Or  chi  deve  sottoscriverle  ?  (2j 

Ma  pur  egli  diceva  sovente  assai  male  degli  Ecclesiastici  ricchi,  nè  dubi- 
tava di  affermare  che  la  Chiesa  era  stata  guasta  dalle  ricchezze.  E  perciò  lo 


(')  Cfr.  Moroni:  Dizionario  di  erudiziome  storico-ecclesiastica,  voi.  XXVII,  pag.  231  e  seg. 

(2)  Eppure  il  23  maggio  1875  in  Ferrara,  dinanzi  al  nuovo  monumento  innalzato  al  Sa- 
vonarola, il  Ministro  dell'agricoltura  e  del  commercio  ebbe  il  coraggio  di  dire:  La  sua  predi- 
cazione fu  tutta  civile  e  politica,  perche  essa  fu  specialmente  diretta  contro  il  potere  temporale 
del  papa,  nel  quale  egli  vedeva  una  causa  permanente  di  ruina  per  la  Chiesa  e  la  patria  ».'  V.  atti 
del  Comitato,  Ferrara,  1875.  Cfr.  Bayonne  Elude.,  p.  380.  Noi  non  ci  dilunghiamo  qui,  come 
abbiam  detto  nel  Testo,  a  svolgere  1'  argomento  presente  ;  ma  so  ciò  facessimo  potremmo  ag- 
giungere alle  trascritte  molte  altre  cose  non  meno  importanti  e  chiare;  per  esempio,  che  il 
Savonarola  stimò  opra  di  Dio  la  soggezione  dell'  Impero  al  Papato.  Infatti  nel  libro  II  del 
Dialogo  della  Verità  della  Fede  Cristiana,  o  Solazio  del  viaggio  mio,  è  scritto:  «  Roma  la  quale 
aveva  soggiogato  tutto  il  mondo,  non  potè  soggiogar  la  Chiesa  Sposa  di  Cristo  poveretta. 
Anzi  ed  essa  con  tutto  l'impero  suo  sottomise,  il  collo  al  dolce  giogo:  e  a  Pietro  pesca- 
tore soggetto  ò  oramai  l' Imperator  Romano.  Non  apparisco  qui  chiaramente  la  virtù  di 
Dio?  Credi  adunque  fermissimamente  esser  vere  tutte  le  cose  che  predica  la  Fede  ». 


—  285  — 


avversano  i  cattolici  e  Io  accarezzano  i  liberaleschi.  Il  Villari  alla  proposizione 
citata  di  sopra  aggiunge  :  che  allora  al  Savonarola  sembrava  che  i  beni  tem- 
porali fossero  alla  Chiesa  di  solo  peso  e  di  danno.  Questo  basta  perchè  i  cat- 
tolici lo  avversino,  e  lo  accarezzino  i  liberaleschi.  —  Ecco  :  Egli  portò  sempre 
grande  rispetto  ai  beni  ecclesiastici:  e  basterebbe  a  provar  ciò  il  modo  con  cui 
si  governò  intorno  alle  gravezze  da  imporsi  al  clero  ;  ma  non  esagerava  il  di- 
ritto; non  lo  esagerava  fino  al  punto  da  doverlo,  chi  pensa  bene,  considerare 
come  un  male,  e  come  naturalmente  distrutto. 

Nella  predica  or  ora  citata,  esponendo  il  XIX  sopra  Ezechiele,  ricerca  come 
la  Chiesa,  la  vigna  di  Cristo  fosse  stata  guasta,  e  diceva  :  «  Quante  fatiche  hanno 
durato  i  Padri  nostri  a  fare  questa  vigna  e  ad  esaltarla!  E  noi  vogliamo  la- 
sciarla guastare  !  —  Chi  l'ha  guasta  ?!  —  Oh,  che  ne  so  io?!  non  lo  hai  tu  visto?! 
Guarda  il  testo  che  lo  dice  :  Vedendo  la  sua  altezza  è  rovinata.  Se  la  non  avesse 
veduto  la  sua  altezza,  ella  non  sarìa  guasta.  Bisognava  che  la  fosse  cieca.  Le 
ricchezze  sono  quelle  che  1'  hanno  guasta.  —  Oh  !  qual  saria  meglio,  che  ne 
avesse,  o  no?  —  Oh  !  questa  è  una  gran  questione,  perchè  vediamo,  che  ha  pur 
fatto  male  per  avere  queste  ricchezze,  e  non  bisogna  ch'io  lo  provi.  D'altra 
parte,  se  non  le  avesse,  non  ci  sarìa  poi  forse  chi  difendesse  la  Chiesa;  perchè 
non  si  trova  chi  voglia  essere  martire  adesso.  Rispondiamo  adunque,  non  ab- 
solute,  ma,  come  il  marinaio,  che  non  vuol  gettare  le  ricchezze  in  mare  absolute, 
ma  fuggire  il  pericolo:  e  però  assolutamente  dico  che  la  Chiesa  starìa  meglio 
senza  ricchezze,  perchè  sarebbe  più  unione  con  Dio:  perchè  quello  che  è  più 
diviso,  è  manco  unito;  ma  le  ricchezze  disuniscono,  adunque  con  quelle  non 
si  può  così  bene  ridurre  a  Dio.  Però  io  dico  a' miei  religiosi:  Tenete  salda 
sempre  la  povertà;  e  basta  a  voi  avere  :  bisogni  della  casa;  e  se  vi  fosse  dato 
le  migliaia  de'  ducati,  non  li  pigliate,  ma  dateli  a' poveri.  Tieni  saldo  che  la  po- 
vertà è  la  tua  ricchezza,  e  quando  ti  entra  ricchezza  in  casa,  vi  entra  la  morte: 
bastati  a  te,  cittadino,  che  tu  stia  saldo  nel  tuo  stato,  non  andar  dicendo:  Io 
voglio  crescere,  e  andare  in  alto,  e  cercare  ricchezze,  perchè  tu  fuggi  il  Para- 
diso. Dico  adunque  che,  assolutamente  parlando,  sarìa  meglio  che  ognuno  fosse 
povero;  però  dice  il  savio:  Beato  il  ricco  che  fu  trovato  senza  macchia,  (*)  quasi 
voglia  dire,  che  è  difficile  cosa  ad  un  ricco  essere  buono.  Ma  parlando  (re- 
lativamente) e  vedendo  che  gli  eretici  crescerebbero,  è  meglio  che  la  Chiesa 
abbia  avuto  roba  per  potersi  difendere  ».  (Pred.  XL1I.)  «  Dico  bene  che  i  Pre- 
lati non  dovriano  spendere  male  i  beni  della  Chiesa  ».  (Pred.  VI,  sopra  cit.) 
«  Parimente  dico  che  sarìa  bene  che  si  ricordassero  i  prelati,  che  non  sono 
signori  di  quella  roba  della  Chiesa;  e  non  la  possono  donare  se  non  una  pic- 
cola cosa.  Io  ti  dico,  che  sono  come  il  fattore  della  bottega;  e  sono  i  fattori  di 
Cristo:  e  però  quando  tu  vedi  che  loro  spendono  le  ricchezze  in  vestire  pom- 
posamente, in  mule,  in  cani,  e  in  meretrici,  che  è  peggio:  dì  che  andranno  a 
casa  del  diavolo,  e  tu  che  ne  pigli  capiterai  male.  Tu  fai  il  tuo  figliuolo  prete 


(')  Ecclesiastico,  c.  XXXI,  v.8. 


—  286  — 


per  ricchezze,  tu  che  sei  padrone  delle  chiese:  io  dico:  per  rubare  Cristo: 
guarda  che  tu  hai  prima  a  vedere  se  sia  abile  e  sufficiente  a  quel  governo. 
Tu  non  hai  avere  della  roba  del  tuo  figliuolo  prete,  se  già  tu  non  fossi  in 
grande  necessità.  Restituisci  adunque  tu  che  hai  rubato  la  Chiesa. — A  chi?  — 
A  clii?!  Dicono  i  canoni:  Alla  Chiesa.  Ma  io  domanderei  se  quel  prete  di 
-quella  Chiesa  è  buono,  e  se  non  è  buono,  io  chiamerei  tutti  i  santi  e  doman- 
derei se  questa  fu  la  loro  intenzione,  e  poi  la  darei  a'  poveri.  Non  mi  farò  mai 
coscienza  nessuna  di  darla  a'  poveri;  perchè  tanto  fa  non  gliela  dare  (al  prete 
cattivo),  quanto  dargliela  e  che  lui  la  spenda  male.  Ma  se  si  avesse  a  riparare 
la  Chiesa,  o  che  si  mutassino,  sì  bene  restituisci  alla  Chiesa.  Or  tieni  tu,  ca- 
nonista, quello  che  tu  vuoi,  ch'io  tengo  questo  ».  (XL1I.)  «  Quando  il  prete  è 
cattivo,  e  che  la  spende  male  (la  roba  della  Chiesa)  è  meglio  darla  a'  poveri  : 
e  non  si  deve  intendere  i  canoni  con  una  chiosa  che  sia  contra  la  volontà  di 
Cristo,  e  contra  alla  coscienza:  lascia  questo  peccato  sopra  di  me.  Dice  San  Tom- 
maso che  bisogna  che  la  esposizione  non  sia  contra  alla  ragione  naturale.  Oh! 
dirà  colui,  e'  vuole  che  la  roba  della  Chiesa  sia  buttata  via:  però  ti  bisogna 
quella  virtù,  che  mette  Aristotile,  della  provvidenza,  per  la  quale  bisogna  ve- 
dere che  una  cosa  non  sia  contra  al  lume  naturale....  Piglia  questa  regola,  che 
nessun  canone  è  contro  alla  verità;  perchè  non  saria  canone;  ma  sono  al- 
cuni che  fanno  la  loro  chiosa  a  suo  modo,  e  quella  chiosa  non  è  canone  ». 
<Ivi,  XLIII.) 

Queste  le  idee  intorno  a'  beni  temporali  della  Chiesa  esposti  dal  Sa- 
vonarola nelle  prediche  sopra  Ezechiele.  Or  che  si  trova  qui  che  non  sia 
conforme  alla  dottrina  cattolica?  Avete  osservato  bene  che  dice?  La  Chiesa 
s'  è  guasta  per  le  ricchezze  che  la  elevarono  :  ma  non  propriamente  per  le 
ricchezze,  sì  bene  per  tenervi  essa  fiso  l'occhio.  La  Chiesa!  quale?  come  so- 
cietà, come  istituzione?!  Non  già,  ma  i  religiosi,  i  chierici,  i  cittadini,  che  han 
posto  il  loro  cuore  nelle  ricchezze,  che  cupidi  adulterano,  novelli  Simoni, 
le  cose  di  Dio,  che  devono  essere  spose  di  bontà,  che  rapaci  rubano  i  patri- 
monj  ecclesistici  e  ne  fanno  cattivo  uso;  gli  amministratori  de'  beni  ecclesia- 
stici, i  quali  si  dimenticano  nella  pratica  di  essere  semplici  amministratori  e 
non  pensano  a'  poveri,  ma  a  lussurie  e  a  mettere  in  arca,  e  avanzare  i  pa- 
renti. Per  tutti  costoro  sarebbe  meglio  che  la  Chiesa  fosse  povera.  Ma  quanto 
bene  non  può  far  la  Chiesa  co'  beni  temporali,  quanto  bene  non  possono  fare 
i  preti  buoni,  quanto  non  tornano  utili  le  ricchezze  per  restaurare  e  abbellire 
la  casa  di  Dio!  Se  si  ha  da  riparare  la  Chiesa,  restituisci  alla  Chiesa....  La 
Chiesa  come  società  de'  fedeli  ha  bisogno  di  beni  temporali,  ha  bisogno  delle 
ricchezze,  se  no  chi  la  difenderebbe?  Gli  eretici  chi  li  terrebbe  a  freno?  È  me- 
glio che  la  Chiesa  abbia  avuto  roba  per  potersi  difendere....  Che  delitto  è  mai 
questo  di  bramare,  come  faceva  il  Savonarola,  preti  e  religiosi  buoni?  e  che  non 
si  dilatino  tanto  nella  roba;  ma  che  vogliano  darla  per  Dio,  a'  poverelli  e  lasciare 
tante  loro  superfluità,  e  a  questo  modo  acquistarsi  il  Paradiso?  (Sopra  Aggeo, 
XIII.)  11  Savonarola,  che  aveva  scritto  tutto  il  libro  quarto  della  Semplicità  della 
Vita  Cristiana  per  dimostrare  degli  uomini  in  generale  l'obbligo  di  rimuovere  da 


—  287  — 


sè  il  superfluo,  poteva  tenere  un  linguaggio  diverso  parlando  di  chierici  ?  11  severo 
Frate  che  ripeteva  le  ricchezze  nelle  mani  de'  peccatori  essere  un  istrumento 
a  operar  male,  doveva  poi  eccettuar  dalla  regola  i  chierici  tristi  ?  (Ivi,  lib.  V, 
conci.  VII.)  Il  Savonarola  non  poteva  tollerare  nella  Chiesa  quello  che  non  vi 
poteva  tollerare  Gregorio  VII,  cioè  che  per  il  temporale  i  vescovi  ed  i  prelati 
lasciassero  di  compiere  lo  spirituale.  (Cfr.  Paslor,  pag.  362):  e  questo  chi  ar- 
direbbe tra  i  cattolici  di  condannarlo  minimamente? 

Quando,  in  altro  scritto,  esporremo  le  dottrine  sociali  del  Savonarola, 
raffronteremo  le  sue  idee  co'  pensamenti  dell'  Enciclica  di  Leone  XIII  Sulla 
questione  operaia;  ma  qui  già  non  sappiamo  astenerci  di  trascrivere  alcuni 
periodi  da  questo  insigne  monumento  di  sapienza,  perchè  ognun  veda  quanto 
si  accordino  anche  qui  i  pensieri  di  questi  due  grandi  amatori  della  Chiesa 
e  del  popolo  di  Cristo;  e  trascrivo  senz' altra  osservazione  fuori  di  questa 
che  quanto  il  Pontefice  dice  aver  la  Chiesa  fatto  ognora,  il  Savonarola  voleva 
che  facesse  anche  alla  sua  infelice  età.  «  La  Chiesa  concorre  direttamente  al 
bene  de'  proletarj  col  creare,  promovere  quanto  può  conferire  a  loro  sol- 
lievo, e  per  questo  rispetto  ella  segnalossi  tanto,  da  riscuotere  V  ammirazione 
e  gli  encomj  degli  stessi  nemici.  Nel  cuore  de'  primitivi  cristiani  la  carità  fra- 
terna era  così  potente,  che  i  più  facoltosi  spogliavansi  spessissimo  del  proprio 
per  soccorrere  gli  altri,  tanto  che  non  vi  era  tra  loro  bisogno  alcuno.  Ai  dia- 
coni, ordine  istituito  espressamente  per  questo,  fu  commesso  dagli  Apostoli 
l'ufficio  di  esercitare  la  quotidiana  beneficenza;  e  Paolo  Apostolo,  benché  gra- 
vato dalla  cura  di  tutte  le  Chiese  non  dubitava  d'intraprendere  faticosi  viaggi, 
a  fin  di  recare  di  sua  mano  ai  cristiani  poveri  l'elemosine  da  lui  raccolte.  E 
depositi  della  pietà  chiama  Tertulliano  le  offerte  che-  si  facevano  spontanea- 
mente dai  fedeli  in  ciascuna  adunanza:  perchè  disegnate  a  soccorrere  e  a  dar 
sepoltura  agli  indigenti  ;  sovvenire  i  poveri  orfani  d'  ambo  i  sessi  e  i  vecchi  e  i 
naufraghi.  E  di  qui  a  poco  a  yoco  f or  mossi  il  patrimonio,  che  la  Chiesa  guarda 
sempre  con  religiosa  cura  come  patrimonio  della  povera  gente.  La  quale  anzi 
con  nuovi  e  determinati  soccorsi  venne  perfino  liberata  dalla  vergogna  del 
chiedere.  Imperocché,  madre  comune  dei  poveri  e  dei  ricchi,  ispirando  e 
suscitando  per  tutto  l' eroismo  della  carità  la  Chiesa  creò  sodalizj  religiosi 
ed  altri  benefici  istituti,  che  non  lasciarono  quasi  alcuna  specie  di  miseria 
senza  aiuto  e  conforto.  Molti  oggi,  come  già  fecero  i  gentili,  dan  biasimo  alla 
Chiesa  perfino  di  sì  egregia  carità;  e  si  è  creduto  bene  di  sostituire  a 
questa  la  beneficenza  legale.  Ma  non  vi  è  umana  industria  che  alla  carità  cri- 
stiana, che  tutta  consacrasi  al  bene  altrui,  possa  supplire.  Ed  essa  non  può 
esser  se  non  virtù  della  Chiesa,  perchè  è  virtù  che  sgorga  solamente  dal  cuore, 
dal  cuore  santissimo  di  Gesù  Cristo:  e  si  allontana  da  Gesù  Cristo  chi  si 
allontana  dalla  Chiesa  ». 

Il  detto  fin  qui  potrebbe  bastare  ad  ogni  cristiano,  ma  è  troppo  difficile 
persuadere  chi  è  già  per  sè  male  inclinato;  e  non  è  molto  che  un  teologo,  ri- 
petendo le  parole  di  un  suo  professore,  moveva  al  Savonarola  l'accusa  che  si 
muove  a  Giuda  perchè  si  dolse  dell'  unguento  sparso  dalla  Maddalena  sui 


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piedi  a  Cristo,  e  che  muovesi  parimente  ai  molti  nemici  della  Chiesa,  i  quali 
vorrebbero  che  Leone  XIII  ritornasse  senza  meno  alle  reti  del  pescatore  di 
Galilea.  L'  accusa,  come  tutte  le  altre  contro  il  Frate,  è  gratuita,  e,  per  quanto 
abbiamo  esposto,  già  appare  anche  falsa,  ma  non  sarà  discaro  a'  Piagnoni  se 
insistiamo  un  altro  poco  nel  ribatterla  del  tutto. 

Chi  lia  letto  le  Opere  del  Frate  sa  eh'  egli  voleva  che  ognuno  vivesse  de- 
centemente secondo  il  suo  stato,  e  sa  che  non  poteva  togliere  a'  prelati  il  re- 
lativo decoro.  Questa  non  era  la  semplicità  del  Savonarola.  (')  Egli  conosceva 
benissimo  che  il  superfluo  non  si  ha  da  calcolare  per  tutti  d'  un  modo  e  asso- 
lutamente «  perchè  tal  cosa  è  superflua  agli  artefici,  e  tale  è  agli  artefici  che 
non  è  a'  cittadini  mediocri,  e  tale  a'  cittadini  mediocri  che  non  è  a'  nobili,  e 
tale  è  a' nobili  che  non  è  a' principi,  e  tale  a' principi  che  non  è  a' re  ».  (2)  A 
questo  riguardo  abbiamo  un  passo  aureo  negli  Scritti  Inediti.  Chiosando  Eze- 
chiele al  capitolo  XXVIII,  nelle  pietre  preziose  ond'  è  ornato  il  re  di  Tiro  dice 
potersi  per  allegoria  mirar  significati  i  differenti  santi  e  uomini  ond'  è  ornato  il 
Papa,  e  in  esso,  re  il  Papa  stesso,  e  lutti  i  papi  come  fossero  un  solo  Papa, 
adorni  di  cardinali  e  di  vescovi  che  devono  essere  infiammati  di  carità  sera- 
fica; e  i  sacerdoti  e  i  diaconi.  Si  legga  il  capitolo  d'  Ezechiele  e  poi  si  vegga  se 
con  questa  esposizione  il  Savonarola  voglia  proprio  che  il  Papa  sia  ridotto  alle 
reti  del  Pescatore.  Quand'  egli  diceva  che  bisognava  tornare  alla  semplicità  pri- 
mitiva intendeva  d' insegnare  ciò  che  tutti  teniamo  per  vero  e  Leone  XIII  nei- 
1'  Enciclica  Stilla  questione  operaia  bandisce  autorevolmente:  «  È  solenne  prin- 
cipio che  per  riformare  una  società  in  decadenza,  è  necessario  riportarla 
a'  principj  che  le  hanno  dato  1'  essere.  La  perfezione  di  ogni  società  è  riposta 
nel  tendere  ed  arrivare  al  suo  scopo  :  talché  il  principio  generatore  dei  moti  e 
delle  azioni  sociali  sia  quel  medesimo  che  generò  l'associazione.  Quindi  deviare 
dallo  scopo  primitivo  è  corruzione;  tornare  a  esso  è  salute  ».  E  come  in  questa 
Enciclica  il  Pontefice  si  duole  che  siano  spogliali  gli  ordini  religiosi....;  così  fa 
ancora  i!  Savonarola,  il  quale  negli  Scritti  Inediti,  postillando  il  XXVI  di  Eze- 
chiele, se  la  piglia  contro  i  tiranni  che  si  usurpali  tutti  i  benefizj  della  Chiesa,  e 
dice  che  perciò  Dio  manderà  lor  contro  degli  eserciti;  e  ruineranno  con  molti 
peccati,  ma  la  barca  di  San  Pietro  non  verrà  sommersa  mai  dalle  onde.  Per 
accusare  il  Savonarola,  bisogna  adunque  provar  prima  eh'  egli  non  si  era  pro- 
posto l' intento  di  ricondurre  la  Chiesa  sulla  via  che  conduce  alla  meta  prefis- 
sale da  Cristo  e  dagli  Apostoli;  e  dargli  del  sognatore  e  dell'insipiente,  ne- 
gando ehe  tale  impresa  fosse  inutile,  perchè  fioriva  per  ogni  dove  lo  spirito 
cristiano.  Ma  chi  ha  letto  la  storia  di  quei  tempi,  anche  una  storia  incompleta 
e  cattiva,  sarà  col  Savonarola  certamente,  che  vedeva  adoperato,  per  avarizia, 
ad  altro  uso  che  non  è  il  loro  proprio  non  pure  le  ricchezze  degli  ecclesiastici; 
ma  anche,  alcuna  volta,  i  sacramenti  di  Cristo. 


(')  Cfr.  il  Cap.  V  e  VII  .lei  libro  quarto  della  Semplicità  della  Vita  Cristiana  e  le  pre- 
diche Sopra  Amos. 

•)  Ivi,  Conclusione  VII. 


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San  Tommaso  all'erma  poi  chiaramente  nelle  Ouodlibetali,  (')  e  ripete 
altrove,  che  i  chierici  peccano  mortalmente  se  non  danno  in  elemosina  ai  po- 
veri ciò  che  loro  sopravanza  ili  beni  ecclesiastici,  imperocché  di  questi  beni  essi 
non  sono  signori,  ma  dispensatori  ;  ed  è  ufficio  del  dispensatore  distribuire  fe- 
delmente le  cose  che  sono  a  lui  date,  perchè  le  dispensi.  Anzi  il  Santo  Dottore 
aggiunge  che  pecca  mortalmente  il  chierico,  non  solo  quando  non  distribuisce 
al  povero  il  superfluo,  ma  anche  quando  usa  disordinatamente  i  beni  che  ca- 
dono nella  sua  porzione.  Il  Savonarola  commenta  questa  dottrina,  ma  nulla 
v'aggiunge.  Onde  anche  qui  non  si  può  condannare  lui,  se  non  si  voglia  con- 
dannare e  Leone  XIII  e  San  Tommaso,  cioè  la  dottrina  cattolica. 

Del  resto  quale  volesse  la  Chiesa  Fra  Girolamo  lo  disse  in  molte  predi- 
che, per  esempio  nella  XXXVII  sopra  Amos  e  Zaccaria  e  nella  VII  e  Vili  sopra 
Ruth  e  Michea.  Si  leggano  queste  prediche,  e  si  vedrà  subito  che  rinnovpndosi 
la  Chiesa  come  il  Savonarola  la  voleva,  non  si  sarebbe  mutata  già  la  fede,  nè 
la  legge  evangelica,  nè  la  potestà  ecclesiastica,  ma  solo  gli  uomini  sarebbero 
diventati  migliori.  Traduco  qui  un  passo  aureo  degli  Scritti  Inediti  posti  in- 
fine alla  Bibbia  Magliabecchiana,  nella  quale  si  compendia  assai  bene  il  propo- 
sito del  Savonarola  nel  predicare  ed  invocare  la  riforma  della  Chiesa,  e  ben 
dichiara,  come  fa  anche  nelle  chiose  del  cap.  XI  di  San  Luca,  che  voglia  dire  e 
che  sia  il  rinnovare  la  Chiesa. 

«  Vuoi  tu  vedere,  è  ivi  detto,  in  qual  modo  ci  proponiamo  di  riformare 
la  Chiesa  che  ruina?  Vogliamo  ricuperare  la  città  piccola,  cioè  la  primitiva 
Chiesa,  la  città  posta  sopra  il  monte.  Imperocché  in  questo  consiste  veramente 
la  riforma  della  Chiesa;  ma  a  ciò  quante  cose  e  quanti  gradi  non  si  richie- 
dono! «  Ascolta  quante  cose  si  richiedono.  Prima  di  tutto  che  i  Cristiani  cerchino 
l'onore  di  Dio,  e  che  sia  lodato  e  santificato  il  nome  suo  e  venga  verso  noi  la 
pace  del  suo  regno:  e  in  ogni  cosa,  in  ogni  persona  si  adempia  la  sua  volontà; 
poi  ognuno  cerchi  la  salute  dell'anima  sua;  e  quindi  di  tutti  i  fedeli;  anzi 
anche  degl'infedeli;  che  si  preghi  e  ottenga  da  Dio  la  remissione  de' peccati, 
e  che  sian  allontanati  i  flagelli  che  abbiain  meritati;  e  scenda  sopra  tutti  copia 
della  grazia  e  de'  doni  dello  Spirito  Santo  ;  che  si  acquistino  abbondanti  ric- 
chezze e  ampiezza  d'impero,  perchè  si  possano  diffondere  anche  negli  altri 
popoli  i  beni  toccati;  la  custodia  degli  angeli  e  la  famigliarità  e  l' illuminazione; 
molto  clero  fervente,  preti  e  religiosi  buoni  e  di  santa  vita;  mutua  dilezione 
de' Cristiani  sì  che  essi  siano  un  cuor  solo,  com'  è  detto  in  Giovanni  al  verso 
35  del  cap.  XIII:  In  hoc  cognoscent....  Finalmente  che  regni  la  pace  in  tutta  la 
Chiesa.E  che  nella  pace  i  cristiani  non  isiiano  oziosi,  ma  si  esercitino  nelle  opere 
buone,  nelle  Scritture,  nelle  predicazioni,  nelle  virtù,  nelle  grazie,  ne'  doni 
dello  Spirito  Santo.  Ci  vogliono  nella  vita  cristiana  molti  incipienti  che  adem- 
piano il  loro  triplice  ufficio  per  modo  che  in  essi  s' ammiri  il  verde  della 
fede,  la  buona  e  monda  coscienza,  il  desiderio  di  progredire;  ci  vogliono  molti 
proficienti  che  tengano  la  mente  purgata  non  solo  dai  peccati,  ma  dai  desiderj 


(')  QuoJlibet.  VI,  arde.  12. 


iy 


—  290  — 


e  dagli  affetti,  e  osservino  con  massima  diligenza  i  precetti,  e  diano  esempj 
di  buone  opere;  ci  vogliono  i  perfetti  che  oltre  i  precetti  osservino  anche  i 
consigli,  ardano  di  amore,  bramino  il  martirio  ;  e  ci  vogliono  i  cristiani  di  vita 
attiva  che  siano  di  tanta  semplicità  che  disprezzino  le  ricchezze  e  distribui- 
scano i  beni  temporali,  godano  e  giubilino  neh'  esercizio  del  domare  le  pas- 
sioni. Si  richiede  che  quei  che  si  danno  alla  vita  contemplativa,  siano  eminenti 
per  virtù,  contemplino  sempre  i  sacramenti  della  Chiesa,  le  Scritture  e  le  cose 
divine,  che  quei  di  vita  mista  facciano  l1  una  e  l'altra  cosa,  cioè  ministrino  il 
prossimo  e  si  diano  e  attendano  alle  cose  divine.  Che  sian  casti  i  matrimonj, 
pure  le  vedove,  e  le  vergini  non  perdano  il  giglio  della  loro  purezza,  ma  dedi- 
chino a  Cristo  il  cuore  e  il  corpo.  Siano  santi  i  pastori,  illuminati  i  dottori,  e 
i  predicatori  ferventi  e  ardenti  di  tale  fuoco  divino  da  infiammare  tutti  i  po- 
poli nell'amore  di  Cristo;  che  vi  sian  molti  cristiani  atti  e  disposti  al  martirio: 
vita  apostolica  e  perfetta,  come  nella  Chiesa  primitiva,  e  che  s'  ami  tanto  le 
cose  celesti  da  non  curare  più  le  terrene  salvo  quanto  è  necessario  alla  vita 
mortale.  Ci  vuole  angelica  vita;  padri  di  famiglia,  parrochi  e  prelati  così  per- 
fetti e  buoni  che  reggano  bene  i  sudditi;  che  i  pretori,  i  capitani  e  tutti  coloro 
che  sono  mandati  governatori  fuori  di  città,  come  i  vicarj  e  gli  altri  ufficiali, 
siano  incorrotti  e  con  religione  e  giustizia  governino  i  popoli;  che  i  magistrati 
posti  e  ordinati  nella  città  pel  bene  comune  siano  pieni  di  zelo,  di  giustizia, 
di  spirito  e  puniscano  chi  se  lo  merita  senza  timore;  i  cittadini  perfetti  per 
guisa  che  il  primo  magistrato  e  i  principi  sian  tali  che  procurino  l'onore  di 
Dio,  la  salute  delle  anime  e  il  bene  comune.  Oltre  a  tutto  ciò  che  si  rinnovi 
la  purità  e  la  semplicità  ne1  religiosi  sì  che  molti  di  essi  appaiano  per  grazia 
di  miracoli  e  chiari  per-  ispirito  profetico;  che  molti  siano  illuminati  de' mi- 
steri delle  Scritture  e  pieni  della  vera  sapienza  sì  che  da  loro  i  popoli  nei 
dubbj  e  nelle  difficoltà  possano  avere  ottimi  consigli.  Finalmente  che  vi  ab- 
biano martiri  veri,  cioè  molti  che  resistano  fino  al  sangue  ». 

Queste  le  cose  che  voleva  ottenere  il  Savonarola  nella  riforma  della 
Chiesa;  questa  tutta  la  riforma  di  lui.  Or  mi  si  dica:  Qual  dogma  toccò  egli 
mai  con  questi  desiderj  ?  a  chi  si  ribellò  se  non  ai  guasti  e  ai  corrotti  ?  e  qual 
precetto  trasgredì  combattendo  per  questo  disegno,  dacché  non  poteva  riuscire 
senza  molta  guerra,  a  raggiungere  il  suo  inlento? 

Nè  si  creda  che  queste  cose  eh'  io  ho  enumerate  stiano  semplicemente 
abbozzate  negli  Scritti  Inediti:  che  sono  svolte  tutte,  allargale,  esposte  ampia- 
mente nelle  varie  Opere  del  nostro  Frate,  e  mi  sarebbe  facilissimo  per  ogni 
punto  toccato  nella  pagina  trascritta  raccogliere  lunghi  tratti,  e  comporre  so- 
pra di  quelli  un  volume.  Ma.  lo  ripeto,  non  è  cosa  da  farsi  ora.  A  chi  è  in 
buona  fede,  il  detto  basta.  Concludiamo  adunque  così:  Santo  era  lo  zelo  che 
per  la  casa  di  Dio  divorava  l'anima  di  Girolamo  Savonarola:  egli  pensa  cat- 
tolicamente intorno  a' beni  ecclesiastici  ;  egli  non  è  reo  di  alcuna  esagerazione, 
od  eccesso;  e  la  Chiesa  eh'  egli  voleva  è  la  Chiesa  voluta  dai  Santi. 


XVIII. 

Il  Savonarola  e  lo  spirito  profetico 


Sommario. 

Diietto  notevole  nella  Storia  de'  Papi.  —  Giusta  veduta  del  Bayonne.  —  Asserzioni  inesatte  e  non 
vere.  —  Il  Pastor  giudicato  dal  Contmer.  —  La  dottrina  cattolica  e  la  dottrina  del  Pastor  sulla 
profezia.  —  La  dottrina  del  Savonarola.  —  Utilità  della  profezia.  —  Dio  può  parlar  tuttavia  ad 
un  uomo  in  particolare.  —  Si  può  ancor  profetare,  nè  si  può  far  una  legge  universale  che  non 
si  profeti.  —  Xoi  stiamo  col  Savonarola  e  non  col  Pastor.  —  Tu' altra  proposizione  del  Pastor 
senza  prova  e  infondata.  —  Critica  Savonaroliana.  —  Il  diavolo  avversario  della  profezia.  — 
Avvertenze  e  documenti  per  conoscere  le  buone  e  le  cattive  visioni.  —  Altra  accusa  infondata 
e  gratuita.  —  Fra  Girolamo  non  sottrae  al  giudizio  della  Santa  Sede  i  suoi  doni  profetici.  — 
Il  Frate  sostiene  contro  tutti  i  suoi  avversari  la  legittimità  delle  sue  predizioni.  —  Altra  accusa  ; 
le  predizioni  di  Giovacchino  e  Telesforo.  —  Girolamo  Savouarola  e  Silvestro  Maruffi.  —  Certezza 
nel  Profeta  delle  cose  vedute.  —  Il  Frati-  non  impone  altrui  di  credere  le  sue  predizioni.  —  Lo 
spirito  del  Savouarola  ne'  Savonaroliani.  —  Supposto  gravissimo  del  Pastor.  —  "Un  argomento  che 
prova  troppo.  —  Il  giudizio  dei  Santi  e  il  giudizio  degli  eretici.  —  Contrari  e  non  simili.  —  Il 
conciliabolo  di  Pisa  e  i  Savonaroliani.  —  Conclusione. 


Dalla  lode  che  il  professor  Pastor  dà  allo  studio  del  Ranke  sul  Savonarola,  di 
aver  per  il  primo  il  merito  d'una  sobria  considerazione  del  Profeta,  dall' astenersi 
che  fa  egli  stesso  dal  darci  una  sentenza  chiara  riguardo  alla  missione  sopranna- 
turale del  nostro  Frate,  possono,  non  solo  i  Piagnoni,  ma  tutti  quelli  che  desi- 
derano semplicemente  di  conoscere  intiera  la  figura  nel  Savonarola,  argo- 
mentare qual  giudizio  abbiano  da  proferire  del  bozzetto  intorno  al  Frate  di 
San  Marco  che  si  legge  nella  Storia  dei  Papi. 

Il  Bayonne  osserva:  «La  predicazione  degli  avvenimenti  futuri,  cioè  la 
missione  di  annunziare  pubblicamente  la  prossima  rinnovazione  della  Chiesa 
preceduta  dal  flagello  di  tutta  Italia,  tale  fu  il  punto  culminante  del  glorioso 
apostolato  di  Girolamo;  chiunque  non  lo  studi  sotto  questo  punto  e  questo 
lume,  è  incapace  di  coglierne  il  vero  carattere,  l' unità  della  sua  vita,  la 
grandezza  e  la  bellezza  della  parte  provvidenziale  eh'  egli  fu  chiamato  a 
compiere  nella  Chiesa  alla  fine  del  secolo  XV,  sui  confini  dell'  età  di  mezzo 
e  de'  tempi  moderni.  La  profezia,  e  l' inspirazione,  tale  è  dunque   il  tratto 


—  292  — 


sagliente  della  sua  grande  figura.  Essa  si  rivela  in  tutti  i  suoi  atti,  in  tutti  i 
suoi  scritti,  in  tutti  i  suoi  sermoni.  Il  soprannaturale  trabocca  da  tutti  i  punti 
della  sua  vita  privata  e  pubblica;  e  per  ogni  storico  che  ricusa  di  tenerne 
conto,  il  Savonarola  resta  un  enigma  senza  risposta,  un  problema  senza  solu- 
zione non  meno  di  Giovanna  d'  Arco  colle  sue  voci  e  colle  visioni  de'  suoi 
angeli  e  de'  suoi  santi  ».  (Pag.  47,  48,  385  e  386.) 

In  verità  che  il  grande  ammiratore  del  suo  Confratello  dice  giusto.  In- 
fatti il  Savonarola  si  presenta  e  vuol  farsi  credere  mandato  e  ispirato  da 
Dio  ad  annunziare  parecchie  cose;  e  in  quasi  tutte  le  sue  prediche  fa  predi- 
zioni; scrive  libri  intorno  alla  verità  profetica,  scrive  un  Compendio  di  rivela- 
zioni, perchè  siano  meglio  note  le  cose  da  lui  predette  e  tutti  possano  giudi- 
care della  verità  delle  medesime.  Dai  suoi  seguaci  era  tenuto  e  venerato 
profeta,  e  come  tale  egli  fu  anche  venerato  con  un  culto  dopo  la  sua  morte. 
Ne' brevi  stessi  del  Papa  è  più  volte  toccato  di  questo  lato  del  Savonarola: 
e  nella  stessa  riforma  civile  alcuni  notano  eh'  egli  spesso  parla  in  nome  di 
Dio.  E  il  Pastor  non  ignora  ciò  punto,  anzi  sa  e  dice  che  della  sua  mis- 
sione divina  il  Savonarola  parla  infinite  volte,  e  che  ne  parlavano  tutti,  e  che 
vi  credevano  anche  severissimi  uomini.  (Pag.  139  e  176).  Da  questo  doveva 
essere  più  che  mai  convinto  e  persuaso  che  un  giudizio  generale  intorno  al 
suo  personaggio,  era  impossibile  pronunciarlo  senza  aver  prima  posto  chia- 
ramente la  questione,  s'  egli  abbia  a  tenersi  per  un  vero  profeta,  o  per  un 
allucinato  o  un  impostore.  (')  Invece  nulla  di  tutto  questo  fa  lo  storico  d' Inn- 

sbruck.  Almeno  ci  avesse  detto  chiaro  e  aperto  che  cosa  ne  pensa  egli  

Ma  invece  riesce  con  le  sue  semplici  asserzioni  e  con  le  insinuazioni  mollo 
scure  a  confondere  per  guisa  la  cosa  che  il  lettore  non  sa  infine  che  giudizio 
pronunciare.  Infatti  leggete  a  pag.  1S24,  colle  parole  dello  Schwab,  che  al  Sa» 
vonarola  «un  giorno  parve  a  un  tratto  che  il  cielo  si  aprisse  dinanzi  a  lui; 
vide  descriversi  a'  suoi  occhi  le  future  calamità  della  Chiesa  e  tedi  una  voce 
che  gì' imponeva  di  annunziarle  al  popolo:  da  quel  momento  si  tenne  sicuro 
della  sua  divina  missione  ».  (2)  E  con  ciò  ti  parrebbe  che  il  Savonarola  si 


(')  Con  ciò  noi  non  intendiamo  (e  lo  noti  il  lettore)  elio  si  spetti  ai  privati  decidere 
autorevolmente  se  Fra  Girolamo  sia  stato  profeta  o  no.  Qui  siamo  perfettamente  d'accordo 
col  Pastor  e  col  Grisar.  «  Il  diritto  di  decidere  sulla  verità  del  dono  di  profezia  appartiene 
indiscutibilmente  alla  Santa  Sede  ».  Nessun  altro  può  in  quest'oscuro  dominio  pronunciare 
una  sentenza  definitiva  e  autorevole.  Ma  il  giudizio  della  Chiesa  può  venir  preparato  dagli 
studj  de'  privati;  e  non  è  vietato  a  nessuno  disposto  a  rimettersi  a  quanto  deciderà  la  Santa 
Sede,  di  credere  intanto  come  lo  spirito  e  le  conoscenze  sue  gli  dicono.  Nel  caso  nostro  credia- 
mo poi  che  non  sarebbe  difficile  il  provare  che  Fra  Gii  olamo  predisse  cose  che  si  avverarono. 
Ad  ogni  modo,  nel  testo  vogliamo  semplicemente  dire  che  prima  di  essersi  formato  un  con- 
cetto chiaro  e  delinitivo  intorno  allo  spirito  profetico  del  Savonarola  riesce  assai  diffìcile, 
o  meglio  impossibile  a  pronunciarne  un  giudizio  finale  completo.  Abbiamo  in  animo  di  dar 
fuori  uno  studio  che  tratti  di  proposito  l'argomento.  Qui  ci  limitiamo  tuttavia  a  quanto  è 
strettamente  necessario  a  ribattere  alcune  asserzioni  del  Pastor,  che  riteniamo  poco  esatte. 

(2)  A  rigore  si  avrebbe  forse  dovuto  tradurre  non  vide,  udì,  ma  credette  di  vedere  e  di 
udire.  Osservazioni  analoghe  bi  potrebbero  forse  anche  fare  per  la  missione  usurpata,  e  per 
lo  apnecinrai  profeta,  che  leggeremo  quanto  prima.  Il  traduttore  poteva  forse  usar  vocaboli 


—  293  — 


■credesse  profeta  in  buona  fede.  Ma  continua  subito  il  Pastor,  sempre  colle 
parole  dello  Selma:  «  ed  una  volta  trascinato  nella  cerchia  magica  di  visioni 
-e  di  sogni,  non  ne  è  più  uscito  fino  al  giorno  della  sua  cattura  >;  e  con  ciò  ti 
fa  credere  che  non  profeta,  ma  visionario  e  sognatore  sia  il  Frate,  anche  se 
in  buona  fede.  (Pag.  124.)  Parimenti,  a  pagina  128,  dopo  d'aver  accennate  alle 
prediche  del  1494,  «  nelle  quali  il  Frate  mise  in  nesso  i  flagelli  da  lui  predetti 
con  la  venuta  di  un  nuovo  Giro,  che  senza  trovare  ostacoli  avrebbe  traversato 
vittorioso  l'Italia:  dopo  di  aver  accennato  alla  cacciata  de' Medici  »,  parla  del 
terribile  avveramento  de'  vaticinj  del  Savonarola,  e  non  contradicendo  punto 
1'  opinione  del  popolo  fiorentino,  il  quale  «  vedeva  in  lui  il  prof 'età  veridico  delle 
cose  avvenute  »,  ti  parrebbe  quasi  eh'  egli  non  sia  alieno  dal  ritenere  il  nostro 
Frate  per  vero  profeta.  Ma  a  pag.  130  ti  fa  pensare  il  contrario:  «  Anziché 
godere  della  pace  promessa  dal  Savonarola,  tutta  Firenze,  ogni  famiglia  era 
lacerata  da' litigi  e  discordie».  Onde  tu  se' obbligato  a  credere  che  il  prof 'età 
veridico  sia  temuto  ora  un  profeta  illuso.  Anzi  nelle  stesse  pagine  che  seguono 
alla  128  ti  è  detto  proprio  il  contrario  di  quello  che  ti  si  era  lasciato  credere 
in  quella:  imperocché  qui  s'afferma  che  era  una  pretesa  del  Frate  quella  d'  es- 
ser strumento  di  speciali  rivelazioni  e  mandato  da  parte  di  Dio;  e  lo  storico 
crede  di  spiegarci  la  persuasione  del  Frate  al  modo  che  segue:  «  Il  suo  animo 
poetico  esaltato  fino  al  fanatismo,  la  sua  ardente  fantasia,  il  suo  approfondirsi 
ne' libri  profetici  e  apocalittici  della  Bibbia,  le  predizioni  di  un  Gioachino  e  Te- 
lesforo  generarono  in  lui  la  solida  credenza  di  essere  in  immediata  comunica- 
zione con  Dio  e  cogli  Angeli.  Andava  convinto  di  udire  voci,  di  vedere  volti 
celesti.  Le  visioni  ebbero  via  via  un  tale  sopravvento  sulla  riflessione,  che,  pur 
conversando  con  altri,  vedeva  il  cielo  spalancato,  udiva  voci  venirgli  di  lassù; 
nè  oramai  più  dubitava  di  questo  diretto  commercio  col  mondo  degli  spiriti:  — 
Quanto  io  vedeva  in  ispirito  ed  annunziava  —  dice  nello  scritto  sulle  visioni  — 
era  per  me  di  gran  lunga  più  sicuro,  che  non  i  primi  principi  de'  filosofi.  —  A 
confermarlo  in  queste  sue  fantasie  e  a  dileguargli  ogni  dubbio  concorse  una 
circostanza  tutta  esterna.  Nel  convento  di  San  Marco  c'  era  un  frate  sonnam- 
bolo,  di  nome  Silvestro  Maruffi,  il  quale  aveva  frequenti  visioni  ed  usava  strani 
discorsi.  In  quest'  uomo  il  Savonarola  pose  ben  tosto  così  cieca  fiducia,  da 
spacciare  perfino  una  volta  come  propria  e  avuta  d' incarico  degli  angeli  una 
visione  del  Maruffi  ».  (l) 

Dunque  il  Savonarola  pur  data  e  concessa  la  buona  fede  non  è  che  un 
visionario,  un  fanatico,  un  ammalato;  proprio  come  già  ebbe  a  giudicare  il 
razionalista  Perrens.  .  .  .  Ma  le  asserzioni  del  Pastor  diventano  qua  e  là 
vieppiii  gravi.  Infatti  a  pagina  143,  si  scrive:  «  Il  Savonarola  nella  sua  sovrec- 
citazione nervosa,  sotto  l'influsso  di  sognate  visioni  e  rivelazioni,  non  s'era 
del  tutto  capacitato  degli  effetti  che  dal  suo  modo  di  procedere  dovevano  se- 


meno  crudi.  Ma,  come  abbiamo  già  avvertito,  noi  esaminiamo  la  versione  italiana;  e  la  so 
stanza  resterebbe  ad  ogni  modo  la  stessa  o  quasi. 

(*)  Anche  queste  espressioni  sono  citate  quasi  tutte  dallo  Schwab. 


—  294  — 


guire  »  (');ea  pag.  353  scrive  senz'altro  che  «  la  parte  dal  Savonarola  assunta 
di  profeta  diventò  a  lungo  andare  insopportabile  »;  e  come  fosse  poco,  a  pa- 
gina 357  scrive  addirittura  che  la  missione  di  profeta  il  Frate  se  l'era  usurpata. 

Ma  dopo  questo  non  cessa  il  Pastor  dal  ripeterci,  a  pagina  358,  che  il  Sa- 
vonarola scrivendo  a  tutti  i  cristiani  e  diletti  di  Dio  a'  19  giugno  1497:  «  riaf- 
fermava la  sua  missione  divina  »,  e  a  pagina  359,  che,  «  il  Savonarola  nel  1498 
era  più  saldamente  convinto  che  mai  della  sua  speciale  missione  divina  »;  e  a 
pagina  370  nota  ancora  che  «il  Savonarola  propugnava  inflessibilmente  il  ca- 
rattere soprannaturale  della  sua  profezia,  anzi  non  si  peritò  di  appellare  al- 
l' ultimo  mezzo  che  qui  poteva  decidere  la  questione,  al  miracolo  ».  Del  pari, 
come  a  pagina  349  aveva  scritto  che  il  Savonarola  si  spacciava  per  profeta  e 
a  pagina  357  che  si  usurpava  la  missione  di  profeta;  a  pagina  379  invece  scri- 
ve: «  Egli  credeva  per  certo  sinceramente  e  in  buona  fede  di  essere  un  pro- 
feta messo  da  Dio;  ma  diede  troppo  presto  la  prova  che  lo  spirito  ond'  era 
agitato  non  veniva  più  (2)  dall'alto;  conciossiachè  la  prova  di  missione  divina 
sia  prima  di  ogni  altra  cosa  1'  umile  obbedienza  verso  la  suprema  autorità  da 
Dio  stabilita  ». 

Ma  v'ha  di  più.  Nel  Pastor  leggo  asserzioni  riguardo  al  lume  profetico  del 
Savonarola  che  sono  opposte  alla  verità! 

E.  Gommer  (3)  dice  :  «  Il  concetto  che  il  Pastor  ha  delle  profezie  del  Sa- 
vonarola, mentre  contro  di  lui  solleva  per  fino  il  rimprovero  della  bestemmia, 
teologicamente  non  è  fondato  e  troverebbe  contradizione  ne'  teologi  ».  Forse 
questo  critico  ha  riguardo  speciale  alla  pagina  140,  dove  il  Pastor  parlando  ap- 


(l1  A  conferma  di  quest'accusa  il  Pastor  in  nota  aggiunge:  «  Cf.  il  dispaccio  romano- 
dell'  ambasciatore  fiorentino  presso  Glierardi,  141.  »  E  infatti  nel  Gherardi,  ivi,  trovasi  la  lettera 
di  Riccardo  Becchi  alla  Signoria  scritta  il  26  maggio  1497,  ove  tra  le  altre  cose  di  cui  a  Roma 
si  faceva  carico  al  Savonarola  era  •  che  lui  scriva,  dica  et  affermi  esser  profeta,  parlare  eoa 
Iddio,  Nostra  Donna  et  Sancti  et  predica  le  cose  future  con  tanta  asseveranza  ».  Ma  biso- 
gnava che  il  Pastor  leggesse  anche  la  risposta  della  Signoria  del  30  marzo,  Gherardi  p.  142: 
«  Maravigliataci  che  del  Frate  sieno  advisate  di  costà  tante  cose  quante  scrivete,  perchè  sono 
favole  et  finctioni  si  fanno  di  costà  da  chi  cerca  di  darci  carico  e  commettere  qualche  male  », 
In  Firenze  forse  meglio  che  in  Roma,  poteva  sapersi  come  stessero  le  cose. 

(2)  Non  veniva  più!  E  prima  veniva?!  Come  cessò  di  venire  e  perchè?  Crede  il  Pastor 
assolutamente  necessaria  la  bontà  del  soggetto  a  esser  profeta?  In  caso  avrebbe  fo-rse  da 
dire  qualche  cosa  con  valenti  teologi.  Il  Grisar,  e  prima  e  dopo  periodi  molto  confusi  ed  in- 
voluti scrive:  «  Soltanto  per  un  numero  determinato,  cioè  quelle  del  primo  periodo  più  calmo 
e  più  tranquillo  della  sua  vita  si  possono  accettare,  come  appunto  si  vuole,  come  inspirazioni 
soprannaturali.  Certamente  una  grazia  di  questa  specie  poteva  essere  unita  sul  prinoipio 
alle  eroiche  virtù  del  religioso,  ma  tosto  rimasta  infruttuosa,  anzi  soffocata  da  poi  che  egli 
si  diede  all'attività  umana  usurpando  un  campo  che  a  lui  non  spettava  ».  Pensa  cosi  anche 
il  Pastor?  In  ogni  caso  osserviamo  che  il  Savonarola  non  ci  ha  mai  dato  veramente  come 
profezie  quelle  per  le  quali  il  Grisar  crede,  nè  sappiamo  se  a  ragione,  di  condannarlo.  Anche 
qui  non  si  condanna  il  vero  Savonarola,  ma  tin  Savonarola  immaginario.  Le  profezie  del 
primo  periodo  furono  ancora  quelle  dell'ultimo  periodo;  salvo  forse  alcune  predizioni  che 
lece  non  al  popolo  dal  pulpito,  ma  a  qualche  privato.  Ma  di  queste  nou  si  è  mai  discusso. 

Ò  Nel  Periodico  Jahrbuch  fili-  Pliilosophic,  XI,  anno  189o\  pag.  85.  È  un  bell'articolo  in 
risposta  al  Pastor  e  vale  segnatatneuto  por  mostrare  contro  il  critico  tedesco  che  il  domeni- 
cano llayonne,  volendo  dimostrare  la  santità  dol  Savonarola,  non  si  pone  in  contradizione  con 
le  antiche  tradizioni  del  ivo  online.  'Pastor,  pag.  378,  nota.) 


—  295  — 


punto  e  della  politica  e  delle  profezie  del  Savonarola  scrive  :  «  Bisogna  con- 
siderare che  non  si  trattava  già  solo  di  profezie  attinenti  allo  sviluppo  del  Re- 
gno di  Dio  ;  spesso  non  era  che  questione  di  cose  esteriori  e  meramente 
politiche,  come  sarebbe  la  futura  potenza  di  Firenze,  il  riacquisto  di  Pisa  e  via 
dicendo.  Un  tal  modo  di  predire  si  stenta  a  purgarlo  dalla  taccia  di  blasfemo  ». 

Qui  si  potrebbe  osservare  che  anche  queste  profezie  erano  dal  Savona- 
rola volte  in  qualche  modo  al  bene  morale  e  spirituale  e  perciò  si  volgevano 
anche  esse  allo  sviluppo  del  Regno  di  Dio.  Ma  ad  ogni  modo,  chi  ha  detto  al 
Pastor  o  dove  ha  egli  trovato  che  nelle  profezie  non  vi  possa  entrare  il  bene 
o  il  male  de' regni  di  questo  mondo?  In  tal  caso  non  s'avrebbero  a  dire  bla- 
sfemi tutti  i  profeti  d' Israele? 

Ma  il  Pastor  ha  delle  asserzioni  teologicamente  anche  più  azzardate:  «  Il 
tempo  in  cui  la  volontà  del  Signore  veniva  fatta  sapere  al  popolo  mediante 
profeti  e  giudici  era  trascorso,  dappoiché  era  apparsa  una  volta  in  Cristo  la 
piena  verità,  la  quale  data  in  deposito  alla  Chiesa,  protetta  da  erronee  inter- 
pretazioni mercè  l'infallibile  magistero,  è  destinata  a  formare  per  tutti  i  tempi 
la  sorgente  della  salute»  (p.  141).  Qui  v'è  molta  confusione  di  cose  che  vo- 
gliono star  distinte;  e  credo  davvero  che  a  sottoscrivere  questo  periodo  un  teo- 
logo anderebbe  adagio,  e  non  lo  farebbe  senza  aver  prima  delle  buone  spiega- 
zioni. Se  con  questo  il  Pastor  intende  di  affermare  che  lo  spirito  profetico  nella 
Chiesa  è  venuto  meno,  la  sua  dottrina  crediamo  che  sia  difficile  che  trovi  un  buon 
fondamento  teologico.  {i)  Anzi  noi  crediamo  anche  poco  chiara  la  proposi- 
zione che  precede,  nel  Pastor,  la  trascritta,  quando,  «  avendo  la  Chiesa  sola 
ricevuto  nel  primato  la  promessa  del  magistero  infallibile  »,  nega  egli  che  «  il 
Savonarola  avesse  diritto  di  chiamare  se  stesso  mediatore  del  divino  volere  in 
affari  concernenti  il  governo  civile  »  !  Prima  di  tutto  bisognerebbe  qui  pro- 
vare il  fatto,  cioè  che  il  Savonarola  si  chiamasse  veramente  mediatore  del 
divino  volere  come  importano  le  parole  del  Pastor;  e  questo  non  so  se,  a 
rigore,  sia  cosa  facile.  In  secondo  luogo  anche  quanto  a  dottrina  forse  la 
proposizione  del  professore  d' Innsbruck  potrebbe  trarsi  a  senso  non  del  tutto 
sicuro.  Non  v'  ha  dubbio  che  in  ciò  che  riguarda  il  reggimento  della  Chiesa 
c'  è  un  gerarchia  e  che  a  questa  dobbiamo  rivolgerci  per  avere  lume,  e  non 
a  chi  si  afferma  profeta:  questa  è  una  verità  sacrosanta,  come  è  una  verità 
sacrosanta  la  dote  dell' incommunicabile  infallibilità  della  Chiesa  stessa  depo- 
sitaria e  banditrice  della  dottrina  di  Cristo;  ma  tutto  ciò  non  importa  certo, 
che  dopo  la  fondazione  della  Chiesa  e  1'  ascensione  di  Cristo  al  cielo  sia,  nel 
popolo  di  Dio,  venuto  meno  del  tutto  lo  spirito  di  profezia.  Certo  San  Paolo, 


(')  Nelle  prediche,  nel  Compendio  di  rivelazioni  e  nel  Di<iìo<io  della  verità  profetica  si  trova 
un  completo  trattato  sul  profeta  e  sulla  profezia.  La  dottrina  del  Frate  è  qui  come  sempre 
perfettamente  conforme  a  quella  che  si  legge  in  San  Tommaso,  Quest.  XII  de  Veritate  e 
Somma  Teologica,  II-II,  q.  CLXXI  e  seguenti.  Avendo  noi  raffrontato  la  dottrina  del  Savo- 
narola con  quella  di  San  Tommaso,  affermiamo  sicuramente  che  in  quello  non  si  legge 
nemmeno  una  proposizione  che  non  sia  letteralmente  in  questo. 


—  296  — 


che  parla  de'  varj  doni  della  Chiesa,  ne  conta  nove,  e  tra  questi  la  profezia. 
E  parlando  degli  uomini  a  cui  questi  doni  sono  concessi,  novera  in  primo 
luogo  gli  apostoli,  e  in  secondo  luogo  i  profeti,  i  quali  parlano  agli  uomini 
per  edificazione,  esortazione  e  consolazione,  e  perciò  edificano  la  Chiesa  di 
Dio.  (*)  E  sebbene  sia  anche  vero  che  Dio  e  la  Chiesa  non  abbiano  poi  dato 
(e  lo  dice  anche  il  Savonarola)  ad  alcuna  delle  profezie  del  popolo  cristiano 
autorità  pari  a  quella  degli  agiografi,  non  ne  viene  però  che  siffatte  profezie 
non  abbiano  anch'  esse  valore,  e  che  chi  le  riceve  non  debba  crederle  come 
quelle  e  anche,  in  alcuni  casi,  manifestarle  altrui  ;  (2)  e  non  ne  viene  ch'esse 
non  siano  lume  alcuna  volta  al  popolo  cristiano. 

Non  credo  possibile  che  il  Pastor  e  il  Grisar  pensino  molto  diversamente 
dal  Frate  di  San  Marco  in  questo  campo;  ma,  ripeto,  le  loro  espressioni 
potrebbero  ad  ogni  modo  ingenerare  qualche  dubbio,  e  forse  i  teologi  potreb- 
bero desiderare  qualche  maggiore  spiegazione  ;  mentre  la  dottrina  del  Savo- 
narola è  molto  chiara  ed  aperta.  Nella  predica  XII  sopra  Giobbe  dice: 
«  Sono  alcuni  tanto  protervi  che  non  vogliono  credere  a  profezie  nè  a  vi- 
sioni, e  allegano  qualche  detto  della  Scrittura,  e  dicono  :  Qui  cito  credit  levis>. 
est  corde.  (3)  Non  si  vuol  credere  cosi  presto  ogni  cosa,  perche  viene  da  legge- 
rezza. E  questo  dicono  i  sapienti  del  mondo,  che  non  vogliono  credere  se  non 
al  loro  cervello.  Le  sentenze  della  Scrittura  che  loro  allegano  sono  vere  e 
buone  :  ma  sono  da  loro  mal  applicate,  e  male  intese.  Bisogna  sapere  con- 
cordare 1'  uno  detto  della  Scrittura  con  1'  altro,  e  che  non  siano  contrarj  e 
applicarli  bene.  E  s'  egli  è  scritto:  Qui  cito  credit  ìevis  est  corde,  s' intende  che 
il  male  quando  tu  l'odi  dire,  tu  non  lo  creda  così  presto.  E  perchè  gli  è  scritto 
ancora  :  La  carità  crede  tutto;  (4)  cioè  che  il  bene,  chi  ha  carità,  sempre  lo 
crede.  E  a  proposito  nostro  è  scritto  dall'  Apostolo  Paolo:  Non  vogliate  dispre- 
giare le  profezie,  e  di  poi  soggiunge:  Esaminato  tutto,  attenetevi  al  buono. (^Pro- 
vate se  quel  che  v'  è  detto  è  bene;  e  se  vi  edifica  nel  ben  fare,  allora  quel  che 
è  buono,  cioè  che  vi  edifica  in  bene,  tenetelo  e  credetelo.  0  Firenze,  beata 
saresti,  se  tu  avessi  creduto  quello  eh'  io  ti  dicevo.  Ti  conducevo  al  ben  fare  e 
a  penitenza  de' tuoi  peccati;  edificando  l'anime  vostre  alla  salute.  Non  dispre- 
giare, Firenze,  le  profezie,  anzi  sappi  che  la  Chiesa  di  Dio  non  si  può  reggere 
senza  le  profezie.  Io  ti  potrei  provare  questa  conclusione  con  ragione  dimo- 
strativa, con  ragione  probabile  e  con  ragione  estranea:  la  ragione  dimostrativa 


(')  Ep.  ai  Corinti,  cap.  XII,  v.  10  e  28,  e  cap.  XIV.  v.  10. 

(J)  Questo  errore  noi  troviamo  nel  Tocco,  conferenza  II  Savonarola  e  la  Profezia,  nel  vo- 
lume: La  vita  italiana  nel  rinascimento,  I  storia,  p.  319  e  segg.  Egli  mette  una  differenza  tra  i 
profeti  antichi  e  moderni.  «  Gli  antichi  si  sentivano  in  contatto  diretto  con  la  divinità  e  ne 
udivano  le  voci  e  sotto  dettato,  a  cosi  dire,  ne  scrivevano  le  rivelazioni;  invece  i  moderni 
a  tanto  non  arrivano,  ecc.  »,  Tarlando  del  Savonarola  poi  lo  chiama  profeta  «  più  di  rifles- 
sione che  d'ispirazione  >. 

(3)  Ecclesiastico,  c.  XIX,  v.  4. 

(')  Lettera  I  ai  Corinti,  c.  XIII,  v.  7. 

(')  Lettera  I  ai  Toualonicesi,  c.  V,  v.  20,  21. 


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è  quella  che  da  ogni  sua  parte  è  vera,  e  le  proposizioni  assunte  per  quella 
sono  vere.  La  ragione  probabile  è  quella  che  in  alcuna  parte  è  orazione  vera. 
La  prima,  cioè  la  dimostrativa,  dicono  i  teologi,  procede  per  fondamento  della 
Sacra  Scrittura.  La  seconda,  cioè  la  probabile,  procede  dai  dottori  della  Chiesa: 
e  poiché  i  loro  scritti  e  la  loro  autorità  nasce,  parte  dal  lume  naturale,  e  parte 
dal  soprannaturale  di  che  sono  stati  illuminati,  però,  come  cosa  mista,  si  dice 
essere  ragione  propriamente  vera  e  però  probabile.  La  ragione  estranea  è 
quella  che  procede  solamente  dal  lume  naturale.  Tu  dì  che  non  bisogna  più 
profezie:  non  sai  tu  che  gli  è  ancora  scritto:  che  quando  mancherà  la  pro- 
fezia, sarà  dissipato  tutto  il  popolo  ?  (')  Se  tu  leggi  bene  tutto  il  Testamento 
Vecchio  e  Nuovo,  vedrai,  che  sempre  la  Chiesa  di  Dio  s1  è  retta  colle  profe- 
zie e  rivelazioni.  Nel  Vecchio  vedi  eh'  è  pieno  di  profeti  :  vedi  i  Salmi  di 
David  pieni  di  profezie.  Nel  Nuovo  vedi  quante  rivelazioni  furono  fatte  a  Giu- 
seppe sposo  della  Vergine,  e  prima  a  lei.  Vedi  negli  Atti  degli  Apostoli,  e  tro- 
verai quante  rivelazioni  furono  fatte  agli  Apostoli,  e  a  quelli  Santi  di  quel 
tempo.  E  questo  sia  quanto  alla  ragione  dimostrativa  fondata  nella  Sacra  Scrit- 
tura che  ti  dimostra  che  sempre  la  Chiesa  s'è  retta  con  le  rivelazioni  e  pro- 
fezie. Quanto  alla  ragione  probabile,  leggi  le  vite  de1  Santi  Padri  dell'  Egitto, 
leggi  le  vite  de'  Martiri,  e  de'  Dottori  santi  della  Chiesa,  e  le  scritture  loro,  e 
vedrai  se  tu  ritroverai  ogni  cosa  piena  di  rivelazioni  e  profezie  che  sono  scritte 
ne'  libri  loro.  Senza  quello  che  al  di  là  dentro  nascondesi;  (z)  cioè  senza  quello  che 
s'  hanno  riserbato  entro  in  sè,  che  non  è  scritto.  Non  pensare  che  quei  Santi 
mettessero  fuori  ogni  cosa,  anzi  tenevano  le  loro  rivelazioni  occultissime,  quanto 
e'  potevano,  e  non  davano  fuora  se  non  quel  tanto,  eh'  era  di  necessità,  e  che 
da  Dio  gli  era  permesso.  Quanto  alla  ragione  del  solo  lume  naturale  e  estra- 
nea, devi  comprendere,  se  tu  n'hai  punto  d' ingegno,  che  Dio  ha  altra  e  mag- 
giore provvidenza  degli  uomini,  che  d'altre  creature  di  questo  mondo:  e  però, 
benché  l'uomo  abbia  il  libero  arbitrio,  e  il  lume  naturale  dell'intelletto,  pure 
non  gli  basta,  a  conseguire  il  fine  suo,  e  la  sua  salute,  come  io  t'  ho  mostro 
e  provato  altre  volte;  ma  gli  bisogna  il  lume  soprannaturale.  E  però  Dio  gli  ha 
apparecchiati  degli  altri  mezzi  per  soccorrerlo  :  tra  i  quali  uno  è  la  Scrittura 
Sacra,  fatta  col  lume  divino;  e  in  quella  trovi,  che  quando  Dio  vuole  rinnovare 
la  Chiesa,  la  quale  spesso  va  mancando  per  la  fragilità  degli  uomini,  sempre 
ha  multiplicato  la  profezia  e  mandato  a  illuminare  il  mondo  per  amore  de'suoi 
eletti;  acciocché  e' si  conformino  e  stiano  preparati  alle  tabulazioni,  e  a  ogni 
cosa  che  poi  venisse,  e  non  manca  mai  Iddio  quando  vuole  innovare  la  Chiesa, 
o  fare  qualche  cosa  grande  che  non  lo  faccia  predire  a'  suoi  profeti,  come  dice 
Amos:  Il  Signore  Dio  non  fa  queste  cose  senza  rivelare  i  suoi  secreti  a' profeti  suoi 
servi.  (3)  E  però  non  te  ne  far  beffe  delle  profezie  e  non  deridere  le  cose  di  Dio 
perchè  è  cosi  necessario  che  Dio  mandi  profeti,  quando  si  vede  che  il  popolo 


(')  Proverbi,  c.  XXIX,  v.  18 

(J)  Cantico  de'  Cantici,  e.  IV.  v.  1,  c.  3. 

C)  Amos,  c.  Ili,  v.  7. 


—  298  — 


suo  nel  ben  vivere  è  mancato,  come  è  oggi  il  popolo  cristiano  caduto  da  quel 
fervore  della  primitiva  Chiesa,  altrimenti  mancherebbe  la  Chiesa:  quando  sarà 
venuta  meno  la  profezia  il  popolo  sarà  dissipato;  (  )  la  quale  non  può  mancare 
sino  alla  fine  del  mondo.  E  però  Dio  la  soccorre  per  questo  lume  della  profe- 
zia, quando  la  vuole  rinnovare.  E  questo  è  quanto  al  primo  punto  dell'  essere 
necessaria  la  profezia  ». 

E  cominciando  l'esposizione  di  Ezechiele,  si  trattiene  assai  il  Frate  a 
parlare  dell'  utilità  delle  profezie,  nè  certo  tutto  quello  che  ivi  dice  si  può 
intender  tutto  de'  profeti  dell'Antico  Testamento.  «  Quanto  sia  necessaria  la 
profezia  alla  salute  umana,  dilettissimi  in  Cristo  Gesù,  si  conosce  per 
molte  ragioni:  primo  perchè  è  necessario  alla  salute  umana  la  fede  della  prov- 
videnza di  Dio,  bisogna  che  credino  gli  uomini  di  Dio  che  abbia  provvidenza,  per- 
chè, credendo  quella,  hanno  due  sproni,  cioè  d'amore  e  di  timore.  E  non  è  cosa 
che  faccia  più  fede  della  provvidenza  di  Dio  delle  cose  umane,  che  fa  la  pro- 
fezia, perchè  i  profeti  dicono  tanto  tempo  innanzi  le  cose  future,  che  non  le 
può  sapere  se  non  Dio,  come  anche  dice  Amos  (2)  ;  è  adunque  molto  ne- 
cessaria la  profezia.  Secondo,  è  necessaria  per  darti  argomento  alla  fede,  per- 
chè, conoscendo  gli  uomini  che  tutto  quello  che  è  fatto  circa  la  fede,  è  stato 
profetato,  si  vengono  a  fortificare  più  nella  fede,  perchè  i  profeti  non  atten- 
dono ad  altro  che  a  provare  e  magnificare  la  fede.  Terzo,  è  necessaria  per  il 
governo  della  Chiesa,  perchè  vengono  casi  e  difficoltà  singolari  che  bisogna 
che  vi  sia  altro  che  lume  naturale  a  solverle,  onde  dice  Salomone:  Quando  la 
profezia  verrà  meno,  il  popolo  sarà  dissipato.  Quarto,  per  certi  particolari,  cioè 
tribulazioni  che  vengono,  perchè  gli  uomini  per  quella  profezia  si  consolino  : 
onde  diceva  il  profeta  :  Tu  hai  dato  a  quelli  che  ti  temono  un  segno.  (3)  Quinto  per 
distinguere  i  buoni  dai  cattivi,  perchè  la  mescolanza  de'  cattivi  fa  molti  errori: 
ma  immediate  che  la  profezia  viene,  si  scoprono  i  cattivi  a  contradire  e  i  buoni 
si  veggono:  onde  dice  San  Paolo:  Egli  è  necessario  che  vi  siano  eresie,  affinchè 
si  palesino  quali  che  tra  voi  sono  di  buona  lega,  (4)-  quasi  dica:  egli  è  necessario 
che  sia  chi  contradica  alla  verità:  acciocché  i  buoni  che  sono  occulti  per  que- 
sto si  manifestino,  e  sieno  separati  da'  cattivi.  Sesto,  per  la  conversione 
de'  peccatori,  perchè  udendo  che  le  cose  predette  vengono,  si  convertano  come 
dice  Zaccaria  profeta:  E  si  convertirono,  e  dissero:  Il  Signore  degli  eserciti  ha 
fatto  quello  che  aveva  pensato  di  fare  a  noi  secondo  le  opere  nostre,  e  secondo  i 
jiostri  traviamenti,  (")  Settimo  per  lode  di  Dio,  perchè,  vedendo  noi  che  le  cose 
dette  vengono,  lodiamo  Dio  dicendo  col  profeta:  Fedele  è  Dio  nelle  sue  pa- 
role. (sj  Moltissime  adunque  utilità  nascono  dalla  profezia,  onde  se  non  fosse 


i1)  Proverbi,  o  XXIX,  v.  18. 

(=)  S.  o. 

(3)  Salmo  LIX,  v.  i. 

(*)  Lettera  I  ai  Corinti,  c.  XI,  v.  19. 

n  Zaccaria,  c.  I,  v.  6. 

&)  Salmo  CXLIV,  v.  18. 


—  299  — 


stata  predetta  questa  tribulazione,  tu  avresti  creduto  che  fosse  a  caso,  o  a 
fato  o  a  costellazione  del  cielo.  Ora  tu  liai  veduta  la  provvidenza  di  Dio  e  co- 
nosciuti i  buoni  e  i  cattivi  e  i  tiepidi  che  si  sono  scoperti:  sicché  adunque 
vogliamo  seguitare  nel  dichiarare  i  profeti,  perchè  è  molto  utile.  Ora  tu  vedi 
quanto  è  necessaria  la  profezia  e  di  che  utilità:  non  si  trova  quasi  parola 
nella  Scrittura  che  non  sia  profezia:  va,  leggi  le  Scritture  ». 

Con  simili  ragioni  è  insegnata  anche  da  San  Tommaso  la  necessità  della 
profezia.  (*)  «  Il  lume  profetico,  egli  dice,  s'  estende  anche  alla  direzione  degli 
atti  umani,  e  perciò  per  questa  parte  la  profezia  è  necessaria  al  governo  del 
popolo,  e  specialmente  in  ordine  al  culto  divino  al  quale  la  natura  non  basta, 
ma  si  richiede  la  grazia  ».  «  In  ogni  tempo  sono  stati  illuminati  gli  uomini  e 
guidati  da  Dio  al  ben  vivere  per  rivelazione  profetica  ». 

Nella  predica  XXXVII  sopra  Giobbe  il  Savonarola  è  anche  più  esplicito: 
«  La  misura  di  Dio  è  maggiore  che  la  terra  ed  è  più  larga  e  maggiore  che  tutto 
il  mare;  la  misura  di  Dio  è  la  sua  eternità,  la  quale  abbraccia  ogni  tempo.  La 
eternità  è  una  perfetta  possessione  d'  una  vita  tutta  insieme  senza  termine 
alcuno,  e  non  ha  1'  eternità  né  principio,  nò  fine.  Pigliamo  la  terra  con  tutte  le 
cose  corporee:  molto  più  è  maggiore  la  misura  di  Dio:  la  terra  è  compresa  dal 
mare,  l'eternità  comprende  ogni  tempo.  I  cieli  comprendono  tutte  quest'altre 
cose  inferiori  e  gli  elementi,  maggiore  è  la  misura  di  Dio  e  la  sua  eternità,  la  quale 
vede  tutto  quel  che  fu  e  sarà:  vede  il  presente,  il  preterito,  e  il  futuro  :  e  ogni 
cosa  è  presente  a  Dio.  (2_)  0  savj  del  mondo,  che  vi  pare  sapere  intendere  ogni 
cosa,  vedete  qua  le  parole  di  questo  testo,  in  quanta  altezza  e  profondità  sono 
le  cose  di  Dio:  e  voi  vi  date  a  intendere  di  sapere  ogni  cosa;  o  tiepidi,  che  vo- 
lete porre  la  legge  in  mano  a  Dio,  e  non  volete  che  Dio  e  la  Vergine  possano 
parlare  a  un  uomo  ;  perchè  restringete  voi  la  potestà  di  Dio,  eh' è  infinita? 
Volete  voi  parere  savj  con  dileggiare  il  compagno!  Dove  fondate  voi  questa 
vostra  sentenza,  che  Dio  non  possa  parlare  agli  uomini  e  tanto  più  la  Vergine 
e  i  suoi  santi,  che  sono  stati  già  uomini  in  questo  mondo,  come  gli  altri 
uomini  ?  Io  vorrei  sapere  da  voi  che  ragione  voi  assegnate  di  questo  vostro 
dire,  e  in  che  Scrittura  voi  vi  fondate  a  dir  così.  Diciamo  prima  colla  ragione: 
0  è  egli  possibile  a  Dio  o  no,  potere  parlare  all'  uomo  :  se  tu  dirai  che  gli  è 
impossibile,  tu  sei  stolto  e  senza  intelletto,  perchè  la  potenza  di  Dio  è  infi- 
nita e  la  Scrittura  lo  dice:  Ogni  cosa  è  possibile  a  Dio,  e,  niente  è  impossibile 
presso  Dio;  e  :  non  è  impossibile  presso  Dio  verbo  alcuno.  [3)  «  Se  tu  di'  che 
gli  è  possibile;  dunque  stolto  sei  tu,  ad  ogni  modo,  negando  quel  che  tu  con- 
cedi esser  possibile.  Inoltre,  tu  sai  pure,  se  tu  hai  letto,  che  nella  Scrittura 
si  legge  che  molte  volte  Dio  ha  parlato  agli  uomini:  se  adunque  Dio  ha 
fatto  questo  per  i  tempi  passati,  perchè  vuoi  tu  che  Dio  ora  non  lo  possa 
fare?  Io  non  ti  sforzo  rhe  tu  lo  debba  credere:  ma  dico  bene  che  tu  non  lo 

(')  Somma  Teol.  II-II,  qu.  172,  a.  1,  ad  qu.  95,  a.  2,  ad  3»\  e  qu.  174,  a.  6.  Cf.  De  veri- 
tate  qu.  XII,  a.  3,  ad  111". 

(3)  San  Tommaso,  De  veritate.  qu.  II,  a.  12,  e  Somma  teologica,  P.  I,  qu.  XIV  a.  13. 
(*)  Vangelo  di  San  Luca,  c.  I,  v.37,  e  c.  XVIII,  v.  27. 


—  300  — 


puoi  negare,  che  non  possa  essere.  Ma  voi  soli  tiepidi  per  voler  parere  che 
voi  soli  siate  savj  e  che  la  sapienza  tutta  sia  in  voi,  però  negate  che  ad  altri 
Dio  non  può  parlare,  se  non  a  voi:  e  non  v'  accorgete  che,  deridendo  altri, 
siete  più  derisi  voi:  perchè  voi  parlate  senza  fondamento  e  senza  ragione  al- 
cuna: e  non  ti  avvedi  che  tu  sei  stolto  e  che  poi,  quando  sarà  verificato  quel 
ch'io  dico,  tu  sarai  deriso,  più  che  tu  non  deridi  altri.  Sta  dunque  più  presto 
cheto:  perchè  Dio  ha  fatto  molte  volte  ne'  suoi  santi  cose  e  secreti  che  non  si 
possono  sapere  da  ognuno  ».  (Gfr.  sopra  Amos  e  Zaccaria  predica  XXXIII  e 
XXXIV;  e  la  lettera  ad  Alessandro  VI,  14  settembre  1495.) 

I  passi  analoghi  ai  presenti  nel  Frate  sono  infiniti:  e  per  ciò  non  v1  è 
assolutamente  luogo  a  dubbio  che  egli  credeva  e  pensava  Dio  poter  tutta- 
via parlare  ad  un  uomo  in  particolare  e  manifestargli  la  sua  volontà, 
farlo  per  utile  del  popolo  e  della  Chiesa,  e  quindi  che,  anche  dopo  1 
comparsa  della  verità,  anche  dopo  Cristo,  si  può  nella  Chiesa  profetar  tut- 
tavia. Ecco  un  passo  veramente  aureo,  che  non  so  tenermi  dal  trascrivere- 
«Tu  di  ch'io  non  profeterò:  perchè  non  profeterò  io?  che  male  è  profe 
tare?  che  male  è  quesio  ?  perchè  non  vuoi  tu  che  io  profeti?  se  questo  no 
è  contro  Dio,  se  non  è  contro  la  fede,  se  questo  non  è  contro  i  buoni  costumi 
se  non  è  contro  legge  nessuna,  chi  t'  ha  insegnato  che  sia  proibito  il  profetare 
chi  t'ha  detto  che  non  si  profeti?  —  Oh,  dice,  la  legge  del  Testamento  Vec- 
chio. —  Va,  leggi  bene;  ella  dice  che  un  profeta  che  induce  il  popolo  al  mal 
fare  debba  essere  lapidato.  Se  lo  indurre  alla  semplicità  è  mal  fare,  se  il  te- 
nere il  popolo  in  pace  è  mal  fare,  se  il  riformare  i  fanciulli  e  purgare  la  città 
de'  vizj  è  mal  fare,  certo  e'  non  si  deve  profetare!  Parimente,  dice  ancora  quella 
legge,  che  se  un  profeta  dice,  e' verrà  la  tal  cosa,  cioè  in  tale  tempo,  e  poi 
non  venga,  che  non  se  gli  debba  credere.  Noi  non  t'abbiamo  detto  bugia  niuna, 
nè  cosa  che  la  non  sia  venuta  al  tempo  suo,  o  che  non  abbia  a  venire:  chi  lo 
proibisce  adunque  il  profetare?  Non  lo  proibisce  già  la  legge  evangelica,  non 
la  legge  naturale,  perchè  dicono  questi  filosofi  che  delle  cose  future  contin- 
genti non  è  determinata  verità,  cioè:  che  delle  cose  future  contingenti  non  si 
può  provare,  nè  riprovare  in  contro.  Noli  lo  proibisce  ancora  il  profetare  la  legge 
canonica,  nè  la  civile;  ben  è  proibito  il  predicare  a  chi  non  è  mandato:  ma 
non  dice  la  legge  il  profetare.  Ma  chi  volesse  predicare  senza  licenza  della 
Chiesa,  bisogneria  che  provasse  essere  mandato  da  D.o  o  per  miracolo  o  per 
Scrittura;  non  lo  proibisce  adunque  nessuna  legge.  —  Io  ti  domando  se  si  può 
fare  questa  legge  che  non  si  profeti,  e  se  la  può  fare  il  Papa.  —  Io  ti  rispondo 
che  a  me  pare  che  non  si  possa  fare  legge  universale,  che  proibisca  il  profe- 
tare, salvo  ogni  migliore  giudizio,  perchè  questo  sarebbe  tórre  la  potestà  a  Dio 
che  non  potesse  fare  profetare.  Tu  scriverai  a  Roma  che  io  ho  nominato  il  Papa, 
e  che  non  può  fare  e  non  può  dire;  scrivi  a  Roma,  ma  scrivi  come  io  ho  detto, 
e  dì:  così  dice  quel  frale:  che  non  si  può  fare  legge  che  non  si  profeti,  che  non 
la  può  fare  il  Papa  questa  legge.  Io  1'  ho  scritto  ancor  io  a  Roma:  (4j  Che  male 


(')  Nella  lettera  citata  de' 14  settembre  1495. 


—  301  — 


ho  io  adunque  fatto,  dice  Amos,  a  profetare,  se  nessuna  legge  il  proibisce? 
Dice  quell'altro: — Ei  sono  sogni:  —  Vien  qua,  che  ne  sai  tu?  Se  tu  parli 
senza  fondamento,  tu  sei  pazzo;  se  tu  parli  con  fondamento,  dimmi  che  fon- 
damento è  il  tuo?  come  il  puoi  tu  sapere?  tu  non  puoi  sapere  che  sieno  sogni, 
tu  non  puoi  sapere  il  secreto  del  cuor  mio.  Tu  dirai:  —  Io  1'  ho  per  rivela- 
zione.—  Ti  rispondo:  se  tu  non  credi  a  me,  nè  io  a  te.  Come  vuoi  tu  che  io 
creda  a  lue  rivelazioni,  se  tu  dì  che  le  rivelazioni  sono  sogni?  Dunque,  perchè 
non  vuoi  tu  che  io  profeti?  Tu  dici:  Non  profeterai:  ed  io  profeterò,  dice  Amos. 
Va,  leggi  quanto  tu  vuoi,  tu  non  troverai  se  non  cattivi  re  e  cattivi  uomini 
che  abbiano  proibito  che  non  si  profeti,  e  tutti  sono  capitati  male  ».  (Sopra 
Amos,  pred.  XXV.)  (') 

Un'  altra  asserzione  del  Pastor  che  voleva  esser  provata  e  che  forse  non 
poteva  essere,  è  la  seguente:  «  Quanto  alle  visioni  e  ai  presentimenti  di  altri 
il  Savonarola  usava  di  una  critica  molto  severa,  quanto  alle  proprie  nes- 
suna. La  possibilità  eh'  egli  s' illudesse  sulla  sua  illustrazione  divina,  la 
escludeva  per  intero.  Io  conosco  la  purità  delle  mie  intenzioni:  io  ho  ado- 
rato sinceramente  il  Signore,  io  cerco  imitarne  i  vestigj;  io  ho  vegliato  le  notti 
intere  nella  orazione:  io  ho  perduto  la  pace,  ho  consumata  la  salute  e  la  vita 
per  il  bene  del  prossimo,  ma  non  è  possibile  che  il  Signore  m'  abbia  ingan- 
nato. Questo  bene(2)  è  la  verità  stessa:  questo  lume  aiuta  la  mia  ragione, 
regge  la  mia  carità  ».  La  prima  e  più  grave  asserzione  il  Pastor  1'  appoggia 
al  Burckhardt;  le  altre  cose  che  seguono  le  copia  dal  Villari  (pag.  130),  che 
le  trae  compendiosamente  dal  dialogo  Vili  Della  verità  profetica.  Ora  qual  let- 
tore, anche  discretissimo,  potrebbe  chiamarsi  soddisfatto  ?  Io  protesto  di  non 
aver  assolutamente  trovato  mai  e  poi  mai  che  Fra  Girolamo  usasse  due  mi- 
sure, una  misura  larga  per  sè,  e  una  stretta  per  gli  altri  -,  trovo  anzi  il  con- 
trario: egli  usava  la  stessa  misura  per  tutti  o  la  misura  più  stretta,  se  mai, 
l'usava  con  sè,  anziché  con  gli  altri.  Se  il  Pastor  volesse  farci  il  favore  d' in- 
dicarci un  solo  canone  di  critica  imposto  dal  Frate  agli  altri  e  che  non  osser- 
vasse egli  per  sè,  noi  gli  saremmo  assai  riconoscenti.  Dacché  leggiamo  negli 
scritti  del  Riformatore  fiorentino,  noi  non  ci  siamo  accorti  mai  di  una  simil 
cosa,  e  ci  pare  assolutamente  inesplicabile  l' affermare  che  il  Savonarola, 
quanto  alle  visioni  sue  e  a'  suoi  presentimenti,  non  usasse  nessuna  critica. 
Bastava  forse  che  il  Pastor  analizzasse  le  parole  copiate  dal  Villari  per  ve- 
dere senz'altro  che  il  Burckhardt  asseriva  una  falsità  marchiana.  Se  fosse  poi 
andato  a  leggere  la  fonte  a  cui  il  Villari  attinse,  egli,  cattolico,  si  sarebbe 


(')  Oltre  ai  luoghi  citati  per  questa  materia,  indichiamo  al  lettore  specialmente  il  Com- 
pendio di  Rivelazioni  nel  quale  il  Frate  risponde  alle  seguenti  obiezioni  del  tentatore:  «  Milli 
numquam  peisuasum  eiit  quod  mortalium  quemquam  Chiistus  post  suam  in  coelum  ascen- 
sionem  nllocutus  fuerit....  —  Fateor  priscis  temporibus  Chiistum  multos  allocutum  :  hac  a», 
tem  tempestate  cum  ingens  Scripturarum  et  doctornm  copia  abundo  suppellat,  non  est  hoc 
necessarium  ad  salutem  ». 

(*)  Qui  dovrebbe  leggersi  lume;  (bene  è  un'altra  piccola  svista  del  traduttore);  il  testo 
infatti  ha  licht. 


—  302  - 


subito  persuaso  eh'  era  vero  il  contrario  di  quanto  il  Burckhardt  afferma,  e 
avrebbe  forse  ammirato  la  severità  con  la  quale  il  Frate  scrutava  e  criti- 
cava le  sue  visioni,  prima  di  tenerle  per  vere  ed  annunziarle  al  popolo.  E  non 
sa  del  resto  il  Pastor  che  la  visione  del  futuro  il  Frate  1'  ebbe  molti  anni 
prima  eh'  egli  si  annunciasse  profeta  ?  E  non  sa  che  prima  di  annunziare 
come  rivelatigli  da  Dio  i  futuri  flagelli,  si  sforzò  di  mostrarli  con  ragioni 
tratte  da  lume  naturale  o  dalla  Sacra  Scrittura?  (Cfr.  la  lettera  a  Fra  Do- 
menico da  Pescia  del  10  marzo  1491.)  E  questo  non  è  già  un  dar  a  vedere 
che  le  cose  non  le  pigliava  alla  leggera?  Anzi  sapete  perchè  teneva  per 
vere  le  sue  profezie?  Sebbene  il  lume  profetico  certificativo  di  cui  parleremo 
ora,  escludesse  da  lui  anche  l'ombra  del  dubbio,  pure  ai  suoi  uditori  egli  le  mo- 
strava per  vere,  perchè  in  nulla  difformi  dal  lume  naturale,  dalla  Scrittura  e 
dalla  dottrina  della  Chiesa;  perchè  inducevano  al  ben  vivere  ed  eccitavano  le 
contradizioni  de' tristi;  perchè  producevano  i  medesimi  effetti  che  avevano 
sempre  prodotto  nella  Chiesa  le  profezie  mandate  da  Dio.  Or  questo  par  egli 
che  sia  per  un  cattolico  assoluta  mancanza  di  critica?  Apriamo  di  nuovo  le 
prediche  sopra  Giobbe,  proprio  nella  pagina  che  abbiamo  or  ora  finito  di  leg- 
gere e  vi  troveremo  non  poche  cose:  «  Ma  il  nemico  dell'  umana  natura,  quando 
e'  vede  questo,  e  considera  quanta  utilità  ne  seguita  alla  salute  dell'  anime 
per  questo  lume  della  profezia,  si  sforza  ancora  lui  di  fare  ogni  opposizione  in 
contrario;  acciocché  la  non  sia  credula.  E  suscita  suoi  profeti,  e  multiplica  an- 
cora lui  le  profezie  e  massime  in  qualche  persona  semplice  e  idiota,  e  fa  pre- 
dire qualche  cosa  che  poi  non  riesce  vera,  acciocché  le  persone  mosse  da 
quell'  esempio  non  prestino  poi  fede  alla  verità,  nè  a  quelle  profezie  che  son 
vere,  e  fa  che  questi  con  quelli  insieme  si  ccntradicano,  acciocché  1'  opera 
di  Dio  e  quella  eh'  è  la  verità  diventi  più  debole  e  di  manco  forza.  E  però 
bisogna  un  gran  lume  a  conoscere  qual  sia  la  vera  profezia  e  la  vera  rivela- 
zione e  qual  sia  la  falsa  e  che  l'inimico  dell'umana  natura  va  suscitando  in 
questo  tempo,  che  lui  vede  approssimarsi  la  mutazione  del  presente  stato  della 
Cliiesa.  Sono  bene  alcuni  che  in  questo  tempo  hanno  visioni;  ma  come  faremo 
a  conoscere  il  vero?  Or  su,  daremo  qualche  documento  a  questi  che  dicessero 
avere  rivelazioni,  acciocché  non  siano  ingannati,  e  mostreremo  ancora  i  modi 
come  vengono  le  visioni.  Io  so  bene  che  sono  in  questo  tempo  molti,  e  qui  e 
in  diversi  luoghi,  illuminati  da  Dio;  ma  ancora  il  diavolo  cerca  di  fare  profetare, 
perchè  ei  sa  che  le  vere  profezie  mandate  da  Dio  hanno  tempi  lunghi  e  che 
Dio  le  fa  predire  molto  tempo  innanzi  che  le  avvengano,  per  mostrar  più  la  sua 
provvidenza;  però  il  diavolo  fa  predire  qualche  cosa  di  breve  tempo,  e  s'ella 
non  viene,  molti  si  levano  dal  credere  quelle  che  sono  vere;  e  però  bisogna  es- 
ser molto  bene  avvertiti,  acciocché  tu  non  sii  ingannato  nelle  tue  visioni.  Or 
notate  che  alcuna  volta  la  rivelazione  viene  manifestamente  di  fuori,  che  tu  la 
vedi  e  tu  la  senti,  e  alcuna  volta  è  solo  nella  immaginativa  e  presentatiseli  cose 
terribili  e  disusate.  Alcuni  altri  hanno  questo  lume  nella  parte  intellettiva  e  al- 
cuna volta  sentono  dire  parole  e  alcuna  volta  non  sentono  parole,  ma  veggono 
nella  mente  sua  qualche  altra  cosa.  E  così,  per  diverse  vie  e  modi,  lor  son  mo- 


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strale  cose  future.  (l)  Ma  nota  bene  che  tutto  il  punto  sta  nel  lume  certificativo 
che  Dio  dà  al  profeta  in  fargli  conoscere  e  intendere,  che  quella  rivelazione  e 
visione  è  vera  e  da  Dio,  quel  lume  profetico  è  certificativo  che  quella  cosa  è 
divina  e  che  non  può  essere  altrimenti.  E  se  tu  mi  domandassi,  donde  ha  que- 
sto lume  questa  tanta  certificazione.  Io  ti  rispondo  e  domando  a  te:  Donde  ha 
l'occhio  quando  e1  vede  un  colore,  che  conosce  ed  è  certo  che  quel  colore  è 
bianco,  o  nero,  o  verde,  o  quale  egli  sia?  Hallo  dalla  natura,  dalla  virtù  visiva: 
eh'  è  così  di  natura  sua  di  conoscere  e  esser  certa  de'  colori.  Cosi  il  filosofo 
dice  esser  certo  de'  principj,  donde  vengono  le  scienze:  e  non  gli  bisogna  pro- 
vargli questi  primi  principj,  perchè  sono  per  sè  noti  e  nasce  questo  dalla  virtù 
del  lume  naturale,  che  ha  quella  natura  che  ti  mostra  che  quei  primi  principj 
sono  verissimi.  Così  è  di  tal  natura  il  lume  profetico  che  ti  fa  certo  che  quella 
cosa  è  vera  e  da  Dio  e  non  da  altri,  e  che  non  può  essere  altrimenti;  e  però 

10  t'ho  detto  che  il  punto  sta  in  questo  lume  certificativo.  E  di  qui  nasce  che 
molti  alle  volte  sono  ingannati,  che  non  sono  per  lungo  tempo  sperimentati  in 
tali  visioni;  e  sono  per  avventura  in  sul  principio  e  s' ingannano,  e  massime 
perchè  il  lume  profetico  non  sta  sempre  fermo  nel  profeta,  ma  va  e  viene 
secondo  che  Dio  lo  manda,  e  alle  volte  colui  crede  che  'i  sia  desso  e  non 
e',  (2)  siccome  ne  avete  l'  esempio  in  Natan  profeta,  quando  e'  disse  a  David 
che  edificasse  il  tempio.  (3)  Sta  dunque  in  timore  tu  che  dì  d'  avere  rivela- 
zioni; piglia  il  documento,  umiliati  e  sta  in  timore  perchè  le  rivelazioni  non 
t'  hanno  a  salvare,  ma  l'  umiltà,  la  fede,  la  carità,  se  tu  l'  avrai.  Tieni  in  te 
quello  che  tu  vedi  o  senti,  e  non  lo  manifestare  ad  altri  che  al  tuo  padre 
spirituale  e  con  lui  ti  consiglia,  e  se  le  visioni  si  multiplichino,  e  ti  certificano 
per  molti  segni,  che  le  siano  da  Dio,  tieni  allora  che  le  siano  buone.  Ma  con- 
sigliati bene  con  chi  ha  buon  consiglio,  e  non  parlare  di  cosa  che  t'apparisca, 
se  Dio  non  tei  comanda,  ma  dì  come  diceva  Isaia:  Il  mio  secreto  è  per  me; 

11  mio  secreto  è  per  me;  (*)  e  se  da  Dio  t' è  imposto  che  tu  ne  parli,  parlane  quanto 
t' è  imposto  e  non  più,  e  sta  in  timore  e  in  umiltà  come  io  t'ho  detto  e  non 
ti  gloriare  per  aver  tu  lume  di  profezia:  ma  confidati  se  tu  avrai  carità;  per- 
chè, benché  il  dono  della  profezia  sia  grande,  maggiore  senza  comparazione  è 
la  carità,  perchè  un  minimo  grado  di  carità  vale  più  eh'  ogni  profezia,  perchè 
la  profezia  è  grazia  gratis  data,  e  non  grattini  faciens,  come  è  la  carità.  (  )  Ma 
nota  che  se  fosse  alcuno  che  avesse  questo  lume  di  profezia,  e  oltre  a  quello 


(')  V.  questa  dottrina  in  San  Tommaso  Somma  Teol.,  Parte  It-IT.  qu.  173,  a.  2,  e  De  ve- 
ntale, qu.  XII,  a.  7. 

{-)  Di  questo  lume  certificativo  e  della  sua  provenienza  parla  San  Tommaso  nella  P.  II-II, 
qu.  171,  a.  2.  Della  sua  estensione  parla  nell'articolo  3;  della  sua  certezza  nell'articolo  4.  E 
quauto  a  questo,  San  Tommaso,  come  il  Savonarola,  ammette  che  non  sempre  il  profeta  può 
discernere  quali  cose  abbia  per  istinto  profetico  e  quali  per  spirito  suo  proprio.  In  tal  caso 
non  è  perfetta  profezia,  ma  dicesi  istinto  profetico,  elio  è  qualche  cosa  (V  imperfetto  in  genere 
profezia.  E  tale  è  anche  la  dottrina  di  San  Gregorio  (Omilia  I  su  Ezechiele,  n.  16). 

(3)  Lib.  II,  dei  Re,  cap.  VII,  v.  3-5. 

(4)  Isaia,  c.  XXIX,  v.  16. 

(5)  San  Paolo  ai  Corinti  1.  c.  Cfr.  San  Tommaso,  I-II,  q.  Ili,  a.  5. 


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avesse  dottrina  della  Scrittura  Sacra,  la  prima  cosa  lui  considera  e  guarda,  che 
quello  che  dice  o  pronunzia  non  sia  contrario  al  lume  naturale,  perchè  se 
fosse  contrario  a  quello,  non  sarebbe  da  Die,  perchè  tutti  due  questi  lumi  ven- 
gono da  Dio  e  fatti  da  lui  e  non  possono  essere  contrarj;  perchè  un  medesimo 
maestro  non  insegna  due  contrarj.  (1)  Il  lume  naturale  tende  sempre  al  vero, 
e  così  il  lume  della  profezia,  e  sempre  ogni  vero  consona  col  vero.  Considera 
ancora  questo  tale  e  guarda  s'  egli  è  conforme  alla  Scrittura  Sacra  e  quando 
così  si  vede,  tanto  più  si  certifica  che  quello  che  dice  viene  dal  lume  divino, 
perchè  il  medesimo  spirito,  che  ha  rivelato  la  Scrittura,  è  quello  che  rivela 
le  cose  di  Dio  e  li  suoi  segreti.  Congettura  ancora  costui,  per  molti  altri  segni 
esteriori  che  fa  la  natura  di  questo  lume,  che  e' sia  desso,  quando  e'  si  sente 
più  umiliare  e  più  stare  in  timore  di  Dio.  Parimente,  quando  e'  vede  essergli 
fatto  di  quelle  cose  e  persecuzioni,  che  furono  fatte  a'  veri  profeti.  Parimente, 
quando  ancora  gli  è  più  rivelalo  che  non  dice,  e  non  ha  licenza  di  dire;  per- 
chè molte  volte  sono  rivelate  a' veri  profeti  alcune  cose  d'uomini  particolari,  e 
le  cogitazioni  de' cuori,  le  quali  non  si  possono  sapere  se  non  da  Dio.  Piglia 
ancora  congettura  costui,  che  quel  che  e'  dice  sia  da  Dio,  quando  e'  vede  per 
questo  mutarsi  la  vita  di  molti  e  convertirsi  a  Dio.  Inoltre,  conosce  ancora 
essere  da  vero  lume  il  suo  parlare,  quando  e'  vede  a  questo  dal  diavolo  esser 
fatta  contradizione,  e  da'  suoi  membri,  che  sempre  a  questo  lume  profetico 
hanno  fatto  gran  contradizione;  e  massime  quando  questo  tale  si  sente  forte  a 
tali  contradizioni,  ne  piglia  buona  congettura  e  buon  segno,  che  tutto  sia  da 
Dio.  Inoltre,  ha  molte  congetture  e  segni  secreti  che  non  si  dicono,  per  i  quali 
è  fatto  certissimo  di  tutto  quello  che  dice  da  parte  di  Dio,  e  tutto  il  punto,  e 
la  forza  e  la  certezza,  come  v'  ho  detto,  consiste  nella  natura  cerlificativa  e 
forza  e  virtù  di  questo  lume  ».  (Pred.  XII.) 

E  di  sotto  nella  istessa  predica  aggiunge:  «  Quando  egli  èl1  angelo  buono 
che  apparisce,  benché  in  principio  dia  timore,  lascia  poi  infine  la  mente  del- 
l'uomo  quieta.  Il  contrario  fa  l'angelo  cattivo,  ch'in  principio  ti  perturba,  e 
infine  lascia  la  mente  confusa.  Io  t'  ho  di  sopra  detto  che  tu,  che  dì  o  che  ti 
pare  avere  visioni,  che  tu  stia  in  timore  e  in  umiltà  :  perchè  Satana  anche  lui 
suscita  i  suoi  profeti  per  impedire  la  verità  e  le  vere  visioni.  Ma  come  s'  ha  a 
fare,  a  saperle  conoscere,  le  buone  dalle  cattive?  Dicoti  eh'  egli  è  molto  diffi- 
cile a  saperle  discernere,  perchè  il  demonio  ha  potestà  di  potersi  transferire 
in  Angelo  di  luce.  (*)  Darotti  una  regola  cosi  in  generale,  la  quale  è  nella  legge 
di  Mosè  nel  libro  del  Deuteronomio.  Ed  in  effetto  dice  questo:  Se  alcuno  ti 
profeta  e  li  dice  di  molte  cose,  e  diceti  il  vero;  guarda  poi,  se  ti  vuole  condurre 
a  qualche  male,  lapidatelo:  ma  se  ti  fa  bene  e  conduce  al  bene  e  viene  quello 
eh'  e'  dice,  questo  è  buono  profeta.  (3)  Adunque,  se  tu  vedi  venire  e  adempire 
quelle  cose  che  ti  sono  dette,  e  preanunziate,  devi  dire  che  le  sono  da  Dio. 

(')  V.  San  Tommaso,  Somma  contro  i  Gentili,  lib  I,  c.  VII. 

(•)  Ep.  II  ai  Corinti,  cap.  XII,  v.  li.  V.  anche  Ep.  I  di  San  Giovanni,  cap.  IV,  v.  1. 
Deuteronomio,  cap.  XIII,  v.  1,  e  seRg. 


—  305  — 


Questa  seconda  cosa  cioè  il  verificarsi,  e  venire  quello  eh'  è  predetto,  ti  fa 
certo  che  le  sono  da  Dio;  ma  da  principio  sono  bene  difficili  a  conoscere.  Ma 
se  tu  ti  lasciassi  determinare  da  Dio  e  dal  suo  lume,  tu  1'  intenderesti  anche 
da  principio.  Dimmi  un  poco,  le  cose  naturali  nelle  sue  operazioni,  perchè  non 
errano  elle?  Questo  è  perchè  hanno  da  Dio  la  lor  virtù  determinata  a  quella 
operazione,  e  per  questo  ogni  cosa  grave  tende  al  centro,  e  si  lasciano  gui- 
dare da  quelle  virtù,  senza  far  loro  resistenza.  Il  simile  vedrai  negli  uomini 
semplici,  vivere  meglio  anche  secondo  la  filosofia  morale,  che  non  fanno  i 
sapienti  del  mondo  :  e  questo  nasce  da  lasciarsi  guidare  dalla  virtù  divina, 
la  quale  loro  hanno  da  Dio,  alle  loro  buone  operazioni,  e  non  gli  fanno  re- 
sistenza.... » 

«  Se  tu  andrai  retto  in  tutte  le  tue  operazioni  non  sarai  ingannato; 
perchè  è  sorto  nelle  tenebre  un  lume  ai  retti  di  cuore.  (*)  Iddio  sempre  manda  il 
lume  suo  a  chi  è  retto  di  cuore:  come  era  Giobbe,  che  sai  che  intendesti  nel 
principio  di  questo  libro,  che  Dio  disse  che  Giobbe  era  suo  servo,  e  aveva 
quattro  proprietà.  La  prima,  che  egli  era  semplice;  la  seconda,  che  egli  era 
retto;  la  terza,  che  egli  era  temente  Dio;  la  quarta,  ch'egli  era  discosto  da 
ogni  male,  cioè  da  ogni  peccato.  (2)  Or  fa  che  tu  sia  a  questo  modo,  com'era 
Giobbe  e  non  avrai  paura  di  essere  ingannato.  Vedi  che  lui  aveva  queste 
proprietà,  non  fu  da'  suoi  amici  ingannato  in  tutte  queste  loro  dispute.  A  chi 
va  retto  nel  cospetto  di  Dio  in  ogni  sua  cosa,  Iddio  gli  manda  il  lume  suo 
che  discende  in  lui  e  nella  niente  sua,  come  se  discendesse  per  un  canale  nel 
suo  intelletto  e  sa  che  non  è  ingannato....  » 

E  nella  predica  XXVI  :  «  Or  nota  che  siccome  nelle  radici  dell'  albero 
sono  virtualmente  e  rami  e  fiori  e  frutti  e  tutte  le  cose  da  quello  prodotte, 
così  dalla  radice  del  lume  naturale  sono  tutte  le  scienze  naturali.  Ma  perchè 
colui  che  insegna  le  scienze  le  produce  fuora  colla  voce,  la  quale  non  si  po- 
tendo conservare  per  sempre,  però  si  scrivono  tali  scienze  ne'  libri  per  con- 
servarle a' posteri:  siccome  sono  i  detti  di  Aristotile  e  degli  altri  filosofi:  però 
chi  dubita  di  quelle  scienze,  ricorre  a  quei  libri,  e  vede  se  lui  è  in  errore  o 
no.  Così  ancora  quelle  cose  che  sono  venute  per  grazia  di  Dio,  e  per  lume  so- 
prannaturale sono  ancora  state  scritte,  acciocché  si  conservino  e  perchè  non 
ci  sono  più  gli  Apostoli  ed  i  Profeti ,  (3)  che  hanno  avute  le  cose  per  lume 
soprannaturale,  però  ci  bisogna  andare  a  quello  che  han  lasciato  scritto,  e 
vedere  se  noi  quando  avessimo  qualche  cosa  per  lume  soprannaturale,  erras- 
simo o  no:  perchè,  se  le  nostre  sono  conformi  alle  altre  cose  che  sono  venute 
per  lume  soprannaturale,  diciamo  di  non  errare:  perchè  un  lume  non  contra- 
dice un  altro  lume.  E  però  quando  Dio  dà  un  lume,  coni'  ha  dato  agli  altri 
profeti,  sempre  produce  il  medesimo  effetto;  e  se  tu  vedi  eh' è  conforme  colle 


(')  Salmo  111,  v.  i. 

(2)  Giobbe,  cap.  I,  v.  1. 

(3)  Qui  è  chiaro  che  il  Savonarola  parla  dei  Profeti,  le  cui  profezie  Uovevan  rimanere 
scritte  nei  Libri  Sacri  a  utilità  di  tutta  la  Chiesa. 

20 


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Sacre  Scritture,  dirai  eh'  egli  è  il  medesimo  lume.  E  però  bisogna  sempre  ri- 
correre alla  Scrittura  e  vedere  se  conviene  con  quelle:  e  però  le  donne  spesse 
volte  sono  ingannate  dal  demonio  nelle  loro  visioni,  perchè  non  hanno  cogni- 
zioni delle  Scritture.  E  però  bisogna  vedere  se  questo  che  noi  ti  diciamo  è  con- 
forme a  questa  Scrittura,  e  potrai  vedere  se  Dio  t1  ha  a  dare  queste  grazie 
e  questo  bene  che  noi  ti  diciamo  ». 

Le  stesse  cose  ripete  il  Savonarola  nel  medesimo  quaresimale,  e  cento 
volte  almeno  le  ripete  negli  altri  quaresimali  e  segnatamente  in  quello  sopra 
1'  Esodo,  nel  quale,  come  scrive  anche  il  Pastor,  parla  a  lungo  del  lume  profe- 
tico; e  le  raccoglie  poi  molto  bene  nel  dialogo  della  verità  profetica.  Lascia- 
temi trascrivere  ancora  qualche  riga  del  quaresimale  sopra  Amos.  «Ecci  alcuno 
che  dice:  —  Io  vorrei  vedere,  se  questa  cosa  che  dice  il  Frate  è  da  Dio,  pro- 
varla con  miracoli. —  Vien  qua,  incredulo,  guarda  nelle  cose  naturali:  togli 
della  terra  e  lasciala  andare,  vedrai  che  ella  andrà  in  giù  al  centro  perchè  se- 
guita la  sua  naturale  inclinazione;  togli  del  fuoco,  vedrai  eh' egli  andrà  sempre 
in  su,  perchè  ogni  cosa  seguita  la  inclinazione  della  sua  forma.  Togli  tutti  gli 
intelletti  degli  uomini  e  dimanda  loro:  —  quale  è  meglio  o  far  bene  o  male?  — 
Diranno  tutti:  bene;  e  la  ragione  è  questa  che  tutti  hanno  il  lume  naturale  al 
quale  conseguita  questa  cognizione  che  veggono  che  è  meglio  far  bene  che 
male,  e  hanno  tutti  questa  inclinazione  naturale  e  questa  forma.  Domanda  tutti 
i  cristiani  della  fede  se  è  vera  o  no;  diranno  tutti  che  è  vera,  perchè  hanno 
tutti  questa  inclinazione  e  questa  forma  e  questo  lume  eh'  ella  sia  vera.  Or 
vien  qua  dunque;  se  tu  sai  che  gli  è  meglio  far  bene  che  male,  e  sai  che  i  buoni 
seguitano  ii  bene  e  dall'  altra  parte  tu  vegga  che  tutti  i  buoni  seguitano  questa 
verità  e  dicano  questa  dottrina  esser  vera:  adunque  tu  devi  crederla  come  vera 
e  buona.  Io  ti  dico  che  i  buoni  la  veggono  questa  verità  e  hanno  il  lume  den- 
tro e  credonla,  perchè  i  buoni  hanno  inclinazione  e  lume  da  Dio  d'intendere  la 
verità,  perchè  sono  purgati  d' intelletto,  il  quale,  anche  naturalmente,  quanto 
è  più  purgato,  tanto  meglio  intende  la  verità.  Tu  vai  cercando  miracoli;  io  ti 
dico  che  il  miracolo  non  fa  credere  ;  (*)  vivi  bene  e  crederai  e  intenderai  que- 
sta verità  ».  (*)  (Predica  Vili;  cfr.  la  pred.  XXVII  e  pur  altre.)  (3) 

Ma  qui  forse  può  ancora  aver  luogo  un' instanza:  La  questione  sta  tutta, 


(')  S'intende  che  il  miracolo  solo  non  è  motivo  sufficiente  a  farci  credere  e  lo  dice 
San  Tommaso,  Somma  Teol-,  P.  II-II,  qu.  6,  a.  1. 

{•)  Sulle  disposizioni  che  si  richiedono  per  essere  illuminati  dal  lume  profetico,  vedi 
San  Tommaso,  P.  II-II,  qu.  172.  a.  4,  e  nel  citato  art.  1,  della  qu.  6,  parla  delle  condizioni 
che  si  richiedono  in  colui  che  deve  credere. 

(3;  Riserbandoci  di  trattare  a  parte  c  Del  Profeta  e  della  Profezia  »  secondo  il  nostro 
Frate,  qui  ci  teniamo  piuttosto  brevi.  Raccomandiamo  ancora  al  lettore  la  predica  XX  del 
quaresimale  sopra  Ezechiele,  nella  quale  si  discorre  di  proposito  delle  proprietà  e  qualità 
del  vero  e  del  falso  profeta  In  essa  il  Savonarola  espone  il  XIII  di  Ezechiele,  nel  quale  si 
minacciano  appunto  da  Dio  i  falsi  profeti,  che  seducono  il  popolo  promettendo  pace,  e  le 
false  profetesse  che  adulano  i  peccatori;  e  pigliando  il  predicatore  da  ciò  occasione,  parla 
al  popolo  e  dichiara  quali  siano  i  veri  e  quali  i  falsi  profeti,  e  mostra  le  condizioni  e  qua- 
lità degli  uni  e  degli  altri. 


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ci  si  può  forse  ancor  dire,  nel  vedere  se  queste  norme  savissime  il  Savo- 
narola le  applicasse  anche  a  se  stesso. 

E  chi  può  sostenere  che  ciò  egli  non  facesse  debitamente?  A  convincersi 
del  contrario  basta  aprire  il  Compendio  di  Rivelazioni,  e  leggere  ciò  che  il 
Frate  risponde  al  Tentatore  che  diceva,  che  «  se  noi  volessimo  credere  tutte 
le  visioni  che  ci  sono  riferite,  certo  noi  ci  troveremmo  spesso  ingannati;  e 
che  perciò  sta  scritto:  Provate  gli  spiriti  se  siati  da  Dio.  Più  innanzi  poi,  nel 
medesimo  Compendio  parlando  sempre  delle  sue  visioni  ha  queste  parole: 
«  Tutto  ciò  eh'  io  pronuncio  in  pulpito  fui  sempre  uso  di  pesarlo  prima  nella 
bilancia  delle  Orazioni  e  delle  Scritture,  e  delle  ragioni  naturali,  o  dell'  espe- 
rienza o  di  fedelissimi  testimoni  ». 

Nè  men  chiaro  e  reciso  si  esprime  nel  libro  della  Verità  Profetica,  dove 
specialmente  nel  dialogo  con  Elifaz  si  ferma  assai  a  mostrare  come  egli  esa- 
minasse le  cose  sue  prima  di  enunciarle.  Noi  raccomandiamo  al  lettore  que- 
st'  operetta,  certi  che  leggendola  resterà  ammirato  non  della  leggerezza  ma 
della  severità  con  la  quale  il  Savonarola  scruta  le  sue  visioni  prima  di  enun- 
ciarle come  venutegli  veramente  da  Dio.  Affermazioni  leggiere  nel  Savonarola 
non  credo  che  i  cattolici  riescano  a  trovarne.  Così  fosser  guardinghi,  com'egli 
fu,  e  al  sì  e  al  no  i  critici  di  lui  !  Ma  andiamo  oltre. 

Un'altra  asserzione  che  avrebbe  bisogno  di  prova  si  legge  nel  Pastor  a 
pagina  357:  «  Sotto  futili  pretesti  il  Frate  salito  in  superbia  erasi  sottratto 
all'  obbligo  strettamente  impostogli  di  sottoporre  ad  un  esame  la  genuinità 
de'  suoi  doni  profetici,  esame  che  indubbiamente  spettava  alla  Santa  Sede- 
Che  ne  sarebbe  avvenuto  della  autorità  pontificia,  ove  altri  ne  seguivano 
1'  esempio?  Quegli  stesso  che  in  tale  maniera  cercava  di  esimersi  dalla  ob- 
bedienza da  lui  giurata,  pretendeva  obbedienza  cieca  per  tutti  i  suoi  ordina- 
menti quasi  fossero  rivelazioni  divine!  »  (') 

L'  accusa,  come  ognun  vede,  è  assai  grave,  e  1'  asserzione  esplicita.  Ma  in 
che  si  fonda?!  Nessuno  lo  sa:  il  Pastor  non  lo  accenna  neppure;  e  in  realtà 
è  vero  il  contrario.  Imperocché  non  solo  non  troverete  una  parola  o  un  fatto  nel 
Savonarola  che  giustifichi  la  grave  accusa,  ma  potrete,  se  vi  piace,  trovare 
tutto  1'  opposto.  Lasciamo  stare  ciò  che  abbiamo  visto  or  ora  del  consiglio 
eh'  egli  certamente  prendeva  intorno  a'  suoi  doni,  come  potrebbe  mostrarsi 
anche  ad  evidenza  dalla  lettera  scritta  a  Fra  Domenico  da  Pescia  il  10  marzo 
1491;  e  stiamo  tutti  stretti  alla  questione,  a!  giudizio  della  Santa  Sede.  Non 
crediamo  che  alcuno  voglia  credere  che  significasse  un  sottrarre  al  giudizio 
della  Salita  Sede  i  doni  profetici,  la  scusa  addotta  dal  Savonarola  1'  anno 


(1)  Qui  forse  il  Pastor  aveva  l'occhio  anche  al  Perrens:  ma  il  pensiero  di  questo  biografo, 
Riaperse  molto  infelice  e  poco  preciso,  è  tradotto  inesattamente:  ecco  le  parole  del  Perrens: 
«  Sans  entrer  ici  dans  Pexamen  des  raisons  que  Savonarola  allègue  pour  ne  pus  allei'  à  Rome,  on 
ne  peut  s'empècher  de  remarquer  que  celui  qui  sut  si  bien  se  dispenser  d'obéir  est  le  méme 
qui  recommandrtit  l'obéissance  aveugle  a  tout  religieux.  Que  devient  l'autorité  pontificale, 
si  chacun  a  le  droit  de  peser  l'ordre  avant  de  s'y  soumettre  »  ?  (Pag.  156.) 


—  308  — 


1495  del  non  poter  allora  accettare  l' invito  di  recarsi  a  Roma  e  il  chie- 
dere una  dilazione,  imperocché  le  ragioni  del  Frate  erano  tali  e  tante,  e 
tanto  buone  che  Alessandro  VI  le  accettò,  e  per  questo  non  è  lecito  a  noi 
il  malignarvi  sopra.  Del  resto  noi  avremo  occasione  andando  innanzi  di  esa- 
minare questa  questione  in  un  capitolo  a  parte;  e  crediamo  fermamente  che 
il  Frate  apparirà  a  tutti  in  pien  diritto  nel  governarsi  come  fece,  e  forse  non 
sarà  difficile  che  ammettano  anche  tutti  ch'egli  doveva  fare  come  fece,  e 
non  gli  era  lecito  fare  altrimenti.  (*) 

Del  resto,  nell'addurre  le  ragioni  per  le  quali  non  poteva  egli  allora  intra- 
prendere il  viaggio  alla  volta  di  Roma,  che  faceva  il  Frate?  Diceva  al  Pontefice 
che  se  voleva  essere  informato  di  quanto  egli  predicava  riguardo  al  flagello 
dell'  Italia  e  alla  rinnovazione  della  Chiesa,  non  aveva  se  non  a  leggere  il 
Compendio  di  Rivelazioni  che  manderebbe  alla  sua  Santità  quanto  prima.  Esso 
Compendio  direbbe  assolutamente  tutto  quanto  gli  potrebbe  dire  egli  a  voce.  E 
lasciava  chiaramente  capire  che  sopra  le  cose  scritte  in  quel  compendio,  e  non 
sopra  altre,  il  mondo  intiero  poteva  giudicare  s'egli  fosse  falso  profeta  o  vero. 
Più  volte  del  resto  il  Frate  insisteva  presso  Alessandro  VI,  perchè  volesse 
mandare  in  Firenze  una  persona  degna  a  vedere  come  stavano  le  cose,  assi- 
curandolo sempre  ch'egli  era  persuaso  che  così  facendo,  il  Papa  ne  resterebbe 
soddisfatto.  Né  mancò  mai,  assolutamente  mai,  di  assoggettare  umilmente  sè  e 
le  cose  sue  alla  Santa  Sede  ed  alla  Chiesa  di  Roma.  No,  Girolamo  Savonarola 
non  montò  in  superbia,  nò  sottrasse  per  futili  motivi  al  giudizio  della  Santa 
Sede  i  suoi  doni  profetici.  No,  Girolamo  Savonarola  non  sogna  mai  neppure 
di  usurparsi  una  missione  profetica,  un  magistero  profetico  sopra  la  gerarchia 
ecclesiastica.  (Pastor  pag.  357.)  Queste  asserzioni  sono  interamente  campate 
in  aria;  e  proferirle  senza  prova  non  è  una  buona  critica,  e  certo  il  Pastor 
non  le  avrebbe  pronunciate,  se  avesse  letto  prima  le  opere  del  Riformatore 
fiorentino,  e  avesse  capito  il  Savonarola,  invece  di  contentarsi  in  questa  parte 
di  camminar  ciecamente  sopra  le  orma  del  Grisar.  (2) 


(1)  Vedi  di  sotto  il  cap.  XXV. 

(2)  Al  citato  articolo  del  Grisar  si  deve  attribuire  la  principale  responsabilità  de'  giu- 
dizj  intorno  al  dono  profetico  del  Savonarola  ripetuti  dal  Pastor.  Chi  volesse  pigliare  in  se- 
rio esame  quest'articolo  dovrebbe  scrivere  molte  pagine,  tante  sono  le  asserzioni  inesatte  od 
erronee  e  le  sentenze  sbagliate  per  falsi  supposti,  che  1'  autore  vi  pronunzia.  Dai  Piagnoni 
non  possono  leggersi  senza  un  senso  di  pena  profonda  specialmente  le  riflessioni  intorno  al 
dono  di  profezia  del  Savonarola!  Speriamo  che  l'autore  voglia  quando  chessia  ritornare 
sopra  l'argomento  e  modificare  un  poco  le  sue  idee.  Singolare  è  il  proposito  al  quale  pronun- 
cia la  sentenza  che  «  Alessandro  VI  non  poteva  (o  voleva)  riconoscere  una  missione  profetica 
soprala  gerarchia  ecclesiastica  «•.  Lo  pronunciai  dopo  di  aver  notato  col  Bayonne,  che  il  mo- 
tivo principale  della  scomunica  del  Frate  fu  il  rifiuto  di  questa  e  del  partito  de' suoi  religiosi 
di  unirsi  alla  Congregazione  Toscano- Lombarda  (leggi  Homana),  quasi  avesse  il  Savonarola 
giustilicato  colle  sue  profezie  questa,  che  il  Grisar  dice,  nuova  ribellione  contro  l'autorità 
pontificia.  Se  vi  è  atto  nella  vita  del  Frate  di  San  Marco  nel  quale  egli  non  invochi  assoluta- 
mente il  suo  lume  profetico,  quest'  aito  è  certamente  questo  rifiuto,  come  può  vedere  ognuno 
leggendo  1'  Apolog elicli m  Fratrum  congregazioni*  Sancti  Marci  de  Florenlia  nelle  addizioni  del 
Quètif.  È  poi  recisamente  da  negare  che  al  Savonarola  mancasse  l'umiltà  degli  eletti  di 
Dio.  (Cfr.  la  fine  della  predica  XXXVII  sopra  Giobbe.)  Un'altra  cosa  si  potrebbe  notare.  Il 


—  309  - 


È  dunque  assolutamente  inesalto  il  dire  che  Fra  Girolamo  non  sottopo- 
nesse a  critica  veruna  le  sue  visioni,  e  eh'  egli  usasse  invece  una  misura  piut- 
tosto severa  per  le  visioni  degli  altri  e  non  per  le  sue.  Non  vi  è  per  contro 
norma  o  regola  eh'  egli  volesse  seguita  dagli  altri,  la  quale  non  seguisse  con 
più  rigore  egli  stesso.  E  un  fatto,  del  resto,  che  nessuna  delle  molte  obiezioni 
che  gli  mossero  i  suoi  avversarj  il  Savonarola  lascia  senza  risposta;  e  perciò 
chi  ne  legge  le  prediche  si  maraviglierà,  non  che  il  Frate  credesse  legger- 
mente alle  sue  visioni,  ma  che  sapesse  scrutarle  così  bene  e  sostenerne  la 
legittimità  e  la  verità  di  fronte  ad  un  vero  sciame  d'importuni  contradittori  di 
ogni  fatta  e  condizione.  E  del  pari  privo  d1  ogni  fondamento  e  contro  la  verità 
l'asserire  che  il  Frate  sottraeva  al  giudizio  competente  i  suoi  doni  profetici. 
La  verità  sta  nel  contrario.  Il  Savonarola  si  sottomise  ognora  alla  Chiesa  di 
Roma  e  ne  invocava  incessantemente  V  autorevole  giudizio. 

Un  altra  asserzione  del  Pastor  è  che  «  la  solida  credenza  di  essere  in 
immediata  comunicazione  con  Dio  e  cogli  Angioli,  fosse  generata  nel  Savona- 
rola dalle  predizioni  di  un  Gioachino  e  Telesforo  »  (p.  130). 

Anche  quest'accusa  è  tult' altro  che  nuova:  già  la  movevano  al  Frate 
quand'  egli  aveva  appena  cominciato  a  pronunciare  le  sue  profezie.  Onde 
Domenico  Benivieni  nel  Capitolo  XIII  del  suo  Trattato  in  difensione  e  proba- 
zione della  dottrina  e  profezie  del  Savonarola,  parlando  della  discordia  e  inquie- 
tudine degli  avversarj,  tra  gli  opposti  loro  giudizj  scrive  anche  questo,  che  il 
nostro  Frate  «  andava  dietro  a  certe  profezie  scritte  ».  Anzi  doveva  essere 
ripetuta  con  tanta  insistenza  questa,  pure  sciocca,  accusa,  che  il  Savonarola 
credè  necessario  nel  Compendio  di  Rivelazioni  di  farsela  movere  dal  Tentatore, 
il  quale,  volendo  impedirgli  che  ascendesse  al  Cielo,  in  forma  di  vecchio  ana- 
coreta, gli  si  fa  incontro  per  la  via  e  tra  l'altro  gli  dice,  per  togliergli  dall'animo 
la  persuasione  che  le  visioni  sue  fosser  da  Dio:  «Io  ho  inteso  che  tu  hai  le 
rivelazioni  di  Santa  Brigida,  e  dell'  Abbate  Gioachino  e  di  molti  altri,  con  le 
quali  tu  vai  pronunziando  queste  cose  future  ». 

Mail  Savonarola,  come  nelle  prediche  era  solito  di  rispondere  agli  altri  suoi 
calunniatori,  cosi  in  questo  Compendio  risponde  al  Tentatore  in  questo  modo:  «Io 
vi  prometto,  o  Padre,  che  di  queste  tali  lezioni  io  non  mi  diletto  ;  nè  ho  letto  mai 
le  rivelazioni  di  Santa  Brigida,  e  poco  dello  abbate  Gioachino  e  quasi  nulla,  massi- 
me di  profezie  e  di  cose  future.  Dell'  altre  profezie  mai  non  mi  dilettai,  nè  mai  ne 
ho  scritte  o  tenute,  come  sanno  quelli  che  sono  miei  familiari;  e  quelli  sono  te- 
stimonj  che  tanto  mi  diletta  la  Scrittura  Sacra  del  Nuovo  o  Vecchio  Testa- 
mento, che  già  sono  molti  anni  che  quasi  mai  non  leggo  d'altro  libro;  e  tutte 


Grisar  nota,  che  non  si  è  detto  a  torto  che  l' impressione  che  si  riceve  dal  C'oìapendio  di  Ri- 
velazioni è  secondo  quel  proverbio  francese  :  Qui  s'excuse  s'accuse.  Qui  1'  egregio  scrittore  di- 
mentica che  neppure  una  delle  difese  che  il  Savonarola  fa  in  quest'  operetta  era  contro  ac- 
cuse immaginarie,  ma  tutte  contro  accuse  che  pur  troppo  gli  erano  e  gli  venivano  tutta  via 
fatte  da' suoi  nemici:  anzi  una  parte  di  esse  trovò  poi  auche  luogo  ne' Brevi  pontificj  ;  e 
passò  negli  storici  male  informati  giù  giù  fino  al  Pastor. 


—  310  — 


le  altre  lezioni  mi  sono  quasi  venule  a  noja,  non  perchè  io  sprezzi  le  altre  lezioni, 
perchè  non  mi  piacciano  i  Santi  Dottori;  ma  perchè  alla  comparazione  di  que- 
sta, ogni  cosa  dolce  mi  pare  amara.  E  se  voi  pur  questo  non  mi  credete,  cre- 
diate almeno  ch'io  non  sono  di  sì  poco  giudizio,  che  io  con  tanta  fermezza 
accertassi  le  cose  che  io  ho  detto  e  molte  volte  confermando  le  replicassi,  s'io 
non  avessi  altro  fondamento  che  questo,  perchè  non  essendo  le  loro  profezie 
della  Scrittura  Canonica,  non  mi  posso  per  esse  totalmente  firmare  l'  animo  a 
crederle  e  a  prenunciarle. 

«  Io  non  mi  curo  di  esser  tenuto  profeta,  perchè  questo  nome  è  molto 
grave  e  pericoloso,  e  inquieta  l'uomo  e  suscita  contro  a  lui  molte  persecu- 
zioni; benché  si  portino  volentieri  per  l'amore  di  Cristo.  Nè  per  questo  voglio 
dire  che  io  abbia  mai  seguitato  profezie  d'  altri,  eccetto  quelle  della  Scrittura 
Canonica;  anzi,  come  ho  detto,  o  non  le  ho  lette  mai,  o  se  pure  ne  ho  letto 
qualche  cosa,  instigato  da  qualche  amico,  non  le  ho  mai  servate,  ma  poich' 
le  ho  lette  una  volta,  le  ho  lasciate  a  chi  me  le  ha  portate,  non  le  sprezzand 
nè  approvandole,  commettendo  sempre  tutto  a  Dio  ».(*) 

Questa  risposta  noi  crediamo  che  valga  da  sola  a  soddisfare  il  Pastor,  e 
certo  essa  deve  essere  più  sufficiente  a  mostrare  che  non  ha  alcun  solido  fon 
damento  1'  asserzione  di  lui.  Onde  non  vi  aggiungiamo  altro. 

Quanto  poi  alla  pappolata  che  fa  il  Savonarola  confermato  nelle  sue  vi- 
sioni dal  sonnambulo  Fra  Silvestro  noi  non  sappiamo  davvero  sopra  che  cosa, 
almeno  apparentemente,  si  fondi.  Delle  mille  volte  che  Fra  Girolamo  ragiona 
del  suo  lume  profetico  io  non  ne  trovo  una,  in  cui  accenni  a  questo  fonte  di 
argomenti.  Certo  egli  non  ne  aveva  punto  bisogno;  noi  crediamo  di  poter  atten- 
dere dal  Pastor  argomenti  che  diano  almeno  V  apparenza  di  serietà  alla  cosa, 
prima  di  prestargli  maggiore  attenzione.  (2) 


(')  Savio  ammaestramento  anche  per  certi  cattolici  troppo  facili  ad  accettare  o  negar» 
rivelazioni  e  profezie  private  !  Il  Savonarola  non  le  sprezza  nè  le  approva  ma  rimette  tutto  a 
Dio.  Una  tal  prudente  riserva  sarebbe  stata  desiderabile  iu  molti  di  quelli  che  parlarono 
dei  doni  profetici  del  Savonarola.  Notiamo  qui  che  anche  il  Razzi.  Ms.  citato,  fol.  72  retro, 
dice  che  il  Savonarola  a  chi  lo  accusava  di  annunziare  le  cose  futuro  coll'ajuto  dei  libri  di 
Santa  Brigida,  dell'abate  Giovacchino  e  di  altri  rispondeva  «  che  lo  studio  suo  altro  non 
era  da  molti  anni  che  la  sacra  Scrittura  del  Vecchio  e  del  Nuovo  Testamento  e  come 
non  si  dilettava  di  leggere  profezie  d'  altri,  come  non  aveva  mai  letto  le  profezie  di  Santa 
Brigida  e  quasi  nulla  dell'  abate  Giovacchino  e  massimamente  appartenente  a  profezie  ». 
Gli  avversarli  non  ci  oppongano  la  predica  II  sopra  i  Salmi,  dove  il  Savonarola  novera 
1'  abate  Giovacchino  tra  quelli  che  predissero  la  rinnovazione  della  Chiesa.  L'  avere  una 
volta  citato  1'  autorità  di  colui  che  i  Fiorentini  potevano  come  Dante  credere  c  di  spirito 
profetico  dotato  »  (Parad.,  XII,  v.  141).  non  indica  che  il  Savonarola  lo  ritenesse  sicuramente 
per  tale  ;  bastava  che  tale  lo  ritenessero  molti  degli  uditori,  coi  quali  poteva  1'  oratore  ar- 
gomentare ad  hominem. 

(!)  A  proposito  di  questo  Frate,  un'obiezione  che  potrebbe  far  qualche  impressione 
a'semplici  e  grossi  ci  vien  forse  da  ciò  che  si  legge  nel  processo  di  Fra  Domenico  e  da  ciò 
che  ripete  lo  stesso  Pastor,  cioè  che  il  Savonarola  spacciasse  una  volta  come  propria  e  avuta 
d'incarico  degli  angeli  una  visione  del  Marnili.  Oltre  a  molte  altre  ragioni  che  si  potrebbero 
addurre  qui,  basti  notare  che  alla  profezia  completa  si  richiedono,  come  sanno  tutti  i  teo- 
logi, due  cose:  la  visione  e  il  lume  certificativo  o  spiegativo  di  quella;  ma  questo  è  l'essen- 
ziale: chi  ha  questo  è  vero  profeta,  non  chi  vede  semplicementa  le  cose.  La  profezia  consist» 


—  311  - 


Piuttosto  aggiungiamo  di  non  saper  celare  la  nostra  meraviglia,  nel  vedere 
che  il  Pastor  rimprovera  al  Savonarola  la  certezza  e  sicurezza  che,  dopo  tanto 
esame,  aveva  delle  cose  vedute,  ritenendo  impossibile  l' illudersi  o  ingannarsi. 
Si  dimentica  qui  un  canone  fondamentale  nella  dottrina  della  profezia;  cioè 
che  il  profeta,  come  appare  chiarissimo  dall'  esposto  fin  qui,  è  certo  che  le 
cose  che  egli  vede,  sono  da  Dio.  Chi  dice  il  contrario  cade  in  un  errore  già 
combattuto  da  San  Girolamo,  e  rinnovato  da  alcuni  eterodossi  moderni:  cioè 
che  i  profeti  parlino  come  in  estasi,  a  guisa  degl'  indovini  e  vati  pagani,  senza 
sapere  quello  che  si  dicano,  o  pronunzino  cose  che  essi  non  intendono.  (Cfr.  Ci- 
viltà Cattolica,  serie  XV,  voi.  IX,  quad.  1048,  pag.  411,  nota  1.) 

Adunque,  o  bisogna  che  il  Frate  non  fosse  e  non  si  dicesse  profeta,  o  che, 
cosi  dicendosi,  per  conseguenza,  se  non  voleva  contradirsi,  affermasse  an- 
cora la  certezza  delle  sue  visioni  e  l'impossibilità  d'essere  in  inganno;  e  che 
esse  si  sarebbero  avverate  intieramente  ;  ma  rimproverargli  questo  è  un  assurdo; 
bisogna  insomma  tacciarlo  addirittura  di  menzognero,  o  dargli  ragione.  E  di 
qui  il  ripetere  che  continuamente  fa  il  Savonarola  dell'obbligo  ch'egli  aveva 
di  credere  alle  sue  visioni.  (*)  In  vero,  venendo  esse  da  Dio,  e  non  potendo  di 
ciò  aver  egli  alcun  dubbio,  ma  essendone  più  che  certo,  bisognava  assoluta- 
mente ch'egli  credesse  alle  medesime;  se  non  voleva  negar  fede  empia- 
mente a  Dio. 

Ma  qui  bisogna  correggere  un'altra  ingiusta  affermazione  accolta  dal  Pa- 
stor, cioè  che  il  Frate  di  San  Marco  imponesse  altrui  F  obbligo  di  credere  alle 
sue  visioni  come  alle  Scritture,  e  che  «  chi  non  gli  credeva  non  potesse  esser 
buon  cristiano  »  (pag.  354).  Questo  è  assolutamente  falso.  Almeno  seicento  volte 
egli  ripete  che  Dio  alle  profezie  sue  non  ha  dato  quell'autorità  che  ha  dato  alla 
Scrittura,  e  che  egli  non  faceva  obbligo  a  nessuno  di  crederle,  anzi  positiva- 
mente diceva  che  non  si  era  obbligati  a  credervi  ;  solo  aggiungeva  che  chi  non 
credeva,  ma  con  pertinacia  contradiceva,  esaminasse  bene  la  sua  coscienza  e 
forse  avrebbe  visto  che  la  cosa  veniva  da  lui,  che  non  voleva  viver  bene  ;  e 
quindi  per  costui  il  non  credere  poteva  essere  un  indizio  di  errar  lungi  da  Dio. 
Il  più  che  dicesse  il  Frate  era  questo,  che  il  voler  pertinacemente  contradire 
alle  sue  profezie  era  difficile  difenderlo  da  ogni  male,  ma  se  altri  non  avesse 
voluto  credervi,  e  non  avesse  voluto  prestarvi  la  menoma  attenzione  o  consi- 
derazione, non  avesse  voluto  darsene  alcun  pensiero,  egli  non  1'  obbligava  a 
nulla,  e  non  lo  molestava. 

Già  nella  predica  XXXVII  sopra  Giobbe  abbiamo  visto  eh' egli  non  obbliga 


propriamente  nel  conoscere  il  significato  divino  delle  cose,  o  nel  saper  leggere  nel  miracolo: 
a  volte  la  visione  è  data  ad  uno  e  l'interpretazione  all'altro.  Tutti  e  due  si  possono  dir  pro- 
feti; in  senso  improprio  il  primo,  in  senso  più  proprio  il  secondo.  Il  coppiere  e  il  panattiere 
ebbero  il  sogno,  Giuseppe  l'interpretò;  Giuseppe  tu  vero  profeta,  e  poteva  dir  sue  quelle  vi- 
sioni che  per  gli  altri  eran  buie.  Di  ciò  il  Savonarola  parla  molto  sovente,  come  puoi  ve- 
dere per  esempio  nella  predica  XIX  sopra  Ezechiele.  Cfr.  San  Tommaso  ne' luoghi  citati  e 
specialmente  P.  II-II,  qu.  173,  a.  2. 

(')  Anche  qui  il  Savonarola  seguiva  l'esempio  degli  antichi  profeti.  V.  Geremia,  c.  XXVI, 
v.  15,  e  San  Paolo,  II  ai  Corinti;  I,  12  e  II  ai  Tessalonicensi,  II,  10-13. 


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nessuno  a  credere  che  Dio  gli  abbia  parlato,  ma  solo  asserisce  che  nessuno 
può  negare  che  ciò  sia  possibile:  nella  predica  I  sopra  Ezechiele,  dopo  di 
aver  a  lungo  trattenuto  il  popolo  intorno  le  profezie  e  la  necessità  del  credere, 
segue  testualmente  cosi:  «  0  Frate,  vuoi  tu  che  noi  crediamo  a  te  come  alla 
Scrittura?  —  Io  non  dico  così;  lascio  il  pensiero  a  te.  —  Siamo  noi  obbligati 
a  crederti  come  alla  Scrittura?  —  No;  ma  dico  che  viene  da  te  che  per  i  tuoi 
peccati  non  meriti  di  essere  illuminato.  Poni  giù  la  tua  superbia;  mutati  di 
vita,  di  subito  questo  lume  si  accenderà  ». 

Nella  predica  XXIV  usa  parole  anche  più  esplicite,  che  mostrano  ognora 
meglio  quanto  egli  rifuggisse  da  ogni  eccesso.  «  Dice  quel  pazzo:  —  Se  le 
cose  del  Frate  fossero  vere,  io  negherei  la  fede;  dice  quell'altro:  se  le  non 
fossero  vere,  io  negherei  la  fede.  —  Io  ti  dicò  che  voglio  tenere  salda  le  fede, 
venga  chi  voglia.  Io  ti  dico  bene  che  le  son  vere,  e  sonne  certo  ;  ma  venga 
chi  voglia,  io  vo'  tener  salda  la  fede  ». 

E  nella  lettera  de'  14  settembre  14-95  ad  Alessandro  VI  scriveva:  «  Mi 
accusano  e  rimproverano  di  aver  dichiarato  fuori  della  via  di  salute  chiunque 
non  aggiusta  fede  alle  mie  asserzioni.  Io  non  ho  mai  detto  questo,  ma  ecco, 
come  io  mi  sono  espresso  :  Sapendo  che  molte  delle  cose  dame  predette  ven- 
gono da  Dio,  credo  che  ognuno  che  si  rifiuta  ostinatamente  di  prestarvi  fede, 
e  si  propone  di  contradirvi  assolutamente,  mostri  per  questo,  ch'egli  non  è  in 
grazia  di  Dio.  Infatti,  la  grazia  e  il  lume  della  fede  inclinano  lo  spirito  verso 
la  verità,  e  perciò  ognuno  che  possiede  la  grazia  non  saprebbe  opporsi  a  una 
verità  confermata  da  Dio.  Quanto  a  coloro  i  quali  non  credono  alle  mie  pa- 
role, nè  le  contradicono  con  ostinazione,  io  ho  detto  e  scritto  pubblicamen- 
te, che  con  tutto  ciò  possono  essere  nella  grazia  di  Dio  e  nella  via  della  sa- 
lute. Io  non  ho  adunque  affermato  che  quelli  pecchino,  ma  solamente  che  la 
loro  ostinazione  e  contradizione  sono  un  segno  eh'  essi  sono  privi  della  grazia 
di  Dio  ». 

Gli  slessi  pensieri  esprime  in  tutte  le  predicazioni,  ma  non  è  il  caso  che 
le  ricerchiamo;  si  legge  esplicitamente  anche  nel  dialogo  della  verità  profe- 
tica: Uria,  uno  degli  interlocutori,  domanda  a  Fra  Girolamo:  «  Spesse  volle  ho 
inteso  che  tu  hai  avuto  ordine  di  affermar  che  quelli  i  quali  non  ti  credono 
non  son  cristiani  ».  E  Girolamo  risponde:  «  Non  ti  turbare,  chè  io  per  me 
non  ho  mai  detto  quelli  che  non  credono,  ma  sibbene  quelli  che  ostinatamente 
contradicono  non  essere  veramente  cristiani....  perchè  niuno  può  contradire 
con  animo  ostinato  alle  rivelazioni  divine,  se  non  ha  perso  il  lume  sopranna- 
turale della  fede.  Onde,  benché  noi  non  siamo  obbligati  a  credere  tulle  le  cose 
rivelate  da  Dio  (intendesi:  per  rivelazione  privata)  almeno  non  dobbiamo  per- 
tinacemente contradire  a  quelle....  Non  potendole  impugnare  con  ragione  nè 
anche  per  alcuna  autorità,  non  manifesta  egli  da  se  medesimo  la  infedeltà  e 
stoltezza  sua?...  Che  altro  è  il  non  volere  credere  queste  cose  con  tanta  osti- 
nazione, se  non  affermare  che  esse  sieno  al  lulto  impossibili?  Il  che  non  è  altro 
che  negar  tutta  la  fede  ». 

Come  si  fa  adunque  ad  asserire  che  Fra  Girolamo  imponeva  agli  altri  di 


-  313  - 


credergli  in  tutto  quanto?  che  chi  non  gli  credeva  non  poteva  essere  buon 
cristiano?  (pag.  354),  ch'egli  pretendeva  obbedienza  cieca  per  tutti  i  suoi  or- 
dinamenti, quasi  fossero  rivelazioni  divine?  (pag.  357).  (') 

Ma  noi  nel  Pastor  abbiamo  da  rilevare  una  supposizione  ben  più  grave 
che  non  siano  quelle  che  abbiamo  vedute  fin  qui:  una  supposizione  la  quale  è 
impossibile  che  non  generi  in  tutti  coloro  che  si  occupano  di  cose  storiche  e 
in  ispecie  di  Fra  Girolamo,  od  anche  semplicemente  si  dilettano  di  leggere  e 
amano  capire  ciò  che  leggono,  il  desiderio  di  qualche  spiegazione.  Il  Bartoli  finiva 
il  capitolo  XIV  della  sua  Apologia  del  Savonarola,  notando  che  le  profezie  di  lui 
vennero  apprezzate  da' più  assennati;  ma  dopo  la  sua  morte  un  certo  mo- 
naco per  nome  Teodoro  cominciò  a  dire  che  la  Chiesa  si  era  rinnovata,  e 
eh'  egli  era  il  Papa  Angelico  :  un  altro  fanatico,  appellato  Pier  Bernardo,  sarto 
di  professione, garantì  co'suoi  clamori  siffatte  illusioni.  Ambidue,  continua  sempre 
il  Bat  toli,  vennero  condannali  da  Leone  X  con  un  Breve  de'  17  di  aprile  1515, 
diretto  all'  arcivescovo  e  ai  canonici  di  Firenze.  Il  fatto  qui  accennato,  segue 
l'Apologista,  fece  sì,  che  alcuni  avvezzi  a  raziocinar  sempre  fuor  di  regola,  pa- 
ragonassero le  profezie  del  defunto  Savonarola  colle  imposture  di  que'  due 
visionarj.  Questo  confronto  rovesciava  da  sè  stesso,  e  restò  ben  presto  dissi- 
pato nell'idea  comune. 

Speranze  vane!  Questo  confronto  sembra  che  voglia  rivivere  ora  per  opera 
del  dott.  Lodovico  Pastor,  il  quale  non  sembra  alieno  dal  credere  conforme 
allo  spirito  del  Savonarola,  lo  spirito  di  una  serie  di  fanatici  impostori,  pazzi, 
eretici  e  scostumati  convinti.  Anzi  pare  che  non  dubiti  di  chiamar  seguaci  e 
quasi  non  disse  figli  del  Savonarola  Martino  da  Brozzi,  Gerolamo  da  Bergamo, 
Francesco  da  Monte  Pulciano,  Francesco  da  Meleto,  Gerolamo  da  Siena,  Fra 


(')  Il  Savonarola  lasciava  tanta  libertà  di  discussione,  che  fa  proprio  meraviglia.  Qui 
il  Pastor  sembra  misconoscere  questo,  ed  è  male;  ma  è  peggio  il  lasciar  credere  che  Fra  Gi- 
rolamo tutto  quanto  diceva  lo  dicesse  ognora  come  profeta.  Anche  questa  è  un'accusa  della 
quale  si  lagna  spesso  il  Frate.  Coloro  che  gliela  muovono,  oltre  all'asserire  un  fatto  che  non 
è,  dimenticano  uno  de' principali  canoni  della  dottrina  sulla  profezia  ch'egli  seguiva:  cioè 
che  il  lume  profetico  non  diviene  mai  abito  nel  soggetto  che  profetizza,  ma  è  sempre  atto: 
esso  viene  e  va  e  non  sta  mai  fermo.  Questa  dottrina  che  è  di  San  Tommaso,  (P.  II-II, 
qu.  CLXXI  a.  II  è  dimenticata  pur  troppo  anche  da  molti  fra  i  buoni  studiosi  del  Frate,  i 
quali  perciò  non  seppero  poi  spiegarci  le  espressioni  in  cui  il  Savonarala  dice  di  pronunziare 
il  futuro  in  nome  di  Dio,  vicino  a  quelle  in  cui  dice  eh'  egli  non  è  profeta;  e  peggio  ancora 
fanno  coloro  che  negano  al  Savonarola  lo  spirito  profetico,  solo  perchè  alcune  cose  dette  da 
lui,  secondo  loro,  non  si  sono  avverate.  Dato  che  abbian  ragione,  guardino  meglio  e  ve- 
dranno ch'egli  tali  cose  o  non  le  predisse  assolutamente,  ma  con  certe  condizioni,  o  non 
pretese  di  dirle  come  vedute  con  il  lume  profetico,  ma  da  sè  con  il  suo  ingegno.  Meritano  di 
esser  notate  le  seguenti  parole  che  stanno  nel  Compendio  di  Rivelazioni:  «  Non  iguoraudum 
est  quod  spiritus  propheticus  non  semper  praesto  adest  ipsis  temporibus  prophetis,  sed  abit 
et  redit  prò  Sancti  Spiritus  voluntate  ;  nec  cura  praesens  est  omnia  revelat,  sed  plura  vel 
pauciora,  prout  vult.  Sic  Xathan  Propheta  aedificationem  templi  David  ex  proprio  Spiriti! 
auasit  dieens  ei  :  Onne  quod  est  in  corde  ino  vade  fac,  quia  Deminvs  tecum  est.  Postea,  iubente 
Spiritu  Sancto,  dictum  suum  revocavit:  sed  quidam  stolidi  me  allocuti  iactarunt  quod  dum 
mecum  colloquerentur  eoruni  cordium  arcana  non  noverim,  ac  si  inferro  velint  quod  quili- 
bet  propheta  par  Deo  sit  et  omnia  noverit.  Erratis  nescientes  scripturas  neque  virtutem 
Dti.„.  » 


—  314  — 


Bonaventura....  e,  peggio,  crede  veder  lo  spirito  del  Savonarola  nel  conciliabolo 
di  Pisa....!!  (pag.  143-152).  (l) 

E  la  gravezza  di  questa  supposizione  e  di  queste  asserzioni  è  tanto  più 
grande  se  si  considera  che  per  essa  lo  storico  d' Innsbruck  vuole  argomentare 
intorno  alle  idee  dei  Savonarola  stesso.  Egli  dà  la  massima  importanza  ad  un 
asserto  dell'  Hòfler  e  lo  pone  come  principio  del  suo  ragionamento.  Ecco  l'as- 
serto: «  Se  fin  qui  si  avevano  ancora  dei  dubbi  sugli  effetti  benefici  o  rovinosi 
a  cui  in  ultimo  avrebbero  condotto  le  idee  da  lui  (Savonarola)  professate,  la  que- 
stione adesso  era  sciolta.  Non  che  per  questo  si  possa  giustificare  il  processo,  il 
quale  mediante  la  tortura  strappò  al  Savonarola  delle  pretese  confessioni;  ma 
si  è  in  grado  di  giudicare  imparzialmente  la  sentenza  che  da  parte  della  Chiesa 
venne  contro  lui  proferita  »  (pag.  144).  Che  si  deve  dire?!  Dico  francamente 
che  anche  questo  ragionare,  come  quelli  notati  dal  Bartoli,  mi  pare  fuor  di  re- 
gola. Sopra  che  cosa  si  fonda  il  Pastor  per  tirare  tanto  grave  conseguenza  ? 
Sopra  un  pregiudizio  antico  eh'  egli  ci  dà  per  nuovo  e  sopra  varie  dicerie  che 
non  hanno  il  minimo  valore  di  prova  per  la  critica  seria.  Se  vuole  che  noi  gli 
crediamo,  il  professore  d' Innsbruck  deve  provarci  una  cosa  semplicissima:  che 
le  idee  ed  i  pensieri  di  costoro  nel  campo  ecclesiastico  derivano  almeno 
da' principj  ammessi  e  professati  dal  Savonarola;  altrimenti  s' egli  intende 
nella  condanna  di  costoro  mostrarci  condannato  anche  il  Frate,  solo  perchè 
alcuni  di  essi  dicevano  o  predicavano  d'  esser  figli  di  lui,  dirò  che  il  suo  ar- 
gomento prova  troppo.  E  che?  si  potrà  attribuire  a  Cristo  la  legge  di  Mao- 
metto, gli  errori  di  Ario  e  di  Sabellio  e  di  Manete,  le  eresie  di  Wycliff,  di  Huss, 
Zwinglio,  di  Lutero,  di  Calvino,  d' Enrico  Vili,  de' socialisti  e  de' comunisti 
moderni,  solo  perchè  costoro  predicano  di  professare  la  dottrina  di  Lui?!  Il 
ragionamento  è  fallacia  che  prova  troppo,  ossia  nulla.  A  pag.  378  nella  lunga 
nota  il  Pastor  ci  dice  che  poco  prova  (a  favore  s'intende  della  causa  del 
Frate)  la  venerazione  e  stima  che  San  Filippo  Neri  e  Caterina  de' Ricci  ave- 
vano del  Savonarola  !  E  noi  lasciamo  passar  per  ora  1'  asserzione  assoluta, 
non  concedendo  però  che  tali  santi  non  conoscessero  e  non  intendessero  il 
Savonarola!  Ma  allora  perchè  dà  egli  tanta  forza  di  prova  ad  eretici  scostu- 
mati per  giudicar  sinistramente  quest'uomo  singolare?  Qui  la  doppia  mi- 
sura è  facile  scorgerla.  In  coscienza  prima  di  affermar  tanta  infamia  bisognava 
veder  Te  dottrine  ed  i  principj  e  la  vita  del  Savonarola  e  poi  quella  di  tutti 
costoro,  e  veder  se  convenivano  e  come:  il  Pastor  questo  non  l'ha  fatto;  ma 
dal  poco  che  di  costoro  pur  dice,  noi  possiamo  senz'altro  studio  capire  benis- 
simo eh'  essi  non  hanno  nulla,  proprio  nulla,  che  fare  con  il  Frate  di  San 
Marco. 


(')  Non  crediamo  che  il  Pastor  voglia  far  risalire  al  Savonarola  la  responsabilità  di  co- 
storo, in  via  diretta:  sarebbe  enorme  la  cosa  ;  ma  ci  sembra  ad  ogni  modo  già  soverchiamento 
grave  quanto  si  dice  o  si  lascia  credere  al  riguardo  ne' luoghi  citati  dell'egregio  storico.  An- 
che qui  speriamo  che  abbia  egli  occasione  di  ritornare  sopra  l'argomento  e  che  possa  chia- 
rir meglio  o  moderare  lo  sue  vedute. 


—  315  — 


Or  quale  è  la  vita,  quale  la  dottrina,  i  punti  più  saglienti  della  dottrina,  i 
fatti  più  notevoli  della  vita  del  massimo  numero  di  costoro  ?  Eccoli  raccolti 
dal  Pastor,  ed  eccoli  in  opposizione  alla  dottrina  e  alla  vita  del  nostro  Frate. 
Essi  tenevano  segrete  conventicole  (pag.  143);  ma  il  Savonarola  non  volle  mai 
conventicole  segrete,  ma  tutto  ciò  che  fece  lo  fece  sempre  all'  aperto.  Essi 
predicavano  che  se  la  Chiesa  non  si  fosse  rinnovata,  più  non  s'avevano  a  con- 
fessare (pag.  145);  e  il  Savonarola  predicava  incessantemente  la  frequenza 
della  confessione.  Essi  pregavano  solo  in  ispirilo,  non  udivano  messa  (pag.  145); 
ma  il  Savonarola  voleva  canti  spirituali  e  la  preghiera  vocale,  e  raccomandava 
di  udir  la  messa  ogni  giorno  e  ne  dava  le  norme  opportune.  Essi  professavano 
opinioni  eretiche  e  vivevano  scostumatamente  (pag.  145);  ma  le  opere  del  Sa- 
vonarola furon  ricercate  con  ogni  studio  nè  fu  possibile  trovarvi  eresia,  e  la  sua 
vita  è  vita  tutta  illibata.  Costoro  volevano  soppressi  i  mezzi  salutari  della  Chiesa 
e  l'ordine  sacerdotale  (pag.  145)  ;  ma  il  Savonorola  predicava  incessantemente 
1'  uso  de'  Sacramenti,  e  non  cessava  di  parlare  della  gerarchia  ecclesiastica 
e  della  divisione  che  esiste  fra  popolo  e  clero.  Francesco  da  Montepulciano  fu 
trovato  pazzo  e  del  titolo  di  pazzo  si  compiaceva  Martino  da  Brozzi;  ma  che 
il  Savonarola  fosse  tale  nessuno  fin  qui  ebbe  1'  ardire  di  affermarlo,  ed  egli 
non  lo  avrebbe  mai  consentito.  Girolamo  da  Siena  vien  detto  laico,  che  predicava 
senza  poter  dar  prova  che  fosse  mandato  (pag.  149-150);  ma  il  Savonarola 
era  Domenicano  e  però  evidentemente  mandato  a  predicare,  e  riconosceva  che 
i  laici  per  annunziare  il  verbo  di  Dio  abbiano  esplicito  bisogno  di  giustificare 
la  loro  missione,  nè  lo  possano  fare  senza  permesso  dell'  autorità  competente. 
Fra  Bonaventura  scomunica  il  Papa,  tutti  i  cardinali  e  prelati,  e  istiga  a  se- 
pararsi dalla  Chiesa  Romana  (pag.  151);  ma  il  Savonarola  non  ha  mai  sco- 
municato nessuno  e  predicò  sempre,  che  chi  si  separa  dalla  Chiesa  Romana 
non  si  può  neppur  chiamar  cristiano....  Perchè  adunque  veder  in  costoro 
l'azione  e  lo  spirito  del  Savonarola?  No,  tutto  questo  non  è  serio. 

E  meno  che  mai  io  credo  serio  l'affermare  che  i  propugnatori  delle  eresie 
del  Savonarola  non  ebbero  riguardo  di  mettersi  dalla  parte  del  conciliabolo 
rivoluzionario  di  Pisa,  convocato  a  meri  scopi  politici  dal  re  di  Francia  contro 
il  concilio  legittimo  del  legittimo  Pontefice  Giulio  II!  E  chiaro  invece  il  contra- 
rio. E  basta  leggere  una  pagina  di  Fra  Tommaso  Neri  per  convincersene.  Que- 
sto dottissimo  apologista  del  Savonarola  parlando  dell'  opera  di  San  Bernardo 
nel  sostenere  i  diritti  legittimi  della  sedia  apostolica  e  del  legittimo  papa,  dice: 
«  Nè  si  dee  dubitar  da  veruno,  che  Fra  Girolamo  avrebbe  'I  medesimo  fatto,  se 
ei  l'avesse  ricercato  quella  necessità  della  Chiesa,  che  poi  dopo  la  sua  morte  oc- 
corse, e  sforzò  i  suoi  frati,  e  figliuoli  in  Cristo,  a  mostrar  quali  egli  erano  inverso  la 
santa  sede  apostolica.  Ciascun  sa  la  gran  rottura,  che  cercava  di  mettere  nella 
Chiesa,  Bernardino  Carvagiallo,  Guglielmo  Brissonetta,  vescovi,  questi  Prene- 
stino,  e  quel  Sabinese,  Francesco  Borgia,  Rinato  Bria,  preti,  e  Federico  Sanse- 
verino  Diacono,  Cardinali,  col  caldo  de'  Principi  eh'  eran  mal  volti  contro  il 
Papa  Giulio  II,  i  quali  ragunarono  molti  prelati  di  Francia,  e  di  Spagna  mas- 
simamente per  celebrare  in  Pisa  il  Concilio,  con  animo  di  deporre  il  Papa. 


—  316  — 


Egli  era  in  quel  tempo  vicario  della  nostra  congregazione  di  San  Marco,  della 
quale  era  stato  autore  Fra  Girolamo,  e  poi  nel  1530  Papa  Clemente  VII  feli- 
cissima memoria  le  dette  il  titolo  di  provincia  romana,  n'  era,  dico,  Vicario  ge- 
nerale, Fra  Bartolomeo  da  Faenza,  uomo  molto  dabbene,  il  qual  essendo  nel 
secolo,  dell'  una  e  dell'  altra  ragione  Dottore,  tiralo  dalla  fama  di  Fra  Girola- 
mo, se  n'  andò  a  Firenze,  e  da  lui,  nel  convento  di  San  Marco,  ricevè  1'  abito 
della  santa  religione  ed  era  divotissimo  e  affezionatissimo  suo.  Quest'  uomo 
dabbene  fu  con  grandissima  istanza  dal  predetto  Bernardino  Carvagiallo  pre- 
gato che  con  i  suoi  frati,  a'  quali  eran  volti  gli  occhi  di  tutto  il  clero  di  Pisa, 
per  veder  quel  che  e'  facevano,  consentisse  a  quel  Concilio,  promettendogli, 
che  determinerebbero  l'opinione  della  Concezione  per  la  parte  nostra,  e  cano- 
nizzerebbero Fra  Girolamo.  Ma  egli  senza  verun  rispetto  gli  rispose,  che  egli 
e  i  suoi  frati  erano  apparecchiati  perfin  a  metter  la  vita,  per  mantenerla  fede 
e  la  debita  obbedienza  al  Papa,  contro  al  quale  eglino  congiurato  avevano;  e 
di  quelle  cose  che  prometteva  di  voler  fare  se  ne  rimetteva  a  Dio,  e  a  quella 
risoluzione  che  in  qualunque  tempo  ne  prendesse  la  Santa  Apostolica  Sede,  e 
così  gli  voltò  le  spalle,  e  senza  temenza  alcuna  quei  nostri  padri  poi  serraron 
le  porte  della  Chiesa  in  faccia  a  quei  prelati:  e  questo  è  quello  che  egli  ave- 
vano imparato  da  Fra  Girolamo  e  così  facevano  ».  Queste  stesse  cose  racconta 
il  Padre  Marchese  nel  Sunto  storico  del  Convento  di  San  Marco  (lib.  Ili,  pag.  361  - 
36 ì).  Ivi  troverà  il  lettore  quanta  fedeltà  alla  Chiesa  e  alla  Sede  Apostolica  man- 
tennero i  discepoli  del  Savonarola  e  specialmente  il  Padre  Bartolommeo  Ron- 
danini.  E  questi  sono  fatti,  e  per  abbatterli  ci  vogliono  fatti  e  ragioni,  e  non  pa- 
role. I  savonaroliani  del  conciliabolo  di  Pisa  saranno  i  seguaci  del  Savonarola 
di  L.  Pastor,  ma  non  mai  del  vero  Savonarola.  (') 


(l)  Lo  spirito  del  Savonarola,  a  preferenza  clie  nelle  persone  delle  quali  ivi  parla  il  Pa- 
stor. io  lo  veggo  nei  Frati  educati  da  quello,  i  quali  quando  la  malizia  dei  giudici  li  per- 
suase che  il  Profeta  li  aveva  ingannati  dichiararono  concordi  il  loro  attaccamento  alla  Se- 
dia Apostolica  e  alla  Sede  Romana,  né  tornarono  a  coltivar  la  memoria  del  loro  Padre  e 
Maestro,  se  non  quando  1'  arte  diabolica  che  lo  aveva  condannato  fu  loro  palese. 


XIX. 


La  politica  del  Savonarola 

i. 

SE  FRA  GIROLAMO   OCCUPANDOSI  DI  POLITICA 
ECCEDESSE    I    LIMITI    DEL    PREDICATORE  RELIGIOSO. 

Sommario. 

Ampiezza  dell'  argomento  e  come  sia  da  noi  ristretto.  —  Natura  delle  accuse  politiche  mosse  al  Frate. 
Il  Pasto!  dà  carico  ripetutamente  al  .Savonarola  d'essersi  implicato  in  politica.  —  Perchè  non  si 
citano  altri  accusatori.  —  Chi  possa  muovere  semplicemente  rimprovero  al  nostro  Frate  d'es- 
sersi travagliato  dello  Stato.  —  Risposta  a  questi  accusatori.  —  Altro  senso  dell'  accusa.  — 
Esame.  —  Il  Savonarola  nou  fu  mai  un  vero  politicante.  —  Andata  del  Frate  a  Carlo  VIII.  — 
Questione  che  è  utile  porre,  ossia  perchè  Fra  Girolamo  entrasse  nel  campo  della  politica.  —  Fi- 
renze nel  1494  alla  cacciata  De'  Medici.  —  Giudizio  del  Villari  e  del  Ficino.  —  Sentenza  che 
vuol  essere  sottoscritta.  —  Necessità  induce  il  Savonarola  a  travagliarsi  dello  stato.  —  Come  e 
quando  abuia  Egli  incominciato  a  occuparsi  delle  cose  di  Firenze.  —  Giusto  giudizio  del  Capece- 
latro  e  nostra  aggiunta.  —  Cenno  dell'opera  politica  di  Fra  Girolamo.  —  Governo  civile  e  leggi 
per  confortarla.  —  Spinto  di  libertà  e  tolleranza.  —  Ragioni  metafisiche  e  morali.  —  Quali  cose 
importasse  il  ritorno  de'  Siedici  in  Firenze.  —  Stiamo  con  Leone  XIII.  —  Conseguenze  della 
Condanna  del  Frate  di  S.  Marco.  —  La  grazia  di  Dio  negli  stati  secondo  il  Savonarola.  —  La 
riforma  morale  primo  fine  del  nostro  riformatore.  —  La  costituzione  degli  stati  e  la  beatitudine 
a  noi  da  Cristo  promessa.  —  Limiti  delle  proposte  Savonaroliaue.  —  Il  Padre  Marchese  e  i  mo- 
nocoli nel  giudicare  il  Savonarola.  —  Il  Frate  di  S.  Domenico  non  fa  legislatore  nè  reggitore 
di  Firenze.  —  La  filosoòa  del  vangelo  nella  costituzione  degli  stati  secondo  il  Savonarola  e 
Leone  XIII.  -  L'  età  nostra  ha  bisogno  dello  spirito  del  Frate  di  S.  Marco  —  Conci  nsioue 
nostra  e  del  Pastor.  —  L'  autorità  di  Leone  XIII,  e  del  Cardinale  Capecelatro. 

Amplissimo  argomento  è  il  presente;  e  trattato  e  svolto,  come  si  con- 
verrebbe, sott'  ogni  rispetto,  eccederebbe  i  limiti  del  presente  scritto.  (')  Noi 
qui  possiamo  restringerci  al  puro  necessario  per  ottenere  il  nostro  fine,  sentire 
le  accuse  e  ribatterle.  L'  esposizione  completa  delle  teorie  politiche  del  Frate, 

(')  Il  lettore  desideroso  di  conoscere  1'  opera  del  Savonarola  nella  riforma  dello  Stato 
può  vedere  nell'Aquarone  i  Capitoli  VI  e  VII  del  libro  II,  e  nel  Villari  tutto  il  Libro  II  e 
parte  del  libro  III.  Cfr.  anche  il  dotto  articolo  di  C.  Cipolla:  Fra  Girolamo  e  la  Costituzione 
Veneta,  nell'Archivio  veneto,  VII-VIII. 


—  318  — 


com'  anche  molti  particolari  della  vita  di  lui  a  questo  riguardo,  si  vogliono  la- 
sciare ad  altro  lavoro. 

Le  accuse  che  non  pure  il  Pastor,  ma  parecchi  altri  mossero  e  muovono 
al  Frate,  per  ciò  che  spetta  alla  politica,  sono  di  doppia  natura:  prima  si 
incolpa  d'  essersi,  egli  religioso,  ingerito  nelle  cose  dello  Stato:  secondo  d'  es- 
servisi dimostrato  fanatico,  intemperante  ed  eccessivo. 

Più  volte  nel  Pastor  è  dato  carico  al  Savonarola  d'  essersi  implicato  nei 
negozj  politici  e  di  aver  così  trapassato  i  confini  che  a  lui  religioso  erano 
segnati.  A  pagina  140  il  critico  d' Innsbruck  già  dice  chiaro  che  il  suo  tro- 
varsi a  capo  della  cosa  pubblica,  1'  attività  sua  «  in  un  ordine  di  cose  estraneo 
alla  vocazione  di  frate,  in  uno  colla  sua  missione  di  profeta,  il  deviarono  non  pur 
dalla  sua  carriera  propriamente  ecclesiastica,  ma  lo  sospinsero  irresistibilmente 
incontro  all'abisso  nel  quale  doveva  perire».  E  a  pagina  347  scrive  parimente: 
«  Ove  il  Savonarola  si  fosse  contenuto  nei  limiti  del  religioso,  e  del  predicatore, 
forse  mai  non  si  sarebbe  trovato  in  serio  conflitto  con  Alessandro  VI.  Ma  col 
suo  spingersi  pubblicamente  oltre  la  sua  competenza,  e,  nel  suo  esaltamento,  nel- 
1'  essere  più  e  più  entrato  nel  campo  della  politica,  offerse  a'  suoi  nemici  un 
comodo  appiglio  a  domandare  che  Alessandro  VI  procedesse  contro  di  lui  ». 
E  nel  giudizio  finale,  quasi  per  togliersi  ogni  dubbio  intorno  l' interpretazione 
delle  soprascritte  frasi,  dice  esplicito  che  «  V  ingerimento  in  politica  fu,  con  la 
disubbidienza  verso  la  Santa  Sede,  il  più  grande  difetto  del  Frate  »  (pag.  377).  (') 

Non  citiamo  altri  accusatori,  non  perchè  non  ve  ne  siano,  ma  perchè  il 
citarli  ci  sembra  inutile:  essi  s'intendono  naturalmente  compresi  nel  processo 
al  Pastor,  che  teniamo,  per  la  sua  autorità  presso  i  cattolici,  maggiormente 
responsabile  fra  tutti  i  moderni.  Il  rimprovero  o  l'accusa,  come  è  facile  capire, 
può  avere  più  e  diversi  significati,  e  li  verremo  esponendo.  Innanzi  tutto  può 
voler  dire  che  assolutamente  nessun  religioso  e  nessun  ecclesiastico  debba 
ingerirsi  nelle  cose  che  riguardano  la  società  civile,  cioè  il  bene  temporale 
delle  città  e  dei  popoli,  1'  attuazione  del  quale  è  opera  dello  Stato,  e  in  tal 
caso  dovrebbe  prendersi  assolutamente  alla  lettera  il  detto  che  nessun  soldato 
di  Dio,  s' implica  in  negozj  secolari,  (2)  e  così  1'  accusa  sembrerebbe  volere 
non  solo  distinzione  della  società  ecclesiastica  e  della  Chiesa  dalla  società  ci- 
vile e  politica,  ma  separazione.  E  allora  logicamente  al  Frate  potrebbero  mo- 
vere tale  accusa  tutti  coloro  che  seguono  e  sottoscrivono  le  massime  del  falso 
diritto  moderno,  condannato  dal  pontefice  Leone  XIII  nelle  sue  Encicliche.  Essa 
importerebbe  come  presupposto  che  nessun  prete  o  religioso  può  aver  parte 
in  pubblico  nelle  cose  spettanti  al  governo  della  società  politica,  importerebbe 
la  separazione  della  politica  dal  Cristianesimo  già  voluta  dal  Machiavelli,  con- 
dannato dal  Pastor  a  pagina  109,  ove  parlando  appunto  del  Principe,  chiama 


(')  Le  parole  testuali  della  versione  italiana  suonano  cosi  :  «  il  cui  (del  Savonarola)  di- 
fetto più  grande  fu  il  suo  ingerimento  in  affari  politici  e  la  sua  disobbedienza  verso  la 

Santa  Sede  ». 

(-)  San  Paolo,  lettera  II  a  Timoteo,  c.  II.  v.  4. 


—  319  — 


«  dottrine  rovinose  »  quelle  del  politico  fiorentino  sulla  «  separazione  della  po- 
litica dagli  eterni  principj  del  Cristianesimo  ».  In  questo  senso  adunque  non  è 
possibile  ai  cattolici  accusare  il  Savonarola,  e  non  1'  accusa  certo  il  Pastor, 
d'  essersi  ingerito  in  politica;  perchè  sarebbe  lo  stesso  che  fargli  carico  d'  aver 
predicato  gli  eterni  principj  del  Cristianesimo,  o  d'aver  chiesto  che  ad  essi  si 
informassero  le  costituzioni  degli  stati. 

Del  resto  qui  il  Frate  già  è  stato  ad  ogni  modo  difeso  trionfalmente  da 
molti,  e  fra  gli  altri  dal  Padre  Tommaso  Neri  ;  (*)  nè  fa  d'  uopo  che  lo  di- 
fendiamo un'  altra  volta  ora  noi  che  scriviamo  a  preferenza  pe'  cattolici  ;  e 
con  gli  occhi  tenuti  a  preferenza  alle  accuse  del  Pastor. 

In  quale  altro  senso  adunque  potrebbe  prendersi  1'  accusa  per  poterne 
discutere  e  ragionare  cogli  ortodossi  ?  Bisognerebbe  supporre  che  il  Frate 
avesse  preso  parte  attiva  alla  politica  con  ingerirsi  nella  amministrazione  della 
cosa  pubblica  e  nel  governo  senza  il  consenso  e  contro  la  volontà  de'  supe- 
riori. Ha  fatto  egli  questo?  No  assolutamente.  Il  Savonarola  non  ebbe  mai 
parte  nessuna  nelle  cariche  o  negli  iiffìcj  della  Repubblica  Fiorentina;  e  solo 
fu  ambasciatore  a  Carlo  Vili  per  volere  di  tutto  il  popolo,  cosa  della  quale 
nessuno  si  è  mai  sognato  di  fargli  colpa.  E  il  modo  come  adempì  l' incarico  e 
le  cose  dette  al  Re  Francese  stanno  lì  non  pure  per  giustificarlo,  ma  per  mo- 
strarne a  tulli  lo  zelo  per  la  casa  di  Dio,  la  salute  delle  anime  e  il  bene  di 
Firenze,  come  al  buon  predicatore  e  all'ottimo  religioso  si  conviene.  Dunque 
politicante  egli  non  fu  in  questo  senso,  e  1'  accusamelo  sarebbe  incolparlo  di 
cosa  della  quale  non  si  è  reso  mai  reo  in  alcun  modo.  (2) 


(')  V.  Opera  citata,  p.  145,  dove  svolge  questa  questione:  —  Se  a' religiosi  si  disdice  tra- 
vagliarsi degli  stati. 

(2)  Nessun  indizio,  di  nessuna  maniera,  da  nessuna  parte  si  può  raccogliere  che  il  Sa- 
vonarola aspirasse  anche  da  lontano  a  qualsivoglia  dignità  o  carica  nella  nuova  repubblica; 
sarebbe  assolutamente  priva  di  senso  l'asserzione  del  Pastor  a  pag.  347,  che  il  Frate  «stava 
in  via  migliore  per  diventare  «  il  re  di  Firenze  »,  se  non  s' intende,  come  deve  intendersi,  nel 
senso  di  padronanza  morale,  e  non  di  Signoria.  Vero  è  che  l'accusa  di  aspirare  alla  tirannia 
già  glie  l'avevano  mossa  i  suoi  contemporanei;  come  appare  dalla  famosa  lettera  ad  un  amico 
dell'ottobre  1495,  e  dalle  parole  del  Benivieni  «  Non  sono  mancati  alcuni  tanto  sciocchi  che 
hanno  detto  che  lui  si  vuol  fare  Signore  a  bacchetta  della  città  di  Firenze»  (Tractato  in 
de/ensione,  ecc.,  ed.  1496,  cap.  14");  come  dalle  altre,  cosi  anche  da  questa,  egli  seppe  assai 
bene  difendersi,  nè  doveva  durar  molta  fatica.  Una  sola  ragione  gli  bastava:  «  La  tirannia 
e  il  Gran  Consiglio  non  possono  stare  insieme».  E  nel  Compendio  di  Rivelazioni  insiste  nel 
ribattere  una  cosi  brutta  accusa;  rispondendo  lungamente  al  Tentatore  che  gli  obiettava: 
«  Huc  unum  tuas  inficit  responsiones,  quoniam  te  statui  et  regimini  civitatis  Florentiae  im- 
plicas,  et  videris  appetere  principatam,  quo  tibi  Hbet  populum  trahendo  ».  Rimandiamo  il 
lettore  a  quest'  operetta  certi  che  resterà  soddisfatto.  Nella  predica  XIX  sopra  Ruth  e 
Michea  dimostra  quanta  amarezza  cagionassero  al  suo  cuore  questa  e  altre  simili  accuse: 
«  Colui  dice:  —  Questo  frate  fa  questo  giuoco  per  guadagnare  de'buoni  ducati.  Non  est  salus 
ipsi  in  Deo  eius.  (Salmo  III,  v.  2.)  Non  ha  costui  salute  nel  suo  Dio,  chè  lo  fa  per  guadagno 
e  non  per  lo  onore  di  Dio.  —  Sciocco  che  tu  se',  chi  mi  ha  dati  questi  ducati?  hammegli  tu 
dati  tu?  Io  non  ho  avuto  un  denaro.  Io  voglio  solamente  le  spese,  poca  cosa  mi  basta.  Oh! 
tu  hai  i  frati.  E'  sono  i  vostri  figliuoli,  lascio  il  pensiero  a  voi,  so  che  voi  gli  darete  le  spese. 
Tu  di'  puro:  Quelli  ducati  o  chi  me  li  ha  dati?  Se  io  volessi  ducati  o  ufficii,  e  se  io  volessi  il 
cappello,  o  mitria  da  Papa,  oh  gran  maestri,  io  terrei  altri  modi.  Io  ti  so  dire  ch'io  non  ho 
tenuto  via  d'avere  questi  cappelli.  Dice  quell'altro:  -  Non  est  salus  ipsi  in  Deo  eius.  Costui  non 


—  320  — 


È  difficile  trovare  un  altro  senso  all'  accusa  senza  andare  nella  seconda 
forma,  cioè  di  fanatismo,  di  eccesso  e  di  esaltamento.  Bisognerebbe  almeno 
che  gli  accusatori  si  chiarissero  meglio  e  specificassero  e  mostrassero  veramente 
quali  sono  i  confini  segnati,  i  termini  posti  al  vero  religioso,  e  poi  dicessero  in 
particolare  dove  e  quando  e  come  il  Savonarola  li  abbia  trapassati.  Le  accuse 
generiche  valgono  poco,  e  possono  mettere  ingiustamente  il  difensore  in  una  briga 
troppo  malagevole.  Piuttosto  che  accusare  in  tal  modo  il  Frale  d'  essersi  in- 
gerito in  politica,  a  noi  pare  che  sarebbe  stato  più  utile  che  il  Pastor  e  gli  altri 
si  fosser  proposta  la  questione  del  come  e  del  perchè  egli  v'  entrò  e  vi  rimase. 
E  allora  avrebber  visto  chiaramente  che  entrò  in  siffatto  campo  per  1'  onnipo- 
tente forza  degli  eventi,  per  lo  zelo  che  1'  animava  tutto  di  salvar  anime  e  far 
bene  al  prossimo  e  a  Firenze,  e  renderla  morale;  e  in  ispecie  vi  rimase  per- 
chè vedeva  che  nessuno  avrebbe  altrimente  osato  e  potuto  levare  autorevol- 


10  fa  per  onore  di  Dio,  ma  per  aver  laudi  umane:  lascia  giudicare  questo  a  Dio.  —  Dice  quel- 
l'altro: -A  questo  Irate  costoro  gli  faranno  dare  un  tuffo.  —  0  Signore,  quando  verrà  questo 
tuffo?  Io  lo  desidero,  ed  io  per  me  vorrei  più  presto  starmi,  e  non  predicare.  Dice  colui:  — 

11  Frate  vuol  esser  tiranno,  e  danno  ad  intendere  ai  semplici  ed  aijli  ignoranti  mille  favole  e  bu- 
gie, come  lece  quell'Achitòfel  che  aveva  grande  ingegno,  ed  era  cattivo,  ad  Assalonne.  Guar- 
dati che  ti  condurrà  alla  morte  come  e' condusse  Assalonne:  si  che  ognuno  a  questo  modo 
dice  male  di  me.  Tu  antan  domine  susceptor  meus  es.  -Ma  tu  Signor  se' il  mio  aiutorio,  io  spero 
in  Dio  che  mi  abbi  perdonato  i  miei  peccati,  e  ricevuto  alla  sua  grazia.  Et  si  Deus  prò  no- 
bis,  quis  cantra  nos.'  Dice  quell'altro:  —  Egli  è  eretico.  Dimmi,  in  che  è  questa  eresia?  Si- 
gnore mio,  io  non  voglio  altro  che  te.  Costoro  dicono  che  io  ho  avuto  ducati:  io  non  ho 
avuto  da  persona  cosa  nessuna,  e  che  non  voglio  altro  che  male  e  mormorazioni.  Io  no 
tengo  modi  da  cercare  gloria  umana.  Absit  hoc  a  me,  a  me  basta  questo:  che  tu  abbi  sparso 
il  sangue  per  mio  amore.  Io  non  voglio  gloriarmi  in  altri  che  in  te,  Signore  mio,  io  mi  glorio 
in  questo  che  il  mio  Dio  mi  vuole  bene.  Gloria  mea  et  exaltans  caput  meum.  Tu  se' la  mia  glo- 
ria, tu  esalti  il  capo  mio,  la  mento  mia.  Non  voglio  cappelli,  non  mitre  grandi,  nè  piccole. 
Non  voglio  se  non  quello  che  tu  hai  dato  a' tuoi  santi:  la  morte.  Un  cappello  rosso,  un  cap- 
pello di  sangue,  questo  desidero  ». 

L' intento  e  il  desiderio  di  tutta  la  vita  del  Frate  è  anche  molto  bene  espresso  nella 
prima  delle  sue  poesie  nell'  edizione  del  Guasti: 

Onnipotente  Idio, 

Tu  sai  quel  che  bisogna  al  mio  lavoro, 
E  qual  è  il  mio  desio: 
Io  non  ti  chiedo  scettro  nè  tesoro, 
Come  quel  cieco  avaro; 
Nè  che  città  o  Castel  per  me  si  strua: 
Ma  sol,  Signor  mio  caro, 
Vulnera  cor  meum  charitate  tua. 

Si  ricerchino  per  bene  i  fatti  e  i  detti  del  Savonarola  e  si  vedrà  ch'essi  non  sono  altro 
che  un  commento  a  questa  poesia.  Che  poi  non  solo  non  aspirasse  alla  tirannide,  ma  fosse 
da  quest'aspirazione  lontano  le  mille  miglia,  a  noi  pare  che  ne  sia  prova  più  che  sufficiente 
il  non  aver  egli  assolutamente  fatto  nulla  per  rendersi  necessario  all'esistenza  del  governo 
stabilito,  e  tanto  meno  al  disbrigo  degli  affari  interni  od  esterni.  Invece  di  questo  egli  si 
adoperò  al  contrario  con  tutte  le  sue  forze  perchè  il  popolo  Fiorentino,  riconosciuto  il  benefì- 
cio di  Dio  che  era  il  nuovo  online  di  cose,  impedisse  assolutamente  che  alcuno  gli  togliesse 
la  libertà  e  si  facesse  tiranno.  E  almeno  in  parte  riuscì  nell'intento:  come  lo  dimostra  chiaro 
quello  che  successe  dopo  la  morte  di  lui,  giacché  il  governo  civile  continuò.  (Cfr.  Cipolla, 
Archivio  Veneto,  Vili,  pag.  72-78.) 


—  321  — 


mente  la  voce  a  scuoter  il  popolo  dalla  corruzione  nella  quale  giaceva  e  a  do- 
nargli il  gusto  della  libertà.  (*) 

Non  è  inopportuno  recar  qualche  prova  di  questi  asserti;  e  il  farlo  è  cosa 
molto  agevole:  basta  aprire  gli  storici  del  Savonarola,  e  basta  leggere  per 
esempio  il  capitolo  secondo  e  il  quarto  del  libro  secondo  del  Villari,  (2)  e  si 


(')  «  Se  le  son  buone  le  leggi  che  io  ti  voglio  dare,  perchè  ti  duoli  adunque?  Iole  dico 
e  ricordale  prima,  perchè  i  cittadini  non  si  ardiscono,  però  io  che  non  ho  avere  paura  di  perdere 
nulla  nella  tua  città,  l'ho  proposte.  Ma  ti  dico  che  delle  particularità  della  leggo  non  me  ne 
curo:  ilelle  particularità  io  l'ho  rimesse  a  voi.  Dall'altra  parte  dello  stato  tuo  tu  sai  che  io 
non  me  ne  impaccio  ». 

c  Lo  scopo  del  Savonarola  era  la  riforma  morale,  per  essa  aveva  abbandonata  la  sua 
famiglia  e  per  essa  aveva  sempre  combattuto.  Il  Savonarola  vide  disprezzata  la  religione, 
scaduta  la  morale  e  si  credette  chiamato  da  Dio  a  ricondurre  la  società  sul  retto  sentiero.  Si 
domandò  egli  la  causa  della  corruzione  degl'Italiani,  e  la  trovò  nella  corruzione  del  clero 
e  dei  principi.  I  principi  erano  depravati  e  depravatori;  anzi  avevano,  come  i  Medici,  latto 
dell'arte  di  corrompere  un  principio  di  stato.  Fu  questa  la  causa  per  cui  il  Savonarola  si  gettò 
nella  politica».  Cipolla,  Archivio  Veneto,  Vili,  pag.  60. 

(z)  Credo  assai  a  proposito  trascriver  qui  il  principio  del  capitolo  secondo;  esso  mi 
pare  assai  vero  ed  importante:  «Il  mese  di  novembre  del  1494  cominciava  in  Firenze  con  si- 
nistri auspicii.  La  notizia  inaspettata,  quasi  incredibile,  dell'abbandono  di  quelle  fortezze 
che  erano  costate  alla  Repubblica  lunghi  assedii,  spese  enormi,  ed  erano  la  chiave  di  tutto 
il  territorio  toscano,  aveva  subito  sollevato  il  popolo.  I  cittadini  e  le  lettere  che  venivano 
dal  campo  francese,  facevano  poi  crescere  sempre  più  il  furore  di  tutta  la  città.  Essi  dimo- 
stravano quanto  facile  sarebbe  stato  ottenere  dal  Re  patti  onorevoli;  con  quanta  viltà  e 
con  quanto  orgoglio,  nel  medesimo  tempo,  Piero  dei  Medici  aveva  messo  l'intera  Repub- 
blica nelle  mani  di  Carlo  Vili,  senza  attendere  gli  ambasciatori,  senza  interrogare  alcuno. 
I  discorsi  erano  perciò  tutti  pieni  di  sdegno,  ed  il  popolo  cominciava  a  radunarsi  nelle 
piazze  e  nelle  vie.  Si  vedevano  nella  folla  comparire  di  nuovo  certe  vecchie  armi,  tenute 
nascoste  per  più.  di  mezzo  secolo,  qualche  pugnale  che  si  vantava  d' essere  stato  vibrato  in 
Duomo,  il  giorno  della  congiura  dei  Pazzi;  uscivano  dagli  opificii  delle  arti  della  lana  e 
della  seta  alcuni  di  quegli  uomini  forti,  tarchiati  e  con  visi  sinistri,  che  rammentavano  an- 
cora i  Ciompi  di  Michele  di  Laudo.  Pareva  che  quel  giorno  i  Fiorentini  fossero,  come  per 
incanto,  tornati  un  secolo  addietro,  e  che  quel  popolo,  il  quale  aveva  per  sessant' anni  sop- 
portato così  pazientemente  la  tirannide,  fosse  ora  deciso  di  correre  alle  armi  ed  al  sangue, 
per  riconquistare  la  sua  libertà.  Se  non  che,  in  quello  universale  furore,  una  universale  in- 
certezza e  diffidenza  dominava  gli  animi.  I  Medici,  è  vero,  non  avevano  lasciato  alcuna  guar- 
dia in  Firenze,  ed  il  popolo  poteva  d'ora  in  ora  impadronirsi  di  tutta  la  Città;  ma  esso  non 
sapeva  di  chi  si  fidare,  da  chi  lasciarsi  condurre.  I  vecchi  amici  della  libertà  erano  quasi 
tutti  morti  nei  sessanta  anni  trascorsi,  fra  gli  esilii,  le  condanne  e  le  persecuzioni;  i  pochi 
che  ancora  s'intendevano  dello  Stato,  erano  uomini  vissuti  sempre  col  favore  de'  Medici,  e 
la  moltitudine,  uscendo  dalla  servitù,  abbandonata  a  sé  stessa,  non  avrebbe  potuto  altro  che 
trascorrere  alla  licenza.  Era  quindi  uno  di  quei  momenti  terribili,  in  cui  a  nessuno  è  dato 
prevedere  quali  eccessi,  quali  fatti  atroci  possano  commettersi.  Il  popolo  correva  tutto  il 
giorno  incerto  per  le  vie,  come  un  fiume  impetuoso,  guardava  con  occhio  sinistro  le  case 
di  quei  cittadini  che  avevano  accumulato  ricchezze  coli'  oppressarlo,  né  aveva  alcuna  dire- 
zione sicura:  solamente  in  sull'ora  della  predica  raccoglievasi  tutto  nel  Duomo.  Ivi  non 
s'era  mai  vista  la  gente  accalcarsi  così  stretta:  gli  uni  pigiavano  gii  altri  sino  a  che  non  si 
potevano  più  muovere;  e  quando  il  Savonarola  saliva  finalmente  sul  pergamo,  egli  si  tro- 
vava come  sopra  un  piano  fitto  e  immobile  di  teste  che  lo  guardavano.  Su  quei  volti  era  di- 
pinta un'  insolita  fierezza,  un'  insolita  concitazione,  ed  a  qualcuno  si  vedeva  di  sotto  al  lucco 
rilucere  la  corazza  ». 

Anche  Marsilio  Ficino,  che  pur  era  creatura  de'  Medici,  scriveva,  a  dì  12  dicembre  del 
1494,  quanto  segue  a  Giovanni  Cavalcanti:  «Nonne,  propter  multa  delieta,  postremuiu  huic 
urbi,  hoc  autumno  (settembre  e  ottobre  94)  exitium  imminebat,  nulla  prorsus  hominum  vir- 
tute  vitandum?  Nonne  divina  clementia,  Florentinis  indulgentissima,  integro  ante  hune  au- 
tumnum  quadriennio,  nobis  istud  prcenuntiavit  per  virum  sanctimonia  sapientiaque  prae- 

21 


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resterà  subito  pienamente  persuasi  che  nel  1494,  Firenze,  pur  trovandosi  in 
urgenza  gravissima,  non  vedeva  in  chi  potersi  confidare:  si  vedrà  il  Frate  essere 
stato  il  solo  uomo  che  potesse  comandare  alla  moltitudine,  tenerla  lontana  da- 
gli eccessi  e  avviarla  ad  un  governo  se  non  ottimo,  almeno  buono;  e  sotto- 
scriverà senz'altro  alla  sentenza  che  dice:  «  L'uomo  destinato  a  salvare  il 
popolo  di  Firenze  era  Frate  Girolamo  Savonarola.  Sonava  già  1'  ora  in  cui 
doveva  entrare  nell'arena  politica;  la  necessità  delle  cose  ve  lo  trascinava 
inevitabilmente,  nonostante  la  ferma  volontà  che  aveva  sinora  avuta  di  aste- 
nersene.... Il  Frate  quasi  per  forza  e  violentemente  era  spinto  a  divenir  cit- 
tadino. Egli  vedeva  dinanzi  a  sè  un  popolo  intero,  confuso  e  desolato,  che 
aveva  bisogno  d'  aiuto,  che  volgeva  verso  di  lui  uno  sguardo  pieno  di  fiducia. 
Vedeva  la  vanità  della  scienza,  l'incapacità  dei  prudenti,  la  tristizia  dei  molti, 
quando  il  suo  buon  senso,  il  suo  forte  volere,  il  suo  sincero  amore  del  bene 
gli  mostravano  chiarissima  la  via  da  percorrere.  Egli  diveniva  maggiore  di  sè; 
parevagli  aver  la  forza  di  riunire  le  discordi  volontà,  per  indirizzarle  alla  re- 
ligione ed  alla  libertà,  sentivasi  capace  di  riempire  col  suo  amore  e  colla  sua 
anima  l'intero  popolo».^) 

In  questo  caso  poteva  egli  astenersi  da  scendere  nel  campo  della  poli- 
tica? poteva  dubitare  anche  un  momento  che  chi  lo  invitava  a  scendervi,  era 
la  Provvidenza?  Qual  conto  avrebbe  dovuto  egli  rendere  a  Dio  se,  guardando 
a' suoi  comodi  e  alla  quieta  vita  della  cella,  che  tanto  l'attraeva,  avesse  egli 
ricusato  di  secondare  la  nuova  missione  che  Dio  gli  affidava? 

Chi  studia  anche  per  poco  il  momento  storico  vedrà  in  quanto  terribile 
condizione  si  trovasse  il  Frate  e  ne  ammirerà  la  prudenza,  lo  slancio  e  la 
fede,  la  bontà  eroica  che  lo  fecero  più  pensoso  degli  altri  ohe  di  se  mede- 
simo. La  gloria  di  Dio,  la  salute  delle  anime,  il  bene  comune  di  Firenze  non 
gli  permettevano  di  ristarsi  dal  parlare,  ed  egli  non  si  ristette.  (2) 


stantem,  Hieronymum  ex  ordine  praedicatorum,  divinitus  ad  hoc  electurn?  Nonne  praesagiis 
monitisque  divini»  pei-  hunc  impletis,  certissimuin  iam  iaiu  supra  nostrum  caput  immineus 
cxitium  nulla  prorsus  virtute  nostra,  sed  piseter  spem  opinioneuique  nostrana  mirabiliter 
vitavimus?  A  Domino  factum  est  istud,  et  est  mirabile  in  oculis  nostris.  Itoliquum  est, 
optime  mi  Iohannes,  ut  deinceps  salutaribus  tanti  viri  consiliis  obsequeutes,  non  solum  ego 
atque  tu,  sed  omnes  etiam  Fiorentini  Deo  nobis  olementissimo  grati  simus,  et  publica 
voce  clamemus:  Confinila  opus  hoc,  Deus,  quod  operatus  es  in  nobis  ». 

(')  Questo  non  isfuggi  al'Pastor,  che  a  pag.  12S  fra  le  altre  cose  prende  dal  Villari  an- 
che il  periodo  seguente:  «  Il  Frate  di  San  Marco  dalla  forza  stessa  dello  circostanze  veniva 
a  tiovarsi  su  di  un  campo  per  lui  nuovo,  lubrico  e  pericoloso;  egli  giustifica  il  suo  infram- 
mettersi nelle  cose  politiche,  dicendo  che  l'aveva  trovato  necessario  per  la  salute  delle 
anime  Peccato  che  poi  l'egregio  storico  non  abbia  tenuto  il  conto  che  si  doveva  di  que- 
sta verità!!  Il  Savonarola  riputo  tanto  sovente  nelle  sue  prediche  ch'egli  non  si  occupava 
dello  Stato,  se  non  mirando  al  bone  della  religione,  alla  salute  delle  anime  e  all'onore  di 
Dio,  che  o  bisogna  credergli,  o  esaminar  la  cosa  prima  di  condannarlo,  e  recare,  in  questo 
caso,  min  golp  parole,  ma  buone  ragioni.  Almeno  bisognerebbe  crederò  che  il  povero 
Frate  non  capisse  quello  che  si  diceva. 

C)  Il  professore  Cipolla  scrive  che  «il  Savonarola,  volendo  la  mutazione  dei  costumi  e 
la  restaurazione  della  religione  e  della  inorale  nella  nuova  sua  patria,  favori  il  mutamento 
politico  che  gli  ora  proposto;  e  quando  la  famiglia  do' Medici  rovinò  sè  medesima,  e  si  rose 


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Trascriviamo  alcune  cose  dalle  prediche  di  lui,  le  quali  chiariscono  e 
confermano  quello  che  diciamo:  «Parliamo  un  poco  a  te,  Firenze,  chè  t'ho 
detto  che  questa  mattina  io  non  voglio  predicare,  ma  parlare  un  poco  teco 
domesticamente.  Tu  sai  che  io  t'  ho  predicato,  già  più  anni,  e  sai  che  di  tuo 
stato  non  ho  mai  travagliatomi.  Devi  adunque  conoscere  che  quello  che  ora 
te  ne  parlo,  lo  faccio  per  tuo  bene,  e  per  tua  salute,  e  non  per  mio;  e  al- 
fine per  gli  eletti  di  Dio,  perchè  quello  che  io  ti  parlo,  risulta  tutto  in  onore 
di  Dio  e  in  salute  de' suoi  eletti  e  di  tutta  la  città  tua.  E  per  questo  mi  af- 
fatico per  tuo  bene  e  senza  nessuna  mia  utilità. 

«  Vedendo  io  appropinquarsi,  dilettissimi,  la  mutazione  dello  stato  e  go- 


impossibile.  egli  non  rifiutò  di  prestare  il  suo  appoggio  per  la  composizione  di  un  governo 
nel  quale  si  congiungevano  le  tradizioni  fiorentine  colla  costituzione  veneziana»  (pag.  760) 
Questo  è  tutto  vero  ed  esatto;  ma  non  bisogna  però  credere  che  il  Savonarola  predicasse 
subito  di  politica,  appena  cacciati  i  Medici.  EgU  lece  di  tutto  per  vedere  se  gli  era  possibile 
di  evitare  quest"arringo.  Nella  prima  predica  dopo  la  cacciata  di  Piero,  il  Savonarola  esorta 
il  popolo  ad  umiliarsi,  a  far  orazione,  a  confessarsi,  a  comunicarsi:  impone  orazioni  e  di- 
giuni per  render  grazie  al  cielo;  e  perchè  molti  volevan  far  male  a  quelli  dello  stato  vecchio, 
egli  grida  con  tutta  la  forza  possibile,  che  s'usi  misericordia  a  somiglianza  di  Dio.  le  opere 
del  quale,  pur  essendo  giuste  e  misericordiose,  più  splendono  sempre  per  la  misericordia  che 
per  la  giustizia.  Nella  predica  successiva  fatta  al  ritorno  suo  da  Pisa  dal  re  Carlo  Vili,  dice 
molte  cose  del  fine  della  Vita  cristiana,  parla  della  semplicità  della  Sacra  Scrittura,  del  Sa- 
cramento, delle  orazioni....  Quindi  nella  terza  discorre  assai  della  legge  eterna,  principio 
d'ogni  altra  legge;  mostra  che  sia  il  peccato  e  si  ferma  a  parlare  di  coloro  che  già  hanno 
proposto  di  mutar  vita  e  1'  hanno  mutata  entrando  nell'  arca,  e  invita  a  imitar  questi,  tutti 
gli  altri,  i  ricchi,  i  poveri,  i  tiepidi,  i  cittadini,  i  dotti  d'ogni  scienza,  i  plebei,  gli  artigiani,  il 
clero.  Poi  nel  sermone  successivo  con  molte  altre  cose  di  morale  discorre  dell'amor  divino, 
e  dell'amore  di  concupiscenza;  ed  insiste  perca»  si  compiano  opere  pie  affine  di  placar  Dio, 
non  essendo  ancor  finite  le  tribolazioni.  Finalmente  nella  predica  quinta  dopo  la  cacciata, 
importantissima  se  altra  mai,  nella  quale  discorre  della  rinnovazione  della  Chiesa,  incomin- 
cia a  far  cenni  di  politica  ammonendo  che  si  faccia  legge  con  ogni  cautela  contro  alla  ti- 
rannide, e  ribattendoli  detto  di  Cosimo  de' Medici  che  gli  stati  non  si  governano  coi  Paterno- 
stri e  col  divino  aiuto;  e  quell'altro  che,  i  popoli  si  debbono  intrattenere  con  feste:  afferma  un 
importantissimo  principio,  che  è  come  il  generatore  di  tutta  la  sua  dottrina  sociale  che  svolge 
poi:  «Ogni  regno  quanto  è  più  spirituale  è  più  forte:  Cristo  è  stato  regola  non  solamente 
quanto  alle  cose  spirituali,  ma  quanto  ad  ognuno,  ad  ogni  cosa:  Cristo  fu  la  forma  di  tutti  i 
reggimenti'.  Dopo  ciò  ci  aspetteremmo  senz'altro  di  vederlo  gettarsi  nel  vasto  campo;  ma 
egli  si  contiene  ancora:  e  fa  ancora  un  sermone  nel  quale,  sebbene  accenni  ai  pericoli  che 
sovrastano  al  cittadino  che  si  vuol  far  tiranno  ed  esorti  Firenze  a  pigliar  buona  forma  di 
governo,  tuttavia,  cominciando  ad  esporre  Aggeo,  parla  assai  della  rinnovazione  della  Chiesa. 
Nel  seguente  poi  affronta  veramente  la  lotta,  affermando  non  disdire,  ma  piuttosto  apparte- 
nere a  lui  religioso,  ricordar  quello  che  convenga  al  governo  della  città  per  onor  di  Dio  e 
salute  degli  eletti.  Dopo  questa  predica,  che  è  la  XV  sopra  Aggeo,  non  cessò  più  il  Frate,  a 
seconda  dell'opportunità,  di  consigliar  quelle  cose  che  meglio  gli  parevano  far  bene  al 
suo  amato  popolo  e  alla  sua  patria  adottiva.  Ora,  se  in  questo  framezzo  egli  avesse  visto  un 
altro  non  ecclesiastico  sorgere  e  guidare  Firenze  nella  via  del  retto,  a  prendere  una  saggia 
costituzione,  per  uscire  dall'  impossibile  e  miserando  stato  in  cui  si  trovava,  son  certissimo 
che  il  Frate  si  sarebbe  taciuto,  certo  con  immenso  vantaggio  per  la  sospirata  riforma  della 
Chiesa.  Ma  pur  troppo  nessuno  sorgeva,  e  il  popolo  non  aveva  lede  a  nessuno  come  a  lui.  E 
d'altra  parte,  come  dice  il  Villari,  (e  nessuno  potrà  smentirlo)  «le  antiche  istituzioni  ave- 
vano perduto  ogni  vita,  il  popolo  ogni  educazione  politica....  al  nuovo  stato  di  cose  ninna 
delle  amiche  forme  repubblicane  si  addiceva...,  e  non  v'erano  gli  uomini  che  potessero  gui- 
dare il  popolo  nella  grave  e  difficile  impresa  di  dare  nuova  costituzione  a  se  stesso  ».  (Voi.  I, 
p.  265-266.)  E  allora  il  Frate  senti  potente  la  voce  di  Dio  e  si  mise  all'opera  con  tutto  l'ar- 
dore del  quale  era  capace  l'anima  sua  entusiasta. 


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verno  della  vostra  città,  e  considerando  che  non  poteva  essere  senza  scandalo 
e  grande  effusione  di  sangue  se  la  misericordia  di  Dio  non  si  interponeva,  me- 
diante la  penitenza,  digiuni  e  orazioni  de'  buoni,  deliberai,  inspirato  da  Dio,  di 
cominciare  a  predicare  e  esortare  il  popolo  a  penitenza:  acciocché  consegui- 
tassi da  Dio  misericordia:  e  il  dì  di  San  Matteo  apostolo,  cioè  a  dì  XXI  di  set- 
tembre 1494  cominciai,  e,  con  quante  forze  mi  dette  Dio,  esortai  il  popolo  a 
confessarsi,  e  digiunare  e  orare:  le  quali  cose  avendo  fatte  volentieri,  la  bontà 
di  Dio  commutò  la  giustizia  in  misericordia:  e  a  dì  IX  di  novembre  mutossi  lo 
stato  e  il  governo  miracolosamente,  senza  sangue  e  senza  alcun  altro  scanda- 
lo, nella  vostra  città.  Avendo  dunque  tu,  popolo  fiorentino,  a  pigliare  nuovo 
governo,  ti  convocai,  escluse  le  Donne,  nella  Chiesa  maggiore,  presenti  i  ma- 
gnifici Signori  e  gli  altri  Magistrati  della  tua  città,  e  da  poi  molte  cose  dette 
del  buon  governo  della  città,  secondo  la  dottrina  dei  filosofi  e  de' sacri  teologi, 
ti  dimostrai  qual'  era  il  governo  naturale  del  popolo  fiorentino  ».  (l) 

Nella  predica  XIX  sopra  Aggeo  (2)  è  anche  più  chiaro,  sebbene  parli  con 
parabola;  ivi  dimostra  assai  bene  come  entrasse  in  politica  indotto  da  necessità,  e 
dal  desiderio  di  far  bene  e  salvare  le  anime;  è  un  poco  lungo  il  passo,  ma  non 
so  tenermi  dal  trascriverlo,  tanto  mi  pare  importante  per  la  vita  del  Savonarola 
e  in  particolare  per  l'argomento  che  ora  ci  occupa:  «  Un  giovane  partendosi 
da  casa  sua,  si  condusse  al  porto  del  mare;  e  così  camminando,  e  guardando 
l'acqua  del  mare,  vide  certi  pesciolini  e  vennegli  voglia  di  pescare,  e  cominciò 
così  un  poco  con  l'amo  a  pescare  e  pigliare  qualche  pesce;  e  crescendogli  pur 
1'  animo  e  la  volontà  di  pescare,  uno  gli  dette  una  barchetta,  cioè  una  na- 
vicella, acciocché  ei  potesse  entrare  più  dentro  nel  mare  e  pigliar  de'  pesci  più 
grandi.  Finalmente  il  signore  di  questa  navicella  condusse  questo  giovane  in 
alto  mare,  tuttavia  pescando,  in  tanto  che  volendo  pur  tornare  al  porto,  guar- 
dando intorno  intorno,  non  si  vedea  più  il  porto;  donde  il  giovine  cominciò  a 
lamentarsi  assai  del  padrone  suo  che  l'aveva  condotto  in  alto  mare,  in  tanto 
che  non  si  vedeva  porto  alcuno,  da  potere  tornarsi  indietro. 

«  0  Firenze,  il  giovine  che  è  entrato  in  alto  mare,  e  che  si  lamenta  di 
non  vedere  più  porto  è  qui.  A  me  fu  detto  :  Vieni,  esci  della  casa  e  della 
terra  tua,  (3)  e  lascia  ogni  cosa,  e  fui  condotto  al  porto  del  mare,  cioè  alla 
religione,  la  quale  è  il  vero  e  sicuro  porto  a  chi  cerca  la  sua  salute,  venni  a 
questo  porto  allora  di  età  di  anni  ventitré.  E  due  cose  sopra  le  altre  amavo, 
che  mi  condussero  a  questo  porto,  la  libertà  e  la  quiete,  e  per  avere  libertà, 
non  vuoisi  mai  donna,  e  per  avere  quiete,  mi  fuggii  dal  mondo  e  giunsi  a  que- 
sto porto  della  religione,  dove  trovai  la  libertà.  Quivi  facevo  tutto  quello  che 


(1j  Queste  medesime  cose  le  puoi  anche  leggere  nel  Compendio  di  Rivelazioni. 

(2)  Questa  predica  è  importantissima.  Riepilogando  il  Frate  a  sua  difesa  contro  gli  ac- 
cusatori lo  cose  che  aveva  predicato  in  quell'Avvento,  e  anche  rifacendosi  più  indietro,  vuole 
mostrare  ch'egli  conosce  dove  si  trova.  Raccomandiamo  al  nostro  lettoro  di  vedere  per  in- 
tiero tale  predica. 

(3)  Genesi  XII,  v.  1. 


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10  volevo,  perchè  altro  non  volevo,  riè  altro  desideravo,  se  non  fare  tutto  quello 
«he  mi  era  detto  e  comandato.  Non  avrei  già  voluto  esser  sacerdote,  per  più 
mia  quiete,  ma  per  voler  io  fare  sempre  quel  che  mi  era  detto,  chè  così  sti- 
mavo esser  la  mia  libertà  e  la  mia  quiete,  fui  condotto  al  sacerdozio,  e  così 
giunto  a  questo  felice  porto  guardai  l'  acque  del  mare  di  questo  mondo  e  vidi 
che  assai  pesci  giravano  per  le  acque  del  mondo,  e  venutomi  voglia  di  pescare, 
cominciai  coli'  amo  a  pigliare  qualche  pesciolino,  cioè  colla  predicazione  a  ti- 
rare qualche  anima  al  porto,  e  alla  via  della  salute,  e  perchè  questo  assai  mi 
piacque,  il  Signore  mi  mise  in  nave,  e  mi  ha  condotto  a  pescare  in  alto  mare, 
e  pian  piano  e  a  poco  a  poco  mi  ha  condotto  qui,  come  vedete,  in  modo  che 
essendo  io  venuto  in  questo  alto  mare,  non  veggo  più  porto  alcuno  da  ritor- 
nare indietro,  nè  da  ritrovare  la  mia  quiete.  Le  angustie  sono  da  ogni  parie,  (') 
e  quel  che  io  debba  fare,  io  non  lo  veggo.  Dalla  parte  dinanzi  in  questo  gran 
mare,  io  veggo  grandissima  perturbazione  e  tempesta  e  conosco  apparec- 
chiarsi gran  tabulazione  innanzi  agli  occhi.  Dalla  parte  posteriore  non  veggo 

11  porto,  e  di  più  il  vento  contrario  che  ne  spinge  innanzi,  nè  pare  che  il  Si- 
gnore voglia  che  si  possa  tornare  indietro.  Dalla  parte  destra  veggo  gli  eletti 
di  Dio,  che  domandano  d'esser  aiutati  d'andare  innanzi:  e  per  loro,  e  per 
aiutarli,  mi  trovo  in  questa  angustia.  Dalla  parte  sinistra  sono  i  demonj  e  i 
cattivi  uomini  loro  membri  e  loro  ministri,  che  tuttavia  ci  tempestano  e  ci  mo- 
lestano. Dalla  parte  superiore  veggo  vita  eterna  e  il  desiderio,  e  la  speranza 
grande  di  volere  andarvi,  ma  la  lunghezza  del  tempo  da  condurvisi  è  quella 
che  ne  affligge  1'  anima.  Dalla  parte  di  sotto  veggo  l'  inferno:  del  quale  assai 
debbo  temere  e  mi  spaventa,  perchè  sano  uomo  e  posso  peccare,  se  Dio  non 
tenesse  la  mano  sua.  0  Signore,  dove  mi  hai  condotto?  Dirò  come  Geremia, 
Signore,  tu  m'hai  ingannato,  e  ingannato  mi  ritrovo:  tu  sei  stato  più  forte  di  me, 
e  hai  potuto  più  di  me.  r)  Io  per  volerti  pigliare  questi  pesci  tuoi,  mi  trovo  in 
questo  alto  mare,  e  non  veggo  più  porto  alcuno  da  tornare  alla  mia  quiete, 
guai  a  me,  madre  mia,  perchè  mi  hai  tu  generato  e  fatto  uomo  di  rissa  e  di  di- 
scordia in  tutta  la  terra?  Io  era  libero  e  quieto,  ora  sono  fatto  servo  d'ognu- 
no. Veggo  per  tutto  guerra  e  discordia  venire  sopra  di  me,  almanco  voi  amici 
miei,  o  eletti  di  Dio,  per  i  quali  giorno  e  notte  mi  affliggo,  almanco  voi  abbiate 
misericordia  di  me;  (3)  recate  de'  fiorì  e  de'  frutti,  come  dice  la  cantica  di  Salo- 
mone, per  vostro  amore  languisco,  (*)  e  fiori  siano  gli  incipienti,  e  frutti  faccino 
i  perfetti,  fate  bene  e  nulla  altro  cerco  da  voi,  se  non  che  piacciate  a  Dio,  e 
che  salviate  l'anima  vostra:  or  lasciami  riposare  un  poco  in  tanta  tempesta. 
Vedete  la  barca  nostra  dove  ella  si  trova  ;  e  poiché  ancora  dove  il  Signore  la 
voglia  condurre  non  si  vede,  in  questa  notte  io  disputavo  seco  e  riferitone  parte, 
essendo  io  pure  esortato  di  andare  innanzi,  dicevo:  Deh!  Signore,  riconducimi 


(')  Daniele,  c.  XIII,  v.  22. 

(2)  Geremia,  c.  XX,  v.  7. 

(3)  Giobbe,  c.  XIX,  v.  21. 

<*)  Cantico  de'  Cantici,  cap.  II,  v.  5. 

/ 


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al  mio  porto  e  alla  mia  quiete;  elui  rispondeva:  —  E'non  si  può  tornare  indietro. 
Non  vedi  tu  il  vento  contrario  che  ti  spinge  innanzi? —  E  io  dicevo:  Poiché  tu, 
Signore,  non  vuoi,  tu  sei  pur  giusto;  dimmi,  se  io  posso  disputare  teco  un  poco,, 
benché  io  sia  polvere  e  cenere  e  tu  Signore  del  tutto,  dimmi,  se  pure  io  debba 
andare  innanzi  in  questo  mare  del  mondo  pescando  per  te  :  perchè  più  qui 
che  altrove?  che  ho  io  a  fare  a  Firenze?  Io  sono  nato,  come  tu  sai,  e  allevato 
a  Ferrara  e  non  a  Firenze.  Il  Signore  rispose  e  disse:  —  Non  ti  ricordi  tu  d'aver 
letto  di  quell'uomo  che  discendeva  di  Gerusalem  in  Gerico  e  fu  assaltato  e 
e  assalito  dai  ladroni  nella  strada,  e  che  quivi  passarono  di  quelli  della  sua 
patria  e  nessuno  di  loro  lo  prese  a  curare,  ma  solo  il  Samaritano  alienigena 
e  forestiere  lo  prese  a  sanare  e  guarire?  Non  sai  tu  ancora  che  egli  è  scritto  : 
Nessun  profeta  è  accetto  nella,  patria  sua?  (*)  Però  tu  forestiero,  sei  ridotto  a 
predicar  qua  fuori  della  patria  tua.  Io  risposi  al  Signore  con  riverenza  e  dissi: 
Signore,  io  non  resto  per  questo  soddisfatto.  Io  sono  contento  quanto  a  pre- 
dicare ordinariamente  in  riprensione  de'vizj  e  aumento  delle  virtù  qui  in  Fi- 
renze e  dove  ti  piace.  Ma  che  ho  io  a  fare  dello  stato  di  Firenze  a  predicarne? 
Allora  il  Signore  disse:  Vieni  con  me,  e  io  andai  :  e  lui  mi  condusse  in  una 
bottega  di  un  pittore  e  gli  disse:  Vorrei  che  tu  mi  facessi  una  figura  di  pietra 
o  di  legno;  e  il  pittore  disse:  Io  non  sono  scultore  e  l'arte  mia  è  solo  il  di» 
pingere.  Allora  il  Signore  mi  condusse  a  una  bottega  dello  scultore  e  dissegli: 
Dipingi  qua  una  figura,  e  lo  scultore  rispose:  non  è  arte  mia  il  dipingere. 
Donde  il  Signore  ultimamente  mi  condusse  alla  bottega  dell'orefice  e  gli  disse 
voleva  che  lui  facesse  una  figura  scolpita  e  di  rilievo  e  dipinta.  E  l'orefice 
disse  saperla  fare,  e  il  Signore  soggiunse  e  dissemi:  Non  sai  tu  che  alcune 
arti  sono  semplici,  di  saper  fare  una  cosa  sola,  alcune  sono  miste  di  far  più 
cose  insieme,  come  l'orefice  che  sa  pingere  e  scolpire?  così  bisogna  fare  a 
te,  mi  disse  il  Signore,  il  predicare,  a  che  tu  attendi,  è  cosa  spirituale:  ma  bi- 
sogna ancora,  attendendo  principalmente  allo  spirito,  fermare  tutte  quelle  cose 
che  conservino  e  mantengano  lo  spirito,  e  le  cose  con  che  lo  spirito  si  gover- 
na. Così  qui,  volendo  fare  una  città  spirituale  e  che  viva  con  rettitudine,  biso- 
gna fare  un  fondamento,  e  una  clausura  in  cui  lo  spirito  e  la  buona  volontà 
vi  si  conservino,  e  che  non  sia  tolta  via  e  dissipata  dagli  uomini  perversi.  Tu 
sai  che  per  far  vivere,  e  conservare  gli  eletti  di  Dio  è  fatto  tutto  questo  uni- 
verso, e  composto  tutto  questo  mondo  per  loro,  e  a  loro  benefizio,  così  bisogna 
fare  a  Firenze,  volendo  che  ella  sia  buona,  bisogna  farle  uno  stato  in  cui  si 
conservi  la  bontà,  se  lei  vorrà  esser  buona.  Allora  io  risposi  al  Signore  e  dissi: 
Io  non  sono  istrumento  atto  a  questa  cosa,  vorrei  Signore,  che  ti  piacesse 
eleggere  un  altro  più  atto  e  migliore  instrumento  di  me.  Lui  mi  rispose:  —  Non 
sai  tu  che  Dio  elegge  le  cose  vili  e  inferme  per  confondere  e  superare  le  cose  forti 
e  gagliarde,  (2ì  e  non  vuole  che  la  lode  si  attribuisca  allo  instrumento,  ma  a 
Dio?  Tu  sarai  solamente  instrumento,  e  io  sarò  il  maestro  che  farà  lo  edilìzio; 

(')  Vangelo  di  San  Luca,  o.  IV,  v.  24. 
(*)  Lettera  I  ai  Corinti,  c.  I,  v.  27. 


che  instrumento  si  sia  io  non  me  ne  curo,  o  nobile,  o  ignobile  :  la  virtù  ha  a 
venire  da  me,  disse  il  Signore,  e  non  dallo  instrumento,  e  non  voglio  che  lo 
instrumento  possa  dire  :  io  ho  l'atto,  io  ho  detto.  —  Allora  io  convinto  dissi  : 
—  Signore,  eccomi  parato  alla  tua  volontà,  ma  io  vorrei  sapere,  se  ti  piace,  che 
premio  si  conseguirà  di  questo  neh'  altra  vita.  Rispose  il  Signore  :  11  premio 
di  vita  eterna  è  tanto  grande,  che  occhio,  ne  orecchio,  uè  cuore  umano  non  lo  può 
comprendere,  ne  intendere  qua.  (')  Io  soggiunsi  :  In  questo  mondo  che  ne  seguirà? 
Il  Signore  disse  :  Non  è  maggiore  il  servo  del  suo  Signore.  (*)•  Tu  hai  pur  letto 
che  dopo  le  predicazioni  mie  fatte  al  popolo  giudaico,  che  ei  mi  crocifissero. 
Così  interverrà  a  te,  e  non  altrimenti.  —  0  Signore,  dissi  io  allora,  Dammi  questo 
martirio.  Concedimi  che  io  muoia  per  te,  come  tu  moristi  per  me.  Io  veggo 
il  coltello  già  arrotato  per  me.  —  Aspetta  pure  un  poco,  disse  il  Signore,  che 
sian  fatte  quelle  cose  che  s'  hanno  a  fare,  e  poi  usa  quella  fortitudine  che  Dio 
ti  concederà.  Or  tu  hai  inteso,  Firenze,  che  io  veggo  e  conosco  il  grado  in  che 
io  mi  trovo.  Impara  tu  che  vuoi  essere  predicatore,  che  cosa  è  entrare  in 
alto  mare:  e'  bisogna  navigare  secondo  che  piace  al  Signore,  al  padrone  della 
barca.  Sta  in  umiltà,  e  lascia  fare  a  Dio,  lui  ti  guiderà,  e  nessuno  ti  potrà  nuo- 
cere, se  non  quanto  Dio  vorrà,  e  alla  volontà  sua  tu  devi  stare  contento  ».  (3) 

Posto  ciò,  noi  non  pure  affermiamo  con  il  Capecelatro  che  «  il  Savonarola 
non  ebbe  alcuna  colpa,  neanche  menoma,  d'  unire  insieme  la  riforma  di  re- 
ligione con  la  riforma  civile  o  politica;  e  che  tale  unione  era  talmente  con- 
naturata con  lo  stato  delle  cose  allora  in  Firenze,  che  ogni  sforzo  di  separarle 
sarebbe  riuscito  vanissimo  »,  (*)  ma  oltre  a  questo,  noi  crediamo  fermamente 
ancora  che,  se  Fra  Girolamo  si  fosse  tirato  indietro,  e  non  avesse  predicato, 
come  fece,  la  riforma  dello  stato,  avrebbe  commesso  grave  colpa,  avrebbe 
potuto  chiamarsi  responsabile  dei  mali  che  quindi  sarebber  nati,  del  sangue 
che  si  sarebbe  sparso  e  delle  mine  che  la  tirannide  risorgendo  avrebbe  pro- 
dotto. 

Così  già  ci  resta  provata  almeno  una  cosa:  che  il  Frate  Domenicano  punto 
non  venne  meno  all'  ufficio  suo  di  religioso,  entrando  nel  campo  della  politica. 
Per  veder  meglio  che  egìi  non  fece  della  politica  contro  la  sua  professione  di 
religioso,  nè  andò  oltre  1'  ufficio  suo  di  predicatore  della  parola  di  Dio,  sarà 
bene  scendere  al  particolare,  e  veder  che  cosa  insegnò  e  consigliò  egli  al  po- 
polo Fiorentino,  e  che  cosa  fece  nella  città  di  Firenze.  Per  questa  via  riusci- 
remo, speriamo,  a  vedere  anche  come  il  nostro  Frate  non  errò  qui  nemmeno 
se  si  ha  riguardo  al  tempo,  alla  misura  e  al  modo  dell'azione  sua  politica. 
Prima,  riguardo  alla  riforma  del  governo,  egli  predicò  apertamente  a  Firenze 


(')  Lettera  I  ai  Corinti,  c.  II,  v.  9. 

t2)  Vangelo  ili  San  Giovanni,  e.  XV,  v.  20. 

(3)  I  passi  analoghi  ai  presenti  nelle  prediche  elei  Frate  son  molti,  ina  il  citato  basta 
per  noi,  chi  ne  volesse  leggere  altri,  veda  le  prime  prediche  sopra  i  Salmi  o  la  I  sopra  Amos 
e  Zaccaria  e  sarà  soddisfatto. 

(4)  Vita  di  San  Filippo  Xeri,  Libro  II,  cap.  V. 


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di  reggersi  a  popolo:  questa  fu  una  tra  le  prime  cose  ch'egli  consigliò  ai 
Fiorentini.  Ma  si  noti  innanzi  tutto  che  non  era  questa  1'  unica,  nè  la  prin- 
cipale cosa  che  egli  proponesse:  «  Io  ti  ho  detto  quattro  cose,  che  se  tu 
non  le  farai  guai  a  te.  Prima  il  timor  di  Dio,  secondo  il  ben  comune,  terzo 
la  pace  universale,  quarto  la  riforma.  Voi  avete  cominciato  a  rovescio,  cioè 
dalla  riforma,  che  era  1'  ultima....  Seguitate  almeno  a  rovescio  e  fate  questa 
pace....»  E  questo  egli  diceva  I' 11  gennaio  1495;  e  già  nella  predica  XIII 
sopra  Aggeo,  e  poi  anche  più  aperto  ed  esplicito  nelle  seguenti,  aveva  par- 
lato de'  mali  del  tiranno,  (')  e  nella  XVIII  aveva  detto  senz'  altro  esser  vo- 
lontà di  Dio  che  Firenze  si  reggesse  a  popolo.  Sono  poi  note  ad  ognuno  le 
molte  cose  che  negli  anni  successivi  e  in  questo  medesimo  predicò,  scrisse, 
fece,  a  tener  persuaso  il  popolo,  che  questa  forma  di  governo  era  ad  esso  la 
più  conveniente  e  naturale  ;  e  che  facendo  tirannia  avrebbe  ruinato  la  città, 
com'  è  notissimo  che  nel  Trattato  circa  il  reggimento  della  città  e  governo  di 
Firenze,  in  qualche  modo  raccoglie  le  cose  in  questo  campo  predicate.  (2) 

Ha  egli  ecceduto  qui  e  varcati  i  limiti  che  gli  erano  segnati?  e  diceva  il 
falso  affermando  eh'  egli  «  trattava  particolarmente  del  governo  della  città  di 
Firenze  quanto  spettava  al  grado  suo?  »  e  si  è  proprio  egli  spinto  oltre  l'ufficio 
del  buon  religioso?  e  anche  guardando  alle  circostanze  eccezionali,  dovremo 
proprio  inesorabilmente  condannarlo?  A  me  par  di  no.  Prima  di  tutto  osservo 
ch'egli  non  si  curò  di  questa  materia  mentre  stavano  al  governo  i  Medici;  (3) 
ma  solo  dopo  alquanto  tempo  ch'essi  erano  cacciati.  Anzi,  finché  stettero  in 
Firenze  i  Medici,  sebbene  si  mostrasse  inflessibile  alle  allettative  di  Lorenzo, 
nessuna  contrarietà  egli  mostrò  alla  politica  medicea,  e  la  stessa  separazione 
del  Convento  di  San  Marco  dalla  Provincia  Lombarda,  pare  che  si  facesse 
coli' ajido  dello  stesso  Piero  de' Medici.  (4)  In  secondo  luogo  noto  che  nella  sua 
proposta  s'appoggiò  continuamente  a  filosofi  e  teologi;  nè  l'avrebbe  fatta,  se 
il  popolo  fiorentino  avesse  patito  il  governo  di  uno;  chè  allora  s'avrebbe 
avuto  da  instituire  un  principe,  non  un  tiranno,  il  quale  fosse  prudente,  giusto 
e  buono;  ina  esaminando  egli  bene  le  sentenze  e  ragioni  dei  sapienti,  cosi  filo- 
sofi come  teologi,  e  specialmente  di  San  Tommaso,  (5J  gli  parve  di  conoscere 
chiaramente  che  alla  natura  del  popolo  Fiorentino  vivace,  abbondante  di  san- 
gue e  d' ingegno  non  convenisse  tal  forma  di  governo,  in  sè  per  altro  ottima, 
ma  gli  stesse  meglio  la  forma  di  repubblica,  ossia  civile.  (6 ) 


(')  Cfr.  il  Compendio  di  Rivelazioni,  dove  troverai  molte  cosa  utili  a  questo  riguardo,  e 
anche,  specialmente  intorno  alla  questione,  se  la  forma  di  Governo  che  il  Savonarola  pro- 
pose a  Firenze  non  fosse  per  questa  città  la  migliore  e  più  conveniente. 

f)  Per  le  idee  del  Savonarola  intorno  al  Tiranno,  oltre  al  Trattato  circa  il  reggimento  e 
governo  della  città  di  Firenze,  e  molti  altri  discorsi,  puoi  vedere  le  prediche  Vili  e  IX  sopra 
Amos  e  Zaccaria. 

(•)  Cfr.  Pellegrini,  Arrh.  della  Soc.  liom.  di  Stor.  Patr.,  XI,  pag.  707,  testo  e  nota  9. 
(")  Villari.  v.  II,  p.  clxxvi.  Cfr.  Tommasini,  Ardi.  d.  soc.  Som.,  X,  p.  707,  nota. 

(s)  De  Regimine  prinripum,  IV,  VITI. 

(")  l'I  questa  relativa  perfezione  il  Savonarola  era  intimamente  persuaso  fin  da  princi- 
pio; ma  s'  andò  sempre  più  confermando  con  1'  andare  del  tempo  non  trovarsi  alcuno  che 


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Era  adunque  quanto  di  meglio  allora  convenisse  a  quel  popolo  la  forma  con- 
sigliata dal  Frate,  e  mentre  da  lui  attendevano  il  consiglio,  come  poteva  egli  ta- 
cere? E  questo  per  ragioni  metafisiche,  etnografiche;  ma  il  Savonarola  ne  aveva 
altre  parecchie,  come  è  facile  vedere  a  chi  legge  nelle  sue  prediche.  Ci  pare 
abbia  colto  felicissimamente  nel  segno  il  cardinale  Capecelatro:  «  In  Firenze 
il  Savonarola  vide  che  il  Trionfo  de1  Medici  tirava  con  sè  il  Trionfo  dei  ban- 
chieri, dei  ricchi,  degli  usurai,  e  di  tutti  coloro  che  sotto  il  nome  di  tiepidi  av- 
versavano il  buon  costume,  la  pietà  e  la  desiderata  riforma;  perciò  egli  si  fè 
promotore  in  Firenze  del  governo  popolare,  che  era  colà  il  governo  della  parte 
dei  più,  dei  buoni  e  dei  riformatori  ». 

Stando  così  le  cose,  come  si  potrà  dire  non  essere  ufficio  del  buon  reli- 
gioso, dell'  uomo  di  Chiesa,  quello  compiuto  dal  Frate?  Se  il  predicatore  sacro 
non  deve  sforzarsi  ad  impedire  fra  il  popolo  il  trionfo  de'  banchieri,  dei  ric- 
chi, degli  usurai,  di  coloro  che  avversano  il  buon  costume,  la  pietà,  qual'  è 
dunque  l'ufficio  del  predicatore  cattolico?  Chi  può  dubitare  che,  se  Firenze  ac- 
consentiva che  la  reggesse  un  signore,  questi  sarebbe  stato  de' Medici?  E  chi 
può  dubitare  che  il  ritorno  de'  Medici,  oltre  le  brutte  cose  enumerate  dal  Ca- 

_J  

sapesse  in  alcun  modo  proporgli  nulla  di  meglio,  nè  riuscendo  egli  a  ciò  in  nessuna  guisa. 
Fra  le  accuse  mosse  dal  Pastor  al  Savonarola  figura  anche  quella  d'intolleranza  e  d'assolu- 
tismo. Egli,  secondo  il  critico  d'Innsbruck,  non  rifuggiva  d' inframmettersi  nella  libertà  della 
vita  privata  che  in  Firenze  era  sempre  stata  tenuta  in  alto  pregio  (pag.  138.)  E  si  arrogava 
per  sè  il  diritto  di  essere  l' immediato  interprete  del  volere  divino  anche  in  affari  di  pubblica 
amministrazione  »  (pag.  141).  Di  queste  accuse  il  Pastor  non  riuscirà  mai  a  dare  nemmeno 
1' ombra  della  prova;  imperocché  è  vero  diametralmente  l'opposto.  I  fiorentini  col  muta- 
mento dello  stato  e  la  legge  favorita  del  Frate  non  persero  la  libertà,  ma  l'acquistarono 
sotto  ogni  rispetto.  Quanto  ad  arrogarsi  per  sè  il  diritto  di  essere  l' immediato  interprete  del 
volere  divino,  anche  in  affari  di  pubblica  amministrazione,  bisognerebbe  clie  il  critico  venisse  a 
qualche  particolare  per  discutere.  Noi  troviamo  che  ben  poche  cose  il  Savonarola  disse  come 
avute  da  Dio,  e  di  queste  non  ne  conosciamo  alcuna  che  si  riferisca  alla  pubblica  ammini- 
strazione. Sovente,  è  vero,  diceva  essere  voluto  da  Dio  ciò  che  egli  predicava,  ma  con  ciò 
non  voleva  dire  eh'  egli  fosse  l' interprete  divino,  ma  solo  che  quanto  predicava  era  essenza 
d'Evangelo,  era  dottrina  di  Cristo  e  conforme  alla  ragione.  E  perciò  faceva  allora  quello 
che  può  e  deve  fare  ogni  buono  e  fedele  predicatore.  Nel  Compendio  di  Rivelazioni  si  leg- 
gono le  seguenti  parole:  «  In  novo  Florentiae  civitatis  statu  et  in  summo  eius  periculo  vi- 
debatur  officii  mei  esse  consulere  quomodo  ea  gubernanda  foret,  tamen  sine  dilina  inspira- 
tione  pubblicae  saluti  utilia  et  necessaria  civibus  suasi,  non  autem  eos  coegi  ».  Del  resto  che 
il  Savonarola  nelle  sue  proposte  che  si  riferivano  allo  Stato  fosse  molto  remissivo  e  lasciasse 
libera  la  discussione  e  non  fosse  mai  esclusivo,  è  provato  all'  evidenza  dalle  sue  prediche 
nelle  quali  molto  spesso,  dicendo  eh'  egli  era  uomo  e  poteva  errare,  si  rimetteva  a  chi  sa- 
pesse trovar  di  meglio.  E  come  di  assai  altre  cose,  questo  diceva  egli  anche  del  governo; 
come  appare  anche  dalla  lettera  ad  un  amico,  nella  quale  scrive  appunto  che  «per  soddisfare 
ad  ognuno,  egli  ha  ripetuto  molte  volte  in  pubblico  che  coloro  i  quali  non  erano  contenti 
volessero  trovarne  uno  migliore,  ed  egli  si  offriva  a  proporlo  e  a  farlo  stabilire  >.  E  se  altri 
avesse  ciò  fatto,  noi  siamo  persuasi  che  egli  avrebbe  certo  da  parte  sua  mantenuto  la  fede. 
Ma,  come  egli  stesso  continua  a  dire,  «nessuno  è  riusoito  a  tanto  :  ed  ora  invece  avvenuto 
molte  volte  che  dopo  d'esser  venuti  a  colloquio  particolare  con  lui  sopra  questo  argomento 
uomini  di  valore  finirono  per  concludere  essi  stessi  che  non  si  poteva  dare  miglior  governo 
a  Firenze.  Quanto  ai  contradittori,  quando  essi  son  serrati  al  muro  dalla  forza  delle  ragioni 
de' buoni  cittadini,  restano  muti:  e  non  sanno  tampoco  che  cosa  vogliano;  ma  si  vede  chiaro 
che  loro  intenzione  sarebbe  o  d'essere  tiranni  o  d'esser  schiavi».  (Cf.  la  predica  XXIII 
sopra  Aggeo,  la  XIX  Sopra  Ruth  e  Michea  e  più  altre.) 


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pecelatro,  avrebbe  portato  con  sè  molto  spargimento  di  sangue,  molti  esigli, 
molte  confische?  E  il  Savonarola  costretto  a  entrare  nel  campo  della  politica 
doveva  cooperare  almeno  negativamente  a  tutto  ciò?  Doveva  tacere  il  vero  al 
popolo  che  pendeva  dal  suo  labbro?  E  se  anche  s'  avessero  avute  assicurazioni, 
e  non  se  ne  potevano  avere,  che  queste  afflizioni  non  avrebber  colpito  Firenze, 
chi  può  anche  solo  immaginarsi  un  Savonarola  che  s'adoperasse  al  ritorno 
nella  bella  città  di  quella  Casa  che,  come  dice  il  Pastor  (pag.  346),  l'aveva  ma- 
lamente guasta?  !  !  Nel  caso  doveva  rinunciare  ad  ogni  idea  di  riforma  e  lasciar 
libero  il  trionfo  del  paganesimo.  Non  v'  è  dubbio  che  il  meglio  per  Firenze,  se 
si  guarda  con  occhio  cristiano,  era  il  consiglio  del  Frate  ;  o  almeno  non  v'  è 
dubbio  che  il  Frate  credéva  sopra  tutto  conveniente  per  Firenze  la  forma  di 
governo  da  lui  consigliata.  Chi  adunque  lo  vorrà  incolpare  del  consiglio?  Così 
Firenze  si  fosse  tenuta  salda  ognora  a  quanto  il  Frate  le  aveva  predicato!!  (i) 
Io  non  pretendo  che  tutti,  solo  per  quello  che  ho  detto,  abbiano  a  pensare 
qui  come  il  Savonarola  pensava:  ma  dico  eh'  egli  aveva  certamente  il  diritto 
di  pensar  così  e  di  manifestare  questo  suo  pensiero,  e  nessuno  lo  deve  per  que- 
sto e  può  chiamare  in  colpa,  nè  anche  tra  quelli  che  non  gli  volesser  dar  lode, 
come  a  me  parrebbe  giusto  di  fare.  Torna  molto  a  proposito  ciò  che  c'  insegna 
nella  Enciclica  sulla  Costituzione  cristiana  degli  stali  Leone  XIII.  «  Ove  si  ra. 
gioni  di  cose  meramente  politiche,  come  sarebbe  della  miglior  forma  di  go- 
verno, se  si  debbano  ordinare  gli  stati' secondo  questo  o  quel  sistema,  è  fuori 
di  dubbio  che  intorno  a  siffatti  punti  si  può  onestamente  essere  di  diversi  pa- 
reri. Perciò,  trattandosi  di  persone,  di  cui  si  conoscano  i  religiosi  sentimenti  e 
l'animo  disposto  a  ricevere  con  la  debita  sommessione  le  decisioni  della  Santa 
Sede,  giustizia  non  vuole  che  siano  chiamate  in  colpa  per  una  differente  opi- 
nione che  abbiano  circa  le  materie  sopra  indicate:  e  ingiustizia  anche  mag- 
giore sarebbe  muover  loro  1'  accusa  di  violata  o  sospetta  fede  cattolica,  come 
è  avvenuto  con  nostro  rammarico  ».  Or  quanto  più  dovremo  seguir  le  norme 
che  il  savio  Pontefice  bandisce,  allorché  chi  ci  intrattiene  di  siffatti  argomenti, 

10  fa  con  ispecial  riguardo  alla  religione  e  quasi  solo  per  essa? 

Per  affermare  che  contradice  all'ufficio  religioso  il  predicare  che  fece  il 
Savonarola  de'  mali  che  la  tirannide  aveva  prodotto  in  Firenze  e  di  quelli  mag- 
giori che  produrrebbe,  se  rinnovata,  bisognerebbe  dire  che  un  predicatore  cat- 
tolico, ne' grandi  bisogni  del  popolo  cristiano,  dovrebbe  tacere  e  non  potrebbe 
servirsi,  concionando,  della  storia,  nè  esporre  le  dottrine  di  San  Tommaso,  l'En- 
cicliche del  nostro  Pontefice,  e  nemmeno  buona  parte  della  Bibbia. 

Bisognerebbe  proibire  al  predicatore  cattolico  di  spiegare  al  popolo  il  verso 
4  del  XXXI  de' proverbj :  Il  Re  giusto  solleva  la  terra,  l'acaro  la  distrugge,  e 

11  27  del  XXII  di  Ezechiele:  1  prìncipi  suoi  in  mezzo  ad  essi  quasi  lupi  che 


(')  Vedi  il  Compendio  di  lìioeìazioni.  dove  il  Fritte  risponde  al  Tentatore,  oho  gli  aveva 
obiettato,  che  il  governo  da  lui  persuaso  era  pericoloso  per  i  Fiorentini,  e  troverai  provata 
la  proposizione  seguente:  «  Si  regimen  hoc  recte  consideretur,  bonum  et  naturalo  est  populo 
Fiorentina  ». 


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rapiscon  la  preda  per  isparger  sangue;  e  il  v.  18  del  IX  dell'Ecclesiastico: 
Sta  lungi  dall'  uomo  che  ha  potere  di  uccidere.  Bisognerebbe  proibire  al  pre- 
dicatore cattolico  di  esporre  al  popolo  il  v.  2!  del  cap.  XV  di  Giobbe  cbe 
del  tiranno  dice:  Il  suono  del  terrore  è  sempre  nell'orecchie;  e  pur  essendovi 
pace,  egli  sempre  sospetta  insidie;  e  molti  detti  di  Salomone:  Regnando  gli  empj 
ruinan  gli  uomini.  Quando  gli  empj  afferrano  il  principato,  geme  il  popolo  quasi 
tratto  in  servitù;  ricomparendo  gl' empj,  s'ascondono  gli  uomini....  Leone  che 
rugge  e  orso  affamato  è  il  principe  empio  sopra  il  povero  popolo....  (*) 

E  die  cosa  fece  altro  in  politica  Fra  Girolamo  che  non  mirasse  a  man- 
tener salda  questa  forma  di  governo?  A  ciò  miravano,  e  non  ad  altro,  il  Con- 
siglio Maggiore,  e  il  Consiglio  degli  Ottanta,  il  riordinamento  delle  gravezze,  e 
l'appello  delle  sei  fave,  il  tribunale  della  Mercatanzia  o  di  Commercio;  l'abo- 
lizione de'Parlamenti.  E  in  tutte  queste  proposte,  chi  conosca  in  cbe  veramente 
consistevano  e  come  il  Savonarola  le  faceva  e  difendeva,  come  può  vedere  un 
eccesso  dell'ufficio  del  buon  religioso? 

Ma  più  di  tutto  e  sopra  tutto  il  Frate  raccomandava  il  timor  di  Dio  e 
l'amore  al  bene  comune.  (2)  Quello  che  egli  voleva  era  che  il  governo  si  man- 
tenesse nella  grazia  di  Dio  e  si  fondasse  in  quella,  che  è  sorgente  d'ogni 
potenza. 

«  Un  regno  quanto  sarà  più  spirituale,  tanto  sarà  più  forte  e  migliore, 
perchè  essendo  più  vicino  a  Dio,  partecipando  più  dello  spirito  e  del  divino, 
bisogna  che  sia  migliore,  più  stabile  e  più  perfetto....  Non  è  vero  questo  tuo 
proverbio  che  gli  stati  non  si  possano  reggere  colle  orazioni  e  co' pater  nostri, 
anzi  è  utto  il  contrario:  chè  molto  meglio  si  reggono  collo  spirito,  che  con 


(')  Vedi,  a  questo  riguardo,  i  primi  capitoli  de  Regimine,  principum  di  San  Tommaso. 

(2)  Del  timore  di  Dio  il  Savonarola  parla  quasi  in  ogni  predica  che  tocchi  del  governo. 
Che  cosa  poi  intendesse  egli  per  bene  comune  è  determinato  egregiamente  dallo  Storico 
Delie  Signorie  Italiane:  «,11  Savonarola  aveva  sempre  in  bocca  la  frase  bene  comune.  Ben 
pubblico  è  un  concetto  ben  differente  da  quello  di  ben  comune:  l'uno  è  il  bene  dello  stato 
preso  iu  complesso,  l'altro  è  il  vantaggio  particolare  di  tutti  i  cittadini  componenti  lo 
stato.  E  perciò  la  parola  del  Frate  importava  la  pace  fra  i  partiti,  il  perdono  delle  offese 
e  1*  obblio  dei  tempi  passati  ».  (Pag.  706.)  Se  ti  piace  vedere  un  luogo  fra  i  mille  ne'  quali 
il  Frate  chiarisce  questo  suo  concetto,  leggi  la  predica  XIX  Sopra  Aggeo  e  sarai  soddisfatto. 
TJn  altra  giusta  veduta  dell'illustre  professore  dell'  Università  di  Torino  si  è  d'avere  scorto 
assai  chiaramente  che  «il  nuovo  ordine  civile  della  città  tosse  l'ultimo,  per  ordine,  degli 
scopi  del  Domenicano;  e  che  il  primo  e  vero  scopo  del  Savonarola,  quello  pel  quale  egli  di 
continuo  si  professava  inviato  da  Dio,  era  la  riforma  morale  ».  (Ivi,  testo  e  nota  4.)  Infatti 
il  Savonarola  voleva  che  le  stesse  leggi  buone  che  proponeva  o  consigliava  fossero  come 
una  conseguenza  ed  un  aiuto  della  ritorma  morale  da  cui  si  doveva  incominciare;  e  si  la- 
gna sovente,  nelle  prediche  sopra  Aggeo  e  in  quelle  sopra  i  Salmi  specialmente,  che  i  suoi 
Fiorentini  procedessero  a  rovescio.  Insistiamo  poco  sopra  di  questo  punto,  perché  amiamo 
che  appaia  in  tutta  la  sua  nudità  1' opora  politica  del  Frate;  ma  il  lettore,  se  non  vuole 
andar  oltre  il  giusto  anche  leggendo  queste  nostre  poche  pagine,  tenga  ognora  presenta 
questo  primo  ed  ultimo  scopo  del  nostro  Autore,  e  gli  sarà  facile  risolvere  da  sè  anche 
quelle  altre  difficoltà  che  gli  possono  venir  fatte  e  ohe  non  sono  qui  da  noi  risolute.  Le  idee 
e  le  cose  politiche  del  Savonarola  che  qui  esponiamo  devono  trarsi  di  mezzo  a  tante  ve- 
rità di  feue  e  di  vita  cristiana  che, leggendole  dove  esse  stauno,  apparirebbero  forse  misti- 
che, più  che  altro. 


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altre  cose  umane.  L'  esempio  tu  lo  hai  nel  Salvatore  nostro,  il  quale  ha  fon- 
dato il  regno  suo  nella  grazia;  vedi  quanto  ei  fu  potente  da  principio,  che 
quei  poverelli  semplici  e  scalzi  solo  con  la  grazia  che  Cristo  prestò  loro  vin- 
sero la  potenza  del  mondo  colla  debolezza;  la  ricchezza  con  la  povertà;  la 
sapienza  del  mondo  colla  stoltizia  della  croce....  Vale  più  la  forza  dello  spirito 
e  dell1  essere  spirituale,  che  nessuna  altra  cosa.  Vedi  ancora,  e  leggi  tutte  le 
istorie  antiche,  che  gli  uomini  quanto  più  erano  in  grazia  tanto  più  ottene- 
nevano  e  vincevano.  Guarda  Mosè,  guarda  Giosuè,  guarda  Gedeone  e  gli  altri, 
che  n'  è  piena  la  Scrittura,  e  le  istorie  antiche....  Chi  è  in  grazia  di  Dio,  ha  se- 
gno d'esser  de' suoi  eìetti;  e  perchè  Dio  de' suoi  eletti  lia  più  speciale  prov- 
videnza, che  degli  altri,  però  quel  reggimento  che  si  governa  colla  grazia,  Dio 
n'  ha  più  speciale  provvidenza;  adunque  è  migliore  e  più  stabile....  Quel  regno 
che  ha  persone  di  speciale  fortezza  è  più  sicuro  ;  ma  chi  è  in  grazia  di  Dio 
è  munito  di  più  speciale  fortezza  ;  adunque  il  suo  reggimento  è  più  sicuro.... 
Dove  è  maggiore  unione  è  maggior  fortezza;  ma  chi  è  in  grazia  e  carità  ha 
maggiore  unione;  adunque  ha  maggior  fortezza....  Dove  è  più  obbedienza,  qui 
è  maggior  virtù  e  fortezza;  ma  dove  è  la  grazia  è  maggior  obbedienza;  adun- 
que quivi  è  maggiore  fortezza.  Dove  è  grazia  di  Dio,  quivi  si  vive  più  parca- 
mente, e  tal  vivere  fa  gli  uomini  più  gagliardi,  e  forti  che  non  sono  i  golosi  ; 
adunque  quel  tale  reggimento  è  più  forte....  Dove  sono  maggiori  ricchezze  e 
quel  luogo  e  suo  reggimento  è  più  forte  ;  ma  maggiori  ricchezze  si  fanno 
dov'è  la  grazia  di  Dio;  adunque  quel  regno  è  più  forte,  perchè  il  comune  e 
il  pubblico  se  ne  può  aiutare  ne'  suoi  bisogni....  Dove  si  vive  virtuosamente, 
quivi  volentieri  vi  concorrono  tutte  le  arti  e  le  mercanzie,  e  così  fanno  sempre 
quel  luogo  più  nobile  e  più  famoso....  Ne'  bisogni  della  guerra  i  soldati  più  vo- 
lentieri vanno  in  aiuto,  e  al  soldo  di  una  città  fedele  e  timorata,  che  osserva 
la  fede  ne'  suoi  pagamenti;  adunque,  ecc.  ecc....  Le  città  circostanti  temono  più 
della  città  ben  regolata  e  unita  in  sè  medesima.  Parimente  volentieri  con 
quella  i  vicini  circostanti  pigliano  amicizia.  Parimente  dove  è  la  grazia  di  Dio 
gli  angeli  custodiscono  quel  regno,  e  specialmente  lo  difendono  in  ogni  suo 
bisogno,  per  difensione  degli  eletti  di  Dio  che  quivi  abitano  ».  (Sopra  Aggeo, 
pred.  XIII;  cfr.  ivi  pred.  Vili,  XVII,  XVIII.) 

Stando  così  le  cose,  e  Fra  Girolamo  per  senno  politico  avendo  riscosso 
molte  lodi,  quale  fra  i  cattolici  vorrà  negargli,  anche  in  questo  campo,  molto 
zelo  per  la  morale  cristiana,  per  la  gloria  di  Dio  e  per  la  salute  delle  anime? 
Eran  questi  i  buoni  e  santissimi  principj  che  egli  predicava;  erano  i  dettami 
della  filosofia  dell'  Evangelo;  e  li  predicava  e  ricordava  al  popolo  perchè  i 
Fiorentini,  legiferando,  ordinassero  il  governo  di  Firenze,  «  come  devono  es- 
sere ordinati  finalmente  tutti  i  governi  degli  uomini  cristiani,  alla  beatitudine 
a  noi  da  Cristo  promessa  ».  {Trattalo  circa  il  Reggim.,  cap.  III.) 

Del  resto,  se  il  Savonarola  era  non  pure  nel  diritto,  ma  nell'  obbligo  di 
proporre  la  forma  di  governo  che  propose  a  Firenze,  sarebbe  assurdo  d'accu- 
sarlo d'aver  quindi  suggeriti  i  mezzi  per  conservarla,  quand'essi  son  tutti  mo- 
rali e  savj;  savj  tanto  che  riscossero  la  lode  de'  maggiori  politici  anche  tra  gli 


—  333  — 


avversai^  dell'ardito  Riformatore.  Ma  io  vorrei  che  si  attendesse  a  quello  che  il 
Frate  ripetutamente  afferma,  eh'  egli  cioè  si  teneva  sulle  generali  nelle  sue 
proposte  e  dava,  per  cosi  dire,  il  concetto  delle  buone  leggi,  o  meglio  i  prin- 
cipj  a  cui  dovevano  informarsi;  non  entrava  mai  in  nessuna  speciale  disposi- 
zione, il  che  riconosceva  non  essere  officio  suo,  e  perciò  non  se  ne  occupava  ; 
e  non  troverete  nemmeno  una  parola,  nella  lunga  sua  predicazione,  che  possa 
offrir  pretesto  di  accusarlo  d'  esser  venuto  meno  a  questo  proposito.  Mirabile 
è  la  chiarezza  con  cui  egli  vedeva  la  distinzione  fra  1'  ufficio  del  Religioso  e 
del  Politico! 

Il  padre  Marchese  con  molta  giustezza  osservava  che  molti  che  scrissero 
di  Fra  Girolamo  Savonarola  non  considerarono  se  non  quella  parte  della  sua 
vita  che  si  versò  nelle  pubbliche  faccende  dello  Stato;  ma  costoro  per  questo 
caddero  in  molti  errori  giudicando  il  grande  oratore  e  profeta  e  non  solo  non 
presentarono  gran  fallo  la  vita  intima  di  quello;  ma  non  seppero  per  alcun 
modo  intenderne  1'  opera,  nè  politica,  nè  religiosa,  riè  morale.  Un  altro  errore 
affine  a  quello  di  colesti  monocoli  a  noi  pare  che  sia  quello  di  coloro  che  pure 
studiando  Fra  Girolamo  nel  suo  complesso,  allorché  entrano  nella  politica,  im- 
maginano e  presuppongono  che  Fra  Girolamo  fosse  e  abbia  voluto  essere  il 
legislatore,  il  reggitore,  il  dittatore  della  Repubblica  Fiorentina  e  che  in  lui  si 
debba  trovare  quanto  s'  aspetta  da  un'  assemblea  costituente  e  da  un'  assem- 
blea legislativa  e  dal  polere  esecutivo,  giudiziario;  e  poi,  leggendone  le  predi- 
che e  non  vedendoci  tuttociò,  dicono  eh'  egli  non  seppe  precisare  o  colorire  il 
suo  disegno,  impedito  dalla  mente  che  aveva  confusa  ed  agitata. 

Guardando  bene  la  cosa,  a  noi  pare  che  si  possa  semplicemente  sottoscri- 
vere alla  sentenza  dello  Storico  delle  Signorie  Italiane,  nostro  veneratissimo 
maestro:  «  Il  Savonarola  comprendeva  che  il  presentare  un  disegno  di  governo- 
fìsso  e  compiuto  non  era  quello  eh'  egli  nè  dovesse,  nè  potesse  fare.  Egli  circa 
i  particolari  della  città  non  si  estendeva  ».  (')  Io  stimo  in  gran  parte  non  a 
proposito  nè  gli  elogj,  nè  le  critiche  fatte  da  molti  e  valenti  scrittori  al  Sa- 
vonarola come  politico.  Se  nella  mente  sua  avesse  un  compiuto  e  partico- 
lareggiato disegno  di  legislazione  io  non  lo  so,  chè  egli  non  lo  mise  fuori, 
e  incessantemente  ripeteva  non  esser  ciò  ufficio  suo.  Quello  che  si  sa  è 
eh'  egli  possedeva  la  filosofia  del  Vangelo  e  voleva,  come  oggi  Leone  XIII,  che 
«  la  filosofia  del  Vangelo  governasse  gli  stati  e  che  la  forza  e  la  sovrana  in- 
fluenza dello  Spirito  Cristiano  entrasse  bene  addentro  nelle  istituzioni,  nei 
costumi  dei  popoli  e  in  tutti  gli  ordini  e  rami  degli  stati;  che  la  religione  di 
Gesù  Cristo  posta  solidamente  in  quell'onorevole  grado  che  le  conveniva 
traesse  su  fiorente  all'  ombra  del  favore  de'  Principi  e  della  dovuta  protezione 
de'  Magistrati  ;  che  procedesse!-  concordi  il  Sacerdozio  e  1'  Impero,  stretti  av- 
venturosamente fra  loro  per  amichevole  reciprocanza  di  servigi.  •*>  E  tutto  que- 
sto voleva  per  il  bene  comune  della  città  e  la  salute  delle  anime.  Ma  questo 


(')  Pag.  667,  nota  3. 

I 


—  334  - 


non  si  chiama  politica  nel  senso  che  ora  diamo  a  questa  parola,  e  chi  predica 
questo  al  popolo  non  si  potrà  certo  dire  che  esca  dai  limiti  segnati  al  bandi- 
tore dell'Evangelo,  e  s'implichi  in  negozi  secolari. 

Qui  per  noi  appar  chiaro  un'  altra  volta  quanto  bisogno  abbia  il  tempo 
nostro  dello  spirito  di  questo  Frate;  imperocché  per  molti  segni  mi  sembra 
che  la  missione  degli  uomini  dabbene,  nell'  età  nostra  sia  di  render  cristiani 
gli  stati,  come  già  gl'individui  e  la  famiglia;  e  perciò  ne  pare  incalcolabile  il 
vantaggio  che  si  avrebbe  se  i  banditori  della  paiola  divina  prendessero  in  questo 
ad  esemplare  il  Riformatore  di  Firenze.  Felice  la  Chiesa  se  di  questi  politici  ne 
avesse  molti,  felice  la  Chiesa  e  fortunato  il  popolo  cristiano  !  Ed  a  quanto  af- 
fermiamo consentirà  anche  il  Pastor.  Infatti  egli,  appoggiandosi  al  Frantz, 
scrive  che  «  la  Riforma  politica  non  era  che  una  parte  della  grande  impresa 
che  il  Savonarola  avea  divisato:  i  suoi  disegni  comprendevano  puranco  la  vita 
sociale,  la  scienza,  1'  arte,  la  letteratura.  A  tener  testa  al  paganesimo  del  falso 
rinascimento  bisognava  in  tutti  gli  ordini  della  vita  riporre  in  seggio  il  cristia- 
nesimo. Il  suo  Evviva  Cristo  doveva  passare  di  bocca  in  bocca;  il  codice  di- 
vino essere  la  norma  suprema  della  vita  politica  e  sociale,  scientifica  éd  ar- 
tistica. In  questo  senso  Cristo  venne  proclamato  Re  di  Firenze  e  vindice  della 
sua  libertà  ». 

E  a  pagina  142  scrive  che  il  Savonarola  si  era  immischiato  col  risorgi- 
mento politico,  massimamente  perchè  la  religione  ne  avesse  a  vantaggiare:  lo 
stato  doveva  con  mezzi  coattivi  opporsi  alla  corruzione  ed  effettuare  un  rin- 
novamento religioso  e  morale.  (*)  Per  negare  che  questo  ufficio  fosse  lecito 
al  grande  oratore  fiorentino  bisognerebbe  anche  negare  che  abbia  ragione 
il  nostro  Pontefice,  allorché  nella  Enciclica  sulla  Costituzione  degli  Stati  dice 
autorevolmente:  «  Giudichiamo  esser  cosa  di  suprema  importanza  e  tutta  al 
caso  del  Nostro  Ministero  Apostolico  confrontare  le  moderne  teorie  sociali  con 
le  dottrine  cristiane:  per  il  qual  mezzo  confidiamo  che,  facendosi  largo  la 
verità,  abbiano  a  sparire  gli  errori  e  le  dubbiezze,  in  guisa  che  torni  facile  di 
conoscere  le  principali  norme  di  condotta,  alle  quali  conviene  che  ognuno  si 
attenga  ed  obbedisca  ». 

E  in  quella  sulla  Questione  Operaia  :  «  Entriamo  fiduciosi  in  questo  ar- 
gomento e  di  nostro  pieno  diritto,  giacché  trattasi  di  questione,  di  cui  non  è 
possibile  trovare  uno  scioglimento  che  valga,  senza  ricorrere  alla  religione  e 


(')  Questa  proposizione  però  ci  pare  difficilmente  conciliabile  con  quella  che  si  legge 
nella  pagina  antecedente  141,  che  in  Firenze  «  l'idea  religiosa  prese  forma  politica*. 
11  Savonarola  non  si  sognò  mai  di  trarre  la  religione  alla  politica  ;  ma  si  bene  voleva  trarre 
questa  a  quella.  Non  era  la  rcligiono,  in  altri  termini,  che  dovesse  diventare  politica;  ma 
era  la  politica  che  doveva  farsi  religiosa,  e  servire  alla  religione;  quindi  l'affermare  che  in 
Firenze  l'idea  religiosa  prendeva  forma  politica,  è  per  lo  meno  poco  chiara  a  non  vediamo 
come  si  possa  del  tutto  conciliare  colla  proposizione  riportata  nel  testo,  la  quale  ci  sembra 
assai  più  vera  di  questa.  Anche  il  Cipolla  scrive:  «  Vedeva,  il  Savonarola,  che  la  politica 
era  la  molla  con  cui  muovere  i  Fiorentini,  e  la  usò.  Difatti  la  riforma  politica  gli  apri  la 
via  iu  Firenze  alla  morale  ».  {Archivio  Veneto,  Vili,  p.  60.) 


—  335  — 


alla  Chiesa.  E  poiché  la  cura  della  religione,  e  la  dispensazione  dei  mezzi 
che  sono  in  poter  della  Chiesa,  è  affidata  principalmente  a  Noi,  ci  parrebbe 
di  mancare  al  Nostro  officio,  tacendo.  Certamente  la  soluzione  di  si  arduo 
problema  richiede  il  concorso  e  l'efficace  cooperazione  anche  di  altri:  vo- 
gliam  dire  dei  governanti,  dei  padroni  e  dei  ricchi,  ed  eziandio  deyli  stessi 
proletarj  che  vi  sono  direttamente  interessati  :  ma  senza  esitazione  alcuna  af- 
fermiamo che,  ove  sl  prescinda  dall'azione  della  Chiesa,  tutti  gli  sforzi  torne- 
ranno vani.  Difatti  la  Chiesa  è  quella  che  trae  dal  Vangelo  dottrine  atte  a 
comporre,  o  certo  a  rendere  assai  meno  aspro  il  conflitto  :  essa  procura  con 
gì'  insegnamenti  suoi,  non  pur  d' illuminare  la  mente,  ma  d' informare  la 
vita  e  i  costumi  d'ognuno:  essa  con  un  gran  numero  di  benefiche  istituzioni 
migliora  le  condizioni  medesime  del  proletario  :  essa  vuole  e  brama  che  i 
consigli  e  le  forze  di  tutte  le  classi  sociali  si  collegllino  e  cospirino  insieme  a 
fin  di  provvedere  il  meglio  che  sia  possibile  agl'interessi  degli  operai:  e  crede 
che  entro  i  debiti  termini  debbano  volgersi  a  questo  scopo  le  stesse  leggi  e 
l'autorità  dallo  Stato  ». 

Ora  io  che  mi  pigliai  il  gusto  di  paragonare  la  dottrina  politica  e  sociale 
che  si  trova  nel  Savonarola  con  quella  del  Pontefice,  oso  dire  che  nel  severo 
Riformatore  di  Firenze  non  si  trova  nulla  che  non  sia  compreso  in  questo 
monumento  di  sapienza.  Le  Opere  del  Frate  di  San  Marco  sembrano  un 
commento  e  non  altro  delle  Encicliche  pontificie,  e  col  tempo  ho  fiducia  di 
mostrarlo  a  tutti  coloro  che  lo  vorranno  vedere,  e  spero  che  nessuno  potrà 
contradirmi.  Stando  così  le  cose,  noi  crediamo  intanto  di  poter  concludere 
che,  considerate  tutte  le  circostanze  di  modo  e  di  tempo,  Fra  Girolamo,  trat- 
tando e  impacciandosi  dello  Stato  di  Firenze,  non  uscì  dalle  spettanze  del  re- 
ligioso, nè  andò  oltre  all'ufficio  suo  di  sacro  predicatore,  ma  quanto  fece  egli 

10  fece  di  pien  diritto,  e  con  buon  zelo  operò  nella  vigna  del  Signore  secondo 

11  suo  ministero  sacerdotale.  Onde  crediamo  doversi  rigettare  la  sentenza  del 
Pastor,  che  dice  che  il  Savonarola  «  dall'  indole  sua  passionata  e  dalle  sugge- 
stioni della  sua  calda  fantasia  si  lasciò  trascinare  assai  oltre  i  limiti  che  a  lui 
come  prete  e  religioso  erano  assegnati  ».  (Pag.  377.) 

Parlino  pure  gli  storici  della  sua  vita  politica,  ma  ripetano  col  Cardinale 
Capecelatro  :  «  Il  pensiero  supremo  della  sua  vita  politica  fu  che  il  governo 
dello  Stato  fosse  innanzi  tutto  Cristiano  ;  ond'è  che  le  sue  più  care  speranze 
erano  che  Cristo  regnasse  Lui  negli  Stati  d'Italia».  (l)  Qui  sta  realmente 
tutta  la  sostanza  dell'  opera  politica  del  nostro  Frate. 


(*)  Vita  di  San  Filippo  Neri,  libro  II,  cari.  V. 


XX. 


Segue  sulla  politica  del  Savonarola 

2. 

FRA  GIROLAMO,  LA  LEGA  E  CARLO  Vili. 

Sommario. 

Come  generalmente  3'  accusi  il  Savonarola  d'aver  contato  troppo  sopra  Carlo  Vili,  ed  eccitato  in  Fi- 
renze le  passioni  politiche.  — L'  accusa  formulata  ilei  Pastor.  —  Nostra  esitanza  e  nostra  opinione. 
—  L'  affermazione  degli  avversarj  non  confortata  da  alcuna  prova  buona.  —  Fra  Girolamo  non 
ritenue  che  farlo  Vili  avesse  assolutamente  a  riformar  la  Chiesa,  nè  consigliò  aperto  che  si 
contasse  sopra  di  quello  neanche  per  le  cose  dello  Stato.  —  Un  documento  gravissimo.  —  Il 
duca  di  Ferrara  al  Savonarola.  —  Il  Savonarola  al  dnca  di  Ferrara.  —  Fin  Girolamo  segue  il 
lume  della  fede  e  ta  causa  con  Cristo.  —  La  Lega  e  il  Savonarola.  —  Cu  documento  che  prova 
poco,  come  lo  si  chiosi.  —  Il  Savonarola  messo  volontario  a  Carlo  VIII.  —  Kelazione  al  po- 
polo Fiorentino.  —  L'  autorità  di  Piero  Parenti  contradetta  dalla  predica  delle  rivelazioni.  — 
Espliciti  asserti  del  Frate.  —  Conclusione. 

Ma  in  questa  materia  possiamo,  se  non  venire  a  particolari  propriamente 
detti,  almeno  uscire  in  qualche  modo  dall'accuse  affatto  indeterminate  e  vaglie, 
cioè  insignificanti,  o  quasi.  Comunemente  si  scrive  che  il  Savonarola  contò  so- 
verchiamente, per  la  sua  riforma,  sopra  Carlo  Vili,  tenne  Firenze  vòlta  alla  parte 
francese  contro  la  Lega  allora  ricostituitasi  con  a  capo  Alessandro  VI  per  resi- 
sistere  alle  voglie  della  Francia;  e,  come  da  molti  si  vuol  provare  che  ciò  fu 
in  parte  un  suo  errore,  (l)  e  si  tiene  da  tutti  per  la  prima  radice  della  sua 
ruina,  cosi  da  alcuni  si  trae  quindi  argomento  per  accusarlo  d'aver  eccitato  le 
passioni  politiche  e  di  aver  fatto  cosa  non  conforme  al  suo  ufficio  di  religioso 
e  di  predicatore  della  parola  di  Dio.  Il  Pastor,  è  inutile  dirlo,  sta  con  la  gene- 
ralità degli  storici.  Egli  scrive  che  il  Savonarola  faceva  parlare  Iddio  in  buona 
parte  giusta  i  preconcetti  de'  Fiorentini  circa  il  Re  di  Francia  ;  e  a  pagina  140 
nota  con  l'  Hofier  che  «  volle  identificare  la  sua  causa  con  quella  del  Re  di 


(')  Cfr.  Cipolla,  Archivio  Veneto,  VIII,  pag.  63-64. 


—  337  — 


Francia  (pag.  147),  e  col  Meier  e  col  Ranke  afferma  senza  meno  che  «  quasi 
in  ogni  predica  c'era  il  ritornello,  doversi  far  lega  con  la  Francia  »;  e  sog- 
giunge quindi  «  essersi  chiarito  che  l'adesione  de'  Fiorentini  alla  lega  non 
aveva  altro  nemico  più  dichiarato  che  il  Savonarola  »  ;  e  come  ciò  non  ba- 
stasse, scrive  ancora  che  il  Frate  incitava  Firenze  alla  politica  francese,  ed  anzi 
egli  «  era  l'anima  della  parte  francese  in  Firenze  »  :  e  a  pag.  348  mette  il 
colmo  a  tutte  queste  asserzioni  scrivendo,  che  «  il  Savonarola  come  patroci- 
natore della  lega  con  Carlo  Vili  si  arrogava  pure  una  immediata  divina  mis- 
sione ». 

Non  senza  molta  esitazione  oso  qui  andar  contro,  non  pure  all'opinione 
del  Pastor,  sibbene  di  un  numero  quasi  infinito  di  scrittori.  Allo  stato  in  cui 
mi  trovo  nello  studio  delle  cose  attinenti  al  Savonarola  non  credo  audace  nè 
presuntuoso  affermare  che  il  Savonarola  della  Lega  e  della  parte  francese  non 
si  occupò  punto,  almeno  in  pubblico,  e  eh' è  esagerato  l'affermare  ch'egli  iden- 
tificasse la  sua  causa  con  quella  di  quel  Re,  vano  ed  effemminato.  Son  ben 
lontano  dal  credere  e  dal  dire  che  il  Savonarola  fosse  avverso  alla  Francia 
od  a  Carlo  Vili  :  (*)  ma  non  trovo  eh'  egli  si  adoperasse  a  tener  vòlto  il  popolo 
a  quella  parte,  e  tanto  meno  che  ve  lo  incitasse.  Questa  sarebbe  stata  di 
quella  politica  della  quale  il  Frate  di  San  Marco  non  voleva  fare.  Tutto 
quello  ch'io  trovo  aver  fatto  il  Savonarola  sta  nell'essersi  adoperalo  perchè 
Carlo  Vili  non  saccheggiasse  la  città,  non  facesse  male  ai  Fiorentini,  non 
ispegnesse  la  Repubblica,  rimettendovi  la  tirannide:  mantenesse  i  patti  giurati 
in  Firenze,  come  da  parte  sua  li  manteneva  la  città. 

Coloro  che  affermano  con  tanta  sicurezza  la  cosa  che  leggemmo  ora  nel 
Pastor,  quali  prove  danno?  Nessuna  che  sia  convincente,  definitiva,  e  nem- 
meno forte. 

Alessandro  VI  diceva,  per  esempio,  al  Bonsi  ch'egli  conosceva  che  i  Fio- 
rentini non  erano  per  ispiccarsi  dal  Re  di  Francia,  e  che  ogni  cosa  facevano 
col  suo  consentimento  ;  ma,  per  tutta  prova,  asseriva  d'averglielo  detto  l'oratore 
veneziano.  (2j  E  il  Pellegrini,  che  segue  l'opinione  comune,  scrive  nell'Archivio 


(')  E  come  siamo  lungi  dal  pensare  che  Fra  Girolamo  l'osse  avverso  alla  Francia  ed  a 
Carlo  Vili,  cosi,  pensando  alla  vita  di  Firenze  che  pare  si  esplichi  tutta  sotto  l'impulso  del 
Frate,  non  siamo  alieni  dal  concedere  che  i  suoi  rapporti  con  Carlo  Vili  e  le  cose  dette  di 
lui,  possano  aver  avuto  una  qualche  efficacia  sugli  animi  dei  Fiorentini  anche  riguardo  alla 
Lega.  Ma  di  ciò  chi  potrebbe  a  ogni  modo  far  colpa  al  Frate  ?  La  questione  presente  non 
ista  qui,  sì  bene  se  il  Frate  nella  sua  azione  politica  uscisse  dal  campo  conveniente  al  reli- 
gioso e  al  predicatore  cristiano,  come  1'  accusano  il  Pastor  ed  il  Grisar,  e  incitasse  i  Fioren- 
tini alla  alleanza  con  la  Francia  e  non  li  lasciasse  entrar  nella  Lega.  Del  resto,  andando  in- 
nanzi, apparirà  forse  che  nemmeno  quanto  noi  qui  saremmo  disposti  a  concedere  è  provato. 
Forse  s'accosterebbe  più  alla  verità  chi  dicesse  che  il  Savonarola  si  mostrò  con  Carlo  Vili 
quale  si  sarebbe  mostrato  con  ogni  altro  principe  che  avesse  lasciato  sperare  di  pigliarsi  la 
cura,  che  doveva,  della  Chiesa,  e  di  aiutare  la  Repubblica  di  Firenze,  senza  alcuna  considera- 
zione per  altre  cose  o  rapporti.  Se  anche  uno  de'principi  della  Lega  avesse  mostrato  di 
pigliarsi  qualche  pensiero  della  Riforma  del  Frate  di  San  Marco,  egli  lo  avrebbe  avuto  subito 
nelle  sue  grazie. 

(2)  Anche  il  Perrens  nel  volume  II  dell'  llisloire  de  Florence,  pag.  212,  scrive  :  «  Savona- 

22 


-  338  — 


JelUi  Società  Romana  di  Storia  Patria,  XI,  pag.  711,  che  «  il  Papa  credeva,  e  non 
senza  buon  fondamento,  che  a  quest'amicizia  per  Francia  li  avesse  indotti,  i 
Fiorentini,  e  ora  ve  li  confermasse  la  parola  di  quel  Frate  »,  ma  a  mostrarci 
questo  buon  fondamento,  egli,  ch'è  pure  in  generale  diligentissimo,  non  adduce 
alcuna  prova  nemmeno  minima.  Lo  stesso  giudizio  dobbiamo  portare  de'  do- 
cumenti che  nel  Cappelli  sono  segnati  co' numeri  81,  82  e  di  altri.  Essi  con- 
tengono supposizioni,  e  nulla  più  :  di  prova  neanche  un  principio  che  valga  la 
pena  di  essere  esaminato  e  discusso.  Il  Pastor,  quasi  a  confortare  l'autorità 
del  Meier  e  del  Ranke,  cita  anche  la  pagina  52  del  Cappelli,  ma  anche  qui 
l'egregio  critico  si  appoggia  sopra  il  nulla,  o  almeno  sopra  un  mero  ipotetico. 
Infatti,  col  documento  pubblicato  dal  Cappelli,  a  cui  ci  rimanda  il  Pastor,  il 
Manfredi  scrive  al  Duca  di  Ferrara  semplicemente  così:  «  Che  il  Frate  tiene, 
a  quel  che  si  alice,  il  popolo  fiorentino  alla  vòlta  di  Francia,  dimostrandogli 
che  questo  re  cristianissimo  abbia  omnino  a  riformare  la  Chiesa  ed  essere  vit- 
toriosissimo in  questa  sua  impresa  ».  A  quel  che  si  dice;  dunque  il  Manfredi 
dal  Savonarola  non  lo  aveva  inteso;  eppure  egli  correva  alle  prediche  di  lui, 
e  assai  spesso  aveva  con  lui  colloquio,  nè  questa  era  cosuccia  da  nulla  cui 
l'oratore  estense  dovesse  trascurare  di  conoscere  bene,  se  l'avesse  potuto,  e 
accertarsene.  Ciò  significa  che  di  questa  faccenda  sin  qui  il  Savonarola  non 
s'  era  aperto  con  nessuno  ;  e  che,  a  più  forte  ragione,  in  pubblico  non  ne  aveva 
parlato  ;  e  avrà,  al  più,  dato  qualche  consiglio,  cosa  non  certo  contraria  all'uf- 
ficio de!  buon  religioso,  nè  tale  da  giustificar  l'espressione  che  abbiamo  letta 
nel  Pastor.  (')  Ma  nemmeno  questo  sì  ha.  il  diritto  di  farci  credere,  che  nulla  ce 

10  prova  ;  e  andando  avanti  troveremo  cose  le  quali  ci  faranno  forse  opinare 

11  contrario. 

Ma  v'ha  di  più;  anche  senza  uscire  dai  documenti  del  Cappelli,  noi  rac- 
cogliamo non  solo  che  il  Savonarola  non  aveva  predicato  in  modo  assoluto  che 


rola  pousse  à  1'  alliance  de  Charles  Vili,  abrite  ses  conseils  sous  le  couvert  de  la  Vierge  Ma- 
rie.... »;  ma  di  prova  nemmeno  un'ombra,  sebbene  in  quest'  opera  sia  solito  di  documentare 
ogni  cosa  con  molta  diligenza;  anzi  a  pag.  169  scrive  che  «  Savonarola  voulait  que  la  Repu- 

blique  restàt  neutre  ». 

(')  In  un  dispaccio  del  Manfredi  al  Duca  di  Ferrara  con  la  data  de'19  novembre  1497 
crediamo  di  trovare  una  prova  molto  caratteristica  della  opinione  che  sosteniamo.  Ecco  le 
testuali  parole  del  dispaccio:  €  Fra  Hieronimo  mi  disse  —  che  in  questo  giorno  era  stato 
a  lui  un  fiorentino  nominato  Nicolò  de  Cesare,  uomo  adoperato  per  la  Maestà  doli' Imperatore 
in  Italia,  il  quale  lo  aveva  visitato  per  parte  di  prenominata  Maestà  estendendosi  poi  in  per- 
suadergli per  parte  di  essa,  che  la  Paternità  Sua  faria  buona  opera  e  molto  utile  a  questo 
popolo  quando  la  confortasse  queste  brigate  a  pigliare  la  volta  della  Lega  e  non  si  confi- 
dare più  nelle  vano  promesse  de'  Franzosi.  Al  quale  el  mi  disse  che  «li  aveva  riposto:  che 
'1  non  se  travagliava  di  queste  cose  di  Stato  o  che  '1  conosceva  i  Fiorentini  di  prudenza  tale 
che  ben  (senza  suo  ricordo)  saperiano  pigliare  quel  bon  partito  al  latto  loro  che  conosceranno 
essere  necessario  al  bisogno  e  caso  loro  ;  dicendomi  etiam  che  'l  conosceva  che  questo  tal  uomo 
tra  mandato  per  chiarirsi  se  lui  si  travagliava  iti  queste  cose  di  stato,  forse  per  appuntarlo  per 
gualekt  modo  con  gravezze  e  carico  ».  (Cappelli,  Doc.  loò).  Ora  se  in  quasi  ogni  predica  c'era 
il  ritornello,  doversi  far  lega  con  li>  Francia;  o  comechessia  il  Frate  confortava  il  popolo 
Fiorentino  a  starsi  con  Carlo  Vili,  quale  bisogno  v'era  di  scandagliarlo  a  questo  modo, 
per  vodore  se  lui  si  travagliava  in  queste  coso  di  Stato?  E  come,  in  ogni  caso,  sarebbe  stato 
possibile  che  il  Savonarola  desse  un  tale  significato  alla  visita  singolare? 


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Carlo  Vili  dovesse  ad  ogni  modo  riformar  la  Chiesa ,  ma  il  contrario  ;  e  che 
proprio  non  ardiva  di  consigliar  aperto  che  si  dovesse  contare  sopra  costui, 
nemmeno  per  ciò  che  riguarda  gli  Stati.  Infatti  al  documento  segnato  col  nu- 
mero 100  leggiamo  che,  a  preghiera  di  Manfredi,  fattagli  a  nome  del  duca  di 
Ferrara,  il  Savonarola  rispondeva  semplicemente  :  «  Che  l' Italia  avrà  da  pa- 
tire esterminio  e  gran  ruina,  e  similmente  che  la  Chiesa  si  ha  a  riformare  in- 
dubitatamente, se  bene  non  venisse  il  re  di  Francia,  perchè  cosi  è  la  volontà 
di  Dio  ».  E  ne'  documenti  segnati  con  i  numeri  107  e  108  si  vede  anche  me- 
glio il  pensiero  del  Frate.  Il  Savonarola  aveva,  sì,  creduto  che  Carlo  Vili  avesse 
l'obbligo  e  la  missione  di  adoperarsi  alla  riforma  della  Chiesa,  (*)  e  che  «  per- 
ciò non  credeva  senza  pericolo  abbandonarlo,  perchè  non  era  ancora  ripro- 
vato, ma  solo  ingannato  da' suoi,  e  se  avesse  voluto  avrebbe  fatto  ancora  grandi 
cose  e  spacciato  ognuno  »,  cose  tutte  difficili  a  contestarsi  ;  ma  egli  soggiun- 
geva letteralmente  :  «  Non  credo  però,  e  questo  dico  da  me,  che  fosse  male 
usare  qualche  astuzia  con  gli  avversarj,  per  non  entrare  in  qualche  pericolo, 
infino  che  Dio  gli  aprirà  gli  occhi.  Noi  aiuteremo  la  cosa  con  le  orazioni.  Saria 
dall'  altra  parte  buono  aiutarla  con  la  prudenza,  con  qualche  fidato  che  gli 
potesse  parlare  sicuramente  e  aprirgli  gli  occhi.  Vorria  esser  persona  religiosa 
e  saputa,  che  credesse  queste  cose.  Questo  non  si  vuole  conferire  a  persona, 
peixhè  non  mi  sono  allargato  qui  in  questa  cosa  ancora  con  alcuno.  Ma  la  fede 
vostra  ha  meritato  questo  secreto  dal  Signore,  nel  quale  solo  vi  dovete  con- 
fidare, facendo  i  rimedj  opportuni  circa  il  ben  vivere  vostro  e  de'  vostri  ; 
perchè:  «  E  maledetto  l'uomo  che  confida  nell'uomo  e  fa  suo  appoggio  imbraccio 
di  carne  ».  (*) 

Questo  è  indubbiamente  uno  de'  più  gravi  documenti  che  si  sian  pubbli- 
cati intorno  al  Frate,  forse  il  più  grave,  ed  ha,  in  ispecie  se  si  tien  1'  occhio 
all'  illustrazione  che  riceve  dall'  antecedente,  un  valore  molto  serio.  Ora  che 
dice  esso?  Che  «  la  maestà  del  Re  di  Francia  non  s'era  mai  mutata  d'opinione 
di  non  volere  ad  ogni  modo  fare  la  impresa  d' Italia  e  di  passarle  in  persona, 
benché  i  ministri  suoi  facciano  ciò  che  possono  per  levarlo  da  questa  disposi- 
zione ».  Quindi  il  Frate,  come  prudente,  avvisa  esser  pericoloso  il  lasciarlo;  ma 
intanto  insiste  che  non  si  manchi  di  fare  provvigioni  umane,  e  raccomanda  di  non 
fidarsi  nell'  uomo,  anche  se  fosse  sollecitato,  come  dovrebbe  sollecitarsi,  da 
persona  religiosa  e  saputa.  Ma  con  tutto  ciò  raccogliamo  un'altra  cosa:  «  Que- 
sto  non  si  vuole  conferire  a  persona,  perchè  non  mi  sono  allargato  qui  in  questa 
cosa  ancora  con  alcuno  ».  Eppure  già  siamo,  notatelo,  nel  marzo  del  1497. 


(1)  Questo  è  facilmente  spiegabile  per  chi  pensi  che  tutti  i  principi  secolari,  secondo  il 
Savonarola,  in  conformità  dei  sacri  canoni,  erano  uno  dei  muri  della  Chiesa  e  aviebber  do- 
vuto curarsi  di  mantenerla  e  rifarla  bella  (vedi  la  pred.  fatta  a  di  13  gennaio  1494),  e  che  il  re 
cristianissimo,  Carlo  Vili,  capo  d'una  potentissima  nazione  e  con  un  esercito  bene  agguer- 
rito, circondato  da  molti  cardinali  col  Della  Rovere'ai  fianchi,  lasciava  continuamente  capire 
che  lo  avrebbe  fatto;  e  1'  aveva  forse  anche  promesso  al  Savonarola  e  glielo  andava  ripe- 
tendo per  mezzo  di  suoi  autorevoli  personaggi.  Vedi  Commim-s  Jlemoires  specialmente  il 
lib.  Vili,  passim. 

(2)  Geremia  c.  XVII,  v.  5. 


—  340  — 


Anche  più  specchiatamente,  se  è  possibile,  si  raccoglie,  che  il  Savonarola 
non  aveva  designato  in  modo  assoluto  Carlo  Vili,  come  destinato  riformatore 
della  Chiesa,  nè  a  compiere  altra  impresa  notevole,  dal  documento  120:  esso 
è  una  sagacissima  lettera  del  duca  di  Ferrara  al  Frate,  e  fra  l'  altro  dice  ap- 
punto questo:  «  Nelle  opere  vostre  non  abbiamo  veduto  che  il  Re  di  Francia  di 
necessità  abbia  ad  essere  quello  che  faccia  le  cose  che  hanno  a  seguire,  chè 
quando  anche  questa  cosa  fosse  stata  predetta  da  voi,  e  che  l'avessimo  intesa, 
non  saremo  anche  in  essa  mancati  di  crederla  gagliardamente  come  facemo 
le  altre  ». 

Di  più,  l'accorto  Duca  avendo  chiesto  al  Frate  che  gli  volesse  aprire  e  cer- 
tificare quello  che  sentiva  e  che  era  l'opinione  sua  circa  le  cose  del  prefato 
re  di  Francia,  e  che  profitto  l'abbia  a  fare;  s'ebbe  in  risposta  una  lettera 
molto  significativa  che  può  ben  servir  di  chiosa  ai  documenti  or  ora  veduti; 
Essa  è  pubblicata  dal  Villari,  doc.  XXX,  pag.  CXXXIV.  Eccola  testualmente: 

«  Ill.me  et  exc.me  Dux.  La  elezione  del  Ministro  di  Dio  a  me  è  stata 
sempre  monstra  condizionata;  et  insino  a  questa  ora  presente  non  ho  visto 
di  lui  alcuna  riprobazione.  Di  queste  cose  non  si  può  pigliare  se  non  tanto 
quanto  Dio  dà,  et  a  quello  ci  bisogna  stare  contenti.  Onde  è  scritto:  Altiora 
te  ne  qucesieris,  et  fortiora  te  ne  scrutatus  fueris.  Et  lo  Apostolo  :  Non  sapere 
plusquam  oportet  sapere,  sed  sapere  ad  sobrìetatem.  Il  nostro  Signore  Dio  vuole 
che  noi  stiamo  in  timore  et  in  umiltà;  e  che  ci  confidiamo  in  lui,  non  negli 
uomini;  col  quale  se  noi  seremo  daccordo,  non  ci  bisogna  temere  cosa  al- 
cuna; dicendo  el  Spirito  Sancto  nelli  Proverbii:  Cum  placuerint  Domino  viae 
eius,  inimicos  quoque  eius  convertet  ad  pacem.  La  Excellenzia  Vostra  non  im- 
puti a  negligenzia  la  tardità  del  rispondere  a  quella;  ma  al  desiderio  di  sati- 
sfargli a  pieno,  per  il  quale  ho  fatto  orazione  molti  giorni.  Ora  non  ho  potuto 
altramente  rispondere  che  come  la  legge  in  questa  carta:  Gratìa  et  pax  Do* 
mini  nostri  Jesu  Christi  sit  semper  vobiscum,  amen.  A.  V.  S.  mi  ricommando. 
«  Florentige,  die  29  augusti  1497  ». 

Mi  pare  che  difficilmente  si  possa  parlare  più  chiaro,  e  se  il  Pastor  e 
1'  Hòfler  e  gli  altri  avessero  un  poco  pensato  a  questo  documento,  certe  pro- 
posizioni forse  non  le  avrebbero  messe  fuori.  Quello  a  cui  il  Savonarola  an- 
dava dietro  e  quello  cui  voleva  che  seguitasse  il  popolo  era,  non  Carlo  VIII, 
ma  il  lume  della  fede;  e  la  sua  causa  non  con  un  uomo  la  identificava,  ma 
con  Cristo.  (*) 

Parlando  con  riguardo  speciale  alla  Lega  parrebbe  avere  un  certo  valore 
il  documento  77,  una  lettera  del  Manfredi  in  data  22  giugno  1495  che  dice: 
«  Il  nostro  Fra  Girolamo,  ritornato  dal  Re,  ieri  fece  una  predica  alla  quale  in- 
tervenne il  signor  duca  d'  Urbino,  promettendo  a  questo  popolo  che  indubita- 


(')  Cfr.  Cipolla,  Storia  delle  Signorie,  pag.  712-743. 


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tamente  gli  succederla  in  efTecto  tutto  quello  che  e'  gli  ha  promesso  e  predetto 
ai  giorni  passati  a  suo  beneficio,  mostrando  avere  trovato  la  Maestà  del  Re 
ben  disposta  verso  questa  città.  Di  che  esso  popolo  ne  vive  con  ottima  spe- 
ranza.... » 

Ma  anche  questo  documento  dice  ben  poco,  e  non  prova  nulla  di  quanto 
asseriscono  certi  scrittori  della  Vita  del  Savonarola,  e  delle  cose  di  lui.  Per 
chiosarlo  bene  basta  pensare  al  momento  storico  in  cui  siamo  e  veder  la  pre- 
dica cui  il  Manfredi  accenna,  che  è  la  XXII  sopra  i  Salmi.  Carlo  Vili  ri  riti- 
rava dal  Napoletano  per  tornare  in  Francia,  e,  mentre  ai  Fiorentini  chiedeva 
con  insistenza  denaro,  non  si  mostrava  per  nulla  pronto  a  mantenere  gli  ob- 
blighi ch'egli  pur  s'era  imposto,  anzi  pareva  volesse  rimettere  nel'a  città 
Piero  de'  Medici  che  veniva  con  lui  alla  volta  di  quella  ;  e  a  dì  12  giugno  1495 
eran  pure  intercettate  lettere  a  Pier  Corsini,  nelle  quali  il  Medici  gli  significava 
la  buona  speranza  che  aveva  di  ritornare  in  Firenze  mediante  il  favore  del 
Cristianissimo  Re.  La  Lega  brigava  anch'  essa  con  tutte  le  sue  forze:  gli  amba- 
sciatori della  Repubblica  non  riuscivano  a  nulla  di  buono  e  concludente  presso 
il  Re.  Il  Frate  nella  XXX  sopra  i  Salmi  dice,  che,  come  quando  il  Re  era  in 
Firenze  tutti  gridavano:  A  sacco,  a  sacco  Firenze:  guadag ne rassi  un  gran  te- 
soro; così  del  pari,  quando  il  Re  tornò  indietro,  tutti  dicevano:  a  Firenze,  a 
Firenze.  (4) 

Il  popolo  di  Firenze  ne  fremeva,  e  come  per  incanto  s'  era  tutto  armato, 
onde  non  era  niente  difficile  che  pigliasse  da  un  momento  all'altro  qualche 
deliberazione  seria  e  piena  di  pericolo  per  sè  e  per  Carlo  VIII,  sdegnatissimo  alla 
sua  volta  ancor  esso  al  vedere,  al  suo  avvicinarsi,  la  città  tutta  mettersi  in  armi 
come  all'  avvicinarsi  di  un  nemico.  In  questa  Fra  Girolamo,  che  aveva  saputo 
scrivere  nobili  e  libere  parole  a  Carlo  VIII,  osò,  dacché  tutti  gli  occhi  erano 
un'  altra  volta  rivolti  a  lui,  osò  presentarsi  un'altra  volta  al  Re  per  salvare 
la  Repubblica  dal  pericolo  che  correva,  per  risparmiare  il  sangue  che  potevasi 
spargere,  e  per  iscongiurare  il  nuvolo  dalla  sua  patria  adottiva:  non  dubitando 
per  ciò  di  esporsi  egli  spontaneamente  al  pericolo  di  cadere  nelle  mani  dei 
suoi  nemici  ed  esserne  morto.  E  nel  colloquio  avuto  con  la  Maestà  del  Re  a 
Castel  Fiorentino  riusci,  almeno  in  parte,  neh'  intento.  Ora  in  tutto  ciò  che  fece 
il  Frate  presso  il  popolo?  quale  incitamento  adoperò  per  tenerlo  in  lega  con  la 
Francia?  Al  popolo,  se  guardate  bene  la  predica  XXII  sopra  i  Salmi,  che  è 
quella  appunto  che  recitò  dopo  il  suo  ritorno  dal  campo  e  in  cui  pur  sembra 
•che  riferisca  la  sua  ambasciata,  dice  eh'  ei  portava  buone  novelle;  e  venendo 
più  al  particolare:  *  Or  su  non  vi  pare  questa  una  buona  novella,  che  Firenze 
abbia  cominciato  a  viver  bene,  e  ritornare  alla  vita  Cristian  a?  Perchè  la  più 


(')  Si  temeva  (nota  anche  il  prof.  Cipolla,  parlando  dulia  venuta  dol  Ite  di  Francia)  che 
•Carlo  ordinasse  di  porre  a  saccheggio  Firenze.  Il  Frate  placò  1'  adirato  principo  e  lo  ridusse 
ad  accettare  i  capitoli.  (Archivio  Veneto,  Vili  pag.  56.)  Vedi  anche  la  predica  XXVI,  Sopra 
Ruth  e  Michea.  Cfr.  Landucci,  pag.  72-87. 


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vera  felicità  che  sia  è  il  ben  vivere,  e  dove  si  vive  bene  e  con  timore  di  Dio- 
quivi  è  la  vera  felicità.  Io  sono  stato  al  campo,  che  è  come  essere  nell'  infer- 
no; se  non  fosse  maggior  pena  che  quella  saria  bene  assai.  Non  ti  venga  già 
voglia  d'  esser  gran  maestro,  perchè  non  hanno  mai  un'  ora  di  bene  ;  e  vai 
più  una  consolazione  d'  una  predica,  e  starti  quieto  nella  tua  pace,  che  non 
vale  ogni  loro  cosa  e  tutte  le  consolazioni  che  possono  aver  loro.  Inoltre  non 
ti  pare  ancora  buona  novella,  che  Iddio  abbia  levato  il  nuvolo  di  dosso  a  te  e 
mandartelo  adosso  ad  altri  »? 

E  pure  insistendo  il  popolo  per  sapere  qualche  cosa  di  più,  per  aver 
particolari  relativi  all'  ambasceria  sua....,  rispose  egli  :  «  Io  non  sono  stato 
vostro  ambasciatore:  io  non  ho  avuto  commissione  da' Signori,  nè  da' Dieci, 
benché  io  sia  stato  pregato  da  alcuni  amici  miei.  Sì  che  non  essendo  io  stata 
mandato  da  voi,  io  non  ho  a  riferire  a  voi;  io  ho  riferito  bene  a  colui  che 
mi  ha  mandato.  Or  su,  io  ti  voglio  pur  dir  questo:  Io  sono  andato,  e  ho 
seminato  il  grano  e  buona  semente  nascerà  al  tempo  suo,  e  voi  la  ricor- 
rete e  mangerete....  —  Padre  questa  è  una  parabola  :  noi  vorremmo  sa- 
pere più  distintamente.  —  Or  su  io  sono  contento,  quando  saremo  in  questa 
predicazione  a  un  certo  punto  che  ci  starà  bene  e  cadrà  in  proposito,  di 
esporti  questa  parabola  ».  E  a  un  certo  punto  dice  al  popolo  che  gli  vuol 
riferire  quello  che  egli  ha  fatto  in  questa  andata  al  re  di  Francia  e  continua  ; 
«  Io  vi  ho  detto  di  sopra,  come  io  non  sono  andato  vostro  ambasciatore;  ma 
chi  mi  ha  mandato,  lui  sa  quello  che  io  ho  fatto;  e  pure  voi  mi  domandate: 
—  che  hai  tu  fatto?  —  io  ho  seminato  semente  buona  che  nascerà  al  tempo 
suo,  e  voi  ne  ricorrete  e  mangerete.  —  Ma,  Padre,  questa  parabola  è  oscura: 
ditecela  più  chiaramente  e  diteci  per  chi  voi  siete  andato.  —  Io  sono  andato 
per  te  e  per  amor  tuo  e  non  per  me:  vedi  quanto  amore  io  ti  porto,  che  io  mi 
sono  messo  a  pericolo  della  vita.  Credi  tu  che  io  mi  mettessi  a  pericolo  della 
vita  se  io  non  sapessi  certo  quello  che  io  dico?  io  mi  metto  ancora  a  pericolo 
della  fama  per  te,  perchè  se  non  venisse  quello  che  io  t'  ho  detto,  avendo  tu 
scritto  tutte  queste  cose  per  tutto,  e  però  io  sarei  infamato  per  tutto  e  non 
avrei  dove  fuggire.  Credi  adunque  che  io  non  ti  parlo  senza  gran  fondamento; 
nè  senza  esser  chiaro  e  certo  di  quello  che  io  ti  dico.  Io  parlai  alla  Sua  Mae- 
stà e  dissigli  cose  che  se  lui  le  osserverà  buon  per  lui,  per  1'  anima  sua,  per 
il  regno  suo  e  per  i  suoi  :  (*)  e  perchè  io  lo  dissi  a  lui  lo  voglio  dire  ancor  qua 


(')  Cf.  le  prediche  II  e  VI  sopra  i  Salmi  e  potrai  anche  da  quello  per  analogia  argomen- 
tare che  cosa  Fra  Girolamo  dicesso  al  Ue  a  con  quanta  Libertà  gli  parlasse,  e  quanto  buon 
zelo  movesse  il  Frate  in  queste  sue  andate.  Nella  XXIV  leggiamo  ancora:  «Voi,  figliuoli 
state  allegri,  Iddio  vi  badato  tanto  bene  spirituale,  che  vale  più  che  non  avete  perduto.  — 
Oh!  noi  abbiamo  perduto  Pisa.  —  lo  ti  dico  che  tu  hai  guadagnato  molto  più  che  tu  non  hai 
perduto.  E'  vale  molto  più  il  bene  che  oggi  si  fa  qui,  che  ciò  che  tu  hai  perso;  ben  che  io  ti 
dico  che  Pisa  è  tua;  e  che  tu  l'abbi,  ed  è  tua  di  ragione,  e  riavraila  senza  scrupolo  di  co- 
scienza. E  se  colui  che  la  tiene,  non  te  la  renderà  per  amore,  lo  farà  per  forza,  e  sarà  tuo  amico 
per  forza.  Lascia  pur  fare  a  Dio,  che  sa  bene  come  lui  ha  a  fare...,  »  Cfr.  Landucci,  pag.  108-109. 


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acciocché  tutto  il  mondo  il  sappia  perchè  se  non  farà  quello  che  io  gli  ho 
detto,  quando  gli  avverrà  poi  quello  che  gli  ho  annunziato,  lui  e  ognuno  si  ri- 
cordi di  questo  Frate.  Io  gli  ho  detto  che  bisogna  che  lui  stia  bene  con  i  Fio- 
rentini; e  che  faccia  bene  a' Fiorentini:  e,  se  non  lo  farà  per  amore,  che  Iddio 
glie  lo  farà  fare  per  forza:  se  e'  lo  farà  bene  per  lui:  se  non  lo  farà  male  per  lui  ; 
e  anche,  se  non  lo  farà,  io  gli  ho  detto  in  particolare  quello  che  gli  avverrà,  e 
cosi  e  così.  Le  quali  cose  io  non  voglio  dire  qua,  che  non  sta  bene,  e  gli  ho 
detto  che,  se  e'  non  lo  farà  per  amore,  Iddio  lo  farà  venire  in  tanta  angustia 
che  si  umilierà  e  lo  farà  poi  per  forza.  Lui  ha  udito  con  mansuetudine,  e  io 
anche  gli  ho  parlato  modestamente,  ma  vivo,  e  hammi  promesso  di  fare,  e  lo 
ha  promesso  ancora  a  te;  e  te  lo  dico  uir  altra  volta  acciocché  tutto  il  mondo 
lo  intenda,  che  se  lui  non  osserverà  quello  eh'  egli  mi  ha  promesso  per  amore, 
lui  me  lo  osserverà  per  forza.  E  sarà  colui  che  parla  in  me,  cioè  Iddio  che 
glie  lo  farà  fare  e  non  io:  certi  si  credono  andare  in  un  luogo  che  loro  si 
hanno  proposto  in  mente,  ed  alle  volte  vanno  poi  in  un  altro.  Iddio  li  piglia 
per  il  naso  e  li  conduce  dove  vuole.  Ma  io  ti  dico  bene  prima  che  se  non  fos- 
sero state  le  tue  mormorazioni  che  tu  avresti  ora  avuto  quello  che  io  t'  ho 
detto:  tu  hai  tanto  mormorato  a  questi  dì  che  è  dispiaciuto  a  Dio.  Non  attri- 
buire il  male  tuo  a  persona  o  alla  infedeltà  di  quello  o  di  queir  altro,  per- 
chè tu  solo  ne  sei  cagione;  non  sai  tu?  i  figliuoli  di  Moisè  mormorarono  e 
furono  puniti  nel  deserto.  Figliuoli  miei,  non  mormorate,  voi  avete  detto  tante 
bugie  a  questi  di  eh' è  una  vergogna,  e  questi  arrabbiati,  io  non  so  chiamarli 
altrimenti,  io  uso  i  tuoi  vocaboli,  hanno  tanto  mormorato  e  detto  tante  bugie 
che  hanno  fatto  indignare  Iddio:  costoro  diferiscono  assai  il  bene  tuo,  o  Fi- 
renze. Secondo,  un'altra  cosa  ancora  impedisce  assai,  e  questi  sono  i  tuoi 
maligni  cittadini;  sono  pochi  però  che  cercano  malignare:  io  vi  prego  oramai 
che  vogliate  emendarvi.  Tu  sai  che  oramai  io  ti  conosco  e  tu  pure  ti  becchi  il 
cervello,  e  sai  che  io  t'ho  detto  che  vi  hai  a  rovinare  sotto  se  tu  vi  ti  metti: 

10  te  1'  ho  detto  tante  volte,  e  pure  pare  che  tu  abbi  perduto  il  cervello,  questo  le- 
gno oramai  avria  inteso  e  conoscerla  che  questa  è  cosa  divina  e  non  umana. 
Terzo,  il  timore  troppo  eccessivo  ti  nuoce  assai  ;  voi  avete  avuto  troppo  spa- 
vento, e  Messer  Dominedio  è  adirato  e  dice:  guarda  gente  che  non  si  confida 
in  me  e  ha  poca  fede.  Non  vi  dissi  io  che  non  bisognava  che  voi  aveste  tanta 
paura?  Perchè  io  vi  ho  detto  che  Iddio  è  venuto  a  governar  lui  questa  città, 
lui  e  gli  angeli  suoi.  Quarto,  io  vi  dico  che  vi  nuoce  anche  assai  che  ci  sono 
molti  che  a  loro  pare  essere  amici  de' grandi  che  saranno  poi  inimici:  tale  gli 
pare  essere  inimico  che  sarà  amico;  perchè  verrà  che  tu  che  ti  pare  essere 
amico  sarai  inimico  e  tu  che  ti  pare  essere  inimico  sarai  amico:  chiosa  questa 
parola  a  tuo  modo.  Questa  sia  la  conclusione,  che  Iddio  ha  aperto  la  mano 
a  questo  primo  barbiere,  cioè  al  Re  di  Francia  e  gli  ha  dato  ciò  che  ha  voluto 
in  Italia:  ma  se  non  farà  quello  che  io  gli  ho  detto,  io  ti  dico,  e  intendalo  lutto 

11  mondo,  che  Iddio  tirerà  la  mano  a  sé.  E  se  non  farà  quello,  ho  detto  a'Fio- 
rentini  per  amore,  avremo  in  ogni  modo  tutto  o  per  amore  o  per  forza:  unitevi 
tutti  insieme  in  una  vera  pace  e  non  dubitate  che  avremo  in  ogni  modo  ogni 


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cosa.  Le  armi  nostre  hanno  ad  essere  le  orazioni  e  i  digiuni:  facciamo  pur 
tutti  orazione  e  preghiamo  Iddio  che  mandi  presto  ».  (l) 

Ecco  qui  adunque  tutto:  ma  che  si  trova  qui  che  anche  dalla  lontana 
possa  giustificare  le  asserzioni  degli  storici  in  generale  e  quelle  del  Pastor  in 
ispecie?  Io  non  vi  vedo  nulla:  le  parole  più  significative  sono  quelle  nelle  quali 
il  Frate  riferisce  aver  egli  detto  al  Re  che  e*  bisogna  che  stia  bene  con  i  Fio- 
rentini ;  son  quelle  che  già  gli  aveva  scritto  nella  famosa  lettera  pubblicata 
dagli  amici  della  Lega;  (*)  ma  ognun  vede  che  si  possono  e  devono  semplice- 
mente intendere  per  un  richiamo  del  Re  di  star  fedele  a'  patti  giurati,  resti- 
tuire le  terre  e  le  castella  a  Firenze  e  non  trattare  co'  nemici  di  essa,  co'  ti- 
ranni; proprio  come  esplicitamente  già  gli  aveva  scritto  e  ripetuto  altre  volte. 
Ma  qui  non  troviamo  davvero  incitamento  al  popolo  di  tenersi  vòlti  a  parte 
francese:  di  ciò  il  Frate  non  parla  nemmeno  in  questa  predica:  nella  quale 


(')  A  proposito  di  questi  barbieri,  non  sarà  fuori  di  proposito  notare  che  Fra  Girolamo, 
parlandone,  non  aveva  sempre  e  solo  la  mente  fisa  in  Carlo  Vili.  Infatti  nella  XXV  sopra  i 
Salmi,  ricordando  ciò  che  aveva  detto  di  essi,  soggiunge  :  «  Ultimamente  vi  dissi  che  era 
venuto  il  primo  barbiere,  che  verriano  gli  altri....  Non  intendere  però  ch'egli  abbia  a  venire 
prima  uno  barbiere  e  poi  un  altro  successive,  e  che  non  possano  venire  ancora  insieme....  » 

(2)  Questa  lettera  porta  la  data  del  26  maggio  1495  e  venne,  come  abbiam  detto,  pub- 
blicata dai  nemici  del  Frate,  e  ciò  allo  scopo  di  movergli  contro,  dice  il  Villari,  lo  sdegno 
della  Lega.  E  il  Savonarola  si  lagnò  di  questa  pubblicazione  nella  predica  XXVI  Sopra  i 
Salmi  recitata  a' di  28  luglio  1495:  «  Quella  lettola,  ch'io  scrissi  al  Re  di  Francia  è  stata 
messa  in  stampa  senza  averlo  io  inteso  ;  ed  e' vi  fu  molti  errori.  Io  prego  la  Signoria  del 
Reverendo  Vicario,  che  non  lasci  mettere  in  stampa  queste  cose,  se  non  sono  prima  da  lui 
rivedute;  e  che  questi  stampatori  non  le  piglino  senza  il  segno  del  Vicario  e  sua  licenza  ». 
Qui,  più  che  il  vedere  nel  Savonarola  il  precursore  della  Congregazione  dell'  Indice  (il  Pa- 
stor nota  che  il  primo  editto  di  censura,  che  si  ìiferisca  alla  stampa,  è  di  Alessandro  Vie 
porta  la  data  de' 10  giugno  1501),  a  noi  ora  par  importante  osservare  che  il  Frate  di  San 
Marco  diceva  queste  parole  mentre  prometteva  al  popolo  di  mettere  alle  stampe  le  principali 
cose  fino  allora  predicate,  affinchè,  come  soggiungerà  poi  nel  Compendio  di  Rivelazioni,  i  suoi 
nemici  non  gliele  alterassero  e  guastassero.  Copie  non  corrotte  di  questa  lettera,  disap- 
provata cosi  dal  Savonarola  perchè  contenente  molti  errori,  non  crediamo  che  se  ne  abbiano. 
E  perciò  crediamo  che  possa  aver  qualche  pericolo  decidere  la  questione  che  ci  occupa, 
poggiati  solo  a  tale  documento.  Ma  come  si  potrebbero  conoscere  gli  errori  di  questa  let- 
tera, lamentati  dal  Savonarola,  meglio  ohe  dal  vedere  questa  o  quella  asserzione  non  con- 
forme, ma  contraria  ai  fatti  accertati?  Ora  ivi  il  nostro  Frate  scriverebbe  «  che  i  Fioren- 
tini sono  fra  tutti  i  popoli  d'Italia  amici  e  confederati  di  Vostra  Corona,  massime  per  le 
nostre  predicazioni  »;  ma  noi  leggendo  le  predicazioni  del  Savonarola  non  trovammo  mai 
ch'egli  confortasse  i  Fiorentini  a  tale  confederazione;  anzi,  come  vedremo  anche  meglio  an- 
dando avanti,  troviamo  tutto  l'opposto.  Dunque?  La  conseguenza  è  facile  a  trarsi  special- 
mente se  si  pensa  al  fine  prossimo  ed  unico  per  il  quale  gli  avversari  del  Frate  ne  pubbli- 
carono lo  scritto.  Quando  si  volesse  ad  ogni  modo  tenere  per  autentiche  le  parole  riportate, 
se  non  si  vuole  (e  chi  ardirebbe  di  farlo?)  tacciare  il  Savonarola  di  menzognero,  bisognerebbe 
spiegarle  solo  nel  senso  cho  il  Frate  avendo  distolto  l'animo  del  Re  dal  proposito  di  sac- 
cheggiar Firenze,  e  piegatolo  ad  accettare  i  capitoli,  e  poi  a  partire  pacificamente  dalla 
città,  si  poteva  in  qualche  modo  ritenere  come  il  principio  e  lo  strumento  dei  patti  con- 
clusi. O  forse  anche  poteva  tenersi  tale  nel  senso  che  aveva  impedito  fin  qui  colle  sue  pre- 
dicazioni, che  si  facesse  tirannia;  la  quale  ove  fosse  avvenuta,  con  propabilità  Firenze  si  sa- 
rebbe accostala  ai  nemici  della  Francia,  come  lascia  chiaramente  apparire  a  Sua  Maestà 
in  questa  lettera  medesima.  (Vedi  più  innanzi  in  questo  stesso  capitolo  un  passo  della  XIX 
«opra  Ruth  e  Michea.)  Altro  senso  vero  non  è  possibile  di  dare  a  quelle  parole;  e  perciò, 
se  tal  lettera  può  in  qualche  guisa  spiegare  come  siasi  perpetuato  il  giudizio  che  il  Frate 
volgesse  alla  Francia  la  Repubblica  e  ve  la  tenosso  fissa,  non  lo  può  in  alcuna  guisa  giusti- 
ficate. (Cf.  Cipolla,  Archivio  Veneto,  Vili,  pag.  64.) 


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anzi  invita  il  suo  popolo  a  confidar  in  Dio  più  che  negli  uomini  se  vuole  aver 
buona  fortuna,  e  lo  rimprovera  d'aver  troppo  mormorato  e  diffidato  e  temuto, 
e  perciò  gli  dice  che  ancor  non  ha  quella  felicità  che  dovrebbe  avere. 

Ma  una  più  forte  obiezione  io  mi  sento  levar  contro:  essa  è  tratta  dalle 
Storie  Fiorentine  di  Piero  Parenti.  Egli  afferma  esplicito  che  nelP  urtarsi  che 
facevano  Fra  Domenico  da  Ponzo  e  Fra  Girolamo,  questi  «  in  favore  parlava 
de' cittadini  i  quali  il  Re  di  Francia  seguitavano  ».  E  venendo  più  al  parti- 
colare, scrive  senza  meno  che  «  a  dì  primo  aprile,  che  fu  la  Ottava  di  Nostra 
Donna,  Frate  Jeronimo,  poiché  dato  ebbe  grandissima  aspettazione  per  tale 
di  che  pronuncierebbe  cose  gratissime  a  questa  città,  presente  un  gran- 
dissimo popolo,  affermò  come  veduto  aveva  i  gigli  insieme  unirsi  e  del  Re 
di  Francia  e  il  nostro,'  e  come  a  fiorire  maravigliosamente  avevano,  ancorché 
delle  difficoltà  a  nascere  ci  avessero;  ma  il  fine  sarebbe  per  l' una  parte 
e  per  l' altra  ottimo.  E  che  la  Chiesa  omnino  si  riformerebbe  ed  in  per- 
fetto slato  si  ridurrebbe.  Ultimamente,  gaudio  e  letizia  immensa  alla  città 
nostra  ed  alla  Maestà  del  Re  di  Francia  seguirebbe.  Questo  per  alcun 
modo  non  mancherebbe,  imperocché  così  in  cielo  determinato  essere  veduto 
aveva.  Queste  promessioni  maravigliosamente  piacquono  al  nostro  popolo,  e 
grandissimo  conforto  dettono  alle  nostre  affannate  menti;  aspettandosi  lo  ef- 
fetto il  quale  indubitatamente  per  molli  si  credea,  massime  predetto  avendo 
lui  molte  altre  cose  a  punto  riuscite  e  di  niente  mancate....  »  (*) 

Questo  passo,  specialmente  se  si  pensa  alle  cose  che  nel  Parenti  im- 
mediatamente lo  precedono  e  segi'cno,  mentre  parrebbe  di  una  forza  deci- 
siva, fu  invece  quello  che  ci  diede  occasione  a  sospettare  che  il  comun 
giudizio  errasse  un  poco  lungi  dal  vero;  e  che  tanto  ne' contemporanei  quanto 
ne'  successivi  che  scrissero  di  Fra  Girolamo  fosse  piuttosto  espresso  un  pen- 
siero loro,  che  cioè  il  Frate  così  volesse  dire,  che  non  il  vero  pensiero  di 
lui.  Infatti  noi  abbiamo  a  stampa  la  predica  alla  quale  il  Parenti  accenna;  e  leg- 
gendola vi  maravigliente  di  non  trovarvi  nulla  di  quanto  il  diligente  cronista 
vi  scrive:  anzi  di  trovarvi  il  contrario  di  quanto  vi  dice  rispetto  alla  Francia. 
Questa  predica  è  la  XXIX  sopra  Giobbe  «  fatta  martedì  primo  d'aprile  1495 
dopo  la  quarta  domenica  di  quaresima.  E  questa  fu  la  predica  di  rivelazioni 
fatta  il  di  della  Ottava  dell' Annuziazione  della  Vergine  ».  Ora  in  questa  si  leg- 
gono testualmente  le  seguenti  parole.  «  E  stendendo  la  mano  mi  porse,  la 
Vergine,  una  palla  ovvero  sfera  piccolina....  La  quale  palla  da  poi  che  io  ebbi 
aperta,  vidi  la  città  di  Firenze  tutta  fiorire  di  gigli,  i  quali  si  estendevano  so- 
pra i  merli  fuori  delle  mura,  da  ogni  parte,  molto  dalla  lunga:  e  gli  Angeli 
sopra  le  mura  intorno  intorno  la  guardavano.  Della  qual  cosa  io  allegrandomi 
dissi  :  Madonna,  certo  bene  conveniente  mi  pare  che  i  gigli  piccoli,  si  congiuri- 
ghino  con  i  grandi,  i  quali  in  questi  tempi  hanno  cominciato  ad  estendersi.  E 
Lei  a  questo  non  rispose;  ma  disse:  —  Figliuol  mio,  se  i  vicini  del  popol  Fio- 
rentino, i  quali  si  rallegran  del  male  della  città  di  Firenze,  sapessero  le  tribu- 


(')  Gheraidi,  Kuovi  Documenti,  pag.  122. 


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lazioni  che  hanno  a  venire  sopra  di  loro,  non  si  rallegrerebbero  del  male 
d'  altri;  ma  piangerebbero  se  medesimi,  perocché  sopra  di  loro  verranno  mag- 
giori tabulazioni  che  sopra  Firenze  ».  Or  qui  dove  potrebbesi  vedere  che  Fra 
Girolamo  consigliasse  di  star  saldi  neh'  alleanza  de'  Francesi?  Anzi  chi  non 
vede  che  il  Frate  recisamente  afferma  che  di  ciò  non  vuole  egli  occuparsi  ?  E 
quale  altro  senso  può  avere  il  silenzio  della  Vergine  alla  domanda  del  Frate 
se  non  questo,  che  nulla  egli  sapeva  e  diceva  della  alleanza  che  Firenze  avrebbe 
a  fare?  che  questo  non  era  ufficio  che  a  lui  appartenesse?  che  Dio  di  ciò  non 
lo  aveva  punto  illuminato?  (') 

Nè  questa  è  un'interpretazione  che  io  dia  di  mio  capo  a  tali  parole; 
ma  la  leggo  molto  spesso  nelle  prediche  del  Frate  tanto  chiara  e  aperta 
che  quasi  oserei  dire  che  quanto  sin  qui  affermai  come  timida  opinione  do- 
vrebbesi  cambiare  in  tesi  dimostrata.  Leggiamo  infatti  nella  XIII  sopra  i 
Salmi:  «  Firenze,  io  non  ti  predico  dello  stato:  io  non  ti  ho  detto  che  tu  fac- 
cia lega  se  non  con  Cristo:  nè  che  tu  ti  accordi  più  con  uno  che  con  un  altro: 
io  non  te  lo  dico  questo;  fa' tu  ora.  Io  ti  ho  detto  il  ministro  di  Cristo:  e  di- 
coti che  ne  verrà  ancora  degli  altri  barbieri  a  radere  l' Italia  e  Roma.  Non 
ti  ho  ancora  detto  da  chi.  —  Sailo  tu?  —  Sì  che  io  lo  so;  e  dicoti  che  i  prin- 
cipi d' Italia  non  hanno  rimedio  se  non  penitenza....  >  E  nella  predica  seguen- 
te :  «  Non  vi  ho  io  detto:  — Voi  non  avete  altro  rimedio  se  non  orazioni  e  pa- 
zienza, nè  tu,  nè  tutte  le  altre  terre  d' Italia?  E  non  varrà  loro  se  avessero 
un  milione  di  gente  d'arme;  io  dico  un  milione  di  squadre,  non  varrà  loro 
nulla,  e  se  avessero  le  rocche  di  diamanti  le  meluzze  le  butteranno  giù,  perchè 
non  vi  è  fortezza,  nè  sapienza  contro  Dio....  Or  facciamo  orazioni:  queste  sa- 
ranno le  nostre  armi,  i  nostri  cavalli,  i  nostri  danari.  Io  non  saprei  andare  con 
la  spada,  nè  la  saprei  tenere  in  mano.  Ma  noi  abbiamo  le  nostre  orazioni,  che 
sono  più  di  cento  milioni  di  ducati,  e  le  nostre  squadre  tutte  di  Angeli....  Voi 
avete  inteso  che  arme  voi  avete  a  adoperare,  cioè  1'  orazione....  Non  mormo- 
rate; tu  mormorasti  ieri,  che  io  dissi  che  non  ni'  impacciavo  dello  Stato,  e  dis- 
siti che  tu  facessi  lega  con  Cristo.  Io  non  faccio  più  stima  d'un  principe,  o 
d'  un  signore,  che  dl  un  altro  uomo,  o  di  me;  perchè  sono  tutti  uguali  a  me  in 
natura.  Bene  li  voglio  onorare  e  portare  riverenza  più  che  agli  nitri  uomini, 
perchè  sono  ufficiali  di  Dio,  e  tanto  me  ne  farla  d'  uno  quanto  d'  un  altro.  E 
dovrebbero  aver  caro  tutti  i  principi  dell'  Italia,  che  io  gli  ho  mostralo  la  via 
che  possano  scampare  questa  fortuna:  e  voglio  che  loro  restino  obbligati  a 
me,  non  già  che  io  voglia  da  loro  niente,  perchè  ho  maggior  salario  che  loro 
non  potriano  mai  darmi.  Se  mi  avesser  creduto  quelli  che  allora  erano  in  Fi- 

(')  Le  prediche  sopra  Giobbe  non  essendo  stato  raccolte  con  quella  precisione  e  inte- 
Critii  che  lo  altre,  può  forse  in  alcuno  nascere  il  sospetto  che  11  passo  trascritto  non  sia 
completo.  Ma  questo  dubbio  oltreché  non  avrebbe  vero  fondamento,  è  facile  dissiparlo.  In- 
fatti il  discorso  citato  lo  abbiamo  riprodotto  por  intiero  nel  Compendio  di  llivelazioni,  e  il 
passo  vi  si  riferisce  testualmente:  —  Iìecte  quidem,  Domina,  convenire  videntur  lìlìa parva  cum 
hti  proctrtoribtU,  quae  modo  ramos  estendere  caeperunt  —  Ad  guod  ipsa  nihil  respondens,  ita  m- 
biunxil:  t'Ui  mi,  ai  vicini  populi  Fiorentini,  ecc.  ». 


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reme  avviano  scampato  la  fortuna.  Io  ho  dato  a  ognuno  il  rimedio,  e  dicoti, 
Firenze,  se  tu  non  ti  darai  alla  via  di  Cristo  tu  non  farai  niente.  Io  non  ti  cerco 
di  dire  altro,  se  non  che  tu  vada  con  Cristo,  e  non  tengo  più  da  uno  che  da  un 
altro.  Bene  è  vero  che  ti  ho  detto  qualche  particolare,  e  chi  è  ministro  di  Cri- 
sto, per  illuminarti,  non  perchè  io  tenga  parte  per  nessuno.  Io  vorrei  impe- 
trare un  poco  dal  Signore  che  Lui  diminuisse  un  poco  di  queste  tribulazioni  ; 
in  che  modo  e  in  che  forma  io  non  ve  lo  voglio  dire  ora:  basti  eh'  io  vi  dica 
ora  così  in  genere:  il  modo  io  l'ho  nel  petto  mio.  E  però  fate  orazione  tutti 
insieme  uniti  almanco  la  sera  all'  Ave  Maria;  e  ognuno  sia  fervente  in  questa 
orazione  a  pregare  la  Vergine  che  ci  conceda  questa  grazia  che  io  domando  ». 
Nè  questo  basta:  nelle  altre  predicazioni  abbiamo  de' passi  anche  più  espli- 
citi :  Eccone  alcuni:  «  Noi  abbiamo  continuamente  a  combattere  con  li  scribi 
e  farisei:  non  te  ne  maravigliare:  perchè  Cristo  e  similmente  i  suoi  discepoli 
combatterono  con  loro:  questa  è  la  guerra  nostra.  Ma  tu  scrivi  a  Roma:  io  ti 
voglio  svergognare  in  presenza  di  questo  popolo:  come  el  viene  io  ti  aspetto. 
Inoltre,  costoro,  poi  che  non  possono  trovarmi  in  bugia  e  che  non  possono  im- 
pugnare apertamente  questa  verità,  vanno  cercando  delle  altre  vie  e  dicono  ; 
Questo  è  l'uomo  che  guasta  V  Italia:  questo  è  l'uomo  che  guasta  Firenze:  co- 
stiti è  quello  che  non  lascia  far  la  lega!  —  Che  ho  io  a  far  di  questo  io?  tu 
scriverai  ancora  questo!!  Se  tu  lo  scrivi,  io  te  lo  rimprovero  ancora  questo; 
perchè  me  ne  è  testimonio  tutto  il  popolo;  io  non  ini  impaccio  di  tua  lega; 
io  non  t'ho  mai  detto  che  tu  facci,  se  non  con  Cristo  e  te  l'ho  detto  qua  in 
pubblico.  Tu_  sai  che  in  privato  io  non  me  ne  impaccio,  e  non  te  ne  ho  voluto 
dir  mai  niente:  bene  ho  detto  che  si  faccia  orazione,  massime  in  queste  cose 
grandi;  e  poi  fate  i  vostri  consigli,  e  poi  quello  che  viene  stimate  che  sia  da 
Cristo;  e  se  voi  avete  fatto  orazione  e  sia  così  venuto,  io  credo  che  quello  che 
è  venuto  sia  da  Dio.  Dello  stato  tuo  tu  sai  che  non  mi  impaccio,  se  non  quanto 
è  la  pace  e  il  ben  vivere  del  popolo,  perchè  io  so  che  di  questo  Cristo  vuol 
così.  Ma  tu  vai  sempre  dicendo  male  e  sei  simile  a'  tepidi  scribi  e  farisei.  Tu 
dì:  —  Egli  è  costui  un  seduttore  del  popolo:  noi  non  vorremmo  che  si  im- 
pacciasse dello  Stato  :  questa  sua  dottrina  è  con  falsità.  Sciocco,  che  tu  se'  ».  (So- 
pra Amos,  XIX.)  E  nella  predica  XVIII  dello  stesso  quaresimale  recitata  nel- 
1'  Ottava  di  Pasqua:  «  Io  v'ho  detto  che  non  voglio  impacciarmi  di  vostri  governi, 
di  vostre  leghe  con  questo  o  con  quello,  ma  solo  mi  voglio  impacciare  della  pace 
universale  della  città  per  mantenerla  salda....  Quell'altro  viene  a  dire:  Io  vo- 
glio fare  una  provvisione.  Io  dico:  Non  me  ne  voglio  impacciare:  andate  a'ma- 
gistrati,  queste  non  son  cose  da  me:  io  voglio  solamente  fare  che  il  popolo  stia 
in  pace  e  che  non  vi  facciate  male  ». 

«  Io  vi  dico  che  Cristo  e  vostro  Re,  e  però  vi  ho  detto  più  volte  che  voi 
facciate  lega  con  Cristo,  e  che  vi  leghiate  con  lui.  Dell'altre  vostre  leghe  fatele 
con  chi  voUte,  che  io  non  me  ne  impaccio.  Attendete  pure  a  riformare  la  città  nel 
ben  vivere,  e  così  i  piccoli  come  i  grandi,  e  le  femmine  come  i  maschi  ».  (Sopra 
Ruth  e  Michea,  pred.  III.) 

«  Voi,  cattivi,  avete  scritto  per  tutta  Italia  che  io  fo  ogni  cosa  qua.  Oh!  se 


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io  avessi  questo  impaccio  io  non  potrei  avere  un'ora  di  bene....  Tu  sai  che  di 
tuo  stato  non  m'impaccio....  Quell'altro  diceche  io  ho  consigliato  che  eglino  stieno 
col  Be  di  Francia,  e  quell'altro  dice  con  la  Lega;  io  non  ho  parlato  sopra  questo. 
Ma  stanimi  un  poco  ad  udire  sopra  questo  punto.  Io  faccio  un  presupposto  che 
è  vero,  che  a  ligarsi  più  ad  un  signore  che  ad  un  altro  non  è  mai  venuto  da  te, 
e  non  te  l'ho  mai  consigliato,  ne  in  universali,  ne  in  particulari;  questo  lascio  fare 
a  voi.  Io  non  voglio  male  e  nessuno  principe.  E'  sono  alcuni  qua  che  mi  hanno 
ricerco  sottilmente,  a'  quali  avreipotuto  dire  il  mio  secreto,  e  non  ho  voluto.  Io  non 
voglio  dire  questo  a  persona.  Ma  se  avrete  fatto  male  o  bene,  il  fine  loderà  il 
tutto.  Io  non  voglio  che  nessuno  Principe,  Re  o  Signore  si  possa  gloriare  che  io 
abbia  declinato  più  da  uno  che  da  un  altro,  nè  favorito  persona  :  in  tanto  che  nes- 
suno mio  frate  sa  in  questo  il  mio  concetto,  e  non  l'ho  detto  nè  posso  dirlo.  E' biso- 
gna obbedire.  Io  vi  ho  detto  che  facciate  orazione  e  i  vostri  Consigli,  e  poi  fac- 
ciate quello  che  Dio  vi  ispira.  —  0  frate  tu  hai  pur  detto:  Gigli  e  gigli. — Tu  non 
lo  intendi  quello. —  0  frate,  tu  scrivesti  al  Re,  tu  dovevi  avere  intelligenza  seco. 
—  Io  scrissi  al  Re  quando  egli  era  qua  in  Italia.  Egli  era  bisogno  allora  di  scri- 
vergli e  scrissegli,  se  non  faceva  quello  che  doveva,  quello  che  gli  interverrebbe. 
Io  non  scrissi  per  compiacergli,  e  non  voglio  che  nessuno  Principe  nè  Signore 

10  possa  dire  che  io  lo  faccio,  che  io  scriva  per  alcun  premio.  Io  non  sono  uomo 
di  Stato.  Tu  hai  scritto  che  io  sono  uomo  di  Stato:  io  gli  ho  bene  saputo  ri- 
spondere.—0  frate,  ben,  che  ci  di'  tu? —  Io  non  dico  altro  se  non  che  al  levar 
delle  tende  si  conoscono  le  feste.  Fate  orazione  e  poi  i  vostri  Consigli;  ed  io  anche 
farò  orazione  per  voi,  e  quello  che  Dio  vi  inspirerà,  quello  fate.  Io  dico  bene 
questo,  che  il  tuo  male  viene  dal  tuo  mormorare  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea, 
pred.  XIX.) 

E  nella  predica  XXII  sopra  Ezechiele,  pur  consigliando  il  popolo  a  confi- 
darsi in  Dio  e  non  ne'  principi  del  mondo,  a  un  punto  fattosi  obietare:  «  — Tu 
ci  hai  tenuto  col  re  di  Francia  »,  risponde  deciso:  «  Io  non  ti  ho  già  detto 
questo,  che  tu  stia  con  nessuno:  questo  non  hai  potuto  aver  mai  da  me.  Io  ti 
ho  ben  detto  più  volte  che  in  queste  cose  tu  faccia  orazione  prima,  e  poi  i  tuoi 
Consigli,  e  dove  allora  Iddio  ti  adirizza  quello  facci.  Questo  è  quanto  io  ti  ho 
detto,  non  che  tu  faccia  lega  con  nessuno,  se  non  con  Cristo;  questo  non  ha 
potuto  mai  avere  uomo  alcuno  dalla  mia  lingua,  nè  in  pubblico  nè  in  privato.  Or 
su,  io  ti  ho  detto  tutte  queste  cose,  non  perchè  tu  faccia,  o  non  faccia;  ma  ti 
ho  discorso  così,  acciocché  tu  non  dica  male,  e  che  tu  non  depravi  le  cose 
di  Dio...  » 

Dopo  ciò  non  ho  altrimenti  bisogno  di  ricordare  le  molte  prediche  nelle 
quali  il  Savonarola  minaccia  Carlo  Vili;  le  prediche  nelle  quali  sgrida  e  minaccia 

11  popolo,  perchè  si  confida  meglio  nel  re  di  Francia  che  non  in  Cristo.  (')  Nè 


(')  Cf.  Cappelli,  (loc.  96,  e  Villari  voi.  I,  pag.  485,  e  Pellegrini  Archivio  della  Società  Ro- 
mana di  Storia  Patria,  voi.  XI,  pag.  715.  Quofit'  ultimo  accennato  ad  una  predica  che  il  Savo- 
narola fece,  confortando  il  popolo  a  sperare  più  nell'aiuto  divino,  che  noi  terreno,  e  in  parti- 
colare nelle  fallaci  promosse  di  Francia,  soggiunge,  che  ciò  non  impedi  che  l'agente  del 


I 


—  349  — 


ho  altrimenti  bisogno  di  rammentare  il  documento  64  del  Cappelli,  dal  quale 
appare  che  i  Fiorentini,  se  si  fossero  confidati  delle  offerte  e  larghe  promesse 
ch'eran  lor  fatte  per  il  duca  di  Milano,  senza  rispetto  alcuno  nel  giugno 
del  i 495  avrebbero  aderito  alla  Lega;  ma  per  l'esposto  'già  ci  sembra  di  non 
essere  soverchiamente  audaci  se  non  sottoscriviamo  la  sentenza  di  coloro  i  quali 
affermano,  che  Fra  Girolamo  faceva  parlar  Dio  giusta  i  pensamenti  de'  Fioren- 
tini circa  il  re  di  Francia:  che  volle  identificare  la  causa  sua  con  quella  d'esso  re; 
che  quasi  in  ogni  predica  c'era  il  rifornello  doversi  far  Lega  con  la  Francia;  che 
l'adesione  de'  Fiorentini  alla  Lega  non  aveva  alcun  altro  nemico  più  dichiarato  del 
Savonarola;  che  il  Frate  incitava  Firenze  alla  politica  francese;  eh'  era  l'anima 
della  parte  francese  in  Firenze;  che  il  Savonarola  come  patrocinatore  della  Lega 
con  Carlo  Vili  si  arrogava  pure  un'immediata  divina  missione;  nè  ci  sembra 
d'esser  troppo  audaci  se  a  costoro  chiediamo  che  vogliano  darci  qualche  prova 
di  tali  asserzioni.  Noi  crediamo  all'autorità  e  alla  tradizione  storica,  ma  quando 
queste  non  contradicano  all'evidenza  de'  fatti. 


Moro  non  interpetrasse  in  tutt'  altro  senso  le  sue  parole  dandone  notizia  al  suo  signore, 
che  è  quanto  dire  a  Roma.  Intatti,  come  notalo  stesso  Pellegrini,  il  Somenzi  a  di  28  ottobre 
149G  scriveva  al  Moro,  e  informandolo  della  predica  del  Frate  diceva:  «Sopra  tutto  esortò 
questo  popolo  a  volere  star  saldo  alla  tede,  cioè  del  re  di  Francia  (licet  eh'  egli  non  lo  dica) 
ed  ha  affermato  che  tutto  quello  che  ha  predetto  delle  cose  future  sarà  vero  senza  manco  ». 
Qui  si  può  in  qualche  modo  capire  come  questa  storia,  alla  stessa  guisa  delle  altre  che  po- 
tevano mettere  il  povero  Frate  in  disgrazia  di  Alessandro  VI,  si  andasse  propagando.  E  la 
solita  malizia  da  diavolo  degli  avversarj  dell'onesto  predicatore!! 


XXI. 


Segue  sulla  politica  del  Savonarola 

3. 

TRA  GIROLAMO  E  l'  UNIONE  E  LA  GIUSTIZIA  POLITICA  NELLA  CITTÀ  DI  FIRENZE. 


Sommario. 

X,' accuse  cV  intemperanza  escandescenza  e  crudele  fanatismo.  —  Leggerezza.  —  Innocenza  del  Savo- 
narola. —  TJn  articolo  del  Grisar.  -  Compito  degli  avversari  del  frate.  —  Una  domanda  oppor- 
tuna. —  Caluunie,  e  autodifesa  del  Savonarola.  —  Le  fazioni  in  Firenze  all'  uscita  de'  Medici. 
—  Sforzi  del  Frate  per  dar  la  quiete  alla  città,  e  suoi  frutti.  —  Il  Savonarola  voleva  Firenze 
ad  immagine  della  Gerusalemme  Celeste.  —  Insistenze  per  la  legge  della  pace  —  Il 
Frate  vuole  l'unione  degli  animi.  —  Durezza  di  Fiorentini.  —  Cenno  all'arte  diabolica  usata 
dagli  avversar)  del  nuovo  governo.  —  I  Fiorentini  non  vogliono  lasciar  gli  odj.  —  GÌ'  Israeliti 
e  i  Fiorentini,  Mosè  e  Fra  Girolamo.  —  L'  accusa  di  crudeltà.  —  Metodo  da  condannarsi.  — 
Cose  vere  e  incensurabili.  —  Difesa  magra.  —  Libertà  nella  repubblica  di  Firenze,  e  pene  dei 
turbatori  dell'ordine  pubblico  nel  secolo  XV.  —  Un  principio  vero  e  un  falso  supposto.  —  Uf- 
ficio del  predicatore  cristiano  e  Leone  XIII  —  Il  torto  di  F'ra  Girolamo.  —  Breve  epilogo  e 
conclusione. 

Ma  noi  abbiamo  altre  cose  da  dire  e  altre  accuse  da  esaminare.  Col  detto 
fin  qui  non  è  intieramente  giustificato  Fra  Girolamo  in  tutto  ciò  che  fece  nel 
campo  politico;  sopra  di  lui  religioso,  e  che  però  doveva  esser  ministro  di  pace, 
gravita  un'accusa  che  potrebbe  anche  da  sola  oscurarne  sensibilmente  la  fama. 
Egli,  dicono,  fu  causa  di  politiche  discordie  (*)  e  usò  a  volte  un  linguaggio 
niente  affatto  conforme  ad  un  ministro  di  pace. 

Il  critico  d' Innsbruck  comincia  dal  dire  (pag.  140)  essere  innegabile,  che 
il  Frate  di  S.  Marco  con  tutta  la  sua  azione  ridestò  non  solo  le  passioni  politi- 


(')  Per  vedere  con  quanta  insistenza  gli  avversar)'  del  Savonarola  ripetesser  l'accusa 
ch'egli  teneva  divisa  la  citta,  basta  darò  uno  sguardo  ai  Nuovi  Documenti  o  .specialmente  ai 
pubblicati  dall'illustre  Alessandro  Gherardi,  negli  articoli  VI,  VII,  VIII;  ed  è  poi  questo 
fatto  chiarissimo  dal  Breve  pontificio  du'lO  ottobre  149"),  dalla  lettera  del  Savonarola  ad  un 

■amico,  e  da  molte  prediche. 


—  351  — 


che  (*),  ma  sè  stesso  infiammava  fino  all'esaltamento  politico;  e  poi,  seguendo, 
aggiunge:  <  Anche  dichiarati  ammiratori  del  Savonarola  debbono  convenire  che 
egli  non  di  rado  sul  pergamo  lasciavasi  trasportare  ad  un  linguaggio  null'affatto 
conveniente  ad  un  ministro  della  pace.  (2)  Così  nella  sua  predica  contro  le  tu- 
multuarie assemblee  popolari,  tanto  spesso  abusate  dai  Medici,  i  così  detti  par- 
lamenti, diceva:  —  Se  quello  volessi  fare  parlamento  sarà  dei  Signori,  gli  sia 
«  tagliato  il  capo  ;  se  è  altro,  sia  rubello  e  confiscatogli  tutti  i  beni.  Quando  i 
«  signori  voglion  far  parlamento,  subito  s'intenda  non  essere  più  signori,  e 
«  ognuno  li  possa  tagliare  a  pezzi  senza  pecca.  —  Fu  il  28  luglio  1495  che 
il  Savonarola  si  lasciò  cosi  sopraffare  dalla  sua  passione  politica.  Due  settimane 
dopo,  la  sua  proposta  era  elevata  a  legge!  Allorché  nell'ottobre  dopo  la  ritirata 
di  Carlo  Vili,  i  Medici  fecero  un  tentativo  di  rientrare  in  Firenze,  il  Savonarola 
in  Chiesa,  sul  pergamo,  col  Crocifisso  in  mano,  consigliava  apertamente  e  ad 
alta  voce  di  mettere  a  morte  quelli  che  volessero  ristabilire  la  tirannide.  Alle 
parole  seguì  l'effetto.  Quattro  giorni  dopo  si  vinceva  una  provvigione,  che,  men- 
tre rimetteva  la  taglia  sopra  i  Medici,  era  quasi  un  generale  eccitamento  alle 
armi  ». 

E,  ciò  non  bastando,  a  pag. 318  il  critico  ribatte  ancorai!  medesimo  chiodo: 
«  Portato  dal  favore  del  popolo,  il  focoso  domenicano  ingaggiò  una  formale 
guerra  di  esterminio  contro  tutti  i  suoi  avversari;  nel  suo  fanatismo  trascorse 
tant'oltre,  che  in  una  predica,  preso  in  mano  il  Crocifisso,  chiese  la  morte  per 
tutti  coloro  che  volessero  ristabilire  in  Firenze  la  tirannide  ».  E  a  pagina  350  il 
severo  accusatore  è  da  capo,  accrescendo  la  dose:  «  Il  Savonarola,  incalzando 
i  pericoli  da  parte  di  Piero  de'  Medici  alla  città  di  Firenze,  messo  da  banda  ogni 
riguardo,  era  di  nuovo  tornato  sul  pergamo  agli  1 1  ottobre,  per  dare  animo  ai 
cittadini  ed  infiammarli  a  combattere  contro  il  tiranno.  Un'altra  volta  dal  luogo 
santo  ad  alta  voce  consigliò  la  morte  per  tutti  coloro  che  favorissero  il  ritorno 
de'  Medici:  —  «  Bisogna  usare  con  costoro,  come  fecero  i  Romani  contro  quelli 
«  che  volevano  rimettere  Tarquinio.  Tu  che  non  vuoi  aver  riguardo  a  Cristo, 
«  vuoi  averne  ai  privati  cittadini?  Fa  giustizia,  ti  dico  io.  Tagliali  il  capo,  e  sia 
«  pure  il  maggiore  della  casa  sua  quanto  si  voglia:  tagliali  il  capo.  —  Simili 
«  escandescenze  si  ripeterono  nelle  prediche  del  15  e  2G  ottobre.  »  (3) 

E  l'effetto  di  tutto  ciò?  Lo  dice  il  Pastor  parlando  del  tumulto  avvenuto 
durante  la  famosa  predica  dell'  Ascensione  del  4  maggio  1497  e  lo  dice  con  le 
parole  di  un  uomo  che  merita  piena  fede  davvero;  con  le  parole  dell'amico 
del  Savonarola,  P.  Somenzi  ambasciatore  del  Moro  in  Firenze,  che  tentò  invano 
di  trarre,  corrompendolo,  dalla  parte  del  suo  Signore  il  predicatore  austero  e 


(')  Questa  prima  parte  dell'accusa  forse  é  difficile  conciliarla  con  ciò  che  si  leggo  nel 
Pastor  a  pagina  142,  dove  dice  che  al  Savonarola  «  non  tutta  la  sua  eloquenza  non  riusciva  di 
spegnere  la  passione  per  la  politica  eh'  era  il  dehole  del  popolo  fiorentino  ».  Alcuno  potrebbe 
chiedere  al  Pastor  se  il  Frate  volesse  spegnere  o  ridestare  questa  passioni:  politica. 

(!)  Vedi  anche  il  Villari,  pag.  307-309. 

(3)  Per  1'  errore  di  queste  date  vedi  sopra  a  pag.  18.  Il  Savonarola  non  predicò  nè  il 
15  nè  il  26  ottobre  1195. 


—  352  - 


incontaminato;  e  poi  si  compiacque  con  diabolica  voluttà  del  lagrimevole  spet- 
tacolo di  cui  fu  oggetto  il  Savonarola,  e  ne  informò  il  suo  Signore  vilmente 
scherzando  sulla  morte  dell'odiato  avversario:  (')  «  Sono  tornati  i  tempi  de'Guelfi 
e  de'  Ghibellini  ».  (Pag.  356.)  E  a  pagina  139  già  il  critico  di  Innsbruck  aveva 
scritto  che  (per  cagione  del  Savonarola,  s' intende)  il  malumore  delle  fazioni, 
le  cui  onde  avrebbero  poi  inghiottito  il  capopopolo,  (2)  s'inaspriva  di  giorno  in 
giorno,  le  condizioni  della  città  si  facevano  sempre  più  innaturali  e  insoppor- 
tabili. Anziché  godere  della  pace  promessa,  tutta  Firenze,  ogni  famiglia  era 
lacerata  da  litigj  e  discordie....  » 

«  Con  tutta  ragione  Papa  Alessandro  VI  nella  lettera  scritta  al  Savonarola 
gli  rimprovera  d'aver  fatto  nascere  la  discordia  e  si  comprende  tanto  più  facil- 
mente quanto  fondate  fossero  le  parole  del  Capo  della  Chiesa,  se  prendiamo 
in  considerazione  l' influenza  del  Savonarola  asceta,  caldo  oratore  e  stimatis- 
simo direttore  di  anime  ».  (3) 


(4)  Cfr.  Cipolla,  pag.  7Ò9-760:  e  vedi  anche  ne' documenti  pubblicati  da  I.  Del  Lungo  nel- 
l' Archivio  Storico  Italiano,  voi.  XVIII,  parte  seconda,  il  doc.  XLII. 

I2;  Il  prof.  Carlo  Cipolla  scrive  :  «  Egli  (il  Savonarola)  non  fu  mai  capo-popolo  »  (Storia  delie 
Signorie,  pag.  160  )  Chi  ha  ragione?  Sarebbe  certo  bello  e  altamente  proficuo  che  i  due  egregi 
storici  svolgessero  e  mostrassero  le  prove  della  propria  asserzione.  Noi  li  sentiremmo  devoti. 
Vero  è  che  il  pensiero  del  primo  già  mi  par  chiaro.  Dal  suo  articolo  dell'  Archivio  Veneto 
voi.  VII,  Vili,  da  noi  più  volte  citato,  e  dalla  sua  Storia  delle  Signorie  Italiane  si  può  racco- 
gliere che,  a  chi  gli  dicesse  che  il  Savonarola  prese  parte  alle  cose  politiche,  risponderebbe 
si;  chi  gli  volesse  fare  del  Savonarola  un  arrutfapopoli,  ohe  fa  della  politica  per  scopo  mon- 
dano o  anche  solo  civile,  direbbe,  no-  Per  lui  il  Savonarola  mirava  direttamente  solo  al  bene 
morale,  e  se  sbagliò  fu  solo  per  zelo  eccessivo.  Ecco  il  pensiero  che  il  Cipolla  lascierebbe 
discutere.  Quindi  se  potrebbe  consentire  che  il  Savonarola  fu  capopopolo  nel  senso  predetto, 
non  acconsentirebbe  certo  che  fosse  nell'altro  senso.  Ma  saremo  anche  nel  giusto,  secondo 
il  Pastor,  facendo  il  Savonarola  capopopolo  in  buon  senso?  Dalla  versione  italiana  par- 
rebbe il  contrario. 

(3)  Queste  ultime  parole  sono  del  Grisar  il  quale  scrisse  intorno  al  Savonarola  un 
articolo  che  già  abbiamo  citato.  E  contrario  al  Frate:  ma  i  cattolici  possono  giudicare 
della  gravità  di  questo  scritto  anche  solo  dall' osservazione  seguente.  Parlando  dei  grandi 
santi  che  venerarono  il  Savonarola  specialmente  San  Filippo  Neri,  S.  Caterina  de' Ricci 
e  San  Fracesco  di  Paola  scrive:  «  Veniamo  all'esempio  dèi  grandi  Santi  e  specialmente  San 
Filippo  Neri,  Santa  Caterina  de' Ricci  e  San  Francesco  di  Paola.  Già  nel  metterlo  innanzi  è 
stato  detto  da  bocca  autorevole  che  cosa  fa  prosupporre  tale  pratica  di  venerazione  privata: 
la  probabile  acccttazione  dell'  approvazione  divina.  La  forza  della  prova  nel  nostro  caso  però 
si  assottiglia  anche  più  se  riflottiamo  che  sul  teatro  dell'  operato  del  Savonarola  ancora  per 
molto  tempo  sopravisse  la  potente  impressiono  dolla  sua  apparizione,  e  che  le  prime  biogra- 
fie dol  Burlamacchi  e  di  Pico  colle  inesattezze  da  loro  insognate  erano  piuttosto  panegirici  da 
scolari  e  da  amici  appassionati  anziché  lavori  storici.  Potevano  Caterina  e  Filippo  rimanere 
estranei  all'influenza  di  quelle  tradizioni  ancora  cosi  vive  ai  loro  tempi?  E  nella  loro  qua- 
lità di  fiorentini  nei  sentimenti  verso  il  Savonarola  non  dovevano  aver  risentito  alcunché  di 
quelle  tradizioni  di  famiglia  che  si  erano  fatte  strada  nella  loro  patria  incantata  dal  Savo- 
narola? Intorno  a  Francesco  di  Paola  vogliamo  qui  soltanto  osservare  che  il  suo  celebre 
scritto  pel  Savonarola  vide  la  luce  nell'anno  147!),  dunque  non  meno  di  sedici  anni  prima  della  nota 
disubbidienza  di  quesV  ultimo  ». 

In  verità  che  il  modo  di  giudicare  San  Filippo  e  Santa  Caterina  non  mi  paro  soddisfa- 
cente. Che  sulla  bilancia  del  loro  giudizio  potesse  valere  l'essere  loro  fiorentini  e  che  essi 
non  potessero  liberarsi  dall' influenza  (lolle  tradizioni  per  quanto  vive  nella  loro  patria,  non 
oserei  affermarlo  in  modo  cosi  assoluto.  Certo  anche  i  Santi  possono  errare,  ma  quelli  della 
portata  di  Filippo  Neri  o  di  Caterina  de' Ricci  non  son  cosi  facili  a  lasciarsi  trarre  nell'in- 


—  353  — 


Che  dobbiamo  dire  a  questo  punto?!  Già  s'intende  che  non  intendiamo 
riprendere  la  questione  risolta  di  sopra  (cap.  XV),  dove  abbiamo  scagionalo  il 
Frate  dall'  accusa  di  aver  generata  la  discordia  nelle  famiglie  e  ne'  Fiorentini 
come  privati,  come  cristiani;  qui  dobbiamo  riguardarlo  solo  come  cittadino  e 
politico.  Posto  ciò  diciamo  che  l'accusa  come  altre  molte  che  oppressero  il  Frale 
da  un  lato  ci  pare  leggiera,  dall'altro  ingiusta  troppo  e  anche  maligna,  non 
diciamo  nel  Pastor,  ma  in  chi  la  inventò  da  prima  e  la  diffuse.  A  dimostrare  la 
leggerezza  dell'accusa  non  impiegherò  molte  parole:  dovrei  argomentare  in 
modo  affatto  analogo  a  quello  che  feci  di  sopra.  (Gap.  X1V-XV.)  Che  colpa  può 
avere  il  Savonarola  se,  predicando  egli  il  miglior  governo  per  il  popolo  Fioren- 
tino, proponendo  le  buone  leggi,  minacciando  i  tiranni  e  coloro  che  i  tiranni 
seguivano  e  aiutavano,  una  parte  de' cittadini  non  l'ascoltava,  ma  faceva  contro 
l'altra,  maggiore  e  migliore,  che  lo  seguiva?  Che  colpa  aveva  egli  se  asceta, 
caldo  oratore  e  stimatissimo  direttore  di  anime,  come  lo  dice  il  Grisar,  levando  la 
voce  contro  gli  scandali  che  guastavano  la  città,  gli  Arrabbiati  e  i  Compagnacci 
vedendo  il  frullo  che  quegli  faceva  anziché  piegarsi  anch'  essi  alla  nuova 
vita,  bramosi  invece  di  avvolgersi  in  un  sucido  guazzo,  fecero  poi  causa  co- 
mune co'  tiranni  e  guerra  al  Frale  ed  a'  suoi?  A  me  pare  che  in  lutto  questo 
il  Savonarola  non  avesse  altra  colpa  fuori  di  quella  eh'  ebbe  San  Paolo  e  gli 
altri  Apostoli  e  che  hanno  i  predicatori  cristiani,  che  aveva  Gregorio  VII  ed  ha 
Leone  XIII  allorché  sorgono  degli  oppositori  alle  dottrine  da  essi  bandite  con- 
dannando i  corrotti  costumi,  e  le  ingiustizie  sociali.  «  I  Piagnoni  e  gli  Arrabbiali 
non  sarebbero  mai  stati  in  Firenze,  se  il  Savonarola  non  si  fosse  mosso  da 
Ferrara  ».(*)  E  vero,  com'  è  verissimo  che  cattolici  ed  eretici  non  sarebbero  mai 
stati  al  mondo  se  il  Figlio  di  Dio  non  fosse  disceso  dal  Cielo!  Ma  che  perciò?! 

A  me  parrebbe  molto  naturale  e  logico  che  coloro  i  quali  accusano  e  con- 
dannano il  Frate  di  questa  dissensione,  ci  mostrassero  che  quanto  egli  pre- 
dicava era  almeno  imprudente,  non  era  la  Scrittura,  non  era  il  Vangelo,  la  Dot- 
trina de' Padri,  de' Dottori  ;  e  che  coloro  i  quali  reagivano  avevano  il  diritto  di 


gaiino;  tanto  più  chi  pensa  quanto  lungamente  persisterono  nel  loro  concotto,  e  quanto  leg- 
gesse!' le  Opere  del  Frate.  Il  giudizio  poi  che  riguarda  San  Francesco  di  Paola  ci  pare  anche 
meno  felice.  Il  Grisar  pare  dimentichi  di  che  tratti  la  famosa  lettera  del  Romito  delle  Cala- 
brie, altrimenti  non  iscriverebbe,  per  toglierle  valore,  ch'essa  fu  pubblicata  non  meno  di 
sedici  anni  prima  della  nota  disubbodienza  del  Savonarola.  A  questo  insigne  documento,  della 
cui  autenticità  il  Grisar  non  muove  questione,  è  importante  appunto  perchè  il  Santo  vi 
racconta  vent' anni  prima  i  fatti  della  vita  del  Frate  di  San  Marco,  con  una  precisione  tale 
ohe  pare  te  li  descriva  proprio  come  se  compiuti  sotto  i  suoi  occhi.  Il  Grisar  ha  la  sua 
parte  di  responsabilità  nella  questione  del  Savonarola  :  il  suo  articolo  venne  quasi  per  intiero 
a  passare  nell'  Opera  del  Pastor. 

(')  Quest'espressione  il  Grisar  la  piglia  dal  Cosci;  ma  nell'articolo  della  Zeitsclirift  fiir 
Katholische  Theolor/ic  non  ha  il  senso  prociso  che  negli  articoli  dell'  Archivio  Storico  Italiano. 
In  questo  è  preceduta  da  questo  giudizio  :  «  Il  Savonarola  non  aveva  colpa  di  certo  se  Fi- 
renze si  trovava  da  più  anni  piena  di  abberrazione  per  cagion  sua,  perché  le  intenzioni  sue 
erano  state  sempre  puro  e  aveva  fatto  al  contrario  di  gran  bene  a  quella  città  ».  La  diversità 
di  senso  apparirà  anche  meglio  a  chi  voglia  considerare  e  sul  Cosci  o  sul  Grisar  i  periodi 
che  seguono  alla  citata  espressione. 


—  354  - 


così  fare  o  nel  nome  della  morale,  o  nel  nome  della  giustizia,  o  nel  nome  del 
vero  bene  comune.  Il  semplice  fatto  dell'esser  nata  discordia  tra  i  Fiorentini 
non  porta  con  sè  la  condanna  del  Savonarola,  ma  a  ciò  sarebbe  necessario 
ch'egli  l'avesse  voluta  e  procurata  ingiustamente  o  almeno  con  imprudenza: 
cosa  che  non  trovo  in  nessun  modo  provata  dai  giudici  del  Condannato  e  che, 
penso,  non  può  affatto  provarsi  perchè  non  vera. 

Del  resto  perchè  non  ci  facciamo  un'  altra  dimanda?  Io  vorrei  chiedere 
non  pure  che  cosa  sia  avvenuto  in  Firenze,  per  esservi  capitato  il  Savonarola, 
ma  ancora,  che  vi  sarebbe  avvenuto  ove  il  Savonarola  non  si  fosse  mosso  da 
Ferrara.  Si  pensi  un  poco  alla  risposta  che  si  potrebbe  dare  a  questa  que- 
stione, e  forse  il  Savonarola  apparirà  in  miglior  luce. 

Ma  è  poi  vero  che  Fra  Girolamo  mettesse  la  discordia  ne'  cittadini  di  Fi- 
renze ?  Egli  nella  famosa  lettera  ad  un  amico  scrive  aperto  che  tale  accusa  è 
una  calunnia,  e  che  l'amico  ne  avrebbe  conosciuto  meglio  la  stoltezza  quando 
avesse  avuto  qualche  notizia  de'  governi  passati  e  delle  condizioni  de'  citta- 
dini e  della  natura  di  quel  popolo.  E  asserisce  francamente  che  se  Dio  non 
avesse  concesso  il  regime  che  concesse  alla  città  nelle  condizioni  difficili  nelle 
quali  essa  si  trovava,  la  discordia  dei  cittadini  sarebbe  stata  così  grande  che 
Firenze  non  solamente  sarebbe  stata  guasta  non  solo  da  loro  medesimi,  ma 
ancora  dagli  altri,  ch'essa  avrebbe  perduta  la  libertà  e  sarebbe  divenuta 
una  spelonca  di  ladroni.  E  vuol  provare  la  sua  asserzione  notando  che  dopo 
la  partenza  di  Piero  de'  Medici  fur  viste  sorgere  diverse  fazioni  composte 
di  cittadini  che  avevano  patito  numerose  e  gravi  ingiurie  dal  1434  al  1494. 
Ognuna  di  esse  pensava  a  vendicarsi  e  a  farsi  grande  nella  città,  e  credeva 
dovesse  con  tutta  giustizia  aver  soddisfazione  delle  ingiurie  e  danni  sostenuti 
per  il  passato,  e  che  dopo  d'essere  stati  così  lungo  tempo  depressi  pareva  loro 
fosse  giunto  il  momento  d'  esser  esaltati.  Nuove  fazioni  non  tardarono  a  sor- 
gere, alle  quali  se  non  si  fosse  provveduto  per  il  Gran  Consiglio  e  la  pace  uni- 
versale, la  discordia  avrebbe  ben  presto  condotto  allo  spargimento  di  sangue, 
alla  ruina  ed  all'  esiglio  di  un  gran  numero  di  cittadini. 

E  queste  cose  medesime,  con  poche  varianti  nella  forma,  ripete  il  Frate  le 
mille  volte  nelle  sue  prediche,  e  nelle  sue  lettere  ('),  aggiungendo  sempre  che 
un  popolo  intiero  gli  è  testimonio  eh'  egli  non  ha  messo  la  discordia  in  Firenze, 
ma  la  pace,  e  sempre  chiamando  calunnia  1'  accusa.  E  bisogna  essere  intiera- 
mente selvaggio  alla  storia  della  Vita  di  Fra  Girolamo  e  del  suo  tempo  per 
non  sapere  che  tutto  ciò  è  verità.  Una  delle  fatiche  più  grandi  che  il  nostro 
Riformatore  ha  sostenuto  fu  appunto  quella  di  mettere  e  conservare  la  pace 
fra  i  cittadini  e  una  delle  glorie  più  belle  che  adornino  la  sua  aureola  è  ap- 
punto quella  d'  esser  riuscito  fra  i  diversi  partiti  che  laceravano  la  città  e  mi- 


(')  Vedi  specialmente  la  famosa  lcttora  ad  Alessandro  VI,  do' 14  settembre  1495,  in  ri- 
sposta al  brovo  degli  8  del  mese  stesso,  nella  quale,  come  dalle  altro  ingiuste  accuse,  il  Frate 
si  difende  ancho  da  questa  di  avor  messo  la  discordia  nolla  città.  Cfr.  del  pari  la  prodica  re- 
citata a' di  18  febbraio  1498. 


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nacciavano  di  rovinarla  a  far  concludere  una  pace,  simile  alla  quale  non  so  se 
la  storia  alcuna  ne  narri.  Debbo  io  esporre  qui  queste  cose?  Ma  se  non  v'  è 
storico  il  quale  non  ne  ragioni!  se  non  v' è  predica  del  Frate  che  non  abbia 
almeno  un  cenno  per  questo  !  Se  il  Pastor  dice  anch'  egli,  a  pag.  129,  che  il 
Savonarola  per  il  nuovo  governo  raccomandava  fra  le  altre  cose  la  pace,  una 
pace  generale,  colla  quale  si  assolvessero  gli  amici  del  passato  governo  per- 
donando anche  le  pene  pecuniarie  verso  i  debitori  dello  Stato! 

Ad  ogni  modo  perchè  non  vogliamo  che  altri  resti  con  desiderio  solo 
mezzo  appagato,  e  v'  è  chi  ripete  la  vecchia  accusa,  diremo  brevissimamente 
dell'  opera  del  Frate  a  pacificar  Firenze.  Le  preghiere  e  le  ragioni  del  Frate 
perchè  la  città  si  ricomponesse  in  pace  sono  continue  specialmente  dopo  la 
predica  XIII  sopra  Aggeo,  nella  quale  già  raccomanda  di  proposito  la  pace 
universale.  Nella  famosa  predica  XIX  parlando  appunto  delle  cose  che  egli 
aveva  predicate  nelle  antecedenti  esponendo  il  versetto  2  del  Salmo  CXLVI: 
Il  Signore  che  edifica  Gerusalemme  radunerà  i  figliuoli  d' Israele  dispersi, 
dice:  «  Gerusalemme  è  interpretato  visione  di  pace,  e  questa  io  1'  ho  detta 
e  predicata  tanto,  cioè  che  tu  facci  questa  pace  universale  In  fra  tutti  i  citta- 
dini. Firenze  tu  sei  stata  inferma,  e  gli  è  venuto  in  te  Dio  della  pace  per 
sanarti,  e  vuole  guarirti,  se  tu  vorrai,  di  tutte  le  tue  infermità,  e  bisogna 
cominciare  da  qualche  capo,  e  pian  piano  ti  guarirà  del  tutto.  Cominciamo 
dalla  pace,  perchè  se  non  fai  la  prima  cosa  questa,  saresti  in  un  caos 
di  Arassagora.  Questo  luogo  è  tutto  infermo:  cominciamo  dalla  pace,  e  a  le- 
vargli questa  piaga  dell'  odio  e  del  rancore,  e  fa  pace  la  prima  cosa,  e  poi  se- 
guiteranno 1'  altre  cose  di  mano  in  mano  secondo  l'ordine  che  io  t'  ho  detto. 
Tu  sai  che  io  t'  ho  mostrate  le  ragioni,  perchè  tu  debbi  fare  questa  pace:  ac- 
ciocché lasciando  tu  gli  odj  e  le  malevolenze,  tu  sia  in  grazia  di  Dio,  e  che  tu 
diventi  città  spirituale,  e  ti  ho  dimostrato  con  ragioni  evidentissime  che  quanto 
un  regno  è  più  spirituale,  tanto  è  più  forte,  e  tanto  diventa  più  spirituale,  quanto 
più  s'accosta  e  unisce  con  Dio;  e  non  può  essere  unito  con  Dio,  chi  non  fa 
pace  e  non  sta  unito  col  suo  prossimo;  dopo  vi  ho  sempre  esortati  a  questa 
pace  universale,  ed  il  modo  come  la  si  ha  fare,  e  quello  ch'essa  ha  contenere, 
altra  volta  io  ve  1'  ho  detto  e  di  riuovo  vel  dichiaro,  cioè  che  tutti  leviate  via 
da'  cuori  vostri  quella  antica  ruggine  che  s'  è  contratta  in  voi  1'  uno  contra 
1'  altro  per  i  tempi  e  casi  passati;  e  questo  intendo  delle  cose  e  parzialità  vo- 
stre attinenti  allo  stato,  e  tutto  intendo  d'ogni  cosa  simile  stata  da  questa  vostra 
ultima  mutazione  di  stato  indietro:  che  tutto  s'intenda  perdonato,  e  cancellato 
senza  riconoscerne  cosa  alcuna;  ma  chi  per  1' avvenire  errasse,  sia  castigato 
se  farà  male  alcuno,  e  basta  che  per  casi  di  slato  da  qui  indietro  tutte  le  per- 
sone siano  salve.  Non  per  questo  intendo  che  chi  fosse  debitore  del  comune 
non  debba  pagare,  ma  facciasi  che  paghi  chi  ha  debito  o  in  mano  di  quello 
del  comune  ;  ben  dico  e  dissi  che  queste  cose  non  si  ricerchino  con  torture,  uè 
tormenti,  ma  con  modi  ragionevoli,  giuridici,  e  vi  ho  detto  e  dico  che  non  fac- 
ciate sangue;  perchè  così  è  la  volontà  di  Dio,  perchè  se  Dio  non  ha  lasciato 
seguire  sangue  in  te,  in  queste  cose  occorse,  come  forse  tu   meritavi,  non 


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vuole  che  tu  facci  sangue  contra  altri.  Se  loro  hanno  offeso  la  repubblica  tu  hai 
offeso  Dio,  che  è  maggiore  peccato:  però  se  Dio  t'ha  perdonato,  perdona  ancora 
tu  ad  altri.  Inoltre  questo  è  un  tempo  singolare,  che  non  è  stato  più  ne'  tempi 
passati,  quello  che  ti  occorre  al  presente;  io  t'  ho  detto  e  dico  che  in  questo 
tempo  presente  egli  è  venuto  Cristo  a  Firenze  per  medicarla:  e  però  tu  devi 
in  questo  tempo  voler  far  grazia  ancora  tu  verso  del  prossimo  tuo.  Inoltre  chi 
vuole  castigare  altri  bisogna  che  prima  lui  sia  senza  peccato,  cercati  un  poco 
la  coscienza,  e  vedrai  se  tu  debba  castigare,  o  esser  castigato;  e  se  tu  do- 
mandi giustizia  contra  altri,  bisogna  che  ella  sia  stata  ancora  contra  di  te, 
e  però  t'ho  detto  e  dico  fa  pace,  fa  pace:  e  se  veramente  tu  la  farai,  non 
temere  poi  se  tutto  il  mondo  venisse  contra  di  te.  Guarda  la  primitiva  Chiesa, 
perchè  ella  era  unita  tutta  insieme,  e  con  pace,  dopo,  benché  tutto  il  mondo 
gli  fosse  contro,  intanto  sempre  andò  innanzi,  e  sempre  vinse,  mentre  che 
lei  stette  in  quella  carità  e  in  queir  unione  e  in  quel  fervore  ;  però  vi  dico 
fate  questa  pace  e  questa  unione,  e  poi  non  avete  da  temere  di  cosa  alcu- 
cuna;  voi  magistrati  che  siete  posti  da  Dio  in  cotesti  luoghi,  dovete  esortare 
ciascuno  a  questa  pace;  voi  siete  ministri  di  Dio  e  non  signori,  e  dovete  au- 
mentare tutte  le  cose  che  sono  in  onore  di  Dio  e  in  salute  della  vostra  città, 
e  perchè  questa  pace  è  1'  onore  di  Dio  e  la  salute  della  città,  però  dovete 
aumentarla  e  operare  che  ella  si  faccia.  Ed  alle  ragioni,  che  alcuni  fanno  in 
contrario,  vi  sono  date  le  risposte,  e  non  servono  quelle  ragioni  e  non  con- 
cludono in  questo  tempo,  il  quale  è  un  tempo  singolarissimo,  nel  quale  Id- 
dio singolarissima  misericordia  v'  ha  dimostrato,  e  però  dovete  in  converso 
mostrare  misericordia  singolare  ai  prossimi  vostri,  e  se  altrimenti  voi  fa- 
ceste, voi  siete  in  grandissimo  pericolo.  Tu  che  contradici  alla  pace,  sotto 
specie  di  zelo  di  giustizia,  Dio  lo  sa,  ed  io  lo  so,  che  zelo  è  il  tuo:  la  tua 
giustizia  è  l'odio,  il  rancore  e  la  vendetta,  e  ti  dico  che  per  questo  tu  ne 
sarai  punito.  Dio  te  lo  fa  dire  innanzi  per  farti  misericordia,  se  tu  la  vorrai, 
se  tu  avessi  zelo  di  giustizia,  tu  terresti  altra  vita  che  tu  non  tieni;  e  non 
è  tale  vita  la  tua  che  si  possa  comprendere  in  te  zelo  di  bene  ». 

E  nella  predica  XXIII  chiudendo  questa  predicazione  ribatteva  sopra  le 
medesime  cose:  «  Signori  vecchi,  aiuteranno  ancora  voi.  Siate  diligenti  e  sol- 
leciti circa  al  ben  comune,  e  circa  questa  pace  universale.  Cristo  è  vostro  Re, 
e  voi  siate  suoi  ministri.  Rallegratevi  e  ringraziatenelo  che  lui  vi  abbia  eletti 
per  suoi  coadiutori.  Servite  a  Dìo  con  timore,  e  rallegratevi  con  tremore  ;  ab- 
bracciate la  buona  dottrina  affinchè  non  abbia  il  Signore  a  sdegnarsi  e  voi  vi  per- 
diate,  smarrita  la  via  della  giustizia  Q)  ;  abbiate  cura,  di  far  bene,  acciocché  il 
Signore  Iddio  non  si  adirasse  contra  di  voi;  perchè  se  voi  non  deste  perfezione 
a  questa  riforma,  perché  la  perfezione  sua  sarà  con  pace,  e  se  il  difetto  ve- 
nisse da  voi,  o,  per  negligenza  o  per  altro,  il  Signore  si  adirerebbe  con  esso 
voi  e  farebbevi  perdere  la  buona  fama,  e  per  contrario  darebbe  a  voi  puni- 
zione, dove  agli  altri  ha  dato  gloria  e  fama.  Dio  vuole  ad  ogni  modo  far  per- 


(')  Salmo  II,  v.  11. 


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fetta  quest'opera:  però  fate  d'essere  suoi  buoni  cavalieri  e  buoni  ministri. 
Imparate  bene  quello  che  avete  a  fare,  perchè  avete  a  lavorare  nell'opera  per 
la  città  di  Dio.  E  confidatevi  tutti  in  Dio,  e  non  in  uomini,  e  non  dubitate  che 
Dio  vi  aiuterà.  Ora  la  vostra  nave,  come  v'  ho  detto,  resta  in  mare,  e  va  verso 
il  porto,  cioè  verso  la  quiete,  che  ha  ad  avere  Firenze  dopo  le  sue  tribola- 
zioni. Signori,  vecchi,  e  nuovi  tutti  insieme  procurate  che  questa  pace  uni- 
versale si  faccia  e  fate  buone  leggi  per  stabilire  e  formare  bene  il  vostro  go- 
verno: e  la  prima  sia  questa  che  nessuno  si  chiami  più  bianchi,  o  bigi;  ma 
tutti  insieme  uniti  siano  una  medesima  cosa:  queste  parti  e  parzialità  nelle 
città  non  stanno  bene:  mettetevi  pena,  a  clii  più  parla  a  questo  modo  bianchi 
o  bigi,  e  fatelo  perchè  questa  è  cosa  di  gran  momento  che  vi  farebbe  un  dì 
venire  alla  vostra  ruina  e  distruzione,  e  suscitereste  un'  altra  volta  nella  città 
vostra  le  parti  guelfe  e  ghibelline,  come  già  vi  furono  anticamente,  e  sapete  che 
effetti  elle  fecero.  Fate  questo  che  io  v'  ho  detto  e  non  temete,  se  voi  fate 
questo,  in  verità  fatelo,  dico,  e  statene  sopra  della  coscienza  mia  che  sarà 
ben  fatto  ;  i  nemici  vostri  saranno  quelli  che  voi  vi  farete  da  voi  medesimi. 
Se  non  lo  fate,  voi  vi  farete  tanti  nemici,  che  non  la  potrete  poi  spegnere  a 
vostra  posta.  Questo  io  ve  lo  dico  con  grande  fondamento,  e  così  inspirato 
da  Dio,  fate  queste  buone  leggi,  e  non  avrete  nemici  alcuni.  Io  non  ti 
parlerei  a  questo  modo  tanto  risoluto,  se  io  non  avessi  tocco  il  fondamento  di 
quello  che  io  ti  dico;  fa  pace  vera  e  di  cuore,  e  declina  sempre  più  a  mise- 
ricordia, che  a  giustizia  questa  volta,  perocché  Dio  ha  usato  ancora  questa 
volta  verso  di  te  più  misericordia  che  giustizia.  0  Firenze,  tu  avevi  bisogno 
di  gran  misericordia,  e  Dio  te  l'ha  fatta:  però  non  essere  ingrata.  La  mise- 
ricordia trionfa  del  giudizio.  (*)  Se  tu  fai  questo  che  io  ti  dico,  e  davvero,  Fi- 
renze, sarai  in  massima  quiete,  altrimenti  sarà  il  contrario,  e  tienlo  bene  a 
mente  ». 

Nelle  prediche  poi  sopra  i  Salmi,  come  già  osservò  il  Villari,  Fra  Girolamo 
raccomanda  di  continuo  la  pace  generale:  quasi  ogni  giorno  diceva:  «  Firenze, 
perdona  e  fa  la  pace,  e  non  gridare  più:  carne,  carne,  e  sangue,  sangue  ». 
Anzi  le  prime  di  queste  prediche  e  alcune  di  quelle  sopra  Giobbe  insistono 
particolarmente  sopra  la  necessità  della  pace  anche  per  la  lotta  che  il  Savo- 
narola combatteva  con  Fra  Domenico  da  Ponzo  emissario  del  Moro  e  della  parte 
medicea.  (*) 

Chi  pone  1'  occhio  sopra  queste  prediche  resterà  ammirato  della  insistenza, 
forza,  zelo  con  cui  l'oratore  Domenicano  raccomanda  questa  pace,  e  ribatte  le 
obiezioni  contrarie.  A  dì  6  gennaio  1495  diceva:  «  Io  fui  in  Palazzo  il  di  di 
San  Silvestro  per  concludere  questa  pace  universale  e  dissiti  prima  che  tu 
temessi  Dio,  secondo  che  tu  amassi  il  ben  comune,  terzo  che  tu  facessi  la 


0)  Lettera  di  San  Giacomo  apostolo,  c.  II,  v.  13. 

C)  Cfr.  Gherardi,  Nuovi  documenti  da  pag.  108  a  pag.  129  e  i  doc.  XVIII  e  XXVIII 
tra' pubblicati  da  I.  Del  Lungo. 


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riforma,  quarto  che  tu  facessi  la  pace  universale;  e  perchè  lassù  io  lo  dissi  a 
pochi,  perchè  lassù  eravate  pochi,  ora  ve  lo  dico  qui  in  pubblico,  che  siete  as- 
sai e  dirovvi  tutte  le  ragioni  che  allegai  lassù.... 

«  La  pace,  che  t'ho  detto  è  in  questo  modo:  che  dal  di  del  caso  indietro 
non  sia  riconosciuta  cosa  alcuna  di  stato  contro  persona  che  fosse  stato  amico 
o  avesse  servito  la  parte  contraria:  bene  dico  che  chi  ha  debito  pubblico  o 
privato  lo  paghi:  ma  non  estorcere  queste  cose  con  torture,  ma  solo  con  libri  o 
testimonj  o  fama  pubblica.... 

«  E  io  ti  provo  questa  conclusione,  cioè  che  tu  debba  fare  questa  pace, 
primo,  per  ragione  divina;  perchè  questo  è  un  tempo  singolare  che  forse  non 
tornerà  mai  più,  e  devi  credere  Firenze  che  essendo  tu  stata  nei  pericoli  e 
tribolazioni  che  sei  stata  da  tre  mesi  in  qua,  è  cosa  maravigliosa  a  credere  che 
tali  casi  siano  seguiti  senza  grande  effusione  di  sangue;  essendo  passate  fino 
a  qui  queste  tabulazioni  con  si  poco  sangue  e  poco  detrimento,  devi  credere 
che  Dio  è  stato  placato  grandemente  nell'  ira  sua  contro  di  te.  Adunque  tu 
devi  placarti  nell'  ira  tua  contro  del  prossimo  e  perdonargli,  siccome  si  dice 
nell'  Evangelio  di  quel  Signore  che  perdonò  i  mille  talenti  al  suo  servo,  il 
quale  non  volle  poi  perdonare  cento  al  suo  conservo,  e  dopo  bisognò  poi  che 
lui  rendesse  ragione  di  mille  che  di  già  prima  gli  erano  stati  perdonati.  E 
però  ti  dico,  o  Firenze,  per  questa  ragione  divina  e  similitudine  di  questa 
figura  che  Dio  ti  ha  perdonati  mille  talenti,  cioè  tanti  tuoi  peccati  e  le  tribo- 
lazioni che  per  essi  meritavi.  Adunque  è  cosa  giusta  che  tu  perdoni  cento 
al  tuo  conservo,  cioè  ai  tuoi  prossimi  e  cittadini,  altrimenti  Iddio  ti  farà  pa- 
gare i  mille  talenti,  cioè  li  darà  il  flagello  che  ti  aveva  preparato.  Ma  perchè 
tu,  Firenze,  non  credi  a  ragioni  divine,  odi  queste  ragioni  naturali.  In  prima, 
colui  che  è  senza  peccato  è  giusto  che  punisca  gli  altri  degli  errori  suoi.  Di- 
temi, chi  è  di  voi  che  non  abbia  fatto  mille  sacramenti  falsi  negli  officj  vostri?! 
e  renduto  le  fave  bianche  dove  avevi  a  renderle  nere  e  al  contrario?!  La  se- 
conda ragione:  se  cominciate  a  mettere  le  mani  nel  sangue,  ognuno  a  casa 
1'  uno  l'altro,  e'  verrà  ancora  che  quelli  che  danno  le  torture  e  i  tormenti  sa- 
ranno accusati  loro,  e  avranno  a  patire  quei  tormenti  che  danno  ad  altri.  La 
terza:  se  tu  tocchi  uno,  tutti  i  suoi  parenti  1'  avranno  per  male  ;  e  resterà  loro 
il  rancore  nel  cuore,  e  dove  tu  avevi  uno  inimico  di  quella  casa,  avrai  per 
inimica  tutta  quella  casa  e  i  suoi  parenti,  e  se  alcuno  ti  dicesse  il  contrario,  non 
lo  credere.  La  quarta:  l'usare  misericordia  piace  a  tutti  i  buoni,  e  se  tu  fossi 
buono  e  da  reggere  bene  useresti  misericordia.  La  quinta:  la  tua  città  si  di- 
viderà in  due  parti:  cioè  buoni  e  cattivi  e  mancherà  l'amore  della  tua  città. 
La  sesta,  e  tienla  bene  a  mente,  che  tu  provocherai  Dio  contra  di  te,  perchè 
avverrà  che  saranno  accusati  quelli  ancora  che  saranno  innocenti  e  tu  per 
tormenti  gli  farai  confessare  quello  che  non  avranno  fatto,  e  li  punirai  senza 
loro  colpa  e  così  provocherai  1'  ira  di  Dio  contra  di  te,  perchè  non  è  cosa  che 
provochi  l'ira  di  Dio  più  di  questa.  La  settima:  se  tu  mandi  via  de' tuoi  cit- 
tadini e  li  confini,  andranno  a'  principi  e  riveleranno  i  secreti  del  tuo  stato,  che 
ti  potrebbe  nuocere  assai.  Ultimo:  l'esperienza  ti  dimostra  che  hai  veduto 


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ora  che  per  essersi  nel  tempo  passato  conceputo  assai  sdegni  è  bisognato  che 
ora  scoppino  ».  (Predica  I,  sopra  i  Salmi.) 

E  quindi,  dopo  d'  aver  raccomandato  1'  appello  delle  sei  fave  appunto 
perchè  nell'  avvenire  non  potesse  venir  turbata  la  pace  un'  altra  volta,  torna 
a  dire:  «  Le  mie  ragioni  sono:  prima  che  i  cittadini  saranno  più  sicuri  per- 
chè non  temeranno  della  Signoria  seguente.  Secondo:  non  si  potrà  fare  par- 
lamento se  non  giustificato  e  con  buona  discussione  e  ragionevolmente.  Terzo: 
i  cittadini  che  sono  stati  amici  dello  stato  passato  saranno  molto  quieti  e  con- 
tenti in  questa  unione.  Quarto:  i  tuoi  che  sono  in  luoghi  lontani  con  grandi 
ricchezze  torneranno  e  saranno  le  loro  ricchezze  beneficio  universale  a  tutta 
questa  città.  E  queste  sono  le  ragioni  che  io  allegai  su  in  palazzo  il  di  di 
San  Silvestro;  però  non  dire  che  io  parli  alla  semplice,  cioè  alla  pazza:  per- 
chè t'  ho  allegato  le  ragioni  le  quali  noterai  diligentemente,  e  tienle  a  mente 
e  rispondi  in  questo  modo  che  t'  ho  insegnato  e  detto  quando  ti  trovi  con  co- 
loro che  contradicono  a  questa  cosa.  Domenica  ti  dirò  le  altre  ragioni,  e  se  le 
tue  saranno  migliori  delle  mie,  io  cederò;  ma  ti  dico,  o  Firenze,  che  se  non 
vuoi  perdonare,  che  Dio  non  perdonerà  a  te.  Inoltre  si  Taccia  ti  dico,  Firenze, 
un  bando  per  parte  della  Signoria:  che  tutti  i  cittadini  che  sono  stati  amici 
dell'altro  stato  sieno  ricevuti  per  buoni  amici  e  buoni  cittadini  di  questo  reg- 
gimento d'  oggi  e  per  buoni  figliuoli  di  questa  Signoria  e  che  questo  sia  pub- 
blico a  ognuno  per  bando  e  che  non  si  dica  più  bianchi  o  bigi  o  altro  vocabolo 
che  importi  quest'effetto;  e,  come  dissi  nel  precedente  sermone,  a  me  parria 
porvi  pena  conveniente  per  la  prima  volta  dieci  fiorini;  la  seconda  quattro 
tratti  di  corda,  per  la  terza  confinato  in  perpetuo  nelle  Stinche  chi  lo  dicesse; 
e  se  non  levi  via  questa  favilla  e' si  accenderà  un  gran  fuoco:  io  vi  dico,  Si- 
gnori, fatelo,  che  leverete  via  una  radice  di  gran  ruina  ».  (') 

Ma  anche  qui  allungheremmo  di  troppo  il  capitolo,  e  ne  faremmo  un  vo- 


(')  Nel  Sermone  VI,  battendo  il  medesimo  chiodo,  ha  tra  le  altre  cose  il  seguente  pe- 
riodo: «Tu  dell'ordine  di  San  Domenico,  che  tu  di  che  non  ci  dobbiamo  impacciare  dello 
stato:  tu  non  hai  bene  letto;  va  leggi  le  croniche  dell'ordine  di  San  Domenico,  quello  che 
lui  fece  nella  Lombardia  nei  casi  di  stati.  E  cosi  di  San  Pietro  Martire  quello  che  fece  qui 
in  Firenze  :  che  s' intromise  per  comporre  e  quietare  questo  stato  in  tanto  che  il  trattato 
della  sua  morte  fu  fatto  in  questa  città.  Il  cardinale  messer  Latino  dell'  ordine  nostro  fu 
egli  quello  che  fece  la  pace  tra  i  Guelfi  e  Ghibellini;  Santa  Caterina  da  Siena  fece  fare  la 
pace  in  questo  stato  al  tempo  di  Gregorio  Papa;  l'arcivescovo  Antonino  quante  volte  an- 
dava su  in  palazzo  per  ovviare  alle  leggi  inique  che  non  si  facessero?  Ma  dimmi,  chi  sono 
quelli  che  devono  pacificare  e  comporre  la  città  di  Firenze?  Certo  non  bisogna  già  gli  ap- 
passionati; adunque  deve  essere  pure  qualcuna  di  mezzo  senza  passione.  Firenze,  io  t'ho 
predicato  già  parecchi  anni  la  verità;  è  bisognato  che  io  tocchi  molti  stati  degli  uomini,  e 
per  questo  mi  ho  convocato  molta  invidia  con  molti  nemici  addosso.  Io  verrei  che  tu  con- 
vocassi una  pratica,  dove  fossero  molti  cittadini  bianchi  e  non  bigi,  non  dico  bigi,  come  li 
chiami  tu,  ma  dico  bianchi,  cioè  buoni  e  che  giudicassero  bene  e  nettamente  senza  passione: 
e  cosi  convocassi  di  molti  buoni  religiosi,  che  ci  sono  bene  de' buoni  e  che  amano  la  ve- 
rità. Fa  questa  pratica  e  quivi  disputiamo  le  ragioni  che  ti  ho  dette  ».  A  commento  di  que- 
ste ultime  parole,  le  quali  forse  diedero  luogo  a  qualche  periodo  del  Burlamacchi,  vedi  il 
Gherardi,  pag.  110  e  seg.,  e  il  Villari,  pag.  347-348.  Vedi  anche  nel  Compendio  di  Rivelazioni  un 
passo  analogo  al  qui  trascritto. 


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lume,  se  trascrivessimo  quanto  fra  Girolamo  disse  e  fece  perchè  si  conclu- 
desse questa  pace.  Ci  è  caro  notare  piuttosto  che  finalmente  il  18  marzo 
14-95  ne!  Consiglio  degli  Ottanta,  e  il  19  nel  Consiglio  Maggiore  venne  appro- 
vata la  legge  seguente:  «  Considerando  di  quanta  utilità  sia  1'  unione  e  la  con- 
cordia in  una  Repubblica  bene  istituita;  e  per  seguire  i  vestigj  di  nostro  Si- 
gnore, il  quale  in  ogni  sua  operazione,  o  andando  o  predicando  o  quiescendo, 
sempre  diceva:  pace;  e  questo  medesimo  potendosi  vedere  nelle  cose  natu- 
rali, le  quali  cercano  sempre  l1  unità,  secondo  la  loro  natura,  onde  il  filosofo 
diceva:  la  virtù  unita  è  più  forte;  ed  ammonendoci  finalmente  le  cose  so- 
prannaturali, che  abbiamo  sperimentato  quest'  anno,  nella  formazione  del 
nuovo  governo,  e  la  misericordia  usataci  dal  Signore,  la  quale  noi  siamo  ob- 
bligati d'imitare.  I  magnifici  Signori  e  Gonfalonieri  ordinano  che  sia  fatta 
pace  generale,  e  siano  perdonate  tutte  le  ingiurie  e  tutte  le  pene  in  cui  sono 
incorsi  i  fautori  del  passato  governo».^) 

Nessuno  vorrà  certo,  dopo  quanto  abbiamo  visto,  dar  torto  al  Villari, 
allorché  afferma  che  questa  legge  era  affatto  secondo  le  idee  del  Savonarola, 
e  che  pareva  anzi  che  egli  medesimo  1'  avesse  scritta,  e  crediamo  del  pari 
che  ognuno  siasi  persuaso  che  a  lui  veramente  si  debba  se  la  legge  fu  pro- 
posta ed  approvata.  Come  si  fa  adunque  a  chiamar  responsabile  il  famoso 
predicatore  delle  discordie  che  travagliarono  Firenze,  a  dire  eh'  egli  suscitò 
le  passioni  politiche,  e  generò  la  discordia  nella  città?  A  me  par  giusto  quanto 
scrive  il  buon  cronista  Landucci  appunto  nei  patti  di  prigione:  «  Il  Frate  te- 
neva col  popolo  e  col  bene  comune.  Fu  molto  infamato  da  questi  golpini,  a 
torlo;  che  la  verità  sta  sempre  di  sopra....  La  maggior  parte  gli  credeva; 
massime  chi  andava  beile  senza  passione  di  stato  o  di  parte  ».  E  il  Parenti  ove 
discorre  appunto  di  questa  legge:  «  Il  popolo,  cioè  chi  bene  vivere  e  in  co- 
mune desiderava,  partigiano  gli  diventò;  li  altri  capitali  nemici....  »  (*)  E  per 
vincere  questi  capitali  nemici  e  per  trarli  ad  unirsi  a  chi  ben  vivere  e  in 
comune  desiderava,  lo  zelante  Predicatore  anche  dopo  approvata  la  legge  ado- 
perava tutte  le  forze  dell'animo  suo  ardente.  Era  l'unione  degli  animi  che 
egli  voleva;  e  non  semplicemente  la  legge  come  lettera  morta:  «  A  voi 
uomini  ho  a  dire  questo,  che  dobbiate  stare  uniti  perchè  vi  ho  detto  altre 
volte  che  la  primitiva  Chiesa,  benché  fossero  pochi,  perchè  fu  unita,  vinse  i 
tiranni  e  prese  il  regno  dei  Romani.  Unitevi  adunque  tutti  in  carità,  e  se,  quelli 
che  sono  stati  cattivi  per  i  tempi  passati,  vogliono  esser  buoni,  abbracciateli 


(')  Vedi  Villari,  voi.  Il,  pag.  294-301.  Dopo  tutto  ciò  credo  che  nessuno  vorrà  muovere 
rimprovero  al  Frate,  se  discutendosi  da  avversar]  che  invocavano  contro  di  lui  un  brove 
sospeso,  come  vedremo,  dallo  stesso  ponteiice,  nel  quale  gli  era  messa  anche  l'accusa  di 
porre  la  discordia  nella  città,  diceva  non  esser  vero  che  avesse  comandamento  di  non  pre- 
dicaio.  E  lattosi  obiettalo:  «Oh  come!  o'  ci  è  pure  non  so  che  comandamento  »;  rispondeva: 
•  Guarda,  so  così  è,  non  viene  a  rne.  Tu  hai  preso  fallo;  egli  è  mandato  ad  un  altro,  che  ha 
nomo  come  ino,  il  quale  ho  inteso,  elio  ha  fatto  rissa  o  dissensione,  e  mosso  eresio,  e  fatti 
molti  altri  mali;  io  non  son  desso,  porche  non  ho  fatto  simili  coso  ».  Predica  XLVT1I  sopra 
Amos  fatta  la  Domenica  doll'ottava  di  Pasqua  del  1496. 

C)  Landucci,  Diario  fiorentino,  p,  97,  e  Parenti  presso  (Jherardi,  pag.  124. 


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tutti;  e  se  fosse  nessuno  che  avesse  cercato  di  offender  me  io  1'  abbraccio;  io 
voglio  bene  e  prego  Dio  che  gli  perdoni.  Voi  cominciale  già  a  entrare  in 
certi  termini  che  Iddio  solo  potrà  cavarvene,  voi  non  vi  siete  però  arrivati 
ancora,  ma  vi  andate  a  poco  a  poco;  state  adunque  uniti  come  vi  ho  detto 
e  abbiate  fede  che  se  voi  foste  nel  profondo  del  mare,  Dio  ve  ne  caverà  ». 
Attendete  a  stare  uniti  sotto  il  vostro  Re  Gesù  Cristo,  il  quale  verrà  ancora 
nella  città  vostra  e  dirà:  Ecco  io  sono  costituito  Re.  (')  «  Unitevi  tutti  insieme, 
lasciate  andare  le  vostre  dissensioni,  e  se  voi  fate  questo  e  facciate  una  vera 
unione,  notate  bene  quello  che  io  vi  dico,  io  voglia  perdere  la  cappa,  se  noi 
non  scacceremo  via  i  nostri  nemici  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  Predica  XXVI.) 

E  le  stesse  raccomandazioni  ripete  incessantemente  con  calore  ognor  più 
forte.  Aprite  le  sue  predicazioni,  quale  volete,  e  ne  rimerrete  subito  persuasi  e 
ammirati. 

Ma  che  gli  valse?  Poco  in  vero;  ma  non  per  sua  colpa.  Ci  par  che  dica 
bene  1' Aquarone:  «  A  siffatti  ammonimenti  di  pace,  di  concordia  e  di  dimen- 
ticanza d'  ogni  affetto  partigiano,  molti  di  quella  generazione  non  potevano 
rassegnarsi.  Per  troppo  lungo  tempo  i  Medici  avevano  trastullato  la  città  di  Fi- 
renze; e  avendone  nell'ebbrezza  de' sensi  e  nell'apparato  delle  arti  disfran- 
cato ogni  forte  sentimento;  e  per  le  oziose  declamazioni  delle  tante  accademie 
rintuzzata  negli  animi  ogni  virtuosa  memoria;  era  impossibile  che  tanta  inno- 
vazione, e  tanto  profonda  e  radicale,  fosse  accolta  senza  opposizioni.  Uno  sto- 
rico, che  di  certo  non  è  sospetto  di  piagnone,  mostra  i  giovani  di  quell'  età 
rotti  a  tutte  le  lascivie,  e  in  conviti  spendere  tempo  e  sostanze  eccessivamente: 
che  gli  studj  loro  erano  apparire  col  vestire  splendidi,  nel  parlare  sagaci  ed 
astuti;  e  quello  che  destramente  mordeva  gli  altri,  era  più  savio  e  da  più  sti- 
mato; »  e  la  città  dice:  «piena  di  cortigiane  delicatezze,  e  costumi  ad  ogni 
bene  ordinata  civiltà  contrarj  ». 

Della  vita  cristiana  predicata  dal  Frate  costoro  non  ne  volevano  sapere  e 
molti  e  con  ingratitudine  massima  e  arte  finissima  e  quasi  diabolica  (2),  appa- 
rentemente s'  accostarono  al  nuovo  ordine  di  cose,  solo  per  rovesciarlo  me- 
glio. Il  Frate  tutto  questo  vedeva  assai  chiaro,  e,  sebbene  ne  soffrisse  immen- 
samente, pure  lo  doveva  tollerare,  perchè  non  avvenissero  mali  maggiori,  e 
invece  della  pace  non  s'  avesse  subito  guerra  civile,  sanguinosa.  A  questo  ri- 
guardo non  si  può  leggere  da  alcuno  la  lettera  ad  un  amico  senza  reslarne  tri- 
sti. Ivi  appare  chiaro  quanto  sentisse  forte  il  Savonarola  che  1'  unione  de'prin- 
cipali  cittadini  nell'  amore  del  ben  comune  avrebbe  migliorato  e  perfezionato  a 
poco  a  poco  il  governo:  e  che  se  quest'unione  si  fosse  fatta  davvero,  il  governo 


0)  Salmo  II,  v.  6. 

O  Cfr.  il  Villari  dove  con  molta  acutezza  di  giudizio  e  con  veduto  nuove  con  1' aiuto 
di  nuovi  documenti  mostra  in  parte  le  opero  da  volpo  che  usarono  i  partigiani  de'  Medici 
e  gli  avversar]  del  Savonarola  e  del  vivere  a  popolo  nella  famosa  logge  dell' Appello.  Più 
innanzi  vedremo  anche  come  si  adoperassero  diabolicamente  per  irritare  contro  il  Frate  il 
Pontefice.  In  verità  che  il  Macchiavelli  scrisso  il  suo  Principe  in  un  tempo  elio  ben  sapeva 
intenderlo  e  n'era  degno! 


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in  poco  tempo  avrebbe  lasciato  ben  poco  a  desiderare,  e  la  città  sarebbe  di- 
venuta felicissima.  Ma  pur  doveva  constatare  che  un  troppo  gran  numero  l'ave- 
vano preso  in  odio  il  nuovo  governo  e  consacravano  tutto  il  loro  ingegno  e  tutti 
i  loro  sforzi  a  rovinarlo  e  distruggerlo  e  con  arte  veramente  diabolica  mette- 
vano ostacolo  a  molte  opere  buone  che  si  sarebbero  potute  fare.  Mandavano 
questi  scaltri  avversarj  nel  Grande  Consiglio  molti  del  basso  popolo  privi  di 
giudizio,  ed  altri  che  non  sarebbero  stati  degni  neppur  di  vivere  sopra  la  terra, 
mentre  avrebber  dovuto  farsi  innanzi  essi  e  consacrare  al  ben  comune  le  loro 
forze  e  i  loro  talenti.  Costoro  egli  li  diceva  ingrati  o  fossero  amici  del  passato 
governo,  o  banditi  richiamati  o  di  quei  cittadini  che  vivevano  prima  neh'  umi- 
liazione; o  di  quelli  che  s'  erano  adoperati  a  conseguir  la  libertà.  Li  diceva 
ingrati  tutti,  imperocché  Dio  aveva  fatto  a  tutti  segnalati  beneficj  con  la  procla- 
mazione del  nuovo  governo.  Tutti  costoro,  non  volendosi  unire  insieme  e  tutti 
d'amore  e  d'accordo  pensare  al  ben  comune,  erano  la  cagione  che  Firenze 
non  andasse  bene  come  doveva  andare  secondo  le  promesse  del  Frate. 

La  città  era  in  discordia.  Pur  troppo!  E  Fra  Girolamo  era  continuo  nel 
gridar  questo,  e  che  la  pace  si  era  fatta,  ma  non  col  cuore,  e  che  i  Fiorentini 
non  volevano  lasciar  gli  odj  e  le  inveterate  inimicizie,  e  che  in  nessun  modo 
volevano  accordarsi  nel  vivere  iti  pace,  ma  nascostamente  macchinavano  in 
tutti  i  modi  a  danno  del  nuovo  governo  e  della  libertà.  Pur  troppo  è  vero  tutto 
questo;  ma  recarne  la  cagione  al  Frate  è  come  accusare  la  corrente  del  Golfo 
che  non  dia  alla  Scandinavia  il  clima  di  Quito;  è  come  accusare  l'agricoltore 
se  la  brina  gli  ha  cotto  le  tenere  pianticelle  alle  quali  egli  aveva  dedicato  ogni 
sua  cura;  è  come  accusar  il  seminatore  del  buon  grano  se  altri  nascostamente 
getta  nel  suo  campo  la  zizzania. 

Amare,  ma  giuste,  son  pur  le  parole  del  Frate  che  si  leggono  nella  XXVI 
sopra  Ruth  e  Michea:  «  Quando  io  vi  guardo  qua  in  viso  veggo  che  voi  siete 
divisi  in  tre  parli.  E  prima  voi  che  eravate  di  fuori  innanzi  a  questo  stato,  e 
non  potevate  venire  a  vedere  la  vostra  città,  e  dicevate:  0!  se  io  vi  potessi 
andare,  e  starmi  nella  mia  patria,  io  mi  starei  in  pace,  senza  cercare  altro. 
Slatti  dunque  ora:  perchè  non  ti  stai?  che  fai  tu?  —  Oh!  io  mi  sto.  —  E'non 
è  il  vero,  ti  dico  io,  tu  non  ti  stai.  Io  ne  saprei  mostrare  qua  una  brigata  a 
dito  :  io  t'  ho  visto,  tu  non  stai  cheto;  l'ambizione,  l'odio,  l'invidia  sono  quelle 
cose  che  t'  accecano.  Un'  altra  parte  veggo  di  voi  che  avevano  il  capestro  alla 
gola,  io  dirò  pur  così,  ed  avriansi  tolto  la  vita  di  banda,  ed  ora  non  si  stanno 
e  non  si  ricordano  del  beneficio.  —  Oh!  padre,  e'  non  è  il  vero  ;  tu  menti  per  la 
gola.  —  Oh!  egli  è  cattivo  vocabolo:  io  lascio  il  pensiero  a  te.  Egli  è  vero,  ti  dico 
io,  io  ti  ho  visto.  La  terza  parte  siete  quelli  che  siete  stati  magistrati  e  non 
avete  voluto  fare  giustizia  ». 

E  qui  mentre  ammiriamo  la  profonda  accortezza  del  Savonarola  che  così 
bene  scopriva  il  marcio  celato  sotto  belle  apparenze,  e  non  si  illudeva  come 
pur  troppo  accade  a  chi  si  lasciò  trasportare  dalla  passione  di  parte,  doman- 
diamo ai  lettori:  Che  poteva  fare  il  Savonarola  e  non  ha  fatto  per  salvare  Fi- 
renze ?  perchè  la  discorde  città  si  ricomponesse  ?  perchè  divenisse  una  e  forte 


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e  felice?  perchè  fosse  come  l' immagine  della  Gerusalemme  celeste  ?  Non  ac- 
cusiamo nè  Mosè,  nè  Aronne  se,  di  tanta  moltitudine  che  usci  d'  Egitto  con  la 
promessa  che  sarebbero  entrali  in  Terra  Santa,  due  soli  giunsero  alla  meta!  (*) 

Ma  ci  resta  pur  sempre  una  grave  accusa,  l'accusa  di  esaltamento,  d'intem- 
peranza, di  eccesso  e,  se  anche  volete,  di  crudeltà.  Dalle  parole  del  Paslor 
trascritte  in  principio  del  presente  capitolo  non  abbiamo  udito  dal  Savonarola 
un  linguaggio  nient'  affatto  conveniente  ad  un  ministro  di  pace?  Non  abbiam  vi- 
sto con  quanta  terribile  crudeltà  minacciasse  chi  tentava  di  far  parlamento? 
Non  lo  abbiamo  veduto  col  Crocifisso  in  mano  minacciare  esilio  e  morte  a  chi 
volesse  ristabilire  la  tirannia?  e  non  abbiam  visto  alle  sue  parole  seguire  im- 
mediatamente le  provvisioni  in  Consiglio?  E  non  merita  egli  il  nome  di  focoso 
e  di  sanguinario  allorché  ingaggia  una  guerra  d'esterminio  a  tutti  i  suoi  nemici? 
Queste  cose  non  macchiano  esse  gravemente  1'  esaltalo  Riformatore?  Chi  non 
lo  dirà  intemperante  e  crudele  udendo  da  lui  parole  cosi  diverse  da  quelle  che 
si  convengono  al  ministro  di  pace,  al  predicatore  della  mite  dottrina  di  Cristo? 

Prima  di  entrare  nel  merito  della  questione  vorrei  osservare  che  questo 
metodo  di  scriver  la  storia,  parlando  più  al  cuore  e  al  sentimento  che  alla  ra- 
gione, non  mi  par  troppo  conveniente.  Deve  lasciarsi  ai  romanzieri  e  a  quei 
tristi  che  desiderosi  d'ottenebrar  gl'intelletti  più  che  d'  illuminarli  e  intenti 
sempre  a  screditare  la  Chiesa  e  gli  Stati,  rappresentano,  non  senza  esagerare 
molto,  alla  fantasia  delle  plebi  ignare,  le  pene  con  le  quali  la  giustizia  medioe- 
vale puniva  i  rei.  Con  questo  metodo  mi  sarebbe  molto  facile  gettare  nell'ani- 
mo, specialmente  di  giovanetti  inesperti,  un  vero  senso  di  orrore  per  i  tribunali 
della  Santa  Inquisizione  e  per  quasi  tutte  le  legislazioni  antiche,  e  forse  li  farei 
apparir  cosa  da  selvaggi  molti  capitoli  del  Diritto  Canonico.  A  me  pare  che  sia 
obbligo  dello  storico,  libero  da  passione,  non  solo  di  dire  la  verità,  ma  tutta  la 
verità,  parlando  prima  alla  mente  e  poi  al  cuore,  e  mostrando  le  cose,  quali 
erano,  nel  tempo  che  avvennero,  coi  loro  aggiunti.  Questo  il  Pastor  nel  caso 
del  nostro  Riformatore,  non  fa,  e  non  mi  par  giusto. 

Io  non  nego  neppur  una  delle  cose  di  cui  il  Pastor  accagiona  qui  il 
Frale  severo:  anzi  ne  potrei  aggiungere  delle  altre  che  il  critico  d' Innsbruck 
tace;  e  non  mi  sento  nemmeno  l'animo  di  ricorrere  alla  scusa  che  alcuni 
degli  amici  e  ammiratori  del  Savonarola  invocano:  esser,  questi  suoi,  casi  iso- 
lati e  quasi  moti  primi  primi.  La  scusa  sarebbe  magra  quand'anche  fosse  fon- 
data sul  vero.  Il  nostro  autore  ti  ripete  più  volle  le  cose  dette  ne'  sermoni 
sopra  citati  in  altri  sermoni  che  vengono  dopo,  in  quelli  sopra  Amos  e  Zacca- 
ria, in  quelli  sopra  Ruth  e  Michea,  e  le  scrive  anche  altrove,  come,  per  esem- 


(*)  Non  insistiamo  qui  da  vantaggio  nel  notare  quanto  facessero  per  turbar  Firenze  i 
principi  della  Lega  e  specialmente  il  Moro  co' suoi  satelliti,  co' suoi  emissarj,  e  cogli  ora- 
tori. I  Nuovi  Documenti  pubblicati  dal  Marchese,  da  I.  liei  Luugo,  da  C.  Lupi,  dal  Guasti,  dal 
Gherardi  contribuiscono  tutti  quali  più  quali  meno  a  mostrare  l'arto  diabolica  che  qui 
usavano  i  nemici  del  Frate  e  del  nuovo  ordine  di  cose  in  Firenze,  accusando  poi  dogli 
effetti  che  le  loro  trame  producevano  il  Savonarola,  che  più  di  tutti  por  bene  di  Firenze 
e  delle  anime  si  opponeva  loro. 


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pio,  nella  famosa  lettera  ad  un  amico.  Tutto  quello  che  si  potrà  notare  di  spe- 
ciale nelle  prediche  citate  dal  Villari  e  dal  Pastor  si  è  una  forma  alquanto 
più  vivace  e  calda  che  pigliano  i  concelti  del  Frate,  ma  i  concetti  di  lui  re- 
stano sempre  inalterati,  e  sono  ognora  da  lui  esposti  nella  loro  crudezza,  anche 
quando  il  furore  oratorio  non  lo  agitava  niente  affatto.  Poi  io  osservai  che  il 
Savonarola  sul  pulpito  non  diceva  mai  cose  non  pensale,  quindi  tutto  ciò  che 
consta  eh'  egli  dicesse  una  volta,  non  essendosi  mai  ridetto,  dobbiamo  rite- 
nerlo senza  meno  suo  pensiero;  e  qui  siamo  nel  caso  di  cose  non  pur  dette, 
ma  ripetute  più  volte.  E  nemmeno  vorrei  che  si  ricorresse  alla  scusa  che  si 
può  trarre  dalle  speciali  condizioni  in  cui  si  trovava  il  Frate  di  fronte  alla  re- 
pubblica fiorentina,  di  fronte  ai  macchinatori  contro  Io  Stato.  Certo  il  veder 
l' ingratitudine  e  la  diabolica  perfidia  con  cui  molti  degli  avversarj  del  nuovo 
Governo  procedevano,  è  facile  sentirsi  ribollire  il  sangue  addosso  e  dare  in 
fremiti.  A  loro  era  stala  data  la  libertà,  erano  stati  restituiti  padroni  delle  pro- 
prie sostanze  e  delle  proprie  famiglie,  a  molti  era  stato  tolto  l'esiglio,  erano  stati 
condonati  debiti,  risparmiato  carcere  e  ad  alcuni  tolto  anche  il  capestro  alla 
gola,  gli  amici  e  servitori  del  Governo  passalo  erano  stati  accolti  nella  pace 
universale:  potevano  come  gli  altri  assumere  ed  assumevano  le  pubbliche  ca- 
riche. La  più  ampia  facoltà  di  esporre  i  proprj  pensieri  era  lasciata  a  tutti — (*) 


(')  «  Firenze,  tu  sai  che  sessant'  anni  tu  hai  avuto  uno  forte  armato  in  casa  che  Ita  co- 
litodito  V  atrio  suo,  cioè  ha  custodito  le  cose  sue  in  pace,  ma  non  le  tue.  Costui  era  diven- 
tato torte  armato,  aveva  lo  braccia  forti,  cioè  le  amicizie  grandi:  costui  se  ti  toglieva  la 
roba  e  ti  toglieva  le  donne,  ti  bisognava  aver  pazienza.  Iddio  t'ha  levato  questo  forte  ar- 
mato, non  sia  nessuno  che  dica:  io  fui  io;  non  sia  nessuno  che  se  ne  vanti,  perchè  non 
avevi  tanta  forza  tu  che  potessi  sbarbare  tanta  gran  cosa  e  sì  forte  armato.  Veniamo  alle 
ragioni.  Tu  che  di':  io  fui  io,  dove  era  l'appoggio  tuo,  in  che  governo  ti  trovavi  tu  a  quel 
tempo,  che  era  un  governo  non  so  come  fatto:  dimmi,  che  cervelli  avevi  tu  dal  tuo?  Con 
lui  erano  migliori  cervelli  del  tuo;  dico  di  quelli  eh'  erano  suoi  aderenti;  però  non  sia  nes- 
suno che  dica:  io  fui  io.  Se  sopraggiunga  tino  pia  forte  di  lui  Io  vincerò  e  gli  toglierò  tutte  le 
sw  spoglie  (Vangelo  di  San  Luca,  c.  XI,  v.  21,  22.)  Iddio  è  venuto  più  forte  di  lui  e  gli  ha 
tolto  le  spoglie  sue,  la  roba  sua  e  1'  autorità  sua  sopra  di  te.  Tu  eri  prima  tuffato  sotto, 
ora  non  sei  cosi:  e  però  io  vorrei  che  tu  lasciassi  la  tua  ambizione,  e  tu,  che  eri  prima  di 
fuori,  vorrei  che  tu  considerassi  dove  tu  eri  prima  e  dove  tu  se' ora,  e  che  però  stessi  pa- 
ziente. Quell'  altro  che  eri  dalla  parte  sua,  vorrei  che  tu  considerassi  la  grazia  che  tu  hai 
avuta,  che  gli  è  fatta  la  pace  e  che  non  t' è  data  molestia  alcuna;  che  però  stessi  contento: 
per  la  qual  cosa  io  vi  dico  a  tutti,  se  non  farete  quollo  che  io  vi  dico  sarà  tolto  questo  re- 
gno dalle  mani  vostre  e  dato  ai  vostri  figliuoli....»  (Sopra  Amos,  XIX.)  K  poi  notissimo 
con  quanta  libertà  e  indipendenza  e  larghezza  di  vedute  Fra  Girolamo  voleva  che  i 
cittadini  dessero  le  fave.  Il  modo  con  cui  egli  parla  di  ciò  è  veramento  ammirabile.  (Cfr. 
Sopra  ì  Salmi,  pred.  XXVII;  Sopra  Amos  e  Zaccaria  IX;  Sopra  Ruth  e  Michea  XIV  e  XIX....) 
E  del  pari  è  mirabile  e  forse  più  la  libertà  che  voleva  lasciata  ad  ognuno  di  esprimere  le 
proprie  idee  intorno  allo  Stato  e  alla  pubblica  amministrazione:  «  l'aria  Marzocco  e  dice: 
Insino  a' di  nove  di  novembre  passato,  sono  stato  morto,  o  a  dormire.  Il  Signore  mi  ha  risu- 
scitato: leverommi  su,  e  avrò  gran  coso  secondo  che  il  Signore  mi  ha  promesso;  e  se  non 
testò  grande  regno,  almanco  in  comparaziono  qualeho  cosa  di  beno  spirituale,...  Fiorentini, 
voi  siete  liberi,  o  non  più  schiavi;  bisogna  ora  sapersi  reggere  o  conoscere  la  vostra  felicità; 
potete  ora  dire  si  o  710  corno  volete:  hai  riavuta  la  favella,  elio  aveva  prima  perso  il  popolo 
iiorontino.  Iutondoto  ohe  siate  ricchi,  o  potete  lare  della  vostra  roba  a  vostro  modo.  Inten- 
dete, che  pototo  diro  in  consiglio  quollo  vi  paro  sia  bene:  lascia  diro  chi  dice  e  consiglia  pure 


—  365  — 


Perchè  dunque  avversare  il  nuovo  Governo  ed  il  ben  vivere  introdotto  per 
esso?  Perchè  tramare  per  rimettere  il  tiranno  in  Firenze?  In  vero  l'animo 
del  Savonarola  doveva  essere  ben  fornito  di  mitezza  e  di  prudenza  per  non 
dare  in  escandescenze.  Ma  con  tutto  ciò  la  scusa  non  ci  piacerebbe.  Il  Frate 
sarebbe  ad  ogni  moilo  venuto  meno  ai  santi  principj  ch'egli  costantemente 
bandiva  dal  pulpito,  e  ne'  suoi  scritti.  Nessuno  deve  lasciarsi  trasportare  dal- 
l' ira  e  tanto  meno  chi  vuole  condurre  gli  uomini  alla  verità  della  fede  e  alla 
semplicità  della  vita  cristiana. 

Con  questi  principj  in  mente  noi  abbiamo  letto  nel  Savonarola,  noi  ab- 
biamo esaminato  le  nuove  accuse,  e  crediamo  tuttavia  non  solo  di  poter  as- 
solvere il  Frate,  ma  di  dichiarare  che  non  si  può  procedere  contro  di  lui  per 
1'  inesistenza  di  reato.  Il  Savonarola  non  solo  non  ha  dato  in  escandescenze, 
nè  ha  passato  i  limiti  concessi,  ma  avrebbe  potuto  e  forse  anche  dovuto,  ove 
le  circostanze  1'  avesser  richiesto,  andar  oltre  assai. 

In  altri  punti  dell'  apologia  del  Frate  sentirei  forse  il  bisogno  di  pregare 
il  lettore  a  rivestire  quella  tempra  dura,  d'  acciaio,  che  avevano  gli  ultimi  figli 
del  medio  evo,  anche  in  mezzo  alla  corruzione  trionfante;  ma  qui  solo  suppongo 
che  il  lettore  ammetta  per  veri  i  principj  de'  grandi  filosofi  e  teologi  nostri  e 
specialmente  di  San  Tommaso,  sanzionati  dalla  legislazione  nel  Diritto  Cano- 
nico e  universamente  applicati  nel  secolo  XV.  In  conclusione  che  cosa  faceva 
Jl  Savonarola?  Nient' altro  che  questo:  affermare  che  coloro  i  quali  volevano 
far  tirannide  e  abbattere  con  la  violenza  il  legittimo  Governo  fiorentino  e  di- 
struggere il  Gran  Consiglio  meritavano  la  pena  di  morte  ('),  e  che  se  v'  era  chi 


il  bene  e  di  la  verità  liberamente.  Tu  i>uoi  parlare,  non  ci  è  più  quel  freno;  voi  potete  fare 
tutto  quello,  che  vuole  Dio,  se  voi  volete,  e  se  direte  la  verità  per  amore  di  Cristo,  sarete 
de' suoi  baroni,  quando  si  scoprirà  capo  della  città  di  Firenze.  Può  essere  che  i  Fiorentini 
non  conoscano  quello  che  e'  sono  ?  su  sollecitate  quella  sala  :  quello  è  il  bene  vostro,  o  come 
voi  perdeste  questo  governo  perdereste  Cristo  «.(Sopra  i  Salmi,  XXVII.)  «  Pigliatevi  insieme 
quattro,  quando  vedete  una  cosa  buona,  e  dite  :  Noi  vogliamo  cosi  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  IX) 
Lasciate  consigliare  ognuno  liberamente,  e  non  calunniate  poi  chi  dice.  Quando  i  cittadini 
sono  congregati,  e' non  si  può  dire  bene,  nè  consigliare  bene,  se  non  si  dice  tutto  quello  che 
l'uomo  ha  in  animo.  Lascia  dire  a  ognuno  quello  ohe  e' vuole:  tieni  pure  saldo  l'occhio 
al  Consiglio,  e  basta.  La  Signoria  poi,  udita  la  volontà  do' cittadini,  si  ha  stringere  fra  gli 
Ottanta  e  dire:  —  Egli  è  stato  consigliato  cesi  e  cosi:  che  ve  ne  paro?  —  E  piglierete  buoni 
partiti.  Ma  se  la  va  cosi  che  voi  siato  sfiduciati  P  uno  dell'altro,  ella  non  va  bene —  O  Pa- 
dre, e'  ci  è  di  chi  l'uomo  non  si  può  fidare.  —  Non  ti  curare,  lascia  parlare  ad  ognuno  libe- 
ramente ne'tuoi  Consigli,  ohe  la  vita  loro  gli  manifesterà.  Fate  questo  che  non  si  possa 
mormorare  di  quello  che  si  dice  in  Consiglio  sotto  qualche  pena.  Ma  se  non  ti  piace  quello 
che  si  consiglia,  non  dire  male  di  colui;  di'  :  —  E'  non  mi  piace  questa  ragione,  —  ed  allegano 
tu  una  migliore,  perchè  se  voi  dite  male  l'uno  dell'altro,  non  vi  è  poi  nessuno  che  voglia 
parlare.  Noi  abbiamo  anche  noi  frati  i  nostri  consigli.  E' si  chiamano  tutti  i  frati  secondo  le 
cose  importanti:  ognuno  è  libero  di  dire,  e  poi  si  guarda  le  migliori  ragioni,  e  quello  che 
tiene  la  maggior  parte  quello  si  osserva.  Il  Consiglio  vuole  essere  libero.  Mettete  qua  una 
pena  a  quelli  che  dicono:  Quel  cittadino  ha  detto  male,  egli  è  un  ribaldo  e  un  cattivo.  Di' più 
presto  :  —  Gli  ha  buona  mente,  ma  la  ragione  sua  non  mi  piace.  —  Se  voi  fate  questo,  che 
siate  uniti  ed  amiate  il  bene  comune,  e  fate  orazione  in  ogni  cosa,  lo  cose  vostre  andranno 
bene  ».  (Ivi,  pred.  XIX.) 

(')  Dice  San  Paolo:  Chi  resiste  all'ordine  di  Dio  resiste  alla  potenza  di  Din  e  apparto- 
Ckiasi  la  dannazione.  (Ai  Romani,  c.  XIII,  v.  2.)  Qual'  è  la  potestà  ordinata  a  te  popolo  fio- 


i 


—  366  — 


attentasse  a  questo,  il  popolo  desse  mano  alle  armi  e  si  difendesse,  anche  uc- 
cidendo gì'  ingiusti  aggressori.  Trovatemi  un  solo  codice  medioevale  che  non 
porti  per  tal  delitto  siffatta  pena,  ed  io  sarò  con  voi  a  condannare  il  Frate 
come  intemperante.  Piacemi  riportare  le  gravi  parole  di  Gino  Capponi  a  que- 
sto proposito:  «  Vinti  da  principio  si  presentavano  gli  amici  di  casa  Medici;  ma 
1'  adoperarsi  a  ricondurne  la  dominazione  era  col  promuovere  una  tirannide, 
contrastare  alla  grande  opera  che  stava  in  cima  d'ogni  suo  pensiero,  e  alla 
quale  si  sentiva  egli  chiamato  da  Dio;  era  delitto  cui  non  poteva  essere  indul- 
gente ».  (') 

Ho  inteso,  direte  ;  ma  non  aspettava  a  Fra  Girolamo  dichiarare  la  guerra, 
anche  se  giusta,  contro  i  nemici  dell'  ordine  puhblico,  e  tanto  meno  dichia- 
rarla dal  pergamo. 

Ed  io  vi  do  perfetta  ragione  riguardo  al  vostro  principio  ;  ma  nego  reci- 
samente il  vostro  supposto.  La  guerra  devono  dichiararla  e  guidarla  non  i 
Frati,  ma  i  reggitori  dello  Stato:  quest' è  verissimo.  Ma  dove  mi  trovate  che  il 
Savonarola  dichiarasse  egli  guerra  alcuna,  e  facesse  alcuna  legge?  Anche  qui 
si  è  egli  semplicemente  limitato  a  consigliare  a  Firenze,  al  popolo  di  Firenze, 
al  Signore  di  Firenze,  a  provvedere  perchè  le  arti  da  volpe  e  la  violenza  non 
gli  guastassero  il  bene  comune  :  e  questo  lo  può  fare  ognuno  in  nome  di  Dio, 
e  il  Savonarola  doveva  farlo  in  modo  speciale,  dacché  dalla  sua  bocca  si  aspet- 
tavano i  buoni  consigli,  nè  altri  aveva  il  coraggio  di  darli.  E  singolare  la  con- 
seguenza a  cui  si  arriverebbe  con  la  condanna  del  Frate.  Ecco  una  città  in 
gran  parte  riformata  e  che  sta  per  riformarsi  anche  tutta  nella  vita  cristiana; 
ecco  una  città  da  schiava  e  corrotta  divenuta  libera  e  buona;  ecco  un  Governo 
che  fa  leggi  informate  al  timore  di  Dio,  che  mirano  a  provvedere  al  ben  co- 
mune, e  far  rifiorire  ogni  còsa  nella  pace  universale  ;  alle  porte  di  questa 
città  ecco  il  tiranno  armato  che  conduce  con  sè  il  trionfo  del  vizio.  Il  predi- 
catore cattolico,  vedendosi  pendente  dalla  sua  bocca  il  popolo  trepidante,  il  po- 
polo, che  in  qualche  modo  ha  da  provvedere,  non  dice  una  parola  del  pericolo 
che  si  corre,  non  dà  un  conforto,  non  un  incitamento  perchè  i  vogliosi  ardi- 
scano, i  neghittosi  si  movano,  l'autorità  provveda;  ma  lascia  che  l'inetto  ti- 
ranno compia  il  suo  giuoco  e  i  malvagj  trionfino  e  piglino  vendetta  contro 
i  buoni.  Me  se  così  dev'  essere;  che  si  potrà  rispondere  a  coloro  i  quali  ino- 


rentino?  eli' è  il  Consiglio  Granilo,  porche  quello  come  Principe  e  Signore  fa  tutti  gli  of- 
ficiali, questo  è  il  tuo  He,  Firenze,  questo  è  il  tuo  Signore.  Or,  dimmi  un  poco,  popolo  mio, 
elio  pena  merita  colui,  il  quale  nmmazza  un  Re,  o  veramente  un  signore  di  una  città?  Oh, 
merita  grandissima  punizione.  Quia  cut  crimcii  le.sae,  maiestutis.  Che  morita  dunque  uno  che 
andasse  pensando  o  tonfando  d'ammazzare  e  guastare  questo  Consiglio?  Certo  meritoria 
quella  medosima  pena  che  merita  colui  che  ammazza  il  Re,  o  veramente  il  principe.  Se 
colui  che  ammazza  un  uomo  merita  la  morto,  che  ne  va  a  chi  ammazza  un  comune  o  una 
repubblica?  Oh,  corto  grandissima  pena;  so  adunque  ne  va  una  gran  pena  a  ofl'ondoro  questo 
Consiglio,  dove  ciascuno  con  ogni  sua  l'orza  difenderlo  cho  non  sia  offeso  da  persona  ». 
(Sopra  Amos,  prod.  V.) 

('j  Storia  della  repubblica  Fiorentina,  Libro  VI,  c.  II, 


-  367  — 


vono  alla  Chiesa  la  vecchia  accusa  di  essere  nemica  degl'  interessi  civili  e 
incapace  affatto  di  promovere  quelle  condizioni  di  ben  essere  e  di  gloria  cui  a 
buon  diritto  e  per  naturale  tendenza  aspira  ogni  ben  ordinata  società?  La 
salute  pubblica  è  legge  suprema;  ed  interessa  il  privato  come  il  pubblico 
bene,  che  sia  mantenuto  l'ordine  e  la  tranquillità  pubblica;  che  la  famiglia  sia 
ordinata  conforme  alla  legge  di  Dio  e  ai  principj  di  natura:  che  sia  rispettata 
e  praticata  la  religione  :  che  fioriscano  i  pubblici  e  privati  costumi:  che  sia  in- 
violabilmente osservata  la  giustizia:  che  una  classe  di  cittadini  non  opprima 
l'altra:  e  allorché  è  minacciata  la  mina  dello  stato  la  forza  e  l'autorità  delle 
leggi  deve  fare  il  suo  estremo  sforzo  e  giungere  sino,  se  sia  necessario,  alla 
uccisione  dell'ingiusto  oppressore.  E  chi,  quand' è  uopo,  predica  perchè  la 
società  non  patisca  questi  mali  e  goda  questi  beni,  non  fa  certo  politica  mon- 
dana, e  che  non  si  convenga  a  buon  religioso  e  a  uomo  pacifico.  (*) 

Secondo  questi  principj  noi  dobbiamo  esaminare  la  predicazione  del  Sa- 
vonarola e  non  altrimenti,  se  non  vogliamo  insegnare  in  teorica  una  cosa  e  poi 
praticarne  un'altra  contraria,  e  renderci  ridicoli.  Esaminata  con  questi  prin- 
cipj la  causa  del  Frate  è  giusta  e  santa  e  nessun  cristiano  la  può  condannare. 

Devo  dirlo?  Se  il  Savonarola  ha  un  torto;  questo  si  è  1' abborrire  dal 
sangue.  (2)  Se  ha  un  torto,  non  è  per  intemperanza  o  per  escandescenze  o  per 
crudeltà  nell' invocar  pena  e  morte,  ma  nel  chiedere  misericordia,  perdono  e 
pace  tra  le  risorgenti  fazioni. 

Se  il  Savonarola  fosse  stato  focoso  e  crudele  forse,  chi  sa?  la  repub- 
blica Fiorentina  avrebbe  durato  più  a  lungo  e  la  sua  riforma  avrebbe 
ottenuto  altri  risultati.  Chi  guastò  1'  opera  del  Frate  furono  coloro  che  avendo, 
coni'  egli  stesso  diceva,  il  capestro  alla  gola,  furono  accolti  pacificamente  nel 
novero  de'  buoni  cittadini,  colla  fiducia  che  essi  sarebbero  vissuti  quieti.  Se 
invece  di  predicare  la  pace  e  la  misericordia  con  quante  forze  Dio  gli  aveva 
dato,  egli  non  si  fosse  interposto  sì  che  qualche  centinaio  di  cittadini  aves- 
ser  mozzo  il  capo,  qualche  migliaio  fossero  chiusi  nelle  carceri,  altri,  confiscati 
loro  i  beni,  fossero  stati  messi  a'  confini,  altri  corrotti  con  le  cariche,  con  il 
danaro,  allora,  davvero,  l'ottimo  Frate  non  avrebbe  dovuto  poi  lottare  cotanto 
contro  que'  duri  e  pertinaci  avversarj  che  lo  condusser  finalmente  alla  morte!! 
Ma  i  santi  non  pensano  come  noi:  pongono  la  loro  fiducia  in  Dio  e  vogliono, 
ogni  volta  che  si  possa  farlo,  non  la  morte  del  peccatore,  ma  che  si  converta 


(')  V .l' Enciclica  sulla  Costituzione,  Cristiana  degli  Stati,  in  principio,  e  l'altra  Sulla  Que- 
stione Operaia.  Se  avesser  ragione  i  giudici  del  Frate,  non  s'intenderebbe  più  come  si  meri- 
tino lode  Pietro  d'Amiens  e  San  Bernardo  di  Chiaravallo  e  gli  altri  predicatori  cristiani, 
che  incitarono  1"  Europa  a  muovere  contro  i  turchi,  per  liberare  il  Santo  Sepolcro. 

(2)  Il  buon  Frate  si  lagna  sovente  nelle  sue  prediche  della  parziale  crudeltà  do' ma- 
gistrati, e  tanto  esponendo  Aggeo  quanto  esponendo  i  Salmi  e  anche  in  altre  predicazioni 
insiste  nel  deplorare  che  i  Fiorentini  usassero  la  tortura  contro  i  debitori  del  comune,  o 
per  futili  motivi.  A  questo  pare  che  non  abbia  volto  più  che  tanto  l'attenzione  il  Pastor,  ma 
è  pure  non  ultima  delle  glorie  del  Riformatore  fiorentino.  Vedi  per  esempio  le  prediche  I  o  li 
sopra  i  Salmi. 


—  368  — 


e  viva;  (*)  sono  come  la  misericordia  di  Dio,  che  abbraccia  tutto  ciò  che  a  lei 

si  volge. 

Pensai  più  volte  per  qual  ragione  il  Savonarola  gridasse  tanto  perchè  non 
si  lasciasse  tornare  il  Tiranno,  e  invocasse,  contro  i  favoreggiatori  di  quello, 
pene  quanto  giuste  altrettanto  gravi;  e  credo  che  anche  questo  egli  in  parte 
facesse  per  risparmiar  sangue,  confische,  esigli.  Ma  di  ciò  dovremo  occuparci 
un'altra  volta  andando  innanzi.  Per  ora  il  detto  basta  a  scagionare  il  nostro  rifor- 
matore. Concludiamo  adunque  così:  Il  Savonarola  s'implicò  ne'negozj  dello  stato 
solamente  quando  lo  starne  fuori  sarebbe  stata  una  colpa;  se  ne  implicò  per  favo- 
rire il  bene  comune  della  città,  per  la  salute  delle  anime,  per  l'onore  di  Dio,  e  non 
per  altro  ;(2)  nell'animo  suo  non  entrò  mai  nemmeno  l'ombra  dell'ambizione 
politica;  egli  si  tenne  sempre  pago,  dacché  altri  non  aveva  il  coraggio  di  farlo, 
a  predicare  che  si  promulgassero  buone  leggi  informate  al  timore  di  Dio,  che  tu- 
telassero la  religione  e  l'integrità  de' costumi,  il  vivere  cristiano  e,  favorissero 
il  bene  comune  e  la  dignità  personale  umana.  Ne'  particolari  non  scese  mai, 
nò  si  usurpò  mai  l'ufficio  di  coloro  che  dirigono  lo  stato,  non  fu  mai  egli  il  go- 
vernatore di  Firenze,  ma  lasciò  sempre  questo  a  coloro  cui  spettava.  In  partico- 
lare non  è  provato,  anzi  è  falso  eh'  egli  tenesse  rivolto  a  Francia  il  popolo  con- 
tro la  Lega;  egli  lasciava  questa  e  le  altre  questioni  simili  a  coloro  a' quali 
spettava  pensarvi.  L'  accusa  eh'  egli  fosse  intemperante,  crudele  è  accusa  leg- 
giera e  niente  giusta.  Fra  Girolamo  potè  adunque  a  ragione,  nella  predica  XIX 
sopra  Aggeo,  dire  che  le  cose  da  lui  predicate  nessuno  le  poteva  biasimare, 
e  se  tutto  il  mondo  avesse  detto  al  popolo  Fiorentino  il  contrario,  esso  non 
avrebbe  dovuto  credergli,  perchè  quanto  egli  aveva  predicato  «  non  era  altro 
che  la  sostanza  dell'  Evangelo,  Amerai  il  Signor  Iddio  con  tutto  il  cuore  e  sopra 
tutte  le  cose  e  il  prossimo  tuo  come  te  stesso.  L'  amore  di  Dio  e  del  prossimo 
è  tutta  la  legge  di  Cristo.  Nè  potrai  trovare  persona  che  contradica  a  que- 
sto, se  non  viziosi  ambiziosi  o  stolti  e  dissipati  di  mente.  Tu  di'  che  gli  è 
nata  la  discordia  in  Firenze  e  le  divisioni.  Io  ho  predicato  e  sempre  predico 
la  unione,  e  la  pace:  ma  se  tu  non  la  vuoi,  duolti  di  te  e  non  di  me.  Cristo  e 


(')  Le  stesse  coso  dovremmo  dire  se  fosso  discorso  do' principi  e  de' loro  servi,  o  grandi 
o  piccoli,  die  tramavano  contro  il  Fi  nto  e  in  particolare  de' cittadini  parimente  avversarj 
suoi  e  dui  governo.  11  Savonarola  ne  conosceva  le  arti  e  le  opere,  e  se,  invece  di  star  redo- 
lissimo alla  logge  impostasi  di  non  trarre  dal  pulpito  a  nessuno  in  particolare,  avesse  ogli 
ni  focose  concioni  al  popolo  o  anche  in  discorsi  agli  amici  ed  ai  magistrati  svelato  le  mali- 
zio e  chiesto  pone  particolari,  forse  al  Somenzi  e  a  Fra  Lauro  JJossi  non  sarebbe  stato  suffi- 
ciente il  fuggirò  da  valorosi  per  qualche  tempo  da  Firenze,  nè  sarebbe  quogli  arrivato  a 
scherzare  cinicamente  e  turpemente  sulla  morto  de' Martiri  fiorentini;  ma  ed  egli  e  i  pari 
suoi  o  avrebber  cambiato  registro,  o  bagnato  ossi  di  sangue  la  piazza  della  Signoria  o  le 
Stincho.  Molti  certo  se  non  por  amoro  della  giustizia,  almeno  per  vorgogna  e  per  timore  si 
sarebbero  ridotti  al  silenzio.  Ma  a  Frate  Girolamo  bastò  sempre  far  minacco  in  genore  e 
piuttosto  che  esser  altrui  cagiono  di  morte,  amò  meglio  morir  ogli  vittima  della  prepotenza 
della  malizia  o  della  ingratitudine!  Cosi  soglion  fare  i  veri  santi. 

Vi  Gino  ('apponi  dice  (1.  o.):  «  Potova  egli  con  verità  dichiarare  ohe  in  cose  di  stato  non 
gli  sia  piaciuto  d'ingerirsi  mai».  Vedi  il  Compendio  di  Uiuclaxione. 


—  369  — 


gli  Apostoli  suoi  predicavano  sempre  la  pace:  eppure  nascea  su  presto  la 
divisione  dalli  cattivi,  che  ripugnavano  il  ben  vivere  che  si  predicava:  cosi 
hai  fatto  tu.  Incolpa  dunque  te,  e  non  me.  Io  ho  fatto  1'  offizio  mio,  e  più 
in  là,  ne'  tuoi  particolari,  non  mi  ho  a  intromettere.  A  me  basta  avere  de- 
nunziato quello  che  mi  ha  dato  il  Signore,  e  averti  sollecitato  e  confortato 
a  farlo.  Da  me  non  venire  a  cercare  altro  che  orazioni  ;  perchè  io  voglio  es- 
ser Frate,  e  non  altro,  altrimenti  se  tu  non  vorrai  fare  la  volontà  di  Dio,  tuo 
sarà  il  danno  ». 


24 


XXII. 


Necessità  di  esporre  la  teorica  Savonaroliana  in- 
torno la  gerarchia  ecclesiastica,  l' obbedienza 
a'  superiori,  le  leggi  canoniche  e  la  scomunica. 

Sommario. 

Importanza  crescente  del  nostro  lavoro.  —  Un  mare  poco  navigato.  —  Dottrina  e  fatti  più  critici  del 
Savonarola.  —  Nostra  speranza.  —  Che  cosa  si  chiede  al  lettore.  —  Come  si  procederà.  —  La  cre- 
denza universale  nell'ortodossia  del  Savonarola.  —  Giudizi  di  cattolici  o  di  acattolici.  —  Ufficio 
conseguente  a  chi  voglia  rivendicare  alla  Chiesa  Fra  Girolamo.  —  Un  verso  dell'  Alighieri  che 
s'  aggiusterebbe  al  Savonarola.  —  Il  Pastor  riuscirebbe  a  metter  in  dubbio  anche  l'ortodossia  del 
Savonarola. —  Asserzioni  dello  storico  d'  Iunsbruck  contro  il  Frate.  —  Obbligo  che  quindi  ne  viene 
negli  esaminatori  del  Pastor.  clie  vogliono  cattolico  il  Savonarola.  —  C'ontradizioni  nel  Pastorelle 
non  ritolgono  tale  obbligo.  —  Altri  scrittori  che  giudicano  sinistramente  la  dottrina  del  Frate.  — 
Xostra  speranza.  —  Metodo  che  seguiremo. 


Arrivati  a  questo  punto  il  nostro  lavoro  assume  un'  importanza  capitale. 
Ci  piacerebbe  sostare  un  poco  ;  ma  la  via  che  ci  resta  da  percorrere  e  il  desi- 
derio di  giungere  alla  meta  ci  attraggono  potentemente,  e  son  pur  molli  che  ci 
stimolano  di  andar  forte.  Senz'  altra  cura  adunque,  e  non  pigliandoci  nem- 
meno il  conforto  e  il  vantaggio  che  ci  verrebbe  dal  volger  lo  sguardo  al  cam- 
mino già  fatto,  spieghiamo  le  vele  pel  mare  più  alto  e  tempestoso  che  ci  si 
para  innanzi,  e  in  cui  molti  ricusarono  di  mettere  il  loro  legno,  o  navigarono 
pessimamente,  non  lasciandovi  nemmeno  segnato  il  solco  del  loro  cammino! 

In  vero,  il  periodo  di  vita  del  Savonarola  e  la  dottrina  e  i  fatti  che  ci  re- 
stano da  esaminare  sono  i  più  critici;  e  la  questione  che  ci  proponiamo  di  ri- 
solvere non  solo  è  grave  assai,  ma  forse  unica  negli  annali  della  storia  eccle- 
siastica; ed  essendo  già  per  se  medesima  difficile  ad  esser  risolta,  venne  ancora 
intenebrata  per  guisa  dalla  passione  e  dall'  ignoranza  e  dal  pregiudizio,  che 
trasse  nel  falso,  e  ve  li  lien  fermi  tuttavia,  molti  eletti  ingegni,  molli  spiriti  colti, 
anche  fra  gli  amici  del  Frate  di  San  Marco,  anche  fra  i  migliori  cattolici! 


—  371  — 


Se  Dio  ci  vorrà  concedere  di  rischiarire  un  poco  la  cosa,  e  sanar  un  poco 
le  viste  turbate,  a  noi  parrà  davvero  di  non  aver  faticato  indarno  ;  e  accoglie- 
remo nell'  animo  la  certezza  che  molti  cammineranno  poi  per  la  retta  via,  e 
sarà  tersa  ogni  macchia  e  fugata  ogni  nebbia,  anche  leggiera,  che  ancor  resti, 
nella  fama  del  grande  e  singoiar  martire  Fiorentino. 

Nè,  a  riuscir  nell'intento,  chiediamo  al  lettore  molte  cose;  lo  preghiamo 
solo  che  voglia  astenersi  dal  pronunciar  semplicemente  proposizioni  generali, 
senza  considerar  poi  s'  esse  abbian  luogo  e  sian  vere  nel  caso  particolare  di 
cui  si  parla.  Questo  ci  è  necessario  per  essere  intesi,  e  questo  chiediamo  e  non 
altro;  e  lo  chiediamo  come  cosa  pur  onesta  e  giusta,  e  come  tale  confidiamo 
che  nessun  lettore  ce  lo  voglia  negare.  Procederemo  così:  esporremo  prima 
la  teorica  del  Savonarola,  poi  dimostreremo  ch'essa  è  cattolica,  e  quindi  faremo 
vedere  ch'egli  nella  pratica  non  venne  mai  meno  alla  bontà-delia  sua  dottrina. 
Ma  per  non  perder  altro  tempo  e  giunger  presto  alla  meta,  facciamoci  subito 
a  dire  di  ciò  che  porta  la  intitolazione  del  presente  capitolo. 

E  oramai  generale  la  credenza  che  la  dottrina  di  Fra  Girolamo  Savorarola 
■è  ortodossa.  La  Civiltà  Cattolica  nel  quaderno  1111  de' 3  ottobre  1896,  parla 
di  questo  con  una  sicurezza  che  non  ammette  dubbio:  «  L'ortodossia  del  Sa- 
vonarola (dice  l'autorevolissimo  Periodico)  è  saputa  ». 

Monsignor  Francesco  Baldassarri,  Vescovo  d'Urbania  e  di  Sant'Angelo  in 
Vado,  uomo  quanto  cortese  e  buono  con  ognuno,  altrettanto  di  diffìcile  conten- 
tatura in  teoria,  non  uso  a  pronunciar  giudizio  se  non  dove  i  suoi  occhi  vedono 
molto  bene,  ci  scriveva  di  questi  giorni,  che  «  l'ortodossia  del  Savonarola  è 
più  chiara  della  luce  meridiana  ». 

Ognuno  conosce  del  resto  la  lunga  schiera  de' celebri  scrittori,  che  posero 
il  loro  ingegno  a  sostenere  e  dimostrare  questa  tesi:  L'ortodossia  di  Fra  Giro- 
lamo Savonarola.  Il  Pastor  medesimo  nota  a  pag.  378  che  son  venuti  in  luce 
una  gran  quantità  di  scritti  cattolici  i  quali  espongono  l'ortodossia  del  Monaco 
di  San  Marco.  (l)  Ed  ognuno  conosce  l'autorevole  giudizio  pronunciato,  a  que- 
sto riguardo,  dalla  Congregazione  istituita  per  1'  esame  dei  libri  al  tempo  di 
Paolo  IV  terribilissimo  avversario  d'ogni  eresia;  giudizio  che  vale  da  solo  per 
molti  volumi.  (2) 


(')  A  questo  proposito  richiamiamo  l'attenzione  dei  nostri  lettori  al  nuovo  opuscolo  del 
P.  Giovanni  Procter  Provinciale  dei  Domenicani  in  Inghilterra,  intitolato:  II  Savonarola  e  la 
■Hi/orma,  risposta  al  Dott.  Farrar  Decano  di  Canterbury.  Traduzione  italiana  con  prefazione  e 
note  del  P.Lodovico  Ferretti  dei  Predicatori.  —  Milano,  Tip.  Pontificia  S.  Giuseppe  Via  S.  Ca- 
locero  n.  9.  — Allo  stesso  scopo  e  insieme  a  provare  la  santità  della  vita  del  Savonarola,  tende 
l'altro  opuscolo  pubblicato  alla  stessa  Tipografia  dal  suddetto  P.  Lodovico  Ferretti:  Per  la 
causa  di  Fra  Girolamo  Savonarola,  Fatti  e  testimonianze. 

(2)  Anche  nell'articolo  del  Grisar  citato  di  sopra,  si  legge  quanto  seguo:  «  Paolo  IV 
dichiarò  di  non  voler  condannare  gli  scritti  del  Savonarola  come  contrarj  al  dogma,  su  di 
che  San  Filippo  Neri  espresse  la  sua  gioia.  Certamente  Paolo  IV  non  poteva  agire  diversa- 
mente. Il  Savonarola  era  rimasto  sempre  fedele  alla  teoria  del  dogma  cattolico,  e  al  ricono- 
scere questa  verità  tutti  i  ben  pensanti,  come  San  Filippo  Neri,  dovevano  rallegrarsi  ». 

E  avrebbe  anche  potuto  aggiungere  che  Dio  intervenendo  con  un  miracolo,  sanzionò 
Egli  stesso  in  modo  singolarissimo  quella  dichiarazione  del  suo  Vicario.  (Vedi  Capecelatro, 


—  372  - 


Nè  soli  credenti  e  cattolici,  ma  anche  razionalisti  e  protestanti  conven- 
gono ormai  in  questa  sentenza.  Un  celebre  critico  francese  ci  scriveva  l'altro 
ieri,  che  il  Savonarola  fu  rigorosamente  ortodosso  ed  ebbe,  secondo  lui,  il  torto 
di  pensare  all'epoca  sua  quello  che  i  cattolici,  con  Leone  XIII,  pensano  tutta- 
via oggi  giorno.  Lo  stesso  crede  (e  lo  scrive  nella  prefazione  alle  prediche  so- 
pra Ruth  e  Michea,  edite  in  Firenze  dal  Salani  nel  1887)  Giuseppe  Baccini;  e 
così  fanno  altri  non  pochi.  Onde  il  Villari  nota  a  proposito  che  anche  in  Ger- 
mania e  in  Inghilterra,  quando  furono  colà  meglio  conosciute  le  opere  di  Fra 
Girolamo,  le  opinioni  errate  di  quegli  scrittori  riguardo  alle  dottrine  di  lui  ven- 
nero corrette  universalmente. 

Dopo  tutto,  parrebbe  adunque  che  almeno  nella  dottrina  il  Savonarola  si 
avesse  da  tenere  senz'altro  per  buono;  e  per  conseguenza  che  s'avesse  a  tenere 
per  retto  anche  nella  teoria  dell'obbedienza  de' sudditi  verso  i  prelati  e  di 
tutti  i  fedeli  verso  il  sommo  Pontefice.  Questo  parrebbe  ormai  che  s'avesse  a 
credere  ;  e  perciò  che  si  dovesse  stimare  superfluo  il  soffermarsi,  chi  vuole 
rivendicare  la  memoria  del  Frate  al  cattolicismo,  ad  esporre  l'ortodossia  della 
sua  dottrina;  ma,  tenendola  senz'altro  per  vera  e  nota,  parrebbe  che  si 
avesse  ad  entrar  subito  a  mostrare  che  il  Frate  non  si  è  dipartito  in  pratica 
dalla  sana  teorica  professata:  il  peccato  suo,  se  mai,  non  sarebbe  di  scienza  o 
di  fede,  ma  di  fatto  e  pratico. 

Si  potrebbe  adunque  al  più  aggiustare  al  Savonarola,  da  chi  lo  accusa,  il 
verso  99  del  canto  XVI  del  Purgatorio  di  Dante: 

Ruminar  può,  ma  non  ha  1'  unghia  fessa, 

traendo  il  ruminare  a  dire  che  il  Frate  di  San  Marco  ha  ben  saputo  pascere  e 
digerire  studiosamente  le  sacre  scienze,  e  che  fu,  se  piace,  dottissimo  in  di- 
vinità ;  ma,  traendo  l'unghia  fessa  a  pratica  di  vita,  si  dovrebbe  volger  subito 
la  lode  in  biasimo  acerbo,  e  negare  al  Savonarola  d'aver  saputo  tradurre 
in  fatto  la  sapienza  e  la  dottrina  che  possedeva.  In  breve:  al  nostro  Frate  si 
concederebbe  per  un  lato  e  sapienza  e  dottrina,  e  per  l'altro  si  negherebbe  la 
conformità  delle  opere  e  l'esemplarità  della  vita.  Onde  colui,  che  Io  volesse 
scagionato  e  purgato  intieramente  da  ogni  accusa  e  macchia  presso  i  cattolici, 
dovrebbe  pur  soffermarsi  a  mostrare  e  provare  il  contrario,  cioè  la  conformità 
degli  atti  del  Frate  alla  buona  dottrina. 

Così  forse  dirà  alcuno,  e  così  forse  potrebbe  farsi  in  un  altro  genere  di 
lavoro,  ma  non  quando  si  esamina  e  si  giudica  il  Pastor.  Questo  critico,  tanto 
autorevole,  quanto  spietato  contro  Fra  Girolamo,  non  dubita,  a  pag.  352,  di 
paragonare,  rispetto  alla  dottrina,  il  Savonarola  all'Hus,  e  asserisce  franca- 
mente che  il  Frate  di  San  Marco  «  non  si  peritò  punto  di  dichiarare  il  con- 
vincimento soggettivo  quale  stregua  dell'obbedienza  ecclesiastica  »  ;  e  a  pag.  357 


Vita  di  S.  Filippo,  Lib.  II,  cap.  V;  e  il  Padre  Marchese,  Lettere  al  Cardinale  Capecelalro,  Pa- 
dova, pag.  117.  Cl'r.  anche  gli  articoli  comparsi  nel  Rosario,  Memorie  Domenicane,  Anno  XIV, 
fase.  3  e  i  intitolati:  —  Il  sovrannaturale  nella  causa  di  Fra  Girolamo.  — 


-  373  - 


insinua,  anzi  afferma,  che  il  Savonarola  «  aveva  l'ardire  di  professare  la  dot- 
trina di  un  magistero  profetico  sopra  la  gerarchia  ecclesiastica  »;  nè  dubita  di 
ripetere  più  volte  che  e' dimenticò  eziandio  del  tutto  l'insegnamento  della 
Chiesa,  che  la  vita  peccaminosa  e  viziosa  del  superiore,  anche  del  Papa,  non 
vale  a  scuoterne  la  giurisdizione  (pag.  379)  :  e  a  pag.  3G4  nota,  che  il  Per- 
rens  a  ragione  giudica  che  la  teorica  del  Savonarola  facilita  ogni  ribellione 
contro  l'autorità;  e  più  esplicito  ancora,  a  pag.  359,  ha  l'audacia  di  scrivere 
«  Che  la  teoria  esposta  neh'  Epistola  contro  la  scomunica  surrettizia  a  tutti  i 
cristianie  diletti  di  Dio  contrasta  direttamente  alla  dottrina  della  chiesa,  eviene 
a  rovesciare  i  fondamenti  di  ogni  ordine  ecclesiastico».  (l)  Per  tutte  queste  as- 
serzioni, e  per  altre  simili  che  abbiamo  viste,  o  vedremo,  è  chiaro  che  l'illu- 
stre professore  d'Innsbruck  pensa  e  insegna  che  il  nostro  Frate  non  solamente 
è  stato  protervo  in  pratica,  ma  anche  in  teoria  «  si  è  staccato  dal  fondamento 
di  ogni  riforma  nel  senso  cattolico,  cioè  dalla  soggezione  della  suprema  e  le- 
gittima autorità,  anzi  assalì  il  fondamento  di  ogni  ordine  nella  chiesa  »  (pag.  143). 

Perciò  il  Savonarola,  secondo  il  suo  ultimo  grande  giudice,  almeno  in  que- 
sto campo,  avrebbe  professato  dottrina  e  compiuti  fatti  ugualmente  dannabili. 

È  ben  vero  che  il  Pastor  ha  giudizj  e  concetti  i  quali  pugnano  contro 
questa  conclusione;  così  a  p.  360  nella  nota  2,  egli  deplora  nel  Ranke  l'as- 
serzione che  resistere  alla  scomunica  era  uno  spianare  la  strada  alla  riforma 
generale,  di  cui  si  occupava  il  Savonarola;  e  trova  vie  più  grande  l'errore  nelle 
proposizioni  seguenti  del  medesimo  storico:  «  Di  gran  lunga  più  grave  (che  le 
funzioni  ecclesiastiche  del  Savonarola)  si  fu  il  maneggiarsi  onde  permettere  al 
Frate  anche  la  predicazione  persino  fuori  di  San  Marco  ;  chè  in  ciò  stava 

un'aperta  ribellione  contro  gli  ordini  pontificj  e  la  scomunica  dello  stesso  

Tutto  ciò  non  vuoisi  riguardare  per  un  semplice  atto  di  disobbedienza;  è 
manifesto  che  in  tal  guisa  veniva  intaccato  1'  intero  sistema  della  Chiesa. 
L'autorità  suprema  del  Pontefice  e  la  infallibilità  dello  stesso  erano  con  ciò 

messe  in  dubbio        »;  ed  è  ben  vero  ancora  che  egli  non  vuol  consentire  a 

questo  storico  che  il  Frate  possa  chiamarsi  «  un  precursore  de'  riformatori  del 
secolo  XVI  ».  ed  è  ancor  vero  che  a  pag.  377  l'illustre  critico,  nella  lunga  nota 
terza,  riconosce  ed  afferma  stravagante  l'idea  di  collocare  sul  monumento  di  Lu- 
tero a  Worms  il  Monaco  di  San  Marco,  il  quale  nel  suo  Trionfo  della  Croce  pa- 
ragona il  discostarsi  dalla  Chiesa  Romana  col  discostarsi  da  Cristo;  e  dà  lode 
non  piccola  al  Marchese  e  al  Villari  con  riconoscere  i  meriti  di  quest'insigni 
scrittori  nel  rimuovere  l'idea,  contraria  alla  storia,  che  il  Savonarola  sia  uno 
de'precursori  della  riforma;  e  insieme  coll'Hergenrother  afferma:  «  sicuramente 


(')  Avvertiamo  i  lettori  che  quest'epistola,  esaminata  insiemo  colle  altre  opere  del  Sa- 
vonarola.  non  è  stata  trovata  in  nessun  modo  meritevole  di  censura.  Se  (corno  il  Pastor  fa 
dire  ad  Alessandro  VI  nel  breve  dell'  8  marzo  1198)  il  Savonarola  divulgava  per  le  stampe 
dottrine  che  rovesciavano  l'autorità  apostolica,  perchè  nel  rigoroso  esame  che  se  ne  i'eco, 
queste  dottrine  non  furon  condannate,  come  nessun  altro  scritto  ove  si  provava  la  nullità 
della  censura  ? 


—  374  — 


il  Savonarola  non  era  un  eretico  formale  riè  un  precursore  della  così  detta  rifor- 
ma, se  però  la  sola  opposizione  contro  il  papa  è  quella  che  decide;  la  sua  dottrina 
era  del  tutto  cattolica  »;  questo  è  ben  vero  tutto;  ma  siffatte  ed  altre  asser- 
zioni simili,  che  si  leggono  nelle  note  dell'illustre  prof,  d'  Innsbruck,  non  val- 
gono punto  a  rischiarare  la  fosca  luce  che  viene  dal  testo  gettata  sulla  persona 
del  nostro  Frate.  Resterà  in  coloro  che,  senza  aver  letto  le  opere  del  Savona- 
rola, leggeranno  il  Pastor,  e  pur  compatiranno  allo  scrittore  questi  opposti 
giudizj,  resterà  almeno  il  dubbio  che  il  Frate  esaltato,  davanti  alla  legge  si  ti- 
rasse addosso  il  sospetto  d'eresia,  in  quanto  che  parrà  che  negasse  il  diritto  del- 
l'autorità ecclesiastica  ad  infliggere  la  scomunica  o  la  necessità  dell'appartenenza 
alla  Chiesa.  (Cfr.  nel  Pastor  la  nota  1  a  pag.  377.)  (')  E  perciò  resterà  almeno 
il  dubbio  che  il  Savonarola  non  riconoscesse  gli  obblighi  de'  sudditi  verso  i  pre- 
lati e  segnatamente  verso  il  Sommo  Pontefice;  non  riconoscesse  la  gerarchia 
ecclesiastica,  nè  il  valore  delle  leggi  canoniche,  in  ispecie  di  quelle  che  riguar- 
dano la  disciplina  e  la  scomunica;  e  così  sarà  per  necessaria  conseguenza  cre- 
duto dannabile  anche  in  teoria  il  nostro  povero  Maestro,  e  la  sentenza  andrà  a 
terra  o  si  sgretolerà  almeno  anche  il  giudizio  con  tanta  fatica  ottenuto,  che  egli 
nella  dottrina  fosse  ortodosso;  e  sarà  aperta  un'altra  volta  la  via,  che  il  Pa- 
stor medesimo  pur  vorrebbe  chiusa,  ad  introdurre  il  Riformatore  fiorentino  tra 
le  file  de'  protestanti;  o  almeno  de' liberaleschi  moderni  ;  e  i  cattolici  dovranno 
continuare  a  guardarlo  con  occhio  poco  benigno  e  niente  favorevole  ! 

È  una  necessità  adunque,  per  chi  vuole  purgatoli  Savonarola  dalle  macchie 
e  rischiarato  dalla  nebbia  onde  lo  ricopre  e  avvolge  il  nuovo  libro  tedesco,  di- 
mostrare non  solo  che  egji  rettamente  operò  ne'  suoi  rapporti  con  Alessan- 
dro VI  papa;  ma  ancora,  che  pensò  rettamente. 

Del  resto,  a  dire  tutto  il  vero,  il  Pastor  non  è  solo  a  pronunziare  una- 
sentenza  così  grave;  in  qualche  modo  la  pronunziarono  anche  recentemente 
il  Ranke,  il  Ròsler,  il  Cosci,  il  Grisar...  e  più  altri,  dai  quali  anzi  il  Pastor  la 
trascrive  e  copia,  rincarandone  però  la  dose  a  modo  suo.  E  adunque  non  solo 
opportuno,  ma  anche  necessario  a  noi  discutere  e  risolvere  questa  questione. 
Altrimenti  ci  sarà  impossibile  giudicare,  come  si  conviene,  le  sentenze  sopra- 
scritte del  professore  d'Innsbruck  e  più  altre  ch'egli  accolse  nel  suo  libro,  che 
levò  contro  il  Savonarola  tanta  avversione,  e  gli  fece  e  fa  tuttora  tanto  male  ! 

E  noi  veniamo  volentieri  a  questo,  anche  perchè  non  sappiamo  chi  fra  i 
moderni  l'abbia  fatto  di  proposito  e  sufficientemente  ;  e  fra  gli  stessi  storici  più 
accreditati  regna  a  questo  riguardo  non  poca  confusione.  Osserviamo  però  che 
noi  svolgiamo  colla  dovuta  ampiezza  quest'argomento  in  altri  scritti,  e  perciò 
qui  si  ha  da  star  contenti  a  quanto  è  strettamente  necessario  all' intento  di  ora. 

Saremo  relativamente  brevi  adunque;  ma  speriamo  tuttavia  di  poter  riu- 
scire a  risolvere  definitivamente  la  questione  famosa,  che  tiene  ancor  sospeso  il 
giudizio  di  molti  intorno  al  Martire  fiorentino.  Esporremo  adunque  prima  la  teoria 


(')  Questo  giudizio  è  anche  «lei  (.«riunì-. 


-  375  — 


del  Savonarola  riguardo  alla  gerarchia  ecclesiastica,  e  all'obbedienza  de' sud- 
diti a'prelati  e  segnatamente  al  Papa;  poi  la  teoria  intorno  al  valore  delle  leggi 
canoniche;  e  quindi  la  dottrina  della  scomunica,  procurando  sempre  di  tenerci 
stretti  alle  opere  del  Frate,  e  possibilmente  di  presentare  ogni  cosa  colle  stesse 
parole  di  lui.  Ci  par  questa  l'unica  via  per  togliere  di  mezzo  ogni  dubitazione, 
e  disporre  le  menti  ad  un  giudizio  spassionato,  ragionevole  e  sicuro  intorno 
la  convenienza  della  dottrina  Savonaroliana  colla  dottrina  cattolica,  colla  dot- 
trina de'Padri  e  de' Dottori  della  Chiesa,  e  particolarmente  di  San  Tommaso 
d'Aquino;  e  per  arrivare  al  punto  decisivo,  cioè  alla  domanda  se  il  Frate  sia 
da  condannare  o  da  assolvere  e  commendare  non  pure  nel  campo  delle  idee, 
ma  anche  della  pratica. 

Per  questo  modo  apparirà  chiaro  quanto  merito  debba  darsi  alle  asser- 
zioni del  Pastor  di  sopra  recate  ed  a  più  altre  che  si  leggono  nel  libro  di  lui, 
libro  a  nostro  giudizio,  nella  parte  che  spetta  al  Savonarola,  infelicissimo,  come 
per  il  resto,  così  anche  per  i  rapporti  del  Frate  con  il  Papa. 


XXIII. 


Della  gerarchia  ecclesiastica 
secondo  Girolamo  Savonarola. 

Sommario. 

Distruzione  tra  clero  e  popolo.  — I  Ministri  iustitniti  da  Cristo  dispensatori  de'  Sacramenti.  —  L'Euca- 
ristia fonte  e  ragione  della  gerarchia  ecclesiastica.  —  Del  Sacerdozio  e  degli  altri  ordini  che  ad 
esso  ministrano;  o  de' gradi  della  gerarchia  ecclesiastica.  —  Del  Vescovato.  —  La  potestà  epi- 
scopale e  la  sacerdotale  rispetto  al  corpo  vero  e  rispetto  al  corpo  mistico  di  Cristo.  —  Come  si 
riducano  tutte  le  diocesi  ad  un  solo  capo.  —  La  gerarchia  nel  nostro  cosino,  e  la  gerarchia  uel- 
1'  universo  di  Cristo. 


Parlando  della  gerarchia  ecclesiastica  osserviamo  prima  di  tutto  che  Giro- 
lamo Savonarola  pone  nella  Chiesa  di  Cristo  una  vera  e  propria  differenza  fra 
laici  e  chierici:  «  La  Chiesa  si  distingue  in  laici  e  chierici  ».  (Scritti  inediti,  po- 
stille al  Salmo  1.)  «  Il  popolo  cristiano  si  divide  in  due  parti:  l'una  il  clero,  l'al- 
tra i  secolari  e  cittadini.  »  (Sopra  Rulli  e  Michea,  pred.  XIX.)  «  La  dignità  sa- 
cerdotale dev'essere  e  restare,  per  la  sua  eminenza,  distinta  dalla  moltitudine 
plebea.  »  {Scritti  inediti,  postille  al  II  de' Numeri.) 

Lo  stesso  potremmo  vedere  in  molti  altri  luoghi,  come  per  esempio  nel 
cap.  XIII  del  libro  III  del  Trionfo,  dove  il  Frate,  discorrendo  della  dottrina 
cristiana  circa  la  legge  e  la  costituzione  giudiziale,  che  trova  massimamente 
ragionevole,  ha,  tra  l'altre  cose  belle,  la  proposizione  seguente:  «  Per  le  leggi 
canoniche  è  giudicato  e  governalo  il  clero  e  per  le  leggi  civili  il  popolo  ».  Ma 
non  ci  pare  il  caso  di  soffermarci  qui  ora  da  vantaggio,  non  essendo  possi- 
bile sopra  questo  punto  alcun  dubbio  da  parte  di  nessuno;  e  poi  togliendo  ad 
ogni  modo  qualunque  esitanza  di  giudizio  e  distruggendo  qualunque  obiezione 
quanto  diremo  or  ora  della  gerarchia  ecclesiastica. 

Di  questa  il  Savonarola  discorre  in  molti  luoghi  delle  sue  opere,  e  fra  gli 
altri  nel  capo  XVI  del  libro  III  del  Trionfo  della  Croce;  e  ivi,  come  altrove,  la 
fa  nascere  da'  diversi  gradi  onde  si  compone  il  Sacramento  dell'Ordine. 

Osserva  per  prima  cosa  l'alto  teologo,  che.  avendo  Cristo  a  sottrarre  la 


—  377  — 


sua  presenza  visibile  alla  Chiesa,  fu  necessario  che  sostituisse  in  suo  luogo 
ministri  che  avessero  a  dispensare  i  sacramenti  a'  suoi  fedeli.  E  questi  mi- 
nistri non  furono  angeli,  non  furuno  esseri  differenti  da  noi,  ma  scelti  tra 
noi;  furono  uomini.  E  non  essendo  questi  uomini,  pure  elevati  a  tanta  dignità 
e  a  tanto  ufficio,  immortali,  Cristo  diede  loro  per  tal  modo  la  potestà  di  am- 
ministrare i  suoi  Sacramenti,  che  la  potessero  conferire  a' successori  con- 
tinuamente sino  alla  consumazione  del  secolo. 

Questo  osserva  per  prima  cosa  il  Savonarola;  e,  ciò  posto,  considera  la 
potestà  dell'Ordine  e  i  gradi  rispetto  all'Eucaristia;  e  ci  mostra  la  gerarchica 
dipendenza  di  essi  gradi,  e  dice:  «  Quando  una  potestà  è  ordinata  a  qualche 
principale  effetto,  molte  volte  ha  sotto  di  sè  potestà  inferiori  che  le  servono; 
mala  potestà  dell'Ordine  è  instituita  principalmente  a  consacrare  il  corpo  e  il 
sangue  di  Cristo  e  dispensarlo  a' fedeli,  e  a  purgare  questi  acciocché  sieno  de- 
gni di  ricever  tanto  Sacramento  ;  bisogna  adunque  che  vi  sia  qualche  ordine  il 
quale  sia  principale  a  quest'  effetto  deputato,  e  sotto  il  quale  gli  altri  ordini  sieno 
ministranti.  E  questo,  cioè  il  principale  (continua  sempre  il  Frate),  è  il  Sacer- 
dozio. E  siccome  il  Sacerdozio  si  estende  a  due  cose,  cioè  a  consacrare  il  corpo 
di  Cristo,  e  a  purgare  i  fedeli  dai  peccati,  per  farli  idonei  a  quello,  così  bisogna 
che  gli  ordini  inferiori  servano  ad  esso  o  in  queste  due  cose  o  almanco  in  una; 
i  quali  sono  tanto  più  degni,  quanto  a  quello  ministrano  in  cose  più  degne. 
Gl'infimi  ordini  adunque  sono  instituiti  solamente  a  preparare  il  popolo,  e  i 
superiori  sono  instituiti  alla  preparazione  del  popolo  fedele  e  alla  consuma- 
zione del  Sacramento  dell'Eucarestia.  L'ordine  degli  Ostiarj  separa  gl'infedeli 
e  li  scaccia  dalla  Chiesa;  l'ordine  dei  Lettori  ammaestra  nella  fede  quelli  che 
vogliono  diventar  cristiani;  l'ordine  degli  Esorcisti  scongiurali  demonio  dagli 
energumeni:  l'ordine  degli  Accoliti  per  il  nostro  Frate,  quasi  anello  trai  mi- 
nori e  i  maggiori  domandati  propriamente  sacri,  ha  per  ufficio  di  preparare  i 
vasi  consacrati  con  la  materia  che  si  ha  a  consacrare,  e  a  preparare  e  por- 
tare i  lumi  per  riverenza  ed  onore  di  tanta  dottrina. 

«  Vengono  poi  gli  altri  ordini,  maggiori:  l'ordine  del  Suddiacono,  che  di- 
spone la  materia  ne'  vasi  sacri,  e  1'  ordine  del  Diacono,  che  ha  qualche  pote- 
stà sopra  la  materia  già  consacrata,  in  quanto  che  dispensa  a'  fedeli  il  sangue 
di  Cristo;  perciò  il  Sacerdozio,  1'  ordine  del  Diacono  e  1'  ordine  del  Suddia- 
cono sono  domandati  sacri;  perchè  hanno  potestà  sopra  la  cosa  sacra.  Ancora, 
il  Suddiacono  e  il  Diacono  ministrano  il  Sacerdote  in  preparare  il  popolo,  cioè 
il  Diacono  in  pronunciare  e  leggere  al  popolo  1'  Evangelo,  e  il  Suddiacono 
1'  epistola  >.  (l) 

Quanto  al  Vescovato  il  Savonarola,  col  suo  maestro  San  Tommaso,  (2) 
non  pare  che  lo  creda  un  ordine  distinto  dal  sacerdozio  :  ma  come  il  comple- 
mento, il  perfezionamento,  la  pienezza  di  quello.  Scrive  poi  che  nella  Chiesa 
si  pone  razionabilmente  1'  autorità  episcopale,  e  per  riverenza  e  onore  alla  dot- 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  Contra  GentiUs,YA>-  IV,  cay>.  LXXV. 
■  {')  Cfr.  ivi,  cap.  XXXVI. 


—  378  — 


trina  della  Scrittura,  e  perchè,  essendo  gli  ordini  sacri  conferiti  per  mezzo  di 
un  Sacramento,  bisogna  che  sieno  conferiti  da  ministri  idonei,  e  da  qualche 
potestà  di  ordine  superiore. 

Per  ciò  che  riguarda  adunque  il  corpo  di  Cristo,  secondo  Girolamo  Savo- 
narola, lutti  coloro  che  hanno  la  potestà  di  consacrare  e  dispensare  l'  Euca- 
ristia a' fedeli  e  prepararli  e  disporli  a  riceverla,  hanno  tutti  uguale  potestà;  e 
qui  tanto  vale  un  semplice  sacerdote,  quanto  il  più  grande  di  lutti  i  pontefici. 
Ma  nel  corpo  mistico  di  Cristo,  cioè  nella  Chiesa,  la  cosa  sta  altrimenti;  onde 
il  Frate  nostro  scrive  che  «  1'  autorità  episcopale,  sebbene  non  ecceda  la  sa- 
cerdotale quanto  alla  consacrazione  del  corpo  di  Cristo,  nientedimeno  la  ec- 
cede quanto  a  quello  che  appartiene  al  corpo  mistico  della  Chiesa,  a  tutto  il 
corpo  della  Chiesa,  ed  ha  ivi  potestà  nelle  azioni  gerarchiche,  e  a  lei  (all'auto- 
rità episcopale)  è  riservata  ogni  alta  difficoltà  che  occorre  nel  ceto  de' fedeli.  » 

Nè  basta  questo  al  Savonarola;  ma  segue  con  dire  che  sebbene  le  di- 
verse diocesi  de' Cristiani  abbiano  i  loro  vescovi  nelle  diverse  parti  del  mondo, 
nientedimeno,  perchè  è  una  sola  Chiesa,  tutto  il  popolo  cristiano  si  riduce  ad 
un  capo;  acciocché  tutti  convengano  in  una  fede;  e  che  per  la  diversità  delle 
opinioni,  non  rimanesse  divisa  la  Chiesa.  (*) 

Con  questo  già  noi  avremmo  in  qualche  modo  soddisfatto  all'  obbligo 
nostro  e  dato  un'idea,  se  non  completa,  almeno  sufficiente  della  dottrina  della 
gerarchia  ecclesiastica  di  Fra  Girolamo  Savonarola.  Ci  piace  tuttavia  indugiare 
ancora  un  poco,  e  non  sia  grave  al  lettore  farlo  con  noi.  Un  poco,  ma  non 
troppo;  e  per  esser  brevi  non  toccheremo  più  degl'infimi  gradi  della  gerar- 
chia, contentandoci  per  questi  di  additare  al  lettore  la  predica  XII  sopra 
l'Esodo,  nella  quale  se  ne  discorre  assai  lungamente,  e  per  gli  altii  gradi  sta- 
remo paghi  a  poche  cose  tratte  dall'ultimo  sermone  recitato  dal  pergamo  dal 
nostro  Frate  al  popolo  di  Firenze.  (XXII  sopra  l'Esodo.) 

Ivi  il  Savonarola  vede  nelle  opere  di  Cristo  come  un  nuovo  universo,  e  un 
nuovo  mondo;  e  ammira  anche  nelle  cose  naturali  una  specie  di  gerarchia, 
quasi  segno  e  figura  della  gerarchia  che  Cristo  institui  nella  sua  Chiesa,  e  nel 
suo  universo  spirituale. 

«  Nel  mondo  (in  questo  mondo  corporeo,  che  ci  sta  innanzi  gli  occhi),  v'  è 
il  cielo  (non  dimentichiamoci  che  il  Savonarola  parlava  nel  secolo  XV)  causa 
universale,  che  con  la  sua  virtù  fa  produrre  le  cose  naturali  ».  (*)  Cosi  nella  sua 
Chiesa  v'  è  Cristo,  che,  con  la  sua  passione,  è  causa  universale  della  salute  delle 
anime.  (3)  Al  cielo  seguono  gli  elementi,  causa  meno  universale  di  quello,  che 
producono  le  varietà  delle  cose  particolari  di  questo  mondo;  neh'  universo  di 
Cristo  vi  sono  i  Sacramenti  della  sua  Chiesa,  che  conferiscono  la  grazia  a  coloro 
che  li  ricevono.  Poi  nel  mondo  corporeo  viene  un'altra  causa  meno  universale 


(')  San  Tommaso,  loc.  cit. 

(J)  La  Sottrimi  trovasi  più  volte  ripetuta  da  San  Tommaso,  (V.  Somma  TtologiCO,  p.  I-I I, 
O.Q.  10».  art.  1  e  II-II;  qu.  47,  art.  5,  ad  3m). 

(,a)  Cl'r.  San  Tommaso,  Somma  Teoloijica,  p.  Ili,  qu.  XLIX,  art.  I  ad  4.'" 


—  379  — 


degli  elementi,  cioè  gli  agenti  naturali  e  particolari;  e  nell'  universo  di  Cristo 
vi  corrispondono  e  sono  i  prelati  della  Chiesa:  alcuni  universali,  alcuni  partico- 
lari. Il  più  universale  è  il  Papa,  il  quale,  dopo  Cristo,  deve  provvedere  a  tutta  la 
Chiesa;  seguono  poi  i  vescovi,  meno  universali,  che  devono  provvedere  alle  loro 
diocesi;  e  quindi  vengono  i  parrochi,  meno  universali  ancora,  i  quali  devono 
provvedere  alle  chiese  loro;  e  quindi  per  ultimo  v'  è  ciascun  individuo,  che  deve 
provvedere  all'  ànima  propria. 

«  E  tutte  queste  cause  dell'universo  di  Cristo  (trascrivo  sempre  le  pa- 
role del  Frate),  furono  da  Lui  bene  collegate  e  concatenate  insieme  V  una 
sotto  1'  altra  con  la  sua  sapienza.  Perciò  è  facile  capire  e  vedere  che  1'  una 
deve  stare  sotto  Y  altra  e  riconoscere  la  superiore  rispettivamente  e  ricor- 
rere ad  essa  e  obbedirla;  e  tutte  riconoscere  la  suprema  e  ricorrere  ad  essa 
e  obbedirla.  Onde  se  un  cittadino,  continua  i!  Savonarola,  facesse  male  contro 
la  Chiesa,  per  esempio  dicesse  male  della  fede,  e' si  ricorre  il  primo  tratto  al 
suo  parroco;  e  se  lui  non  gli  provvede,  si  ricorre  al  vescovo,  e  se  il  vescovo 
non  gli  provvede,  si  ricorre  al  Papa,  e  se  il  Papa  non  provvede,  si  ricorre  a 
Cristo:  si  fa  orazione,  perchè  quello  è  1' ultimo  rimedio  ». 

E  nel  Trattato  del  governo  cap.  II,  si  leggono  le  seguenti  parole,  ripetute 
poi  con  pochissime  varianti  in  ogni  predicazione:  «  Il  nostro  Salvatore,  volendo 
mettere  nella  Chiesa  sua  ottimo  governo,  fece  Pietro  capo  di  tutti  i  fedeli,  ed 
in  ogni  Diocesi,  anzi  in  ogni  Parrocchia  e  Monastero  volle  che  si  governasse 
per  uno;  e  che  finalmente  tutti  i  capi  minori  fossero  sotto  un  capo,  Vicario  suo...» 

Chi  ne  avesse  desiderio  potrei  moltiplicare  questi  passi  fino  a  farne  un 
volume;  ma  credo  che  i  citati  bastino  per  affermare  senz' altro  che  nella  gerar- 
chia ecclesiastica  il  Savonarola  è  perfettamente  cattolico;  e  perciò  andiamo  oltre 
senza  più  nulla  dire  nè  aggiungere  a  questo  riguardo,  per  la  parte  generale; 
ma  subito  ci  facciamo  a  parlare  del  Papa. 


XXIV. 


Il  Romano  Pontefice  nella  gerarchia  ecclesiastica 
secondo  Girolamo  Savonarola. 


Sommario. 

Pagione  del  capitolo  presente.  —  Chi  sia  il  Papa  secondo  Girolamo  Savonarola.  —  Fu  passo  aureo.  — 
Verità  che  piace  al  nostro  Frate.  —  Il  Papa  capo  della  chiesa,  successore  di  Pietro,  vicario  di 
Cristo,  rappresentaute  di  Dio  in  terra.  —  Il  Papa  avrà  sempre  Poma  per  sede.  —  Il  capitolo  VI 
del  libro  IV  del  Trionfo.  —  Per  qual  fine  sia  tatto  il  Papa.  —  Il  Papa  giudice  supremo  nella 
Chiesa  di  tutte  le  questioni'e  compositore  di  tutte  le  differenze.  —  Il  Papa  e  la  perpetua  unità 
della  Chiesa.  —  Tutti  i  papi  quasi  un  papa  solo.  —  Parole  di  Fra  Girolamo  alla  Chiesa  Catto- 
lica. —  Riepilogo  e  conclusione. 


Ciò  che  abbiamo  esposto  nel  capitolo  passato  è  certo  sufficiente  perchè 
noi  ci  formiamo  un  concetto  abbastanza  preciso  della  gerarchia  ecclesiastica 
secondo  Girolamo  Savonarola;  e  potrebbe  anche  bastare  per  vedere  che  nella 
Chiesa  il  Frate  di  San  Marco  riconosce  al  Papa  il  posto  che  gli  conviene,  po- 
nendolo al  sommo  di  tutta  la  gerarchia,  e  riconoscendolo  perciò  capo  di  tutta  la 
Chiesa,  di  tutti  i  vescovi,  di  tutto  il  clero  e  di  tutto  il  popolo  cristiano.  Ma  perchè 
*ono  troppo  profondi  i  pregiudizj  contro  il  grande  Riformatore,  e  noi  qui  dovremo 
occuparci  specialmente  de'  rapporti  corsi  fra  Alessandro  VI  Papa,  e  Girolamo 
Frate  domenicano,  non  sarà  tutto  tempo  gettato,  nè  tutta  opera  perduta,  se  ci 
fermeremo  ancora  un  poco  a  tratteggiare  più  compiutamente  il  sommo  Gerarca 
della  Chiesa  cattolica,  e  vedere  chi  sia  propriamente  il  Papa  secondo  il  nostro 
Riformatore,  e  a  qual  fine  venisse  egli  creato  e  fatto. 

Chi  ò  il  Sommo  Pontefice,  chi  è  il  Papa,  secondo  Girolamo  Savonarola?  Il 
Papa  è  il  capo,  il  primate  della  Chiesa  universale,  è  nella  Chiesa  come  l'anima 
nell'uomo,  e  il  cuore  nel  corpo,  come  la  luce  del  sole  nella  generazione;  è 
nella  chiesa  ciò  che  nelle  scienze  e  nelle  arti  sono  i  principj  universali,  ciò  che 
è  il  fondamento  nella  casa;  è  il  capitano  de' soldati  cristiani,  il  principe  loro. 
Togli  dall'  uomo  1'  anima,  dal  corpo  il  cuore,  dalle  scienze  e  dalle  arti  i  primi 


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principj,  il  fondamento  dalla  casa,  dall'esercito  il  capitano,  dalla  città  il  prin- 
cipe, e  tutto  andrà  in  mina.  Così  avverrebbe  del  governo  della  Chiesa  se  ne 
togliessi  il  capo,  se  ne  togliessi  il  Papa. 

Lasciatemi  trascrivere  intiero  il  passo  savonaroliano,  dove  sono  esposte 
queste  cose,  nè  vi  dolete  se  il  Frate  riprende  la  cosa  alquanto  dall'alto,  e  trae 
immagini  dalla  fisica  ed  astronomia  dei  tempi  suoi;  fissale  l'occhio  all'essenza 
dell' argomento  e  vedrete  che  non  sarà  senz'utile:  «L'onnipotente  Dio  ha 
creato  tutto  questo  universo,  e  dà  1'  essere  a  tutte  le  creature,  e  fa  che  1'  una 
dipenda  da  1'  altra  e  che  l'  una  operi  mediante  1'  altra.  E  benché  Dio  potesse 
fare,  se  volesse,  che  nessuna  creatura  operasse  mediante  1'  altra,  ma  operasse 
Lui  in  esse,  (')  tuttavia  Lui,  per  dimostrare  e  diffondere  più  la  sua  bontà,  ha 
voluto  così  ordinarle,  ed  ha  diffuso  e  sparso  la  sua  bontà  in  esse,  ed  ha  voluto 
che  la  diffondano  poi  1'  una  nell'  altra,  ed  ha  fatto  in  loro  una  colligazione  che 
1'  una  sta  conlenta  sotto  i'  altra,  e  la  superiore  sparge  la  sua  bontà  nelì'  infe- 
riore, e  la  inferiore  sta  contenta  anche  solto  la  superiore.  Ed  in  tutti  gli  or- 
dini delle  creature  ha  proposto  una  cosa  principale,  sì  che,  tolta  via  quella, 
rovinano  tulle  quelle  altre  cose  che  da  quella  dipendono.  Ad  esempio:  nei  mo- 
vimenti il  primo  e  principal  movimento  è  quello  del  cielo  cristallino,  dal  quale 
tutti  i  movimenti  sotto  di  lui  dipendono  (,*).  Se  togliessi  via  un  movimento  di 
questi  intermedj,  per  esempio  il  movimento  dell'aria,  non  cesserebbero  però  gli 
altri,  ma  tolto  via  il  principale,  cioè  quello  del  cielo  cristallino,  tutti  gli  altri 
movimenti  cesserieno.  La  luce  nella  generazione  delle  cose  naturali  è  virtù 
principale,  che  fa  produrre  tutte  le  co  -c;  togli  via  quella,  e  che  e' non  si  abbia 
più  sole,  non  si  produrrà  più  nulla.  (3)  Onde  tu  vedi  che  se  lu  vuoi  fare  un  giar- 
dino in  un  luogo  che  non  vi  dia  il  sole,  non  fai  nulla  e  non  vi  nasce  niente. 
L'  anima  è  la  principale  parte  dell'  uomo  ed  è  quella  che  sostenta  il  corpo;  se 
tu  togli  un  membro,  il  corpo  non  cade,  ma  tolta  via  1'  anima,  il  corpo  va  tutto 
per  terra.  Il  cuore  dà  il  movimento  a  lutto  il  corpo;  tolta  via  una  mano,  gli  al- 
tri movimenti  del  corpo  non  cessano;  ma  tolto  via  il  cuore,  il  corpo  non  fa  più 
alcun  movimento.  Le  scienze  hanno  tutte  i  loro  primi  principj;  tolti  via  quelli, 
sono  tolte  via  tutte  le  scienze.  Le  arti  hanno  tutte  anche  i  loro  principj,  e  tolti 
via  quelli,  ruina  tutta  1'  arte.  La  casa,  se  tu  togli  via  il  fondamento,  tutta  ruina. 
Questo  medesimo  interviene  negli  eserciti;  tolto  via  il  capitano,  è  dissipato  tutto 
1'  esercito.  Così  ancora  ne'  governi  delle  città;  tolto  via  il  principe  tutta  la  città 
si  guasta.... 

«  Nel  governo  della  Chiesa  ancora  le  cose  si  riducono  ad  una  principale, 
cioè  nella  città  il  capo  spirituale  è  il  vescovo,  e  poi  in  tutta  la  Chiesa  è  il  Papa, 
e  tolti  via  questi,  rovineria  tutto  il  governo  della  Chiesa.  Così  Dio  nella  sua  Chiesa 
dal  principio  insino  ad  oggi  ha  posto  sempre  qualcuno  per  difesa  di  quella.  E 
benché  si  perda  qualcuno  e  qualche  membro  e  qualche  parte  del  popolo,  tut- 


(')  V.  questa  dottrina  in  San  Tommaso,  par.  I,  q.  68,  a.  1. 
(2)  Cfr.  San  Tommaso,  I,  par.  6,  q.  100,  a.  1. 
i3)  Cfr.  San  Tommaso,  P.  I,  q.  LXVII,  art.  3-1. 


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tavia  il  corpo  della  Chiesa  è  stato  sempre  saldo,  stando  saldo  il  capo  ».  (Sopra 
Ruth  e  Michea,  pred.  XXII.) 

E  questo  pensiero,  questa  verità  sotto  questa  forma  piace  assai  al  Savo- 
narola, e  ci  è  inculcata  molto  sovente  ;  e  nel  Sermone  X  sopra  i  Salmi  ri- 
petendola ci  fa  capire  che  il  Papa  è  nella  Chiesa  come  1'  oro  tra  i  metalli,  il 
diamante  nelle  pietre  preziose;  la  prima  causa;  colui  al  quale  tutti  gli  altri  deb- 
bono  far  capo,  colui  dal  quale  tutti  devono  riconoscere  la  loro  virtù  e  il  loro 
ufficio,  e,  quasi  direi,  la  loro  forma  nella  società  cristiana,  nella  Chiesa.  «  L'  arte 
imita  la  natura.  Vediamo  nelle  cose  naturali  diverse  generazioni  di  cose,  ed  in 
ogni  genere  si  deve  ammettere  un  primo.  Ne'  metalli  il  primo  è  l'oro;  nelle 
pietre  preziose,  il  diamante  ;  negli  animali,  1'  uomo,  ne'  cieli,  1'  empireo.  Cosi 
nelle  cause;  perchè  sono  alcune  cause  universali,  alcune  particolari;  e  tutte 
finalmente  si  risolvono,  e  si  riducono  ad  una  causa,  alla  causa  prima,  la  quale 
ha  in  sè  tutto  1'  effetto  delle  altre  cause  dipendenti  da  quella.  Vedi,  nelle  città 
sono  molti  ordini;  poi  si  riducono  tutti  ad  un  ordine  superiore:  vedi,  nel  cielo 
gli  ordini  degli  angeli,  tutti  si  riducono  a  Dio.  Così  nella  Chiesa  tutte  le  diocesi 
si  inducono  alla  Romana,  e  tutti  i  prelati  al  Papa  ». 

Adunque  il  Pontefice  nel  Savonarola,  è  veramente  il  capo  della  Chiesa, 
come  ripete  nel  sermone  XLVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria;  ma  questo  non  ba- 
sta ancora:  il  Papa  per  il  Savonarola  è  il  successore  di  Pietro  che  fu  il  primo 
vescovo  di  Roma,  è  il  Vicario  di  Cristo,  il  rappresentante  di  Dio  in  terra.  «  Tutte 
le  parti  del  mondo  dove  saranno  i  Cristiani,  s'  umilieranno  alla  Chiesa  Roma- 
na, perchè  tutte  saranno  rette  dalla  fede  Romana,  sotto  un  papa  santo  suc- 
cessore di  San  Pietro  primo  Vescovo  Romano;  del  quale  la  sedia  e  diocesi 
principale  sarà  Roma:  benché  abbia  ancora  potestà  plenaria  sopra  tutte  le 
altre  chiese,  come  hanno  tutti  i  Papi.  E  quando  ancora  il  Papa  non  istesse  a 
Pvoma,  non  perde  però  la  sua  giurisdizione,  anzi  sempre  lui  è  il  Vescovo  Ro- 
mano, e  in  lui  si  unisce  tutta  la  Chiesa  Romana,  anzi  tutta  la  Chiesa  uni* 
versale  ».  (Lettera  ad  un  amico,  ottobre  1495  ;  cf.  le  lettere  ad  Alessandro  VI 
colla  data  de' 31  luglio  e  14  settembre  del  1495;  quella  ad  un  religioso  del  suo 
ordine  de'  15  settembre  1495;  la  predica  XXII  sopra  l'Esodo,  e,  negli  Scritti 
Inediti,  le  chiose  al  XVII  e  al  XXVIII  di  Ezechiele.) 

Ma  meglio,  e  in  misura  più  compiuta  che  altrove,  noi  troviamo  la  dottrina 
del  Savonarola  sul  pontificato  romano  nel  capo  VI  del  libro  IV  del  Trionfo. 
Ivi  il  Frate  disputa  contro  gli  eretici,  e  li  riprova  tutti  insieme  mostrando  con 
San  Tommaso  (')  il  primato  del  Ramano  Pontefice  e  la  potestà  sua  sopra  tutta 
la  Chiesa,  che  essi  tutti  convengono  nel  negare.  «  È  necessario  che  la  Chiesa  di 
Cristo  sia  governala  da  un  capo  solo,  perchè  se  gli  eretici  credono  che  la  divina 
provvidenza  governa  il  mondo,  e  specialmente  la  sua  Chiesa,  per  la  quale  ha 
fatto  cose  tanto  grandi,  bisogna  che  confessino  che  il  governo  della  Chiesa 
deve  essere  ottimo,  come  quello  che  è  ordinato  dal  governatore  del  tutto. Ora 


Ci  \'.  Somma  contro.  Gentile*,  lib.  IV,  c.  76;  Somma  Teol.,  P.  II-1I,  qu.  50,  art.  1  ad  2"',  e  De 

Regimine  Prindpum,  lab.  i,  cap.  II, 


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l'ottimo  governo  è  quello  che  è  per  uno,  imperocché  per  uno  si  unisce  più 
la  moltitudine,  che  per  molti.  La  quale  unione  e  pace  è  fine  del  governo.  Es- 
sendo dunque  il  governo  della  Chiesa  ottimo,  è  necessario  che  tutta  la  Chiesa 
sia  governata  per  uno.  Similmente,  il  governo  delle  cose  inferiori  naturalmente 
seguita  il  governo  delle  superiori,  alle  quali  quanto  più  si  avvicina,  tanto  più  è 
perfetto.  Dunque  nel  governo  della  Chiesa  militante,  seguitando  essa  il  governo 
della  trionfante,  nella  quale  è  un  solo  governatore,  che  è  Dio,  bisogna  che  vi 
sia  un  solo  dal  quale  sia  ordinato  e  retto.  Similmente  le  cose  soprannaturali 
sono  più  ordinate,  che  le  naturali.  Ma  noi  vediamo  nelle  cose  naturali,  che 
dove  è  governo,  sempre  un  solo  regge,  come  le  api  hanno  un  solo  re,  e  i  mem- 
bri del  corpo  sono  governati  e  retti  dal  cuore.  Essendo  dunque  il  governo 
della  Chiesa  soprannaturale  ed  eccellente  sopra  tutti  i  governi,  bisogna  che  sia 
governato  per  un  solo  governatore.  Similmente  tutti  gli  eretici  sono  d'accordo 
con  noi,  o  solamente  nel  Nuovo  Testamento,  e  nel  Nuovo  e  Vecchio  insieme, 
benché  si  discordino  poi  nella  intelligenza  di  quelli.  Ma  neh'  uno  e  neh'  altro 
si  determina  che  abbia  ad  essere  un  capo  nella  Chiesa;  onde  in  Osea  al  primo 
capo  si  legge  così:  —  Congregheransi  i  figliuoli  di  Giuda  e  i  figliuoli  di  Israele, 
e  faranno  sopra  sè  un  capo.  —  E  in  San  Giovanni  al  capo  X  dice  il  Salvatore 
«  che  si  farà  un  ovile  ed  un  pastore  ».  Nè  si  può  dire  razionabilmente  che  Cri- 
sto sia  così  capo  della  Chiesa,  che  essendo  asceso  in  Cielo,  I'  abbia  lasciata  in 
terra  senza  altro  capo,  perchè  da  questo  ne  nascerla  grande  divisione,  e  però 
singolarmente  disse  a  Santo  Pietro  :  —  Pasci  le  mie  pecorelle.  —  Ed  in  un  altro 
luogo:  — Pietro  io  ho  pregato  per  te  acciocché  non  manchi  la  fede  tua,  e  tu 
converso  alcuna  volta  conferma  i  tuoi  fratelli.  —  Per  la  quale  parola  dimostra  che 
lasciava  Pietro  vicario  suo  come  più  apertamente  espresse  quando  disse:  —  Tu  sè 
Pietro  e  sopra  questa  pietra  edificherò  la  chiesa  mia  e  le  porte  dell'  inferno 
non  prevarranno  contro  lei.  E  darotti  le  chiavi  dei  cieli  e  quello  che  tu  leghe- 
rai sopra  la  terra  sarà  legato  in  cielo,  e  quel  che  tu  solverai  sopra  la  terra 
sarà  soluto  in  cielo.  —  (') 

«  E  non  si  può  dire  che  questa  autorità  fosse  data  sola  a  San  Pietro,  e 
non  ad  altri  uomini  che  avessero  a  seguitare,  avendo  promesso  Cristo  che  la 
sua  Chiesa  durerà  insino  alla  fine  del  mondo,  quando  disse  a'  suoi  discepoli, 
i  quali  tenevano  la  persona  di  tutti  i  fedeli:  — Ecco  che  io  sono  con  voi  ogni 
giorno  insino  alla  consumazione  del  secolo. —  Ed  Isaia,  al  capo  IX  disse  di  Cri- 
sto: «  Egli  sederà  sopra  il  soglio  di  David  e  sopra  il  regno  suo  per  confermarlo 
e  corrobolarlo  in  giudizio  e  giustizia  in  sempiterno  ».  —  Dunque  seguita  che  nel 
vicariato  di  Pietro  abbiano  a  succedere  tutti  quelli  che  sono  sorrogati  in  luogo 
suo,  acciocché  sempre  sia  un  capo  nella  Chiesa  che  tenga  il  luogo  di  Cristo, 
e  che  abbia  quella  medesima  podestà  che  ebbe  Pietro.  Con  ciò  sia  dunque  che 


(')  Vedi  a  questo  proposito  l'opuscolo  del  P.  Raimondo  Bianchi  de' Predicatori,  De  con- 
slittinone  monarchica  Ecclesia  et  de  infallibitate  Bomani  Pontificis,  Roma  lb70,  ove  tra  le  testi- 
monianze degli  scrittori  domenicani  che  sempre  difesero  questa  dottrina  ò  riportata  con  ouo- 
rata  menzione  anche  quella  del  Savonarola. 


—  384  - 


Vescovi  Romani  siano  successori  di  Pietro,  manifesta  cosa  è  che  la  Chiesa 
Romana  è  duce  e  maestra  di  tutte  le  altre,  e  che  tutti  i  fedeli  cristiani  si  deb- 
bono unire  nel  Pontefice  Romano,  come  nel  capo  loro.  Dunque  chi  si  parte  dalla 
unità  e  dottrina  della  Romana  Chiesa,  sema  dubbio  si  parte  da  Cristo.  Ma 
tutti  gli  eretici  si  partono  da  questa  dottrina,  perchè  non  vogliono  stare  alle 
determinazioni  della  Chiesa  Romana,  ma  ostinatamente  seguitare  le  proprie 
fantasie;  però  non  sono  cristiani  come  loro  falsamente  dicono  ». 

Ma  per  qual  fine  venne  istituito  il  Pontefice  e  fatto  il  papa?  La  risposta 
è  facile  ricavarla  da  quanto  si  è  fin  qui  detto;  ad  ogni  modo  per  soddisfare 
ogni  desiderio  de'  lettori  non  ci  spiacerà  recarla  direttamente  trascrivendo 
qualche  altro  passo  dalle  opere  del  nostro  Frate. 

Xel  sermone  XII  sopra  l'Esodo  il  Savonarola,  dopo  d'aver  parlato 
de'  gradi  inferiori  e  degli  ordini  minori  nella  gerarchia  ecclesiastica,  toccando 
de'  superiori,  dice  che  il  Vescovo  ci  fu  dato  e  posto  nella  Chiesa  per  le  dif- 
ferenze che  possono  nascere  nel  corpo  mistico  di  lei;  e  non  potendo  un  Ve- 
scovo essere  in  tutti  i  luoghi  del  mondo,  acciocché  la  Chiesa  non  si  risolvesse, 
ma  più  unita  stesse,  fu  eletto  «  un  Papa  sopra  tutti  i  vescovi,  e  tutto  il  corpo 
della  Chiesa,  il  quale  avesse  a  solvere  tutte  le  differenze  ».  (') 

Questa  medesima  verità  espone  il  Savonarola  ed  analizza  nel  sermone  XX 
sopra  l'Esodo,  e  non  meno  chiaramente  nel  famoso  capo  VI,  libro  IV,  già  citato, 
del  Trionfo,  dove  ripetendo  la  dottrina  di  San  Tommaso  nella  Somma  contro  i 
gentili,  lib.  IV,  cap.  76,' dice  che:  «  Se  Cristo  salendo  al  Cielo  avesse  lasciato 
in  terra  la  Chiesa  senz'altro  capo  ne  sarebbe  nata  grande  divisione  e  confusione 
in  essa,  perchè  le  varie  opinioni  circa  la  fede  e  circa  il  ben  vivere  cristiano  non 
*i  potrebbero  determinare,  non  sapendo  a  quale  sentenza  si  avesse  a  stare.  E 
però  il  nostro  Salvatore  singolarmente  disse  a  San  Pietro:  Pasci  le  mie  peco- 
relle; e  in  un'altro  luogo:  Pietro,  io  ho  pregato  per  te  acciocché  ?ion  manchi 
la  fede  tua,  e  tu  converso  una  volta  conferma  i  tuoi  fratelli.  Lasciava  dunque 
Cristo,  salendo  in  Cielo,  Pietro  suo  Vicario,  perchè  durasse  1'  unità  nella  Chiesa; 
nè  la  potestà  di  decidere  in  materia  di  fede  si  può  dire  che  fosse  data  solo  a 
Pietro;  ma  avendo  Cristo  promesso  che  la  sua  Chiesa  durerà  sino  alla  fine  del 
mondo,  l'autorità  e  la  potestà  data  a  Pietro  doveva  passare  negli  uomini  che 
avevano  a  seguitare  ».  Onde  per  il  Frate  di  San  Marco,  (Chiosa  al  cap.  XVIII 
di  Ezechiele)  tutti  i  papi,  da  San  Pietro  ad  Alessandro  VI,  li  considerava  come 
un  papa  solo;  perchè  tutti  ebbero  la  medesima  podestà  e  il  medesimo  ufficio. 
Per  questo  forse,  nella  predica  XLV1II  sopra  Amos  e  Zaccaria  gridava  :  «  Alla 
Chiesa  Cattolica  dico  cosi  :  Tu  sei  Pietro  e  sopra  questa  pietra  edificherò  la 


(')  Va  da  sè  che  il  Papa  venne  fatto  ila  Cristo  e  ila  Cristo  investito  del  suo  ufficio.  Per 
questo  nella  medesima  predica  XII  sopra  l'Esodo  il  Frate  segue:  «  E  il  primo  papa  tu  San 
Pietro»;  e  nella  Esposizione  della  salutazione  angelica,  ripete  ancora  che  Pietro  fu  eletto  a 
tanto  ufficio  da  Cristo:  «  Il  cambiamento  di  Stato  reclama  un  nuovo  nome.  Nostro  Signor» 
ci  mostra  questo  a  riguardo  di  San  Pietro,  il  quale  si  chiama  Simone;  il  suo  stato  cambiò 
quando  egli  fu  stabilito  capo  dogli  Apostoli,  e  Cristo  ha  voluto  che  egli  quind' innanzi  si 
chiamasse  Pietro,  come  quegli  che  era  la  pietra  cioè  il  fondamento  e  il  capo  della  Chiesa». 


—  385  - 


mia  Chiesa,  e  a  te  darò  le  chiavi  del  regno  de'  cieli,  e  qualunque  cosa  avrai  le- 
gata sopra  la  terra  sarà  legata  anche  in  Cielo,  e  qualunque  cosa  avrai  sciolta 
sopra  la  terra  sarà  sciolta  anche  in  cielo  ». 

Ma  non  è  il  caso  che  ci  dilunghiamo  maggiormente;  imperocché  oramai, 
anche  intorno  al  supremo  capo  della  gerarchia  ecclesiastica,  ne  sappiamo  ab- 
bastanza, e  possiamo,  riepilogando,  concludere  che  il  Savonarola  credeva  e 
predicava  che  al  Pontefice  fu  data  la  potestà  delle  somme  chiavi,  perchè  sen- 
tenziasse e  decidesse  in  tutte  le  cose  che  si  riferiscono  alla  fede  e  alla  vita 
cristiana;  decidesse  definitivamente,  inappellabilmente  tutte  le  liti,  tutte  le  dif- 
ferenze che  potessero  nascere  tra  i  fedeli;  il  Savonarola  credeva  e  predicava 
che  fu  fatto  il  Papa  perchè  insegnasse  a  tutto  il  popolo  e  a  tutta  la  Chiesa  la 
dottrina  di  Cristo,  e  comandasse  tutto  ciò  che  è  bene,  tutto  ciò  che  è  van'ag- 
gioso  pe' fedeli;  e  impedisse  cosi,  che  nella  Chiesa  di  Cristo  s'infiltrassero  ere- 
sie, e  facesse  che  pura  e  immacolata  la  Chiesa  medesima  a  traverso  questo 
mondo  navigasse  alla  volta  del  cielo  per  trionfar  ivi  eternamente  cól  suo  fon- 
datore, il  Papa  celeste,  Cristo  Dio.  (Conf.  lapred.  II  sopra  1'  Esodo,  il  cap.  XVI 
del  III  libro  del  Trionfo;  e  le  postille  inedite  al  v.  2  del  XXVI  di  Ezechiele, 
al  v.  2  di  San  Luca,  e  al  cap.  VII  de'  Maccabei....) 


25 


XXV. 


Teorica  dell'  obbedienza. 


Sommario. 

Come  si  ha  da  obbedire  ad  ogni  potestà,  perchè  ogni  potestà  ò  da  Dio.  —  Il  principe,  o  è  ministro  nelle 
mani  di  Dio,  o  è  ferro  rotto.  —  Il  comando  del  principe  ferro  rotto  non  obbliga.  —  L'obbedienza 
nella  gerarchia  ecclesiastica.  —  Fondamento  della  teorica  savonaroliana.  —  Soggezione  del  popolo 
al  clero.  —  Obbedienza  al  Papa.  —  Tutti  i  canoni  impongono  obbedienza  al  rontefice.  —  Il  Savo- 
narola e  i  suoi  frati  vogliono  prima  morire  che  far  peccato  di  disobbedienza.  —  Il  Savonarola  non 
vuol  peccare  in  questa  materia  nemmeno  venialmente.  —  Limiti  dell'  obbedienza  al  Pontefice,  e  a' 
prelati  superiori.  —  Come'  la  Chiesa  Romana  non  può  comandare  contro  Dio,  ma  sì  bene  gli  uomini 
della  Chiesa  Koiuaua.  —  11  comando  del  Papa  e  la  professione  religiosa.  —  Del  comandamento  de' 
superiori  sopra,  infra,  oltre,  contro,  secondo,  quel  che  siamo  obbligati  ad  osservare  ;  e  quando  lo  si 
abbia  ad  obbedire,  e  quando  si  possa  non  obbedirlo,  e  quando  non  si  debba  obbedirlo.  —  Girolamo 
Savonarola  obbliga  tutti  a  stare  all' obbe  dienza  del  Pontefice.  —  Kegola  da  seguire  quando  fosse; 
fatto  comandamento  contro  la  carità.  —  Che  cosa  scrivessero  a  Poma  i  nemici  del  Frate.  —  Di  co- 
loro che  hanno  levato  il  Capo.  —  11  Papa  si  vuole  obbedire  nel  bene.  —  Il  cittadino  e  la  sua  vigna 
e  il  suo  figliuolo  e  i  calunniatori.  —  La  ragione  a  Bruges.  —  11  re,  il  sorvo  e  il  barone.  —  Bisogna 
obbedire  piuttosto  a  Dio  cho  agli  uomini.  —  Che  cosa  si  dovesso  scrivere  a  Poma  del  Frate. 


L'argomento  presente  è  della  massima  importanza;  e  perciò  noi  dobbiamo 
procurare  di  essere  più  che  mai  diligenti  nel  recare  integro  il  concello  di  Fra 
Cìirolaino,  e  il  lettore  deve  alla  sua  volta  usar  la  massima  attenzione  e  il  mas- 
simo studio  per  concepirlo  tutto  e  intenderlo  bene  e  fermarlo  in  mente. 

Il  Savonarola  insegna  prima  di  tutto  che  ogni  potere  viene  da  Dio,  e  che 
ogni  potestà  tiene  il  luogo  di  Dio  in  terra;  e  perciò  vuole  che  le  onoriamo  e 
obbediamo  tulle  e  stiamo  soggetti,  altrimenti  guastiamo  l'ordine  stabilito  da  Dio 
e  andiamo  incontro  alla  nostra  dannazione  :  «  Ordinò  Dio,  che  una  creatura 
l'osse  superiore  all'altra,  ed  un'altra  ad  un'altra;  al  quale  ordine  non  si  deve 
resistere.  E  però  Dio  ha  fatto  le  creature  e  ordinatele  come  i  numeri,  uno,  due, 

tre,  quattro,  cinque,  sei       ;  cioè  l'un  numero  sopra  l'altro;  così  ha  fatto  una 

creatura  sopra  l'altra,  e  la  più  nobile  sopra  la  manco  nobile:  la  terra  che  è  manco 
nobile  è  la  prima;  poi  più  nobile  è  l'acqua;  e  però  è  la  seconda;  poi  l'aria, 
poi  il  fuoco,  poi  i  cieli,  poi  gli  angeli:  e  ad  ogni  creatura  più  nobile,  ha  dato 


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Dio  una  virtù  più  nobile;  ed  ogni  creatura  più  ignobile  sta  contenta  e  sog- 
getta a  quella  che  le  ò  superiore.  Dice  Sant'Agostino  che  tanto  piace  a  Dio 
quest'ordine  che  ha  molto  più  per  male  che  si  faccia  un  minore  peccato  con- 
tro a  quest'ordine  suo,  che  non  ha  per  male  d'un  grande,  che  sia  fu  ora,  ma 

non  così  contro  l'ordine       Dassi  l'esempio  nel  peccato  contra  la  natura,  che 

Dio  non  lo  può  per  alcun  modo  patire.  Sicché  all'ordine  fatto  da  Dio  nes- 
suno deve  contraporsi. 

«  Inoltre,  sì  come  dicono  questi  filosofi,  che  gli  è  necessario  dare  una 
prima  causa,  dalla  quale  dipendano  tutte  le  altre,  ed  un  primo  motore,  dal 
quale  nasca  ogni  moto;  così  bisogna  dire  che  ogni  potestà  è  da  Dio  prima  ed 
infinita  potenza.  La  potestà  degli  angeli  è  da  Dio;  quella  degli  uomini  è  da  Dio: 
E' non  è  potestà  se  non  da  Dio,  e  quelle  che  sono,  sono  da  Dio  ordinate.  Per 
la  qual  cosa,  chi  si  oppone  alla  potestà,  resiste  alla  ordinazione  di  Dio;  e 
que' che  resistono  si  comperano  la  dannazione.  Dice  San  Paolo:  —  Chi  resiste 
all'ordine  di  Dio  resiste  alla  potestà  di  Dio  e  apparecchiasi  la  dannazione  sua;  — 
e  dice  che  i  re  pagani  debbono  essere  obbediti  dai  loro  sudditi  Però  non  re- 
sistere nè  fare  contro  l'ordine  che  ha  posto  una  volta  Dio,  che  le  cose  igno- 
bili obbediscano  alle  più  nobili  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  V.)  (') 

«  Ogni  anima,  dice  l'Apostolo  a'Romani,  sia  soggetta  alla  potestà  supe- 
riore. Non  è  potestà  in  terra  se  non  da  Dio,  e  chi  resiste  alla  potestà  supe- 
riore resiste  a  Dio       La  potestà  è  gran  cosa  perchè  tiene  il  luogo  di  Dio  in 

terra  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  pred.  VII.) 

I  passi  analoghi  ai  presenti  saranno  almeno  trecento  nelle  opere  del  Sa- 
vonarola; ma  non  ci  pare  il  caso  di  trascriverne  altri.  Già  i  trascritti  sono  più 
che  sufficienti  a  provare  che  il  nostro  autore  voleva  che  i  sudditi  obbedissero 
a' superiori.  Ma  non  sarà  disutile  che  vediamo  come  limitava  il  Frate  di  San 
Marco  e  il  diritto  di  comandare  e  l'obbligo  di  obbedire:  questo  è  anzi  neces- 
sario perchè  appaia  intiero  il  concetto  dell'  ardente  Riformatore  in  questa  ma- 
teria. —  Voleva  egli  adunque  che  si  obbedisse  e  sempre  e  in  tutto  alla  potestà 
costituita?  —  Voleva  che  si  obbedisse  sempre  e  in  tutto,  salvo  se  il  comando 
non  fosse  contro  Dio,  contro  il  bene  comune,  contro  il  ben  vivere,  effetto 
solo  di  malizia  e  di  cattive  e  false  persuasioni. 

«  Ognuno  deve  essere  soggetto  alla  potestà  superiore,  se  quella  già  non 
comanda  contro  Dio.  Diciamo  al  tempo  innanzi  che  fosse  la  Chiesa  di  Cristo, 
i  pagani  erano  sottoposti  ai  loro  re  e  tiranni,  e  dovevano  obbedire  nelle  cose 
civili,  e  in  dar  loro  il  tributo;  ma  non  già  se  dicevano:  —  Va  ad  adorare  gli 
idoli;  —  a  questo  erano  obbligati  a  non  lo  fare:  nelle  altre  cose  che  non 
erano  contro  Dio  erano  obbligati   »  (Sopra  Ruth  e  Michea,  VII.)  «  I  re  pa- 
gani debbono  essere  obbediti  dai  loro  sudditi  in  quello  che  non  è  contro  Dio, 
ma  in  quello  che  fosse  contrario  a  Dio,  non  sono  tenuti,  nè  debbono  obbe- 
dire ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  V.) 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  De  Regimine  Principum,  L.  Ili,  oay.  1  o  11. 


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Anche  qui  potremmo  moltiplicare  le  citazioni  a  piacimento;  ma  a  quale 
scopo  lo  avremmo  a  fare?  Solo  non  sappiamo  astenerci  dal  trascriverne  uno 
dei  più  aurei  e  più  incisivi  che  noi  conosciamo:  quello  che  si  legge  nel  I  de'  Ser- 
moni sopra  l'Esodo;  in  quel  sermone  che  fu  tanto  male  interpretato,  ed  è  tut- 
tavia, da  parecchi  avversarj  ed  anche  da  alcuni  amici  del  Frate,  recando  a  lui 
non  poco  danno! 

Ivi  Girolamo  Savonarola  non  solo  considera  e  vede  ne' principi  la  po- 
testà divina,  ma  i  principi  stessi  come  semplici  strumenti  nelle  mani  di  Dio; 
e  insegna  apertamente,  che  quando  quelli  si  dipartano  dal  volere  divino,  come 
tali,  cioè  in  quanto  si  dipartono  dal  volere  divino  non  valgono  più  nulla,  nè 
possono  vantare  l'autorità  loro,  nè  pretendere  obbedienza  in  quella  che  co- 
mandano contro  Dio,  il  ben  vivere,  il  bene  comune:  «  Fatti  in  qua,  filosofo, 
e  dimmi:  è  vero  questo,  che  bisogna  dare  una  prima  causa? —  Sì  —  Ed  è 
vero  ancora  questo,  che  in  ogni  cosa  più  influisce  la  causa  prima  che  la  se- 
conda? —  Sì,  è  vero  ancora  questo.  (')  —  Or  nota  dunque  che  la  prima 
causa  va  sempre  innanzi  alla  seconda;  perchè  se  la  prima  causa  non  andasse 
innanzi,  nessuna  delle  altre  si  moverebbe.  La  prima  è  come  tu  dicessi  che  una 
mano  pigliasse  la  virtù  del  cielo  e  tira  e  viene  agli  elementi,  e  tira  la  virtù  degli 
elementi;  poi  viene  al  seme  e  piglia  e  tira  la  virtù  del  seme,  e  fa  il  frutto.  E  così 
questa  prima  causa,  cioè  Dio,  produce  le  cose  in  questo  universo  per  le  seconde 
cause.  Ben  potria  se  il  volesse  far  senza  le  seconde  cause:  potria  il  Signore 
se  il  volesse,  generare  qui  subito  una  mela  senza  le  seconde  cause;  perchè 
lui  ha  fatto  il  cielo  e  la  terra  dal  niente;  ma  produce  quaggiù  gli  effetti  e  le 
cause  naturali  per  le  seconde  cause;  per  comunicare  più  la  sua  bontà  a 
quelle;  e  vuole  che  le  sieno  partecipi  ancora  loro  a  tali  operazioni:  come  se  tu 
vedessi  che  un  dipintore  pigliasse  la  mano  di  un  fanciullo,  e  dipingesse  là  una 
figura;  tu  diresti  che  il  dipintore  l'avesse  fatta,  e  non  il  fanciullo.  (*)  Concludi 
adunque  che  Dio  fa  ogni  cosa,  e  non  fa  quello  che  è  nulla,  cioè  il  peccato;  per- 
chè il  peccare  è  mancare,  e  non  fare;  (3)  e  Dio  non  manca  inai  alla  divina  sa- 
pienza: si  che  concludi,  che  le  seconde  cause  sono  istrumenti  di  Dio,  e  lui  è 
quello  che  principalmente  fa  ogni  cosa.  Or  tieni  saldo  questo  fondamento,  e 
nota  quest'altro:  Che  Dio  governa  le  cose  naturali  inferiori  per  le  superiori:  (*) 
e  gli  angeli  superiori  per  gl'inferiori;  ma  gli  uomini  son  tutti  uguali  di  natura; 
vero  è  che  uno  è  più  grande  d'intelletto  che  l'altro;  e  però  gli  uomini  di  grande 
intelletto  sono  naturalmente  signori  degli  altri  uomini:  signori,  dico,  non  di  po- 
testà, ma  per  mostrare  la  via  agli  altri,  ed  insegnarli;  ma  perchè  l'uomo  natu- 
ralmente è  animale  civile,  e  vivono  insieme,  è  stato  necessario  far  qualcuno 
governatore  del  bene  comune,  e  tali  governatori  sono  strumenti  di  Dio,  mossi, 
come  V  ho  detto,  come  seconde  cause  dalla  prima.  E  così  il  principe  è  strumento  di 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  P.  I-II,  qu.  XIX,  a.  i,  e  De  Regimine  l'rincipitm,  Lib.  III,,o.  II. 

(2)  Gir.  San  Tommaso,  t'ontra  gentile»,  Lib.  Ili,  cap.  LXX  iu  fino. 

(3)  Ctr.  San  Tommaso,  Somma  Teol.,  P.  I,  qu.  XLIX,  art.  "J,  e  De  potentia,  qu.  Ili,  art.  7. 
f4)  Ctr.  San  Tommaso,  De  liegimine  Principimi,  Lib.  Ili,  cap.  II. 


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Dio,  come  sono  gli  angeli,  a  governare  gli  uomini  e  moverli  al  bene.  Or  tieni  saldo 
quest'altro  punto,  e  nota  che  ogni  strumento  ha  tre  cose:  La  prima  è  la  mate- 
ria, la  seconda  la  forma,  la  terza  èia  virtù  che  procede  dalla  mano  dell'agente, 
cioè  di  colui  che  guida  ristrumento.  (l)  Togli  ad  esempio  la  sega:  ella  ha  la  ma- 
teria di  ferro;  secondo,  ha  la  forma,  cioè  i  denti,  e  le  altre  parti  perchè  ella  è  sega  ; 
terzo,  a  volere  che  ella  operi,  bisogna  la  mano  dell'artefice,  cliè  senza  quella  la 
sega  per  sè  non  farebbe  nulla:  e  però  nota  che  quanto  alla  natura,  la  sega  è 
uguale  a  tutti  gli  altri  ferri;  e  così  anche  tutti  gli  uomini  in  natura  sono  uguali. 
E  però  se  è  portata  una  sega  ad  un  fabbro,  egli  la  compera,  e  buttala  là  tra  i 
ferri  rotti;  e  quell'istrumento  allora  è  uguale  a  tutti  gli  altri  ferri,  quando  non  ha 
l'agente  superiore  che  lo  mova.  Così  il  principe,  se  non  è  condotto,  come  stru- 
mento dall'agente  di  sopra,  cioè  da  Dio,  del  quale  egli  è  strumento,  di' allora, 
ch'egli  è  uguale  a  te,  e  che  non  ha  chi  lo  mena,  ed  è  simile  ai  ferri  rotti  che 
sono  tutti  uguali:  e  gli  puoi  dire  allora:  tu  non  fai  bene,  perchè  tu  non  sei 
condotto  dal  principale  agente.  E  s' egli  dice:  —  Io  ho  la  potestà;  —  tu  gli 
puoi  dire:  —  E'  non  è  il  vero,  perchè  non  ci  è  la  mano  che  ti  guidi;  e  tu 
se'  ferro  rotto.  (3) 

«  Ma  se  tu  mi  dicessi:  —  Quando  m'  accorgerò  io  che  lo  agente  superiore  noi 
muova?  — Ti  rispondo:  Guarda  se  egli  fa  contro  alla  sapienza  di  quel  princi- 
pale agente  che  l'avrebbe  a  muovere;  e  perchè  la  sapienza  di  quel  princi- 
pale agente  introduce  ed  ama  il  ben  vivere  e  il  ben  comune,  guarda  se  quel  co- 
mandamento dell'  istrumento  ripugna  al  ben  vivere  e  al  ben  comune,  e  se  tu 
t'avvedi  di  questo,  di' allora:  Tu  non  se'  mosso  dall'agente  superiore  e  però  sei 
ferro  rotto.  Onde  dice  Santo  Tommaso  che  se  il  principe  fa  una  legge  contro 
il  ben  vivere  o  ben  comune  che  il  popolo  non  è  tenuto  ad  osservarla.  (3)  Ogni 
volta  adunque,  che  tu  vedi  che  il  principe  fa  contro  al  ben  comune,  o  ben  vi- 
vere tu  gli  puoi  dire:  Tu  non  se' sega  condotta  dalla  mano  dell'agente  supe- 
riore, ma  tu  se'  ferro  rotto.  (4) 

«  E  nota  che  questo  errore  del  principe  può  essere  in  due  modi,  il  primo 
per  la  pravità  del  principe:  ecco,  quando  gl'imperatori  avessero  comandato  ai 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  Summa  Teol.,  P.  I,  qu.  XLV,  art.  5,  e  1.  c.  De  potentia. 

O  V.  in  San  Tommaso  questa  dottrina  della  causa  principale  e  istrumentale  in  molti 
luoghi,  come  nella  Somma  Teol,  p.  Ili,  qu.  XIX,  art.  I,  ove  portasi  l'esempio  della  scure,  o 
nelle  Qu.  disp.  de  ventate,  qu.  XXXVII,  art.  4  ove  San  Tommaso  reca  l'esempio  della  sega. 

(3)  Cfr.  San  Tommaso,  Somma  Teol,  p.  II-II,  quest.  104,  art.  V. 

C1)  Xon  credo  che  pur  uno  de'  nostri  lettori  si  lasci  passar  per  la  mente  il  dubbio  cho 
Fra  Girolamo  cada  qui  nel  grossolano  errore  che  gli  attribuisce  il  Pastor;  cioè  cho  la  vita 
peccaminosa  o  viziosa  del  principe  ne  scuota  la  giurisdizione.  Quest'accusa  per  quel  ri- 
spetto che  il  Pastor  la  muove  al  Frate  la  esamineremo  quanto  prima  in  un  capitolo  a  parte; 
qui  vogliamo  solo  invitare  il  lettore  a  guardar  bene  con  l'occhio  desto  nello  espressioni  del 
Savonarola,  e  a  notare  che  questi  nega  autorità  al  superiore  solo  per  il  comando  specilico 
che  è  contro  il  ben  vivere  o  il  bene  comune,  che  è  contro  il  volere  di  Dio  da  cui  viene 
ogni  potestà.  E  questo  è  uno  de' più  elementari  veri  filosofico-teologici:  nè  può  esser  im. 
pugnato  minimamente;  perchè  non  si  può  pensare  in  nessun  modo  che  Dio  conceda  pote- 
stà al  principe  di  fare  o  di  imporre  autorevolmente  il  male:  sarebbe  una  troppo  brutta  con- 
tradizione. Gli  esempj  che  il  Savonarola,  seguendo,  cita  tolgono  affatto  ogni  dubbio. 


—  390  — 


loro  sudditi:  andate  alla  guerra  per  la  libertà  della  patria,  erano  tenuti  obbe- 
dire, ed  allora  gl'imperatori  erano  buona  sega;  ma  quando  comandavano  loro: 
adorate  gli  idoli,  non  erano  tenuti,  anzi  non  dovevano  farlo,  percbè  allora  tale 
comandamento  non  veniva  dalla  sega,  ma  dal  ferro  rotto.  Il  secondo  modo, 
può  essere  per  male  persuasioni  fatte  al  principe;  ed  allora  ancbe  la  sega  non 
è  condotta  dalla  mano  dell'agente  superiore,  ma  da  loro,  e  però  non  si  deve 
obbedire  ».  (*) 

Ma  oramai  è  tempo  che  ci  accostiamo  un  poco  più  alla  dottrina  di  Fra 
Girolamo  intorno  all'obbedienza  nella  Chiesa,  nella  gerarchia  ecclesiastica;  è 
tempo  ch'entriamo  ad  esporre  la  dottrina  intorno  la  soggezione  dovuta  dal 
popolo  cristiano  al  clero,  e  dagl'inferiori  a'  prelati  superiori  ed  al  Papa.  Qui 
sta  la  maggior  gravità  dell'argomento  e  il  nodo  di  tutta  la  presente  questione 
Savonaroliana,  e  qui  deve  in  ispecie  esser  rivolto  il  nostro  studio.  Facciamolo 
adunque  brevemente,  ma  con  la  più  grande  cura  possibile  di  riuscir  chiari  e 
di  dir  tutto. 

Veramente  noi  già  conosciamo  almeno  in  parte  il  principio  e  il  fonda- 
mento di  questa  teorica  Savonaroliana  per  i  due  capitoli  antecedenti;  imperoc- 
ché venga  assai  facile  e  spontanea  le  deduzione  che,  posta  la  gerarchia  nella 


(')  Cfr.  San  Tommaso,  Somma  Teol.,  P.  I-II,  qu.  96,  a.  4  in  fine.  Abbiamo  voluto  trascri- 
vere per  disteso  questo  passo  affinchè  si  veda  con  quanta  ragione  gli  avversar)  del  Savo- 
narola dal  Cardinale  Ascanio  al  Pastor  affermino  che  c'nella  predicazione  del  Frate  Sua 
Santità  si  diceva  esser  ferro  rotto.  (Del  Lungo,  Doc.  XXIX.)  Il  Frate  non  giunse  mai  a  tale 
insulto.  La  teorica  ch'egli  ha  esposto  è  inesorabilmente  vera  e  ìa  l'orma  usata  lo  fa  toccar 
con  mano  anche  ai  protervi;  ma  chi  può  dargliene  colpa?  Egli  parla  qui  in  genere;  e 
non  si  fa  a  dire  che  il  Papa  Alessandro  VI  sia  senz'altro  un  ferro  rotto.  Eran  piuttosto 
i  nemici  del  Frate  che  insultavano  Sua  Santità.  Il  Savonarola  aveva  detto:  Il  principe  ohe 
comanda  contro  il  ben  comune,  contro  la  verità  e  contro  Dio  è  ferro  rotto:  e  i  nemici  del 
Frate  soggiungevano:  ma  Alessandro  VI  scomunicando  il  Savonarola  fa  contro  il  ben  vi- 
vere, il  ben  comune  della  città  di  Firenze,  fa  contro  la  verità  e  contro  Dio;  e  però  con- 
cludevano, Alessandro  VI  è  ferro  rotto.  Era  un  dare  al  Papa  quello  ch'essi  dovevano,  a 
molto  più  forte  ragione,  tenersi  per  sè,  mentre  il  Savonarola  ha  persistito  fino  all'  ultimo 
nel  predicare  cho  la  responsabilità  della  scomunica  ricadeva  sopra  gli  Arrabbiati,  sopra  i 
tiepidi,  sopra  gli  oratori  de' grandi  Maestri  e  principalmente  sopra  alcuni  principi  d'Italia, 
i  quali  volendo  guastare  il  ben  vivere  e  il  ben  comune  e  il  nuovo  governo  e  asservir  la  città 
e  ridurla  ai  loro  intenti,  e  stimando  il  Frate  insormontabile  impedimento  ai  loro  disegni  lo 
volean  toglier  di  Firenze,  o  ucciderlo  e,  non  avendo  altro  mezzo,  ricorsero  alla  scomunica,  cir- 
convenendo con  molte  calunnie  il  Papa,  il  quale  secondo  Fra  Girolamo,  era  tanto  lontano 
dall'aver  quest' intenzione  cho  se  avesse  conosciuto  come  stavano  le  cose  avrebbe  severa- 
mente punito  coloro  che  gli  riferirono  tante  cose  false.  Sentite  il  Frate  come  seguo  e  vedrete 
che,  il  cardinale  Ascanio,  il  fratel  suo  degnissimo  o  gli  altri  calunniatori  del  Frate  anziché 
attribuire  al  pontofico  queir  espressione  ferro  rotto,  avrebber  dovuto  tenersela  per  sè:  «  Ora  a 
proposito,  dimmi  che  volevano  costoro  per  questa  scomunica?  Io  ti  dirò  che  non  segheranno 
beni-  a  questa  volta  e  non  faranno  buono  scanno.  Che  volevano  fare  costoro?  Ognuno  il  sa 
lino  ai  fanciulli,  che  non  volevano  altro  che  levare  via  il  ben  vivere,  e  il  ben  comune;  perchè 
volevano  guastalo  ogni  buon  governo,  e  non  si  curavano,  cho  fosse  aporta  la  via  ad  ogni 
vizio.  Onde,  venuta  la  scomunica,  mano  a  taverne  e  a  lascivie,  o  ad  ogni  malo;  e  il  ben  vi- 
vere andava  per  terra;  e  però  tu  vedi  che  la  sega  non  è  menata  dal  suo  principale  agente  ». 
La  responsabilità  adunqno  della  sentenza  il  Savonarola  la  sapeva  attribuirò  veramente  a  chi 
hi  conveniva.  Il  Pontefice  pur  troppo  era  strumento  inconscio  di  male  nelle  mani  di  nomini 
scellerati  ».  Ma  di  questo  riparleremo  poi.  (Cfr.  Del  Lungo,  Fra  Girolamo  Savonarola,  Doc.  Ili, 
XIX,  XXX,  XXXI,  eoe.) 


—  391  — 


Chiesa  di  Cristo  come  1'  abbiamo  veduta  porre  da  Fra  Girolamo,  si  debba  sen- 
z' altro  ritenere  che  in  essa  il  popolo  abbia  a  dipendere  dal  clero,  e  nel  clero 
i  gradi  inferiori  abbiano  rispettivamente  a  dipendere  da'superiori,  e  i  supe- 
riori abbiano  potestà  sugl'inferiori,  e  questi  obbligo  di  obbedire  e  servire  a 
quelli.  E  perciò  già  potremmo  dire  che  da  prima  il  popolo  cristiano  deve  te- 
nersi soggetto  al  clero,  e  che  poi  nel  clero  i  gradi  e  gli  ordini  minori  devono 
tenersi  soggetti  a' gradi  ed  agli  ordini  maggiori,  e  tutti  servire  e  obbedire  al 
Supremo  Gerarca,  al  Papa.  Ma  noi,  parlando  del  Savonarola,  non  amiamo 
far  induzioni  o  deduzioni,  nè  anche  quando  esse  vengano  cosi  spontanee;  e 
crediamo  piuttosto  sia  meglio  recar  sempre  la  dottrina  e  le  esplicite  afferma- 
zioni di  lui  ;  e  qui  vogliamo  evitare  per  sin  1'  ombra  del  dubbio  che  invece  della 
teorica  del  Savonarola  si  esponga  ciò  che  abbiamo  noi  nella  mente  e  nel  cuore. 

Prima  di  tutto  riconosce  adunque  il  Savonarola  obbligo  nessuno  del  po- 
polo verso  il  clero?  verso  i  prelati  superiori?  Quando  il  Savonarola  non  facesse 
ciò,  la  distinzione  sopra  recata  (cap.  XXI)  sarebbe  inutile  e  vana;  e  si  rom- 
perebbe senza  meno  il  corpo  della  Chiesa.  Ma  cosi  non  è;  e  basteranno  poche 
parole  a  provare  il  contrario. 

«  Molte  volte  il  capo  è  infermo,  perchè  seguita  il  popolo;  ma  che  dice 
Celestino  Papa?  Il  popolo  deve  essere  insegnato  e  non  seguitato.  Ora  i  buoi 
traendo  il  carro,  seguitano  il  carro  ?  Or  che  abusione  è  questa  che  il  capo  sia 
retto  dalle  membra?  Perchè  il  popolo  non  dee  insegnare  ai  sacerdoti,  ma  im- 
parare da  loro.  Le  labbra  del  sacerdote,  dice  Malachia,  custodiscono  la  scienza, 
e  dalla  bocca  di  lui  ricercherassi  la  legge,  perchè  egli  è  l'angelo  del  Signore 
degli  eserciti  ».  (Sulla  Ia  di  San  Giovanni,  IV.)  E  nella  predica  XXIII  sopra  il 
Salmo  Quatn  Bonus  si  legge  che  «  la  dottrina  evangelica  nella  Chiesa  è  dichiarata 
da'  Dottori  »,  ed  è  soggiunto  che  «  il  tetto  della  Chiesa,  che  è  esposto  dalla  parte 
superiore  all'acqua  e  al  vento,  significa  il  Clero,  preti,  frati  e  altri  sacerdoti,  che 
mangiano  i  peccati  de' popoli.  Questo  Clero  adunque  insieme  co' signori  tem- 
porali, hanno  a  difendere  le  anime  de'  popoli,  e  i  popoli  hanno  a  vivere  quie- 
tamente sotto  la  loro  protezione  ».  E  nella  predica  Vili  sopra  il  medesimo 
Salmo  si  ribadisce  questo  stesso  vero  in  modo  molto  sensibile.  Ivi  si  parla 
d'Israele  nel  deserto  presso  il  monte  Sinai,  e  de'grandi  avvenimenti  colà  suc- 
ceduti e  si  narra  come  Dio  aveva  costituito  al  popolo  i  loro  termini  che  non 
dovevano  esser  arditi  di  oltrepassare;  e  mentre  a  Mosè  e  ad  Aronne  era  lecito  di 
salire  su  al  Signore  sopra  il  monte  caliginoso  e  fumante,  il  popolo  non  doveva 
in  modo  alcuno  toccarne  nemmeno  i  confini,  pena  la  morte;  ma  doveva  conte- 
nersi a'piedi  di  quello  ne'  termini  fissati... 

Narrato  ciò  il  nostro  Frate  nota  che  lo  Spirito  Santo  con  questo  parlare 
c'insegna  che  «  a  Mosè  e  ad  Aronne,  agli  uomini  scientifici  e  buoni,  che  son 
fondati  in  umiltà,  appartiene  dichiarare  le  difficoltà  della  fede  e  delia  Scrittura  », 
e  che  i  popoli  per  contrario  non  devono  «  voler  rimare  i  segreti  della  fede,  e  in- 
tendere le  difficoltà  delle  Scritture;  ma  devono  stare  in  istato  di  soggezione  e 
infra  i  termini  della  semplice  credulità.  Tutte  le  eresie,  soggiunge,  son  pro- 
cedute perchè  gli  eretici  hanno  voluto  superbamente  e  temerariamente  tra- 


—  392  — 


passare  i  termini  segnati  da  Dio  ».  Ed  è  mirabile  la  sicurezza  con  cui  il  Sa- 
vonarola parla  della  fonte  d'ogni  eresia  proprio  alla  vigilia  della  grande  apo- 
stasia luterana,  come  mirabile  è  anche  il  modo  con  cui  procede  nel  confutar 
«  tutti  insieme  con  ragione  »  gli  eretici  nel  IV  libro  del  Trionfo  al  cap.  VI,  op- 
ponendo loro  l'unità  e  infallibilità  della  Chiesa  e  la  necessità  assoluta  del- 
l' unione  col  Pontefice  Romano. 

Ma  ne  anche  in  questo  punto  ci  pare  che  valga  la  pena  di  soffermarci  più 
a  lungo;  esso  del  resto  non  è  uno  de'  controversi,  almeno  in  modo  diretto;  e 
basta  all'uopo  nostro  quanto  s'è  detto.  Sarà  buono  adunque  che  veniamo  più 
al  particolare  e  imprendiamo  senz'altro  l'esposizione  della  dottrina  della  ob- 
bedienza e  soggezione  nella  gerarchia  ecclesiastica  in  senso  stretto,  secondo 
il  nostro  Frale.  S'intende  che  noi,  addotti  alcuni  brevi  passi  ne' quali  il  Savo- 
narola afferma  l'obbligo  ne' fedeli  dell'obbedienza  ai  prelati  superiori  ed  al 
Papa,  ci  soffermeremo  a  preferenza  a  trascrivere  gli  altri  passi  i  quali  ven- 
gono a  limitare  la  potestà  di  questi  e  l'obbligo  di  quelli;  stando  qui  partico- 
larmente il  forte  della  questione:  se  ed  in  quali  casi  sia  lecito  o  anche  doveroso 
oltrepassare  il  comando  de' superiori  ecclesiastici,  e  anche  del  Papa. 

Già  nelle  parole  tratte  or  ora  dalla  predica  Vili  sopra  il  Salmo  Quam  Bo- 
nus potremmo  vedere  in  qualche  modo  un  principio  di  soluzione  della  que- 
stione presente:  Mosè  ed  Aronne  si  potrebbero  considerare  come  il  Papa  ed  i 
prelati,  e  siccome  a  Mosè  e  ad  Aronne  Dio  voleva  che  si  avesse  rispetto  e  si 
prestasse  fede  e  soggezione,  così  potremmo  già  credere  che  il  nostro  Frate 
pensi  che  Dio  voglia  il  medesimo  nella  Chiesa  nostra,  e  perciò  già  potremmo 
affermare  che  il  Savonarola  a  nome  di  Dio  impone  a  tutti  i  fedeli  di  star  soggetti 
a' prelati  ed  al  Papa.  Ma  noi  vogliamo  sentire  le  asserzioni  del  Frate,  le  asser- 
zioni chiare  ed  aperte.  E  qui  egli  ne  ha  di  tali  ch'io  non  so  se  in  altri  autori 
se  ne  trovino  delle  simili. 

Quella  volpe  astuta  e  malvagia,  che  fu  Lodovico  il  Moro,  volendo  nel  1496, 
(per  mezzo  del  suo  Oratore  in  Firenze,  Paolo  Somenzi,  degno  ministro  del 
Signore  che  serviva)  cattivarsi  un  poco  il  Savonarola,  stimandolo  oramai  pa- 
drone di  Firenze,  dopo  averlo  prima  calunniato  di  predicare  in  modo  asso- 
luto che  non  s'aveva  da  obbedire  al  Pontefice,  gli  scrisse  il  20  aprile  assai 
dolcemente,  affermando  ch'egli  l'aveva  prima  riprovato  come  aveva  fatto, 
perchè  così  gli  era  stato  riferito;  ma  prometteva  di  non  voler  più  credere 
a'  calunniatori.  Or  bene  il  Frate  rispose  a  questa  lettera  ai  25  di  aprile,  come 
segue:  «  Visto  quanto  la  Eccellenza  Vostra  per  sue  lettere  graziosamente  mi 
risponde,  dico  ch'io  non  ho  punto  a  dolermi  ch'essa  abbia  improbalo  quello 
che  saria  da  improbare,  quando  così  fosse,  cioè  ch'io  avessi  detto  assoluta- 
mente non  essere  da  obbedire  al  Pontefice;  al  che  ripugnano  tutti  i  sacri 
canoni,  secondo  i  quali  io  mi  son  sempre  governato  ».  (Pubbl.  dal  Villari,  V.  I, 
Doc.  XXXI.) 

E  nella  predica  XX Vili  sopra  i  Salmi  diceva:  «  Ben  sai  che  noi  obbedi- 
remo al  Santo  Padre:  ed  io  e  i  Frati  miei  vorremo  prima  morire  che  far  pec- 
calo..» E  se  non  pollò  liberare  altrimenti  la  mia  coscienza  (scriveva  a  dì  10  set- 


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tembre  1495  ad  un  religioso  del  suo  ordine  in  Roma)  obbedirò  anche  allora 
che  la  mia  obbedienza  dovesse  produrre  la  ruina  del  mondo  intiero  ;  perchè 
io  non  voglio  in  questa  cosa  peccare  in  nessun  modo  nemmeno  venialmente  »• 
E  difficile  trovare  chi  parli  più  esplicito.  Ma  con  ciò  noi  siamo  appena 
a  mezza  via.  Ora  dobbiamo  esporre  le  limitazioni  che  Fra  Girolamo  poneva 
all'obbedienza  verso  i  superiori  ecclesiastici:  questo  è  che  specialmente  ci 
preme.  Non  v'  è  dubbio  che  per  il  Savonarola  1'  obbligo  di  obbedire  ai  pre- 
lati non  è  semplice  ed  assoluto,  che  non  si  deve  cioè  obbedir  sempre  ed  in  tutto 
e  per  tutto  ;  ma  che  si  danno  casi  anche  qui  nei  quali  è  lecito  non  obbedire. 
Ed  è  più  che  certo  che,  pur  dichiarandosi  e  protestandosi  egli  ognora  devoto 
e  sommesso  figlio  della  Chiesa,  in  qualche  caso  non  volle  obbedire  agli  ordini 
pontificj,  ma  rescrisse  al  Papa  adducendo  ragioni  e  scuse.  E  di  sommo  rilievo 
conoscere  qui  la  dottrina  del  Frate.  Or  qual'  è  essa  la  teoria  del  Savonarola 
nel  campo  dell'obbedienza  verso  dei  superiori  ecclesiastici  e  del  Papa?  —  E 
analoga  perfettamente  alla  esposta  di  sopra  rispetto  alla  potestà  civile.  In  tutto 
ciò  che  è  bene,  o  almeno  che  non  è  male,  e  non  eccede  la  potestà  del  superiore 
si  deve  obbedir  sempre:  in  ciò  che  fosse  male,  ed  eccedesse  la  potestà  del  su- 
periore è  lecito,  e  può  essere  alcuna  volta  doveroso  il  non  obbedire:  «  Non  si 
deve  obbedire  nè  anche  al  Papa  in  quella  cosa  che  fosse  contra  Dio  ».  (Sopra 
Amos,  V.) 

Ma  vediamo  questa  teorica  un  poco  diffusamente,  che  essa  è  per  noi  d'im- 
portanza capitale. 

«  Io  son  preparato  ad  ogni  obedienza  della  Romana  Chiesa,  eccetto  quando 
comandasse  contra  Dio  o  contra  alla  carità,  il  che  non  credo;  ma  quando  lo  fa- 
cesse, direi  allora:  Tu  non  sei  Romana  Chiesa,  tu  sei  uomo,  e  non  sei  pa- 
store; perchè  il  pastore  non  comanda  contro  a  Dio,  o  contro  alla  carità.  Sì 
che  io  mi  sottometto  alla  Chiesa  Romana,  e  alla  obbedienza  di  quella,  eccetto, 
come  ti  ho  detto,  se  la  comandasse  contro  a  Dio.  Il  che  non  può  fare  la  Ro- 
mana Chiesa,  ma  sì  bene  gli  uomini  della  Romana  Chiesa.  E  sappi  che 
jo  non  sono  obbligato  a  obbedire  al  Papa,  quando  comandasse  contro  la 
nostra  professione  senza  causa;  per  esempio,  se  mi  comandasse  ch'io  tenessi 
possessioni,  non  son  tenuto  a  obbedirlo,  perchè  sarebbe  contro  la  nostra  pro- 
fessione, avendo  io  promesso  ed  essendomi  obbligato  a  non  le  tenere.  E 
sebbene  volesse  darmi  la  dispensa,  non  son  anche  obbligato;  perchè  non 
si  può  dare  la  dispensa  se  io  non  voglio,  o  se  non  vi  fosse  lecita  causa.  (') 
Così  ancora  non  sono  tenuto  ad  obbedire  al  mio  prelato  che  mi  comandasse 
contro  alle  costituzioni  nostre.  Cosi  dicono  tutti  i  dottori.  (*)  Sono  dunque  prepa- 
rato alla  obbedienza  della  Santa  Romana  Chiesa,  come  vi  ho  detto,  e  voi  ne 
siate  tutti  testimoni  ».  (Sopra  Amos..  XLV1II.)  «  Sappi  che  i  teologi  dicono  che 


(')  Cfr.  Ballerini  S.  I.  Opus  Theologium  morale,  voi.  IV,  p.  109  e  segj;.  n.  180. 

(•)  V.  S.  Tommaso  P.  II- li,  Qu.  104,  art.  5.  ad  S"1,  ove  chiama  illecito  l'ubbidienza  con- 
tro Dio  o  contro  la  professione  della  regola.  Cf.  Suarez,  tr.  7.  o.  8.  n.  (i,  ove  dice  elio  questa 
dottrina  è  comune. 


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il  comandamento  a  noi  fatto  dal  superiore  o  che  gli  è  sopra  quello  che  noi 
siamo  obbligati  ad  osservare,  o  che  gli  è  infra  quello,  o  che  gli  è  oltre,  o  che 
gli  è  contra,  o  che  gli  è  secondo.  (')  E  possiamo  questo  considerare  in  tre  ordini: 
il  primo  è  dei  secolari,  i  quali  sono  obbligati  ai  comandamenti  dello  Evangelio 
e  della  Chiesa  e  alla  salute  loro;  il  secondo  ordine  è  dei  preti  i  quali  sono  in 
più  strettezza  che  i  secolari;  il  terzo  ordine  sono  i  religiosi,  che  sono  ancora 
in  maggiore  strettezza  che  non  i  secolari  e  i  preti.  Prima,  dicono  adunque  i 
teologi,  che  ogni  volta  che  il  superiore  vuole  comandare  sopra  quello  che 
T  uomo  è  obbligato;  ad  esempio:  al  secolare  che  lasci  la  roba  e  muti  stato,  e 
che  si  faccia  religioso,  che  non  è  obbligato  a  obbedire.  Così  se  comanda  al 
prete  o  al  religioso  che  digiuni  più,  che  non  l'obblighi  la  sua  regola;  ad  esem- 
pio: che  digiuni  ogni  dì  in  pane  e  in  acqua,  non  è  obbligato  ad  obbedirlo;  (8) 
salvo  se  non  glie  lo  desse  in  penitenza  per  qualche  suo  peccato.  Ma  non  è 
obbligato  specialmente  a  entrare  in  una  più  stretta  regola. 

«  Secondo,  quando  il  superiore  comanda  quello  che  è  infra;  ad  esempio: 
Se  tu  secolare  vivi  bene,  e  in  qualche  tua  strettezza  di  vita,  non  può  assolu- 
temente  comandarti  il  superiore  che  tu  ti  allarghi,  eccetto  se  non  avesse  giu- 
sta causa,  come  se  vedesse,  che  ti  fosse  nocivo  al  corpo,  e  allo  spirito,  come 
saria  troppa  astinenza;  e  quando  lui  ti  volesse  mettere  in  magistrato;  dove  bi- 
sognasse che  tu  vestissi  meglio  che  tu  non  fai.  Così  a  preti  e  religiosi  non  può 
comandare  che  allarghino  la  sua  vita. 

«  Terzo,  se  il  superiore  comandasse  al  secolare  una  cosa  che  e' fosse  in- 
differente, cioè  che  non  sia  nè  sopra,  nè  infra,  nè  contra,  nè  secondo,  ma  oltre 
(praeter)  come  saria  andare  in  villa  o  simile;  e  così  ancora  se  a  te  religioso  co- 
mandasse una  cosa  che  fosse  oltre  (praeter)  la  regola;  cioè  una  cosa  indifferente, 
non  se'  obbligato  ad  obbedirlo.  Ben  è  vero  che  faresli  meglio  per  reverenzia 
ad  obbedire,  benché  tu  non  sia  obbligato.  E  questo  si  chiama  comandare  quel 
che  è  oltre. 

«  Quarto,  se  il  superiore  comanda  quel  che  è  contra,  dicono  che  questo 
non  si  debba  obbedire  per  niente;  come  saria  se  a  te  secolare  comandasse 
qualche  cosa  contro  la  legge  evangelica,  ed  a  me  religioso  contro  le  nostre 
costituzioni;  per  esempio  che  io  mangiassi  della  carne;  allora  non  siamo  ob- 
bligati ad  obbedirlo,  se  già  non  vi  fosse  il  bisogno  per  infermità. 

«  Quinto,  se  il  Papa  comanda  quel  che  sia  secondo,  sempre  siamo  obbli- 
gali ad  obbedirlo,  cioè  se  al  secolare  comanda  secondo  l'ordine  dell'Evangelo, 
e  della  dottrina  della  Chiesa,  e  a  noi  secondo  le  nostre  costituzioni,  siamo  te- 
nuli  e  obbligati  a  obbedirlo,  e  devesi  obbedire.  E  questo  è  quanto  dicono  i  sacri 
teologi. 

«  Ora  al  proposilo  nostro  dico  che  dovete  credere  e  obbedire  ai  canoni 


(')  V.  questa  distinzione)  nel  Ballerini,  pai».  10). 

('•)  S.  ISernardo,  de  prajc.  et  disp.  oap.  7.  «  Penso  cho  da  mo  non  si  possa  esigerò  so  non 
quanto  ho  promosso  ».  01'.  Suarcz  1.  c.  n.  5,  o  l'ico  della  Mirandola,  Apologia,  Hb.  I,  oap.  V. 


li 


—  395  - 


delia  Chiesa,  e  ai  concilj,  e  in  una  parola,  alla  dottrina  della  Chiesa  Romana, 
così  siamo  obbligati  tutti,  e  stare  all'obbedienza  del  Pontefice,  e  io  e  ognuno. 
Ma  dico  bene,  s'egli  accadesse,  non  dico  eli'  egli  abbia  ad  essere,  nò  che  sia 
stato  fatto  comandamento  nessuno,  ma  dico  s'  egli  accadesse,  che  fosse  fatto  co- 
mandamento die  fosse  contra  alla  carità,  che  ognuno  prima  debba  avere  que- 
sto pietoso  credere,  che  tal  comandamento  non  sia  la  volontà  del  superiore, 
nò  la  sua  intenzione,  ma  o  che  sia  stato  fatto  per  errore,  o  per  esser  stato  male 
informato.  E  però  tu  debbi  credere  che  il  superiore  intenda  che  tal  coman- 
damento abbia  effetto,  se  gli  è  così  come  gli  è  stato  riferito,  altrimenti 
no.  E  però  dicono  i  dottori  in  questo  caso  che  tu  devi  soprasedere  e  informare 
il  superiore  della  cosa  com'  è,  e  della  verità.  Ma  mettiamo  per  caso,  (non  dico 
che  sia,  tu  andrai  a  scrivere  poi  a  Roma;  io  non  ho  cancellieri,  io  ti  darò  fac- 
cenda a  te,  che  scrivi  a  Roma;  intendimi  bene,  io  non  dico  che  sia)  ma  se  per  caso 
venisse  un  altro  Pontefice,  diciamo  cosi,  il  quale  volesse  che  io  facessi  male, 
e  che  intendesse  il  comandamento  che  fa  essere  contra  la  carità  e  volesse 
che  valesse;  dico  che  in  tal  caso  non  hai  a  temere  nè  sua  escomunicazione, 
nè  sua  forza,  anzi  devi  piuttosto  morire  che  obbedirlo.  (l)  (Sopra  Amos  e  Zac- 
caria, pred.  XXIX.) 

«  Coloro  che  ti  hanno  havuto  in  odio  hanno  levato  il  capo.  (8)  Pensando  so- 
pra questo  punto  dicevo:  Ecci  nessuno  che  abbia  in  odio  Dio?  È  certo 
nessuno  per  sè  ha  in  odio  Dio;  ma  ha  ben  in  odio  le  cose  che  Dio  fa,  che  gli 
dispiacciono.  Dio  fa  predicare  la  verità,  e  molti  la  hanno  in  odio,  ed  ecco  che 
gli  hanno  levato  il  capo  e  gli  hanno  levato  la  cresta:  nota  che  non  dice:  hanno 
levato  i  capi,  ma  dice:  hanno  levato  il  capo.  Diciamo  contro  a  quelli  che  vanno 
dicendo  cose  che  nessuno  gli  risponde:  Egli  hanno  levato  il  capo.  Qual  è  il  capo 
della  Chiesa?  hanno  levato  il  Papa.  —  0  dirai  tu  contro  il  Papa? — Non  io, 
ma  quando  tu  lo  vuoi  levare  suso  quanto  Dio,  tu  levi  troppo  il  capo.  Quelli  che 
pria  dicevano  male  della  corte  Romana,  ora  dicono  che  le  si  deve  obbedire  in 
ogni  cosa.  Se  tu  di'  che  si  debbe  obbedire  in  ogni  cosa,  tu  non  devi  intendere 
che  si  abbia  a  obbedire  nel  male,  perchè  il  male  è  nulla,  secondo  che  dicono 
i  filosofi.  Se  tu  intendi  adunque  che  si  obbedisca  nel  bene  il  capo,  sta  bene;  se 
tu  intendi  anche  nel  male,  tu  levi  troppo  il  capo.  0  se  lui  ti  comandasse  che 
facessi  una  fornicazione,  obbediresti  tu  ?  —  Sì,  dice  colui,  che  io  lo  farei.  Ecco: 
tu  levi  troppo  il  capo.  —  0  frate,  egli  è  Dio  in  terra;  è  vicario  di  Cristo!  — 
Egli  è  vero;  ma  Dio  e  Cristo  comanda  che  si  ami  il  suo  fratello,  e  gli  si  fac- 
cia bene.  Adunque  se  il  Papa  ti  comandasse  che  tu  facessi  contro  la  carità, 
e  tu  lo  facessi,  levi  troppo  il  capo,  e  vuoi  che  il  Papa  faccia  più  che  non 
fa  Dio. 


(')  Tutto  questo  passo  mostra  benissimo  con  quanta  cautela  il  Savonarola  si  guardasse 
dall' offendere  personalmente  il  Romano  Pontefice,  e  conferma  quanto  tu  detto  da  noi  a 
pag.  267  e  segg.  relativamente  a  quei  passi  ove  si  vorrebbe  che  il  Savonarola  mirasse  al  par- 
ticolare. 

0  Salm.  LXXXI1,  v.  2. 


-  396  - 


«  Egli  non  si  domanda  allora  Papa,  e  non  si  serba  obbedienza,  quando  egli 
comanda  contra  Dio.  —  il  Papa  in  quanto  Papa  non  può  fare  cosa  falsa.  —  Tu 
credi  forse  che  il  Papa  non  sia  uomo?!  Quando  lui  fa  male,  non  fa  inquanto 
Papa;  ma  perchè  è  uomo  può,  per  false  persuasioni,  errare  e  fare  male.  Non 
dite  adunque  più  che  il  capo  si  vuole  obbedire  in  ogni  cosa;  ma  nel  bene  ». 
(Sopra  1'  Esodo,  Sermone  XVIII  e  altrove.) 

«  Un  cittadino  aveva  una  bellissima  vigna,  la  quale  faceva  di  molto  frutto 
per  operazione  e  industria  d'  un  suo  figliuolo.  Alcuni  ladroncelli  vicini  a  que- 
sta vigna,  avendo  gran  desiderio  di  rubarla  e  di  guastarla;  ed  essendo  proi- 
biti dal  figliuolo  di  questo  cittadino,  pensarono  tra  loro  e  dissero:  Il  padre 
di  costui,  per  la  via  lunga,  e  per  le  sue  occupazioni,  non  può  venire  a  ve- 
dere il  suo  figliuolo  e  la  vigna.  Scriviamogli  dunque  male  di  questo  suo  fi- 
gliuolo, dicendo  che  egli  è  un  mangiatore  e  un  bevitore,  e  che  egli  sta  tutto 
il  giorno  con  le  meretrici  e  con  i  ribaldi,  e  consuma  tutti  i  beni  paterni  e 
la  vigna.  Ed  oltre  allo  scrivere,  mandiamogli  diversi  messi  i  quali  abbiano 
apparenza  di  persona  da  bene,  che  confermino  tutto  quello  che  gli  avremo  scrit- 
to, persuadendogli  che  gli  comandi  che  non  stia  più  a  quella  vigna  e  che  lo 
chiami  a  sè  e  puniscalo  gravemente.  E  così  fecero.  Il  padre  suo  adunque, 
vedendo  tanti  testimonj,  se  lo  credette;  e  adirato  chiama  il  figliuolo  a  sè  scri- 
vendogli come  aveva  inteso  tutto  il  male  che  faceva.  Il  figliuolo  vedendo  che 
la  sua  partita  saria  causa  della  distruzione  della  vigna,  non  si  parte,  e  non 
obbedisce  al  padre;  ma  gli  scrive  e  manda  a  dire,  che  egli  è  ingannato  da  quegli 
che  vorriano  guastare  la  vigna.  —  Dimmi,  cittadino,  pare  a  te  che  questo 
figliuolo,  abbia  fatto  bene  o  male?  o  che  egli  abbia  fatta  la  volontà  o  contro 
la  volontà  del  padre?  Certo  se  tu  non  sei  uno  sciocco,  tu  dirai  che  egli  ha 
fatto  prudentissimamente,  non  contro,  ma  secondo  la  volontà  del  padre. 

«  Dimmi,  se  tu  avessi  una  ragione  a  Bruges,  e  fosse  bene  governata  da  un 
tuo  garzone;  e  per  invidia  i  tuoi  nemici  ti  scrivessero  male  di  lui,  e  tu  mosso 
dalle  lettere  loro,  lo  rivocassi  scrivendogli  quel  che  tu  hai  inteso  di  lui,  e  lui 
tornasse  lasciando  andar  male  la  ragione,  non  ti  adireresti  con  lui?  e  dire- 
sti: Pazzo,  non  vedi  tu  in  che  modo  io  ti  avevo  scritto?  Certo  per  modo  al- 
cuno tu  non  dovevi  tornare. 

«  Ma  dimmi  un'  altra  cosa:  se  un  re  avesse  comandato  ad  un  suo  ser- 
vo, che  andasse  contro  i  suoi  nemici  sotto  la  obbedienza  di  un  suo  barone, 
e  cominciasse  già  il  servo  ad  espugnare  i  nemici,  e  aver  gran  vittoria;  e  il 
barone,  o  per  essere  male  informato,  o  per  altra  causa  comandasse  al  servo 
del  re  che  tornasse  addietro,  per  la  (piale  tornata  i  nemici  avessero  a  di- 
ventare vittoriosi;  e  che  il  servo  non  volesse  obbedire,  sapendo  che  questa 
vittoria  al  re  sarebbe  gralissima,  e  che  il  comandamento  del  barone  è  con- 
trario al  comandamento  del  re;  non  ti  parrebbe  egli  a  te  che  questo  servo 
avesse  fatto  prudentemente,  e  che  il  barone,  se  egli  fosse  buono  e  fedele  al 
suo  re,  avesse  poi  grata  quella  sua  disobbedienza  con  quella  vittoria? 

«  Ogni  volta  adunque  che  si  potesse  vedere  espressamente  che  i  coman- 
damenti de' superiori  sono  contrarj  ai  comandamenti  di  Dio;  e  massime  al 


—  397  — 


precetto  della  carità,  niuno  deve  obbedire  in  questo  caso;  perchè  gli  è  scritto: 
E' bisogna  obbedire  piuttosto  a  Dio  che  agli  uomini.  Avvengachè  quando  non 
fosse  chiaro,  ma  dubbio,  che  il  comandamento  del  superiore  fosse  contrario 
al  comandamento  divino,  crederei  in  questo  caso  che  si  dovesse  seguitare  il 
giudizio  del  superiore.  Avendo  dunque  noi  tutti  comandamento  da  Dio  della 
carità  fraterna  che  ciascheduno  abbia  cura  della  salute  del  suo  prossimo,  di- 
cendo il  savio  nell'Ecclesiastico:  Comandò  a  ciascuno  di  aver  pensiero  del 
prossimo  suo,  quando  io  vedessi  espressamente  che  il  mio  partire  d'  una  città 
fosse  ruina  spirituale  o  corporale  del  popolo,  non  obbedirei  ad  uomo  vivente, 
che  mi  comandasse  che  io  mi  partissi.  Sì  perchè  il  suo  comandamento  saria 
contrario  al  comandamento  divino,  sì  perchè  io  presumerla  che  quella  non 
fosse  la  intenzione  del  mio  superiore;  sapendo  che  è  piuttosto  da  obbedire 
alla  intenzione  della  legge  che  alle  parole. 

«  0  tu,  che  scrivi  a  Roma  tante  bugie,  che  scriverai  tu  ora?  Io  so  bene 
quello  che  tu  scriverai.  —  0  che,  Frate?  — Tu  scriverai  che  io  ho  detto  che 
non  si  deve  obbedire  al  Papa,  e  che  io  non  voglio  obbedire.  Io  non  dico  così: 
Scrivi  come  io  ho  detto,  e  vedrai  che  non  farà  per  te  ».  (Sopra  Amos  e 
Zaccaria,  pred.  I.) 

E  se  avessero  scritto,  come  egli  diceva,  avrebbero  adunque  scritto  la  tesi 
che  ponemmo  di  sopra:  che  bisogna  sempre  obbedire  dove  sia  bene,  dove  non 
sia  male,  dove  s'  estende  la  potestà  del  superiore,  la  legge;  e  che  nel  caso  con- 
trario è  lecito  o  anche  doveroso  non  obbedire.  E  così  scrivendo  i  cancellieri 
non  avrebbero  davvero  fatto  il  proprio  giuoco  nè  ottenuto  ragione  o  ascolto  in 
Roma,  siccome  vedremo  chiaramente  quanto  prima. 


XXVI. 


Delle  leggi  canoniche  e  della  scomunica. 


Sommario. 

Fra  Girolamo  dotto  in  diritto  civile  e  canonico.  —  Opere  legali  del  Frate.  —  Ragioni  che  indussero  il  Savo- 
narola allo  studio  del  diritto.  —  Nomologia  Savonaroliana.  —  Leggo  in  genere.  —  Legge  eterna.  — 
Leggo  naturale.  —  Leggi  civili.  —  Leggo  soprannaturale.  —  Leggi  canoniche.  —  La  carità  legge 
suprema.  —  La  legge  divina  e  la  naturale  e  quelle  che  ne  dipendono  per  modo  di  deduzione  sta- 
bili ognora.  —  Mutabilità  delle  leggi  moramente  positivo  umane.  —  Condizioni  alla  validità  della 
legge;  o  casi  di  nullità.  —  Criterio  per  giudicare  della  bontà  delle  leggi.  —  Un  esempio.  —  Dot- 
trina del  Savonarola  intorno  alla  scomunica.  —  Uno  studio  della  scomunica  del  nostro  Frate.  — 
Fouti  dalle  (piali  attingiamo  1'  esposiziono  presento.  —  Limiti  di  questa.  —  Natura  della  scomunica. 
—  Como  ossa  non  sia  da  infliggerò  se  non  per  colpe  gravissime.  —  Suo  conseguenze.  —  Fra  Gi- 
rolamo lamenta  la  troppa  frequenza  dolio  scomuniche.  —  Casi  di  nullità  della  scomunica. 


Fra  Girolamo  studiò  con  molta  cura  diritto  canonico  e  legislazione  eccle- 
siastica, e  tra  le  sue  opere,  come  si  può  vedere  in  un  catalogo  edito  dal  Villari 
(Doc.  VI,  pag.  XXII),  figurano  le  seguenti:  «  Decretum  abreviatum  :  pars  Decreta- 
Unni;  Clementìnae  abreviatae:  Capitolum  breviatum;  Decretum  in  membranis  ».  E 
come  in  diritto  canonico,  si  mostrò  egli  mollo  studioso  e  profondo  in  diritto 
civile  e  nel  costituzionale  segnatamente,  come  appare  dal  Compendio  di  tutta 
la  Filosofia,  dalle  prediche  sopra  Aggeo  e  dal  Discorso  intorno  il  reggimento 
degli  stati,  e  come  è  del  resto  noto  ad  ognuno  che  anche  per  poco  conosca  la 
vita  e  1'  opera  sua  politica  in  Firenze. 

E  si  capisce  facilmente  che  ciò  egli  facesse,  ove  si  pensi  alla  natura  del 
suo  ingegno  così  avido  di  apprendere,  all'  ufficio  d'insegnante  che  tenne 
parecchi  anni,  alla  riforma  che  voleva  predicare,  e  alla  lotta  che  doveva 
sostenere  contro  i  tiepidi  secolari  ed  ecclesiastici.  E  pare  ancora  che  nelle  leggi 
egli  studiasse  con  molto  disinteresse;  imperocché  sovente  nelle  sue  prediche 
e  negli  altri  scritti,  grida  mollo  forte  contro  coloro  i  quali,  lasciando  tra  la 
polvere  ben  anco  la  Scrittura,  studiavano  incessantemente  diritto  solo  per  tinti- 
le entrale,  avere  i  benefizi  c  far  pompa  di  scienza.  Ma  lasciando  ciò  e  lenen- 


-  399  - 


doci  stretti  stretti  al  nostro  intento,  noi  esporremo  qui  brevemente  la  nomo- 
logia del  Frate  nostro. 

Per  questa,  lasciando  i  molti  altri  luoghi,  ne'  quali  il  Savonarola  ne  tratta,  ci 
serviremo  qui  della  predica  XXII  già  citata  sopra  Amos,  del  capitolo  XIII  del 
libro  III  del  Trionfo,  della  predica  I  e  li  sopra  V  Esodo,  della  predica  X  sopra 
Ruth  e  Michea,  e  di  un  saggio  di  lezione  fatta  in  San  Marco  a' suoi  Frati 
pubblicato  dal  Villari  (Doc.  V,  pag.  XII  e  seg.).  Raccoglieremo  le  cose  essen- 
ziali da  questi  luoghi,  ritenendo  per  quanto  ci  sia  possibile  le  stesse  parole  del 
nostro  Filosofo.  (£) 

La  legge  è  ordinazione  della  ragione  al  bene  comune  promulgata  da 
chi  ha  la  cura  della  comunità.  A  capo,  principio,  fonte  e  regola  di  tutte  le 
altre  leggi,  sta  la  legge  eterna  ;  la  ragione  della  divina  sapienza  in  quanto 
è  direttiva  di  ogni  atto  e  di  ogni  mozione.  {')  Questa  legge  è  Dio  stesso,  è  la  ordi- 
nazione della  ragione  divina  promulgata  da  Dio  prima  in  se  stesso  producendo 
il  Verbo  e  lo  Spirito  Santo,  a'  quali  la  manifestò  dall'  eternità.  Essa  fu  poi  del 
pari  promulgata  alle  creature;  e  ciò  quando,  creandole,  Dio  diede  loro  ap- 
punto la  norma  onde  operassero;  e  la  diede  alle  animate  e  alle  inanimale, 
alle  razionali  e  alle  intellettuali:  imprimendo  in  loro  tali  forme  per  le  quali 
sono  esse  inclinate  piuttosto  così  che  così;  hanno  questa  o  quella  inclinazione; 
inclinazione  che  le  cose  inanimate  e  gli  animali  irragionevoli  seguono  necessa- 
riamente e  sempre;  gli  uomini  e  gli  angeli,  avendo  avuto  il  libero  arbitrio,  po- 
terono seguirla  o  anche  avversarla.  Tutte  le  creature  adunque  partecipano  della 
legge  eterna,  e  cosi  essa  legge  si  fa  legge  naturale;  ma  più  di  tutte  le  altre 
creature  terrestri  e  più  perfettamente  ne  partecipa  la  creatura  razionale.  E 
questa  partecipazione,  la  partecipazione  della  legge  eterna  fatta  all'  uomo,  si 
può  anche  chiamar  legge  razionale;  ed  ha  per  radice  il  lume  della  ragione  da 
Dio  impresso  nell'uomo.  '  3)  Da  questa  legge  naturale  o  razionale,  da' comanda- 
menti di  questa  legge,  derivano  tutte  le  altre  leggi  particolari,  e  derivano  o  per 
modo  di  conclusione,  o  per  modo  di  determinazione.  (')  Queste  ultime  si  doman- 
dano propriamente  leggi  umane  positive. 

Ma  per  essere  1'  uomo  elevalo  ad  un  fine  soprannaturale,  e  per  molte  al- 
tre ragioni,  a  tutto  il  governo  dell'  umana  famiglia  non  essendo  sufficiente  la 
legge  naturale,  è  stato  necessario  1'  aiuto  della  legge  divina  soprannaturale. 
Questa  legge  che  è  detta  positiva  divina,  è  un'  aggregazione  di  comandamenti  di- 
vini, la  quale  procede  dal  lume  della  fede  soprannaturale,  ed  è,  essenzialmente, 
la  grazia  dello  Spirito  Santo.  Da'  comandamenti  di  questa  legge  e  grazia  deri- 
vano, come  da  primi  principj,  le  altre  leggi  particolari  per  modo  di  conclusione, 
Ql>er  modo  di  determinazione,  le  quali  si  domandano  leggi  canoniche,  proprio 
cosi  come  dalla  naturale  derivano  le  civili. 


(')  Cfr.  anche  le  i-red.  Vili,  XVII  e  XVIII  Sopra  A<*geo. 

(z)  Cfr.  San  Tommaso,  Somma  teol.,  p.  I-II,  qu.  90,  a.  4,  e,  qu.  93,  a.  1. 

(■*)  San  Tommaso,  1.  e,  qu.  91  a  2. 

(')  San  Tommaso,  1.  e,  qu.  95,  a  2. 


—  400  — 


Si  potrebbe  adunque  dire  che  le  leggi  positive  civili  sono  la  ragione  di  Dio 
1'  ordinazione  della  ragione  di  Dio  promulgata  da'  principi,  le  canoniche  od  ec- 
clesiastiche sono  la  ragione  divina,  1'  ordinazione  della  ragione  divina  promul- 
gata dalla  Chiesa. 

Di  queste  leggi  la  naturale  e  la  positiva  divina  non  possono  contenere 
errore  alcuno,  sono  tutte  verità,  e  resteranno  eternamente,  e  devono  essere 
osservate  da  tutti  così  come  Dio  comanda  e  vuole.  Sarebbe  eretico  e  pazzo  chi 
dicesse  o  pensasse  il  contrario.  Del  pari,  le  leggi  che  dipendono  dalla  natu- 
rale per  conclusione  si  debbono  ognora  tener  per  vere  e  sante  da  tutti  gli 
uomini:  perchè  da  veri  principj  non  possono  procedere  conclusioni  false.  Esse 
si  potrebbero  chiamare  leggi  naturali  particolari,  e  devono  essere  stabili  presso 
tutte  le  nazioni.  Le  leggi  meramente  positive,  fatte  dagli  uomini  per  modo  di 
determinazione,  si  possono  variare  secondo  le  diversità  de' luoghi  e  de' tempi, 
perchè  il  contenuto  loro  non  dipende  formalmente  dalla  legge  naturale  o 
divina.  (*) 

Or  nota  che  tutte  le  leggi  le  quali  sono  applicate  al  bene  comune,  e  senza 
le  quali  il  bene  comune  non  si  può  mantenere,  obbligano  a  peccato.  Sono  di 
poi  certe  altre  leggi  che  sono  a  onestà  e  a  vita  più  costumata;  e  queste  non 
obbligano  a  peccato.  Del  resto  1'  amore  verso  Dio  è  la  plenitudine  della  legge 
di  Dio;  e  l'amore  verso  gli  uomini  è  la  plenitudine  delle  leggi  umane.  Tutte 
le  leggi  devono  essere  informate  a' due  principj  notissimi:  l'amore  di  Dio,  e 
1'  amore  del  prossimo.  La  legge  suprema,  la  legge  di  tutte  le  leggi,  è  la  carità; 
è  il  nostro  Salvatore  Gesù  Cristo  Crocifisso.  (2) 

Ove  manchi  1'  amore,  la  carità,  lo  spirito  di  Cristo,  le  leggi  non  valgono 
nulla.  Quando  le  leggi  son  fatte  per  oppressare  i  sudditi,  o  per  uccellare  a  be- 
neficj  e  a  denari  e  a  roba,  quando  son  fatte  a  sole  gravezze,  quando  son  reti 
a  tirar  danari,  e  servono  solo  al  comodo  privato  e  non  mirano  al  ben  vivere,  non 
mirano  al  bene  comune,  vanno  contro  la  salute  delle  anime,  allora  non  valgono 
nulla.  Se  il  principe  fa  una  legge  contro  al  ben  vivere,  o  al  bene  comune  il 
popolo  non  è  tenuto  ad  osservarla....  (3)  «  Fanno  ancora  leggi  costoro  contrarie 
alla  carità....  lo  ti  dico  che  non  le  si  debbono  osservare.  La  carità  rompe  ogni 
legge....  Per  giudicare  della  bontà  di  una  legge  non  bisogna  guardare  tanto  alle 
foglie  e  a'  rami,  quanto  alla  radice;  cioè  alla  ragione  con  la  quale  elleno  son 
fatte.  Voi,  canonisti,  non  avete  fatte  le  leggi,  ma  sono  piuttosto  procedute 
dai  teologi  ;  ed  ogni  volta  che  la  legge  non  concorda  con  la  ragione,  o  con 
la  legge  della  grazia,  massime  in  quelle  cose  che  concernono  1'  anima,  non 
vale  nulla.  Ed  ogni  volta  che  la  ragione  non  concorda  qua  non  viene  dalla 
radice  dell'arbore,  ma  è  ramo  secco  ». 

Ma  è  necessario  che  veniamo  un  poco  al  particolare  per  intendere  meglio. 
E  egli  lecito,  per  esempio,  a' governatori  civili,  che  si  propongono  di  purgare  le 


(')  San  Tommaso,  1.  e,  qu.  94,  a.  i  e  5. 

0  Smi  Tommaso,  1.  o.  a.  ti.  —  Oft.  Ve.  HegiminC  I'i-incipum,  L.  Ili,  c.  ti"  e  4°. 
(a)  Saii  Tommaso,  1.  e,  qu.  96,  a.  4e  6. 


—  401  — 


città  loro  dai  vizj,  levar  via  la  cattività  dei  cattivi  preti?  Come  si  risponde  a  que- 
sta questione  per  chi  ammette  le  leggi  canoniche  e  le  leggi  civili,  e  che  per  le 
leggi  canoniche  sia  giudicato  e  governato  il  clero,  e  per  le  leggi  civili  il  popolo? 
Si  risponde  negativamente.  Rispondendo  altrimenti,  s' andrebbe  contro  la 
legge  della  Libertà  Ecclesiastica.  Ma  presupponiamo  che  vi  sia  un  prete  o  frate 
non  solo  cattivo  in  quanto  a  sè,  ma  causa  della  corruzione  degli  altri,  come 
infame,  sodomita,  incantatore,  eretico,  o  traditore  della  patria;  e  presupponiamo 
che  i  reggitori  della  città  lo  abbiano  detto  ai  superiori  del  prete  o  del  frate  e  lo- 
cali e  centrali  gradatamente  su  su  fino  al  Papa;  e  che  questi  non  vi  volessero 
provvedere,  nel  caso  tieni  tu  ancora  che  e'  ci  sia  scomunica  alcuna  a  cac- 
ciare dalla  città  siffatto  arnese  ?  credi  che  si  faccia  tuttavia  contro  la  legge 
della  libertà  ecclesiastica?  Il  Savonarola  risponde  di  no;  ed  è  opportune  che 
vediamo  le  ragioni,  perchè  in  esse  è  detto  abbastanza  bene  in  quali  casi  egli 
credeva  che  si  potesse  trapassare  impunemente  le  leggi  positive. 

Si  premette  che  «  in  tutti  gli  atti  morali,  il  fine  è  forma  e  regola  di  tutta  la 
operazione;  e  che  la  forma  di  ogni  virtù  è  la  carità,  e  se  non  vi  è  la  carità 
quella  virtù  è  senza  forma,  e  però  si  chiama  virtù  morta,  e  non  è  più  virtù: 
ogni  cosa  opera  per  la  forma  sua.  La  fede  opera  per  la  carità,  e  però  quella 
fede,  dove  non  opera  carità,  si  chiama  fede  morta.  E  però  la  fede  senza  le 
opere  è  morta.  Ogni  volta  adunque  che  tu  fai  un  atto  virtuoso  per  carità,  egli 
è  informato  della  sua  forma.  Ma  così  è  che  le  leggi  sono  per  gli  atti  delle  virtù. 
Adunque  così,  come  una  virtù  senza  carità  è  morta,  così  ogni  legge  che  non 
ha  carità  è  morta  e  non  è  legge  ».  Questo  premette  il  Savonarola,  e  poi  segue 
francamente:  «  Quelle  leggi  che  tu  di':  che  nulla  può  farsi  contro  la  libertà 
ecclesiastica,  e  che  nessuno  deve  essere  giudicato  da  un  giudice  che  non  sia 
suo,  se  le  stanno  ed  hanno  luogo,  in  questo  caso,  le  non  hanno  carità  in  sè, 
adunque  sono  leggi  morte;  e  non  sono  più  leggi  in  questo  caso.  Che  le  fossero 
contro  la  carità  se  le  includessero  il  caso  nostro,  io  te  lo  dimostro,  perchè  tu 
non  potresti  cavare  l'anima  del  prossimo  di  peccato,  e  tuttavia  non  solo  ci  è 
comandato  da  Dio  per  la  legge  della  carità,  che  noi  facciamo  ogni  cosa  per 
la  salute  del  corpo  del  prossimo,  ma  molto  più  per  la  salute  dell'anima.  Im- 
perocché ad  ognuno  ha  fatto  Dio  comandamento  del  suo  prossimo.  Adunque  se 
tu  hai  fatto  il  debito  tuo  in  richiedere  i  superiori,  e  queste  leggi  poi  ti  tenes- 
sero che  tu  non  potessi  aiutare  il  prossimo,  le  sarebbero  contro  la  carità.  E 
però  io  ti  dico  che  tu  non  debbi  farlo,  e  che  queste  leggi  non  sono  più  leggi, 
ma  sono  morte  in  questo  caso:  e  questa  è  la  prima  ragione. 

«  La  seconda  ragione  è  questa:  San  Tommaso  dice  che  ognuno  è  obbli- 
gato alla  correzione  fraterna  sotto  pena  di  peccato  mortale.  (')  E  Santo  Am- 
brogio dice  che  se  tu  vedi  uno  morire  di  fame,  e  tu  puoi  aiutarlo,  e  non  lo 
aiuti,  tu  se' causa  della  sua  morte  e  pecchi  mortalmente.  (2)  Onde  soggiunge 
San  Tommaso  e  dice:  Se  noi  siamo  obbligati  alla  salute  del  corpo  del  prossimo, 


(')  V.  San  Tommaso,  II-II,  qu.  33,  a.  2. 
(2)  De  Officis,  1.  1,  c.  30. 

26 


—  402  - 


molto  più  per  la  salute  dell'anima  sua,  perchè,  se  vediamo  i  prossimi  andare 
a  casa  del  diavolo,  dobbiamo  fare  ogni  cosa  che  non  sia  contro  la  carità 
o  fuora  di  essa  carità  per  salvarli.  (*)  E  questa  è  legge  divina  e  naturale  che  ci  ob- 
bliga. Si  argomenti  adunque  così:  Ogni  legge  o  sia  naturale  o  sia  divina  sta  sempre 
salda  ed  immutabile,  e  non  si  può  dispensare.  Ed  ogni  legge  che  seguita  dalla 
naturale  e  dalla  divina  per  modo  di  conclusione  si  chiama  sempre  o  naturale  a 
divina,  e  non  si  può  mutare.  Ma  quelle  leggi,  che  si  cavano  dalla  naturale  e 
divina  per  modo  di  determinazione,  si  chiamano  leggi  positive  e  possonsi  torre 
via  e  mutarle  e  alterarle,  e  il  Papa  le  può  dispensare  e  torre  via;  com'è  dire: 
se  uno  fa  la  tale  cosa,  abbia  la  tale  pena,  o  sia  escomunicato.  Queste  si  chia- 
mano leggi  positive,  e  si  possono  torre  via;  ma  la  naturale  e  divina  sta  sempre 
immobile,  e  quando  egli  accade  che  la  naturale  non  può  stare,  stante  la  posi- 
tiva, sempre  in  quel  caso  la  positiva  cessa.  Per  esempio:  Tu  fai  un  comanda- 
mento al  tempo  di  guerra,  che  nessuno  sia  lasciato  entrare  dentro  alla  porta 
sotto  pena  del  capo.  Se  viene  un  tuo  cittadino  alla  porta  e  voglia  entrare  den- 
tro, colui  che  il  mette  dentro  non  merita  di  essere  decapitato,  perchè  in  questo 
caso  l'amore  naturale  stringe  a  mettere  dentro  il  tuo  cittadino,  e  non  s'intende 
che  quella  legge  positiva  abbia  luogo,  quando  non  può  stare  la  naturale  ». 
Cf.  la  predica  XXVIII  sopra  i  Salmi.) 

Applicando  questa  dottrina,  il  Savonarola  così  argomenta: 

«  Volendo  tu  servare  questa  legge  positiva:  che  io  cada  in  pena  di  esco- 
munica a  cacciare  via  costui,  benché  io  non  sia  suo  giudice,  avendo  io 
fatta  diligenza,  saria  contra  la  legge  naturale  dello  amare  il  prossimo,  e  con- 
tra  la  legge  divina  del  cercare  la  salute  dell'  anima  sua.  E  però  questa  posi- 
tiva cessa,  perchè  altrimenti  non  si  potria  salvare  1'  anima  del  prossimo  che 
si  vede  andare  all'  inferno. 

«  Poi,  in  ogni  legge  si  debbe  massimamente  osservare  la  intenzione  del 
latore  della  legge;  ma  la  intenzione  della  legge  della  Chiesa  in  tutte  è  que- 
sta: primo,  l'onore  di  Dio,  secondo,  la  salute  delle  anime,  terzo,  il  bene  co- 
mune. E  dice  San  Tommaso  che  ogni  volta  che  le  leggi  non  hanno  questa 
intenzione,  non  valgono  nulla.  (2)  Ma  così  è  che  in  questo  caso  cessano  tutti 
questi  fini  e  tutte  queste  intenzioni.  Adunque  quelle  leggi  che  tu  alleghi  non 
comprendono  il  caso  nostro  ».  (Gonf.  la  XI  sopra  1'  Esodo.) 

«  Inoltre,  la  materia  è  fatta  per  la  forma,  ed  il  corpo  per  lo  spirito.  Que- 
sta legge,  che  tu  alleghi,  della  libertà  ecclesiastica,  riguarda  alla  libertà  del 
corpo;  ma  la  legge  divina  appartiene  alla  libertà  dello  spirito:  perchè  chi  fa 
il  peccato  è  servo  del  peccato,  e  perde  la  libertà  dello  spirito.  Essendo  adun- 
que fatto  il  corpo  per  lo  spirito,  ogni  volta  che  la  libertà  corporale  guasta  la 
libertà  spirituale,  cessa  quella  legge,  e  non  si  ha  avere  rispetto  alla  libertà 
corporale:  ma  così  è,  che  in  questo  caso,  se  quella  legge  della  libertà  eccle- 
siastica si  avesse  ad  osservare,  si  guasteria  la  libertà  spirituale  e  la  libertà 


(')  San  Tommaso,  1.  c.  a.  1. 
(')  P.  I-II,  qu.  9G,  a.  4. 


—  403  — 


di  Cristo;  adunque  quella  legge,  cessa  in  questo  caso,  e  non  si  chiama  più 
legge. 

«  Inoltre,  ogni  legge  bisogna  che  sia  fatta  con  ragione;  e  la  ragione  della 
legge,  è  l'anima  della  legge,  e  se  non  è  fatta  con  ragione  non  è  legge.  Ma  così 
è,  se  quelle  leggi  che  tu  alleghi  avessero  aver  luogo  in  questo  caso,  non  sa- 
rebbero fatte  con  ragione  nessuna.  A  lunque  non  valgono,  e  non  son  leggi  in 
questo  caso.  E  se  tu  di'  che  le  son  fatte  con  ragione  in  questo  caso,  e  se  egli 
è  ragionevole  di  lasciare  stare  costui  in  questo  modo  ad  esser  cagione  di  far 
ruinare  l'anime,  adunque  si  potria  fare  una  legge  in  questo  caso;  perchè  dove 
porta  la  ragione  si  può  fare  la  legge.  Si  potrebbe  adunque  fare  una  legge  che  di- 
cesse: —  Noi  comandiamo  che  un  prete  o  frate  corruttore  delle  anime  e  che 
guasta  il  bene  comune,  benché  non  sia  corretto  da' suoi  superiori,  che  sia  la- 
sciato stare,  e  che  ognuno  il  lasci  fare.  —  Parrebbe  egli  a  te  che  questa  legge 
fosse  ragionevole?  Io  per  me,  me  ne  farei  le  marce  beffe,  e  se  la  facessi  bene 
il  Papa  questa  legge,  io  ti  dico  che  io  me  ne  farei  le  marce  beffe. 

«  Inoltre,  il  servare  la  fama  del  prossimo  è  di  diritto  naturale  e  divino;  e 
la  salute  delle  anime  è  di  diritto  naturale  e  divino.  Ma  egli  è  maggiore  cosa  e 
più  da  stimare  la  salute  delle  anime,  che  la  fama  del  prossimo  :  ma  così  è 
che  Cristo  non  curò  di  servare  la  fama,  dove  andava  il  pregiudizio  delle  ani- 
me; adunque  noi  non  dobbiamo  servare  questa  leg^e  della  libertà  ecclesia- 
stica, la  quale  è  molto  manco  che  la  fama,  quando  noi  vediamo  il  pericolo 
delle  anime.  Cristo  non  servò  la  fama  agli  scribi  e  farisei,  perchè  vedeva  che 
rumavano  le  anime  allo  inferno;  anzi  ùisse  che  erano  ribaldi  e  cattivi:  e  se 
questo  rispetto  della  salute  delle  anime  è  tanto  potente,  che  fa  cessare  questo 
comandamento  della  fama  (')  che  è  di  diritto  naturale,  molto  maggiormente 
debbe  far  cessare  le  leggi  che  tu  alleghi,  le  quali  sono  leggi  positive.... 

«  Sicché  non  bisogna  che  tu  alleghi  capitoli  della  libertà  ecclesiastica,  perchè 
una  risposta  sola  solve  ogni  cosa;  che  cioè  la  carità  va  innanzi  ad  ogni  cosa,  e 
quando  non  è  carità  in  una  legge,  quella  legge  è  morta  e  non  è  più  legge.  E 
se  tu  di':  —  Oh!  la  libertà  ecclesiastica  si  deve  salvare;  —  io  ti  rispondo  che 
la  libertà  di  Cristo  va  innanzi  ad  ogni  libertà,  e  la  libertà  ecclesiastica  non  è 
fatta  per  guastare  la  libertà  di  Cristo,  ma  per  mantenerla  ». 

E  qui  fa  ancora  un  passo  il  nostro  Frate,  un  passo  assai  ardito  :  osser- 
vato che  questo  cacciare  il  prete  ne'  casi  presupposti  non  è  giudicarlo,  ma 
correzione  fraterna,  soggiunge:  <  E  dicoti  più,  che  questo  lo  può  fare  ognuno 
per  zelo  della  Chiesa  o  per  zelo  dell'  onore  di  Cristo.  Vogliamo  vedere  se  que- 
sto è  vero?  Domandiamone  Cristo.  Poni  per  caso  che  mandassimo  una  amba- 
sceria a  Cristo,  e  che  gli  dicessimo  che  ci  è  un  prete  o  frale  cattivo,  secondo 
il  caso  eh'  io  t'  ho  proposto,  e  dimandassimo  se  vuole  che  Io  cacciamo,  certo 
credi  che  risponderebbe  che  lo  cacciassimo....  Se  Cristo  ci  rispondesse  che  non 
volesse  che  lo  cacciassimo,  tu  diresti  anche  Cristo  cattivo.  Sed  hoc  absit,  chè 


(')  San  Tommaso,  H-U.  qu.  33,  a.  7  in  fine. 


-  404  — 


non  si  può  dire.  (i)  E  però  tu  debbi  considerare  che  la  intenzione  di  Cristo  è, 
che  in  quel  caso  che  io  ti  ho  proposto,  quando  e' non  c'è  altro  rimedio,  tu 
debbi  mandare  via  quel  cattivo  che  mina  le  anime  degli  altri  ». 

Questo  basti  per  ora  della  teorica  della  legge  secondo  Girolamo  Savona- 
rola, e  teniamo  a  mente  questi  principj  che  ci  verranno  bene  assai  quando  or 
ora  avremo  ad  occuparci  del  fatto. 

Dopo  il  detto  fin  qui  è  cosa  agevole  esporre  la  dottrina  del  nostro  Frate 
intorno  alla  scomunica.  Non  ogni  comando  è  scomunica,  ma  ogni  scomunica  è  in 
qualche  modo  un  comando,  come  ogni  scomunica  è  una  specie  di  legge.  Dun- 
que ciò  che  si  pensa  del  comando  e  della  legge  penale  in  genere  si  ha  da  pen- 
sare e  dire  della  scomunica  in  ispecie. 

Il  nostro  Frate  come  era  esperto  e  dotto  nella  legislazione  civile  e  nella 
ecclesiastica  in  genere,  così  doveva  possedere  del  pari  molto  bene  la  dottrina 
della  scomunica.  Infatti,  nel  catalogo  citato  di  sopra,  tra  i  libri  del  Frate  si  legge 
anche  questo  che  segue:  Excomunicationes  brevialae;  e  nella  Predica  XVII  sopra 
Amos  e  Zaccaria  diceva  egli  di  sè:  «  Io  sono  andato  cercando  quante  ragioni 
di  scomunicazioni  sono:  e'son  tante  che  non  si  possono  quasi  numerare,  elle 
son  quasi  un  libro  »".  La  dottrina  intorno  la  scomunica,  il  Savonarola  l'  ha  in 
parecchie  lettere;  nelle  Prediche  I,  XXIX,  XXXV  sopra  Amos  e  Zaccaria,  nella 
XXVIII  sopra  i  Salmi,  nella  XXXIX  sopra  Ezechiele,  nelle  prime  sopra  l'Esodo, 
nel  Confessionale  in  tutta  la  la  Parte,  e  qua  e  là  negli  altri  suoi  scritti  e  luoghi. 
11  Pico  la  raccolse  assai  bene  neh' Apologia  al  capo  IV  del  libro  I.  Noi  ci  con- 
tenteremo qui  di  pochissime  cose;  di  quanto  è  strettamente  richiesto  all'  intento 
di  questo  scritto.  Del  resto  ne  dovremo  riparlare  tra  poco,  ne'  capitoli  succes- 
sivi, quando  verremo  alla  questione  di  fatto. 

Nella  predica  XII  sopra  Ruth  e  Michea  il  nostro  severo  canonista,  rimprove- 
rando a'magistrati  di  Firenze  l' impacciarsi  che  facevano  indebitamente  in  cose 
ecclesiastiche,  e  gridando  che  cosi  facendo  cadevano  in  iscomunica,  diceva: 
«  E  sai  tu  quello  che  vuol  dire  essere  scomunicato?  Io  tei  dirò  in  una  parola: 
E'  non  vuol  dire  altro  che  essere  tolto  Via  dalla  Chiesa,  e  dato  nelle  mani  del 
diavolo.  E  però  quel  magistrato  che  cade  in  escomunica  ha  il  diavolo  addosso, 
e  gli  va  sempre  ogni  cosa  di  male  in  peggio  ».  Essa  è  adunque  la  pena  più 
grave  che  vi  sia  nella  Chiesa. 

Di  qui  argomentava  subito  il  nostro  Autore  come  la  scomunica  non  deve 
essere  inflitta  per  lievi  cause,  ma  solo  a  rei  di  colpe  gravissime  ed  aperte: 
e  come  non  la  si  deve  infliggere  per  lievi  cause,  così  non  la  si  deve  lanciare 
leggermente. 

E  invero  è  piccola  cosa  la  parola  scomunica,  ma  certo  non  son  piccole 
le  conseguenze;  perciò  Fra  Girolamo  nella  III  sopra  l'Esodo  lamentava,  nel- 
1'  età  sua,  la  troppa  larghezza  delle  scomuniche,  e  l1  abbondanza  che  ne  era 


(')  Qucst'  espressione  del  Savonarola  ricorda  quella  di  San  Paolo  Dell'  Epistola  ai  Ro- 
mani, cnp.  3".  «  Nunquid  iniquns  est  Deus  qui  inferi  iram?  isccunduni  hominem  dico)  Absit  •. 


—  405  — 


venuta;  e  diceva  esplicito  che  non  deve  la  Chiesa  cosi  presto,  per  ogni  pa- 
rola correre  alla  scomunica.  Ond'egli  lamentava,  e  forte  assai,  le  scomuniche 
a  buona  derrata,  e  che  se  ne  desse  a  chi  ne  voleva;  e  facea  giudizio  che  le 
date  a  prezzo,  e  non  per  altro;  le  emesse  per  lievi  cause  e  per  ogni  favola  (') 
non  valessero  gran  fatto.  E  a  più  forte  ragione  il  severo  Frate  credeva  nulle  e 
di  niuno  effetto  presso  Dio  le  scomuniche  quando  fosser  carpile  all'autorità 
ecclesiastica  contro  innocenti  da  calunniatori  nemici  della  verità  e  del  ben  vi- 
vere cristiano;  come  le  credeva  nulle  allorché  fossero  contro  la  Iegse  naturale 
o  la  positiva  divina,  o  contenessero  un  errore  intollerabile.  Inoltre,  era  nulla 
per  lui  la  scomunica  1'  osservanza  della  quale  avesse  costretto  di  andar  contro 
la  carità  e  importasse  la  ruina  del  bene  comune  di  una  città  o  della  salute 
delle  anime  dei  buoni. 

E  in  questi  casi,  come  le  scomuniche  son  nulle,  così  non  possono  legare 
e  non  legano  colui  contro  il  quale  son  pronunciate;  e  può  questi,  salvo  il 
caso  di  scandalo,  non  osservarle;  e  qualche  volta  anche  è  obbligato  a  non 
osservarle.  Anzi,  nel  caso  che  esse  fosser  contro  la  legge  naturale  o  la  posi- 
tiva divina,  o  contro  le  leggi  dedotte  da  queste  per  modo  di  conclusione;  e  nel 
caso  che  1' osservanza  loro  importasse  la  ruina  del  bene  comune  di  una  città,  o 
delle  anime  innocenti,  non  si  dovrebbero  osservare  affatto;  perchè  è  manifesto 
che  a  nessuno  è  data  potestà  contro  Dio,  e  che  non  può  essere  maggior  errore 
che  lasciar  ruinare  una  città,  o  lasciar  le  anime  in  mano  de'  cattivi. 

Del  resto  nelle  sentenze  e  ne'  brevi  di  scomunica  il  Savonarola  crede, 
come  puoi  vedere  nella  XXVIII  sopra  i  Salmi,  che  si  abbia  sempre  da  inten- 
dere eh'  essa  scomunica  vale,  se  son  vere  le  cause  esposte,  e  per  le  quali 
essa  viene  lanciata.  Per  esempio:  se  uno  fosse  scomunicalo  per  aver  predicato 
falsa  ed  eretica  dottrina,  c  per  aver  introdotto  una  nuova  maniera  di  vita 
contraria  alla  cristiana,  per  aver  messo  discordia  in  una  città,  e  tolto  le 
anime  dal  rispetto  alla  Chiesa  e  al  Papa,  o  per  altra  causa  quale  si  voglia, 
il  Savonarola  dice  allora  che  la  scomunica  vale,  quando  queste  cause  son 
vere;  nel  caso  contrario  non  è  valida  affatto,  e  se  può  e  deve  esser  temuta, 
non  v'  è  però  obbligo  di  osservarla,  salvo  il  caso  di  scandalo.  L' innocente, 
il  colpito  da  questa  pena  atroce  allora  deve  soprassedere  e  informare  il  su- 
periore e  dimostrare  la  sua  innocenza.  Ciò  fatto,  egli  è  sciolto  senz'altro  dalla 
«comunica,  nè  ha  più  oltre  bisogno  di  chiedere  assoluzione  alcuna;  anzi,  ove 
l'innocenza  del  condannato  e  l'invalidità  della  sentenza  fossero  evidenti  e  no- 
torie al  popolo,  fossero  per  sè  patenti  o  rese  tali  con  buone  ragioni  alla  società, 
allora,  essendo  rimosso  ogni  pericolo  di  scandalo,  non  si  è  tenuti  in  alcun  modo 
ad  osservarla,  e  si  può  non  tenerne  conto  nè  in  pubblico  nè  in  secreto.  Di  più, 
anche  quando  vi  fosse  pericolo  di  qualche  scandalo,  se  l'osservanza  della 


(l)  Il  Pastor,  probabilmente  senza  pensarvi,  si  prese  l"  incarioo  di  giustificar  <iueste,  che 
certo  sanno  di  forte  agrume,  espressioni  del  Savonarola.  Infatti  a  pag.  63  scrive  :  «  I  mezzi 
coercitivi  della  Chiesa,  causa  in  parte  lo  stesso  clero  che  troppo  sovente  per  fatili  motivi  gV  inflig- 
yeva,  non  agivano  più  con  quella  forza  che  ne' primi  tempi  ». 


—  406  — 


scomunica  importasse  il  contravvenire  ad  un  comandamento  di  Dio  o  alle 
legge  naturale,  o  alla  positiva  divina, o  a  quella  di  carità,  non  si  dovrebbe  per 
modo  nessuno  osservare.  (*) 

Questa  in  breve  la  teorica  della  scomunica  del  Savonarola,  quale  si  rac- 
coglie dalle  fonti  sopra  citate.  E  essa  cattolica?  Lo  vedremo  nel  capitolo 
che  segue. 


(1)  Vedi  la  lettera  €  contro  sententiam  excommunicationis  contro,  se  nuper  iniuste  latam,  » 
nelle  Addizioni  del  Quétif. 


XXVII. 


Si  dimostra  la  teoria  del  Savonarola  sopra  esposta 
esser  cattolica,  e  si  ribatte  l' accusa  eh'  egli 
ritenga  che  la  vita  peccaminosa  de'  prelati  ne 
scuota  la  giurisdizione. 

Sommario. 

La  dottrina  del  Savonarola  e  i  Canoni.  — Il  Pastor  non  ha  ben  letto.  —  Il  Savonarola  cattolico  come 
San  Tommaso  e  Sant'Antonino.  —  Il  Pastor  ammette  possibile  una  scomunica  ingiusta.  —  La 
sentenza  ingiusta  pnò  esser  nulla.  —  L'  autorità  di  San  Tommaso  e  quella  de'  Canoni.  —  Se  la  sen- 
tenza ingiusta  e  nulla  s'abbia  ad  osservare.  —  Un  equivoco  che  gnasta  tutto.  —  Si  rimanda  il 
lettore  al  Pico.  —  Si  trascrive  un'  altra  volta  da'  Canoni.  —  Timore  dell'  ingiusta  sentenza.  —  Di- 
stinzioni importanti.  —  Discrezione  nello  intendere  la  glossa  a'  Canoni.  —  Aureo  passo  del  Sa- 
vonarola. —  Un  nostro  dubbio.  —  Accusa  del  Pastor  contro  il  Savonarola  di  non  aver  obbedito 
ad  Alessandro  VI  perchè  uomo  guasto.  —  Asserzioni  del  Pastor.  —  Che  cosa  poteva  dire  il  Pa- 
stor. —  L'  importanza  del  buon  esempio  de' capi  per  il  popolo  cristiano  secondo  il  Pastor  e  Fra 
Girolamo.  —  Il  peccato  del  sacerdote  non  reca  scapito  essenziale  al  sacrifizio,  al  sacramento,  in- 
aila dottrina. —  Analogo  insegnamento  di  Fra  Girolamo.  —  La  dignità  sacerdotale  secondo  il  Sa- 
vonarola. —  Fra  Girolamo  riconosce  ne'  prelati  e  nel  capo  indeguo  la  potestà  anche  nel  corpo  mi- 
stico di  Cristo.  —  Difficoltà  della  lotta  sostenuta  dal  Savonarola.  —  Dio  non  vuole  mutar  chiave. 
—  H  Savonarola  è  con  Sant'Ambrogio  e  S.  Gregorio  Papa.  —  Ai  perversi  comandamenti,  non  ai 
superiori  perversi  si  vuole  resistere.  —  Il  Papa  può  tutto  il  bene.  —  La  teorica  del  comando  con 
viene  anche  alla  teorica  della  legge  e  della  scomunica.  —  Le  leggi,  le  scomuniche  ingiuste  cosa  del 
diavolo.  —  Conclusione  contro  il  Pastor. 


La  dottrina  intorno  alla  natura  e  agli  effetti  della  scomunica  Girolamo 
Savonarola  la  toglie  letteralmente  da  San  Tommaso  e  da' Canoni;  e  perciò  è 
affatto  inutile  che  ci  soffermiamo  a  mostrarne  ai  cattolici  la  verità.  D'  altra 
parte  la  controversia  non  è  qui,  ma  piuttosto  ne'  casi  di  nullità:  in  questi  è 
cattolico  Fra  Girolamo? 

Il  Pastor  dice  cliiaro  che  «  la  teoria  del  Savonarola  contrastava  diretta- 
mente alla  dottrina  della  Chiesa,  doversi  rispettare  eziandio  la  scomunica  in- 
giusta, e  veniva  a  rovesciare  i  fondamenti  di  ogni  ordine  ecclesiastico  » 
(pag.  359). 


—  408  - 


Ma  a  noi  par  vero  il  contrario.  La  teoria  del  Savonarola,  nemmeno  nelle 
restrizioni,  non  contrastava  nè  direttamente,  nè  indirettamente  alla  dottrina 
della  Chiesa,  ma  è  per  contrario  la  stessa  dottrina  della  Chiesa.  li  Savona- 
rola nella  teoria  della  scomunica  ingiusta  è  cattolico  come  i  suoi  fratelli 
San  Tommaso  e  Sant'  Antonino:  (')  è  cattolico  come  è  cattolico  il  diritto 
canonico,  voglio  dire  la  Legge  Ecclesiastica.  Non  vi  è  cosa  al  mondo  più  facile 
a  mostrare.  Fra  Girolamo  nell'  esporre  la  teoria  della  scomunica  non  inventa, 
ma  ripete  sempre  letteralmente  la  dottrina  de'  Dottori  e  del  Diritto  Canonico. 

È  possibile  una  scomunica  ingiusta?  L'  ammette  anche  il  Pastor;  impe- 
rocché egli  dice  che  si  deve  rispettare  anche  la  sentenza  ingiusta  ;  cosa  assurda, 
se  non  potesse  aversi  mai  alcuna  ingiusta  scomunica.  È  inutile  che  si  addu- 
cano qui  autorità,  essendo  cosa  che  nessuno  può,  nè  vuole  negare. 

E  possibile  che  una  sentenza,  una  scomunica  ingiusta  sia  nulla,  e  non  le- 
ghi lo  scomunicato?  Leggete  San  Tommaso  nel  corpo  dell'art.  IV  della  Que- 
st.  XXI  del  Supplemento  e  troverete  che  fra  gli  altri  casi,  s'  ha  a  dir  nulla  la 
scomunica  la  quale  sia  pronunciata  per  una  causa  indebita.  E  allora  la  sentenza 
di  scomunica,  appunto  perchè  nulla,  non  ha  valore  alcuno.  Onde  ne'  Canoni  è 
detto  «  dover  ognuno  star  ben  attento  a  non  perseguitare,  o  giudicare,  o  punire 
chicchessia  ingiustamente,  per  non  perseguitare,  giudicare,  punire  Gesù  ». 
(Decret.  seconda  parte,  Caus.  XI,  Quest.  Ili,  Can.  LXXXII,  Unicuique).  (*)  Ed  ivi 
stesso  (Can.  XXXV,  Irritarti),  sull'autorità  del  IV  Concilio  Cartaginese,  è  detto 
esplicitamente,  che  «è  irrita  anche  l'ingiusta  condanna  de'  vescovi».  Ancora 
ne'  canoni  che  seguono  è  pur  detto,  che  «  la  sentenza  de'  vescovi  e  de'  preti 
non  lega  gl'innocenti  »  ;  (Can.  XLIV,  Quomodo),  (8)  che  «  nessuno  nè  appo 
Dio,  nè  appo  la  Chiesa  di  Dio  può  essere  gravato  da  una  sentenza  iniqua  » 
(Can.  XLVI,  Cui);  che  «  secondo  la  fede  cattolica  e  la  sana  dottrina  e  la  verità 
evidente  a  tutti  che  hanno  l' intelletto  sano,  come  non  può  alcuno  nuocere  alla 
natura  di  Dio,  così  neanche  la  natura  di  Dio  può  nuocere  ingiustamente  ad 
uomo  del  mondo,  nè  consentire  che  altri  gli  nuoccia;  onde  colui  che  avrà 
recato  nocumento,  s' avrà  egli  il  nocumento  recato  »  (Can.  XLVII,  Secuu- 
dum),  e  che  «  le  ingiuste  catene  le  rompe  la  giustizia  ».  (Can.  XLVIII,  Capisti.  > 

Di  più  si  legge  sempre  nel  luogo  medesimo  :  «  Che  fa  all'uomo  se  l'umana 
ignoranza  non  voglia  computarlo  nel  suo  libro,  quando  dal  libro  de'  vivi 
non  lo  cancella  l' iniqua  coscienza  »  ?  (Can.  L,  Quid).  «  Senz'  alcuna  temerità 
dirò,  che,  se  alcuno  de'  fedeli  sarà  stato  anatematizzato  ingiustamente,  que- 
st'ingiustizia  nuocerà  più  a  chi  l'ha  fatta  che  non  a  chi  la  patisce.  Imperoc- 

(')  VeJi  di  Sant'Antonino  nella  Somma  Teologica  il  Titolo  XXIV  e  specialmente  il 
Cap.  LXXIII. 

Edizione  di  Torino  1745. 

(3;  Notevole  è  anche  il  can.  fìidicuhnn:  «  Ridiculum  est,  ut  eum  nmnduni  esse  dicarmis 
qui  vinculis  peccatorum  suorum  ligatus  est,  propter  hoc  solimi,  quod  Kpiscopus  dicitur 
haberi  hujusmodi  potestatem,  ut  soluti  ab  eo,  soluti  sint  in  coelo,  et  ligati  in  terris  ligati 
sint  in  coelo.  Sit  ergo  irreprehensibilis,  qui  alterum  ligat  aut  solvit  ».  Cfr.  Danto  Alighieri. 
Jnf.,  Canto  XXVII,  v.  100  e  seguenti. 


-  409  — 


chè  lo  Spirito  Santo  che  abita  ne'  Santi  per  cui  ognuno  è  legato  o  sciolto, 
non  infligge  ingiusta  pena  a  nessuno  >.  (Can.  LXXXVII,  Illucl.)  «  Altro  è  la 
sedia  terrena,  altro  il  tribunale  de'  cieli:  di  sotto  avesti  la  sentenza,  di  sopra 
avrai  la  corona  ».  (Can.  LUI,  Et  si.)  «  Custodisci  entro  di  te  la  tua  innocenza, 
dove  nessuno  opprime  la  causa  tua.  Prevarrà  contro  di  te  la  falsa  testimo- 
nianza, ma  presso  gli  uomini.  Forse  che  varrà  essa  presso  Dio,  dove  si  avrà 
a  dire  la  causa  tua?  Quando  sarà  giudice  Iddio,  non  vi  sarà  altra  testimo- 
nianza che  la  coscienza  tua.  Fra  il  giusto  giudice  e  la  coscienza  tua,  non 
aver  altro  timore  che  la  causa  tua  ».  (Can.  LIV,  Custodi.)  Ma  che  fermarsi 
a  trascrivere  autorità,  quando  la  cosa  è  evidente  per  se  stessa? 

Sia  adunque  nulla  V  ingiusta  sentenza:  ma  si  potrà  per  questo  ritenere 
dottrina  cattolica  quella  che  insegna  a  non  osservarla?  Ecco:  il  Pastor  dice  che 
si  deve  rispettare  la  sentenza  della  Chiesa,  anche  ingiusta;  e  forse  non  avrebbe 
torto,  se  si  potesse  interpretare  benignamente  la  sua  parola.  Anche  ne'  canoni 
sta  scritto  che  la  sentenza  della  Chiesa  non  devesi  disprezzare,  e  che  si  ha 
da  temere  la  sentenza  del  pastore,  anche  se  leghi  ingiustamente.  Ma  di  che 
si  questiona  qui  ora?  E  dove  ha  mai  detto  o  insegnato  semplicemente  Fra 
Girolamo  che  le  sentenze  ecclesiastiche,  anche  le  ingiuste,  si  debbano  senz'al- 
tro disprezzare,  e  non  si  abbiano  a  temere?!  Vuol  forse  dire  il  Pastor  che  siamo 
obbligati  a  eseguire  la  sentenza  ingiusta  ?  Sembra  che  ciò  appaia  dal  contesto. 
Certo  si  danno  dei  casi  in  cui  (come  vedremo)  si  deve  noi  osservare,  ma  che 
sempre  siano  da  osservare  lo  neghiamo  recisamente.  Distinguiamo  adunque 
nettamente  fra  rispettare  e  osservare;  e  poi  andremo  avanti  sicuri  e  franchi: 
l'equivoco  guasterebbe  ogni  cosa. 

Anche  qui  mi  piace  rimandare  il  lettore  all'  Apologia  del  Pico  al  libro  1, 
ai  capi  VI  e  VII,  ne'  quali  si  ribattono  le  false  e  si  mostra  la  vera  interpreta- 
zione del  motto  : 

Sententia  pastoris,  slve  jusla,  sive  injuota,  limenda  est. 

Noi  ci  contenteremo  di  trascrivere  poche  cose  da'Canoni;  poche,  ma  suffi- 
cienti a  risolver  la  questione. 

Si  deve  temere  ogni  sentenza  ingiusta  e  sempre?  Ecco  la  glossa  del  Ca- 
none LXV,  Episcopus,  Decret.  par.  II,  Caus. XI.  Quest.  Ili:  «Alcuna  volta  la  sen- 
tenza è  ingiusta  per  l'animo  di  chi  la  pronuncia,  ma  giusta  quanto  all'  ordine  ed 
alla  causa;  altra  volta  è  giusta  quanto  all'animo  e  quanto  alla  causa,  ma  non  per 
V  ordine  ;  ed  altra  volta  è  giusta  per  l'animo  e  l'  ordine,  ma  non  per  la  causa. 
Quando  è  ingiusta  per  la  causa,  può  essere  che  colui  il  quale  è  accusato  sia 
mondo  da  ogni  delitto  degno  di  condanna;  a  volte  può  essere  innocente  del 
delitto  che  gli  è  apposto,  ma  meritevole  di  condanna  per  un  altro.  Quanto 
all'animo  è  ingiusta  allorché  altri,  salva  l'integrità  dell'ordine  giudiziario, 
pronuncia  sentenza  contro  un  reo  di  adulterio  e  di  altro  delitto,  non  per  amore 
della  giustizia,  ma  per  livore  e  odio,  o  per  prezzo,  o  indotto  dal  favore  degli 
avversarj.  Onde  Beda  sopra  l'Epistola  di  Giacomo  dice:  Imperocché  l'ira  del- 
l'uomo non  opera  la  giustizia  di  Dio,  perchè  colui  il  quale  adirato  pronuncia 


—  410  — 


sentenza  contro  alcuno,  sebbene  il  condannato  quanto  a  sè  riporti  una  sentenza 
giusta,  tuttavia,  avendo  dato  quegli  sentenza  non  per  amore  della  giustizia,  ma 
per  livore  e  odio,  non  imita  la  giustizia  di  Dio,  in  cui  non  cade  ira  ».  E  se- 
gue nel  can.  LXXIII  Servetur:  «  Del  pari  la  sentenza  è  ingiusta  quanto  all'  or- 
dine allorché,  lasciando  di  osservare  1'  ordine  giudiziale,  si  condanna  alcuno 
per  una  colpa  eh'  egli  ha  veramente  commesso  ».  Segue  poi  nel  can.  LXXVII 
non  soliim:  «  Ora  l' ingiustizia  della  sentenza  quanto  all'  ordine  non  autorizza  il 
condannato  a  dipartirsi  senza  meno  da  questa;  chè  anzi  prima  che  la  sentenza 
fosse  pronunziata,  già  il  reo  era  legato,  per  la  qualità  de'suoi  delitti,  presso  Iddio. 
Avviene  alcune  volte,  che  un  adultero  riporti  una  sentenza  per  un  sacrilegio,  di 
cui  nella  sua  coscienza  non  è  reo.  Questa  sentenza,  sebbene  sia  ingiusta,  perchè 
il  condannato  non  è  reo  del  delitto  per  il  quale  s'  è  pronunciata,  tuttavia  non 
gli  sta  male,  perchè,  per  il  reato  d'  adulterio,  già  egli  era  scomunicato  presso 
Dio.  E  in  questo  caso  si  deve  intendere  1'  autorità  di  Gregorio  Magno:  La 
sentenza  del  Pastore,  o  sia  giusta,  o  sia  ingiusta,  decesi  temere.  Chiama  giusta  la 
sentenza  quando  esiste  il  delitto  sopra  il  quale  quella  si  pronuncia;  ingiusta 
quando  quel  tale  delitto  non  v'  è;  ma  questa  è  pur  da  temersi  e  da  rispettarsi, 
perchè  già  aveva  da  esser  pronunciata  anche  prima  per  altro  delitto.  Onde  avendo 
premesso  Gregorio:  0  che  giustamente  o  che  ingiustamente  il  Pastore  leghi, 
la  sentenza  del  Pastore  dev'essere  sempre  temuta  dal  gregge,  soggiunse:  Affin- 
chè il  suddito,  quantunque  forse  legato  ingiustamente,  non  meriti  per  altro 
delitto  cotesta  sentenza  di  rimaner  tuttavia  legato.  Il  Pastore  adunque  terna 
di  legare  od  assolvere  senza  discrezione.  E  colui  che  è  sotto  la  mano  del 
Pastore  tema  d'esser  legato  anche  ingiustamente:  nè  riprenda  temerariamente 
il  giudizio  del  suo  Pastore:  affinchè,  sebbene  sia  egli  legato  ingiustamente, 
non  commetta  per  la  superbia  dell'  altera  riprensione  la  colpa  che  non  aveva 
commesso  prima  ». 

Ma  quando  non  esiste  delitto  alcuno,  e  tuttavia  o  per  odio  del  giudice  o 
fazione  de' nemici  altri  riporta  una  contraria  sentenza  di  dannazione;  in 
questo  caso  si  ha  ancora  da  temere  la  sentenza?  La  risposta  dipende  sia 
dalla  natura  della  sentenza  stessa,  sia  dall'esame  delle  circostanze.  0  il  co- 
mando riguarda  cosa  che  può  esser  legittimamente  imposta  e  la  volontà  del 
superiore  è  assoluta,  qualunque  siano  i  motivi  (come  quando  venisse  tolta  la 
giurisdizione  ad  un  individuo,  la  quale  può  togliersi  anche  per  solo  capriccio 
del  superiore)  e  allora  tal  sentenza  si  deve  subire,  sebbene  la  coscienza  del 
suddito  possa  starsene  tranquilla.  (l)  0  il  comando  riguarda  cosa  illecita  per 
sè  o  nociva  alla  salute  delle  anime  o  al  bene  comune,  oppure  la  volontà  del 
superiore,  qualunque  sia  l'oggetto  della  sentenza,  è  basata  su  falsi  motivi  e 
ad  essi  subordinata;  e  allora  che  deve  farsi?  Ognun  vede  da  sè  la  risposta: 


(')  A]  Can.  Qui  justus  est,  et  injuste  maledicitur,  praemium  Mi  redditur:  deot.  II,  Part. 
guest.  Ili,  la  glossa  di  Oraziano  dice:  Hio  etsi  est,  dictum  ut,  non  teneatur  ligatus  apud 
Ueum,  sentontiHe  tamen  parure  dobet:  ne  ex  superbia  ligetur  qui  prius  ex  puntate  conscion- 
tiae  absolnttts  tenebatur. 


—  411  — 


deve  temersi  per  il  male  che  può  recare  nel  corpo  e  negli  averi,  deve  temersi 
quanto  sono  da  temere  coloro  che  hanno  potenza  di  farne  male  e  ucciderci  il 
corpo,  deve  temersi  quanto  potevano  i  martiri  di  Cristo  temere  la  sentenza 
dei  loro  persecutori,  si  ;  ma  di  più,  francamente,  no.  «  Non  vogliate  temere 
quelli  che  uccidono  il  corpo,  affinchè  per  il  timore  della  morte  non  diciate  più 
liberamente  ciò  che  avete  udito,  nè  più  fidentemente  predichiate  a  tulli  ciò 
che  da  soli  avete  nell'  orecchio  udito.  »  (Can.  Notile).  (*) 

Del  resto  anche  i  casi  in  cui  la  glossa  dice  doversi  temere  la  sentenza 
ingiusta  vogliono  esser  intesi  con  senno  e  discrezione.  Chè  i  canoni  stessi  (Glossa, 
Decreto  li,  cau.  XI,  q.  3,111)  insegnano  che  «la  sentenza  è  da  temere  salvo  se 
contenga  un  errore  intollerabile,  o  sia  pronunciata  dopo  un  legittimo  appello.  » 
E  San  Tommaso  dice  chiaramente  nel  libro  IV  delle  Sentenze,  distinzione  18, 
che  «  la  scomunica  la  quale  contiene  un  errore  intollerabile  è  resa  nulla,  così 
da  non  potersi  più  dire  scomunica  »;  e  nella  questione  di  sopra  citata  insegna 
ancora  che  se  1'  errore  quanto  all'ordine  è  tale  da  far  perdere  alla  scomunica 
la  natura  di  scomunica,  essa  è  nulla;  e  non  produce  effetto  alcuno.  E  allora  a  che 
temerla?  Ma  quello  che  ancor  più  preme  di  considerare  si  è  che  nelle  stesse 
glosse  troviamo  notato  assai  opportunamente  che  Gregorio  non  dice  che 
la  sentenza  ingiusta  si  debba  servare  e  mantenere,  ma  temere,  come  fa 
anche  Uibano:  «  Si  deve  temere,  cioè  non  si  deve  per  superbia  disprezzare  ». 
«  Non  deve  sostenere  la  pena  canonica,  colui  che  non  è  slato  condannato 
con  una  sentenza  canonica.  L'ingiusta  sentenza  non  lega  nessuno  nè  presso 
Dio  nè  presso  la  Chiesa.  Onde,  se  altri  sia  stato  colpito  da  una  sentenza  in- 
giusta, e  l' ingiustizia  sia  notoria,  non  si  è  obbligati  ad  astenerci  dal  comu- 
nicare con  lui,  nè  egli  a  cessare  dall' ufficio  ».  Così  leggo  nel  Canone  LXIV, 
Non  debet,  e  nel  canone  XLVI,  Cui  est  illata;  e  cosi  penso  debba  credersi,  e 
non  altrimenti,  se  s'intendon  bene  le  cose. 

Aureo  e  da  non  tacersi  è  un  passo  di  Pietro  da  Palude  nel  IV  delle  Sen- 
tenze disi.  18,  art.  1,  conci.  2,  citalo  anche  dall'Arcivescovo  Sant'Antonino, 
parte  111,  tilol.  24,  cap.  73  :  «  La  scomunica  ingiusta  non  si  deve  temere  per 
la  pena  di  diritto,  perchè  secondo  la  verità  non  incorre  nessuna  pena  di  diritto 
colui  che  non  osserva  una  sentenza  che  è  nulla:  ma  per  la  colpa  deve  te- 
mersi, per  ragione  dello  scandalo.  Ma,  siccome  dice  Boezio,  alcune  nozioni 
entrano  nell'intelletto  di  tutti  generalmente.  Altre  solo  nell'intelletto  de' sa- 
pienti. Quando  adunque  è  noto  ai  sapienti  che  la  sentenza  è  nulla,  quantunque 
presso  il  volgo  questo  non  si  sappia,  si  può  non  osservarla  in  secreto:  ma  in 
pubblico  si  deve  osservare,  finché  sia  tolta  la  ragione  dello  scandalo:  così  se 
uno,  essendo  pubblicamente  scomunicato  e  pubblicamente  denunziato,  per 
contrario  egli  pubblichi  la  causa  per  la  quale  la  sentenza  non  ha  valore,  per 


(')  Si  quis  Episcopus  aut  Abbas  Presbytero  aut  Monaco  suo  jusserit  Missas  pio  haereti 
cis  cantare,  non  licet  et  non  expedit  obedire  ais.  Ivi,  can.  Si  quis  Episcopus. 


—  412  — 


•esempio  l'appello,  o  altra  giusta  causa:  fatto  ciò,  non  v' è  più  scandalo  dei 
pusilli,  ma  de' farisei,  onde  si  deve  spregiare  ».  (*) 

lo  adunque  me  ne  sto  con  Sant'Agostino:  «  Chi  resiste  alla  potestà  re- 
siste all'  ordinazione  di  Dio.  Ma  che  s'  ha  a  dire  se  chi  ha  il  potere  ti  comandi 
ciò  che  non  devi  fare?  Da  senno,  qui  disprezza  la  potestà,  temendo  la  pote- 
stà >.  (Serm.  VI.  Delle  parole  del  Signore;  riportate  nel  can.  Qui  resistit.)  E 
quando  mi  avvenisse  un  caso  simile,  e  la  cosa  fosse  evidente,  di  evidenza  og- 
gettiva, rimossa  ogni  cagion  di  scandalo,  farei  come  dice  Gelasio  Papa  (Canone 
Cui,  Decret.  Second.  Part.  Gaus.  XI,  Quest.  ILI.) «  Ita  ergo  ea  (sententia  injusta) 
se  non  absolvi  desideret,  qua  se  nullatenus  perspicit  obligatum  ».  E  così  ose- 
rei, nel  caso,  anche  di  imitare  San  Paolo,  die  resistette  in  faccia  a  San  Pietro  e 

10  riprese  perchè  era  riprensibile. 

Ma  noi  ci  siamo  trattenuti  vanamente  a  cercar  ragioni  per  mostrare  che 
la  dottrina  del  Savonarola  è  cattolica.  Queste  ragioni  avremmo  potuto  leggerle 
senza  altro  in  Fra  Girolamo.  Eccole.  «Ascolta  ora  un'altra  parola,  che  seguita 

11  Vangelista:  — In  iudicium  ego  in  hunc  mutidum  veni:  ut  qui  non  vident  videant: 
et  qui  vident  caeei  fiant:  —  (2)  disse  il  Salvatore  agli  scribi  e  ai  farisei:  —  Io  sono 
venuto  in  questo  mondo  in  giudizio,  acciocché  questi  dotti  e  savi  ai  quali 
par  tanto  vedere,  non  veggano  e  restino  nella  lor  cecità  :  ma  i  fanciulli  sem- 
plici e  le  donne  veggano  e  diventino  illuminati.  I  farisei  udendo  queste  pa- 
role dissero:  —  Nunquid  et  nos  caeci  sumusf — cioè:  Adunque  noi  siamo  ciechi? 
ai  quali  Gesù  rispose:  —  Si  cceci  essetis,  non  haberitis  peccatum:  mine  vero  dicitis: 
quia  videmns,  peccatum  vestrum  manet: — cioè:  se  vi  paresse  essere  ciechi  voi 
non  pecchereste;  ma  perchè  vi  pare  veder  troppo:  però  è  fermato  in  voi  il 
peccato.  Costoro  dicono:  e'  non  bisogna  che  tu  m'insegni:  Io  so  bene  delle 
autorità:  e  io  ti  rispondo:  che  però  tu  sei  cieco  perchè  ti  pare  veder  troppo. 
Ora  ti  voglio  parlare  in  quest'  ultimo  una  parola.  Considerate  che  ogni  cosa 
che  fece  Cristo  fu  per  nostro  esempio:  —  Omnis  divisti  actio  nostra  est  instru- 
dio.  —  Al  tempo  che  Cristo  predicava  non  era  però  tanto  morta  la  legge  di 
Mosè  che  non  la  si  potesse  osservare,  e  ancora  avevano  autorità  i  sacerdoti 
di  scomunicare;  e  avevano  scomunicato  (come  tu  hai  inleso)  chi  confessava 
che  Gesù  fosse  Cristo,  e  avevano  cacciato  dal  tempio  il  cieco  che  l'aveva  con- 
fessato. E  tuttavia  il  Salvatore,  non  ostante  questo,  lo  riceve.  Signore,  io 
voglio  parlare  un  poco  teco,  Signore;  tu  ricevi  quello  che  è  scomunicalo  : 
che  esempio  ci  dai  tu?  Noi  abbiamo  da  San  Gregorio  nel  decreto  undecimo, 
questione  terza,  queste  parole:  —  Sententia  pastoris,  siee  insta,  sive  injusta 
timenda  est;  —  cioè  la  sentenza  del  Pastore  o  sia  giusta  o  sia  ingiusta  è  da 
temere.  Che  di'  tu  a  questo,  Signore?  Risponde  e  dice:  Guarda  di  sotto  a  quello 
che  vi  è  un  altro  lesto  di  Pelagio  papa  il  quale  dice:  —  Cui  illata  sententia,  de- 
ponat  errorem  et  vacua  est:  sed  si  iniusta  est,  tanto  curare  eam  debet  quanto  apud 

(')  Questo  passo  si  logge  nell'  Epistola  del  Savonarola  contro  Sente  nt  hi  m  Ki-coinnuinici- 
tionis  contro  se  nupe.r  injustc  ìotam  ;  dove  il  lettore  può  leggero  anche  altri  passi  al  proposito 
di  Giov.  (ìerson. 

(2)  Vangelo  di  Sau  Giovanni,  Cap.  IX,  v.  39  e  segg. 


—  413  — 


Deum,  et  eius  Ecclesiam  itemi nem  potest  gravare  iniqua  sententia:  ita  ergo  ea  se 
non  absolvi  desideret,  qua  se  nuìlatenus  percipit  obbligatimi.  —  Dice  Pelagio  papa: 
Che  colui  contra  il  quale  è  data  una  sentenza  giusta,  emendisi  dell'errore  e  non 
sarà  più  scomunicalo;  ma  s'ella  è  ingiusta,  non  si  debba  curare,  perchè  non  ag- 
grava nè  appresso  a  Dio,  nè  appresso  la  Chiesa;  e  nè  anche  deve  cercar  l'uomo 
di  farsi  assolvere  da  tal  sentenza,  dice  Pelagio,  perchè  essa  non  lega.  Dice  pure 
Sant'Agostino  più  di  sotto  nel  capitolo  Quid  queste  parole:  —  Quid  obesi  homini 
quod  ex  illa  tabula  vult  eum  delere  h umana  ignorantia;  si  de  libro  viventium  non 
eum  deleat  iniqua  conscientia?  —  Cioè:  Che  nuoce  all'  uomo  essere  cancellato  dalla 
tavola  della  compagnia  degli  uomini  dalla  umana  ignoranza,  se  dal  libro  de'  vi- 
venti non  lo  cancella  la  iniqua  coscienza?  E  nel  capitolo:  Etsi  dice:  —  Aliud 
est  sella  terrena,  et  aliud  est  tribunal  celeste:  ab  inferiori  accipis  sententiam:  a 
superiore  coronavi.  —  Altra  cosa  è  la  sedia  terrena  e  altra  è  il  tribunale  celeste; 
adunque,  facendo  tu  bene,  se  dalla  inferiore  avrai  contra  di  te  la  sentenza, 
dalla  superiore  tu  avrai  la  corona.  Nel  decreto  ancora  vigesimo  quarto,  que- 
stione terza,  sono  molti  che  dicono:  Che  quello  che  dà  la  sentenza  ingiusta 
e  iniqua  è  piuttosto  scomunicato  lui,  che  quello  contro  cui  è  data.  Come  accor- 
deremo adunque  questa  chitarra?  come  accorderemo  questi  testi  contrarj,  o 
Signore  mio?  Ora  sta  a  udire  come  si  solvono.  E  questo  ti  voglio  dire  questa 
mattina,  perchè  tu  conosca  che  1'  uomo  non  è  uno  sciocco,  e  acciochè  tu  impari 
di  non  esser  troppo  semplice,  onde  non  si  verifichi  in  te  quello  che  dice  Osea 
al  settimo  capitolo  :  —  Factus  est  Ephraim  quasi  columba  seducta;  non  habens- 
cor:  —  ma  che  tu  sia  di  quelli  ai  quali  dice  il  Salvatore:  —  Estote prudentes  sicut 
serpentes  et  simplices  sicut  columbos.  (/)  Se  adunque  qualcuno  vorrà  disputare  con 
noi  con  ragione,  gli  risponderemo  con  le  ragioni;  ma  quando  la  forza  volesse 
superare  la  ragione,  avremo  allora  da  mostrar  la  verità  per  altri  modi  che 
sarebbero  sopra  1'  umana  forza.  Il  Salvatore  dunque  riceve  coloro  che  erano 
scomunicati  dalla  Sinagoga;  benché  il  sacerdozio  della  legge  di  Moisè  non  fosse 
ancora  riprovato.  E  però  nota  che  questa  sentenza  dei  farisei  si  vedeva 
ingiusta  manifestamente,  non  solo  perchè  si  vedeva  manifestamente  la  pre- 
dicazione, la  dottrina  di  Gesù  Cristo  esser  retta  e  buona,  e  al  contrario  la  vita 
de'  farisei  esser  cattiva  e  la  dottrina  loro  esser  contraria  alla  verità:  ma  ancora 
perchè  la  sentenza  data  conteneva  manifesto  errore  contrario  ai  comanda- 
menti di  Dio  e  alla  legge;  essendo  ancor  chiaro  e  per  la  vita,  dottrina  e  mi- 
racoli di  Cristo  che  lui  era  il  Messia  promesso.  E  però  il  Salvatore  ricevette 
il  cieco  e  scomunicato  e  cacciato  dalla  Sinagoga  per  dare  esempio  a  noi  che 
di  simil  sentenza  dobbiamo  farcene  beffe  e  non  curarla....  Che  vuoi  tu  mag- 
giore confirmazione  di  quella  del  Salvatore  e  dell'  esempio  che  questa  mattina 
ci  dà  nelP  evangelo  »?  (Sopra  Amos,  pred.  XXIX.) 

Ma  dobbiamo  oramai  sentire  ed  esaminare  un'  accusa  speciale  che  ha 
importanza  massima.  Il  Pastor  forse  più  che  condannare  in  genere  la  teoria 
dell'  obbedienza  del  Savonarola,  sebbene  siasi  espresso  come  abbiamo  visto, 


1  Vangelo  di  S.  Matteo,  c.  X,  v.  16. 


—  414  — 


vuole  semplicemente  dirci  che  questo  Frate  errava  credendo  di  poter  disob- 
bedire ad  Alessandro  VI  perchè  uomo  guasto  e  corrotto,  di  vita  scandalosa. 
Difatti,  lasciando  per  ora  ciò  che  dice  a  pagina  367  parlando  del  concilio,  a 
pag.  359  incontanente  dopo  la  proposizione  da  noi  ora  esaminata,  scrive  la 
seguente:  «  Ad  obbedire  alla  Santa  Sede  il  Savonarola  era  obbligato,  anche  al- 
lora che  da  un  Alessandro  VI  la  vedeva  turpemente  profanata  »  :  e  a  pag.  143 
già  aveva  scritto  del  pari,  che  «  il  Savonarola  prese  a  battere  la  via  dell'oppo- 
sizione contro  il  possessore  pur  troppo  indegno  della  legittima  autorità;  nel 
che  appunto  trovò  non  solamente  la  propria  ruina,  ma  pregiudicò  altresi  alla 
causa  della  vera  riforma.  Per  mezzo  della  rivoluzione  questa  non  si  poteva  con- 
seguire ».  (')  E  per  farci  meglio  persuasi  che  il  Savonarola  errò  proprio  nel  ricu- 
sare obbedienza  ad  Alessandro  VI  perchè  uomo  corrotto,  si  compiace  di  citare 
T  autorità  di  Santa  Caterina  da  Siena;  onde  segue  :  «  Santa  Caterina  da 
Siena  aveva  scritto  una  volta  alla  Signoria  di  Firenze,  che,  eziandio  se  il  papa 
fosse  un  demonio  incarnato,  conviene  essere  sudditi  e  obbedienti  a  lui,  non  per 
lui  in  quanto  lui,  ma  per  la  obbedienza  di  Dio,  come  vicario  di  Cristo  ».  E  su- 
bito dopo  questa  autorità,  rimprovera  un'altra  volta  al  Savonarola  il  non  aver 
fatto  caso  della  scomunica  di  Alessandro  VI,  come  per  farci  persuasi  che  pro- 
prio il  Frate  misconosceva  questa  santa  dottrina.  Appare  poi  anche  molto 
chiaro  il  pensiero  del  Pastor  da  quanto  scrive  alla  pag.  379  :  «  Nel  suo  zelo  in- 
focalo onde  ottenere  un  rinnovamento  morale,  il  Savonarola  si  lasciò  non  so- 
lamente trascinare  agli  assalti  più  intemperanti  contro  chi  era  in  allo  od  in 
basso,  ma  dimenticò  eziandio  del  tutto  V insegnamento  della  Chiesa,  che  la  vita 
peccaminosa  e  viziosa  del  superiore,  anche  del  papa,  non  vale  a  scuoterne  la  giuri- 
sdizione ».  (2) 

Dunque  il  Savonarola  sarebbe  accusato  di  aver  alzata  la  bandiera  dell'  op- 

(')  Cfr.  il  Grisar,  articolo  citato. 

(2)  A  pag.  143  il  Pastor  allude  parimente  anche  all'invito  al  Concilio.  Esamineremo 
questo  senso  delle  espressioni  dello  storico  d'Innsbruek  più  sotto;  qui  riguardiamo  questi 
luoghi  e  gli  altri  simili  solamente  per  ciò  che  richiede  il  titolo  del  presente  capitolo.  Del 
resto  il  Pastor  non  è  solo  a  ritenere  che  il  Savonarola  si  volesse  scusare  della  lotta  intra- 
presa contro  Alessandro  VI  per  la  vita  privata  di  questo  papa;  anzi  il  Pastor  ha  qui  tanti 
compagni  che  il  Procter  nell'  Opera  citata  (pagina  51)  ha  potuto  scrivere  quanto  segue  : 
«  L'argomento  addotto  da  qualche  autore  Cattolico,  come  pure  da  quelli  Protestanti,  che 
cioè  fu  scusabile  il  Savonarola  se  non  si  assoggettò  in  tutto  ad  Alessandro  VX  per  la  vita 
privata  del  Papa  che  era  indegna  della  sua  alta  vocazione;  è  un  argomento  che  interamente 
ripudiamo.  Non  importa  quale  sia  stata  la  vita  privata  di  lui,  nessuna  depravità  può  giusti- 
ficare la  disobbedionza,  nonostante  che  la  corruzione  sia  certo  esasperante  per  un  uomo  di 
virtù  austera.  L'  obbedienza  dei  Cattolici  al  Papa  è  fondata  non  sulla  sua  santità  |perso- 
nale,  ma  sulla  potenza  autorevole  di  lui.  Non  gli  obbediamo  noi  come  ad  uomo,  ma  come 
a  Vicario  e  rappresentante  di  Dio.  Lasciamo  quel  che  sia  stato  Papa  Alessandro  come  uomo, 
egli  era  Papa,  e  come  Papa,  aveva  l'autorità  di  comandare.  Inoltre  come  Papa  fu  ricono- 
sciuto dalla  Chiesa,  e  come  Papa  aveva  diritto  all'obbedienza  dei  fedeli.  La  sua  vita  privata 
la  lasciamo  giudicare  a  Dio,  la  sua  autorità  pubblica  è  al  disopra  d'ogni  disputa.  Ammet- 
tiamo adunque  che,  se  il  Savonarola  disobbedi,  in  ciò  peccò;  quello  che  però  asseriamo  è  che. 
se  peccò,  il  suo  peccato  non  fu  né  d'eresia  nè  di  scisma.  Ma  disobbedi  veramente  costui?  • 

Noi  rispondiamo  semplicemente  di  no;  o  neghiamo  la  disobbodienza  anche  dove  non 
pare  negarla  (pag.  58,  59^  il  Procter. 


—  415  — 


posizione  ad  Alessandro  VI  per  la  peccabilità  (')  di  quest'  uomo;  perchè  que- 
st'  uomo  era  indegno  dell'alta  dignità  che  esercitava.  ..  Dunque  per  conseguenza 
il  falso  e  pestifero  domma  del  Savonarola  potrebbe  star  qui  :  L'  indegnità  del 
Sacerdote,  anche  del  Sommo  Sacerdote,  fa  perdere  del  suo  pregio  al  ministero 
che  esercita;  e  la  dignità  di  Pietro  scade  in  un  indegno  successore,  e  allora 
non  siamo  più  tenuti  ad  obbedire....!  Egli  insomma  avrebbe  errato,  non  rite- 
nendosi obbligato  ad  obbedire  alla  Santa  Sede  perchè  la  vedeva  da  un  Ales- 
sandro VI  turpemente  profanata. 

Regge  quest'  accusa  ?  A  noi  pare  assolutamente  che  no.  Finché  si  dicesse 
che  Fra  Girolamo  Savonarola  non  portava  grande  slima  ad  Alessandro  VI 
come  uomo;  e  che  perciò  se  Rodrigo  Borgia  avesse  dato  un  consiglio  al  Frate 
di  San  Marco,  questi,  solo  per  considerazione  della  persona,  ne  avrebbe  tenuto 
poco  conto,  forse,  chi  sa?  si  percuoterebbe  nel  vero;  ma  affermare  addirittura 
che  Fra  Girolamo  si  levò  contro  di  Alessandro  Vi,  perchè  il  Borgia  era  inde- 
gno della  dignità  papale,  oh,  questo  è  troppo!  Finché  il  Pastor  dicesse  che 
Fra  Girolamo  riteneva  come  regola  generale  che  Dio  non  è  uso  di  concedere 
1'  abbondanza  delle  sue  grazie  a  uomini  guasti  e  corrotti,  non  è  uso  di  servirsi 
abitualmente  di  uomini  guasti  e  corrotti  per  infondere  l'abbondanza  dello 
spirito  suo  nel  popolo  a  rinnovellarlo,  si  direbbe  forse  vero;  ma  affermare  che 
il  Savonarola  credeva  che  non  tenga  più  la  persona  di  Dio  il  papa  guasto  e  cor- 
rotto, che  la  vita  peccaminosa  del  papa  ne  scuote  la  giurisdizione,  questo  passa 
la  misura  del  giusto,  e  non  si  può  concedere  ! 

Fra  Girolamo  intorno  a  quest'  argomento  gravissimo  credeva  e  predicava 
proprio  quello  che  dice  il  Pastor,  e  non  più  e  non  meno.  Il  Pastor  dice  a 
pag.  436:  «  Per  la  vita  de'  fedeli  la  dignità  personale  del  sacerdote  è  certa- 
mente già  per  questo  di  massimo  momento,  perchè  dà  con  essa  ai  membri  della 
Chiesa  un  vivo  esempio  di  imitazione,  ed  a  quelli  che  stan  fuori  impone  una 
riverenza  maggiore  »  ;  del  pari  a  pag.  435  scrive  che  «  Alessandro  VI,  che 
doveva  aver  l'occhio  vigile  al  suo  tempo,  salvando  quel  che  si  poteva  sal- 
vare, ha  contribuito  più  di  qualsiasi  altro  a  far  si,  che  la  corrutela  nella 
Chiesa  venisse  potentemente  aumentando  >.  Di  più,  poco  è  se  non  si  mara- 
viglia della  pietà  che  l'anno  del  grande  giubileo,  1500,  traeva  d'ogni  parte 
d'  Europa  pellegrini  a  Roma,  «  dove  tante  cose  dovevano  offendere  ben  ad- 
dentro i  loro  sentimenti  religiosi  »;  e  cita  come  prova  di  queste  sue  asserzioni 
le  parole  che  il  Vettori  intese  da  un  romano,  il  quale  si  stava  al  servizio 
del  cardinal  Briconnet,  a  noi  già  note.  (2) 

Or  che  dice  o  insegna  di  più  o  di  diverso  Fra  Girolamo,  sicché  il  Pastor 
l'abbia  a  condannare?  Nulla,  proprio  nulla:  «  L'uomo  ha  bisogno  dell'altro 
uomo;  però  ha  bisogno  di  chi  predichi  la  verità  e  dia  buon  esempio  ed  ha  bi- 


(')  Quest'astratto  crediamo  che  Clemente  Belletti  avrebbe  potuto  lasciarlo  nella  penna. 
Chi  ha  mai  preteso  che  il  Sacerdote  sia  impeccabile  ?  Questo  non  ó  certo  il  pensiero  del  Pa- 
stor. Vedi  la  versione  a  pag.  435  e  il  testo  a  pag.  475. 

(*)  Vedi  sopra  a  pag.  216. 


—  416  — 


sogno  di  vedere  far  bene  ;  e  perchè  1'  esempio  d'  altri  lo  fa  vergognare,  consi- 
dera la  bruttezza  del  peccato  suo  e  poi  la  brevità  di  questa  vita;  e  ha  paura 
dell'inferno;  di  che  si  ritrae  a  poco  a  poco  dal  peccato  e  fa  bene  per  amore 
di  Dio  ».  (Sopra  Ezechiele,  sermone  XXV.)  «  Grande  miseria  certamente  è 
quella,  quando  egli  è  detto  al  discepolo:  fa  secondo  le  parole  del  tuo  maestro, 
ma  guardati  di  non  operare  secondo  che  fa  lui;  e  gli  debba  parere  star  male,  ed 
essere  stato  ingannato;  perchè  i  discepoli  molto  più  imparano  guardando  alle 
opere  del  maestro  alcuna  volta  che  alle  parole.  Pensa  tu  come  ella  va  quando 
il  discepolo  s'  ha  a  guardare  dalle  opere  del  maestro  »!  (Sopra  Amos,  Pre- 
dica XIV.) 

«  Dicono  alcuni:  Che  certezza  hai  tu  della  fede?  Tu  rispondi:  —  Perchè 
T  ha  detto  Iddio,  adunque  io  n'  ho  certezza.  —  Che  ne  sai  tu  che  l'abbia  detto 
Iddio?  —  Tu  rispondi,  che  gli  Apostoli  e  i  Profeti  hanno  detto  che  Dio  glie  l'ha 
manifestata.  —  Che  ne  sai  tu  che  il  dicessero  gli  apostoli  e  i  profeti,  e  che  Dio 
parlasse  loro?  —  E'  lo  dicono  i  Dottori  e  di  poi  i  nostri  superiori  e  prelati  cosi 
ce  lo  insegnano.  E  così  la  fede  si  va  appoggiando  in  sull'  autorità  degli  uomini 
buoni,  perchè  la  vita  loro  fu  a  noi  e  alli  nostri  padri  grande  argomento  della 
fede.  E  sono  due  appoggi  della  fede,  1'  uno  è  il  miracolo  e  1'  altro  è  la  buona 
vita  de'  capi  della  Chiesa,  coi  quali  due  appoggi  la  fede  si  va  sostentando,  ma 
più  forte  appoggio  è  la  buona  vita  che  il  miracolo.  Vedi,  gli  Apostoli  conver- 
tirono più  gente  con  la  buona  vita  che  coi  miracoli;  perchè,  come  t'  ho  detto 
altre  volte,  il  miracolo  non  fa  credere;  come  manca  la  buona  vita,  la  brigata 
comincia  a  vacillare.  E  così,  come  quando  manca  nella  scienza  la  ragione,  la 
scienza  manca  e  vacilla,  così  quando  manca  la  buona  vita  nella  fede,  la  bri- 
gata comincia  a  vacillare.  E  sappi  che  solamente  lo  starsi  e  non  operare  ai 
capi  e  ai  superiori  è  peccato:  poiché,  dando  mal  esempio,  sono  cagione  di  che 
gli  uomini  vacillino  nella  fede.  Or  quando  credi  tu,  che  sia  peggio?  Quando  i 
capi  sono  cattivi  e  che  fanno  male,  allora  la  fede  va  per  terra  ;  e  questa  è  la 
ragione  che  gli  è  oggi  poca  fede,  perchè  i  buoni  capi  nella  Chiesa  sono  man- 
cati e  il  male  esempio  è  venuto,  e  però  è  mancata  la  fede  ».  (Sopra  Amos.. 
Predica  XX.) 

«  La  virtù  di  Dio  non  ha  bisognò  di  altra  virtù  per  operare;  ma  le  altre 
virtù  hanno  bisogno  per  operare  di  altra  virtù,  che  della  loro.  La  virtù  di  Dio 
potrebbe,  se  il  volesse,  generare  quaggiù  il  grano  senza  la  sementa  del  gra- 
nello; ma  il  cielo,  nè  l'angelo,  nè  gli  elementi  non  possono  senza  questa  causa 
particolare  inferiore  generare  il  grano.  Così  nelle  cose  spirituali,  la  virtù  di  Dio 
discende  prima  in  Cristo,  poi  nella  Vergine,  poi  negli  angeli  e  ne'  beati,  poi 
ne' prelati  della  Chiesa,  e  poi  agli  altri  uomini;  ed  in  questo  modo  Dio  dà  la 
sua  virtù  e  la  sua  grazia  mediante  Cristo  e  la  Vergine,  e  mediante  gli  angeli 
ed  i  buoni  capi,  come  per  via  di  generazione.  E  se  il  clero  fosse  buono,  che 
ricevesse  la  virtù  da  Dio,  farebbe  buono  tutto  il  popolo  cristiano,  ed  i  buoni 
cristiani  farebbero  buoni  i  turchi  e  tutto  il  mondo.  E  però  il  peccato  di  tulio 
il  mondo  è  attribuito  ai  capi  e  prelati  della  Chiesa,  e  prima  al  Papa,  se  e'  fosse 
cattivo  ».  (Sopra  Ruth  e  Michea,  pred.  XXIV). 


—  417  — 


v 


Ma  diamo  un  altro  passo:  penetriamo  un  poco  più  dentro  la  questione. 
Il  Pastor  insegna  che  «  la  peccabilità  di  un  sacerdote  non  può  recare  scapito  es- 
senziale al  sacrifizio  che  egli  offre,  nè  ai  sacramenti  di  cui  è  ministro,  nè  alla 
dottrina  che  insegna  »:  e  gli  piace  di  ripetere  che  «  il  ministerio  pontificale  sta 
più  in  alto  assai  della  persona  di  chi  lo  possiede,  nè  per  sè  può,  in  causa 
della  dignità  di  chi  lo  porta,  guadagnare,  nè  in  causa  della  costui  indegnità 
perdere  punto  del  suo  intrinseco  pregio....  La  dignità  di  Pietro  non  va  a  sca- 
dere nè  anche  in  un  indegno  successore  (pag.  435-436)  ».  Tutto  questo  ed  altro 
ancora  insegna  e  ripete:  e  certo  qui  è  buon  teologo.  Insegna  e  ripete  ciò  che 
il  popolo  cristiano  sa  e  crede.  (') 

Il  Bayonne  a  pag.  173  dice,  a  proposilo  delle  prediche  sopra  l'Esodo, 
che  il  Savonarola  predicava  si  bene  che  per  essere  il  potere  ecclesiastico  so- 
prannaturale e  divino,  conveniva  che  fosse  il  più  eminente  in  dignità  ed  esi- 
geva massima  santità,  ma  soggiungeva  ancora  che,  benché  i  ministri  prevari- 
cassero, non  perdevano  mai  il  loro  carattere  indelebile. 

Nè  solo  nelle  terribili  prediche  sopra  1'  Esodo  (2)  si  può  leggere  la  teoria 
del  Pastor,  ma  anche  in  molte  altre  prediche  ed  altre  opere  del  nostro 
Frate.  Apriamo  il  Trionfo:  ecco  che  cosa  si  legge  al  capo  XVI  del  libro  III  : 
«  Ciò  che  per  via  di  consacrazione  s' acquista  ad  alcuna  cosa,  rimane 
perpetuamente  in  quella.  Onde  quel  che  una  volta  è  consacrato,  non  si  ri- 
consacrerà più.  E  perciò  la  potestà  data  ai  ministri  della  Chiesa  è  indelebile  e 
non  si  perde  per  alcun  peccato;  onde  i  sacramenti  possono  essere  ammini- 
strati dai  peccatori  solo  che  una  volta  abbiano  conseguito  1'  ordine.  Imperoc- 
ché i  sacramenti  per  i  peccati  de'  ministri  non  perdono  la  loro  virtù,  nè  hanno 
meno  efficacia,  perchè  chi  consacra  non  opera  per  virtù  propria,  ma  in  virtù 
di  Cristo.  Onde  non  fanno  simili  a  sè,  ma  a  Cristo  coloro  a'  quali  ministrano 
simili  sacramenti,  perchè  loro  sono  solamente  instrumento  di  Cristo,  e  la  cosa 
operata  non  diventa  simile  allo  inslrumento,  ma  all'arte  del  principale  agente  ». 

E  notate  che  queste  parole  seguono  incontanente  dopo  quelle  che  già  ab- 
biamo visto  di  sopra  (pag.  378),  che  dicono  dell'  ufficio  del  papa  e  dell'essere 
egli  posto  nella  Chiesa,  perchè  ne  mantenga  l'unità,  e  impedisca,  decidendo 
autorevolmente  ogni  dissenso,  che  l'unità  si  rompa.  Se  aprite  le  prediche  sopra 
Ruth  e  Michea,  nella  X  troverete  delle  espressioni  non  men  vere  e  non  men 
forti  delle  sentite  ora.  Lo  ripeto,  questa  dottrina  l'ha  famigliarissima  il  Savo- 
narola, e  l'inculca  ad  ogni  piè  sospinto.  (3) 


(')  Cfr.  Villari,  II,  pag.  109,  e  Cipolla,  pag.  752. 

O  Belle  e  molto  al  proposito  ci  paiono  anche  le  seguenti  proposizioni  del  Pastor  eh» 
si  leggono  nella  pagina  citata  436:  «  La  santità  e  n..n  santità  di  qualsivoglia  persona  non 
può  esercitare  un'  efficacia  immediata  e  decisiva  sulla  natura,  divinità  e  santità  della  Chiesa, 
sulla  parola  della  rivelazione,  sulle  grazie  e  sul  potere  spirituale.  Il  perchè  eziandio  il  sommo 
sacerdote  non  è  in  grado  di  togliere  alcunché  dal  merito  dei  tesori  colesti  che  gli  sono  nella 
loro  pienezza  affidati  e  cui  egli  amministra  e  dispensa.  L'oro  rimane  oro  sia  che  lo  dispensi 
una  mano  pura  od  impura  ». 

(3)  Molto  bello  e  molto  espressivo  è  ud  passo  che  si  legge  nella  predica  recitata  il  sa- 
bato dopo  la  quinta  domenica  di  quaresima  l'anno  1497:  «  Unumquodque  perfectum  non  orba- 

27 


—  418  — 


Che  poi  la  indegnità  pel  sacerdote  non  rechi  nocumento  alle  dottrine  che 
egli  insegna,  già  lo  avete  inteso  nelle  parole  sopra  Amos  or  ora  citate;  e  non 
è  qui  nemmeno  il  caso  d'  insistere.  Ma  non  posso  astenermi  però  dal  legger- 
vene  alcune  altre  che  stanno  nella  predica  Vili  sulla  I  di  San  Giovanni. 
Da  esse  apparirà  quanto  fosse  grande  la  stima  pel  sacerdote  in  Girolamo 
Savonarola  e  si  potrà  meglio  mirare  il  dolore  dell'  anima  sua,  vedendo  tal  di- 
gnità in  uomini  senza  pregio  morale.  «  Il  sacerdote  rappresenta  la  persona  di 
Cristo  :  onde  lo  devi  avere  in  riverenza,  come  Cristo.  Maravigliami  adunque 
come  voi  grandemente  manchiate  in  questo  caso.  Voi  non  avete  alcuna 
reverenza  a'  sacerdoti....  —  Mi  dirai:  —  Non  è  usanza  appresso  di  noi.  — 
Adunque  fate  male,  perchè,  se  non  volete  onorarvi  1'  un  l' altro,  onorate 
almanco  i  sacerdoti  del  Signore.  Ma  che  dirò  io,  che  trattano  i  sacerdoti 
come  servi,  non  gli  danno  onorata  sedia?  Ma  Innocenzo  III  riprese  l'im- 
peratore Costantinopolitano,  perchè  non  faceva  il  debito  onore  al  suo  ve- 
scovo e  patriarca,  ma  facevalo  sedere  sotto  lo  scabello  dei  piedi  suoi  dalla 
parte  sinistra.  Essendo  che,  dice,  che  gli  altri  re  e  principi  faccino  onore  ai 
vescovi  e  arcivescovi,  e  gli  dian  onorabil  sedia,  perchè  lo  defraudi  del  debito 
onore?  Imperocché  il  regno  spirituale  è  più  degno  del  temporale.  Onde  Co- 
stantino imperatore  chiamò  il  Papa  Dio,  come  si  ha  nei  decreti  alla  distinzione 
nonagesima  sesta  nel  capitolo  che  comincia:  Satis;  e  nel  capitolo  seguente, 
dice  che  se  lui  vedesse  un  prete,  ovver  monaco  a  peccare,  lo  coprirebbe  col 
suo  mantello,  acciò  non  fosse  veduto  dagli  altri.  E  leggesi  nella  Istoria  tripar- 
tita, che,  congregati  i  vescovi  nel  concilio  Niceno,  entrò  Costantino  e  stette 
neh'  ultimo  luogo  e  dimandò  licenza  di  sedere.  E  al  presente  non  si  obbedisce 
il  pontefice,  quando  non  piace  la  obbedienza,  nè  si  onorano  i  vescovi,  nè  i  sa- 
cerdoti, e  se  peccano,  sono  infamati  da  tutti. 

«  Ma  perchè?  Perchè  ancora  loro  sono  causa  di  questo,  perchè  peccano 


tum  generat  sibi  simile:  bisogna  a  generare  essere  perfetto.  Vediamo  se  Cristo  fu  perfetto. 
Tu  devi  sapere  che  sono  alcune  forme,  che  non  hanno  intenzione  o  remissione,  come  l'essere 
uomo:  non  è  alcuno  più  una  volta  uomo  che  un'altra.  Altre  forme  sono  le  quali  crescono,  e 
minuiscono,  come  è  la  calidità:  guarda  l'acqua,  che  quando  è  più  calda  e  quando  manco;  e 
tanto  è  calda  alle  volte,  che  è  venuta  più  calda  che  la  può,  ed  all'ultima  perfezione  di  oaldo. 
Cosi  la  grazia  ha  intenzione,  e  remissione,  e  quanto  il  soggetto  è  meglio  disposto,  cioè 
l'uomo,  tanto  ha  più  grazia.  Ila  il  nostro  Salvatore  è  uomo  unito  con  Dio,  ed  è  in  sommo  grado 
d'appropinquazione  a  Dio:  adunque  non  può  avere  più  grazia  che  ha;  o  però  disse  San  Gio- 
vanni Battista:  Deus  non  dat  spiritimi  ad  mensuram:  il  che  s'intende  di  Cristo.  Cristo  ha 
adunque  grazia  immensa,  ed  infinita,  et  nos  de  plenitudine  eìus  acccpimus  :  però  Lui  è  nostro 
padre,  e  ha  la  virtù  generativa,  perchè  ci  dà  la  grazia.  Chi  è  la  madre?  K  la  Chiesa.  Cristo  è 
quello  che  battezza,  non  il  sacerdote,  dico.  Piglia  un  cattivo  sacerdote,  chi  battezza,  chi  dà 
la  grazia?  Cristo  dico,  e  non  il  sacerdoto.  Dicono  i  Dottori,  che  se  tu  pigli  un  turco,  benché 
non  creda  la  nostra  fede,  tuttavia  so  dice,  in  questo  atto  intendo  fare  quello  che  fa  la  vostra 
Chiesa,  benché  io  non  lo  creda;  se  dice:  io  ti  battezzo  in  nomine  Patris,  et  Filii  et  Spiriti'.* 
Sancii,  amen,  dicono  che  colui  è  battezzato,  c  Cristo  è  stato  quello  che  lo  ha  battezzato,  e 
datogli  la  grazia  del  battesimo.  E  però  al  tempo  di  Atanasio  fu  concluso  noi  Concilio,  di 
quelli  fanciulli,  che  battezzarono,  che  non  si  ribattezzassero  altrimenti,  eccetto  elio  si  faces- 
sero le  cerimonie,  ma  non  si  dicessero  quelle  parole:  in  nomine  Patri»—.  Cristo  adunque  è  no- 
stro padre....  » 


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pubblicamente  o  si  espongono  in  dispregio  degli  uomini.  Il  che  predisse  il  Si- 
gnore dicendo:  Voi  siete  il  sale  della  terra,  e  se  il  sale  sarà  fatto  insipido,  che 
cosa  si  insalerà?  Cioè  se  voi  perdete  la  devozione  e  la  carità,  come  potrete 
infiammare  gli  altri?  A  niente  altro  se  non  che  sia  mandato  fuori  e  conculcato 
dagli  uomini.  Sono  mandati  fuori  quando  sono  assoluti  e  privati  degli  offici)',  e 
da  quelli  sono  conculcati.  Nondimeno  voi,  cittadini,  non  peccale  manco,  per- 
chè dovete  in  quelli  onorar  Cristo  ». 

Ma  spingiamoci  innanzi.  Vorreste  forse  dire  che  Girolamo  Savonarola  ri- 
conosceva ne'  prelati  indegni  e  nel  Pontefice  peccatore  indelebile  la  potestà 
quanto  al  corpo  reale  di  Cristo,  ma  non  quanto  al  mistico?  V  ingannereste  a 
partito.  Se  voi  aveste  letto  le  prediche  sopra  V  Esodo,  alle  quali  il  Bayonne 
allude  nel  luogo  citato,  avreste  in  esse  potuto  leggere  tradotte  letteralmente  le 
parole  di  Ambrogio,  riportate  nel  Canone  Julianus  (Decret.  part.  sec.  Caus.  XI, 
Quest.  Ili):  «  Giuliano  imperatore,  quantunque  fosse  apostata,  ebbe  tuttavia 
sotto  di  sè  soldati  cristiani;  ai  quali,  quando  egli  diceva:  Andate  alla  guerra  per 
la  difesa  della  Repubblica,  essi  obbedivano  ».  E  la  medesima  verità  esprime  as- 
sai bene  nella  predica  VII  sopra  Ruth  e  Michea:  vedetele  e  ne  sarete  soddi- 
sfatto. 

Del  resto  che  il  Savonarola  rispettasse  la  potestà  e  la  giurisdizione  eccle- 
siastica, anche  quando  la  vedeva  in  uomini  indegni,  lo  si  vede  chiaramente  an« 
che  là  dove  parrebbe  meno;  voglio  dire  là  dove  il  Frate  dichiara  la  guerra  ai  vizj 
dei  prelati.  Nella  predica  ora  citata,  la  VII  sopra  Ruth  e  Michea,  parla  il  Frate  della 
difficoltà  di  fare  il  bene  sotto  principi  cattivi:  e  non  teme  di  dire  che,  se  vi  è 
un  principe  pagano  e  un  cristiano  insieme  tutti  e  due  cattivi,  non  parlando 
quanto  alla  fede,  ma  caeteris  paribus,  civilmente,  quanto  al  governo,  sarà  sem- 
pre più  cattivo  quel  cristiano  che  quel  pagano.  E  soggiunge  poi,  che  «  si  vive 
meglio,  quanto  al  governo  civile,  sotto  il  principe  pagano,  che  sotto  il  cristiano 
cattivo.  Il  cattivo  principe  cristiano  è  molto  duro  a  sopportarlo,  ed  alla  potestà 
superiore  non  si  può  resistere,  come  dice  Paolo.  Me  se  tu  vi  aggiungi  a  questo 
principe  cattivo  la  potestà  ecclesiastica,  egli  ha  doppia  potenza,  secolare  ed  ec- 
clesiastica; tu  non  lo  puoi  comportare.  E'  ti  bisogna  star  sotto,  perchè  Dio  non 
vuole  mutar  chiave.  Come  dunque  si  può  viver  bene  sotto  i  principi  che  vogliono 
far  male?  E  tanto  è  peggio  poi  se  tu  v'aggiungi  doppia  scienza  della  Scrittura 
e  della  filosofia.  Eglino  usano  la  scienza  de'  filosofi  e  quella  dei  santi  in  difesa 
del  male,  e  tanto  più  ancora  poi  quando  e'  v'  è  aggiunta  doppia  malizia  de'  te- 
pidi, occulta  e  scoperta  ».  —  Che  durezza  di  verità! 

Avrete  però  notato  le  frasi  che  nemmeno  quando  son  cattivi  i  principi  cri- 
stiani non  si  vuole  resister  loro,  e  in  riguardo  all'  ecclesiastico  avrete  anche  no- 
tato che  pur  essendo  essi  tristi  bisogna  star  sotto,  perchè  Dio  non  vuole 
mutar  chiave.  Vi  par  poco  questo?  Leggiamo  avanti  e  troveremo  di  meglio. 
«  Gli  apostoli  non  ebbero  paura  della  chiave;  perchè  era  mutalo  sacerdozio, 
non  avevano  avere  tanto  scrupolo  quant' abbiamo  avere  noi;  andavano  più  li- 
beri e  potevano  far  bene  e  dire  la  verità  senza  paura.  E  però  fu  dato  allora  lo 
Spirito  Santo  in  abbondanza,  perchè  mediante  i  buoni  Prelati  discendeva  lo 


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spirito  nel  popolo.  Ma  se  Dio  desse  oggi  lo  Spirito  suo  a  qualcuno,  vedete  eh' e' 
non  può  introdurre  il  bene  e  dire  la  verità,  ma  bisogna  che  abbi  paura  della 
chiave  ». 

E  questo  pensiero  il  Frate,  che  voi  osale  dire  rivoluzionario,  lo  ripete 
molto  sovente  ai  suoi  Fiorentini;  e  v'  insiste  sopra,  quasi  tema  che  alcuno  di 
loro  nello  sdegno  contro  il  male  non  sia  principio  di  scisma. 

Onde  nella  medesima  predica  VII  diceva:  «  La  Chiesa  si  ha  a  rinnovare, 
ti  dico  io  ;  ma  non  si  muterà  già  la  fede,  non  lo  credere,  non  si  muterà  la 
legge  evangelica,  non  la  potestà  ecclesiastica;  ma  gli  uomini  diventeranno  mi- 
gliori »-  E  altrove  dice  ancora  testualmente  così:  «  Grave  è  V  angustia  quando 
s'  ha  da  combattere  contro  la  potestà  temporale  e  spirituale,  grave  sì  che  non 
si  può  comportare;  ma  pur  bisogna  tenersi  sottemessi;  perchè  il  Signore  noti 
vuole  mutar  chiavi.  Ognuno  pare  che  abbia  paura  del  bene.  Più  felici  assai 
erano  i  tempi  degli  Apostoli;  chè  essi  almeno  avevano  a  combattere  un'auto- 
rità che  non  dovevano  rispettare  ». 

Ma  dunque  che  voleva  il  Savonarola  allorché  gridava  nelle  prediche  par- 
lando de'  prelati  e  del  papa,  che  prima  di  andare  al  ricorso  di  queste  cause 
universali  dell'  universo  di  Cristo  bisogna  guardare  se  sono  in  termini  che  lo 
si  possa  fare;  e  che,  se  vedessimo  eh'  esse  facesser  guasto,  non  dovremmo  cu- 
rarci altrimenti  delle  stesse,  ma  rivolgerci  a  Cristo?  (Sopra  l'Esodo  XX;  e  so- 
pra Ruth  e  Michea  XXIV.)  La  cosa  è  chiara  a  chi  la  vuo!  vedere;  e  a  vederla 
non  si  richiede  se  non  che  noi  apriamo  gli  occhi.  Nelle  prediche  sopra  l'Esodo 
come  in  quelle  sopra  Ruth  e  Michea  e  nelle  altre,  come  si  trova  la  prima 
parte  del  Canone  Julianus,  così  si  trova  anche  la  seconda,  e  già  noi  ve  la  ab- 
biamo trascritta.  «  Quando  l' imperatore  diceva  ai  soldati  cristiani:  portate  le 
armi  contro  i  cristiani;  allora  riconoscevano  l'imperatore  del  cielo;  e  a  que- 
st'  imperatore  obbedivano  piuttosto  che  a  Giuliano  ». 

E  del  pari  si  trova  nelle  prediche  del  Savonarola  il  detto  aureo  di  Grego- 
rio Papa  (Omel.  26,  sopra  gli  Evang.,  riportata  nel  canone  Plerumque)  :  «  Av- 
viene spesso  che  qui  tenga  il  luogo  di  giudice  chi  ha  una  vita  che  non  con- 
corda punto  con  il  luogo  che  occupa.  E  però  spesso  succede  che  egli  condanni 
chi  non  se  lo  merita,  seguendo  non  il  merito  delle  cause,  ma  i  moti  della  sua 
volontà.  Onde  avviene  eh'  egli  si  privi  della  potestà  di  legare  e  di  assolvere  ».  (*) 

Questo  è  proprio  il  pensiero  del  Savonarola.  Quando  egli  dice  che  i  pre- 
lati e  anche  il  Papa  guasti  non  s'  hanno  daobbedire,  non  intende  di  parlare  di 
un  guasto  generico,  nè  vuol  parlare  in  modo  assoluto;  ma  intende  di  parlare 
di  un  guasto  specifico,  e  parlare  in  modo  relativo.  Non  devonsi  obbedire  in 
quanto  guasti,  non  devonsi  obbedire  in  quanto  comandano  contro  il  loro  uffi- 
cio, comandano  contro  le  istituzioni  canoniche  o  gli  esempj  de'  Santi  Padri  o  la 
legge  eterna  o  contro  Dio,  o  contro  la  carità        Insomma  il  Savonarola  non 


(  )  Cfr.  Leonardo  Scioruti,  Elementi  di  Filonojìa  Cristiana,  Genova,  1880,  quinta  edizione, 
pag.  857,  n.  199. 


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vuole  già  che  si  resista  ai  superiori  perversi,  ma  ai  comandi  perversi.  Come  il 
figlio,  pur  dovendo  rispettare  il  padre  sciagurato  e  riconoscerlo  per  tale,  in 
alcune  cose  non  è  obbligato  ad  obbedirlo  e  nelle  cattive  non  deve  obbedirlo,  così 
è  di  ogni  cristiano  verso  i  prelati  ed  il  Papa.  Nella  XIV  sopra  Amos  esponendo 
sopra  le  parole  del  Vangelo:  Fate  tutto  quello  che  vi  dicono...,  con  quel  che  se- 
gue; dice:  «  S'intende  che  le  sieno  buone  le  cose  che  vi  dicono;  ma  le  cose 
cattive,  se  ve  le  dicono,  non  le  fate....  Non  solamente  non  è  da  fare  le  opere  loro; 
ma  non  è  neanche  da  fare  secondo  le  loro  parole,  perchè  fanno  male  e  dicono 
peggio  ».  (Vedi  anche  sopra  Ezechiele,  predica  XXIV.) 

Non  è  adunque  che  egli  non  volesse  la  potestà  ecclesiastica,  nè  che  la 
debilitasse;  ma  voleva  che  la  s'intendesse  come  si  deve.  «  Se  tu  vedessi  che 
i  prelati,  e  le  cause  universali  della  Chiesa  la  guastassero  e  che  dessero  ani- 
mo ai  cattivi,  e  li  aiutassero  e  li  favorissero  e  perseguitassero  i  buoni,  che  si 
ha  a  fare  allora?  Hassi  a  resistere  a  quest'  influenza.  Hai  a  fare  orazione,  ed 
a  ricorrere  a  Cristo.  Questo  è  quanto  rimedio  tu  hai.  Bisogna,  dico,  resistere 
all'influenza  cattiva.  Cristo  non  ha  dato  la  potestà  ecclesiastica  per  guastare 
la  sua  Chiesa.... Il  Papa  può  tutte  le  cose  che  consuonino  con  Cristo  e  che  con- 
cordino con  le  sue  intenzioni,  cioè  tutte  le  cose  buone...,  »  (Sopra  V  Esodo, 
Pred.  XX).  «  Quelli  che  prima  dicevano  male  della  Chiesa  Romana  ora  dicono 
che  la  si  debba  obbedire  in  ogni  cosa....  Se  tu  dì  in  ogni  cosa,  tu  non  devi 
intendere  che  si  debba  obbedire  nel  male,  perchè  il  male  è  nulla,  secondo  che 
dicono  i  filosofi.  Se  tu  intendi  anche  nel  male,  tu  levi  troppo  il  capo.  0!  se  lui 
ti  comandasse  che  facessi  una  fornicazione,  obbediresti  tu?  Sì,  dice  colui,  che 
io  lo  farei.  Ecco  che  tu  levi  troppo  il  capo.  0  frate,  egli  è  Dio  in  terra  e  vica- 
rio di  Cristo.  Egli  è  vero  :  ma  Dio  e  Cristo  comanda  che  si  ami  il  suo  fratello, 
e  che  si  faccia  bene.  Adunque  se  '1  Papa  ti  comandassi  che  tu  facessi  contro 
alla  carità,  e  tu  lo  facessi,  tu  levi  troppo  il  capo,  e  vuoi  che  il  Papa  faccia  più 
che  non  fa  Dio.  Egli  non  si  domanda  allora  Papa,  e  non  si  serva  obbedienza, 
quando  egli  comanda  contra  Dio.  0!  il  Papa  in  quanto  Papa  non  può  fare  cosa 
falsa.  Tu  credi  forse  che  il  Papa  non  sia  uomo  ?  Quando  lui  fa  male,  non  fa 
in  quanto  Papa,  ma  perchè  è  uomo  può  per  false  persuasioni  errare,  e  fare 
male.  Non  dite  adunque  più  che  il  capo  si  vuole  obbedire  in  ogni  cosa,  ma  nel 
bene  ».  (Ivi.  Pred.  XVIII.) 

E  come  si  dice  del  comando  in  genere  così  si  deve  dire  delle  leggi  e  della 
scomunica  in  ispecie.  Fra  Girolamo  non  si  contradice  mai. 

Nella  III  sopra  1'  Esodo,  avendo  già  spiegato,  come  si  è  visto  di  sopra,  il 
motto:  Sententia  pastoris  sive  jmta,  sioe  injusta  timenda  est,  dice  il  Frate: 
«  Se  tu  chiosi  altrimenti  eh'  io  ti  dissi,  come  puoi  tu  salvare  quel  testo  di  Pe- 
lagio che  io  ti  allegai,  cioè  che  la  escomunicazione  ingiusta  non  sei  obbligato 
ad  osservare?  Pazzo  che  tu  se';  sicché,  se  una  sentenza  è  ingiusta,  io  V  ho  ad 
osservare?  Se  una  cosa  è  ingiusta,  adunque  è  contro  la  giustizia;  parimente  se 
la  giustizia  è  Cristo,  adunque  è  contra  Cristo.  Ho  adunque  io  ad  osservare 
quello  che  è  contrario  a  Cristo?  Parimente,  se  è  contra  a  Cristo,  adunque  viene 
da' suoi  avversar)';  e  i  suoi  avversar)'  sono  i  diavoli  e  i  suoi  membri.  Adunque 


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osserverò  la  legge  del  diavolo  e  de' suoi  membri?  Tu  sei  adunque  pazzo,  che 
tu  creda  eh'  io  abbia  ad  osservare  una  legge  fatta  da'  diavoli.  Se  ti  fosse  proi- 
bito sotto  pena  di  escomunicazione  latae  sententiae  che  tu  non  dessi  da  man- 
giare ad  uno  che  fosse  in  estrema  necessità,  tu  saresti  obbligato  a  non  os- 
servare tale  scomunica  ?  Credi  tu  che  le  leggi  sieno  fatte  per  poter  far 
male  »? 

Questa  è  la  teoria  del  Savonarola,  la  quale,  com'  è  chiaro,  è  perfettamente 
conforme  e  non  è  niente  contraria  all' insegnamento  della  Chiesa.  Quindi  resta 
anche  qui  provata  la  tesi  che  dovevamo  provare,  e  ribattuta  V  accusa  che  do- 
vevamo ribattere;  e  possiamo  andar  oltre  spedili. 


XXVIII. 


Se  Girolamo  Savonarola  dichiarasse  il  convinci» 
mento  soggettivo  quale  stregua  dell'obbedienza 
ecclesiastica. 


Sommario. 

Una  obbiezione.  —  Il  Frate  di  San  Marco  e  Giovanni  Enss.  —  Prova  del  Pastor  e  nostro  vedere.  —  Chi 
sia  soggettivista  e  che  soggettivismo.  —  Si  nega  la  verità  dell'  asserzione  che  dice  Girolamo  Savo- 
narola soggettivista.  —  La  verità  secondo  Fra  Girolamo.  —  La  verità  è  Dio.  —  La  verità  è  Cristo. 

—  Forza  della  verità.  —  L' uomo  che  cammina  nella  verità.  —  Il  vero  e  il  bene.  —  Una  protesta. 

—  Girolamo  Savonarola  ammette  la  realtà  oggettiva  dell'intelligibile.  —  Eapporto  del  vero  col- 
1' intelletto  nostro.  — Questione  mezzo  risolta.  — L'evidenza  oggettiva,  criterio  supremo  della 
verità.  —  Verità,  luce  e  bellezza  secondo  Fu  Girolamo.  —  L'evidenza  oggettiva  è  un  lume  og- 
gettivo. —  Specie  di  verità  secondo  il  Savonarola  e  loro  realtà  oggettiva.  —  Distinzione  di  verità 
e  di  lumi.  —  Ogni  lume  viene  da  Dio  ed  ha  evidenza  dell'oggetto  proprio.  —  Potenza  e  limiti 
de'  lumi.  —  Principj  supremi  di  Girolamo  Savonarola.  —  A  ricusar  V  obbedienza  si  richiede 
l'evidente  ingiustizia  del  comando.  —  Si  trascrive  il  testo  del  Frate  citato  dal  Pastor.  — Ragione 
del  fatto.  —  Altri  passi  del  Savonarola.  —  Le  condizioni  richieste  per  trapassare  il  comando 
si  richiedono  anche  alla  inosservanza  della  scomunica.  —  Esame  dei  testi  Savonaroliani.  —  Xo- 
zione  dell'evidenza.  —  La  parola  de' superiori  non  è  la  causa  formale  della  fede.  —  Chi  insegna 
non  dà  il  lume  al  discepolo.  —  Se  Cristo  non  ci  apre  gli  occhi  nessuno  vede.  —  Assurdi  della  teo- 
rica del  Pastor.  —  Alcuni  esempj  evidenti.  —  Autorità  che  confortano  la  dottrina  di  Frate 
Girolamo. 


Dopo  quanto  abbiamo  esposto  fin  qui  intorno  la  gerarchia  ecclesiastica  e 
la  teoria  dell'obbedienza  secondo  il  Savonarola;  dopo  i  molti  raffronti  che 
abbiamo  fatto  della  dottrina  del  Frate  con  quella  di  San  Tommaso,  e  special- 
mente dopo  l'ultimo  capitolo  della  cattolicità  della  Teorica  savonaroliana,  po- 
trebbe parere  inutile  che  si  raccolga  e  si  ribatta  di  proposito  I'  accusa  che 
forma  il  titolo  del  capo  presente:  la  falsità  di  essa  si  potrebbe  tenere  per  co- 
rollario legittimo  di  ciò  che  abbiamo  fin  qui  veduto.  Ma  percliè  noi  amiamo 
non  resti  nemmeno  l'ombra  di  dubbio  intorno  ad  una  proposizione  tanto 
grave,  come  se  nulla  fin  qui  avessimo  detto,  nè  visto,  nè  provato,  crediamo 
tuttavia  opportuno  dimostrar  direttamente  che  la  nuova  accusa  contro  del 


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Frale  non  regge.  E  crediamo  che  i  lettori  ci  seguiranno  di  buona  voglia  per  que- 
sta via  e  sosterranno  anche  questo  poco  di  fatica,  per  veder  purgato  il  nostro 
Maestro  da  sì  grave  taccia. 

Il  Savonarola  adunque  è  soggettivista  alla  maniera  di  Huss  e  dichiarò  il 
convincimento  soggettivo  quale  stregua  dell'obbedienza  ecclesiastica!  (*) 
Il  Pastor  qui  ci  dà  anche  la  prova  della  sua  asserzione  colle  parole  stesse 
del  Frate:  «  Il  Papa  non  può  comandarmi  contro  alla  carità  cristiana  o  contro 
al  Vangelo.  Io  non  credo  che  il  Papa  voglia  mai  farlo  ;  ma  quando  lo  facesse, 
io  gli  direi:  Tu  ora  non  sei  pastore,  tu  non  sei  Romana  Chiesa,  tu  erri.  Ogni 
volta  che  si  potesse  vedere  espressamente  che  un  comando  de'superiori  è 
contrario  ai  comandamenti  di  Dio  e  massime  al  precetto  di  carità,  niuno  debbe 
in  questo  caso  obbedire.  Se  però  il  caso  non  fosse  evidente  o  che  vi  fosse  il 
menomo  dubbio,  allora  bisogna  sempre  obbedire  »  (pag.  353  testo  e  nota  2, 
e  pag.  361,  nota  1). 

Soggettivista  il  Savonarola!  E  tutta  questa  è  la  prova,  che  mi  sapete  dare 
per  convincermi  che  la  dottrina  del  Savonarola  è  ussitica?\  Questa  èia  prova 
che  il  Savonarola  «  non  si  peritò  punto  di  dichiarare  il  convincimento  sogget- 
tivo quale  stregua  dell'obbedienza  ecclesiastica  »?!!  Ma,  die  Dio  ci  salvi,  dove 
si  può  scorgere  ombra  di  soggettivismo  nelle  citate  parole  del  Savonarola  ?! 
«  Questa  dichiarazione  importante,  che  sta  nelle  Prediche  di  Frate  Hiero- 
nymo  da  Ferrara,  Firenze  1496  (stiie  fior.)  »,  come  dice  in  nota  e  con  assai 
poca  precisione  il  Pastor,  a  me  pare  invece  distruggere  recisamente  ogni  ma- 
niera di  soggettivismo  e  mostrare  nel  Savonarola  il  vero  seguace  della  teorica 
cristiana,  della  criteriologia  tomistica,  la  quale  pone  il  criterio  della  verità  nel- 
1'  evidenza  oggettiva  :  questo  mi  pare  e  non  altro.  Leggete  infatti  gli  articoli 
IV  e  VI  della  questione  XGVI  nella  I— II,  colle  risposte  alle  obiezioni,  e  vi  con- 
vincerete presto  che  è  vana  l'accusa,  purché  non  vogliate  chiamar  soggettivista 
e  ussita  San  Tommaso.  Che  il  Savonarola  e  San  Tommaso  la  pensano  allo  stesso 
modo,  lo  abbiamo  mostrato  più  volte,  ma  non  sarà  inutile  fare  un  nuovo  con- 
fronto fra  il  discepolo  e  il  maestro.  Prendo  dal  Savonarola  le  parole  colle  quali, 
secondo  il  Pastor,  egli  dichiarava  il  convincimento  soggettivo  quale  stregua 
dell'obbedienza  ecclesiastica;  e  da  San  Tommaso  traduco  alcune  espressioni, 
che  del  resto  è  facile  trovare  in  altri  teologi  : 


Savonarola 

«  Il  Papa  non  può  comandarmi 
-  contro  la  carità  cristiana  o  contro 
«  il  Vangelo.  Quando  lo  facesse,  io  gli 


San  Tommaso 

«  Le  leggi  possono  essere  ingiu- 
«  ste  per  contrarietà  al  bene  divino.... 
c  ordinate  contro  il  comandamento  di 


()  L'accusa  è  presa  anche  questa  volta  dal  Perrens,  il  quale  è  tuttavia  molto  più  mite 
ohe  il  Pastor:  «  En  montant  dans  la  rimiro,  malgré  1'  excommunication,  il  donnait  des  arine» 
à  ceux  qui  l' accusaient  de  marchcr  a  grands  pas  vers  1'  hórésie,  et  d'etre  d'accord  avec 
Jean  Hus  qui  reconnaissait  au  prOtre  oxcommunié  le  droit  de  prècher  »  (pag.  226).  Citiamo 
la  seconda  edizione,  Parigi  1851.  È  uscita  la  terza,  ma  nei  passi  da  noi  citati  non  porta  mu- 
tazioni sostanziali. 


—  425  — 


Savonarola 

■  direi:  Tu  ora  non  sei  pastore,  tu  non 

•  sei  Romana  Chiesa,  tu  erri. 

«  Ogni  volta  che  si  potesse  ve- 
«  dere  espressainete  che  un  comando 
i  de'  superiori  è  contrario  ai  comanda- 

•  menti  di  Dio  e  massime  al  precetto 
c  di  carità,  niuno  debbe  in  questo  caso 

•  obbedire  (perchè  egli  è  scritto  :  Opov- 
«  tet  obcdire  magis  Deo  quam  homi- 
«  nibus).  (') 

«  Se  però  il  caso  non  fosse  evi- 
«  dente  o  che  vi  fosse  il  menomo 
<  dubbio,  allora  bisogna  sempre  ob- 
«  bedire».  (Dalla  predica  I  sopra  Amos, 
secondo  il  Pastor.) 


San  Tommaso 

•  Dio....  a  questo  1'  ordine  della  pote- 
«  sta  non  si  estende. 

«  Tali  leggi  non  è  lecito  in  nes- 
«  sun  modo  osservare....  perchè,  come 

*  dicesi  negli  Atti  cap.  IV:  Obedire 
«  oportet  Deo  magis  quam.  hominibas. 
«  La  legge  è  ordinata  al  bene  comu- 
«  ne....  tutta  la  perfezione  della  legge 

consiste  nella  carità.  E  se  da  questa 
<  vien  meno,  non  ha  forza  d' obbli- 
«  gare. 

«  Se  è  dubbio,  devesi  agire  s.econ- 
«  do  le  parole  della  legge,  oppure  con- 
1  saltare  il  superiore  ».  (Somma  Teol., 
P.  I-II,  qu.  96,  art.  4  e  6  e  Commenti 
all'Epistola  ai  Romani,  cap.  XIII,  v.  8.) 


Stando  adunque  nei  limiti  della  teorica,  sembra  che  il  Savonarola  abbia 
un  buon  compagno  nella  sua  «  lubrica  via  »  (Pastor,  pag.  252).  Mi  sembra 
di  udirlo  ripetere  sdegnoso:  «  Dovete  pure  ormai  conoscere  che  non  sono 
uno  sciocco  e  dovete  credere  che  non  direi  queste  cose,  se  non  fossero  vere  ». 
(Predica  XLVIII  sopra  Amos.) 

Il  Savonarola  soggettivista  alla  maniera  diHuss!  A  me  pare  non  solo  che 
questo  sia  falso,  ma  impossibile  a  concepirsi  nel  sistema  del  Savonarola.  La 
stessa  sua  filosofia  bastava  a  salvarlo.  Consentitemi  cbe  ve  lo  provi  e  non  vi 
dolete  se  prendo  la  cosa  alquanto  dall'alto  ed  esco  un  poco  di  questione:  non 
^arà  tutto  a  sproposito.  Per  soggettivismo,  come  sa  ognuno,  s'intende  quel  si- 
stema di  teologia  o  filosofia,  falso  e  pernicioso,  che  ripone  il  supremo  criterio 
della  verità  nel  soggetto  conoscente;  in  noi,  cioè,  o  in  una  nostra  facoltà  intel- 
lettiva o  nella  natura  dell'anima  nostra;  quel  sistema  che  fa  l'uomo  misura 
delle  cose,  che  dice  la  verità  esser  fattura  tutta  nostra  e  da  noi  intieramente 
dipendente;  ed  è  soggettivista  chi  pretende  che  il  nostro  conoscere  faccia  esser 
le  cose;  e  quindi  afferma  esser  o  non  esser  ciò  che  la  nostra  vista  corta  d'una 
spanna  vede  o  non  vede.  E  soggettivista  chi  nega  le  verità  che  superano  la 
coscienza  sua  d'uomo,  il  suo  sentimento;  chi  fa  se  stesso  legge  de' suoi  pen- 
sieri e  delle  sue  operazioni.  Questo  s' intende  universalmente  per  soggettivi- 
smo, e  tale  si  fa  il  soggettivista,  nè  credo  la  pensi  altrimenti  il  Pastor.  Ora  il 
Frate  di  San  Marco  ha  una  teoria  la  quale  sta  proprio  agli  antipodi  a  questa 
e  ne  è  la  morte  e  l'annientamento.  Potrei  scrivere,  dalle  Opere  sue,  un  libro 
intiero  a  provar  questa  tesi.  Abbiate  la  pazienza  di  leggerne  almeno  alcuni 
passi. 


(')  Le  parole  tra  parentesi  non  si  leggono  nel  Pastor,  ma  si  bene  nel  Villari  e  nel 
Savonarola. 


—  426  - 


«  La  verità,  egli  dice,  è  una  adequazione,  o  quadrazione  dell'intelletto 
alla  cosa,  o  della  cosa  all'intelletto  (*);  cioè  quando  la  cosa  creduta  e  l' intelletto 
credente  (*)  sono  simili  e  concordano  insieme.  Tu,  per  esempio,  di';  Quel  frate 
predica;  e  in  questo  tu  di' la  verità;  perchè  il  dire  tuo  e  il  fare  del  frate  quadrano 
insieme;  e  in  questo  modo  quello  che  tu  di'  si  domanda  vero;  perchè  è  ade- 
guato all'intelletto  tuo.  Fatti  innanzi:  Iddio  intende  ogni  cosa  (questo  tu  noi 
negherai)  ;  Iddio  conoscendo  sè,  conosce  e  intende  tutte  le  cose  del  mondo,  e 
conobbele  ab  eterno  innanzi  che  nulla  fosse,  e  la  sua  essenza  e  il  suo  intendere 
è  una  medesima  cosa:  intanto  che  il  suo  intelletto  e  il  suo  intendere  sono 
esso  Iddio  ;  (3)  e  però  Dio  è  essa  verità,  il  che  non  è  di  creatura  alcuna  perchè  lo 
intendere  suo  è  differente  dall'essere....  Dio  e  l'essere  sono  una  medesima  cosa, 
perchè  lui  solo  è  quello  che  è.  Ego  sum  qui  sum,  dicit  Dominus.  La  crea- 
tura è  tanto  distante  dall'essere  di  Dio  quanto  è  una  cosa  finita  dalla  infinita, 
ma  si  dice  una  creatura  aver  1'  essere  per  partecipazione,  perchè  dipende  dal 
primo  essere,  cioè  da  Dio.  E  però,  come  la  sanità  propriamente  conviene  al- 
l' animale,  e  non  conviene  secondo  quella  medesima  ragione  al  cibo,  e  alla 
medicina....,  così  l'essere  propriamente  conviene  a  Dio,  e  non  alle  creature  se- 
condo quella  medesima  ragione,  secondo  la  quale  conviene  a  Dio  :  e  così  è 
della  verità;  perchè  Dio  è  essa  verità;  (4)  ma  niun  intelletto  creato  è  essa  verità; 
ma  la  verità  che  è  nel  nostro  intelletto  dipende  dalla  prima  verità,  ed  è  una 
certa  partecipazione  e  similitudine  di  quella.  Per  esempio:  immaginati  che 
sieno  qua  venti  specchi,  e  uno  si  appresenti  qui  con  la  faccia:  apparirà  quella 
faccia  in  tutti  quei  venti  specchi,  e  pareranno  venti  facce  ;  e  tuttavia  la  vera 
faccia  sarà  una.  Così  la  verità  in  ogni  intelletto  dov'  ella  è  nasce  dalla  prima 
verità,  cioè  da  Dio  ».  (Sopra  Amos  e  Zaccaria,  pred.  XXIII.)  (5) 

«  La  verità  si  definisce  in  questo  moilo:  Veritas  est  adosquatio  rei  ad  in- 
tellectum,  vel  adiequatio  intellectus  ad  rem  ;  cioè  quando  l'intelletto  è  conforme 
ad  una  cosa,  quello  si  chiama  esser  vero.  Iddio  si  chiama  essere  essa  verità: 
tuttavia  si  attribuisce  più  al  Figliuolo,  benché  convenga  a  tutte  tre  le  persone 


(')  Questa  stupenda  definizione  della  verità  abbraccia  la  verità  logica  e  la  verità  metafi- 
sica. Vedi  la  dottrina  di  San  Tommaso  a  questo  proposito,  nella  Somma  Theol.,  P.  I,  Qu.  XVI, 
art.  I  e  nella  Qu.  I,  art.  1°  e  2°  De  ventate,  Quwst.  disp.  Cfr.  Zigliara.  Stimma  Philosophica,  On- 
tologia L.  II,  c.  II  a-  3"  n.  XII,  e  Dialettica,  Lib.  Ili,  cap.  IV,  a.  1,  n.  I. 

(2)  Creduta  e  credente  sta  per  conosciuta  e  conoscente.  Questa  espressione  è  usata  ancbe  da 
S  Tommaso,  il  quale  dice  che  «  nelle  scienze  dimostrative  si  credono  più  i  principii  che  le 
conclusioni  ».  De  caritate,  in  Qumsl-  Disp.  art.  IX,  ad  lm.  In  queste  e  simili  altre  espressioni 
credere  vuol  dire  tener  per  certo. 

(8I  Vedi  San  Tommaso,  Somma  'leol.  P.  I.  Qu.  XVI.  art.  5  e  6. 

(4)  Vedi  San  Tommaso,  Somma  Teol  P.  I.  Qu.  XVI.  art.  5  e  6  e  Qu.  XII.  art.  5. 

(5)  La  qnal  dottrina  dilucidata  eoli'  esempio  dello  specchio  è  nel  citato  art.  6°  della 
Quest.  XVI  di  S.  Tommaso:  c  Come  da  una  sola  faccia  d'uomo  risultano  più  similitudini 
in  uno  specchio,  cosi  dalla  verità  divina,  ohe  è  una.  risultano  (ìlei  creato)  più  verità  ». 
«Tutte  le  verità  »  scriveva  or  ora  il  cardinale  A.  Capecelatro,  «  conosciute  dall' uomo,  ancor- 
ché sieno  tra  loro  diverse,  splendono  quasi  raggi  più  o  meno  lucenti  d'una  sola  verità 
eterna  infinita  e  immutabile,  la  quale  è  Dio  ».  La  stampa  cattolica:  discorso  letto  per  l'inau- 
gurazione dell'anno  scolastico  149*5-97  del  Seminario  capuano. 


—  427  - 


della  Trinila.  Dice  Cristo  nel  Vangelo  :  Io  sono  la  via,  la  Verità  e  la  vita.  Così 
la  carità  s'  attribuisce  allo  Spirito  Santo,  benché  convenga  al  Padre  e  al  Fi- 
gliuolo ugualmente.  In  ogni  genere  di  cose,  si  deve  dare  una  cosa  che  sia  prima 
in  esso  genere,  adunque  nel  genere  della  verità  la  prima  verità  è  Dio.  E  se 
adunque  Iddio  è  essa  verità,  adunque  quanto  una  creatura  è  più  presso  a  Dio, 
tanto  più  intende  la  verità  ».  (*) 

In  conformità  di  questa  dottrina  il  nostro  Frate  celebra  sovente  la  potenza 
e  la  forza  insuperabile  della  verità;  come  fa  per  esempio  nella  predica  IX  so- 
pra Ezechiele;  dove  dice  appunto  che  la  verità  vince  in  ogni  cosa  e  sempre;  e 
così  vince  sempre  1'  uomo  che  cammina  in  verità,  perchè  egli  è  simile  a  Dio, 
e  ha  Dio  in  sè,  Dio,  che  è  la  forza  per  eccellenza,  la  forza  infinita. 

Per  questo  il  nostro  Frate  era  solilo  di  dire  che  chi  ha  seco  la  verità  non  deve 
assolutamente  aver  paura  di  sorla  alcuna  (ivi  XLIV).  E  nella  XX  sopra  Giobbe, 
dice  pure:  «  L'uomo  che  va  in  verità  è  sempre  conforme  con  Dio,  che  è  essa 
verità;  e  in  ogni  cosa  sua  dentro  e  di  fuori  trovi  in  quest'uomo  la  verità  ».  Del 
pari  come  conseguenza  di  questa  dottrina  nella  predica  sopra  Ezechiele,  fatta 
il  lunedì  dopo  la  V  domenica  di  quaresima,  dice:  «  Il  vero  e  il  bene  hanno  in 
sè  tanta  convenienza,  che  ogni  cosa  che  è  vera,  è  buona,  e  al  contrario;  e  che 
ogni  cosa,  che  è  al  mondo,  è  buona  e  vera;  perchè  ogni  cosa  si  domanda  vera 
per  comparazione  all'intelletto,  e  buona  per  comparazione  all'affetto.  E  per- 
chè non  è  cosa  che  non  si  possa  intendere,  massime  dall'intelletto  divino;  e 
perchè  non  è  cosa  che  non  possa  essere  appetibile,  almeno  quanto  all'  essere, 
però  ogni  cosa  è  vera  e  buona  ».  (s) 

I  passi  analoghi  ai  presenti  nel  nostro  Frate  saranno  mille  almeno;  non 
ne  trascrivo  altri  e  protesto  che  nelle  Opere  di  lui  non  trovo  nemmeno  un 
iota  che  contradica  ai  concetti  de' passi  riportati.  Resti  fermo  adunque  che 
Fra  Girolamo  ammette  la  realtà  oggettiva  e  la  verità,  l'oggetto  della  nostra 
conoscenza,  fuori  della  mente  nostra,  indipendente  dalla  mente  nostra:  e  pro- 
curiamo di  dare  un  altro  passo  e  vedere  come  noi  veniamo  alla  conoscenza 
delle  cose,  come  si  generi  in  noi  la  certezza  della  verità.  Che  insegna  a  questo 
riguardo  Fra  Girolamo?  Quale  rapporto  pone  egli  tra  il  vero  e  l'intelletto?  La 
questione  già  è  in  qualche  modo  risolta  dalle  parole  trascritte  di  sopra;  impe- 
rocché se  la  verità  per  noi  consiste  nella  quadrazione,  o  nell'adequazione  della 
nostra  mente  con  la  cosa,  se  la  verità  per  essenza  è  Dio,  fonte  di  ogni  realtà, 
sostanza  infinitamente  perfetta,  alto  puro,  e  se  noi  intendendo  partecipiamo 
della  verità  dell'intelletto  divino,  e  nulla  intenderemmo  senza  Dio,  il  soggetti- 
vismo è  morto:  l'essere,  la  verità  misurano  il  nostro  intelletto,  e  non  al  con- 
trario; cioè  la  verità  sarà  semplicemente  l'essere  in  quanto  è  inteso. 
Data  la  natura  della  verità,  quale  ce  l'ha  data  Fra  Girolamo,  è  possibile 
che  si  ritenga  che  essa  per  risplendere  alle  menti  ha  bisogno  di  accattar  luce 


(l)  San  Tommaso,  L  c.  a.  5. 

(*)  Cfr.  San  Tommaso,  1.  c.  art.,  1. 


-  428  — 


d'altronde?  Sarebbe  assurdo.  Nel  sistema  Savonaroliano  non  si  può  nean- 
che concepire  che  il  motivo  della  certezza  sia  soggettivo.  Il  nostro  Frate  ri- 
pete in  seicento  luoghi  che  il  criterio  della  certezza  si  ha  da  prendere  nell'  og- 
getto conosciuto;  genera  la  certezza  in  noi  il  mostrarsi  dell'oggetto  alla 
niente  nostra;  e  solo  quando  1'  oggetto  si  fa  in  noi  vedere,  il  Savonarola  dice 
che  noi  siamo  certi;  e  non  altrimenti. 

Il  nostro  Frate  ripete  continuamente  che  scienza  è  cognizione  certa,  cioè 
cognizione  di  cosa  conosciuta  con  chiara  evidenza;  e  soggiunge  non  si  dover 
dire  che  altri  sappia  alcuna  cosa,  se  chiaramente  essa  cosa  non  gli  sia  manifesta 
ed  ei  v'aderisca  fermamente  senza  timore  alcuno  della  falsità  del  contrario.  La 
certezza  che  è  nella  scienza  e  nell'  intelletto  il  Savonarola  dice  che  proviene 
dall'evidenza  delle  cose  che  noi  diciamo  esser  certe,  e  insegna  egli  con  San  Tom- 
maso {Somma  Tedi.  p.  I  qu.  85  a.  3)  che  tanto  più  nota  è  una  cosa  quanto 
più  universale  e  comune.  <  Tra  tutte  le  cose  (scrive  nel  Compendio  di  Filosofia) 
la  più  comune  è  1'  ente  che  di  tutte  le  cose  si  afferma  ed  è  concepito  dall'  in- 
telletto come  la  cosa  più  nota.  Tutte  le  altre  cose  sono  maggiori  o  minori 
spiegazioni  e  determinazioni  dell'  ente  ;  e  perciò  1'  ente  bisogna  che  sia  indi- 
stintissimo e  per  conseguenza  a  noi  notissimo,  onde  da  esso  bisogna  inco- 
minciare ».  E  inutile  che  io  citi  passi,  si  legga  il  Compendio  citato,  si  leggano 
le  prediche,  quali  si  voglia,  e  subito  si  vedrà  che  noi  abbiamo  completa  ra- 
gione. 

Ma  forse  mi  domanderete  in  che  propriamente  consista  questa  evidenza 
oggettiva.  Ecco,  per  il  Savonarola,  come  per  San  Tommaso  e  per  tutti  gli  sco- 
lastici, è  un  lume  oggettivo.  Adunque  l'intelletto  nostro  nella  teorica  del  Savo- 
narola non  genera,  nò  forma  l'intelligibile,  ma  ne  è  informato;  non  pone  l'es- 
sere, non  crea  la  verità;  ma  la  apprende.  L'  uomo  conosce  e  si  fa  certo  perchè 
gli  esseri  a  lui  si  mostrano  chiusi  e  parventi  nella  propria  luce.  Se  gli  enti  fos- 
sero tenebrosi,  egli  non  li  vedrebbe:  Or  questo  è  soggettivismo?! 

Ma  andiamo  oltre  un  altro  passo. 

Dalle  cose  dette  appare  che  il  Savonarola  ammette  non  pure  una  verità 
prima  ed  assoluta,  ma  varie  specie  di  verità.  Le  verità  per  Frate  Girolamo  de- 
vono necessariamente  essere  tante  quanti  sono  gli  ordini  degli  esseri,  tante 
quanti  sono  gli  enti.  E  gli  ordini  degli  enti  per  il  filosofo  Ferrarese  son  tanti 
quanti  sono  per  lutti  i  filosofi  e  i  teologi  del  callolicismo.  Per  il  nostro  scopo 
presente  ci  basti  accennare  la  grande  divisione  di  verità  naturale  e  di  verità 
rivelata.  Suddividendo,  il  Savonarola  ammette  poi  la  verità  che  ci  si  manifesta 
alla  luce  del  sole;  quella  che  ci  è  fatta  palese  al  lume  naturale  dell'intelletto, 
quella  che  vediamo  al  lume  soprannaturale  della  fede,  quella  che  si  manifesta 
al  lume  della  gloria;  e  finalmente  quella  che  è  aperta  al  lume  di  Dio. 

Che  questi  ordini  di  verità  ammettesse  Fra  Girolamo,  stanno  a  provarlo 
tutte  le  sue  opere,  e  segnatamente  il  Trionfo  della  Croce.  È  poi  impossibile, 
anche  a  voler  essere  protervi  al  sommo  grado,  il  mettere  in  dubbio  che  con 
questa  dottrina  Fra  Girolamo  non  facesse  reale,  oggettivo,  esistente  in  sè 
questo  e  quelP  ordine  di  verità.  Per  le  verità  rivelate  questo  è  tanto  certo, 


—  429  - 


juanto  è  certa  l'incarnazione  del  Verbo,  l'esistenza  di  Cristo,  Uomo-Dio, 
rivelazione  sostanziale  e  soggetto  di  tutte  le  Scritture  e  di  tutta  la  tradizione 
cattolica.  E  posto  ciò,  per  dire  poi  che  il  Savonarola  non  facesse  realmente 
esistente  l'oggetto  delle  cognizioni  razionali  e  delie  altre  specie  di  cognizioni 
enumerate,  bisognerebbe  essere  pazzi  della  peggiore  specie.  Fra  Girolamo 
come  ammette  1'  oggettività  del  vero  e  dell'  essere  in  genere,  cosi  fa  dei  veri 
e  degli  esseri  in  ispecie. 

Il  nostro  Frate  ammetteva  e  sapeva  tener  assai  ben  distinte  l'una  dal- 
l' altra  la  cognizione  nello  stato  di  via  e  la  cognizione  in  patria,  la  cogni- 
zione di  scienza  dalla  cognizione  di  sapienza,  la  cognizione  di  ragione  e  la 
cognizione  di  fede:  ammetteva  e  sapeva  tener  assai  ben  distinte  l'una 
dall'altra  tutte  queste;  ma  ammetteva  del  pari  come  realmente  esistenti  e 
distinti  l'uno  dall'altro  i  lumi  di  tali  cognizioni,  li  ammetteva  realmente  esi- 
stenti e  tutti  li  faceva  necessarj  e  provenienti  da  Dio  datore  di  ogni  lume. 
«  Non  è  un  solo  lume  ordinato  da  Dio,  ma  son  più  lumi,  come  dice  San  Giaco- 
ino  nella  sua  Epistola  (cap.  I.  v.  17):  Ogni  buon  dato  e  ogni  perfetto  dono 
viene  di  sopra,  scendendo  dal  Padre  dei  lumi.  Il  lume  primo  è  il  lume  di  Dio, 
poi  è  il  lume  dei  beati,  quindi  il  lume  della  fede,  segue  il  lume  dell'intelletto  e 
finalmente  la  luce  corporale.  Dio  è  il  padre  dei  lumi.  Da  Dio  vengono  tutti 
questi  lumi  e  ognuno  di  essi  ha  un  ufficio  ed  un  oggetto  proprio. 

«  Cinque  trovo  essere  i  lumi.  Il  primo  è  il  lume  corporale,  cioè  il  sole;  il 
secondo  è  il  naturale,  cioè  dell'  intelletto;  il  terzo  è  il  soprannaturale,  cioè  della 
fede;  il  quarto  è  il  lume  della  gloria,  cioè  dei  beati;  il  quinto  è  il  lume  eterno 
di  Dio.  Il  primo  si  manifesta  all'  occhio,  e  quando  il  lume  v'  è,  1'  occhio  non 
s' inganna.  Se  tu  dimandassi  uno  perchè  è  rosso  quel  colore,  lui  non  saprebbe 
dartene  ragione;  ma  1'  occhio  ha  evidenza  certa  e  conosce  la  differenza  del 
rosso  e  del  bianco,  e  avendo  la  luce,  non  può  essere  ingannato.  Cosi  l'intel- 
letto ha  evidenza  e  sa  naturalmente  i  primi  principj,  come  :  credere  Iddio  e 
amarlo  e  far  bene  e  non  male,  e  simili;  e  conosce  queste  cose  naturalmente, 
benché  non  ne  sa  ragione  alcuna,  ma  lo  sa,  perchè  ne  ha  evidenza  come  due 
e  due  fanno  quattro.  Di  sopra  sono  quei  due  lumi,  l'uno  dei  beati  e  1'  altro  di 
Dio;  e  questi  hanno  evidenza  ferma  e  chiara.  Il  lume  della  fede  sta  in  questo 
mezzo,  il  quale  non  ha  evidenza  che  sappiamo  come  è  fatta  la  Trinità,  e  come 
Cristo  è  Dio  e  uomo.  Ma  benché  tu  non  sappia  questa  ragione,  tuttavia  sai  che 
è  vero  e  certo  e  ne  hai  una  certa  evidenza;  e  la  causa  di  ciò  viene  dal  lume 
della  fede,  perchè  ha  quella  natura,  come  la  pietra  ha  natura  di  andare  al  cen- 
tro, e  il  fuoco  e  le  cose  leggiere  di  andare  in  su  ».  (VII  sopra  Giobbe  e  XV  so- 
pra i  Salmi.) 

E  questi  lumi,  ognuno  di  questi  lumi,  ha  un  oggetto  suo  proprio,  per  guisa 
che  chi  ne  manca  s'affaticherebbe  inutilmente  alla  conoscenza  di  tali  ordini  di  ve- 
rità. Basta  a  mostrar  ciò  tra  i  mille  luoghi  che  potrei  addurre  un  luogo  della 
predica  II  sopra  Ezechiele:  «  Vien  qua,  savio:  l'occhio  tuo  vede  qua  i  colori  per 
un  poco  di  luce;  cresci  la  luce  del  sole,  vedrai  meglio;  cresci  più,  vedrai  ancora 
meglio  i  colori.  Ma  credi  tu,  se  crescessi  assai  più  il  sole  e  la  luce,  che  1'  oc- 


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chio  potesse  pervenire  alla  cognizione  della  sostanza?  non  mai.  E  però,  se  l'oc- 
chio volesse  fare  questa  operazione  dello  intelletto,  direbbe  lo  intelletto:  Oc- 
chio, tu  sei  pazzo,  tu  non  puoi  uscire  dalle  cose  sensibili  e  dai  colori;  e  quello 
è  il  termine  tuo,  ne  puoi  andar  più  in  là.  Dimmi,  savio,  come  intendi  tu  che  sia 
un  angelo?  è  egli  quadro,  tondo,  grande,  piccolo?  non  lo  puoi  sapere,  perchè 
eccede  il  termine  del  tuo  intelletto  nella  vita  presente.  Così  l' intelletto  del 
beato,  se  volesse  intendere  quanto  intende  Dio,  non  può,  perchè  vorrebbe  uscire 
dai  suoi  termini.  Così,  se  la  vecchierella  volesse  riprendere  il  filosofo,  non  si 
farebbe  beffe  il  filosofo  di  lei?  Così  adunque  il  tuo  lume,  o  savio,  non  passa  le 
cose  naturali  e  non  va  più  in  su  alto.  Il  lume  della  fede  va  più  in  su  che  non 
va  il  tuo,  e  però,  volendoci  tu  riprendere,  noi  ci  faremo  beffe  de'  fatti  tuoi,  come 
fa  il  filosofo  della  vecchierella.  Se  gli  è  qua  un  modello  d'una  casa,  tu  vedi 
quegli  uomini  piccini  e  quelle  camere  piccole:  se  uno  dicesse:  queste  stanze 
piccole  e  questi  uomini  piccini  non  stanno  bene,  sarebbe  pazzo:  così  chi  vo- 
lesse riprendere  queste  figure  de'  Profeti  sarebbe  pazzo.  Ma  colui  che  ha  il 
lume  divino  vede  in  queste  figure  il  modello  di  Dio,  cose  misteriose  e  grandi  ; 
però  le  crede  e  le  stima  assai;  e  però  vi  ho  detto  che  bisogna  che  crediate 
prima  che  questo  sia  modello  di  Dio,  e  ho  detto:  nisi  credideritis,  non  intellige- 
tis:  se  voi  non  crederete  non  intenderete.  Dice  ancora  un' altra  lettera:  Nonper- 
manebitis,  cioè  se  voi  non  crederete,  non  permanerete  nella  buona  vita:  guarda 
bene  e  vedrai  questo  segno:  che  quegli  che  non  crede  subito  cade  nel  dir  male 
e  lascia  la  buona  vita:  orsù  questo  è  il  modello  di  Dio.  Che  caveremo  di  qua  ? 
Cuarda  che  il  filosofo  considera  un  animale  se  ha  fronte  larga,  I'  occhio  nero, 
guarda  il  naso,  guarda  tutti  gli  accidenti,  e  da  questa  cognizione  degli  accidenti 
penetra  alla  cognizione  della  sostanza  e  alle  sue  proprietà  e  dice:  Egli  è  col- 
lerico o  sanguineo,  e  cosi  forma  la  definizione.  Così  colui  che  ha  il  lume  so- 
prannaturale va  investigando  queste  figure  e  considera,  verbigrazia,  il  vento  e 
la  sua  natura,  il  fuoco  e  così  le  altre  cose:  e  cava  con  quel  lume  della  fede 
per  quelle  proprietà  di  queste  figure  un  tesoro  grande.  Ma  nota,  che  nei  filo- 
sofi sono  stati  due  grandi  lumi  naturali,  ma  non  hanno  poi  evacuato  ogni  cosa: 
dico  di  Aristotile  e  di  Platone.  Onde  dice  Aristotile:  Minimum  est  quod  sciinus: 
magnimi  quod  ignoramus  ».  (Cfr.  la  pred.  X  sopra  Ruth  e  Michea.) 

Nè  questo  basta  per  Girolamo  Savonarola;  imperocché,  oltre  all'insegnare 
che  a  veder  la  verità  si  richiede  il  lume,  oltre  all'ammettere  quale  criterio 
della  verità  l'evidenza  oggettiva,  ammette  ancora  delle  verità  concrete,  de'prin- 
cipj  per  giudicare  di  tutte  le  singole  verità  contenute  nei  varj  ordini.  Così  in  logica 
egli  ammette  come  principio  supremo  il  principio  di  contradizione:  in  morale 
il  principio:  —  Si  deve  fare  il  bene  e  fuggire  il  male,  — o  anche,  —  fare  il  bene 
patire  il  male  e  così  perseverare  sino  alla  fine.  —  Nelle  cose  di  fede  il  suo  prin- 
cipio supremo  è  il  seguente:  Credere  tutto  quello  che  si  contiene  nella  Sacra 
Scrittura  e  tutto  quello  che  in  passato  insegnò  e  al  presente  insegna  ed  inse- 
gnerà in  futuro  la  Chiesa  Cattolica  ;  o:  La  nostra  fede  tiene  per  vero  tutto  quello 
che  è  contenuto  nelle  Sacre  Lettere,  cioè  nei  Libri  i  quali  dai  nostri  dottori  si 
domandano  del  Canone  e  tutto  quello  che  insino  a  qui  ha  determinato  la  Santa 


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Romana  Chiesa  e  per  l'  avvenire  determinerà  che  si  debba  credere.  —  (Gfr. 
Semplicità  della  Vita  Cristiana,  conci.  I).  (') 

Posta  questa  dottrina  teologica  e  filosofica  già  mi  par  lecito  argomentare 
a  priori  non  esser  possibile  che  Fra  Girolamo  cadesse  nel  soggettivismo  di  Hus. 
Questo  importerebbe  una  conti-adizione  inesplicabile;  ed  io  non  trovo  che  Fra 
Girolamo  si  contradicesse  punto.  Egli  vedeva  ognora  armonizzanti  i  vari  lumi, 
e  i  veri  eh'  essi  ci  mostrano.  Anzi  questo  principio  fu  a  lui  famigliarissimo  e 
gli  diede  somma  utilità. 

Che  cosa  importi  1'  essere  soggettivista  alla  maniera  di  Huss  il  Pastor 
non  lo  dice,  in  questo  III  volume,  ma  non  è  tuttavia  diffìcile  a  capirlo  e  si  può 
forse  in  qualche  guisa  argomentare  dal  cenno  sopra  questo  eretico  che  si  legge 
nel  volume  II.  —  Importa,  questo  soggettivismo,  l'anteporre  la  persuasione  per- 
sonale al  comando  esterno  del  superiore.  —  E  poi  noto  del  resto  che  quest'ere- 
tico, citato  al  Concilio  di  Costanza,  vantavasi,  che,  giunto  colà,  persuaderebbe  i 
Padri;  e,  se  al  contrario  essi  convincessero  lui  di  un  solo  errore  di  fede,  as- 
sentiva di  subir  le  pene  destinate  agli  eretici. 

E  al  Concilio,  essendosi  scoperto  il  veleno  delle  sue  dottrine,  gli  furon  po- 
sti in  faccia  trentanove  articoli,  perchè  li  abiurasse  sottomettendosi  alla  deci- 
sione dei  Padri.  Ma  egli  rispose  che  quelli,  tra  si  fatti  articoli,  che  gli  apparte- 
nevano credeva  verità;  e  ch'era  pronto  a  morire  prima  che  rinnegare  la  propria 
coscienza;  e  mori  infatti  protervo.  (2) 

E  adunque  questo  una  specie  di  soggettivismo  ristretto  al  campo  eccle- 
siastico, che  erigerebbe  a  giudice  della  fede  e  delle  norme  della  vita  il  convin- 
cimento privato,  la  coscienza  d'  ognuno,  anzi  che  1'  autorità  del  Pontefice  e 
della  Chiesa.  Perciò  l'accusa  vorrebbe  che  Girolamo  Savonarola  si  costituisse 
egli  giudice  della  fede,  piuttosto  che  rimettersi  umilmente  al  Papa;  e  che  non 
fosse  pronto  a  sottomettersi  mai,  se  la  sua  coscienza  individuale  e  il  suo  giudi- 
zio privato  non  gli  diceva  che  bisogna  sottomettersi. 

Ha  nulla  di  vero  questa  accusa?  Nulla:  imperocché  suppone  quello  che 
non  è  in  alcun  modo.  La  teorica  che  qui  segue  Fra  Girolamo  è  perfettamente 
analoga  a  quella  che  egli  professa  in  genere  nel  campo  della  Filosofia  e  della 
Teologia.  Per  veder  ciò,  basta  che  noi  osserviamo  che  cosa  richiedesse  ne'  casi 
accennati  nel  capitolo  passato,  perchè  sia  lecito  o  doveroso  non  obbedire  ed 
opporsi  al  comando  de'  superiori  ecclesiastici  e  anche  del  Papa. 

Per  Fra  Girolamo  adunque  a  ricusare  obbedienza  non  basta  che  il  co- 
mando sia  oltre  a  ciò  che  si  è  obbligati,  o  contro  la  carità  o  contro  al  van- 
gelo o  a  Dio,  ma  è  necessario  ancora  che  ciò  appaia  evidente;  voglio  dire: 
è  necessario  un  lume  oggettivo,  un  lume  che  mostri  al  nostro  intelletto  la 


(')  Da  non  poche  prediche  si  raccoglie  poi  che  principio  sapremo  del  Savonarola  era 
quello  che  impone  alla  creatura  ragionevole  di  riconoscere  l'ordine  da  Dio  stabilito  e  non 
far  mai  nulla  contro  il  medesimo.  Vedi,  per  esempio,  la  predica  XXII  sopra  Ruth  e  Michea, 
e  la  V  sopra  Amos  e  Zaccaria. 

(')  Cantù,  Storia  Universale.  IX  edizione  Torinese;  tomo  IV,  pag.  176. 


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cosa  manifestamente,  sì  che  non  sia  possibile  in  noi  alcun  dubbio  dell'op- 
posto. È  necessario  in  altri  termini  che  la  sentenza  che  dice  essere  il  co- 
mando del  superiore  contrario  alla  fede  sia  pronunciata  dal  lume  della  fede, 
dalla  verità,  da  Cristo,  e  pronunciata  in  modo  indubbio,  sicché  la  vediamo 
non  solo  noi,  ma  tutti  quelli  che  hanno  il  lume  della  fede  e  della  verità  e  co- 
noscono la  legge  di  Dio.  Sentiamo  il  Frate.  E  prima  di  lutto  trascrivo  qui  pro- 
prio come  stanno  due  luoghi  che  si  leggono  nelle  prediche  I  e  XLV1II  sopra 
Amos  e  Zaccaria;  e  lo  faccio  perchè  le  parole  citate  dal  Pastor  non  sono  le 
parole  testuali  del  Frate;  il  Pastor  le  trascrisse,  non  avendo  visto  le  Opere 
del  Savonarola,  dalla  pagina  424  del  Villari  (Ed.  1887  voi.  I)  dov'  è  sempli- 
cemente raccolto  il  senso  de'  due  passi;  e  per  giunta  trascrive  lasciando  il 
testo  allegato  e  tratto  dal  cap.  IV  degli  atti  degli  Apostoli:  motto  che  ha  pur 
la  sua  importanza:  «  È  scritto  che  bisogna  obbedire  piuttosto  a  Dio  che  agli 
uomini  ».  In  questo  sunto  ove  trattavasi  nientemeno  che  infliggere  al  Savona- 
rola la  terribile  condanna  di  eretico  ussita,  era  necessario,  più  che  altra  volta, 
prender  le  sue  parole  tali  e  quali.  Ecco  dunque  le  parole  di  Frate  Girolamo. 

«  Le  chiavi  con  le  quali  la  Chiesa  solve  e  lega  dico  che  hanno  potestà  di 
poter  comandare  a  ciascuno;  e  io  son  sempre  preparato  alla  obbedienza  della 
Romana  Chiesa,  e  sottomeltorni  ad  ogni  suo  comandamento,  e  dico  che  sarà 
dannalo  chi  non  obbedirà  alla  Santa  Romana  Chiesa.  Sicché  son  preparato  a 
ogni  obbedienza  della  Romana  Chiesa,  eccetto  quando  comandasse  contro  Dio, 
o  contro  la  carità;  il  che  non  credo;  ma  quando  lo  facesse,  direi  allora:  tu  non 
sei  Romana  Chiesa;  tu  sei  uomo,  e  non  sei  Pastore,  perchè  il  Pastore  non  co- 
manda contro  Dio,  o  contro  alla  carità;  e  direi  allora:  tu  erri.  Sicché  io  mi 
sottometto  alla  Chiesa  Romana  e  alla  obbedienza  di  quella;  eccetto,  come  ti  ho 
detto,  se  la  comandasse  coDtro  a  Dio  o  alla  carità;  la  qual  cosa  non  può  fare 
la  Romana  Chiesa,  ma  sì  bene  gli  uomini  della  Romana  Chiesa;  e  sappi  che  io 
non  sono  obbligato  a  obbedire  al  Papa,  quando  comandasse  contro  la  nostra 
professione  senza  causa  ■».  (XLVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria.) 

*  Ogni  volta  che  si  potesse  vedere  espressamente  che  i  comandamenti  de' 
superiori  sono  contrarj  ai  comandamenti  di  Dio,  e  massime  al  precetto  della 
carità,  niuno  dovrebbe  obbedire  in  questo  caso;  perchè  gli  è  scritto:  Oportet 
magis  obcedire  Beo  quam  hominibus,  e'  bisogna  obbedire  piuttosto  a  Dio  che 
agli  uomini:  avvegnaché  quando  non  fosse  chiaro,  ma  dubbio,  che  il  coman- 
damento del  superiore  fosse  contrario  al  comandamento  divino,  crederei 
in  questo  caso,  che  si  dovesse  seguitare  il  giudicio  del  superiore.  Avendo 
dunque  noi  tutti  comandamento  da  Dio  della  carità  fraterna  che  ciascheduno 
abbia  cura  della  salute  del  suo  prossimo,  dicendo  il  savio  nell'  Ecclesiastico: 
Mandavit  illis  unicuique  de  proximo  suo,  quando  io  vedessi  espressamente, 
che  il  mio  partire  d'una  città  fosse  ruina  spirituale  e  corporale  del  popolo, (4) 

(')  San  Tommaso  nella  citata  iju.  96  della  parte  l-II,  art.  6  ad  2'°  ritiene,  come  il  Savona- 
rola, che  si  possa  seguire  l'intenzione  della  leggo  e  nonle'parole  e  interpretar  oosi  la  legge 

nel  caso  in  cui  2  manifesto  per  V  evidenza  del  nocumento  (la  rovina  corporale  o  spirituale  del  po- 
polo, secondo  il  Savonarola),  che  il  legislatore  ha  avuto  altra  intenzione. 


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non  obbedirei  a  uomo  vivente  che  mi  comandasse  che  io  mi  partissi.  Sì  perchè 
il  suo  comandamento  saria  contrario  al  comandamento  divino,  si  perchè  io 
presumeria  che  quella  non  fosse  l' intenzione  del  mio  superiore,  sapendo  che 
è  piuttosto  da  obbedire  alla  intenzione  della  legge  che  alle  parole  ».  (Sopra 
Amos  e  Zaccaria,  pred.  I.) 

Trascriviam  qualche  altro  passo:  lo  possiamo  fare  senza  uscire  del  Qua- 
resimale che  abbiamo  alle  mani.  Nella  predica  XXIX  tra  molte  altre  cose  che 
vedremo  poi,  si  leggono  le  seguenti  espressioni:  «  Quando  fosse  fatto  coman- 
damento a  uno,  al  quale  lui  obbedendo  ne  seguiteria  la  ruina  del  ben  comune 
di  una  città  e  della  salute  delle  anime,  posto  che  questo  fosse  manifesto,  non  si 
dovria  per  modo  alcuno  obbedire,  perchè  è  manifesto  che  non  vi  può  esser 
maggior  errore  che  lasciar  minare  una  città  e  lasciar  le  anime  in  maro  dei 
cattivi.  —  Tu  dirai  che  potrebbe  fare  così  ognuno,  e  così  niuno  obbedirla  alla 
sentenza  de' superiori.  —  Rispondo  che  quando  l'errore  della  sentenza  non  è 
manifesto,  si  deve  osservare  la  sentenza  per  non  dare  scandalo  al  prossimo.... 
ma  quando  gli  è  errore  manifesto  e  notorio  e  il  superiore,  persuaso  dai  cattivi 
facesse  un  comandamento  al  quale  obbedendo  ne  seguisse  manifesto,  intolle- 
rabile errore,  dico  che  non  si  deve  osservarlo,  e  non  solamente  non  siete 
tenuti,  ma  non  dovete  obbedirlo,  perchè  obbedendo  fareste  contro  il  coman- 
damento di  Dio,  e  non  obbedendo  non  è  scandalo  niuno:  perchè  si  sa  l'errore 
della  sentenza  ». 

E  nella  predica  XXVII  prevedendo  P  obiezione  di  coloro  che  avesser  po- 
tuto immaginarsi  che  egli  predicasse  contro  il  comando  del  Papa,  dice:  «Ioti 
voglio  cavar  questo  scrupolo  :  e'  non  lì  è  venuto  comandamento  nessuno,  ma 
io  gli  ho  scritto,  e  voglio  che  tu  sappia  che  stante  le  cose  come  stanno,  non  si 
può  fare  tale  comandamento,  perchè  sarìa  dissipamento.  Oh  !  —  ta  dirai:  —  Tu 
non  l'hai  a  giudicare  tu. — Io  ti  rispondo  che  quando  la  cosa  è  per  se  nota,  non 
ha  bisogno  di  più  giudizio.  E'  non  è  donnicciola  qua  che  non  sappia  che  tal  co- 
mandamento  sarìa  contro  la  utilità  della  vigna,  e  in  distruzione  della  città  di  Fi- 
renze. Ma  è  ben  vero  che  quando  io  dubitassi  se  tal  comandamento  fosse  con- 
tra  la  vigna  o  no,  io  debbo  inclinare,  e  pigliare  la  parte  del  superiore.  Ma  di  questo 
io  non  ne  sono  punto  dubbio,  ma  ne  sono  chiaro.  Io  non  posso  credere  che  venga  tale 
comandamento,  perchè  io  so  che  sono  savj,  e  che  non  vorranno  credere  alle 
persuasioni  false.  Io  1'  ho  scritto  che  noi  posson  fare,  e  ho  scritto  con  ragioni 
alle  quali  non  si  può  rispondere  a  nessun  modo.  —  Oh  adunque  tu  ti  persuadi 
molto,  Frate,  e  parti  essere  molto  savio  !  —  Io  non  dico  così:  ma  le  cose  sono  per 
si  patenti,  e  molto  chiare,  si  chè  non  credo  che  si  movano  a  fare  alcun  coman- 
damento; ma  potrebbero  pure  farlo,  se  credessero  agli  scribi  e  ai  farisei!  —  E 
se  in  questo  caso  e' venisse,  obbediresti  tu?  —  Io  ti  dico  cosi,  che  quando  il 
Papa  fosse  persuaso  da  false  persuasioni  de' farisei,  e  facesse  il  comanda- 
mento che  non  si  predicasse,  io  non  obbedirei  alle  parole,  ma  sì  bene  alla  in- 
tenzione. Io  non  credo  che  lo  facesse,  ma  pure  se  lo  facesse,  essendo  tal  co- 
mandamento confra  la  coltura  della  vigna,  e  indotto  da  false  persuasioni 
de' farisei,  io  farei  quello  che  ho  detto  ». 

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Chi  avesse  scrupolo  ad  ammetter  questa  teoria,  legga  gli  articoli  già  ci- 
tati di  San  Tommaso,  (I — li,  qu.  96,  a.  4  e  6)  e  svanirà  ogni  dubbio. 

E  ciò  che  il  Savonarola  pretende  per  il  comando  in  genere,  così  pretende  per 
la  scomunica,  che  è  un  comando  particolare;  bastino  a  provarlo  la  predica  or  ora 
citata  e  la  XXIX  sopra  Amos.  In  quella  il  Frate  per  mostrarci  che  la  scomunica,  la 
quale  contiene  un  intollerabile  errore,  è  lecito  (se  non  sia  il  caso  di  andar  sen- 
z'  altro  contro  un  comandamento  di  Dio)  trasgredirla  solo  quando  quest'  errore 
è  manifesto  e  notorio,  cita  1'  esempio  seguente:  «  Se  una  poverella,  che  non  abbia 
il  modo  a  pagare,  e  credendosi  che  l'abbia  il  modo,  sia  scomunicata,  s'ella  non 
paga;  dico  che  quanto  a  Dio  non  è  scomunicata;  ma  deve,  per  non  scandalizzare  il 
prossimo,  starsi,  e  non  andare  alla  messa,  perchè  questo  è  errore  occulto  ».  E 
nella  predica  III  sopra  l'Esodo  dice  parimente:  «  0  Padre,  dicono  pure  li  ca- 
noni, che  quando  1'  errore  fosse  occulto,  che,  benché  la  scomunica  fosse  ingiu- 
sta, si  deve  temere.  —  Questo  è  vero;  così  per  esempio,  se  tu  fossi  scomunicato 
per  non  aver  dati  cento  ducati  a  uno:  del  quale  in  verità  tu  non  fossi  debi- 
tore, ma  tu  fossi  creduto  debitore  universalmente  da  ognuno  ;  allora  tu  devi 
osservarla,  cioè  non  andare  a  messa  per  non  dare  scandalo  al  prossimo.  Ma 
se  questo  credere  d'  ognuno  non  fosse,  e  che  tu  avessi  giustificata  pubblica- 
mente la  causa  tua,  dico  così,  che  allora  tu  non  1'  hai  da  temere,  nè  sei  ob- 
bligato ad  osservare  la  scomunica,  poiché  egli  è  levato  lo  scandalo:  e  vieni  a 
me,  che  in  tal  caso  ti  comunicherò  ». 

Or  dov'è  qui  il  soggettivismo  dell'Huss?  Si  può  credere  in  buonafede  che 
il  Savonarola  colle  parole  trascritte  dal  Pastor,  e  con  le  altre  che  trascrissi 
io,  intendesse  di  significarci  una  evidenza  puramente  e  semplicemente  dell'in- 
telletto suo,  come  tale,  indipendentemente  dal  lume  della  ragione  e  fede?  Si  può 
credere  che  il  dotto  teologo  confondesse  malamente  evidenza  con  certezza?  No, 
non  lo  si  può  credere,  e  chi  lo  credesse  sarebbe  in  un  inganno  solenne!  Questo 
non  voleva  il  Frate.  Egli  pretende  che  1'  evidenza  piova  neh'  intelletto  puro 
dalla  cosa  veduta  o  intesa;  e  quando  si  tratta  di  verità  di  fede,  vi  piova  per 
il  lume  della  fede.  Quindi  egli  non  acconsentirà  mai  che  il  suddito  possa  ribel- 
larsi ad  un  ordine  esterno  del  superiore  se  non  quando  questo  sia  contrario 
non  ad  una  opinione  personale  di  quello,  ma  contrario  evidentemente  alla  fede 
e  alla  vita  cristiana.  E  questo  non  è  per  nessun  modo  soggettivismo  di  Huss. 

Intendiamoci  ancora  una  volta:  qual  è  la  nozione  di  evidenza?  A  me 
piace  assai  lo  Zigliara  quando  dice  :  «  Evidente  è  parola  comunissima  il 
cui  significato  s'intende  da  tutti  più  chiaramente  che  non  si  possa  spie- 
gare. Infatti  siamo  pur  soliti  di  dire:  Che  v'ha  di  più  evidente  di  questo? 
E  così  parlando  intendiamo  di  dire  che  la  cosa  è  aperta  e  manifesta,  visibile 
ad  ognuno  die  la  intuisca,  così  chè  intorno  ad  essa  sia  necessario  che  tutti 
convengano.  In  altre  parole,  la  cosa  è  evidente  per  1'  evidenza,  come  è  vera 
per  la  verità,  buona  per  la  bontà,  lucida  per  la  luce.  Adunque  l'evidenza  presa 
astrattamente  è  la  perspicuità  della  verità  alla  mente  conoscente.  —  Niente  di 
più  chiaro  che  ivxpyda.,  come  la  dicono  i  Greci,  o  perspicuità  o  evidenza  come 
la  diciamo  noi.  — (M.  T.  Cicerone,  lib.  II,  Acad.  Prior.,  Cap.  VI).  La  quale  evi- 


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denza  si  chiama  anche  lume  oggettivo,  per  metafora  presa  dalla  luce  corporea 
manifestativa  de'  corpi.  Il  lume,  dice  San  Tommaso,  P.  1,  Qu.  106,  a.  1, 
per  ciò  che  s'  appartiene  all'  intelletto  non  è  altro  che  una  certa  manifesta- 
zione della  verità.  L'  evidenza  oggettiva  poi  si  dice  la  perspicuità  della  cosa 
risplendente  alla  mente.  Questo  è  il  significato  di  evidenza  oggettiva,  che  è 
poi  causa  della  soggettiva,  che  è  la  chiara  percezione  dell'  oggetto  medesimo 
presente  all'intelletto  per  la  evidenza  oggettiva  ».  (Somma  Filosofica,  I,  54.)  Ora 
è  possibile  di  dubitare  che  così  proprio  la  pensasse  Fra  Girolamo?  Ma  allora 
che  valore  potrebbero  avere  le  espressioni:  esser  chiaro,  esser  manifesto  e  no- 
torio, cose  per  se  'patenti  e  molto  chiare,  cosa  per  sè  nota,  e  vedere  espressa- 
mente? Se  qui  non  si  descrive  1'  evidenza  oggettiva  e  la  certezza  che  dalla  evi- 
denza oggettiva  proviene,  con  quali  altre  espressioni  la  si  potrà  descrivere  ?  A 
me  pare  che  nemmeno  a  voler  prolervire  non  si  possa  affermare  il  contrario 
da  nessuno;  e  chi  l'afferma,  lo  ripeto,  o  delira,  o  ha  la  mente  ad  altro,  o  be- 
stemmia ciò  che  ignora. 

Pretendereste  forse  che  i  superiori  ecclesiastici  insegnando  ingenerino  in 
noi  proprio  cosi  il  lume  della  fede?  Certo,  senza  la  parola  sensibile  secondo 
1'  ordine  stabilito  da  Cristo  quando  istituì  la  sua  Chiesa,  non  si  crede  a  ciò 
che  Cristo  medesimo  c'insegna  per  mezzo  della  sua  Chiesa;  ma  pensate  che 
la  fede  dipenda  da  chi  ce  la  predica  e  insegna  e  che  perciò  la  parola  de'  su- 
periori sia  proprio  e  senza  meno  la  norma  e  la  ragione  del  credere,  la  ca- 
gion  formale  della  fede?  Non  saremmo  d'accordo  con  voi,  nè  voi  sareste 
cattolici. 

«  E  stata  lunga  questione  tra  i  filosofi  ed  ancora  è  tra  questi  naturali, 
cercando  donde  vengano  le  forme  delle  cose  :  e  segnatamente  cercano  del- 
l'anima che  è  forma  del  corpo  dell'  uomo  donde  la  venga.  (*)  I  Platonici  dicevano 
che  le  forme  vengono  dalle  idee,  le  quali  dicevano  imprimere  qui  la  forma  nel 
corpo  come  fa  il  sigillo  nella  cera.  Altri  dissero  che  queste  forme  sono  ascoste 
negli  agenti  naturali,  e  che  della  materia  di  questi  agenti  uscivano  le  forme: 
e  questa  opinione  non  è  ben  detta.  Altri  dissero  che  la  materia  è  come  la  terra 
del  figolo,  e  che  alla  materia  che  lui  ha  innanzi  gli  può  dare  che  forma  e' vuole. 
Altri  hanno  detto  che  dalla  intelligenza  superiore  vengono  le  forme,  che  le  im- 
prime nelle  cose  come  le  piace.  Alcuni  dissero  che  la  scienza  delle  cose  è  nel- 
l'anima nostra  innanzi  che  ella  entri  nel  corpo;  ma  come  ella  entra  qua,  come 
in  uno  oscuro  carcere,  ch'ella  si  dimentica  ogni  cosa  ;  ma  che  di  poi  crescendo 
il  corpo  e  purificandosi  a  poco  a  poco  la  si  viene  ricordando.  Aristotile  disse, 
e  bene,  che  nell'  intelletto  nostro  è  un  certo  lume  naturale,  che  lo  chiamano 
intelletto  agente,  che  illustra  i  fantasmi  e  similitudini  poste  nella  fantasia  del- 
l'uomo^2) e  rimove  gli  impedimenti  che  impediscono:  e  incontanente  l'intelletto 
resta  informato  di  quello  che  cerca  di  sapere.  Colui  che  insegna  non  dà  il  lume 
naturale  al  discepolo,  ma  solo  Dio  gli  ha  dato  quel  lume  e  la  fantasia.  Colui 


(')  V.  San  Tommaso,  Somm.  Teol,  P.  I.  qu.  45,  a.  8,  qu.  65,  a.  4,  qu.  110,  a.  2,  etc. 
(2)  V.  San  Tommaso,  Somma  Teol.,  P.  I,  qu.  85,  a.  1,  ad  tm. 


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che  insegna  fa  solo  questo  clie  dispone  e  ordina  le  parole  sue,  le  quali  per- 
venute alla  fantasia,  mediante  il  lume  suo  che  lui  ha,  s' imprimono  nell'  intel- 
letto ;(')  e  sì  come  il  medico  è  ministro  della  natura,  così  colui  che  insegna  è 
ministro  ed  instrumento  che  porge  alla  tua  fantasia  le  cose  ordinatamente, 
come  fa  il  medico  le  medicine  all'infermo.  Noi  siamo  instrumenti  ad  inse- 
gnare ;  e  siamo  come  la  sega  che  è  instrumento  del  prudente  segatore  a  far 
l'opera  che  lui  vuol  fare.  Solo  Cristo  è  quello  che  dà  il  lume  da  vedere  e  da 
intendere  le  cose  ».  (Sopra  Giobbe,  pred.  XXXVI.) 

A  questo  riguardo  in  Fra  Girolamo  abbiamo  delle  pagine  auree:  eccone 
una,  che  può  bastare  per  tutte,  tratta  dal  sermone  II  nella  la  di  San  Giovanni. 
Ivi  il  nostro  Frate  volendo  esporre  le  parole  :  Quel  che  abbiamo  udito  vi  an- 
nunciamo, e  mostrare  1'  efficacia  contenuta  nella  testimonianza  che  Giovanni 
ed  egli  stesso  e  gli  altri  che  lessero  ne' Profeti  rendono  del  Verbo,  si  fa  obbiet- 
tare: —  «  Ancora  io  ho  letto  i  Profeti  e  non  ho  veduto  tal  testimonio.  — E  io 
ti  dirò,  (risponde)  quello  che  Filippo  disse  all'Eunuco:  Pensi  tu  che  tu  intendi 
quelle  cose  che  leggi?  E  tu  adunque,  se  sei  savio,  rispondi  con  l'Eunuco:  E 
in  che  modo  lo  posso  io  se  alcuno  non  mi  mostrerà  ?  Dimmi  dunque  tu,  chi  è 
quello  che  le  lo  può  mostrare  ?  Certamente  Filippo  era  uomo,  e  1'  Eunuco  leg- 
geva la  lettera  e  non  V  intendeva.  Pensi  tu  che  Filippo  aprisse  gli  occhi  del- 
l'Eunuco  ?  Certamente  solo  quegli  aperse  gli  occhi  dell'Eunuco  che  mandò 
Filippo.  Sappi,  fratello,  qualunque  tu  sei,  che  il  libro  è  segnato,  e  niuno  lo 
può  aprire  se  non  Quegli  che  ha  la  chiave  di  David,  che  apre  e  niun  serra, 
serra  e  niun  apre.  Questi  è  l'Agnello  del  quale  è  scritto:  Ecco  ha  vinto  il  lione 
della  tribù  di  Giuda,  radice  di  David,  acciocché  apra  il  libro,  e  sciolga  i  sette 
segnacoli  suoi.  Se  adunque  non  apre  Egli  il  libro,  indarno  ti  affatichi  e  non 
vai  rettamente.  Se  alcuno  volesse  scavar  la  terra  e  non  avesse  la  zappa,  o  altro 
istrumento  di  ferro,  or  non  si  affaticherebbe  indarno  ?  Ovvero  se  con  le  mani 
volesse  cavarla,  or  potrebbela  rompere  ?  Così  chi  vuole  cavar  la  terra  delle 
Scritture  per  trovar  Cristo,  o  s'affaticherà  indarno,  se  non  ha  la  zappa 
dello  Spirito  Santo,  o  si  romperà  nella  fede,  se  andrà  col  solo  intelletto  na- 
turale. Adunque  (conclude  il  nostro  Dottore),  fratelli,  leggete  le  Scritture 
fedelmente,  umilmente  e  devotamente,  se  le  volete  intendere  e  trovar  Cristo.  Fe- 
delmente, perchè  se  non  credete,  non  intenderete.  Umilmente,  acciocché  non  ti 
presumi  del  tuo  ingegno,  ma  dimandi  la  intelligenza  di  Dio,  secondo  il  consiglio 
di  San  Giacomo.  Se  alcuno  di  noi  (dice  San  Giacomo)  ha  bisogno  di  sapienza  la 
dimandi  a  Dio,  il  quale  ne  dà  a  tutti  abbondantemente,  e  non  rimprovera.  Perchè 
ogni  sapienza  è  da  Dio,  e  con  quello  fu  sempre  e  innanzi  al  mondo.  Corri  alla 
fonte,  cioè  al  Signore  Gesù,  il  quale  è  fonte  di  sapienza  come  è  scritto:  Il  fonte 
di  sapienza  la  parola  di  Dio  negli  eccelsi.  Devotamente,  acciocché  tu  abbi  l'animo 
pronto  ad  operare,  come  leggi,  acciocché  provi  in  te  medesimo  quelle  cose  che 
leggi;  altramente,  se  leggi  e  non  operi,  si  aggraverà  il  cuor  tuo,  e  in  te  si  adem- 


(')  V.  San  Tommaao,  1.  c.,  cju.  117,  art.  1. 


—  437  — 


pierà  quel  detto  di  Isaia:  Udite,  audienti,  e  non  volete  intendere,  e  vedete  la 
visione,  e  non  volete  conoscere  ».  (Gf.  la  pred.  X  sopra  Amos.) 

Se  questo  è  soggettivismo,  e  soggettivisti  non  si  deve  essere,  allora,  bisogna 
senza  meno  essere  scettici  e  professare  il  nullismo  assoluto  in  fatto  di  fede  e 
di  obbedienza  ecclesiastica  e  gettare  a  terra  Cristo,  la  Chiesa  ed  ogni  magi- 
stero divino  ed  umano;  bisogna  distruggere  semplicemente  tutto  1' uomo.  Se 
l'esposta  dottrina  è  soggettivismo,  se  è  soggettivismo  l'affermare  che  siamo 
noi  che  vediamo  quando  il  comando  del  superiore  o  la  legge  vanno  diretta- 
mente con  Dio  o  il  bene  comune  o  contro,  come  poteva  Fra  Girolamo  senz'es- 
sere soggettivista  intendere,  per  esempio,  che  Alessandro  VI  gli  comandava  di 
lasciar  la  predica?  Il  comando  era  impossibile  eseguirlo  s'  egli  non  lo  precono- 
sceva. Non  è  per  necessità  l' intelletto  del  Frate  che  doveva  capir  questo  ?  E 
non  lo  doveva  esso  capire  perchè  così  era  significato  ne'Brevi  chiari  ed  aperti 
che  portavano  espressa  la  nota  della  loro  autenticità  ?  E  questo  lume  che  fa- 
ceva vedere  e  intendere  al  Frate  il  comando  del  Papa,  non  poteva  ancora  esso 
fargli  vedere  le  verità  della  fede,  se  il  Frate  aveva  da  vederle  e  crederle?  Po- 
tremmo noi  credere  se  non  fossimo  anime  razionali?  Certo  no.  Ma  che  vuol 
dire  aver  l'anima  ragionevole  se  non  questo  che,  le  cose  che  intendiamo  e  ve- 
diamo, le  vediamo  noi?  Senza  dubbio  il  lume  della  verità  è  oggettivo,  ma  per- 
chè noi  lo  vediamo  dev'essere  a  noi  presente,  segnato  sopra  il  nostro  volto, 
deve  parteciparsi  a  noi,  imprimersi  in  noi.  Ora  così  proprio,  e  non  altrimenti 
intendeva  la  cosa  Fra  Girolamo;  e  perciò  egli  non  poteva  essere  soggettivista, 
ma  doveva  essere  tutto  il  contrario. 

Ditemi  un  poco:  se  un  superiore  ecclesiastico  mi  dicesse  di  non  credere 
all'obbligo  dell'  obbedienza  che  ogni  fedele  ha  verso  la  Chiesa  e  il  Papa,  se  mi 
dicesse  di  non  credere  in  Cristo,  Verbo  di  Dio,  di  non  credere  nella  Trinità,  nella 
remissione  de'  peccati,  nella  risurrezione  della  carne;  se  mi  comandasse  di  non 
credere  nella  presenza  reale  di  Cristo  nell'Eucarestia,  di  non  confessarmi  più 
mai;  se  mi  comandasse  di  lasciar  la  donna  che  ho  in  moglie, e  pigliarne  un'al- 
tra, di  non  soccorrere  il  mio  fratello  che,  senz'  esservi  condannato  per  giusta 
pena,  muore  di  fame...;  ditemi,  se  mi  comandasse  tali  cose  un  mio  superiore 
fosse  anche  il  Papa,  che  gli  dovrei  rispondere  io?  Così  semplicemente:  Vanne 
indietro,  o  Satana;  non  ti  obbedisco;  chè  devo  obbedire  prima  a  Dio  che  a  te. 
E  se  egli  mi  invocasse  allora  l'autorità  e  la  potestà  ecclesiastica  che  cosa  gli 
dovrei  rispondere  io?  Così  semplicemente:  L'autorità,  la  potestà  ecclesiastica  ti 
è  data  non  a  distruzione,  ma  a  edificazione  della  Chiesa,  comandami  ciò  che  è 
bene  e  io  ti  obbedisco;  ma  non  ti  obbedirò  mai  quando  mi  comandi  ciò  che  è 
male,  male  evidentemente,  perchè  contrario  agli  aperti  precetti  di  Dio....  E  così 
facendo  sarei  soggettivista?  sarei  ussita?  Eppure  qui  chi  vede  tutte  queste 
cose  sarei  io  col  lume  segnato  sul  mio  volto.  E  così  proprio  insegna  che  si  ha 
da  fare  Girolamo  Savonarola,  così  proprio,  e  non  altrimenti.  (') 


(')  Vedi  la  fine  del  capitolo  antecedente. 


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Del  resto  se  son  condannabili  le  proposizioni  su  esposte  del  Frate  di  San 
Marco,  condannale  anche  le  seguenti: 

«  La  salute  pubblica  non  è  solo  legge  suprema,  ma  unica  e  totale  ragione 
della  pubblica  autorità. 

«  Le  leggi  non  obbligano,  se  non  in  quanto  sono  conformi  alla  retta  ra- 
gione, e  perciò  stesso  alla  legge  eterna  di  Dio  ».  (Leone  XIII.  Enc.  sulla  Que- 
stione Operaia.)  (*) 

«  Vi  sono  alcuni  sommi  mali  e  vi  sono  alcuni  sommi  beni.  Sommi  beni  sono: 
amare  Dio,  amare  il  prossimo,  dir  la  verità,  non  commetter  furto,  non  dire  il 
falso  testimonio,  non  fare  adulterio,  ed  altri  molti,  cui  la  brevità  del  discorso 
nostro  ci  vieta  numerare.  Sommi  mali  sono  le  cose  a  queste  contrarie  e  le  si- 
mili alle  contrarie.  I  beni  comanda  Iddio  che  li  facciamo,  dai  mali  c'  impone 
che  ci  asteniamo.  La  santa  ed  incommutabile  autorità  di  questo  precetto  non  si 
può  ripudiare  in  alcun  modo  perchè  è  consegnata  col  carattere  di  Colui  che 
dice:  Io  sono  il  Signore  e  non  mi  muto.  Se  adunque  queir  uomo  cui  Dio  im- 
pose sopra  il  capo  nostro,  vorrà  sentire  altrimenti  e  convertendo  le  tenebre  in 
luce  e  la  luce  in  tenebre  fino  a  comandare  che  noi  lasciamo  i  predetti  beni  o 
assentiamo  a'  mali  predetti,  si  deve  audacemente  ripudiare  il  comando  di  lui 
e  dirgli  in  faccia:  E  necessario  obbedire  piuttosto  a  Dio  che  agli  uomini  ».  (San 
Bernardo,  Serm.  XLI.) 

«  Mai  per  obbedienza  non  si  deve  fare  il  male  ».  (Gregorio,  Morali,  Gap.  X.) 

«  Nessuno  è  tenuto  ad  obbedire  nelle  cose  illecite  ».  (San  Tommaso,  Som- 
ma Teol.  P.  II-II  Qu.  104  a.  5  ad.  3m.) 

«  Quanto  a  quelle  cose  che  sono  di  diritto  naturale  o  divino,  la  giurisdi- 
zione o  potestà  papale  non  si  estende,  in  modo  cioè  che  le  possa  mutare  o 
dar  loro  forza  di  obbligare;  e  la  ragione  si  è  perchè  l'inferiore  non  può  mu- 
tare le  leggi  del  superiore....  Vero  è  però  che  in  tali  cose  che  sono  di  diritto 
naturale  o  divino,  se  v'  è  qualche  dubbio,  appartiene  al  papa  1'  autorità  di  di- 
chiararle ».  (Sanf  Antonino,  Somma  Teol.  Uh.  HI,  Tit.  22,  p.  1188.) 

«  Poiché  non  è  impossibile  che  qualche  precetto  particolare  dell'autorità 
ecclesiastica  sia  evidentemente  contrario  alla  legge  divina,  o  si  fondi  sopra 
qualche  evidente  errore  di  fatto;  in  questi  due  casi  ci  è  lecito  di  disobbedire, 
evitando  però  in  ogni  modo  lo  scandalo  ».  (Gapecelalro,  La  Dott.  Catt.,  Lib.  HI. 
cap.  IX.) 

«  Se  alcuno  de'  superiori  avrà  fatto,  o  avrà  comandato  ad  alcuno  cose 
vietate  da  Dio;  o  ne  avrà  trapassato  o  comandato  di  trapassarne  qualche 
precetto;  si  deve  tirare  in  campo  la  sentenza  di  San  Paolo,  il  quale  dice:  Se 
anche  una  voce  o  un  angelo  in  cielo  evangelizzerà  a  voi  contro  ciò  che  vi 
ho  evangelizzato  io,  sia  anatema.  Parimente,  se  alcuno  vi  proibisce  ciò  che 


(')  l'or  qucst' Enciclica  ci  to  1'  edizione  ruttano  dall'  Arcivescovo  di  Genova,  Salvatore 
Marasco,  1891  ■  Por  1'  Enciclica  sulla  cristiana  costituzione  de;jli  stati,  cito  l'edizione  fattane 
dal  Cardinale  <<•  Alimouda,  Torino  1885. 


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da  Dio  vi  fu  imposto;  o  di  nuovo  vi  comanda  di  fare  ciò  che  Dio  vi  vieta, 
sia  costui  esecrabile  a  tutti  coloro  che  amano  Dio  ».  (Sant'Isidoro,  Regist.  nel 
Decret.,  Part.  II,  caus.  XI,  Q.  Ili,  can.  Si  is.) 

Se  son  condannabili  le  proposizioni  su  esposte  del  Frate  di  San  Marco, 
condannate  tutti  i  cattolici  che  intendendo  trattarono  le  questione  presente!! 


XXIX. 


(  brevi  del  21  luglio  e  degli  8  settembre  1495 
e  relativa  condotta  del  Frate. 

Sommario. 

Verità  debitamente  prorate.  —  Il  nodo  della  questione.  —  Nostro  timore.  —  Rispetto  agli  avversarj.  — 
Franchezza  di  cattolici.  —  Come  procederemo.  —  La  politica  nella  questione  presente.  —  Natura 
delle  calunnie  de'  Politici  al  Pontefice  contro  il  Savonarola.  —  Che  si  richiede  a  provar  l'innocenza 
del  Savonarola.  —  L'accusa  formnlata  dal  Pastor.  —  Il  Breve  pontificio.  —  Cose  a  posto.  —  Il  Frate 
non  oppone  ritìnto  nè  nella  forma,  nè  nella  realtà  alla  chiamata  del  Papa. — ■  Risposta  del  Savonarola 
ad  Alessandro  TI.  —  Il  Pastor  non  esaminò  la  questione.  —  Una  pagina  infelicissima  del  Perrens.  — 
Si  esaminano  le  ragioni  scritte  dal  Savonarola  al  Pontefice  e  si  trovano  vere  e  buone.  — La  infer- 
mità. —  Essa  è  nota  al  popolo  Fiorentino  assai  prima  dell'  arrivo  del  Breve.  —  È  manifesta  e  giu- 
stifica il  Frate.  —  Il  pericolo  d'  esser  ucciso.  —  La  sicurezza  al  tempo  del  Savonarola.  —  La  cru- 
deltà e  lo  spirito  di  vendetta,  che  danno  la  mano  alla  scostumatezza.  —  L'assassinio  del  duca  di 
Candia  e  il  Tevere  paziente.  —  Passi  chiosati.  —  Danno  che  la  partenza  del  Frate  poteva  cagionare 
a  Firenze.  —  Come  il  Pastor  mostra  involontariamente  che  il  Savonarola  ha  ragione.  —  La  riforma 
abbozzata.  —  I  buoni  cittadini  vogliono  il  Savonarola  in  Firenze.  —  Sottoscriviamo  la  lettera  del 
Savonarola.  —  Il  Savonarola  soddisfa  al  desiderio  del  Pontefice. — Una  domanda  spontanea.  —  Il  si 
e  il  110  veri  entrambi.  —  Ragioni.  —  Il  Breve  pontificio  degli  8  settembre  1495.  —  Alessandro  VI 
al  Beato  Sebastiano  Staggi.  —  Sentenze  del  Pastor.  —  Espressioni  oscure.  —  Cose  dal  Frate  sapute 

—  Sentenze  che  danno  scandalo  alla  brigata.  —  Il  Savonarola  non  si  può  affatto  chiamare  disob- 
bediente. —  La  causa  affidata  al  Beato  Sebastiano  Maggi.  —  Fua  lettera  inedita  di  Alessandro  VI. 

—  Prove  giustamente  richieste  ai  critici  del  Frate,  e  come  non  le  possou  dare.  —  L'  opera  del 
P.  Maggi  in  questa  faccenda.  —  Il  Savonarola  fece  da  Sauto  ciò  che  doveva.  —  Esame  del  Breve 
pontificio.  —  Come  sia  ornai  facile  contentare  i  nostri  lettori.  —  Il  Savonarola  non  predicò  eresia 
alcuna.  —  La  semplice  predicazione  delle  cose  future  non  è  dogma  perverso.  —  Quali  profeti  sian 
da  condannare.  —  Fra  Girolamo  non  fu  mosso  a  predicare  il  futuro  dallo  sconvolgimento  d'Italia. 

—  Il  Frate  di  San  Marco  non  si  disse  assolutamente  profeta,  uè  si  valse  della  profezia  a  male.  — 
La  missione  profetica  e  i  miracoli.  —  Il  Savonarola  non  è  reo  della  bestemmia  appostagli.  —  Fra 
Girolamo,  Riccardo  da  San  Vittore  e  Leone  XIII.  —  Cose  inette  e  scandalose  il  Frate  di  San 
Marco  nè  disse,  nè  fece.  —  Accuse  che  esamineremo,  ed  accuse  già  esaminate.  —  Edificio  senza 
fondamento.  —  Come  Fra  Girolamo  avrebbe  fatto  male  eseguendo  le  semplici  parole  della  sen- 
tenza pontificia.  — Buon  zelo  mosse  il  Savonarola  a  riscrivere  al  Pontefice.  —  Ragioni  perentorie. 

—  Conclusione. 

Ormai  ci  pare  impossibile  che  altri  voglia  o  possa  tuttavia  neppur  dubi- 
tare sulla  cattolicità  della  teorica  savonaroliana  per  ciò  che  spetta  la  gerarchia 
ecclesiastica,  l'obbedienza  de'  fedeli  a'  prelati  e  di  tutto  il  popolo  e  clero  catto- 
lico al  Pontefice  Romano,  le  leggi  canoniche  e  la  scomunica;  ci  sembra  anzi 
che  non  possano  avere  più  nemmeno  1'  apparenza  della  verità  le  asserzioni 
contrarie. 


-  441  — 


Ma  con  tutto  ciò  ci  resta  sempre  molta  via  da  percorrere,  e  una  gran  bat- 
taglia da  vincere,  e  una  saldissima  rocca  da  conquistare:  rimane  intatta,  o 
quasi,  la  grande  questione:  —  A'  retti  insegnamenti,  si  tenne,  in  pratica,  fe- 
dele il  Savonarola?  Qui  è  veramente  tutto  il  nodo  della  questione  savona- 
roliana:  e,  se  dobbiamo  confessarlo,  noi,  pure  essendo  pieni  di  fiducia,  perchè 
ci  pare  di  veder  chiarissima  la  verità,  sentiamo  tuttavia  una  specie  di  timore 
quasi  sacro  ad  affrontarla  e  dare  al  pubblico,  prima  del  tempo  che  avevamo 
stabilito  e  per  modo  diverso  da  quello  che  noi  abbiamo  sempre  avuto  nell'ani- 
mo, la  nostra  soluzione.  Gì'  ingegni,  gli  spiriti  eletti,  anche  amici  e  ammiratori 
del  Frate,  che  a  questo  punto  hanno  pronunciato  altrimenti  da  quello  che  noi 
crediamo  si  debba  fare,  sono  tanti  e  tali  che  è  impossibile  a  noi  entrare  senza 
riserva  alcuna  neh'  opposto  campo,  intieramente  vuoto  o  quasi:  nè  sarebbe 
senza  audacia  e  presunzione  e  temerità.  Il  Pastor  qui  è  davvero,  almeno  nella 
sentenza  definitiva,  con  una  schiera  assai  numerosa  degna  della  massima  con- 
siderazione e  riverenza. 

Ad  ogni  modo  noi  diremo  francamente  quanto  ci  apparirà  vero,  pronti 
sempre  a  cedere,  quando  altri  ci  possa  mostrare  che  ci  siamo  ingannati.  Quello 
che  invochiamo  si  è  solamente  il  trionfo  della  verità  e  della  giustizia.  Come 
da  principio,  quando  abbiamo  cominciato  a  studiare  nel  Savonarola,  così  di 
presente  ci  sentiamo  tuttavia  intieramente  liberi  e  quasi  indifferenti  al  sì  ed  al 
no;  e  alla  lode  e  al  biasimo:  e  se  alcuno  ne  dimostrerà  che  il  Frate  non  ha 
compiuto  il  suo  dovere,  noi  lo  condanneremo  con  quell'  ardore  col  quale  ora 
ci  adopriamo  ad  assolverlo. 

A  procedere  con  ordine  esamineremo  la  condotta  del  Savonarola  rispetto 
alla  chiamata  a  Roma  col  Breve  de'  21  luglio  1495;  (')  iispetto  al  comando  di 
unirsi  nuovamente  alla  Congregazione  Lombarda,  e  di  astenersi  dal  predicare 
secondo  il  Breve  degli  S  settembre  1495  e  dei  16  ottobre  dell'anno  stesso; 
rispetto  alla  ingiunzione  di  unire  la  Congregazione  di  San  Marco  con  la  Ro- 
mana secondo  il  Breve  de'7  novembre  1496;  e  finalmente  ci  occuperemo  della 
scomunica  lanciatagli  contro  col  Breve  del  maggio  1497.  (2)  Va  da  sè  che  risolve- 
remo le  questioni  le  quali  si  raggruppano  a  queste  e  da  queste  dipendono,  e  non 
lascieremo  di  dire  della  celebrazione  in  pubblico  de'  divini  misteri  e  della  pre- 
dicazione del  1498,  e  della  prova  del  fuoco;  e  prima  ancor  di  questa  tocche- 
remo la  questione  del  preteso  appello  al  Concilio.  In  ognuno  di  questi  argo- 
menti procureremo  di  pronunciare  una  parola  decisiva;  ma,  formando  essi  in 
qualche  modo  un  sol  tutto,  bisogna,  chi  vuol  giudicar  debitamente,  che  si  ado- 
peri ad  una  sintesi  finale. 

In  questo  capitolo  esamineremo  la  chiamata  a  Roma  e  le  immediate  con- 


(')  Per  le  mene  degli  Arrabbiati  già  si  era  tentato  di  togliere  il  Savonarola  ila  Firenze 
e  mandarlo  a  Lucca  fin  dal  1494;  cfr.  il  Villari,  pag.  853  e  seguenti,  e  Guasti,  lì  Savonarola  e 
i  Lucchesi,  nuovi  documenti,  Firenze  1862. 

(*)  Pel  giorno  in  cui  fu  pubblicata  in  Firenze  la  scomunica  del  Savonarola,  vedi  Ghe- 
rardi,  pag.  397  e  segg. 


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seguenze  di  quella,  esamineremo  cioè  i  Brevi  del  21  luglio  e  degli  8  settembre 
1405  e  la  relativa  condotta  del  Frate;  ne' capitoli  successivi  tratteremo  le  altre 

questioni. 

Ma  prima  di  entrare  in  argomento  ci  si  consenta  un'osservazione,  che  non 
crediamo  priva  d' importanza.  Molti  scrittori,  anche  gravissimi  e  cattolici,  come 
lo  stesso  Pastor,  nella  lotta  di  Alessandro  VI  contro  il  Savonarola  fanno  pe- 
sare assai  l'elemento  politico;  e  parecchi  non  dubitano  di  scrivere  ed  affer- 
mare (e  tien  loro  dietro  il  Pastor),  che,  ove  la  politica  non  fosse  stata,  il  Savo- 
narola non  si  sarebbe  forse  mai  trovato  in  serio  conflitto  con  Alessandro  VI 
(Pastor,  pag.  347).  Noi  non  siamo  intieramente  persuasi  nè  convinti  che  que- 
sta sia  tutta  verità;  anzi,  almeno  in  un  senso,  crediamo  che  sia  l'  opposto;  e  ci 
sembra  qui  di  vedere  aggravato  di  troppo  il  Borgia,  il  quale  in  vero,  special- 
mente dopo  la  pubblicazione  del  III  volume  del  Pastor,  non  ha  bisogno  per 
nulla  che  lo  accagioniamo  di  colpe  non  certe.  La  politica  entrò  senza  alcun  dub- 
bio nella  guerra  e  nella  morte  del  Frate  ;  anzi  non  esitiamo  ad  affermare  che 
essa  fu  cagione  principale  della  ruina  di  lui,  fu  il  suo  vero  nemico,  il  suo  in- 
giusto tiranno;  ma  senza  troppa  colpa  di  Alessandro  VI. 

I  Tiepidi,  gli  Arrabbiati,  i  Palleschi,  i  principi,  e  segnatamente  il  Moro,  eran 
mossi  da  fini  politici  e  scandalosi  ad  allontanar  da  Firenze  e  toglier  di  mezzo  il 
Savonarola;  e  perciò  attorniarono  il  Pontefice  e  gli  riempirono  le  orecchie  e  1'  ani- 
ma di  calunnie  contro  l'ardente  flagellatore  de' vizj  de' potenti  e  sostegno  della 
morale  e  della  libertà  del  popolo;  contro  colui  ch'essi  pertinacemente  tenevano 
qual  prima  cagione  che  attraversava  i  loro  disegni  e  gettava  a  terra  i  loro  cal- 
coli. Ma  le  calunnie,  che  indussero  Alessandro  VI  ad  usar  severe  misure  eccle- 
siastiche, non  volgevano  intorno  a  cose  estranee  all'  ufficio  di  lui  quale  Ponte- 
fice; anzi  riguardavano  specialmente  la  salute  delle  anime,  il  dogma,  la  potestà 
ecclesiastica,  la  stessa  persona  del  Pontefice  e  quella  de'  cardinali.  Insomma  io 
non  sento  il  bisogno,  per  difendere  il  Savonarola,  d' infamare  Alessandro  VI  con 
farlo  procedere  contro  il  povero  Frate  solo  o  quasi  solo  per  fini  politici.  D'  al- 
tra parte  che  mi  servirebbe  l'aver  provato  anche  all'evidenza  che  Alessan- 
dro VI  nel  combattere  il  Savonarola  era  stato  mosso  da  fini  politici,  e  che  al- 
trimenti non  lo  avrebbe  scomunicato  affatto '?(  ) 


(')  Il  prof.  Carlo  Cipolla  (Archivio  Veneto,  voi.  Vili,  1674,  pag.  73)  dice  :  «  Lodovico  il 
Moro  nemico  di  colui  che  rappresentava  l'alleanza  con  Carlo  Vili,  intraprese  nuove  occulte 
mene  a  totale  ruina  del  Frate  congiunto  agl'interni  nemici  del  Savonarola.  Cercavasi  di 
porre  inimicizia  tra  il  Savonarola  ed  Alessandro.  Lodovico  sperava  di  ottenerlo  (nè  s'in- 
gannò) per  mezzo  di  suo  fratello  il  Cardinale  Ascanio.  Certo  è  che  Papa  Alessandro  non 
poteva  esser  troppo  amico  del  Frate;  ma  forse,  se  lo  sue  decisioni  non  gli  venivano  sugge- 
rite, imposte  da  Milano,  sarebbero  state  diverse  ».  Questo  è  vero,  e  già  l'aveva  notato  tftiche 
il  Marchese;  e  il  Cipolla,  seguendo,  lo  prova  egregiamente;  nè  è  difficile  oramai  il  farlo  in 
modo  da  non  lasciar  luogo  a  dubbio  alcuno  :  perchè  basta  leggere  i  documenti  intorno  al  Frate, 
cominciando  da  quelli  pubblicati  dal  P.  Marchese  e  venendo  fino  a  quelli  pubblicati  dal  Cihe- 
rardi.  Ivi  appai-  chiaro  di  luce  meridiana  che  i  Brevi  ad  Alessandro  VI  erano  fatti  scrivere  da 
uomini  politici  per  tutt'  altro  line  che  per  zelo  di  roligione  o  decoro  della  sedia  Apostolica! 
Il  Ui  eve,  per  esempio,  che  chiamava  il  Savonarola  a  Roma  era  opera  del  Cardinale  Ascanio. 
Lo  mostra  la  lettera  (Del  Lungo,  Archivio  Storico  Italiano,  nuova  serie,  tomo  XVIII,  parte  2  ', 


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Questo  non  dimostrebbe  ancora  che  la  scomunica  è  tutta  ingiusta  e  per 
ciò  irrita  e  nulla!  Al  più  la  dimostrerebbe  ingiusta  per  l'animo  di  chi  la  piO' 


doc.  Vili  che  il  Cardinale  stesso  scriveva  da  Roma  al  suo  fratello  poco  prima  che  il  Breve 
uscisse.  Merita  che  la  lessiamo  intiera:  «Illustrissime  Princeps  et  Kxcellentissime  Domine, 
Domine  frater  et  pater  observandissime,  Ho  facto  intendere  a  Nostro  Signore  quello  mi 
scrivo  Vostra  Excellentia  circa  al  deputare  un  Vicario  generale  nell'Ordine  di  S.to  Francesco 
de  le  Zoccole,  per  il  suspecto  ha  de  frate  Hieronymo.  Lo  quale  mi  ha  risposto  che,  parendo 
a  la  Ex.a  Vostra,  scriverà  uno  breve  ad  esso  frate  Hieronymo,  io  quale  chiamerà  qui,  et  poi  con- 
stituirà  Vicario  chi  piacerà  a  quella;  la  quale  potrà  mandare  in  scriptis  quelli  li  sono  confi- 
denti.... » 

Cosi  del  pari,  da  on' altra  lettera  del  Duca  al  Cardinale  in  data  di  Genova  25  rrarzo 
1198  (Ivi,  Doc.  XXXIII),  apparisce  che  questi,  notisi  l'espressione,  «  fece  scrivere  »  al  Papa 
il  breve  che  costrinse  la  Signoria  a  proibire  la  predicazione  al  Savonarola  nella  quaresima 
dell'anno  medesimo  1498.  (Cfr.  Cipolla,  I.  e,  pag.  74.) 

Ancora  da  un'altra  lettera  del  Somenzi  al  Moro,  pubblicata  parimente  dal  Del  Lungo 
(ivi  doc.  XXX),  si  può  argomentare  quale  sia  l'origine  della  minaccia  d'interdetto  che  Ales- 
sandro VI  fece  alla  città  di  Firenze,  e  che  cagionò  tanto  male  al  Frate.  Merita  anche  qui  che 
si  legga  intiero  il  Documento;  imperocché  la  qualità  degli  alleati  del  Moro  è  luce  per  giu- 
dicare quale  zelo  per  1'  onore  di  Dio  e  la  dignità  della  Sedia  Apostolica  doveva  accender 
l'anima  degli  avversari  del  Fiate,  di  molti  di  coloro  che  si  scandalizzavano  che  il  Savo- 
narola predicasse  dottrina  eretica,  non  obbedisse  al  Papa,  e  poi  non  osservasse  la  scomunica. 
«  Li  adversarii  di  questi  frateschi,  che  sono  li  Disperati  (cioè  li  Arrabbiati),  me  hanno 
exortato  a  volere  in  nome  loro  pregare  la  E.  V.  che  voglia  dignarse  de  essere  contenta 
prestargli  adjuto  et  favore  per  la  via  di  Roma,  acciò  che  la  Santità  de  Nostro  Signore  per- 
severi contro  del  Frate  con  fare  interdire  questa  ciptà,  attento  eh'  el  non  vole  observare 
la  scomunica;  perché  dicono  che  ogni  volta  che  la  interdictione  venisse,  che  levariano  il 
Frate  da  questa  ciptà,  et  desti ugeriano  tutta  la  sua  parte  che  è  alla  devotione  de  Francia. 
La  qual  cosa  dicono  cederla  anchora  a  beneficio  di  Vostra  Illustrissima  Signoria,  perchè 
quella  poteria  poi  disponere  de  questa  Repubblica  come  di  cosa  sua...  » 

E  anche  qui,  va  senza  dirlo,  il  Moro  ottenne  l'effetto  abbondantemeute  !  !  In  verità 
che  non  era  del  tutto  falso  né  troppo  esagerato  il  Malipiero  quando  scriveva  ne' suoi  An- 
nali  che,  il  Duca  de  Jlilan  si  gloriava,  cosa  spaventosa  da  dir,  d'  avere  in  Alessandro  VI 
un  C'apelan  !  !  !  E  se  ne  volessimo  altre  di  queste  gioie  care  e  belle,  ricorrendo  ai  Nuovi  Do- 
cumenti, ne  potremmo  facilmente  rendere  i  desideri  nostri  contenti  e  paghi.  Eccone  alcune 
tratte  dal  Cappelli  (Documenti  tratti  dall'Archivio  estense  in  Modena  relativi  a  Fra  Girolamo 
Savonarola  ed  alla  Storia  de' suoi  tempi  con  sei  lettere  inedite  di  esso  Frale,  Modena  1869).  Nel 
Documento  162  leggiamo  che  l'Oratore  milanese  con  data  de' 21  agosto  1495  scriveva  al 
Moro,  annunciandogli  in  tono  di  mestizia  che  i  fiorentini  avevano  pur  concluso  e  capitolato 
con  il  Re  di  Francia,  e  notato  fra  le  cause  di  questo  «  gli  assidui  stimoli  di  questo  bene- 
detto frate  Hieronymo,  il  quale  ha  la  città  a  suo  modo  »,  segue:  «Ed  in  vero  il  Papa  avria 
pur  fatto  bene  a  levarlo  di  qua  et  averlo  tatto  andare  a  Roma...  »  E  già  in  data  de'  13  lu- 
glio dell'anno  stesso  il  Manfredi  aveva  pur  da  Firenze  scritto  al  suo  Signore  duca  di  Fer- 
rara, che  l'Oratore  del  Papa,  tentato  invano  di  trarre  alla  lega  i  fiorentini,  «  è  venuto  sino 
a  ragionamento  con  essi  signori,  che  fra  Hieronynio...  è  quello  che  li  tiene  disposti  e  volti 
in  questa  sua  opinione,  mordendoli  destramente  ch'egli  non  passa  senza  carico  di  una  tanta 
Repubblica  qual' è  questa  a  governarsi  per  ricordi  e  sugestione  di  un  Frate....  Il  detto  ora- 
tore pare  che  gli  abbia  ben  caricato  i  panni  alle  spalle  presso  il  l'apa,  confortando  Sua 
Santità  a  chiamarlo  a  Homo,  conoscendo  che  a  questo  popolo  non  si  caverà  altro  che  quel 
che  per  lui  sarà  consigliato,  per  il  che  potrà  seguire  ch'egli  sia  chiamato  a  Roma...  »  Nè 
s'ingannò  il  buon  Manfredi;  ma  non  passarono  due  settimane  ch'egli  poteva  scrivere  al 
suo  Duca,  che  il  detto  ambasciatore  del  Papa  gli  aveva  mostrato  un  breve  scritto  da  Sua 
Santità  al  venerabile  fra  Hieronymo,  che  gli  comandava  di  trasferirsi  a  Roma.  Non  ag- 
giungo altro,  ma  sarebbe  la  cosa  più  facile  del  mondo  mostrare,  col  Moro  e  gli  Arrabbiati, 
in  congiura  ai  danni  del  Savonarola  anche  Bologna,  Venezia,  l'Impero...  Taccio  ili  Pieio 
de' Medici  e  del  Cardinale  fratello  di  questo  e  degli  altri  della  sua  casa  e  della  sua  parte. 
Ognuno  può  da  sè  immaginare  quanto  dovesser  brigare  tutti  costoro  per  rovinare  colui  cho 


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nunciava,  dimostrerebbe  cioè  un  peccato  nel  Pontefice,  ma  non  l' innocenza  del 
Savonarola.  A  questo  fine  mi  pare  che  sia  rigorosamente  richiesta,  senza  cu- 


ritenevano  prima  cagione  di  tutto  il  loro  male;  e  per  metter  quindi  inimicizia  e  discordia 
tra  il  Papa  ed  il  Frate,  tra  il  popolo  Fiorentino  e  il  suo  Profeta.  Dal  momento  che  il  Savo- 
narola era  creduto  l'anima  del  nuovo  governo,  e  che  facesse  tutto  in  Firenze,  e  che  incitasse 
e  tenesse  fermo  il  popolo  a  parte  francese,  politica  contraria  a  quasi  tutti  i  principi  d'Italia,  è 
troppo  facile  capire  che  tutti  volgesser  contro  di  lui  le  armi  loro  e  si  adoperassero  perchè 
il  Papa  gli  rivolgesse  contro  anche  le  sue.  Così  s'  avverava  quello  che  il  Frate  aveva  già  ripe- 
tuto tante  volte  al  popolo:  che  s'avrebbe  dovuto  combattere  contro  doppia  potenza,  tempo- 
rale e  spirituale. 

La  politica  adunque,  o,  meglio,  le  trame  de' politici  furono  la  vera  radice  del  male 
del  Frate:  di  questo  è  impossibile  dubitare.  Le  decisioni  del  Papa.se  non  gli  venivano  sugge- 
rite, imposte  da  Milano,  sarebbero  state  diverse.  Ma  la  questione  non  ista  tutta  qui.  La  San- 
tità Sua  per  la  salute  comune,  o  per  altri  fini  suoi,  poteva  benissimo  essere  contenta 
di  posporre  e  dimenticare,  come  diceva  contrastando  agli  altri  della  Lega  (Del  Lungo, 
doc.  XXIX),  le  offese  che  gli  eran  fatte  da  un  fraticello  nella  predicazione,  e  passar  sopra 
alle  altre  colpe  di  questo;  poteva  benissimo  volere  che  la  ragione  e  il  benefizio  pubblico 
prevalesse  all'onore  e  interesse  suo  particolare,  ove  nessuno  l'avesse  persuaso  a  fare  il 
contrario.  Per  ciò  dal  semplice  fatto  che  il  Papa  fu  mosso  a  pigliar  le  sue  decisioni  dai 
politici,  non  ne  deriva  ancora  che  le  decisioni  ch'egli  prese  contro  il  fraticello  non  fosser 
da  questo  ben  meritate;  perchè  non  è  con  ciò  dimostrato  che  le  offese  e  le  altre  colpe 
di  questo  non  esistevano.  Imperocché  non  è  da  credere  che  il  Moro  e  gli  altri  nemici 
del  Savonarola  esponessero  al  Pontefice  ragioni  meramente  politiche,  e  tanto  meno  è  da 
tener  per  vera  l'asserzione  gratuita  o  l'insinuazione  di  alcuni,  che  Alessandro  VI  con- 
dannò il  Savonarola  solo  per  fini  politici,  pur  sapendo  che  non  si  sarebbero  potuti  trovare 
alla  severa  sentenza  altri  motivi,  lo  credo  che  i  Brevi  estorti  al  Papa  fosser  davvero  giu- 
stificati con  mosti-area  Sua  Santità  che  il  Savonarola  professava  teorie  pericolose,  predicava 
un  nuovo  modo  di  vita,  faceva  cose  inette,  asseriva  non  doversi  obbedire  alla  potestà  ponti- 
ficia; ch'egli  era  mandato  da  Dio  e  perciò  non  soggetto  ai  superiori  ecclesiastici  :  che  diceva 
in  pubblico  male  de' Prelati,  de' Cardinali,  e  segnatamente  del  Papa....;  insomma  chiedevano 
Brevi  per  ragioni  ecclesiastiche,  ben  sapendo  che  altrimenti  avrebber  lavorato  indarno.  Que- 
sto è  provato  dagli  stessi  documenti  che  abbiamo  citati.  Infatti  noi  sappiamo  che  il  Moro 
andava  dicendo  che  il  Frate  predicava,  contro  i  canoni,  non  doversi  altrimenti  obbedire  al 
Papa  (Villari,  voi.  I,  pag.  CXXX V).  E  il  Tancredino  scriveva  «  che  il  Frate  ha  detto  in  pub- 
blico, cioè  predicando,  come  questo  popolo  non  debba  obbedire  alla  Santità  del  Papa....  e  che 
Sua  Santità  non  era  vero  Papa  ».  (Del  Lungo,  doc.  III.)  Cosi  del  pari  il  cardinale  Ascanio  di- 
ceva ad  Alessandro  VI  che  Sua  Santità  nella  predicazione  del  Frate  era  detto  ferro  rotto. 
(Ivi,  doc.  XXIX.)  Parimente,  nel  documento  160  del  Cappelli  si  legge  che  c  l'Oratore  del 
Papa  usa  ogni  diligenza  in  significare  al  Papa  stesso  i  mali  modi  che  tiene  questo  Frate 
nel  suo  predicare  a  danno  e  gravezza  di  Sua  Santità  e  di  tutta  Italia.  E  parimente,  nel  do- 
cumento 162  or  ora  citato,  il  Somenzi  dolendosi  che  il  Papa  non  avesse  levato  di  Firenze  il 
Savonarola,  dopo  le  parole  da  noi  riportate,  soggiunge:  €  E  tanto  più  che  pubblicamente  e'dice 
peggio  di  lui  che  non  si  faria  del  maggior  ribaldo  del  mondo,  e  pubblicamente  in  pul- 
pito dice  che  presto  la  Chiesa  si  ha  a  mutare  con  la  spada  ».  Perfino  gli  Arrabbiati  nel  chie- 
dere l'aiuto  del  Moro  per  la  via  di  Roma  imbeccavano  quell'astuto  perchè  a  ottenere  l'inter- 
detto contro  Firenze  si  facesse  al  Papa  notare,  che  il  Frate  non  osservava  la  scomunica: 
«  attento  eh'  el  non  vole  observarc  la  scomunica  ».  Ne'  brevi  non  sono  mai  accennate  ragioni  me- 
ramente politiche:  e  si  potrebbe  con  facilità  dimostrare  che  quelle  che  vi  sono  espresse  fu- 
rono veramente  persuase  come  verità  di  fatto  al  Pontefice.  Quanto  non  era  pervertita  e 
maliziosamente  interpretata  dagli  avversarj  del  Frate  la  dottrina  di  Lui!!  (Cfr.  nel  Quetif. 
l'Addizione  II,  pag.  52  e  seg.)  Gli  avversarj  del  Savonarola  e  presso  i  Piagnoni  e  presso  il 
Pontefice  si  eran  fatti  zolatori  della  verità,  della  fede  e  della  morale  cristiana,  sostenitori 
della  Sedia  Apostolica;  ma  non  diedero  semplicemente  consigli  da  volpe  ad  Alessandro  VI, 
il  quale  con  tutto  questo  seppe  ognora  tenere  abbastanza  distinta  la  Repubblica  Fiorentina 
dal  suo  Frate,  e  non  si  mostrò  mai  disposto  di  conculcare  le  cose  pubbliche  con  le  private.  (Del 
Lungo,  doc.  XXIX.)  Anzi,  ancho  dopo  che  la  Santità  Sua  ebbe  prestato  fede  ai  calunniatori 
del  Frate,  non  si  lasciò  trarre  cosi  subito  dove  essi  volevano,  nè  precipitò  punto  la  cosa:  onda 


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rarci  troppo  di  altri  fini  che  potesser  muovere  Alessandro  VI,  la  prova  che  le 
cause  e  i  motivi  della  sentenza  sono  inesistenti.  In  caso  contrario  il  Savonarola 
sarebbe  sempre  reo  e  meritevole  della  sentenza  pronunciatagli  contro.  (')  Noi  in- 
tendiamo di  metterci  per  questa  via,  che  ci  pare  1'  unica  vera.  Non  lascieremo 
tuttavia  da  parte  intieramente  la  politica,  chè  non  si  può;  ma  ne  trarremo 
solo  un  aiuto  indiretto,  1'  unico  che  essa  qui  ci  possa  e  debba  porgere.  Ciò  po- 
sto, veniamo  subito  all'  opera. 

L'accusa  è  dal  Pastor,  pag.  348,  formulata  cosi:  «  Il  giorno  25  luglio  14-95  (2) 
Alessandro  VI  scriveva  al  Savonarola  un  breve,  tutto  amorevolezza,  nel  quale 
in  virtù  di  santa  obbedienza  lo  eccitava  a  portarsi  al  più  presto  a  Roma  a  fine 
di  dar  conto  delle  sue  profezie,  eh'  egli  affermava  procedere  da  Dio.  Il  Savona- 
rola rispose  già  il  31  luglio  rifiutando;  egli  ammetteva  bensì  che  il  primo  do- 
vere del  religioso  è  certamente  1'  obbedienza  ai  superiori;  ma  l'essere  testé 
uscito  da  una  gravissima  infermità,  e  le  insidie  che  gli  avrebbero  leso  i  suoi 
nemici  non  gli  permettevano  muoversi  senza  manifesto  pericolo:  oltreché  la  sua 
partenza  da  Firenze  tornerebbe  a  rovina  della  città  ».  (3) 

E  sostenibile  quest'accusa?  Si  deve  qui  condannare  il  Frate  come  disob- 
bediente?  ha  egli  qui  dimenticata  la  sua  teorica?  Vediamolo. 

Prima  di  tutto,  affinchè  possiamo  ben  giudicare,  ecco  il  Breve  letteral- 
mente tradotto:  (4) 


quelli  mostravansene  scontenti.  (Ctr.  Cappelli,  doc.  162.)  Ma  checchessia  di  ciò,  crediamo  di  esser 
nel  vero  ripetendo  che  la  question  nostra  sta  tutta  qui:  Dimostrare  che  il  Moro  e  gli  altri 
persecutori  del  Savonarola  carpirono  ad  Alessandro  VI  i  famosi  brevi,  circonvenendolo  con 
mere  calunnie;  e  che  perciò  i  brevi  si  vogliono  cassare  per  l'inesistenza  de' motivi  per  i  quali 
furono  scritti  :  si  vogliono  cassare,  perchè  non  esprimono  in  nessun  modo  la  volontà  del 
Papa  che  li  ha  segnati  per  false  testimonianze. 

(')  Cfr.  Decret.  Sec.  Part.  Caus  XI,  quest.  Ili,  can.  Episcopus  colla  glossa. 

(s)  Il  Gherardi,  e  cosi  il  Bayonne,  fissano  la  data  di  questo  breve  al  21  luglio,  e  cosi  si 
deve  fare.  Questa  del  Pastor  riproduce  una  svista  tipografica  del  Villari.  (Cfr.  Villari,  I, 
pag.  393  o  pag.  civ.) 

(3)  Anche  qui  si  poteva  forse  tradurre  in  guisa  un  poco  più  blanda  e  meno  cruda  questo 
passo.  Invece  di  rifiutando  si  pot«va  forse  trovare  in  italiano  un  vocabolo  un  poco  meno  spre- 
giativo. Ablehnend  può  rendersi  iu  uno  scusandosi,  evitando  le  cose,  non  accettando  l'invito. 
Ma  questa  è  faccenda  che  il  Pastor  dovrà  vedersela  col  suo  traduttore  privilegiato.  Noi 
giova  ripeterlo,  esaminiamo  la  traduzione  italiana;,  e  ad  ogni  modo  la  sostanza  resta 
sempre  la  stessa,  e  a  rigore  non  si  potrebbe  sostenere  che  non  sia  reso  il  giudizio  del  Pastor 
volgendo  Ablehnend  in  rifiutando.  E  poi  più  che  ribattere  le  parole  del  Pastor  noi  ci  siamo 
proposti  di  mostrare  la  verità  delle  cose  a  molti  che  giudicano  tuttavia  pur  troppo  sinistra- 
mente 1'  ottimo  Frate. 

f)  Togliamo  questa  traduzione  dall'opuscolo  più  volte  citato:  II  Savonarola  e  la  in- 
forma, V.  a  pag.  52. 

I  lettori  possono  veder  anche  il  testo  latino  pubblicato  dal  Villari  stesso  ne' Docu- 
menti al  voi.  I,  pag.  civ.  A  proposito  adunque  di  questo  breve  bisogna  fin  d'ora  rimettere  al 
posto  alcune  cose.  Oltre  al  notare  la  letizia  che  il  Pontefice  piglia  dello  zelo  del  Frate,  e  il 
lodar  Dio  del  bene  che  fa  questo  singolare  operaio  della  vigna  del  Signore,  noi  dobbiamo 
rilevare  ancora  che  Alessandro  VI  non  chiamava  a  Roma  il  Frate  in  virtù  di  santa  obbedienza  a 
fine  di  dar  conto  delle  sue  profezie;  nè  ad  se  purgandum,  ma  perchè,  avendo  egli  udito  che  quello 
che  il  Frate  affermava  dell'avvenire  procedeva  da  Dio,  credeva  dovere  del  suo  pastorale  mi- 
nistero discorrerne  con  osso  lui,  acciocché,  conoscendo  meglio  quel  che  a  Dio  piace,  potesse 
poi  praticarlo.  Teniamo  ben  ferma  questa  cosa  nella  mente,  perchè  essa  non  solo  mostra 


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«  Diletto  Figlio,  salute  ed  apostolica  benedizione.  Noi  udimmo  da  molti 
come,  fra  tutti  coloro  che  lavorano  nella  vigna  del  Signore  degli  Eserciti,  tu  ti 
adopri  con  maggiore  zelo:  di  che  siamo  altamente  lieti,  e  ne  innalziamo  lodi 
all'Onnipotente  Iddio,  che  ha  voluto  concedere  agli  uomini  tanta  grazia.  Nè 
dubitiamo  che  tu  possa  coli'  aiuto  del  divino  Spirito,  il  quale  dispensa  le  grazie 
immortali,  annunziare  la  parola  di  Dio  al  popolo  cristiano  e  guadagnarne  il 
centuplo. 

«  Siccome  in  questi  giorni  sentimmo  dalle  tue  lettere  che  tu  eri  di  questo 
intendimento  e  proposito,  cioè  che  nelle  tue  predicazioni  intendi  d' istruire  il 
popolo  su  ciò  che  conosci  concernente  il  servizio  di  Dio,  e  poiché  ci  è  stato 
riferito  aver  tu  detto  eziandio  nei  pubblici  sermoni  al  popolo  che  quello  che 
pronunzi  dell'avvenire  non  procede  da  te  o  da  sapienza  umana,  ma  da  divina 
rivelazione,  desideriamo,  siccome  è  dovere  del  nostro  pastorale  ufficio,  discor- 
rerne teco,  acciò  per  tuo  mezzo,  meglio  conoscendo  quel  che  a  Dio  piace,  noi 
possiamo  praticarlo.  Così  in  virtù  di  santa  obbedienza,  ti  esortiamo  e  ti  co- 
mandiamo di  venir  quanto  prima  presso  di  noi,  che  ti  vedremo  con  paterno 
amore  e  con  carità. 

«  Dato  in  Roma  presso  San  Pietro  sotto  l'anello  del  Pescatore  il  giorno 
21  Luglio  1495,  nell'anno  quarto  del  nostro  Pontificato  ». 

Ecco  adunque:  Alessandro  VI  esorta  e  comanda  al  Savonarola  con  tutta 
amorevolezza  di  recarsi  a  Roma,  perchè  egli  vuole  conoscer  meglio  le  predi- 
zioni del  Frate,  il  volere  di  Dio  e  praticarlo.  (') 

E  il  Savonarola  che  cosa  fece?  Secondo  il  Pastor  rispose  rifiutando.  E 
vero  questo  nella  forma?  Recisamente,  no.  È  vero  nella  sostanza?  Di  nuovo, 
recisamente,  no.  E  per  il  Pastor  avrei  già  finito;  contentandosi  egli  qui  di  sem- 

che  il  critico  d' Innsbruck  qui  carica  un  poco  le  tinte,  ma  ci  sari  necessaria  andando  in- 
nanzi e  per  questa  e  per  altre  questioni  abbastanza  gravi.  E  qui  non  possiamo  fai  a  meno 
che  meravigliarci  altamente  del  Grisar.  dal  cui  articolo  da  noi  citato  togliamo  quanto 
segue:  «  Alessandro  col  Breve  del  21  luglio  1495  invita  in  maniera  cortese  il  Savonarola  a 
Koma  e  lo  chiama  con  ragione  a  scolpami  di  sconcertare  le  menti  e  mettere  in  pericolo  le  unirne 
con  la  sua  pbbdioaziohe  visionaria:  propter  qua-  simplices  liomines  deviare  a  via  sahttis  et  obedien- 
tice  sanclae  Homanae  Ecclesiae  possent  >.  E  trascrive  queste  parole  dal  Raynaldua  ad  à.  14S7S  n.  19. 
Non  poteva  il  Grisar  leggere  da  sè  il  llreve?  si  sarebbe  allora  accorto  che  le  dette  parole  in 
questo  Breve  non  si  trovano. 

(')  So  bene  che  alcuni  vorrebbero  vedere  qui  in  Alessandro  VI  una  volpe  astuta,  e  nel 
Breve  una  trappola.  Ma  quali  argomenti  adducono  che  siano  davvero  convincenti?  A  me  piace 
semplicemente  di  credere  ciò  che  il  Breve  mi  dice,  nè  ho  bisogno  d*  altro.  Il  Pontelìce,  sen- 
tendo che  un  famoso  predicatore  annunzia  il  futuro  in  nome  di  Dio  e  che  le  predicazioni  di 
lui  riguardano  direttamente  la  Chiesa  e  che  la  potente  sua  parola  produeeva  un  grande  mu- 
tamento in  Firenze  e  anche  fuori,  qual  cosa  più  naturale  ch'egli  desiderasse  di  conoscere  il 
tutto  con  precisione?  E  ciò  si  capisci  tanto  meglio  se  si  pensa  che  il  capo  della  Chiesa  an- 
che entrava  nelle  profezie  del  che  il  Frate  annunziava;  e  Alessandro  VI  non  ora  del  tutto  alieno 
dall' intraprendere  una  riforma;  perciò  io  credo  che  si  possa  tenere  schietto  anche  il  dire 
che  egli  fa  in  questo  Breve  di  voler  praticare  quello  che  conoscerebbe  essere  il  volere  di  Dio. 
Nat  uralmente,  se  il  Savonarola  a  Roma  fosse  apparso  un  impostore,  non  ne  sarebbe  ripartito 
senza  punizione;  e  questo  devesi  senz'altro  intendere  anohe  se  non  espresso  nel  Breve.  Ma 
da  ciò  al  dire  che  il  Frate  era  chiamato  a  render  conto,  o  a  purgarsi,  come  altri  espongono, 
o  come  si  disse  poi  anche  in  altii  brevi  pontifici',  ci  corre  assai. 


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plici  asserzioni,  che  può  aspettarsi  altro  se  non  che  gli  siano  contrapposte 
altre  asserzioni? 

Ma  se  in  tutto  il  nostro  lavoro  ci  è  premuto  sempre  molto  di  più,  immen- 
samente di  più,  della  critica  al  Pastor,  che  appaia  la  verità  delle  cose,  questo  è 
vero  in  modo  speciale  in  questa  che  è  la  più  importante  parte  dell'opera  no- 
stra e  di  tutta  la  vita  del  Frate  di  San  Marco.  Dunque  ci  segua  il  lettore  desi- 
deroso e  vedrà  se  il  Savonarola  sia  da  condannare,  o  non  piuttosto  pienamente 
da  assolvere  e  commendare. 

Girolamo  Savonarola  rispose  al  Breve  pontificio  con  una  assai  lunga  let- 
tera l'ultimo  giorno  di  luglio  1495:  lettera  che  il  Villari  dice  notevole  per  dove- 
rosa umiltà  e  per  nohile  franchezza  nello  stesso  tempo,  (*)  e  addusse  le  scuse 
per  le  quali  non  ottemperava  subito  al  comando  di  Sua  Santità.  Diamo  anche 
di  questa  lettera  la  traduzione  testuale  esatta. 

«  Beatissimo  Padre. 

«  Sebbene  io  sappia  che  si  deve  sempre  obbedire  ai  comandi  dei  supe- 
riori, essendo  scritto:  Chi  ascolta  voi  ascolta  me;  so  ancora  che  devesi  piut- 
tosto badare  alla  loro  intenzione  die  alle  semplici  parole. 

«  Onde  nel  Capitolo  :  Si  quando  extra,  De  rescriptis,  come  la  Vostra  San- 
tità conosce,  abbiamo  un  rescritto  di  Alessandro  III,  vostro  predecessore,  al- 
l'Arcivescovo  di  Ravenna,  in  questi  termini:  —  Dopoché  avrai  esaminala  dili- 
gentemente la  qualità  dell'  affare  per  cui  ti  scrivo,  o  adempi  umilmente  il  nostro 
comando,  o  colle  tue  lettere  esponi  le  cause  ragionevoli  per  le  quali  non  puoi 
adempirlo:  perchè,  se  tu  non  avrai  fatto  ciò  che  a  noi  fu  suggerito  da  prava 
insinuazione,  sopporteremo  con  pazienza.  —  Io  pertanto,  che  già  da  un  pezzo 
desidero  veder  Roma  non  mai  da  me  vista,  per  venerare  !a  soglia  degli  Apo- 
stoli Pietro  e  Paolo  e  le  reliquie  degli  altri  Santi  e  la  Beatitudine  Vostra  di 
presenza,  sono  stato  infiammato  ora  di  maggior  desiderio  per  l'occasione  del 
comando  di  Vostra  Santità,  che  si  degna  chiamare  a  sè  il  suo  minimo  servo. 
Tuttavia,  perchè  si  frappongono  molti  ostacoli,  cercherò  di  addurre  a  Voi  le 
scuse  ragionevoli,  perchè  intendiate  che  non  la  mia  volontà,  ma  la  necessità 
m' impedisce  di  potere  al  presente  obbedire  ai  vostri  comandi  da  me  molto 
volentieri  e  con  riverenza  accolti. 

«  Anzi  tutto  mi  trattiene  l' infermità  del  corpo,  ossia  la  febbre  e  dissen- 
teria che  or  ora  ho  patito.  Dipoi,  a  causa  delle  continue  fatiche  di  mente  e  di 
corpo  che  ho  intraprese  specialmente  in  quest'anno  per  il  bene  di  questa  città, 
sono  talmente  indebolito  nello  stomaco  e  negli  altri  membri  vitali  da  non  poter 
sopportare  più  la  minima  fatica;  ed  anzi  per  consiglio  dei  medici  mi  è  d'uopo 
astenermi  dalla  predicazione  e  dallo  studio  stesso,  e  per  comun  parere  di  loro, 
e  degli  altri  tutti,  se  non  userò  gli  opportuni  rimedj,  in  breve  mi  troverò  in 
pericolo  di  morte.  Ora  poi,  avendo  il  Signore  per  mezzo  mio  liberata  questa 


(')  Villari,  voi.  I,  i).  399. 


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città  da  non  mediocre  effusione  di  sangue  e  da  molti  altri  mali,  e  ridottala  a 
concordia  e  sante  leggi,  mi  sono  diventati  nemici,  così  in  città  come  fuori,  degli 
uomini  scellerati,  tanto  cittadini  quanto  forestieri,  sitibondi  di  sangue  umano, 
i  quali  desideravano  con  sommo  ardore  levarsi  in  alto  e  farsi  preda  di  questa 
città  e  metterla  in  servitù;  ma  trovatisi  delusi,  s' irritarono  sommamente  con- 
tro di  me,  e  mi  odiarono  senza  ragione:  e  spesso  ancora  hanno  col  ferro  e 
col  veleno  attentato  alla  mia  rovina,  talché,  senza  una  buona  scorta,  non  posso 
sicuramente  metter  piede  fuori  di  casa.  E  per  questo,  quando  mi  portai  dal  Re 
di  Francia,  quantunque  fossi  munito  di  saldissima  scorta,  non  tollerarono  quei 
cittadini  che  amano  la  propria  Repubblica  che  io  oltrepassassi  i  limiti  della 
loro  giurisdizione.  E  sebbene  confidi  nel  Signore,  tuttavia,  per  non  parere  che 
tenti  Iddio,  giudico  espediente  prendere  le  necessarie  cautele,  stando  scritto: 
Quando  vi  perseguiteranno  in  una  città  fuggite  nelle  altre.  (4) 

«  Di  più  questa  nuova  riforma  della  città,  che  il  Signore  ha  voluto  fare, 
ancora  non  ha  ferme  radici,  e  se  ogni  giorno  non  venisse  rinforzata  e  perfe- 
zionata, potrebbe  facilmente  incorrere  detrimento  e  rovina  per  il  perverso  de- 
siderio di  uomini  pessimi.  Onde  per  giudizio  di  tutti  i  buoni  e  savi  cittadini  la 
mia  partenza  sarebbe  di  danno  grandissimo  a  questo  popolo,  mentre  riusci- 
rebbe costì  di  poco  profitto.  Credo  che  la  Santilà  Vostra  voglia  benignamente 
tollerare  questo  indugio,  finché  sia  ridotta  a  compimento  1'  opera  intrapresa, 
per  vantaggio  della  quale,  io  ne  son  certo,  fu  volere  divino  che  nascessero 
questi  impedimenti  al  mio  partire.  Imperocché  non  è  volontà  di  Dio  che  al 
presente  mi  parta  di  qui. 

«  Ma  spero  che  presto  mi  sarà  concesso  venire  a  Roma,  secondo  il  desi- 
derio di  Vostra  Santità,  e  con  maggior  soddisfazione  del  vostro  apostolato. 
Che  se  la  Santità  Vostra  desidera  farsi  più  certa  delle  cose  da  me  pubblica- 
mente predette  intorno  all'  eccidio  dell'  Italia  e  alla  rinnovazione  della  Chiesa, 
potrà  saperle  pienamente  dal  libretto  che  or  ora  ho  fatto  stampare,  e  che, 
quanto  prima  sarà  compito,  manderò  a  Vostra  Santità,  e  da  quello  potrà  udire 
pienissimamente  tutto  ciò  che  potrebbe  udire  da  me.  Imperocché  non  mi  è 
concesso  parlar  d'altro  infuori  di  quello  che  li  si  contiene,  perchè  esposi 
solo  quelle  cose  che  mi  furono  comandate,  quelle  poi  che  devono  restare  nel- 
1'  arca,  a  nessun  mortale  mi  è  lecito  rivelare.  Quelle  cose  poi  procurai  di  pub- 
blicare in  iscritto,  perchè  sia  palese  a  tutto  il  mondo,  se  non  avverranno,  eh' io 
sono  un  falso  profeta;  se  poi  accadranno  come  furono  predette,  si  ringrazi 
Iddio  nostro  Salvatore,  il  quale  mostra  aver  premura  della  nostra  salute,  af- 
finchè, se  è  possibile,  non  permetta  che  alcuno  perisca  in  eterno. 

«  Finalmente  prego  la  Vostra  Santità  ad  accettare  le  mie  tanto  vere  e  ma- 
nifeste scuse,  affinchè  siate  persuaso  che  niente  io  più  bramo  che  obbedirvi  e 
compiacervi,  e  non  mi  aggraviate  sopra  le  mie  forze.  Io  stesso,  tolti  i  ragione- 


(')  Vangelo  di  S.  Matteo,  C'ai>.  X,  v.  23. 


-  449  — 


voli  ostacoli,  sarò  a  me  di  sprone  quanto  prima  potrò  soddisfare  alla  V.  B. 
alla  quale  umilmente  mi  raccomando. 

«  Dal  Convento  di  San  Marco  di  Firenze,  1' ultimo  di  luglio  1495. 

«Della  V.  B  devoto  figlio  e  servo 

«  Fra  Girolamo  da  Ferraka,  dell'  Ordine  de'  Predicatori  »  (*) 

Dove  trovate  qui  che  il  Frate  rispondesse  alla  chiamata  del  Pontefice,  ri- 
fiutando? Avesse  almeno  il  grande  critico  tentato  di  mostrare  che  queste  del 
Savonarola  erano  non  già  vere  e  manifeste  scuse,  ma  semplici  pretesti  !  Ma, 
s'egli  avesse  tentato  un'impresa  simile,  era  impossibile  ch'egli  ne  uscisse  a 
buon  termine  e  con  l'intento;  essendo  invece  agevolissimo  il  dimostrare  che 
il  Frate  aveva  ragione  perfetta  di  scrivere  come  fece.  (2) 


(')  Togliamo  anche  questa  traduzione  dal  citato  opuscolo:  Il  Savonarola  e  la  Hi/orma, 
pag.  53. 

{")  II  Perrens  a  questo  luogo,  si  come  in  molti  altri,  appare  infelicissimo.  Dopo  di  aver 
parlato  dell'opposizione  sorta  contro  del  Frate,  e  del  Breve  che  lo  chiamava  a  Roma,  dopo 
di  aver  dato  il  sunto  della  risposta  di  quello  al  Papa,  segue  con  una  pagina  che  ha  più  er. 
rori  che  periodi.  Mi  par  degna  cho  il  lettore  la  conosca:  essa  è  segnata  col  numero  156. 

«  Sans  entrer  ici  dans  l'examen  des  raisons  que  Savonarole  allégue  poni  ne  pas  aller  à 
Rome,  on  ne  peut  s'empécher  de  remarquer  que  celui  qui  sut  si  bien  se  dispenser  d'obéir 
est  le  méme  qui  recomniandait  l'obéissance  aveugle  à  tout  religieux.  Que  devient  l'autorité 
pontificale,  si  chacun  a  le  droit  de  peser  l'ovdre  avant  de  s'y  soumettre?  La  raison  humaine 
serait  sans  doute  ici  pour  le  droit  d'examen  contro  l'autorité;  mais  il  semole  que  des  catho- 
liques  ne  devraient,  pas  avoir  assez  de  blame  pour  Savonarole  dans  cette  circonstance.  En 
vain  prétendrait-on  qu'il  ne  s'agit  pas  d'un  refus  d'obéir,  mais  simplement  d'un  requéte  à 
l'effet  d'obtenir  un  délai:  la  suite  de  cette  histoire  répond  pcremptoirement  à  une  hypotése 
si  peu  fondóe.  Savonarole  eut,  dès  le  premier  moment,  l'intention  bien  arrétée  de  ne  pas 
se  rendre  à  Rome,  et  par  conséquent  de  méconnaitre  l'autorité  du  saint-siége;  mais  on 
peut  dire,  à  sa  décharge  que  les  plus  révérés  docteurs  de  l'Eglise  en  avaient  fait  ou  dit  tout 
autant.  Saint  Bernard  réprimande  vertement  un  certain  moine,  nommé  Adam,  parce  qu'il 
avait  obéi  à  un  ordre  du  pape,  qui  pouvait  ètre  la  piene  de  scandale,  et  il  disait  que,  dans 
ce  cas,  l'obéissance  était  pire  que  l'homieide.  Saint  Thomas  écrit,  de  son  coté,  qu'il  fa  ut 
taire  plus  d'état  du  jngemeut  de  sa  conscience  que  de  l'ordre  de  son  supérieur.  Ailleurs,  il 
refuse  au  subordonné  le  droit  de  juger  l'ordre  du  prélat,  mais  il  lui  accorde  celui  de  juger 
s'il  doit  obéir,  parce  que  cela  le  regarde  personnellement,  et  que  tout  homme  doit  agir  sai- 
vant  sa  raison.  Ces  opinions  sont  fort  sensées,  et,  sur  l'autorité  de  l'Ange  de  l'écolo,  il  n'est 
pas  permis  de  croire  qu'elles  ne  sont  pas  catholiques;  mais  Wicleff  n'eut  qu'à  généraliser  et 
appliquer  à  tout  les  cas  ce  que  les  docteurs  restreignaient  à  quelques-uns,  pour  nier  absolu- 
ment  l'autorité  des  évéques  et  la  valeur  de  l'excomumcation,  et  pour  .jeter  les  fondements 
d'une  nouvelle  hérésie  >. 

Perchè  rifiutarsi  d' entrar  nell' esame  delle  ragioni  allegate  dal  Savonarola?  Si  tratta 
forse  qui  d'una  cosa  di  secondaria  importanza  per  il  personaggio  di  cui  volete  scriver  la 
vita?  Dove  avete  poi  trovato  che  il  vostro  Autore  comandasse  agli  altri  religiosi  l'obbedienza 
cieca  nelle  cose  nelle  quali  egli  credeva  potersi  o  anche  doversi  disobbediro?  Chi  vi  ha  detto 
che  la  teoria  savonaroliana  dovesse  servire  proprio  solo  per  lui?!  L'autorità  pontificia  non 
si  esercita  sopra  esseri  insensati  e  irragionevoli,  onde  non  esclude,  ma  richiede,  che  si  conosca 
la  natura  del  suo  comandamento.  Che  diverrebbe  piuttosto  l'autorità  pontificia  se  i  soggetti 
la  dovessero  ciecamente  obbedire  cosi  da  non  aver  neppure  la  facoltà  d'usar  gli  occhi  per 
vedere,  quando  l'ordine  fosse  evidentemente  contro  l'Evangelo,  o  la  legge  di  carità,  o  con- 
tenesse un  manifesto,  intollerabile  errore?!  È  un'asserzione  gratuita  e  senza  fondamento 
la  vostra,  quando  dite  ebe  il  Savonarola  fin  dal  primo  istante  era  fermamente  deciso 
di  non  recarsi  a  Roma  e  per  conseguenza  di  misconoscere  l'autorità  papale;  un'asser- 
zione gratuita  ed  un'  insinuazione  contro  la  quale  il  Frate  protesterebbe  certamente, 

29 


—  450  — 


L' infermità  che  adduce  è  talmente  provata  e  vera  che  non  può  lasciar 
luogo  nemmeno  all'  ombra  del  più  leggiero  dubbio.  Il  Villari  scrive  che  la  ma- 
lattia fu  pel  Savonarola  una  ragione  assai  legittima.  Si  trattava  di  una  grave  in- 
fermità viscerale,  (*)  che,  secondo  i  medici,  ove  egli  non  avesse  sospeso  lo  studio 
e  le  prediche,  lo  avrebbe  potuto  condurre  alla  morte.  Già  alcuni  giorni  innanzi 
all'arrivo  del  Breve  egli  aveva  annunziato  queste  cose  al  popolo,  dicendo  che 
la  sua  malattia  lo  costringeva  a  interrompere  la  predicazione.  Infatti  nella 
predica  XXIII  sopra  i  Salmi  fatta  a'  dì  24  giugno  e  quindi  più  di  un  mese  in- 
nanzi 1'  arrivo  del  Breve,  egli  diceva  sul  finire  :  «  Io  sono  venuto  qua  questa 
mattina  per  soddisfarvi;  benché  io  mi  senta  pure  male:  vi  prego  che  preghiate 
Iddio  per  me  che,  se  è  meglio,  mi  levi  via  questo  male  ». 

E  poi  nella  predica  successiva  recitata  a'  dì  5  di  luglio,  esordendo  sulla 
necessità  che  s'  aveva  di  ripetere  il  verbo  di  Dio,  ripeteva  ancora  a'  suoi  Fio- 
rentini :  «  Vedendovi  di  nuovo  declinare  al  senso,  sono  tornato  questa  mattina 
in  campo.  E  benché  mi  fosse  meglio  il  riposarmi  per  rispetto  della  infermità 
nostra,  pure  confidandomi  in  Cristo,  nel  quale  ho  posto  tutta  la  mia  fiducia, 
e  con  le  vostre  orazioni  pregherete  che  mi  faccia  forte....  sono  entrato  nella 
milizia  di  Cristo....  e  sono  pure  ancora  qua....  ».  E  più  innanzi,  quasi  scusan- 
dosi del  modo  insolito  come  predicava,  dice:  «  Io  mi  sforzerò  di  andare  pian 
piano....  perchè  il  medico  non  mi  dia  la  riprensione  ».  (XXVI  sopra  i  Salmi.) 

E  nella  predica  fatta  proprio  a'  dì  28  di  luglio  dice  fin  dal  principio  :  «  Io 
predico  questa  mattina  non  già  indotto  dalla  medicina,  ma  dalla  carità,  per- 
chè se  io  guardassi  al  consiglio  de'  medici,  io  non  predicherei,  ma  ho  tanta 
fede  in  Dio,  e  nelle  vostre  oràzioni,  che  mi  fanno  forte  che  io  potrò  predicare. 
E  non  vi  dirò  stamani  troppe  cose  sottili....  »  (2)  Sul  finire  poi  aggiungeva:  «  Or- 
sù, che  vuoi  tu  fare,  o  Frate?  Io  concludo,  che  io  ho  tanto  predicato,  e  sommi 
tanto  affaticato  per  te,  Firenze,  eh'  io  ho  abbreviata  la  vita  mia  molti  anni,  e 
sono  mancato  forte.  Orsù,  che  premio  vuoi  tu?  Io  non  voglio  premio  alcuno 
da  te,  Firenze;  ma  te,  Signor  mio  Gesù  Cristo,  prego,  che  tu  mi  dia  quel  pre- 
mio che  tu  desti  alli  tuoi  santi  Apostoli  e  alli  tuoi  Profeti  e  alli  tuoi  altri  santi 
martiri.  Signore  mio,  io  te  prego  ogni  dì;  io  sono  contento  che  tu  mi  dia  que- 
sto per  amore  di  questa  città;  sono  contento  morire  per  lei,  la  quale,  Signor 
mio,  io  ti  raccomando  e  ti  prego  che  tu  1'  aiuti  e  che  tu  gli  dia  le  cose  che  tu  gli 
hai  promesse.  Signore  mio,  io  te  ne  prego  per  le  viscere  della  misericordia  tua, 

come  lo  vedremo  protestate  contro  le  simili  de' suoi  avversari  d'allora.  Chi  vi  dice  che,  ove 
le  condizioni  d' Italia  fosser  mutate  e  venute  meno  le  ragioni  eh' egli  scriveva  a  Roma  al 
Papa,  non  si  sarebbe  quanto  prima  messo  in  viaggio?!  Pei  cattolici  è  poi  ridicolo  il  tacciar 
d'eretico,  o  di  prossimo  all'eresia  un  insegnamento  fondato  tutto  sopra  de' Santi  Padri.  Che 
se  non  è  permesso  non  dirlo  cattolico,  qual  colpa  potrà  avere  il  Savonarola  su  Wicletl'o  od 
altri,  guastandolo,  pretenda  di  metterlo  a  fondamento  di  una  nuova  eresia  e  neghi  l'autorità 
de' Vescovi  e  del  Papa,  difesa  strenuamente  dal  Riformatore  fiorentino  I 
(*)  Cfr.  anche  questo  scrittore  alla  pag.  361. 

(")  E  lo  zelo  lo  tenne  davvero  sul  pergamo  abbastanza  bone  si  che  a  mezzo  la  predica 
quasi  egli  se  ne  maravigliava,  pur  sentendo  che  il  malo  lo  avrebbe  ripreso  e  che  quindi  avrebbe 
dovuto  stare  un  poco  a  curar  la  salute,  ed  esprimendo  ora  il  duhbio  di  vivere  ancora. 


—  451  — 


per  la  tua  passione,  per  il  tuo  prezioso  sangue,  che  per  lei  spargesti:  io  te  ne 
prego  per  i  meriti  de'  tuoi  santi  Apostoli  e  per  la  tua  dolce  Madre:  e  pregoti, 
Signore  mio  Gesù  Cristo,  che  tu  gli  dia  la  tua  benedizione;  ch'ella  ti  sia  sem- 
pre raccomandata  ».  (l) 

E  quindi  cessava  affatto  di  predicare. 

Ora,  dopo  tutte  queste  dichiarazioni  fatte  anche  prima  che  gli  giungesse 
il  Breve  da  Roma,  e  dopo  le  esplicite  asserzioni  non  pure  nella  lettera  ad 
Alessandro  VI,  ma  in  altre  e  anche  nelle  prediche  sopra  l'Esodo,  che  vedremo 
di  sotto,  chi  può  dubitar  della  cosa?  Il  Villari  scrive  senza  meno  che  il  Frate 
portava  scritto  nel  volto  il  suo  esaurimento  ed  ognuno  poteva  vedere  come  a 
fatica  salisse  le  scale  del  pergamo.  E  cosi  stando  la  cosa,  chi  poteva  dar  torto 
al  Frate  s'egli  eseguiva  il  consiglio  degli  amici  e  del  medico  e  riteneva  di  non 
poter  allora  intraprendere  un  viaggio  alla  volta  di  Roma  e  se  ne  scusava  col 
Pontefice  che  lo  aveva  colà  chiamato?  In  nome  di  qual  legge  potevasi  con- 
dannarlo?! 

La  seconda  ragione  che  il  Savonarola  recava  era  il  pericolo  di  essere  uc- 
ciso per  la  via.  Si  può  dubitare  che  non  dicesse  il  vero?  dobbiamo  esaminare 
anche  questa  asserzione  ?  Facciamolo,  ma  brevissimamente.  Prima  di  tutto 
non  dimentichiamoci  quali  fossero  i  tempi  che  allora  correvano,  perchè  questa 
dimenticanza  ci  potrebbe  nuocere  non  meno  nel  caso  presente  di  quello  che 
nuocerebbe  per  le  difficoltà  materiali  e  i  disagi  del  viaggio.  Del  resto  il  Pastor 
a  questo  proposito,  ci  fornisce  tali  prove  che  ci  resta  bisogno  di  ben  poco 
altro.  Già  nel  primo  volume,  narrando  la  Congiura  di  Stefano  Porcari,  l' illu- 
stre storico  d' Innsbruck  avrà  fatto  fremere  più  d' un  cuore  nelle  pagine 
che  seguono  alla  110  parlando  degli  umanisti  e  del  tirannicidio!  Ora 
nel  volume  che  abbiamo  per  le  mani  ritorna  da  capo  sopra  quel  truce  argo- 
mento. «  Una  grande  rilassatezza  del  sentimento  morale  appare  altresì  dagli 
omicidi  che  si  commettevano  perfino  nelle  chiese,  taluni  de'  quali  si  congiun- 
gono assai  strettamente  col  rinascimento  dell'antichità:  i  successori  in  anima 
e  corpo  dei  Bruti  e  dei  Cassii,  levati  alle  stelle  dagli  umanisti,  uscirono  in 
molti  luoghi  all'  aperto.  Infame  era  pure  l'assassinio  per  ragioni  di  Stato,  uno 
spediente  cui,  sopratutto  in  Venezia,  si  ricorreva  onde  sbrigarsi  di  nemici,  sia 
esterni  sia  interni.  Con  una  disinvoltura  sorprendente  veniva  di  queste  cose 
discusso  e  deliberato  nel  gran  Consiglio.  L'  assassinio  era  ammesso  dal  Go- 
verno come  un  mezzo  politico,  talché  il  Pontano  potè  dire  :  «  Nulla  in  Italia  è 
più  a  buon  mercato  che  una  vita  umana  ».  E  a  pagina  78  leggonsi  parole  non 
meno  orribili.  Dopo  di  aver  detto  della  scostumatezza  de'  principi  di  quei  tempi 


(')  Non  è  forse  privo  d'importanza  il  documento  85  del  Cappelli:  è  il  Manfredi  che 
scrive  al  suo  signore  e  dice  :  «  Questo  oratore  del  Papa  mi  La  fatto  vedere  questa  sera  un 
breve  che  ha  scritto  Sua  Santità  al  nostro  venerabile  Fra  Girolamo,  col  quale  gli  comanda 
che  si  trasferisca  a  Roma  a  ciò  che  lo  intenda  di  quel  che  gli  è  stato  Hcritto  di  qua,  che  sua 
Paternità  ha  predicato  che  tutto  quel  che  dice  lo  ha  da  Nostro  Signore  Iddio  e  si  verifica 
intieramente.  Non  so  qual  partito  egli  pigliela,  imperocché  a  me  ha  detto  in  questi  giorni 
ch'ei  non  era  in  attitudine  di  andarvi  per  molti  rispetti  e  capi  ». 


—  452  — 


cose  che  fan  parer  vera  la  proposizione  che  queir  epoca  delle  dinastie  de'Ba- 
stardi  non  prendesse  quasi  scandalo  dell'  origine  dei  Borgia,  soggiunge:  «  Colla 
scostumatezza  si  davano  la  mano  crudeltà  e  spirito  di  vendetta  »  ;  e  narra 
quindi  feroci  sanguinarie  atrocità  da  restarne  inorriditi  anche  gli  animi  più 
duri,  e  che  noi  amiamo  lasciare  dove  stanno.  (*) 

Ma  non  sappiamo  tacere  ciò  che  si  legge  a  pagina  3:28.  È  noto  a  tutti  il 
misterioso  assassinio  del  duca  di  Gandia,  figliuolo  prediletto  di  Alessandro  VI, 
avvenuto  in  Roma  la  sera  del  14  giugno.  Narrando  questo  fatto,  il  Pastor  rac- 
conta come  dopo  molte  ricerche  «  finalmente  il  16  giugno,  per  mezzo  di  un 
mercante  di  legna  schiavone,  di  nome  Giorgio,  solito  di  notte  a  far  la  guardia 
al  suo  deposito  di  legnami  presso  1'  ospedale  di  sua  nazione  in  riva  al  Tevere, 
si  venne  sulle  vere  tracce  del  perduto.  Richiesto  il  mercante  su  ciò  eh'  ebbe 
ad  osservare  nella  notte  dopo  il  martedì,  disse:  —  Si  era  verso  le  due  di  notte, 
allorquando  dalla  via  a  sinistra  dello  spedale  sbucarono  due  uomini,  i  quali, 
spiato  intorno  con  tutta  precauzione,  diedero  poi  volta.  Di  lì  a  poco  nello 
stesso  luogo  comparvero  due  altri,  sbirciarono  d'attorno,  nè  scorgendo  anima 
viva  diedero  un  segnale.  Dopo  di  che  comparve  un  cavaliere,  che  seduto  sur 
un  bianco  destriere  aveva  a  cavalcioni  sulla  sella  un  cadavere,  il  capo  e  le 
braccia  del  quale  spenzolavano  da  un  lato,  le  gambe  dall'  altra,  a  dritta  e  a 
sinistra  sostenuti  dai  detti  uomini.  L'orrendo  convoglio  si  portò  a  quel  sito 
della  ripa  del  Tevere,  dove  si  gettano  nel  fiume  le  spazzature.  Quivi  giunto, 
il  cadavere  fu  di  tutta  forza  scaraventato  nelle  acque.  Alla  domanda  del 
cavaliere:  Lo  avete  voi  gettalo  dentro  bene?  Benissimo,  signore  — ,  risposero 
quei  della  comitiva.  —  I  cinque  individui,  due  de'quali  tenevano  guardia,  scom- 
parvero quindi  in  un'altra  via  che  mette  all'ospedale  di  San  Giacomo  ».  Fa 
correre  un  sudor  freddo  per  V  ossa  questa  deposizione;  e  si  aspetta  natura- 
lissima la  richiesta  al  mercante  perchè  non  aveva  denunziata  la  cosa  al  go- 
vernatore: ma  terribile  oltre  ogni  dire  è  la  risposta  che  quegli  diede,  e  a 
ragione  il  Pastor  la  dice  «  caratteristica  per  le  condizioni  nella  Roma  dei  Bor- 
gia: —  Nella  mia  vita  ho  visto  in  quel  luogo  buttar  nel  fiume  ben  cento  dei  cada- 
veri, senza  che  alcuno  mai  se  ne  curasse.  —  Dopo  ciò  nessuno  credo  vorrà  dire 
esagerato  il  Platina,  se,  parlando  della  Roma  di  quei  tempi,  scrive:  «  Nè  la 
notte,  nè  il  dì,  s'andava  fuori  della  città  sicuro  »;  nessuno  avrà  bisogno  che 
gli  si  narri  l'  aggressione  avvenuta  in  Roma  nella  residenza  medesima  del- 
l' ambasciatore  fiorentino,  perchè  si  creda  senz'  altro  che  il  Savonarola  non 
esagerava  quando  scriveva  al  Pontefice  che  mettendosi  in  viaggio  per  Roma 
correva  egli  troppo  serio  pericolo;  egli  che  dagli  avversar]'  suoi  (z)  era  cercato 
a  morte,  nè  poteva  girar  sicuro  nella  stessa  città  di  Firenze,  dove  l*  accom- 


(')  In  vero  che  il  Savonarola  aveva  ragione  quando  gridava  ai  principi  d'Italia  di  far 
penitenza,  se  volevano  (uggire  l'ira  di  Dio. 

(2)  Non  mi  soffermo  a  narrare  e  mostrare  quali  e  quanti  fossero  gli  avversar.]'  e  i  nemici 
del  Savonarola,  credo  sia  noto  a  tutti  ed  è  troppo  facile  raccoglierlo  anche  dal  complesso  di 
questo  scritto,  liei  resto  basta  leggere  un  biografo  qualunquo  del  Fiate  o  uno  storico  del 
tempo  per  esser  subito  edotto  assai  bene  della  cosa.  Noi  ne  diremo  più  oltre. 


-  453  — 


pagnava  continuamente  una  scorta  di  armati  suoi  ammiratori  ed  amici.  E 
chi  pensa  che  il  Savonarola  era  accusato  d'  essere  stato  la  cagione  di  tutto 
il  male  de'  Medici,  e  d'incitare  il  popolo  a  star  con  la  Francia  contro  la  Lega, 
non  si  meraviglierà  punto  di  leggere  nel  processo  medesimo  di  ser  Ceccone  : 
«  Circa  al  non  andare  a  Roma  dico  procede  per  non  essere  morto  per  la  via, 
o  a  Roma  come  era  da  Piero  de'  Medici,  o  dalla  Lega,  per  essere  io  contra 
al  proposito  loro  ».  (Villari,  Voi.  II,  pag.  clxij.) 

Per  le  cose  dette  riescono  chiosati,  e  d'una  chiarezza  che  non  chiede  altra 
luce,  alcuni  passi  delle  prediche  del  Savonarola.  Il  martedì  dopo  la  quarta  do- 
menica di  quaresima  1496,  esponendo  il  Vangelo  del  giorno,  giunto  alle  parole 
che  la  turba  rispose  a  Cristo  quando  gli  disse  :  Tui  hai  il  demonio  addosso  : 
chi  è  che  cerca  d'  ucciderti  ?  (*) ....  dopo  brevi  osservazioni  sopra  la  parola  turba, 
segue:  «  Voi,  donne,  non  sapete  voi  come  fanno  costoro  quando  vogliono  di- 
fendere la  verità?  che  quando  non  possono  più  difendersi  cominciano  a  ve- 
nire alle  villanie:  sicché  questa  turba  cominciò  a  parlare  con  villania  e  dire 
a  Cristo:  Tu  hai  il  diavolo  addosso;  chi  cerca  di  ammazzarti f  Quasi  che  non 
si  sapesse,  e  si  sapeva  in  pubblico,  che  cercavano  ammazzare  Cristo.  Credi 
tu  che  se  fosse  andato  solo  (parlando  dico  per  via  umana)  che  1'  avessino 
giunto  presto?  Credi  che  1'  avrebbero  ammazzato  molto  più  presto;  ma  eglino 
avevano  paura  del  popolo  che  accompagnava  Cristo.  Cosi  voi  cercate  di  am- 
mazzare: voi  cercate,  dico,  di  ammazzare  il  predicatore:  eccene  qua  nessuno? 
Tu  dirai:  oh!  son  fuori  di  Firenze.  Io  ti  dico  che  son  dentro  e  di  fuora.  Tu 
dirai:  oh!  chi  son  eglino?  No:  e' non  si  va  più  in  là,  questo  non  bisogna  ma- 
nifestare. Vedi  che  il  Salvatore  quando  gli  scribi  e  i  farisei  gli  dissero:  chi  è 
quel  che  ti  cerca  ammazzare?  poteva  rispondere:  sei  tu:  ma  egli  non  lo  volle 
fare,  perchè  il  popolo  non  gli  andasse  addosso  ». 

E  poco  più  innanzi  quasi  ricalca  le  già  gravi  e  recise  asserzioni.  Espo- 
nendo il  versetto  15°,  coloro,  dice,  i  quali  erano  della  città  di  Gerusalemme 
sapevano  bene  il  secreto  degli  scribi  e  farisei,  che  volevano  uccider  Cristo, 
perchè  stando  nella  città  sapevano  le  iniquità  de'  farisei  ;  ma  quelli  che  veni- 
vano di  fuori  della  città  alla  festa  non  sapevano  cosi  le  cose:  onde,  avendo 
visto  Cristo  e  uditolo  predicare,  si  maravigliavano  come  si  fosse  sparsa  la  voce 
che  gli  scribi  e  i  farisei  lo  volessero  uccidere,  mentre  ora  non  lo  facevano:  e 
pensavano  che  fosser  convertiti,  perchè  stavano  cheti  contro  Cristo.  Ma  no, 
soggiunge  il  Frate,  costoro  non  lo  sapevano  bene;  gli  scribi  e  i  farisei  stavano 
cheti  per  paura  del  popolo;  ma  il  proposito  di  uccider  Cristo  l'avevano  sem- 
pre ».  «  Così,  segue,  ti  dico  io,  che  eglino  stanno  a  pensare  i  modi  come 
possano  fare,  benché  stieno  cheti;  ma  essi  hanno  il  cocomero  in  corpo,  che 
hanno  paura  del  popolo....  » 

E  ancora  più  esplicito  è  nel  sermone  seguente,  il  XXIX  sopra  Amos  e 
Zaccaria:  «  Fatti  inanzi,  cattivo,  che  io  ti  voglio  dire  quella  parola  che  io  t1  ho 
promessa,  poiché  tu  non  hai  autorità  da  te,  tu  vai  procurando  che  venga  o  sco- 


{*}  Vangelo  di  San  Giovanni,  c.  VII,  v.  20,  e  c.  Vili,  v.  48. 


—  454  — 


munica,  o  interdetto.  Io  il  voglio  dire:  io  1'  ho  scritto  a  Roma,  se  a  posta  dei 
cattivi  s'  ha  a  lasciare  1'  onor  di  Dio.  Tu  procuri  pur  che  venga  perchè  tu  non 
hai  autorità  da  te  a  far  quello  che  vorresti;  perchè  tu  non  hai  fatto  in  modo 
che  tu  debba  averla.  Che  credi  tu  che  facessero  questi  tiepidi,  se  venisse  un 
interdetto?  Dicono:  E'  non  sarebbe  nulla  se  costui  fosse  levato  di  qua.  Io  vi 
dico:  Guai  a  voi  se  non  fosse  questa  predicazione:  non  dico  di  me,  ma  dico  se 
non  fosse  altri  che  io  in  questa  predicazione:  guai  a  voi  che  procurate,  che  se 
non  fosse  questo  non  sareste  oggi  in  questo  mondo.  Guai  a  tutti  voi  altri  del 
popolo  che  se  non  fosse  questa  predicazione  stareste  ora  peggio  che  tutti  gli 
altri  popoli:  procura  adunque  quanto  tu  vuoi  e  non  credere  che  io  mi  ridica, 
anzi  ti  dico  che  io  sono  parato  a  rimetterci  insino  alla  vita.  Or  fatti  in  qua, 
cattivo:  io  ti  dico  che  l'Onnipotente  Iddio  cerca  di  farti  misericordia:  notabene 
le  mie  parole:  se  tu  non  le  vorrai  accettare,  guai  a  te  e  alla  tua  famiglia  e  ai 
tuoi  seguaci.  Io  ti  dissi  ieri  in  sull'  Evangelo:  vos  quozritis  me  interfìcere:  così  ti 
ridico:  tu  hai  fatto  congiura  di  ammazzarmi;  io  non  1'  ho  da  uomo  nessuno 
questo,  ma  è  così  vero  come  te  lo  dico  e  ne  sono  certo:  ma  tu  sei  più  obbli- 
gato, prima  dico  a  Dio,  poi  a  questo  instrumento,  che  a  tuo  padre  e  a  tua  ma- 
dre. Notami  bene;  se  tu  non  vorrai  far  fine  alla  tua  congiura,  guarda  come  ti 
parlo,  e  ascolta  le  mie  paiole:  Dio  m'ha  dato  questa  licenza  che  io  scriva  i 
tuoi  peccati,  e  cosa  che  si  vedrà  che  non  si  può  sapere  per  via  umana  e  che  io 
scriva  la  congiura  e  il  modo  che  tu  hai  tenuto  per  ammazzarmi,  e  quello  che 
tu  hai  fatto  contro  alla  tua  patria.  E  che  io  faccia  parecchie  polizze  suggellate 
e  le  dia  a  certi  buoni  uomini  e  religiosi,  non  so  già  quante;  ma  io  lo  saprò, 
le  quali  si  abbiano  a  scoprire  poi,  quando  tu  avrai  fatto  qualche  male,  perchè 
Iddio  vuole  poi  che  tu  sia  punito  tu  e  tutti  li  tuoi  seguaci  e  dicoti  che  io 
n'  ho  già  parlato  con  uno  che  credo  sia  qui  alla  predica;  sì  che  io  ho  già  co- 
minciato a  parlarne,  e  così  seguiterò.  Io  t'  ho  detto  altre  volte  che  le  pietre  ti 
manifesteranno  e  così  ti  ridico,  se  tu  non  desisti:  io  ti  avviso  per  misericordia, 
se  tu  non  ti  emendi  a  questa,  guai  alla  barba  tua.  A  me,  se  tu  m'  ammazzi,  fa- 
rai una  gran  grazia.  Nani  mihi  vivere  Christus  est  et  mori  lucrum:  fa  pure: 
et  quod  facis,  fac  citius.  Voi  buoni,  non  abbiate  paura  nessuna,  chè  l'Onnipo- 
tente Iddio  ha  deliberato  che  1'  opera  sua  vada  innanzi  ;  e  quando  io  fossi  ben 
morto,  ne  susciterà  poi  in  un  tratto  più  di  sette  maggiori  di  me;  credete  che 
io  sono  un  vile  istru mento.  Est  potens  est  Deus  suscitare  de  lapidibus  istis  fi- 
lios  Abrae:  sicché  non  vi  turbate  di  niente;  e  tu,  cattivo,  se  io  t'avviso  che  tu 
capiterai  poi  male  in  questo  mondo,  io  t'avrò  poi  a  giudicare  nell'altro.  Io 
ho  pregato  e  prego  per  te,  perchè  ti  voglio  bene,  e  così  pre-o  voi  che  pre- 
ghiate Iddio  per  questi  cattivi  e  per  noi  che  ci  dia  la  sua  grazia  in  questo 
mondo  e  Dell'  altro  la  gloria  ». 

Sottoscriviamo  quindi  già  ora  con  doppia  mano  alla  scusa  verace  che  il 
Savonarola  faceva  ad  Alessandro  VI:  egli  non  solo  esercitò  un  diritto,  ma 
compì  anche  semplicemente  un  dovere  da  buon  cristiano. 

Le  ragioni  esposte  fin  qui  mi  paiono  così  decisive  e  perentorie  che  quasi 
crederei  inutile  l'aggiungerne  altre.  Pure,  dacché  Fra  Girolamo  aggiungeva 


—  455  — 


ancora  fra  i  motivi  di  scusa  il  danno  che  ne  sarebbe  venuto  a  Firenze,  però 
non  sarà  inutile  che  esaminiamo  con  la  maggiore  brevità  possibile  anche  que- 
sta ragione. 

Anche  qui  però  ci  viene  in  aiuto  il  giudice  stesso  del  Savonarola.  Questi, 
forse  involontariamente,  ci  reca  la  prova  (se  è  vero  ciò  che  scriveva  a  pag.  142), 
che  il  Savonarola  aveva  tutte  le  ragioni  di  riscrivere  come  fece  ad  Alessan- 
dro VI:  anzi  esse  riescono  una  novella  conferma  dello  zelo  che  lo  animava  per 
il  bene  di  Firenze:  Ecco  che  cosa  dice  il  Pastor:  «  11  Savonarola  aveva  un  vi- 
vente sperimento  che  l'efficacia  della  sua  predicazione  sui  fiorentini  non  era 
guari  profonda.  Tosto  che  ei  taceva,  il  vizio  e  la  incredulità  tornavano  a  galla.  (!) 

Ora  proprio  nelle  prediche  recitate  poco  prima  dell'  arrivo  del  Breve,  Fra 
Girolamo  cominciava  a  compiacersi  che  la  Riforma  di  Firenze  fosse  almeno 
abbozzata,  e  insisteva  perchè  la  si  perfezionasse,  e  avvalorasse.  (2) 

«  Io  ho  ritrovato,  che  la  città  di  Firenze  ora  ha  fatto  ogni  cosa  sostan- 
ziale, cioè  rinnovata  in  tutto  quanto  alla  parte  sostanziale:  e  però  vogliamo 
fare  nuove  predicazioni.  Tu  sai  che  io  ti  dissi  già  che  noi  stavamo  neh'  Arca. 
—  Ben,  credi  tu,  Padre,  che  la  nostra  Arca  stia  bene?  —  Si,  io  la  veggo  levare 
più  su  alta  ora  ».  Così  nel  sermone  XXIV  sopra  i  Saìmi,  e  nel  XXV  giunse 
fino  a  chiamare  beata  Firenze  che  ha  mutato  governo  e  vivere,  acciocché 
piaccia  a  Dio.  Ma  aggiunge  sempre  che  e  quel  governo  e  quel  nuovo  vi- 
vere erano  come  un  bambino  cui  bisogna  assistere  e  allevare,  e  render  forte, 
aggiungendogli  le  cose  che  gli  mancano.  Ora  essendo  la  sua  parola,  1'  opera 
sua,  lo  strumento  principale  di  cui  si  era  valso  Iddio  per  questa  riforma,  era 
giusto  e  lodevole,  era  lecito  eh'  egli  si  allontanasse  da  quel  popolo  e  lo  la- 
sciasse nelle  mani  di  ribaldi,  che  volevano  guastare  ogni  cosa?  Se  tosto  che  il 
Savonarola  taceva,  il  vizio  e  V  incredulità  tornavano  a  galla,  che  sarebbe  suc- 
ceduto s'  egli  si  fosse  allontanato  da  quella  città?  Per  farlo  bisognava  adun- 
que eh'  egli  venisse  meno  al  più  sacro  e  santo  de'  doveri  non  pure  del  predi- 
catore cristiano,  che  aveva  in  Firenze  operalo  tanto  prodigiosamente,  ma  an- 
che del  più  inutile  fra  gli  uomini,  il  dovere  di  curar  la  salute  della  anima  sua 
e  del  prossimo  e  di  zelare  la  gloria  di  Dio.  Si  capiscono  adunque  le  sollecitu- 
dini de'  buoni  cittadini  di  Firenze,  di  quelli  che  amavano  la  Repubblica  e  la 
nuova  vita  introdottavi,  perchè  il  Savonarola  non  fosse  allontanato  da  quella, 
e  si  capisce  assai  bene  che  il  Nardi  diceva  cosa  tutta  verità  allorché  scriveva 
che  «  del  partire  del  Frate  per  la  maggior  parte  degli  uomini  si  prese  grande 
alterazione,  perciò  che  e  da' magistrati  tutti  e  dagli  uomini  di  buona  mente  si 
giudicava  che  le  sue  prediche  fossero  molto  utili  alla  correzione  dei  costumi, 
e  necessarie  a  pacificare  insieme  gli  animi  discordanti  de'  mal  disposti  citta- 
dini nel  principio  di  quel  nuovo  governo.  Per  la  qual  considerazione,  per  opera 
e  procaccio  di  molti  suoi  devoti,  massimamente  dei  Dieci  di  libertà  e  di  pace, 


(')  Purtroppo  insieme  con  la  voce  del  Savonarola  rovinarono  molte  delle  usauze  ch'egli 
era  riuscito  a  mettere  in  Firenze!  Vedi  sopra  a  pag.  151. 
(s)  Vedi  sopra  pag.  113  e  seg. 


—  456  — 


fu  procurato  che  il  Papa  rivocasse  il  sopradetto  Breve,  e  così  fu  facilmente 
ottenuto  ».  (') 

E  ognuno  si  aspetta  come  troppo  naturali  e  spontanee  le  parole  che  Fra 
Girolamo  scriveva  ad  un  religioso  del  suo  ordine  a  Roma:  «  La  Riforma  della 
città  è  ancor  nuova,  come  quella  della  nostra  Congregazione;  ond' io  son 
certo,  e  tutti  lo  confessano,  e  così  giudicano  prudenti  e  giusti  uomini,  che  la  mia 
partenza  sarebbe  causa  di  ruina  della  città  e  dei  nostri  conventi;  onde  costoro 
credono  eh'  io  non  mi  potrei  partire  con  coscienza  sicura  ». 

E  questo  è  perfettamente  conforme  alla  teorica  del  Frate:  «  Avendo  noi 
tutti  comandamento  da  Dio  della  carità  fraterna  che  ciascheduno  abbia  cura 
della  salute  del  suo  prossimo;  dicendo  il  savio  nell'Ecclesiastico:  Comandò 
a  ciascuno  di  aver  pensiero  del  prossimo  suo;  quando  io  vedessi  espres- 
samente che  il  mio  partire  d'  una  città  fosse  ruina  spirituale  o  corporale  del 
popolo,  non  obbedirò  a  uomo  vivente,  che  mi  comandasse  che  io  mi  partissi. 
Sì  perchè  il  suo  comandamento  saria  contrario  al  comandamento  divino,  sì 
perchè  io  presumerla  che  quella  non  fosse  la  intenzione  del  mio  superiore; 
sapendo  che  è  piuttosto  da  obbedire  alla  intenzione  della  legge,  che  alle  parole  ». 

La  sua  partenza  adunque  poteva  esser  cagione  della  ruina  della  città; 
onde  egli  faceva  semplicemente  il  suo  dovere  scusandosi  presso  il  Pontefice,  e 
avrebbe  mancato  con  fare  altrimenti  e  servendo  alle  mene  de'  tristi.  (*)  Sotto- 
scriviamo adunque  anche  qui  con  due  mani  alla  lettera  del  Frate  al  Papa  : 
nè  ci  sia  uomo  ragionevole  il  quale  osi  oppugnarla  e  non  chiamarsene  contento. 
Del  resto  crediamo  non  superfluo  il  fare  ancora  un'  osservazione.  Alessan- 
dro VI  non  chiamava  già  semplicemente  a  Roma  il  Savonarola,  ma  gli  diceva 
ancora  il  fine  per  il  quale  lo  chiamava:  udire  da  lui  stesso  i  vaticinj  di  lui, 
de'  quali  eragli  stato  riferito  fin  qui  da  altri.  Ora  il  Frate  appaga  completa- 
mente questo  desiderio  del  Pontefice  ;  imperocché,  come  gli  dice  nella  stessa 
lettera  di  scusa,  gli  manderà  quanto  prima  il  Compendio  di  Rivelazioni  ch'era 
proprio  allora  per  far  uscire  con  le  stampe,  nel  quale  si  conteneva  tutto  quanto 
il  Savonarola  stesso  potesse  dire  a  viva  voce.  Adunque,  se  il  volere  del 
Papa  era  sol  quello  che  è  espresso  nel  Breve:  udire  e  mettere  in  pratica  ciò 
che  era  piaciuto  a  Dio  rivelare  al  suo  servo;  questo  non  richiedeva  ora  altri- 
menti il  pericoloso  viaggio  del  Frate,  e  perciò,  anche  considerata  la  cosa  sotto 
questo  riguardo,  il  Savonarola  si  governava  prudentemente  rescrivendo  al  Pon- 
tefice, e  nessuno  lo  può  condannare  come  disobbedienle.  La  domanda  del 
Pontefice  era  in  qualche  modo  soddisfatta.  Se  avesse  questi  voluto  altre  spie- 
gazioni, potrebbe  chiederle  in  appresso;  ma  intanto  il  Frate  gli  dava  quanto  era 
in  lui  il  dargli.  E  perciò  poteva  quietarsi  nella  speranza  d'averlo  soddisfatto. 


(')  Villari,  nota  I,  pag.  355. 

(z)  Queste  avevano  por  autori  i  principi  d'Italia  o  segnatamente  il  Moro;  e  il  Savonarola 
non  lo  ignorava  punto,  come  non  no  ignorava  gli  ultimi  intonti.  K  cosa  che  non  ci  stanche- 
remo di  ripetere,  perchè  non  dove  uscire  mai  dalla  mente  dol  lettore,  se  vuol  poter  giudi- 
care rettamente. 


—  457  — 


E  non  pure  il  Savonarola,  ma  anche  noi  dobbiamo,  pare  a  me,  credere  pia- 
mente che  l' intenzione  del  Pontefice  fosse  eseguita.  Infatti  da  tutto  quanto 
abbiamo  esposto  si  può  credere  che  Alessandro  VI  volesse  davvero,  quando 
gli  fosser  note  le  cose,  che  il  Savonarola  lasciasse  Firenze?  Il  buon  Frale  non 
la  pensava  cosi,  e  noi  siamo  d'  accordo  con  lui  e  crediamo  di  essere  perfet- 
tamente dal  Iato  della  ragione,  come  diremo  per  esteso  ne'  capitoli  che  se- 
guono. 

Ma  già  sorge  spontanea  in  qualche  lettore  la  domanda:  —  Che  fece  Ales- 
sandro VI  delle  scuse  del  Savonarola?  Le  menò  buone,  o  non  ne  tenne  conto?  — 
Ecco:  Alcuni  dicono  che  il  Pontefice  accettò  le  scuse  del  Frate;  altri  invece  lo 
negano.  Chi  ha  ragione?  Forse  hanno  ragione  gli  uni  e  gli  altri,  ma  prima  gli  ul- 
timi, e  poi  i  primi.  Il  caso  è  singolare,  ma  è  anche  vero.  Io  non  ho  difficoltà  di 
ritenere  che  il  Pontefice  non  seppe  nulla  di  queste  ragioni  del  Savonarola;  e 
invece  della  lettera  di  scusa,  si  vide  giungere  semplicemente  il  Compendio  di 
Rivelazioni,  o  gli  fu  detto  almeno  ch'esso  era  divulgato  per  le  stampe.  In  vero 
che,  ove  così  non  si  dovesse  pensare,  riuscirebbe  assolutamente  inesplicabile 
il  Breve  degli  8  settembre  1495  indirizzato  ai  Frali  di  Santa  Croce,  poco  amici 
di  quelli  di  San  Marco,  nel  quale  si  dicono  cose  gravissime  del  Savonarola,  e 
si  prendono  e  si  minacciano  misure  anche  più  gravi  contro  di  lui  e  de'  suoi 
Conventi. 

Un  cambiamento  così  repentino  non  è  concepibile  in  un  uomo  della  fred- 
dezza e  prudenza  di  Alessandro  VI,  nè  anche  se  attorniato  e  pressato  da  tutti 
i  nemici  del  Frate.  La  sua  longanimità  qui  rovinerebbe  subito  per  intiero,  e  il 
Breve  presente  sarebbe  poco  meno  di  un  enigma,  sia  che  lo  paragoniamo  al- 
l'antecedente o  a  quello  che  gli  venne  dopo  riguardo  al  Frate.  Del  resto  noi  cre- 
diamo di  avere  anche  qualche  prova  di  questa  nostra  asserzione,  mentre  la  contra- 
ria forse  è  una  semplice  ipotesi,  o  meglio  un  frutto  di  confusione.  11  Savonarola, 
rispondenda  a  questo  ultimo  Breve,  là  ove  il  Pontefice  afferma  che  avendolo 
chiamato  a  Roma,  non  gli  volle  obbedire,  dichiarato  esser  ciò  falso,  scrive  let- 
teralmente: «  Senza  dubbio  la  Santità  Vostra  mi  ha  invitato  a  Roma  con  un 
Breve,  ma  io  mi  son  dato  premura  di  esporle,  secondo  la  regola  canonica:  Si 
quando,  de  rescriptis,  i  giusti  motivi  che  mi  rendevano  questo  viaggio  impossi- 
bile.... Io  mi  meraviglio  che  la  Santità  Vostra  non  abbia  ricevuto  la  mia  risposta. 
Onde  ho  avuto  cura  d'inserirne  copia  nel  piego  della  lettera  che  il  Convento 
ha  inviato  ieri  a  Vostra  Beatitudine,  perchè  veda  Ella  stessa  che  le  hanno 
detto  il  falso  coloro  che  hanno  sostenuto  eh'  io  aveva  ricusato  di  obbedire  ». 
E  più  sotto  soggiunge  ancora,  che  «  uomini  tristi  hanno  abilmente  suggerito  il 
falso  a  Vostra  Santità;  e  non  Le  hanno  consegnato  la  mia  lettera  ».  (') 

Ora  a  me  pare  qui  più  che  evidente  non  solo  che  Fra  Girolamo  non  aveva 
avuto  risposta  diretta  da  Roma  prima  del  Breve  degli  8  settembre;  ma  non 


(')  Questa  lettera  del  Savonarola  ad  Alessandro  VI  è  pubblicata  dal  Qnétif,  Addizioni, 
pag.  136,  ma  con  la  data  erronea  del  27  ottobre  1J97.  La  vera  data  ó  il 29  settembre  1895.  Cfr.  Vii- 
lari,  voi.  I,  pag.  405,  nota. 


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aveva  nè  anche  in  alcun  modo  avuto  notizia  della  sua  lettera,  nè  dell'  effetto 
che  quella  avesse  prodotto  sull'anima  del  Papa;  e  nessuno  doveva  avergli  per- 
ciò detto  che  questi  aveva  accolto  le  sue  scuse  e  menate  per  buone  le  sue  ra- 
gioni. Imperocché  in  tal  caso  il  Frate  non  avrebbe  dovuto  dire  al  Papa  che 
avevagli  scritto,  e  maravigliarsi  e  lagnarsi  che  la  lettera  non  fosse  pervenuta  a 
quello,  ma  rammentargli  la  risposta  ottenutane,  e  le  assicurazioni  avute,  donde 
che  sia  le  avesse  avute.  Questo  mi  pare  un  argomento  non  vincibile,  il  quale 
mi  lascia  almeno  spiegare  il  Breve  agro  e  forte  seguito  al  Breve  tutto  lode  e 
carezze. 

Forse  alcuno  mi  obbietterà  con  le  parole  stesse  del  Savonorola,  il  quale 
nella  predica  recitata  a'  18  febbraio  1498,  parlando  della  risposta  al  primo 
Breve  dice:  «  Egli  (il  Papa)  accettò  la  escusazione  molto  bene  ».  Ma  queste  pa- 
role non  ci  danno  la  minima  noia.  Infatti  basta  osservare  che  il  Savonarola 
(rispondendo  al  Breve  degli  8  settembre)  rinnova  le  sue  ragioni,  ed  è  sufficiente 
alla  verità  delle  parole  dette  al  popolo  nel  1498  nel  fare  la  storia  de'brevi,  che 
il  Papa,  come  avvenne  infatti,  accogliesse  V  escusazione  molto  bene,  allorché 
conobbe  tale  escusazione.  Così  mi  paiono  conciliate  le  due  opposte  opinioni,  e 
di  più  chiarito  in  qualche  modo  uno  de' punti  più  oscuri  nella  storia  de' Brevi, 
punto  che  ha  spinto  molti  a  veder  nella  condotta  di  Alessandro  VI  nuli' altro 
che  politica,  anche  là  dove  il  Frate,  come  si  vede  dalla  stessa  lettera  al  Pon- 
tefice, v'  ammira  lo  zelo  per  la  religione  e  per  la  fede. 

Ma  1'  argomento  oramai  chiede  uno  svolgimento  maggiore,  e  che  si  vada 
oltre,  e  che  pigliamo  in  esame  il  secondo  documento  pontificio.  In  questo  Breve 
è  scritto  fra  l'altro:  «  Noi  abbiamo  appreso  che  un  certo  Girolamo  Savonarola 
da  Ferrara  si  è  lasciato  sedurre  dalla  novità  di  un  dogma  perverso  ed  è  venuto 
per  queste  commutazioni  delle  cose  d'Italia  in  tanta  insania  da  far  credere  al 
popolo  eh'  ei  sia  mandato  da  Dio,  e  parli  con  Dio,  senza  alcuna  attestazione 
canonica,  anzi  contro  le  canoniche  sanzioni.  In  vero  non  basta  che  altri  affermi 
solamente  d'  esser  mandato  da  Dio,  potendolo  ciò  fare  ogni  eretico,  ma  è 
necessario  eh' ei  provi  quell'invisibile  missione  con  miracolo  o  con  speciale  te- 
stimonianza della  Scrittura.  Inoltre  egli  osa  proferire  che  Gesù  Cristo  Croci- 
fisso mentisce  s'egli  mentisce;  orrendo  certo  ed  esecrabile  genere  di  giura- 
mento. Aggiunge  ancora  esser  fuori  dello  slato  di  salute  chi  non  creda  alle 
vane  asserzioni  di  lui.  E  sappiamo  di  più  eh'  egli  fa  e  dice  e  scrive  cose  inet- 
te, le  quali  se  passassero  impunite,  non  vi  sarebbe  nulla  che  non  potesse  osare 
la  temerità  de' falsi  religiosi;  e  nel  corpo  della  Chiesa,  ciò  che  è  sommamente 
da  temere,  s'  infiltrerebbero  i  vizj  sotto  l'apparenza  di  virtù.  Noi  abbiamo  spe- 
rato che  la  lunga  nostra  pazienza  gli  avrebbe  fatto  conoscere  la  follia  della  sua 
professione  di  profeta,  sì  ohe  volgendo  egli  un'altra  volta  il  passo  alla  via  della 
salda  verità,  ritrattasse  completamente  e  fedelmente  le  parole  che  a  turbar  la 
Chiesa  aveva  temerariamente  e  iniquamente  proferite.  Credevamo  che  non  do- 
vesse esser  lontano  il  giorno  nel  quale  egli  cangerebbe  in  allegrezza  il  dolore 
profondo  che  ci  ha  fin  qui  recato  la  scandalosa  separazione  della  Congrega- 
zione Lombarda,  che  alcuni  Frati  con  ingannevoli  arti  avevano  da  noi  estorta. 


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Ma  per  contrario,  non  conlento  di  disobbedirci  quando  noi  l'abbiamo  chiamato 
presso  di  noi,  perchè  potessimo  intendere  dalla  sua  stessa  bocca  la  verità,  ha 
osato  di  pubblicare  per  iscritto  le  cose  che  aveva  avuto  la  temerità  di  predi- 
care ».  (') 

Questo  dice  quel  Breve,  e  già  cominciando  il  Pontefice  aveva  detto  ch'egli 
per  1'  ufficio  che  gli  era  commesso  doveva  con  ogni  studio  cacciar  dalla  Chiesa 
la  novità  de'  dogmi  che  sotto  il  velame  di  falsa  semplicità  sogliono  spesso  ge- 
nerare nel  popolo  cristiano  e  nel  clero  scismi,  eresie  e  sovversione  di  dogmi. 
In  conseguenza  il  Pontefice  dichiarava  il  Savonarola  sospeso  dall'insegnamento 
e  dalla  predicazione,  mentre  che  la  sua  causa  s'  inslruirebbe  davanti  al  Padre 
Sebastiano  Maggi  vicario  generale  della  Congregazione  Lombarda,  alla  quale 
venivano  un'  altra  volta  incorporati  i  due  conventi  di  San  Marco  e  di  Fiesole, 
ingiungendo  a  Fra  Domenico,  Fra  Silvestro  e  Fra  Tommaso  Busini  di  recarsi 
entro  nove  giorni  a  Bologna.  Va  da  sè  che  quanto  s' ingiungeva  a  Fra  Girolamo 
ed  agli  altri  frati  s'ingiungeva  sotto  pena  della  scomunica  latae  sententiae.  Quindi 
era  condannata  del  Frate  di  San  Marco  ogni  cosa  e  nulla  più  restava  in  piedi 
del  suo  edificio. 

Con  questi  ordini  pontificj  che  cosa  doveva  fare  il  Savonarola?  e  che  cosa 
fece?  «  Con  questi  ordini  pontificj  »  secondo  il  Pastor  «  era  venuto  pel  Savo- 
narola il  punto  decisivo  di  mutar  condotta.  Come  prete  e  religioso  era  per  giu- 
ramento tenuto  all'  obbedienza  verso  il  supremo  capo  della  Chiesa,  in  qualun- 
que modo  come  persona  egli  si  comportasse  e  se  anche  fini  politici  agissero 
sopra  di  lui.  Il  Pontefice  del  resto  aveva  secondo  le  leggi  canoniche  senza  dub- 
bio il  diritto  di  prendere  le  disposizioni  nel  suddetto  breve  contenute  »  (p.  349). 
Questo  avrebbe  dovuto  adunque  fare  il  Savonarola  secondo  il  Pastor:  obbedire 
e  non  pensar  ad  altro.  Ma  nell'involuto  e  indeterminato  parlare  dello  storico 
d' Innsbruck  bisogna  distinguere  e  chiarire  molte  cose;  e  sopra  tutto  negare 
un  falso  supposto.  Alcune  espressioni  non  si  capiscono  bene:  che  vuol  dire 


(')  In  Appendice  a  questo  nostro  lavoro  pubblichiamo  questo  Breve  seoondo  la  lezione 
della  copia  favoritaci  dal  M.  K.  P.  Giacinto  Leca  dei  Predicatori.  Di  questo  Breve  il  Ponte- 
fice spedì  un  esemplare  al  Vicario  Generale  della  Congregazione  Lombarda  ch'era  allora 
Sebastiano  Maggi,  servendogli  anche  contemporaneamente  una  lettera.  Questa  è  inedita,  e 
sia  per  il  suo  contenuto,  sia  per  le  eccezionali  qualità  della  persona  a  cui  è  indirizzata  e  sia 
anche  perchè,  se  ve  ne  fosse  ancor  bisogno,  ribadisce  la  data  che  il  Gherardi  assegna  al 
Breve  Quia  divini  C'onsilii,  noi  pubblichiamo  anche  questa  in  Appendice. 

Alessandro  VI  non  poteva  scegliere  un  giudice  migliore  del  Beato  Sebastiano.  Noi 
anche  da  questa  scelta  argomentiamo  che  Alessandro  VI  non  era  mosso  nè  da  odio  personale 
contro  il  Frate  di  San  Marco,  nè  solo  da  ragioni  politiche,  poiché  il  Beato  Maggi  non  poteva 
essere  uno  de'molti  i  quali  sotto  la  direzione  del  Moro  tendevano  trame  all'  ardente  Riforma- 
tore.  Da  tutto  ciò  si  capisce  che  il  Savonarola  riscrivendo  al  Pontefice  anche  riguardo  ai  giu- 
dici a  cui  affidava  la  causa,  non  intendeva  di  fare  una  questione  meramente  personale,  si  bene 
una  questione  giuridica.  Il  Frate  Ferrarese  contava  anzi  fra  quelli  di  Lombardia  amici  ed 
ammiratori  non  pochi;  e  nel  Compendio  di  Rivelazioni  rispondendo  al  Tentatore  che  gli  op- 
poneva di  aver  egli  procurato  la  famosa  separazione  per  averne  oariche  e  onori,  nega  che 
ciò  sia  vero,  e  soggiunge  a  prova-  «  I  miei  fratelli  Lombardi  sanno  che  non  mi  sarebbe 
mancato  in  quella  Congregazione  copia  di  onori  e  di  quiete».  Perciò  è  troppo  chiaro  ch'essi 
non  potevano  volergli  male  e  crederlo  senz'altro  un  tristo. 


—  4G0  — 

per  esempio,  quando  si  afferma  che  era  venuto  per  il  Savonarola  il  punto  de- 
cisivo di  mutar  condotta?  E  verissimo  che  egli  come  prete  e  religioso  era  per 
giuramento  tenuto  all'obbedienza  verso  il  supremo  capo  della  Chiesa;  né  que- 
sto ha  aspettato  ad  impararlo  da  noi,  ma  lo  insegnava  egli  molto  chiaramente,  (*) 
nè  è  men  vero  che  non  lo  dispensava  dall'obbedienza  la  vita  del  Pontefice,  nè 
anche  se  fini  politici  agissero  sopra  di  lui. 

Che  il  Pontefice  possa  chiamare  a  sè  un  religioso  e  togliergli  la  predica- 
zione e  pigliare  le  altre  disposizioni  contenute  in  questo  breve,  è  cosa  che 
a  nessun  cattolico  verrà  mai  in  pensiero  di  negare,  come  mai  fu  negata  dal 
Savonarola  stesso.  Ma  qui  si  tratta  di  venire  al  particolare:  bisogna  vedere  se 
le  proposizioni  generali  vere,  sian  vere  nel  caso  di  cui  si  parla:  (2j  bisogna 
vedere  se  proprio  davvero  il  Savonarola  abbia  disobbedito,  e  non  altro. 

Potrebbe  il  Paslor  od  altri  provarci  vera  questa  proposizione,  che  il  nostro 
Frate  disobbedisse?  Io  credo  di  no;  e  sono  intimamente  persuaso  che  il  Frate 
di  San  Marco  questa  volta  non  abbia  davvero  peccato  nemmeno  venialmente  ; 
ma  che  abbia  operato  da  santo  con  zelo  straordinario  e  con  straordinaria  pru- 
denza e  saviezza. 

Prima  di  tutto  io  vorrei  fare  una  semplicissima  domanda  ai  critici  del  Sa- 
vonarola: Che  cosa  per  questo  Breve  pontificio  degli  8  settembre  1495,  do- 


(')  Infatti  negli  Scritti  Inediti,  chiosando  iL  XVII  di  Ezechiele  dice  reciso  reciso  che  «i 
prelati,  i  quali  cercano  l'appoggio  de'  principi  secolari  per  non  essere  ripresi,  corretti  da'su- 
periori  e  dal  Papa,  saranno  dal  diavolo  tratti  in  inferno,  e  senza  difficoltà  vi  saranno  tratti, 
perchè  essi  hanno  infranto  il  patto  e  il  giuramento  secondo  cui  si  strinsero  al  Papa  al  quale 
devono  render  conto  delle  anime  loro  affidate  >. 

(2j  Pur  troppo  alla  causa  del  Savonarola  nocque  assai  questo  pronunciare  semplice- 
mente proposizioni  universali  e  assolute:  e  già  facevano  questo  gli  avversari  suoi  men- 
tr'egli  viveva  e  predicava.  Ma  il  Savonarola  nella  XXIX  sopra  Amos  e  Zaccaria  paragonava 
costoro  agli  scribi  e  farisei,  i  quali,  non  potendo  negare  il  miracolo  che  Cristo  aveva  fatto 
sanando  il  cieco  di  cui  parla  San  Giovanni  nel  cap.  IX  del  suo  Vangelo,  e  pur  non  volendosi 
piegale  e  convertirsi  a  Lui,  ma  durando  nel  proposito  di  perseguitarlo  e  ucciderlo,  gli  mos- 
se!' l'accusa  che  non  rispettasse  il  sabato:  c  Jvon  e  costui  uomo  mandato  da  Dio,  che  non  guarda 
la  festa  ».  «  Cosi  fanno»  soggiungeva  il  Savonarola,  «  questi  tiepidi,  e  cattivi,  che  proferiscono 
certe  proposizioni  universali,  che  sono  in  se  vere;  ma  danno  scandalo  alla  brigata,  perche  non 
vengono  al  particolare,  se  le  son  vere  in  quel  modo  di  che  si  parla  ;  come  è  a  dire:  Aon  può 
essere  buono  uomo  chi  danna  le  cerimonie  ordinate  da'  santi  padri  antichi.  Similmente  dicono: 
Non  è  uomo  da  Dio  chi  non  obbedisce  al  Papa. 

-  Ma  e' non  vengono  al  particolare  nel  caso  di  che  se  ne  parla;  e  vanno  con  queste  propo- 
sizioni universali  ragunando  gente,  e  fanno  cene.  Raguna  quanto  tu  vuoi,  chè  l'onnipotente 
Dio  ha  ordinato  la  sua  verità  in  modo  che  vi  sarà  sempre  qualcho  uno  che  la  difenda...  »  Ma 
lostrano  per  il  Savonarola  si  era  che  il  cieco  dovesse  dare  la  sentenza  egli.  «  —  Che  ne  di'  tu, 
cieco,  di  costui  che  t'ha  aperto  gli  occhi?  —  Che  egli  è  il  profeta  ».  (Ivi,  verso  17.)  Questo  modo  di 
accusare  il  Frate  tra  cosi  universale  ed  insistente,  in  ispecie  nell'ultimo  periodo  della  sua 
vita,  che  riuscirono  a  persuadere  anche  la  Curia  di  Roma  che  Fra  Girolamo  fosso  un  ribelle. 
Infatti  nel  Breve  di  Alessandro  VI  alla  Signoria  con  la  data  dogli  8  marzo  1493,  pubblicato 
dal  Gherardi,  pag.  191,  si  accusa  appunto  il  Frate  coinè  se  egli  si  volesse  sottrarre  sempli- 
cemente alla  potestà  pontificia  a  cui  tutti  per  voler  di  Cristo  soggiacciono,  e  dicesse  in  ma- 
niera assoluta  di  non  poter  egli  venir  legato  da  alcun  vincolo  pontificio;  come  se  il  Savona- 
rola non  conoscesse  e  predicasse  molto  apertamente  che  ohi  nega  alla  Chiesa  la  facoltà  di 
legare  e  sciogliere  si  diparte  totalmente  da  Cristo.  Invero  l'efficacia  delle  frasi  e  sentenze 
generali  a  volte  è  terribile,  anche  so  ingiusta!! 


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veva  canonicamente  fare  e  non  fece  Girolamo  Savonarola?  Il  dispositivo  delle 
Lettere  Pontificie  si  riduce  tutto  a  costituire  il  Padre  Sebastiano  Maggi  Vi- 
cario Generale  della  Congregazione  Lombarda  a  giudice  di  Fra  Girolamo  e 
degli  altri  della  Congregazione  di  San  Marco,  e  ad  ingiungere  a  questi  V  ob- 
bligo d' obbedire  a  tale  giudice  con  pronta  e  sincera  obbedienza.  Che 
doveva  dunque  fare  il  Savonarola?  Pigliar  forse  parte  attiva  nell'  incorpora- 
zione e  nell'  unione  de' suoi  conventi  alla  Congregazione  Lombarda  ?  Sarebbe 
questa  una  supposizione  affatto  illegale;  anzi,  avuto  riguardo  alla  natura  degli 
ordini  religiosi,  e  segnatamente  del  Domenicano,  oserei  di  chiamarla  anche 
ridicola.  Potrà  dirsi  che  il  Savonarola  poteva,  ove  gli  fosse  piaciuto,  insistere 
umilmente  presso  i  suoi  superiori  e  presso  il  suo  giudice  perchè  volesser  deci- 
dere presto  la  causa  e  toglier  lui  e  i  Frati  suoi  da  quello  stato  in  cui  l'avevano 
messo  i  calunniatori  e  i  politici,  presso  il  Pontefice;  ma  non  era  nemmeno  a  ciò 
legalmente  obbligato;  ma  in  nessun  modo  si  saprebbe  dire  che  cosa  potesse  o 
dovesse  far  egli  per  incorporare  i  suoi  Conventi  con  la  Congregazione,  onde 
erano  stati  da' Brevi  Pontificj  poco  anzi  separati.  L'iniziativa,  e  per  il  Breve 
Quia  divini  consilii,  e  per  quello  indirizzato  al  Padre  Sebastiano  Maggi,  da  noi 
qui  per  la  prima  volta  pubblicato,  spettava  assolutamente  a  questo  Vicario  della 
Congregazione  Lombarda.  «  A  te  »  dice  Alessandro  nel  Breve  al  Padre  Maggi, 
«  a  te  affidiamo  e  comandiamo  che,  appena  avrai  ricevute  le  presenti  lettere, 
in  virtù  di  santa  obbedienza  e  sotto  pena  di  scomunica,  per  la  nostra  e  l'apo- 
stolica autorità,  tu  citi  il  detto  Girolamo  e  lo  ammonisca  che  comparisca  per- 
sonalmente innanzi  a  te  dentro  un  termine  competente  che  tu  stabilirai  ».  Il 
Beato  Sebastiano  adunque  doveva  citare  P  accusato  dove  credeva,  egli  cono- 
scer questa  causa,  egli  pronunciar  sentenza  e  dire  che  cosa  avesse  da  fare 
Girolamo  Savonarola  e  gli  altri  Frati  di  San  Marco  e  di  Fiesole.  Questi  ultimi 
si  sarebbero  qui  potuti  dire  disobbedienti,  contumaci  e  protervi  solo  quando 
non  avessero  prontamente  e  sinceramente  obbedito  al  loro  superiore  e  al  loro 
giudice,  al  giudice  inappellabile  dato  loro  dal  Pontefice,  a  colui  al  quale  il 
Pontefice  ingiungeva  ch'essi  obbedissero;  finché  il  Savonarola  e  i  suoi  Frati 
non  si  fosser  opposti  alle  decisioni  di  questo  giudice,  non  si  potevano  in  niun 
conto  avere  come  disobbedienti.  Questo  mi  par  chiaro  di  luce  meridiana;  e  mi 
pare  di  aver  favorevoli  tutte  le  leggi  divine  e  umane  e  naturali  e  positive,  ec- 
clesiastiche e  civili,  e  sopra  tutto  il  buon  senso.  Ora,  saprebbero  coloro  che 


(')  Ecco  il  testo  dispositivo  del  Breve:  «  Ea  piopter,  quando  nos  reddendae  universae 
Italia;  pacis,  grandi  ac  laborioso  opere  detineamur,  liane  ipsam  causam  Fratri  Sebastiano  de 
iladiis  de  Briria,  Congregationis  Lombaidiae  Ordinis  Praedicatorum  generali  Vicario  de- 
cemendam,  judici.ndam,  puniendamque  secunduin  vestii  ordinis  statuta  commisimus  per 
literas  nostras  in  forma  Brevis,  llieronijmo  Savonarolae  praedicto,  in  virtute  sanctae  obedien- 
tiae,  sub  exeomunicationis  latae  sententiae  poemi  stricte  praecipiendo,  mandantes,  ut  Vica- 
rium  praedictum  ad  cognoscendam  huiusmodi  causam  a  nobis  judicem  deputatum  prompta 
et  sincera  obedientià  recognoscat,  illius  mandatis  ubilibet  gentium  se  citaverit,  omni  cuncta- 
tione  et  appellatone  postposità,  pariturus  ».  Cfr.  anche  nell'  Appendice,  la  Lettera  pontificia 
al  Beato  Sebastiano  Maggi,  dove  è  detta  anche  più  chiaramente  la  stessa  cosa;  cioè  che  il 
Pontefice  affida  intieramente  a  questo  religioso  la  causa  del  Savonarola. 


—  462  — 


condannano  il  nostro  Frate  dirci  che  cosa  decidesse  il  Padre  Maggi  che  non 
sia  stato  eseguito  dal  Savonarola?  Finché  non  ci  abbian  detto  come  il  Beato 
Sebastiano  Maggi  abbia  esercitato  il  nuovo  ufficio  che  il  Pontefice  gì' impose, 
e  mostrato  che  il  Savonarola  si  ribellò  alle  decisioni  di  lui,  la  loro  condanna 
sarà  sempre  senza  fondamento  e  campata  in  aria,  o,  alla  men  triste,  ipote- 
tica; e  quindi  ingiusta  e  non  meritata  dall'accusato,  se  è  vero  che  nel  dubbio 
vogliono  restringersi  gli  odj  e  allargarsi  i  favori,  e  deve  tenersi  prosciolto 
ogni  reo. 

Ma  sebbene  la  storia  non  narri  (forse  non  piaceva  ai  nemici  del  Savo- 
narola, che  si  narrasse)  (*)  come  il  Padre  Maggi  adempisse  1'  ufficio  suo  di 
giudice,  tuttavia  un  indizio  che  egli  eseguisse  gli  ordini  pontificj  credo  si  possa 
avere,  e  credo  anche  di  poter  argomentare  che  la  sentenza  riuscisse  piuttosto 
favorevole  che  avversa  al  Frate  di  San  Marco.  Infatti  il  Becchi,  nella  famosa 
lettera  ai  Dieci  con  la  data  de'  26  marzo  1496,  nella  quale  parla  tanto  delle 
mene  degli  avversarj  del  Frate  per  riuscire  in  Roma  a  farlo  condannare  e  a 
fargli  togliere  la  predicazione,  dice  tra  l'altro:  «  Secondo  intendo,  hanno  man- 
dato e  fanno  diligenza  trovare  certi  processi  che  furono  fatti  a  Bologna  contro 
a  Fra  Girolamo:  e  in  tutto  ha  deliberato  Sua  Santità  punirlo  e  castigarlo;  e 
qui  dal  Generale  di  San  Domenico  e  molti  altri  religiosi  dottissimi  e  di  buona 
vita  e  santimonia  sono  ragguagliati  della  intenzione  e  fondam  ento  di  Fra  Giro- 
lamo ».  (*)  Potevano  esser  questi  processi  che  si  cercavano  altri  da  quelli  del 
Maggi?  E  se  si  fosser  trovati  contrarj  al  Savonarola,  si  può  credere  ch'egli  ne 
andasse  impunito,  e  che  più  nessuno  ne  parlasse?  Ma  noi  abbiamo  ne' docu- 
menti che  immediatamente  seguono  a  questo,  che  non  solo  il  Pontefice  non 
condannò  e  non  punì  il  Savonarola,  ma  che  restò  assai  bene  soddisfatto  circa 
alle  cose  di  Fra  Girolamo;  (3)  il  che  a  me  pare  possa  aver  in  parte  la  sua 
ragione  appunto  ne' processi  di  Bologna,  che  dovevano  almeno  essere  stati  ini- 
ziati dal  Beato  Maggi.  Certo,  se  questi  processi  fossero  stati  chiusi  con  la  con- 
danna del  Frate,  riuscirebbe  difficile  il  capire  come  poi  Alessando  VI  e  gli 
altri,  li  avesser  messi  in  tacere  per  sempre. 

E  un  altro  indizio  ho  che  il  Padre  Sebastiano  dovette  esser  favorevole 
al  Savonarola  col  lasciarlo  finalmente  in  pace  nella  Nuova  Congregazione, 
nell' aver  il  Pontefice  rinunciato  appunto  all'idea  di  quest'unione.  Il  Pastor 
(pag.  354)  dice  che  vi  rinunziò  per  le  ostilità  che  regnavano  fra  le  due  Con- 
gregazioni ;  e  non  ha  forse  tutti  i  torti  parlando  così  in  genere:  la  lettera  del 
Torriani  de' 15  novembre  1493  con  cui  sotto  pena  della  scomunica  impone 
ai  frati  della  Congregazione  Lombarda  di  non  molestare  e  infamare,  come 
facevano,  quelli  di  San  Marco,  dimostra  pur  troppo  che  anche  a  questo  riguardo 


(')  A  Bologna  vi  era  il  Tancredino  e  più  altri  nemici  del  Frate  i  quali.se  la  sentenza  del 
Padre  Maggi  fosse  stata  contraria  al  Savonarola,  certo  non  l'aviebber  lasciata  passare  cosi 
liscia.  Ma  invece  non  ricordo  che  ne  abbìau  mai  fatto  caso  uè  motto  contro  del  nostro. 

(*)  Gherardi,  pag.  141.  142. 

(')  Lettera  del  Becchi  a'  Dieci  con  la  data  dei  88  aprile  1496.  Gherardi.  pag.  143. 


—  463  - 


il  Savonarola  scriveva  il  vero  al  Pontefice.  Ma  questa  medesima  ragione  avrebbe 
militato  assai  più  fortemente,  come  vedremo  poi,  per  l'unione  con  la  Congre- 
gazione Romana.  (l)  Quindi  noi  non  siamo  alieni  dall'  opinare  che  a  desistere 
dal  primo  proposito  il  Pontefice  fosse  persuaso,  come  dalle  ragioni  del  Savo- 
narola, così  anche  da  quelle  del  Maggi. 

11  Maggi,  che  conosceva  assai  bene  il  Savonarola,  avendolo  avuto  per 
anni  in  quella  Congregazione,  come  dovette  rimanere  quando  si  vide  giun- 
gere il  terribile  Breve  pontificio!  Chi  può  immaginare  ch'egli  lasciasse  così 
facilmente  persisterà,  per  quanto  era  da  sè,  la  grave  e  falsa  accusa  d'  eresia 
d'un  superiore  di  conventi  dell'Ordine  suo,  nemico  sempre  d'  ogni  eresia?  E 
soprattutto,  chi  riesce  a  capire  che  il  Padre  Maggi,  degno  veramente  della  con- 
siderazione, della  stima  e  della  fiducia  che  il  Papa  riponeva  in  lui,  uomo  ve- 
ramente, come  il  Vicario  di  Cristo  lo  diceva,  probo,  religioso  e  temente  Dio,  sì 
che  poi  fu  innalzato  all'onore  degli  altari,  non  iscrivesse  a  Roma  come  stavano 
le  cose?  In  verità  che  non  mi  pare  troppo  ardita  1'  induzione  che  a  calmare  il 
Pontefice  e  a  persuaderlo  eh'  eran  calunnie  le  molte  e  varie  cose  della  novità 
del  dogma  e  delle  scandalose  predicazioni  di  Fra  Girolamo  che  gli  erano  state 
riferite  e  che  tanto  1'  avevano  commosso,  dovette  cooperare  assai  l'  opera  di 
questo  Santo  Religioso.  La  scelta  di  un  tanto  giudice  io  penso  che  abbia  di- 
sturbato non  poco  le  fila  della  trama  che  gli  avversar)'  del  ben  vivere  e  del 
bene  comune  in  Firenze  tendevano  al  Savonarola,  e  mi  penso  che  la  rela- 
zione del  Maggi  ad  Alessandro  VI  non  sia  1'  ultima  delle  ragioni  per  le  quali 
quegli  dettò,  come  vedremo,  il  breve  de'  16  ottobre,  che  sospendeva  il  dispo- 
sitivo di  quello  degli  8  settembre.  Ci  voleva  proprio  un  Maggi  a  calmare  l'animo 
agitato  di  Alessandro  VI. 

Se  ancora  avessi  un  dubbio  che  1'  opinione  da  noi  espressa  che  il  Padre 
Sebastiano  Maggi  finisse  per  dar  ragione  a  Fra  Girolamo,  questo  mi  verrebbe 
dissipato  dalla  predica  XIX  sopra  Amos  recitala  la  domenica  terza  di  Quadra- 
gesima dell'anno  1496.  Infatti  ivi,  parlando  il  nostro  Frate  degli  errori  che 
gli  venivano  apposti,  e  quasi  sfidando  i  suoi  avversar)'  a  venire,  se  volevano,  a 
discussione  con  lui  e  con  i  suoi,  eh'  egli  era  pronto  a  difendere  la  verità  pre- 
dicata per  qualunque  via  piacesse  e  contro  a  tutto  il  mondo,  coni'  era  pronto 
a  ridirsi  ove  gli  fosse  indicato  un  qualche  errore,  soggiunge:  «Loro  non  hanno 
però  ancora  trovato  cosa  nessuna  falsa,  che  io  abbia  detta  o  scritta.  Tu  sai, 
che  tu  hai  scritto  lettere:  tu  sai  quel  che  tu  hai  fatto  venire  da  Bologna;  e  poi 
hai  veduto  in  fine,  che  elle  son  tutte  cose  sciocche,  e  non  hai  potuto  riprovarmi  che 
io  abbia  però  nessuna  falsità:  credimi,  se  io  non  avessi  detto  la  verità,  che 
avendo  durato  già  tanto  tempo,  questa  cosa  saria  ora  andata  per  terra  ». 

Chi  può  mai  esser  altri  o  altro  che  si  fece  venire  da  Bologna  se  non  il 
Padre  Maggi  o  il  giudizio  di  lui  intorno  al  Savonarola?  E  il  dire  che  non  si  è 
potuto  riprovarlo  e  che  non  s'  è  trovalo  eh'  egli  avesse  falsità,  che  può  voler 

(')  Gherardi,  rag.  56-57.  11  Savonarola  nell' Apologia  scrive  tra  l'altro  che  la  Congrega- 
zione di  Lombardia  *longe  mei i or  est  Itac  Thusca  conventuum  reformandorum  •. 


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dire  altro  se  non  che  il  Padre  Maggi  nel  suo  giudizio  fu  favorevole  al  Savona- 
rola ?  E  forse  questa  opinione  riceve  altro  conforto  dalla  lettera  che  il  Savonarola 
scriveva  nel  giorno  della  Natività  di  Nostro  Signore,  nel  1496,  o  si  ritenga  eh'  essa 
fosse  indirizzata,  come  crede  il  Bayonne,  a  tutti  gli  eletti  che  dimorano  a  Bolo- 
gna, o  a  quei  Frati  in  particolare,  come  parve  al  Marchese  che  primo  la  pubblicò. 
Certo  è  naturale  il  tono  come  di  trionfo  che  in  mezzo  alle  tribulazioni  ha  que- 
sto scritto,  come  è  naturale  il  ringraziare  che  il  Savonarola  fa  coloro  che,  lon- 
tani dal  prender  parte  a  coloro  che  lo  perseguitavano,  ne  difesero,  illuminati 
dal  vero  lume,  la  sua  dottrina  in  mezzo  alla  nazione  degli  uomini  pravi.  (') 

Chi  sa  che  il  Padre  Maggi,  ben  vedendo  che  Fra  Girolamo  non  poteva 
senza  correr  pericolo  della  vita  recarsi  a  Bologna  non  andasse,  ricevuta  la  let- 
tera pontificia,  egli  stesso  a  Firenze;  e  veduto  come  stavan  le  cose,  non  con- 
fortasse a  persistere  nella  buona  via  colui  nel  quale,  avendolo  confessato  più  di 
cento  volte,  come  disse  poi,  non  aveva  trovato  mai  un  solo  peccato  mortale?  (2) 

Comunque  sia,  dal  detto  sin  qui  ci  par  chiaro  che  i  critici  del  Savonarola 
non  potrebbero  in  nessuna  guisa  dirci  neppure  una  cosa  di  minima  importanza 
che  per  le  lettere  pontificie  Fra  Girolamo  dovesse  fare  e  non  facesse;  e  quindi 
in  nessun  modo  lo  possono  ragionevolmente  condannare.  Ricerchino  perbene 
negli  Archivj,  e  vedano  di  trovare  che  il  santo  giudice,  deputato  dal  Papa,  con- 
dannasse il  Savonarola  e  gli  comandasse,  come  giudice  cosa  eh' egli  non  facesse 
e  lo  condanneremo  anche  noi  alla  nostra  volta;  ma  senza  di  questo  nella  que- 
stione presente  non  si  può,  se  non  si  voglia  correr  troppo  rischio  di  commet- 
tere una  grave  ingiustizia,  condannarlo  in  nessun  modo. 

Vedo  un'obiezione  che  mi  si  potrebbe  fare:  —  Dalla  lettera  che  Fra  Giro- 
lamo scrisse  al  Pontefice  si  potrebbe  argomentare  che  egli  non  era  pronto  ad 
obbedire  al  suo  giudice,  cioè  al  Maggi.  —  Ma  anche  questa  obiezione  sarebbe 
gratuita  e  fatta  per  induzione  illegittima  e  non  secondo  il  diritto.  Leggendo  con 
attenzione  questo  importantissimo  scritto  del  nostro  Frate  e  anche  aguzzan- 
dovi dentro  la  vista,  non  riuscirete  a  vedervi  un  molto  che  possa  davvero 
indicarvi  che  il  Savonarola  fosse  assolutamente  per  disobbedire  ai  comandi 
del  Vicario  Generale  della  Congregazione  Lombarda  ove  il  Pontefice  avesse 
persistito  a  volerlo  giudicato  da  quello  secondo  i  canoni  e  le  costituzioni  del- 
l' Ordine  e  le  altre  buone  leggi. 

Il  fatto  poi  di  avere  scritto  al  Pontefice,  come  fece,  a  me  pare  uno  dei  più 
lodevoli  e  santi  della  Vita  del  Frate.  Un  uomo  caparbio,  conoscendo  le  origini 

(')  Vedi  questa  lettera  nell'Archivio  Storico,  Appendice  Vili,  pag.  152-134,  o  nel  Bayonne 
Oeuvre*  spirituelles  cìioisies  de  Jerome  Savonarole,  Paris,  1880;  voi.  Ili,  pag.  233-211. 

(2)  Cfr.  Burlatuacchi,  Vita  di  Fra  Girolamo,  Ed.  cit.,  pag.  20,  Année  Vomenicaine,  Lyon,  1891, 
uiois  de  Mai,  pag.  r>96.  Forse  si  potrebbe  anche  argomentare  elle  il  Maggi  difese  il  Savona- 
rola da  ciò  che,  morto  quel  santo,  la  guerra  contro  costui  si  fece  più  aspra.  Il  Pastor,  il 
Bohrbaohei  e  i  piccoli  Bollandisti  (pag.  60)  pongono  la  morte  del  Maggi  nell'anno  1494;  ma 
errano  certamente:  il  Papa  non  gli  avrebbe  più  scritto  nel  1496.  Il  Mento  Sebastiano  mori 
ai  16  decembre  dell'anno  1496,  come  si  ricava  dal  processo  esistente  nell'Archivio  del  Gene- 
rale dell'  Ordine  Domenicano  X,  578.  Anche  il  P.  Bayonne  la  pone  verso  la  line  del  96.  (Vedi 
Elude,  pag.  75).  Ora  sappiamo  tutti  come  volgesse  per  il  Savonarola  l'anno  1497! 


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delle  disposizioni  pontificie  e  leggendo  i  motivi  di  queste,  sarebbe  stato  fa- 
cilmente preso  da  sdegno  e  avrebbe  disprezzato  gli  ordini  superiori  e  i  superiori 
stessi;  ma  il  Savonarola  per  contrario,  pieno  l'animo  di  zelo  per  la  vita  e 
la  pace  cristiana,  pieno  di  riverenza  per  il  Vicario  di  Cristo,  scrive  umilmente, 
proprio  come  avrebbe  fatto,  mi  pare,  un  gran  santo,  un  santo  di  straordi- 
naria costanza  e  virtù.  Scrive  umile,  ma  franco;  ben  sapendo  che  «  colui  il 
quale  non  pronuncia  liberamente  la  verità  che  bisogna  liberamente  pronun- 
ciare, o  non  difende  la  verità  che  conviene  difendere  liberamente,  costui  è 
traditore  della  verità  ».  (')  «  Non  sono  da  udire  coloro,  siano  uomini  santi  o 
femmine,  i  quali,  allorché  è  stata  ripresa  in  qualche  cosa  la  loro  negligenza, 
sì  che  eglino  cadono  in  brutto  sospetto,  da  cui  pur  sanno  che  la  lor  vita  è 
ben  lontana,  dicono  basterà  ad  essi  la  coscienza  presso  Dio,  e  dispregiano  la 
stima  presso  gli  uomini;  essi  agiscono  non  solo  da  imprudenti,  ma  anche  da 
crudeli,  imperocché  uccidono  I'  anima  del  prossimo,  il  quale  o  bestemmia  la 
via  di  Dio,  perché  secondo  il  sospetto  loro,  disapprova,  come  se  fosse  turpe,  la 
vita  casta  de'  santi,  o  li  imita  scostandosi  col  loro  esempio,  non  in  ciò  che 
vedono,  ma  in  ciò  che  stimano  vero.  Per  questo  ognuno  che  guarda  la  sua 
vita  dalle  azioni  brutte  e  delittuose,  fa  bene  a  sé:  ognuno  poi  che  guarda  anche 
la  sua  fama,  è  misericordioso  verso  gli  altri.  Imperocché  la  nostra  vita  è  ne- 
cessaria a  noi,  la  fama  nostra  agli  altri  ».  (2) 

Del  resto  copia  del  Breve  pontificio  era  giunta  anche,  per  mezzo  de'Frati 
di  Santa  Croce,  (3)  al  Savonarola;  e  perciò  egli,  scrivendo  ad  Alessandro  VI, 
compieva  anche  il  dovere  d'  umile  figliuolo  di  avvisare  di  ciò  il  Papa  stesso: 
era  come  un  dar  ricevuta  del  documento,  e  ciò  facendo,  anche  per  lo  zelo  che 
animava  l'animo  suo  di  religioso  verso  la  dignità  del  Pontefice,  che  vedeva  ma- 
lignamente circonvenuto,  non  poteva  e  non  doveva  astenersi  dal  dipingergli 
bene  le  cose,  come  esse  erano  veramente  e  rispetto  a  sé  e  ai  suoi  Frati,  e 
alla  Congregazione  di  Lombardia.  Ove  avesse  ciò  tralasciato,  sarebbesi  fatto 
complice  col  suo  silenzio  delle  ingiustizie  dei  nemici  della  verità  e  di  Dio,  e 
dell'  ingiusta  sentenza  che  la  Sede  Apostolica  avrebbe  dovuto  dare. 

Non  biasimo  adunque  si  ha  fin  qui  da  attribuire  al  nostro  Frate,  ma  lode, 
e  lode  grande;  imperocché  egli  di  fronte  al  terribile  Breve  degli  8  settembre 
si  governò  e  obbedì  come  solo  i  santi  sanno  governarsi  e  obbedire. 

Ma  dopo  tutto,  anche  se  gli  avversarj  del  Frate  non  volessero  menarci 


(')  Decret.  Part.  II,  Caus.  XI,  Quest.  III.  can.  Xolite. 

(•)  Ivi,  cari.  Nonsunt.  Cf.  San  Tommaso  Somma  Jeol.,  II-II,  q.  LXXIII,  a.  2  e  3. 

(3)  Non  teniam  conto  del  fatto  che  il  Breve  non  era  indirizzato  al  conveuto  di  San  Marco, 
ma  a  (iuello  di  Santa  Croce  col  quale  il  Savonarola  non  aveva  nulla  che  fare.  Noi  crediamo 
un  poco  cavilloso  trarre  quindi  argomento  che  il  Savonarola  poteva  non  farne  caso.  Ci 
piace  piuttosto  di  creder  ciò  effetto  di  un  semplice  sbaglio  di  penna.  Forse,  chi  sa?  puteva 
anche  esser  un  modo  per  assicurarsi  che  davvero  il  breve  sarebbe  stato  consegnato  al  col- 
pito. I  Frati  di  Santa  Croce,  avversarj  di  Fra  Girolamo,  non  mancherebbero  certo  di  conse- 
gnarglielo e  testimoniare  della  consegna.  Comunque  sia,  il  Savonarola  lo  ebbe;  e  sebbene 
nella  predica  II  sopra  l'Esodo  noti  questo  sbaglio,  non  pensò  mai  che  il  Breve  nella  volontà 
del  Papa  dovesse  andare  altrove  che  a  San  Marco. 

30 


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buone  le  ragioni  fin  qui  esposte,  che  a  noi  paiono  perentorie,  come  si  senti- 
rebbero essi  di  sostenere  la  verità  de'  motivi  della  sentenza  pontificia,  o  l'as- 
soluta volontà  del  Papa,  anche  senza  di  tali  motivi,  nel  dispositivo  della  sen- 
tenza medesima  ?  Imperocché  dopo  tutto,  proprio  questo,  secondo  ogni  legge, 
è  rigorosamente  richiesto  per  dichiarare  il  Savonarola  disobbediente. 

Dunque,  prima  di  giudicar  la  condotta  del  Savonarola,  si  esamini  al  lume 
della  teoria  da  noi  sopra  esposta,  il  Breve  pontificio  e  si  procuri  di  conoscere 
qual  fosse  veramente  la  volontà  di  Alessandro  VI.  Il  rispetto  della  suprema 
autorità  lo  consente;^)  e  la  libertà  de' cattolici  invita  a  farlo  con  animo  franco. 
E  il  farlo  riesce  anche,  per  chi  vuol  conoscere  il  Savonarola,  di  una  utilità  assai 
grande. 

Questo  Breve  ha  per  la  vita  e  la  predicazione  del  Frate  un'  importanza 
massima;  i  capi  d'accusa  ch'esso  contiene  già  i  nemici  e  persecutori  di  lui 
glieli  avevano  lanciati  contro,  prima  che  quello  fosse  redatto,  e  non  cessarono  di 
lanciarglieli  dopo.  Onde  e  nelle  prediche  e  nelle  altre  opere  egli  fa  le  sue  di- 
fese continuamente,  ampiamente.  Si  potrebbe  dire  che  nella  predicazione  so- 
pra Amos  e  anche  in  quella  sopra  1'  Esodo  il  Savonarola  abbia  per  non  ultimo 
fine  appunto  questo,  di  mostrare  al  popolo  eh'  egli  non  è  reo  di  tali  enormi 
accuse.  (z)  Perciò  chi  volesse  qui  tenergli  dietro  si  dilungherebbe  davvero  as- 
sai, e  troppo  più  che  non  sia  necessario  al  caso  presente.  Ma  lasciando  le 
altre  Opere  del  Frate  e  tenendo  pur  l'  occhio  volto  alla  lettera  di  giustifica- 
zione in  risposta  al  Pontefice  e  al  Compendio  di  Rivelazioni,  si  potrà  averne 
luce  che  appaghi  e  quieti  la  mente  in  un  retto  giudizio.  (3y 

Ma  chi  potrebbe  fra  quelli  che  ci  hanno  letto  fin  qui  dubitare  che  la  Sem- 
plicità della  Vita  Cristiana  del  Savonarola  è  tutta  conforme  alla  morale  del  Van- 
gelo, allo  spirito  de'  Padri,  e  dei  Dottori,  de'  migliori  ascetici  nostri,  allo  spirito 
della  Chiesa  Cattolica?  E  del  pari,  chi,  in  qualsivoglia  modo,  può  nutrire  ancora 


(lJ  Vedi  sopra  il  capitolo  XXVIII  in  fine. 

(')  Né  di  tanto  vorranno  far  le  meraviglie  o  pigliare  scandalo  i  buoni;  pensino  che  i 
politici  con  a  capo  il  Moro  con  queste  accuse  volevano  staccare  dal  Frate  il  Popolo  Fioren- 
tino e  rovinare  la  riforma  operata  in  Firenze,  e  capiranno  subito  che  il  Predicatore  difen- 
dendo se  stesso  difendeva  la  morale  e  il  governo  di  Cristo.  Piuttosto  ammiriamo  il  grande 
cattolico  il  quale  nella  difficile  difesa,  non  se  la  piglia  mai  contro  la  persona  investita  della 
potestà  delle  somme  chiavi. 

C)  In  questo  Compendio  i  capi  d'accusa  che  il  Breve  porta  contro  il  Savonarola  sono 
esaminati  tutti;  e  poiché  quest'  Operetta  fu  scritta  prima  del  Breve,  è  già  per  sè  una  prova 
evidentissima  che  i  nemici  del  Frate  già  avevano  divulgate  le  accuse,  ed  è  anche  una 
prova,  che  non  solo  ad  Alessandro  VI  non  venne  consegnata  la  prima  lettera  del  reo,  come 
provammo  a  p.  457,  ma  ancora  che  questo  Compendio  fu  messo  in  luce  assai  cattiva,  e  molto 
diversa  da  quella  che  meritava.  Imperocché,  siccome  Alessandro  VI  accettò  poi  le  scuse  del 
Frate,  cosi,  so  le  avesse  viste  e  lette,  le  avrebbe,  è  presumibile,  accettate  anche  allora,  e 
non  avrebbe  in  ogni  caso  segnato  il  Breve  che  segnò  e  con  quella  forma  cosi  aspra  e  sde- 
gnosa, per  fargliene  seguire  un  altro  abbastanza  mite,  pur  non  avendo  nessuna  ragione  ve- 
ramente nuova.  Xon  è  forse  inutile  il  notare  chi-,  sebbene  paia  elio  il  Pontefice  condanni  il 
Frate  per  l'audacia  che  ebbe  di  divulgar  perle  stampe  le  cose  che  aveva  predicate  al  popolo, 
e  per  le  quali  era  stato  citato  a  Roma,  tuttavia  questo  Compendio  di  Hicelasioni,  quantunque 
esaminato  colle  altre  opere,  non  fu  mai  posto  all'  Indice. 


—  467  - 


il  minimo  dubbio  intorno  alla  piena  ortodossia  della  dottrina  del  Frate  di  San 
Marco?  La  verità  della  fede  cattolica:  ecco  tutto  l'insegnamento  del  Savo- 
narola. La  verità  della  fede  cattolica  come  sta  nelle  Scritture  Sacre,  ne'  Pa- 
dri, ne' dottori,  nella  tradizione,  nella  spiegazione  della  Chiesa  di  Roma;  non 
un  iota  di  più,  non  un  iota  di  meno.  Dunque  bisogna  cassare  questo  motivo 
di  accusa  e  dir  senza  meno  che  a  questo  riguardo  i  tristi  avevano  davvero 
riferito  il  falso  ad  Alessandro  VI  e  calunniato  diabolicamente  I'  Asceta  dome- 
nicano !  «  Hanno  suggerito  »,  scriveva  il  Savonarola  «  a  Vostra  Santità  eh'  io 
mi  son  lasciato  sedurre  dalla  novità  di  un  dogma  perverso.  Falsità  evidente!  Im- 
perocché è  di  notorietà  pubblica  che  io  non  accetto  nè  predico  alcun  dogma 
perverso,  ma  unicamente  la  Santa  Scrittura  e  i  Santi  Dottori,  e  che  io  ho 
ripetuto  molte  volte  dall'alto  del  pergamo,  e  l'ho  dichiarato  in  iscritto,  ch'io 
sottometto  la  mia  persona  e  tutto  quello  che  mi  concerne  alla  Santa  Chiesa 
Romana  ». 

Si  dirà  forse  che  era  un  nuovo  dogma,  un  dogma  perverso,  il  predicare 
le  cose  future?!  Il  Savonarola  risponderebbe  negando.  «  Questa  predicazione 
ha  esistito  sempre  nella  Chiesa  di  Dio;  nè  è  punto  di  nocumento  alla  religione 
cristiana,  solo  ch'essa  non  offenda  la  fede,  nè  i  buoni  costumi  e  la  ragion  natu- 
rale; e  non  fu  mai  vietata,  nè  si  potrebbe  vietare  per  una  legge  assoluta.  Sa- 
rebbe un  porre  la  legge  a  Dio,  il  quale  ha  detto  per  bocca  di  Amos  al 
capo  III:  Il  Signore  non  realizzerà  il  suo  disegno,  se  non  dopo  avere  rivelato  il 
suo  segreto  a'  profeti  suoi  servitori  ». 

Solo  adunque  perchè  il  Savonarola  predicava,  insieme  colla  semplicità 
della  Vita  Cristiana  e  la  verità  della  fede  cattolica,  anche  il  futuro  flagello  e  la 
riforma  consecutiva  della  Chiesa,  non  si  meritava  condanna  alcuna.  Per  con- 
dannarlo bisognava  eh'  egli  parlasse  di  suo  capo,  che  fosse  un  falso  profeta,  e 
le  cose  da  lui  predette  in  modo  assoluto  non  si  fossero  verificate  nel  tempo  da 
lui  medesimo  determinato.  Ma  chi  potrebbe  asserire  o  anche  semplicemente 
sospettare  che  qui  si  era  proprio  nel  caso? 

«  Del  resto,  se  le  cose  che  Dio  rivela  a'suoi  servi  si  dovessero  ognora  tenere 
nel  secreto  dell'  animo  nostro,  ne  seguirebbe  »  dice  il  Frate  nel  suo  Compendio, 
«  che  Mosè,  Isaia,  Geremia  e  gli  altri  profeti  sì  del  Vecchio  e  sì  del  Nuovo  Te- 
stamento avrebber  fatto  male  a  predicare  al  popolo  le  loro  rivelazioni  e  a  la- 
sciarcele in  iscritto.  Inoltre  avrebber  fatto  male  del  pari  molti  eremiti,  e  così 
anche  il  beato  Benedetto,  il  beato  Vincenzo  dell'  Ordine  de'  Predicatori,  la 
beata  Caterina  da  Siena,  Santa  Brigida,  ed  altri  innumerevoli  santi  le  profezie 
e  le  divine  rivelazioni  de'  quali  si  leggono  in  molti  libri,  avrebber  fatto  male 
ugualmente  a  manifestarle.  Hassi  adunque  da  confessare  che  siffatte  cose  non 
si  vogliono  propalare  se  o  da  Dio  stesso  non  ci  sia  comandato,  o  la  carità  dei 
prossimi,  con  del  pari  l'avviso  di  Dio,  non  ci  costringa  a  farlo;  per  la  qual  cosa 
tutto  il  popolo  di  Firenze  sa  eh'  io  non  parlo  di  queste  visioni  se  non  in  pub- 
blico, nè  più  di  quanto  mi  è  permesso  o  comandato;  ma  in  privato  o  non  mai 
o  raramente  comunico  tali  cose,  salvo  qualche  volta  sotto  il  sigillo  della  fede 
ad  alcuno  de'miei  famigliari.  Finalmente  credi  a  me  che  io  ritengo  molti  parti- 


—  468  — 


colari  riposti  nel  mio  cuore,  i  quali  non  li  ho  mai  traiti  fuori,  nè  son  per  trar- 
li, se  Iddio  non  m' inspirerà  altrimenti  ».  (') 

Ma  egli  nel  breve,  è  soggiunto,  era  venuto  a  una  simile  demenza  di  spirito- 
per  le  grandi  mutazioni  che  avevano  messo  sottosopra  l' Italia.  (2) 


(')  Qui  può  avere  la  sua  risposta  anche  il  Grisar,  il  quale,  nell'Articolo  citato,  scrivé- 
clie  il  Savonarola  «si  servì  alla  follia  del  dono  profetico  ». 

(2)  Quest'accusa,  se  si  sta  alla  forma,  è  una  di  quelle  che  hanno  almeno  grande  appa- 
renza di  verità;  ma  non,  regge  punto,  se  si  bada  alla  sostanza  delle  cose  e  alla  realtà;  e 
può  in  ogni  modo  dimostrarsi  storicamente  falsa.  Studiandola  un  poco,  si  capisce  del 
pari  che  il  Savonarola  non  se  la  meritava.  Nel  Compendio  dove,  come  già  abbiamo  notato  a, 
pag.  19,  si  legge  un  po'  di  storia  della  predicazione  del  Frate,  il  Savonarola  con  riguardo 
speciale  alle  profezìe,  ci  dice  che  già  nel  Calen  d' agosto  1489  cominciò  nella  Chiesa  di 
San  Marco  ad  interpretare  pubblicamente  l'Apocalissi;  e  predicando  per  tutto  quell'anno 
al  popolo  Fiorentino  propose  incessantemente  tre  cose:  Primo,  che  doveva  di  questi  tempi 
farsi  la  rinnovazione  della  Chiesa;  secondo,  che  Dio  manderebbe  un  grande  flagello  a  tutta* 
Italia  prima  di  tale  rinnovazione;  terzo,  che  queste  due  cose  sarebbero  presto.  Ma  queste  tre 
conclusioni  si  sforzava  di  provarle  e  persuaderle  altrui  con  argomenti  tratti  dalla  ragione  e 
dalle  Scritture  e  con  similitudini  e  parabole,  dissimulando  ch'egli  n'aveva  ricevuto  cogni- 
zione da  Dio  anche  per  altro  modo;  perchè  gli  pareva  che  gli  animi  allora  non  fosser  ben 
disposti  a  ricever  l'arcano.  Poi,  negli  anni  successivi,  scorgendo  le  menti  meglio  preparate 
a  credere,  disse  di  tratto  in  tratto  alcuna  visione:  ma  senza  però  aprirsi  intorno  alla  na- 
tura profetica  di  quelle;  ma  recitandole  semplicemente  per  modo  di  parabola.  Finalmente, 
vedendosi  contradetto  e  deriso  da  uomini  d'ogni  condizione,  deliberava  di  cessare  affatto 
da  queste  cose,  e  propose  fermamente  di  predicare  diversamente.  Ma  non  poteva,  come 
egli  dice.  E  nell'anno  1490,  predicando  nella  Chiesa  di  Santa  Separata,  fermò  il  propo- 
sito di  sopprimere  la  predica  già  composta  per  la  seconda  domenica  di  quadragesima, 
ch'era  sopra  alle  sue  visioni,  e  di  tacere  per  sempre  sopra  di  esse;  ma  pure  affaticandosi 
tutto  il  giorno  del  sabato  antecedente  e  vegliando  tutta  la  notte  prossima  sino  alla  luce, 
non  potè  affatto  riuscire  a  mettere  insieme  niente  altro;  anzi  dice  esplicitamente  che  gli 
era  sottratta  ogni  dottrina  fuori  che  questa  delle  visioni,  nè  si  potè  affatto  volgere  ad 
altro.  Sul  far  del  giorno  finalmente,  mentr'  egli,  stanco  della  lunga  veglia,  pregava,  udì 
una  voce  che  gli  disse  :  Sciocco  che  tu  se',  e  non  vedi  tu  che  Dio  vuole  che  tu  enunci  in 
tal  modo  queste  cose?  Perciò  egli  fece  quella  mattina  stessa  una  terribile  predica.  Fin  qui 
adunque  il  Savonarola  non  appoggiava  le  predizioni  che  faceva  se  non  con  argomenti  tratti 
dalla  Scrittura,  o  con  ragioni  o  con  parabole;  e  ciò,  dice,  per  l'indisposizione  del  popolo.  Ma 
nella  primavera  successiva  cominciò  a  mostrare  ch'egli  aveva  queste  cose  future  per  altro 
lume  che  non  per  sola  intelligenza  della  Scrittura;  e  finalmente,  messosi  ad  asserire  anche 
più  chiaro  la  cosa,  pronuncia  letteralmente  le  parole  come  a  lui  divinamente  inspirate.  Da 
tutto  questo  è  assai  facile  il  capire  che  i  nemici  del  Frate  avessero  bel  giuoco  a  presentarlo 
ad  Alessandro  VI  come  esaltato  per  gli  avvenimenti  che  avevano  turbata  l'Italia,  ed  è  più 
facile  ancora  il  comprendere  il  motivo  del  Breve.  Imperocché,  notatelo  bene,  il  Savonarola 
non  è  qui  condannato  per  le  cose  predette,  ma  perchè,  dopo  il  turbamento  d' Italia,  aveva 
osato  d'affermare  ch'egli  era  mandato  da  Dio  e  parlava  con  Dio.  Ora  tutta  la  questione,  se 
vogliamo  dar  ragione  in  realtà  a  Fra  Girolamo,  sta  qui:  Vedere  se  egli  avesse,  prima  delia- 
venuta  dei  Francesi,  non  solo  predetto  la  rinnovazione  della  Chiesa  e  il  flagello  e  le  altre 
cose  che  si  leggono  nel  Compendio,  del  che  non  si  può  dubitare,  ma  se  avesse  in  qualche  modo 
coscienza  ch'esse  erano  da  Dio,  e  lo  avesse  detto  ad  altri.  Il  solo  Compendio  di  Rivelazioni  e 
le  altre  opere  posteriori  non  hanno  a  questo  riguardo  valore  se  non  per  chi  vuol  credere  al 
Frate  e  potrebbero  non  bastare  per  i  protervi. 

Ora,  che  si  deve  qui  affermare  ?  — Che  la  testimonianza  anteriore  1' abbiamo,  e  abba- 
stanza esplicita,  non  solo  nei  biografi  del  Frate,  ma  anche  nelle  Opere  di  lui,  per  esempio 
nella  lettera  a  Domenico  da  l'escia  con  la  data  de'  10  marzo  1490.  Questa  lettera  mostra  aper- 
tamente, se  non  lo  sapessimo  per  troppe  altre  prove,  che  Fra  Domenico  da  Pescia  era  uno 
de' famigliari  a  cui  il  Savonarola  confidava  lo  sue  visioni.  Anzi  è  un  testimone  chiarissimo 
che  già  il  Savonarola  aveva  come  da  Dio  tutto  il  suo  programma  profetico,  oche  per  volere 
<ii  Dio  lo  manifestava.  Fra  l'altro,  parlando  appunto  delle  sue  predicazioni  scrive:  «  Spero  nel 


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Ma,  ecco  soggiungeva  il  Frate,  un' altra  falsità:  «  Ognuno  conosce  che  son 
^già  più  di  cinque  anni  ch'io  ho  predetto  queste  cose;  e  forse  già  son  più  di 
•dieci  anni  che  ne  parlo.  Onde  io  non  venni  a  tale  in  conseguenza  de'  rivolgi- 
menti che  or  ora  successero  in  Italia  ». 

E  questo  è  davvero  tanto  noto,  che  anche  il  Pastor  non  dubita  di  scrivere 
che  già  «  nella  quaresima  del  1485-1486  recitata  nella  piccola  terra  di  San 
Gemignano  posta  sui  monti  di  Siena,  osò  egli  la  prima  volta  manifestare  il  suo 
programma  profetico,  il  suo  grido  di  guerra  nelle  tre  celebri  parole:  1°  La 
Chiesa  sarà  flagellata;  2°  E  poi  rinnovata;  3°  E  ciò  sarà  presto  ».  (Pag.  124.) 
E  il  Frate  ripeterà  cento  volte  almeno  al  popolo  di  Firenze  quanto  si  legge  nel 
Compendio,  «  ch'egli  aveva  cominciato  a  predir  le  cose  quando  non  era  ancora 
alcun  sospetto  di  guerra  o  di  simil  cose,  e  però  molti  allora  lo  credevano  uomo 
grosso  e  ingannato  per  troppa  semplicità;  dopo,  vedendo  che  a  poco  a  poco 
le  cose  si  verificavano,  lo  dicevano  astuto  ».  (') 

Insomma  qui  non  abbiamo  affatto  bisogno  di  dilungarci  per  mostrare,  an- 
che a  chi  non  lo  vuol  vedere,  che  il  Pontefice  era  stato  circonvenuto  e  male 
informato  dai  nemici  del  Savonarola,  e  che  perciò  il  suo  Breve  supponeva  quello 
■che  non  era  in  nessun  modo  la  verità.  Del  pari,  non  è  esatto  che  il  Savona- 
rola si  dicesse  semplicemente  mandato  da  Dio  e  profeta.  «  Tutti  i  miei  uditori,  > 
scriveva  egli  «  sanno  che  io  non  ho  mai  detto  una  cosa  simile;  io  ho  dichiarato 
ne'  miei  scritti,  de' quali  ognuno  può  prender  conoscenza,  ch'io,  come  ogni  al- 
tro de' predicatori,  ero  mandato  da' miei  superiori;  nè  ho  mai  preteso  d'essere 
mandato  solo  da  Dio,  come  possonlo  certificare  più  migliaia  di  testimonj.  (8) 
Così  non  un  uomo  al  mondo  ha  mai  inteso  che  mi  fuggisse  di  bocca  quest'ar- 
rogante parola:  io  sono  profeta;  ma  per  contrario  molte  migliaia  di  uomini  pos- 
sono attestare,  eh'  io  ho  dichiarato  spesse  volte  di  non  essere  nè  profeta,  nè  figlio 
di  profeta  » . 

Ma  del  resto,  anche  se  Fra  Girolamo  avesse  detto  ch'egli  era  profeta,  qual 
pena  per  ciò  solo  poteva  egli  meritarsi?  qual  pena  si  merita  colui  che  dichiara 
di  pronunciar  le  cose  avvenire  per  ispirazione  divina?  Nessuna,  se  egli  non  se 
ne  faccia  un  manto  per  eccitare  il  popolo  al  male,  all'  eresia,  o  a  commettere 
gli  altri  delitti  di  cui  si  parla  nel  capitolo  VII  del  Deuteronomio.  Ma  al  Savona- 
rola è  manifesto  che  non  si  può  rimproverare  nulla  di  simile.  Dunque,  se  non 
si  vuole  bandire  dalla  Chiesa  di  Dio  il  dono  della  profezia,  il  nostro  Frate  non 
merita  assolutamente  pena  alcuna.  Egli  non  s'era  servito  mai  del  nome  di  pro- 
feta per  mettere  il  disordine  e  la  guerra  nelle  città  e  turbar  il  popolo,  ma  faceva 


Signore  che  per  la  bocca  nostra  farà  gran  frutto;  perchè  egli  ogni  giorno  mi  consola;  e 
quando  ho  poco  animo  mi  conforta  per  le  voci  de' suoi  spiriti  i  quali  spesso  mi  dicono:  Non 
temere:  dì  sicuramente  ciò  che  Dio  t'ispira,  perchè  il  Signore  S  ceco:  gli  scribi  ed  i  farisei  con- 
dro a  te  combattono  ;  ma  non  vinceranno  •. 

Quindi  si  fa  manifesto  che  il  Savonarola  aveva  ragione  di  riscrivere  come  dicemmo 
.nel  testo,  e  che  anche  qui  il  suo  pensiero  era  falsato  da' suoi  persecutori. 

(1)  Vedi  anche  la  Lettera  ad  un  suo  famigliare  del  1496  pubblicata  dal  Quétif,  pag.  197. 

(2)  E  questo  era  scritto  anche  nel  Compendio,  come  vedremo  or  ora. 


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anzi  il  contrario,  come  abbiamo  lungamente  e  apertamente  veduto  di  sopra. 
Sicché  con  tutta  verità  poteva  scrivere  ad  Alessandro  VI:  «Senza  dubbio  è  di 
notorietà  pubblica  non  solamente  qui,  ma  ancora  in  molte  altre  città  d' Italia 
che  la  mia  parola  ha  stabilita  la  pace  in  Firenze,  che  senza  questa  pace  il  di- 
sordine avrebbe  regnato  nell'  Italia  intiera.  In  vero  che,  se  l' Italia  m'  avesse 
creduto,  non  sarebbe  agitata  così  com'  ella  è  pur  troppo  di  presente  ».  E  nel 
Compendio  di  Rivelazioni  queste  cose  erano  scritte  con  molta  evidenza,  come 
già  abbiamo  notato  nel  capitolo  XVII,  e  come  può  vedere  da  sè  facilmente 
ognuno  a  cui  piaccia. 

Ma  il  breve  pontificio  pare  che  rimproveri  il  Frate  di  chiamarsi  profeta  e 
affermare  d'aver  colloquj  con  Dio  senza  alcuna  testimonianza  canonica  :  «Non 
basta  che  altri  dica  semplicemente  d'  esser  mandato  da  Dio,  potendo  ciò  fare 
tutti  gli  eretici;  ma  è  necessario  che  provi  quella  visibile  missione  con  qualche 
miracolo  e  speciale  testimonianza».  Questo  al  Savonarola  era  incessantemente 
rinfacciato  da'  suoi  nemici,  ed  io  mi  penso  che  abbia  prodetto  delle  conse- 
guenze gravissime,  e  che  sia  la  prima  origine  della  prova  del  fuoco.  Non  v'  è 
dubbio  che  il  Pontefice  diceva  giustissimo  ;  ma  queste  sue  proposizioni  (es- 
sendo assurdo  e  gratuito  il  solo  pensare  che  il  Pontefice  credesse  semplicemente 
che  all'essenza  della  vera  profezia  si  richieda  il  miracolo)  avevano  il  falso  sup- 
posto che  Fra  Girolamo  pretendesse  che  gli  altri  dessero  alle  sue  predizioni 
piena  fede,  e  condannasse  coloro  che  non  vi  credevano. 

Ma  noi  già  sappiamo  che  il  Savonarola  non  ritiene  assolutamente  nessuno 
obbligato  a  credere  alle  sue  profezie,  se  non  se  stesso.  (')  Quindi,  mancando  del 
fondamento,  ciò  che  era  riferito  al  Pontefice  cade  senza  meno.  Vero  è  tuttavia 
che  il  Frate  nostro  ha  spesso  procurato  di  rispondere  anche  a  questo  punto, 
e  già,  prima  che  il  Pontefice  emanasse  il  Breve,  lo  aveva  fatto  egregiamente 
nello  stesso  Compendio  di  Rivelazioni.  «  Chi  annuncia  il  futuro  »  gli  dice  ivi  il 
Tentatore,  «  se  vuole  essere  creduto,  deve  confermare  con  miracoli  le  sue  pre- 
dizioni, altrimenti  anche  gli  eretici  potrebbero  senz'  altro  arrogarsi  anch'  essi 
questo  miracolo.  Perciò  contro  di  te  si  allega  il  capitolo  Cum  ex  injunclo, 
Extra,  de  haereticis,  il  quale  par  che  richieda  che  colui  che  predica  siffatte  cose 
debba  provarle  con  qualche  prodigio  o  miracolo;  e  poiché  tu  questo  noi  fai,  da 
alcuni  sei  accusato  di  procedere  secondo  il  costume  degli  eretici,  e  sei  da  co- 
storo per  eretico  ritenuto  ».  Ma  egli  risponde:  «  Cotesti  uomini  o  sono  igno- 
ranti o  sono  maligni;  poiché  o  non  intendono  o  non  esaminano  con  diligenza 
i  Sacri  Canoni,  o  malignamente  li  pervertono.  Imperocché  ciò  eh'  essi  dicono 
non  si  trova  scritto  in  nessun  luogo;  anzi  di  pochi  profeti  si  legge  che  siano 
stati  chiari  per  miracoli.  Onde  contradicendo  Anania  a  Geremia  (come  si 
vede  nel  capitolo  XXVIII  di  Geremia  stesso),  il  Profeta  non  provò  con  mira- 
colo il  suo  parlare;  ma  disse:  Ascolla  tu  questa  parola,  che  io  fo  intendere 
alle  tue  orecchie,  e  alle  orecchie  di  tutto  il  popolo  :  i  profeti,  che  furon  prima 
di  me,  e  prima  di  te,  fin  da  principio,  profetizzarono  anch'  essi  a  molti  paesi 


f1)  Vedi  sopra  il  cap.  XVIT,  pag.  ."11 1-312. 


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ed  a'  regni  grandi  guerre,  tribolazioni  e  fame.  Un  profeta,  che  predice  la 
pace,  avverata  che  siasi  la  sua  parola,  sarà  riconosciuto  per  profeta  mandato 
veracemente  dal  Signore.  (')  Nello  stesso  modo  Giona,  predicando  la  distru- 
zione di  Ninive,  non  fece  a  quel  popolo  alcun  miracolo  :  finalmente  di  quelli 
che  profetarono  al  tempo  de' Re  di  pochissimi  si  legge  che  abbiano  provato 
con  miracoli  le  loro  profezie.  Ma  che  andiamo  noi  cercando  di  altri,  se  quel 
grandissimo  profeta  che  fu  San  Giovanni  Battista  non  fece  miracolo  alcuno, 
come  è  scritto  nel  Vangelo  di  Giovanni,  cap.  X,  v.  41,  42?  — E  andavano  molti 
a  Gesù  e  dicevano:  In  quanto  a  Giovanni,  ei  non  fece  nessun  miracolo.  E  tutto 
quello,  che  di  costui  disse  Giovanni  era  la  verità.  E  molti  credettero  in  lui.  —  Il 
testo  poi  del  Decreto  allegato  di  sopra  contro  di  me,  non  fa  a  proposito;  im- 
perocché esso  è  contro  quelli  che  senza  l'autorizzazione  o  il  mandato  de'pre- 
lati,  si  arrogano  l'ufficio  della  predicazione,  dicendo  che  è  loro  ingiunto  invisi- 
bilmente da  Dio.  (,2)  Perciò  dice  il  testo  predetto  esser  necessario  che  costoro 
provino  la  loro  missione  con  miracoli,  come  Mosè,  o  con  la  testimonianza 
della  Sacra  Scrittura,  come  San  Giovanni  Battista,  che  dice  :  Io  sono  la  voce 
di  colui  che  grida  nel  deserto,  come  dice  Isaia  profeta.  Ma  inteso  nel  modo  che 
fanno  essi  il  testo  predetto  ripugnerebbe  alla  Sacra  Scrittura,  come  abbiam 
dimostrato,  e  perciò  con  ragione  li  abbiamo  detti  ignoranti,  o  maligni  o  per- 
vertitori de'  Canoni,  imperocché  non  è  necessario  eh'  io  provi  la  mia  missione 
con  miracolo  o  colle  Scritture.  Perchè  consta  a  tutti  che  quest'  ufficio  del 
predicare  a  me  viene  da' miei  superiori;  né  io  mi  son  mai  detto  mandato  so- 
lamente da  Dio.  Né  mi  posson  dire  giustamente  eretico;  imperocché  eretico 
è  colui  che  si  propone  di  seguire  pertinacemente  qualche  dogma  contrario  alla 
Sacra  Scrittura  o  alla  disciplina  della  Santa  Romana  Chiesa.  Ma  io  non  so  di 
aver  detto  né  scritto  alcuna  cosa  dissonante  dalla  dottrina  di  Cristo,  e  dalla 
Chiesa;  e  tuttavolta  assoggetto  alla  Romana  Chiesa  ogni  mio  detto  ed  ogni 
scritto,  e  son  pronto  sempre  a  stare  alla  correzione  di  quella  ». 

Ma  come  si  potrà  purgare  il  Frate  dall'  accusa  di  bestemmia  e  d' intolle- 
rabile arroganza?  E  vero,  o  no,  il  fatto  eh'  egli  dicesse  dal  pulpito  che  s'  ei 
mentiva,  mentiva  ancora  Cristo? 

«  Io  »  scriveva  l' accusato  al  Pontefice,  «  non  ho  già  detto  ciò  in  modo 
assoluto,  come  se  io  mi  volessi  uguagliare  a  Dio  ;  ma  ho  parlato  ipotetica- 
mente, come  chi  dicesse:  S'io  mentisco,  Cristo  mente  anche  Lui.  Or  sarebbe 
questo  un  sacramento  esecrabile?  Ah  no  !  Io  non  avrei  difficoltà,  dopo  d'aver 
enunciata  una  verità  insegnata  da  Cristo,  d'aggiungere  alcuna  volta:  S'io 
mento,  mente  lo  stesso  Cristo  ».  E  cosi  intesa,  come  si  ha  veramente  da  in- 
tendere, la  cosa,  dacché  il  Savonarola  non  predicava  altra  dottrina  se  non 
quella  di  Cristo,  chi  potrà  condannare  il  Frate?  In  questo  triste  caso  non  si 
condannerebbe  il  Frate  solamente,  ma  tutta  la  fede  cattolica,  e  in  modo 


(•)  Cap.  XXVIII,  v.  8-9. 

(-)  Di  costoro  ve  ne  dovevan  esser  parecchi  all'  epoca  del  Rinascimento.  Ct'r.  il  Pastor, 
pag.  144  e  seguenti. 


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speciale  Riccardo  da  San  Vittore,  (1j  il  quale,  proprio  nel  senso  che  faceva  il 
Savonarola,  e  disse  e  scrisse:  «  Domine,  si  error  est,  a  te  decepti  sumus  ».  E 
con  Riccardo  da  San  Vittore  bisognerà  anche  condannare  Leone  XIII,  il  quale 
trascrisse  nella  sua  Enciclica  sulla  unità  della  Chiesa  (2)  quest' aurea  sentenza.  (3) 

Ci  resta  da  dire  della  separazione  de'  conventi  di  San  Marco  e  di  Fie- 
sole dalla  Congregazione  Lombarda;  la  quale  secondo  questo  Rreve  sarebbe 
stata  carpita  «  dall'  astuzia  di  pochi  religiosi  ».  (4) 

Non  è  qui  certo  il  luogo  di  fare  la  storia  del  convento  di  San  Marco  in  Fi- 
renze. Chi  abbia  desiderio  di  vederla  si  rechi  nelle  mani  gli  ScrittiVarii  del  Padre 
Marchese  e  ne  sarà  soddisfatto.  Anche  di  ciò  che  qui  ci  riguarda  più  da  presso, 
la  separazione  di  San  Marco  dalla  Congregazione  Lombarda,  è  detto  a  sufficienza 
dagli  storici  del  Savonarola,  e  dal  Villari  particolarmente  nel  capitolo  IX  del 
libro  primo  dell'  opera  più  volte  citata.  E  nel  Gherardi  si  leggono  al  caso  pre- 
ziosi documenti.  Rimandiamo  adunque  a  questi  scrittori  per  ora,  e  ci  conten- 
teremo qui  di  osservare  ciò  che  il  Savonarola  stesso  scriveva  nel  suo  Compen- 
dio di  Rivelazioni  e  poi  ad  Alessandro  VI  a'  14  settembre  1495:  Che,  secondo 
le  costituzioni  de'  Frati  Domenicani,  la  provincia  della  Toscana  è  separata  da 
quella  di  Lombardia;  e  una  Congregazione  naturalmente  non  è  superiore  al- 
l' altra.  Ma  per  una  pestilenza  essendosi  diminuito  d'  assai  il  numero  de'  reli- 
giosi di  San  Marco  e  non  potendosi  più  regger  da  sè,  fu  il  convento  di  San  Marco 
esso  raccomandato  alla  Congregazione  di  Lombardia.  Più  tardi,  all'  insaputa 
de'religiosi,  un  Priore  ottenne  un  breve  che  univa,  per  autorità  apostolica,  a  tale 
Congregazione  questo  stesso  Convento  con  quel  di  Fiesole  e  di  San  Gemignano.(5) 

Fra  Girolamo,  ben  conoscendo  tutto  ciò  e  vedendo  cresciuto  d'  assai  e 
fatto  di  nuovo  grande  il  numero  de'  religiosi,  sì  che  potevano  reggersi  per  se 
medesimi,  credette  non  inconveniente  che  la  Congregazione  di  San  Marco  tor- 
nasse allo  stato  suo  naturale,  massime  che  i  modi  del  vivere  dei  Lombardi 
eran  diversi  dai  modi  dei  Toscani.  Volendo  adunque  effettuare  le  riforme  con- 
cepite nell'animo,  s' adoprò  in  tutti  i  modi  per  ottenere  l'antica  indipendenza 

(')  Richardus  de  Sancto  Victore,  De  Trinìtate,  1.  I,  c.  3. 

(J)  Per  quest'  Enciclica  cito  i  quaderni  della  Civiltà  Cattolica  del  18  luglio  e  1  agosto  1896. 

(3)  Quest'accusa,  incessantemente  ripetuta  da' persecutori  del  Savonarola  doveva  dar- 
gli non  poca  noia,  imperocché  molto  sovente  nelle  sue  prediche  si  fa  a  ribatterla.  Anche 
nella  V  sopra  l'  Esodo  dice,  parlando  appunto  di  chi  aveva  trovata  questa  malizia:  «  Voi 
siete  bene  sciocchi!  Venite  un  poco  qua:  Se  io  dico  una  cosa  di  Cristo,  e  io  dico,  che  se  lui 
mente,  mento  ancora  io,  che  orrore  è  questo?!  Perchè  impossibile  è  che  Lui  mentisca;  però 
non  mentisco  ancora  io  in  quella  cosa  di  Cristo.  Non  dico  ohe  per  questo  io  non  possa  diro 
bugie  e  mentire  in  molte  cose,  come  può  ognuno,  perchè  io  sono  uomo  come  gli  altri;  ma 
questo  parlare  si  fa  dicendo  le  cose  di  Dio,  per  affermarle  più  essere  vere;  e  non  è  a  disonoro 
di  Dio  questo  parlare,  come  tu  malignamonte  lo  intendi,  ma  è  tutto  a  sua  laudo  ». 

{')  Le  asserzioni  del  Breve  pontificio  sono  una  prova  evidente  che  aveva  ragione  il  Sa- 
vonarola quando  diceva  ohe  in  queste  sentenze  il  Pontefice  può  errare  o  per  malizia  o  per 
cattive  informazioni.  (V.  la  predica  II  sopra  1'  Esodo.)  Coloro  che  da  queste  ossorvazioni  hanno 
tratto  argomento  per  sostenero  che  il  Erate  di  San  Marco  negava  l' infallibilità  pontificia, 
non  capiscono  quello  che  dicono.  Cfr.  Cappelli,  doc.  132. 

(s)  Tutto  questo  è  letteralmente  ripetuto  nel  breve  di  Aless.  VI  del  22  Maggio  1493.  V. 
BuUartum  Ord.  Prad.,  voi.  IV.  pag.  100. 


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del  suo  Convento.  Si  mise  all'opera  e  dopo  molla  fatica  riusci  nell'intento  per 
un  Breve  segnato  da  Alessandro  VI  a  dì  22  maggio  1493. 

Il  Savonarola,  come  scrisse  nel  Compendio  di  Rivelazioni  e  ad  Alessan- 
dro VI,  così  ripetè  poi  le  mille  volte  che  ciò  si  volle  per  ridursi  a  vita  più 
severa  e  stretta,  e  l'effetto  seguito  parrebbe  dimostrare  che  egli  diceva  il  vero. 
Ma  ora  il  Breve  del  Papa  chiama  scandolosa  questa  separazione  dalla  Con- 
gregazione Lombarda,  e  afferma  che  alcuni  frati  perversi  1'  avevano  da  lui 
estorta  con  ingannevoli  arti  e  con  frode.  E  vera  quest'accusa?  e  ricade,  se 
mai,  sul  capo  del  Savonarola?  Per  il  Savonarola  già  la  qualifica  di  fraudolenti 
e  astuti  data  a' religiosi  di  San  Marco,  che,  lontani  dall'essere  intaccati  d'  in- 
famia, godevano  in  tutta  la  città  di  un'  eccellente  riputazione,  è  prova  evidente 
die  l'accusa  non  potè  venir  suggerita  se  non  dai  cattivi  alla  Santità  del  Papa;  e 
soggiunge,  che,  se  Alessandro  VI  si  fosse  degnato  di  mandare  in  Firenze  uno 
de' suoi  ministri  fedeli  per  interrogare  i  cittadini  e  il  popolo  sulla  riputazione 
de'  religiosi  di  San  Marco  e  di  Fiesole,  avrebbe  egli  riconosciuto  meglio  ancora 
che  i  cattivi  avevano  commesso  una  flagrante  menzogna. 

Del  resto  si  può  forse  spiegare  l'asserto  del  Papa  circa  l'estorsione  del  Breve, 
col  racconto  della  biografia  latina,  del  Burlamacchi  e  degli  Annali  del  Convento 
di  San  Marco:  —  Il  22  maggio  del  1493  ogni  speranza  di  buon  successo  sem- 
brava perduta:  il  Papa  svogliato  licenziava  il  Concistoro,  dicendo  di  non  vo- 
ler per  quel  giorno  firmare  alcun  Breve.  Pestava  solamente  incardinale  di 
Napoli,  con  cui  egli  si  tratteneva  abbandonandosi  a  discorsi  piacevoli  e  faceti.... 
Al  Cardinale  parve  allora  essere  venuto  il  momento  opportuno  e  destramente 
cavatosi  di  tasca  il  Breve  che  già  era  stato  disteso,  pregava  il  Santo  Padre  di 
firmarlo.  Questi  sorridendo  negava,  e  quegli  sorridendo,  cavatogli  dal  dito 
l'anello,  poneva  il  bollo.  —  Ammettiamo  pure  la  verità  di  questo  aneddoto,  que- 
sto fatto  inferma  forse  la  legittimità  dell'  origine  del  Breve?  Dov'  è  qui  la  frode 
e  l'astuzia  de' frati?  Poi  la  testimonianza  non  la  dobbiamo  spezzare,  dobbiamo 
sentirla  intiera. 

Segue  il  racconto,  che  non  s'aveva  appena  finito  ed  arrivarono  messi 
pressantissimi  dei  Lombardi  con  nuove  e  assai  valide  raccomandazioni.  Ma  il 
Papa  non  volle  più  udir  parola  di  quest'affare  e  licenziò  questi  messi  dicendo: 
«  Se  foste  venuti  prima,  sareste  stati  esauditi,  ma  oramai  quello  che  è  fatto  è 
fatto».  Dunque,  se  mai  v'era  qualche  vizio  nel  principio,  fu  sanato  liberamente 
e  senza  pressione  e  senza  frode  o  astuzia  d'  alcuno  e  tanto  meno  de'  Frati  di 
San  Marco.  Ad  ogni  modo  in  tuttociò  che  ci  avrebbe  da  vedere  il  Savonarola 
e  che  ci  avrebbero  da  vedere  i  Frati  di  San  Marco?  Nulla  affatto! 

E  non  solo  per  questo,  ma  per  altro  ancora  il  Savonarola  poteva  affer- 
mare inesatto  e  falso  che  la  separazione  fosse  stala  sollecitata  solo  da  alcuni 
scaltri  religiosi.  Imperocché  essa  era  stata  chiesta  da  tutti  e  con  atto  pubblico: 
con  alto  che  ora,  in  grazia  della  diligenza  del  Gherardi,  leggiamo  tra'  Nuovi  Do- 
cumenti. (Pag.  42  e  seg.)  Nè  gioverebbe  1'  apporre  che  la  separazione  non  di- 
pese da  questa  adesione,  essendo  già  firmato  il  Breve  da  giorni;  imperocché  in 
Firenze  pare  che  allora  nulla  si  sapesse  di  ciò,  e  il  cronista  del  convento,  Fra 


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Roberto  Ubaldini,  scrisse  a  questo  proposito  che  il  Papa,  avuto  per  un  istru- 
mento  pubblico  il  consenso  di  tutti  i  frati  professi  che  allora  si  trovavano  nel 
convento,  il  consenso  libero  e  1'  ardente  desiderio  di  tutti,  esaminata  la  cosa 
segretamente  per  mezzo  di  notai  chiamati  a  posta,  inteso  con  somma  diligenza 
ogni  particolare,  segnò  il  Breve  di  separazione.  (Ivi,  pag.  41.)  Alla  più  triste 
l' istrumento  resta  sempre  testimonianza  irrefragabile  che  tutti  i  frati  professi 
di  San  Marco,  neppur  uno  escluso,  desideravano  la  separazione  e  che  perciò 
non  si  deve,  non  è  possibile  ritenere  che  alcuni  soli  con  frode  e  con  astuzia  la 
volessero!  E  il  Savonarola  poteva  francamente  scrivere  al  Papa,  come  già 
aveva  scritto  nel  Compendio  di  Rivelazioni,  che  «  la  separazione  doveva  tenersi 
conforme  alle  loro  costituzioni;  e  che  non  era  stata  ottenuta  fraudolentemente; 
ma  dopo  una  discussione  prolungata,  e  in  maturo  esame  ;  testimonio  il  reve- 
rendissimo Oliviero  Caraffa,  cardinale  della  Sanla  Chiesa  Romana  arcivescovo 
di  Napoli,  e  protettore  dell'Ordine  dei  Predicatori,  che  ne  l'ha  ottenuta  colla 
sua  saggezza  e  colla  sua  prudenza  »! 

Quanto  all'accusa  d'aver  il  Savonarola  detto  o  fatto  inezie,  non  saprem- 
mo davvero  che  pensare;  e  credo  ci  basterà  il  notare  che  il  Frate  poteva  scri- 
vere a  Roma  che  tutto  il  popolo  gli  era  testimonio  eh'  egli  non  aveva  nè  detto, 
nè  fatto  cose  inette  o  scandalose;  che  al  contrario  le  sue  parole  e  le  sue  azioni 
apparivano  di  grande  potenza  e  molto  necessarie;  e  producevano  frutti  nume- 
rosi e  provvedevano  allasalule  delle  anime,  alla  pace  della  città  e  alla  riforma 
de'  costumi.  E  di  queste  sue  asserzioni  era  pronto  a  recare  la  testimonianza 
di  due  mila,  di  tre  mila,  e  anche,  se  piacesse,  di  diecimila  cittadini.  E  noi  già 
sopra  abbiamo  visto  tanto  da  non  aver  bisogno  ornai  che  altri  ce  le  mostri 
vere.  Onde  possiamo  col  Frate  affermare  senza  meno  eh'  egli  non  aveva  mai 
fatto  nulla  di  simile  a  quanto  i  tristi  avevano  inventato  contro  di  Ini. 

Non  ripigliamo  in  esame  1'  accusa  di  essersi  Fra  Girolamo  rifiutato  di 
aderire  all'  invito  del  Papa  di  recarsi  a  Roma;  questa  appare  già  evidentemente 
falsa  da  quanto  abbiamo  ragionalo  in  principio;  nè  può  aver  qui  altra  sor- 
gente che  la  raffinata  e  diabolica  malizia  de'  nemici  del  Frate,  che  non  ave- 
vano lasciato  pervenire  la  giustificazione  di  lui  ad  Alessandro  VI. 

Questo  è,  in  compendio,  quanto  il  Savonarola  diceva  a  sua  discolpa  al  Pon- 
tefice in  risposta  al  Breve  degli  8  di  settembre.  Dopo  un  tal  documento  che  al 
Savonarola  apponeva  colpe  non  commesse  e  che  evidentemente  era  stato  pro- 
vocato da  false  e  maligne  suggestioni  dei  nemici  di  lui,  come  doveva  egli  re- 
golarsi ?  Essendo  vero  e  noto  a  tutti  che  quanto  si  suggeriva  al  Pontefice  era 
semplice  calunnia  di  nemici  non  pure  del  Frate,  ma  del  bene  che  il  Frale 
aveva  fatto  nella  città  e  nella  chiesa  di  Firenze,  poteva  il  Savonarola  lasciare 
il  Pontefice  in  queste  false  persuasioni,  tacersi  senz'  altro  ed  aspettare  che  si 
eseguissero  le  disposizioni  del  Breve  senza  fare  le  sue  giustificazioni  al  Pon- 
tefice? Poteva  nella  sua  qualità  di  religioso  e  superiore  di  una  comunità 
esemplarissima  e  stimatissima,  nella  sua  qualità  di  predicatore  da  cui  tutti  fino 
allora,  per  confessione  dello  stesso  Alessandro  VI,  avevan  ricevuta  sana  dottrina, 
permettere  che  i  suoi  religiosi  rimanessero  infamati,  e  che  venisse  debilitata 


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non  solo,  ma  fatla  credere  eretica  quella  dottrina  che  non  era  altro  che  la 
dottrina  della  Chiesa  e  che  fosse  dagli  avversarii  impunemente  conculcata?  No 
certamente;  chè  oltre  lo  scandalo  che  avrebbe  dato  nel  lasciarsi  credere  reo 
delle  colpe  e  de'  reati  che  gli  venivano  apposti,  si  sarebbe  fatto  colpevole  dav- 
vero contro  il  volere  del  Pontefice  :  Certum  est,  quod  is  committit  in  legem,  qui 
legis  verba  complectens,  contro,  legis  nititur  voluntatem. 

Fra  Girolamo  era  tanto  persuaso  di  questa  verità  che  nella  lettera  ad  un 
religioso  del  suo  Ordine,  lodata  anche  dal  Pastor,  scriveva:  «  Io  ho  appreso 
che  anche  i  Farisei  han  fatto  concilio  cogli  Erodiani,  vo' dire  che  alcuni  reli- 
giosi si  sono  intesi  con  alcuni  cittadini  di  Firenze,  i  quali  non  possono  udire  il 
nome  della  pace,  e  convennero  di  riferire  contro  di  me  molte  cose  false  al 
Pontefice,  e  di  provocarlo  contro  di  me;  e  questi,  sopra  i  rapporti  di  siffatta 
gente,  spedì  a  me  e  a  tutto  il  convento  mio  un  Breve  che  quasi  ogni  motivo 
contiene  aperte  menzogne.  Se  il  Pontefice  fosse  ben  informato,  io  tengo  per 
certo  che  annullerebbe  senza  meno  questo  Breve,  e  punirebbe  severamente  i 
miei  calunniatori.  Imperocché  è  notorio  in  Firenze  ch'io  non  mi  son  reso 
colpevole  nè  delle  parole,  nè  degli  atti  che  mi  sono  imputati....  Certo,  se  la 
Santità  del  Nostro  Signore  fosse  qui  e  vedesse  come  stanno  le  cose,  non  mi 
avrebbe  chiamato  a  sè.  Ora,  poiché  si  ha  da  obbedire  meglio  all'intenzione 
del  legislatore  che  non  alle  parole,  io  pensai  esser  bene  in  questa  faccenda 
di  soprassedere,  come  dicono  i  dottori....  » 

Ci  vuole  oramai  poco  per  vedere  che  prop  rio  il  Savonarola  qui  si  tro- 
vava nel  caso  del  figlio  calunniato,  e  degli  altri  buoni  personaggi  presso  il  padre 
delle  parabole  scritte  di  sopra  o  che  scriveremo  poi  di  sotto,  e  che  perciò,  se 
voleva  fare  la  volontà  del  Papa  e  compiere  1'  ufficio  suo  con  zelo,  aveva  da 
restare  al  proprio  posto  e  non  fuggir  la  battaglia,  e  non  cooperare  alle  mene 
de'  tristi  nemici  suoi  e  del  bene  comune  de'  Conventi,  della  Chiesa  e  della 
città  di  Firenze.  E  dico  a  consiglio  bene  comune,  imperocché,  ove  si  fosse  trat- 
tato solamente  di  sè  e  della  sua  persona,  il  Savonarola,  come  scrive  al  religioso 
del  suo  Ordine  in  Roma  ('),  per  conto  suo,  quando  fosse  stato  solo,  avrebbe 

(')  Le  cose  scritte  al  Pontefice  e  a  questo  religioso,  Fra  Girolamo  le  ha  ripetute  sovente 
al  popolo:  ecco  tra  i  molti  che  potrei  citare  un  passo  caratteristico:  «  Quelli  che  sono  male 
contenti  e  che  non  fanno  bene,  dico  a  voi,  che  vi  date  tutto  il  di  a  scrivere  qua  e  là  lettere, 
e  dite:  noi  non  abbiamo  parte  in  questo  governo  e  calunniate  ognuno  che  fa  bene  e  dite  che 
lui  è  ipocrita;  tu  sei  ipocrita,  però  ti  chiamo.  Dimmi  che  ne  sai  tu?  tu  ti  lasci  vincere 
dalla  passione;  tu  di'  che  non  hai  parte  in  questo  governo;  fa' bene.  Non  sai  tu  che  questo 
Consiglio  è  fatto  per  levar  via  gli  sciocchi  e  i  viziosi  e  gli  ambiziosi  ?  Anzi  tu  ti  hai  a  fare 
coscienza,  se  tu  dai  le  fave  nere  a  questi  tali  mentre  che  durassero  nella  loro  malizia.  Sai 
tu  quello  che  hanno  fatto  costoro?  eglino  hanno  fatto  concilio;  io  le  so  per  tanti  modi 
queste  tue  cose,  che  ti  maraviglieresti  se  io  tei  dicessi.  Hanno  fatto  Consilio  cogli  Erodiani  ; 
hanno  fatto  Consilio  con  i  tuoi  nemici  e  hanno  detto  in  questo  loro  Consilio  come  dissero 
i  Farisei  di  Cristo,  quando  gli  proposero  se  era  lecito  dare  il  censo  a  Cesare  o  no;  e  dis 
sero  :  noi  piglieremo  questa  volpe.  Ma  Cristo  colla  sua  sapienza  rispose  in  modo  che  non 
disse  nè  contro  Cesare,  nè  contro  sè.  Cosi  costoro  hanno  detto  :  Noi  diremo  tanto  male  di  co- 
stui al  Santo  Padre  che  lo  faremo  sbucare  di  qua,  e  se  non  volesse  ire,  lo  accuseremo  di  inobbe- 
dienza, ed  a  questo  modo  è  nostro  prigione  in  ogni  modo.  Questi  tali  non  credere  cho  si  curino 
che  io  vada  a  Roma;  ma  mi  vorrebbero  insino  a  mi  zzo  il  cammino,  basterebbe  loro  le- 


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riso  delle  insidie  che  gli  tendevano;  nè  avrebbe  altrimenti  curato  di  scolparsi 
e  difendersi,  ma,  certo  che  si  procedeva  contro  di  lui  senza  causa,  che  anzi  lo 
lapidavano  per  aver  ben  fatto,  avrebbe  sostenuto  ogni  cosa  per  amore  di  Cri- 
sto, nè  avrebbe  temuto  i  calunniatori  e  la  spada  loro.  Imperocché  gli  bastava 
la  grazia  di  Dio  e  la  coscienza  pura;  e  sapeva  con  Gelasio  Papa  che,  venendo 
pei  tristi  colpito  da  un'  ingiusta  sentenza,  non  ne  restava  legato  nè  presso  la 
■Chiesa,  nè  presso  Dio,  e  non  aveva  bisogno  di  brigare  perchè  l'assolvessero; 
e  sapeva  ancora  con  Agostino  che  1'  ignoranza  degli  uomini  non  gli  avrebbe 
fatto  nulla,  ove  noi  cancellasse  dal  libro  de'  viventi  l' iniqua  coscienza.  Ma  egli 


-vaimi  da  Firenze;  e  dicono:  se  egli  obbedisce,  avremo  giunta  la  volpe,  se  non  obbedisce, 
faremo  con  la  scomunica,  e  sarà  scandalizzato  il  popolo  e  perderà  il  credito.  Ben  sai  che  noi 
obbediremo  al  Santo  Padre,  e  io  e  gli  altri  frati  miei  vorremo  prima  morire  che  fare  peccato: 
io  soddisfarò  all'una  e  all'altra  parte  e  apriremo  tutte  due  le  buche:  io  non  dico  per  que- 
sto che  sia  tratta  scomunica  nessuna,  ma  la  cercano.  Dimmi  un  poco:  tu  hai  un  figliuolo 
che  sta  alla  tua  vigna  a  conciarla:  vengono  alcuni  ribaldi  e  te  io  accusano  che  ei  giuoca 
o  fa  qualche  altro  male;  tu  gli  scrivi,  ed  egli  torna,  e  loro  che  te  lo  hanno  accusato  stanno 
là  e  guastano  ]a  vigna.  Dimmi,  quando  il  padre  sa  poi  il  vero  e  che  il  figliuolo  non  faceva 
male  alcuno,  non  credi  tu  che  e'  gli  dica:  pazzo  che  tu  se',  tu  non  dovevi  venire? 

c  Dice  San  Tommaso  che  si  deve  obbedire  alla  mente  de'superiori,  non  alle  parole;  e 
dice:  che  se  il  campo  dei  nemici  fosse  ad  una  città  e  fosse  fatta  una  legge  che  non  si  apra 
la  porta,  e  venisse  per  caso  che  un  cittadino,  fuggendo  dinanzi  a' nemici,  venisse  alla  porta, 
dice  che  gli  si  deve  aprire,  perchè  non  s'attende  le  parole  della  legge,  ma  la  mente:  cosi 
dico  a  te,  che  noi  obbediremo  alla  mente.  Inoltre,  non  sai  tu  che  la  clausola  si  ita  est 
s'intende  ne' rescritti  sempre  e  nelle  bolle?  Hassi  dunque  a  riscrivere  al  Santo  Padre  e 
dirgli  che  è  male  informato.  Vuoilo  tu  vedere  perchè?  In  quel  loro  rescritto  è  dieci  bugie 
manifestissime,  e  fra  l'altre  cose  dicono  che  io  mi  diletto  di  nuovi  modi  di  eresie.  Io  l'ho 
detto  qua  più  volte  che  io  non  so  di  avere  errato  in  dire  cosa  alcuna  contro  alla  Fede,  nè 
contro  alla  Chiesa;  ma  se  pur  fosse,  sono  contento  sempre  esserne  corretto  dalla  Chiesa  e  dal 
Papa,  e  non  solo  dalla  Sedia  Apostolica,  ma  da  ciascuno  di  voi.  Secondariamente  dicono 
che  io  mi  sono  fatto  eguale  a  Dio,  che  io  ho  detto  che  se  io  mento  mente  ancora  Dio.  Tu 
sai  che  queste  parole,  che  se  Dio  mente,  mento  ancora  io,  io  l'ho  dette  solo  quando  ti  ho 
detto  qualche  cosa  da  parte  di  Dio,  e  questo  non  è  inconveniente.  Terzo,  hanno  detto  che 

10  ho  detto  male  del  Papa.  Popolo,  tu  mi  sei  testimonio,  haimi  udito  se  io  ho  mai  detto 
simile  cosa,  o  nominato  il  Papa  in  male  nessuno?  —  Oh!  tu  hai  detto  de' cardinali  e  de' pre- 
lati! —  Dimmi,  hai  tu  udito  nominarmene  nessuno?  Io  ho  parlato  sempre  universalmente; 
e  non  puoi  intendere  che  io  abbia  notato  in  particolare  nessuno,  e  l'ho  detto  massimamente 
acciocché  non  facciate  i  vostri  figliuoli  prelati  e  acciocché  non  andiate  a  casa  dol  diavolo 
con  loro. 

«  Un'altra  volta  già,  predicando  io  a  Bologna,  fu  detto  che  io  avevo  nominato  il  Papa  ;  e 
pure  non  era  vero:  insomma  sappi  che  noi  siamo  parati  ad  obbedire  alla  Santa  Chiesa,  e  quando 

11  Papa  sarà  bene  informato  e  ci  comandi,  andremo  dove  lui  dirà.  Venite  qua:  che  volete  voi 
fare?  chiamarmi  di  qua  con  una  scomunica,  è  vero?  Si,  sciocchi  che  voi  siete:  o  voi  credete  che 
Dio  mi  abbia  fatto  dir  questo  che  io  ho  detto,  o  no.  Se  voi  credete  che  da  Dio  io  l'abbia  detto, 
voi  siete  bene  nel  profondo  di  ogni  malizia  perseguitando  le  cose  di  Dio;  e  se  il  mondo  mi 
maledirà,  dice  Agostino,  Iddio  mi  darà  la  sua  benedizione  :  sicché,  se  tu  credi  che  le  siano  da 
Dio,  tu  sei  ben  sciocco  a  non  credere  ancora  che  Iddio  mi  darà  il  modo  di  uscirmene  senza  scan- 
dalo. Se  tu  non  credi  che  le  siano  dn  Dio,  egli  è  necessario  che  voi  crediate  che  io  sia  un 
cattivo  uomo,  operò  siete  stolti;  perchè  se  io  non  temo  Iddio,  non  temerò  nò  anche  la  scomu- 
nica. —  No,  tu  lo  fai  per  vergogna,  acciocché  il  popolo  non  sia  scandalizzato.  —  Vienqua,  so  io 
ho  avuto  tanta  forza  con  la  mia  malizia,  poiché  tu  credi  che  io  vada  con  malizia,  a  voltai'' 
questo  popolo  a  molte  cose;  credi  che  ancora  mi  sarà  più  facile  mostrargli  che  la  scomunica 
non  vale:  ti  bisognerà,  credimi,  usare  altre  armi  a  farti  dello  stato,  perchè  questo  non  ti 
varrà  nulla  ».  (Soprai  Salmi,  pred.  XXVIII.  Cfr.  sopra  Amos  o  Zaccaria,  prod.  XXIX, e  sopra 
VKsodo,  pred.  V.) 


—  477  — 


conosceva  la  radice  di  UUte  queste  insidie  procedere  da'  perversi  cittadini 
che  aspiravano  alla  tirannide,  aiutati  da  alcuni  potentati  d'Italia.  Tutti  costoro 
desideravano  di  ucciderlo  per  toglierlo  dalla  città,  credendo  eh'  egli  fosse  loro 
d' impedimento  alle  effettuazioni  de'  loro  tristi  disegni.  Quindi  egli  non  poteva 
starsi  muto,  ma  gli  era  fatto  obbligo  di  vigilare  perchè  1'  opera  di  Dio  non  ne 
patisse,  e  animato  da  santo  zelo  intraprese  strenuamente  la  sua  e  V  altrui  di- 
fesa. (*) 

Ma  il  lettore  oramai  si  mostrerà  desideroso  di  conoscere  qual  cosa  facesse 
il  Pontefice  del  rescritto  del  Frate.  Il  desiderio  è  facile  soddisfarlo,  e  mi  è 
gralissimo  poter  dir  subilo  che  Alessandro  VI  accettò  molto  bene  le  scuse  del 
Savonarola,  le  accettò  come  buone  e  vere.  «  Alessandro  VI  comprovò  qui 
luminosamente  »  dice  il  Pastor  «  la  sua  prudenza  e  moderazione,  sospen- 
dendo con  altro  Breve  del  16  ottobre  la  decretata  unione  di  San  Marco  colla 
provincia  lombarda  »  (pag.  350).  E  oltre  a  questo  si  deve  aggiungere  che  il 
Pontefice  si  mostrò  soddisfatto  anche  delle  ragioni  addotte  dal  Frate  per  il 
primo  Breve,  per  ottenere  una  dilazione  ad  eseguire  l'invito  di  recarsi  a 
Poma.  E  il  Frate  seppe  abbastanza  presto  che  il  Papa  era  rimasto  soddisfatto 
della  lettera  inviatagli;  imperocché  il  giorno  28  ottobre  14-95  già  egli  aveva 
detto  questo  al  Manfredi  per  sicuro,  e  mostrava  di  crederla  impresa  che  non 
aveva  bisogno  d'  altro  aiuto,  come  il  Manfredi  stesso  trasmetteva  al  duca  di 
Ferrara. 

Adunque,  per  non  andare  maggiormente  alla  lunga,  chè  abbiamo  detto- 
abbastanza,  concludiamo  che  nessun  cattolico  può  muover  rimprovero  al  Sa- 
vonarola fino  a  questo  punto  di  non  aver  obbedito  al  Papa,  o  di  essersi  come 
che  sia  reso  colpevole  verso  1'  autorità  delle  somme  chiavi.  Fu  calunniato,  si 
giustificò,  e  le  sue  ragioni  furono  accettate  per  buone  e  vere  dal  Pontefice. 
Onde  canonicamente  egli  è  fin  qui  prosciolto  da  ogni  pena;  e  nessuno  può 
riguardarlo  come  si  riguardano  i  ribelli  e  i  capai  bj  ;  ma  ognuno  deve 
ritenerlo  come  buon  tìglio  della  Chiesa.  I  Brevi  pontificj  de' 21  luglio  e  degli 
8  settembre  non  lo  toccano  per  nulla,  ed  egli,  fino  a  questo  punto,  si  governo- 
rispetto  ad  essi  come  a'  cattolici  e  ai  religiosi  si  conviene,  e  non  altrimenti. 


(  )  Vedi  sopra  il  Cap.  XXVII  e  specialmente  la  pag.  421. 


XXX. 


Del  Breve  pontificio  de'  16  ottobre  1495 
e  relativa  condotta  del  Frate. 


Sommario. 

Ragioni  del  Breve  16  ottobre  1495.  —  Che  cosa  fra  Girolamo  domandasse  al  Pontefice.  —  Dispositivo 
della  Sentenza  Pontificia.  —  Le  concioni  dell'ottobre  1405.  —  Un'accusa  nuova  promossa  dal  Pa- 
stor.  —  Apparenza  di  verità.  —  Ragioni  che  la  distruggono.  —  Non  occorreva  la  diretta  permissione 
del  Papa  perchè  Fra  Girolamo  potesse  predicare.  —  La  causa  in  discussione.  —  Il  reo  che  si 
tiene  ragionevolmente  prosciolto.  — Discussione  legittima.  —  La  credenza  universale  e  la  esplicita 
testimonianza  del  Parenti.  —  Cose  date  o  non  concesse.  —  Non  misfatto,  ma  azione  altamente 
lodevole.  —  La  patria  in  pericolo  per  cagione  di  Piero  De'  Medici.  —  La  propria  e  l'altrui  difesa 
giustifica  il  Frate.  —  Ancora  una  proposizione  vera  che  scandalizza  il  popolo.  —  Ragione  j?ie,  pur 
sembrando  sofistica,  non  è  tuttavia  priva  di  importanza.  —  Il  Savonarola  non  pecca  per  sciocca 
semplicità.  —  Comando  al  Frate  di  astenersi  da  ogni  sermone.  —  Giudizj  gratuiti  ed  ingiusti. 

—  Troppa  voglia  di  condannare  il  calunniato  Domenicano.  —  Una  insinuazione  gravissima. 

—  Il  Savonarola  accusato  un'  altra  volta  di  disobbedienza  dal  Pastor  e  dal  Grisar.  —  La  coscienza 
guasta.  —  Ignoranza  imperdonabile.  —  Si  ripiglia  la  questione  che  credevamo  decisa.  —  Pensieri 
che  agitano  l'animo  del  Frate  e  del  Governo  Fiorentino.  —  Prudenza  di  Fra  Girolamo.  —  Il  Sa- 
vonarola a  Fra  Antonio  D'  Olanda.  —  La  licenza  impetrata.  —  L'  attestano  i  biografi  del  Frate. 

—  Prove  tratte  dai  Nuovi  Documenti.  —  Una  lettera  del  Somenzi.  —  Il  Tancrediuo  che  afferma 
quanto  vorrebbe  negare.  —  Un  colloquio  del  Becchi  oratore  fiorentino  con  il  cardinale  di  Pe- 
rugia. —  Riflessioni.  —  Altro  principio  di  prova.  —  Colloquio  di  Niccolò  Pandolfini  con  Ales- 
sandro VI.  —  Inutile  tentativo  del  Cosci.  —  Una  obbiezione  che  ha  pronta  la  risposta.  —  Un  vero 
giudizio  di  Isidoro  Del  Lungo.  —  Dichiarazione  del  Savonarola.  —  Una  inesattezza.  —  Condi- 
zione a  cui  fu  ridonata  la  licenza  del  predicare.  —  Cose  riferite  al  Papa  snl  conto  di  Fra  Giro- 
lamo. —  Autorità  dei  delatori.  —  Carattere  delle  prediche  sopra  Amos  e  Zaccaria.  —  Difficoltà 
del  Becchi  nel  difendere  il  Savonarola.  —  Tolleranza  di  Alessandro  VI.  —  Si  previene  una  obie- 
zione. —  Uguale  storia  di  due  Brevi.  —  Una  nostra  domanda.  —  L'ordinanza  della  Signoria  ine- 
splicabile senza  l'ottenuta  facoltà  di  predicare.  • —  Risposta  alle  domande  altrui.  —  Singolarità 
del  Cosci.  —  Giudici  del  Savonarola  meno  tolleranti  e  più  severi  di  Alessandro  VI. 


Ma  è  oramai  tempo  che  procediamo.  Abbiam  detto  che  il  Pontefice  col 
Breve  de'  1G  ottobre  mostrò  di  menar  per  buone  le  scuse  del  Savonarola  e 
sospese  i  due  Brevi  antecedenti.  Ma  non  bisogna  però  credere  che  si  ponesse 
senz'altro  la  cosa  in  tacere  e  tutto  si  decidesse  senza  meno  in  favore  del  Sa- 
vonarola. Per  quanlo  persuasive  fosser  le  ragioni  del  Frate  e  grande  1'  auto- 


—  479  — 


rità  di  coloro  che  testimoniavano  a  favore  di  Lui,  per  quanto  potesse  essersi 
adoperato  in  favore  di  lui  il  P.  Maggi,  ciò  avrebbe  potuto  sembrar  tuttavia  im- 
prudenza e  precipitazione,  o  avrebbe  per  lo  meno  potuto  generare  il  sospetto 
che  prima  si  fosse  precipitato  di  troppo.  D'altra  parte  sarebbe  ingenuità  il  cre- 
dere che  i  nemici  del  Frate  cessassero  qui  di  calunniarlo  presso  il  Papa,  e  che 
questi  calunniatori  fossero  tutti  di  piccola  autorità  e  potenza. 

Di  più,  il  Savonarola  non  chiedeva  nemmeno  che  il  Pontefice  dichiarasse 
nulli  senz'altro  i  Brevi,  ma  dopo  di  aver  esposte  le  sue  ragioni,  finiva  dicendo  che 
«  non  gli  sarebbe  stato  difficile,  ove  ne  fosse  uopo,  di  provare  che  le  cose  che 
egli  scriveva  eran  vere;  la  Santità  Sua  mandasse  un  suo  ministro  giusto  e  non 
sospetto  e  potrebbe  esserne  certificata  chiaramente  da  tutto  il  popolo  fioren- 
tino; egli,  dal  canto  suo,  era  pronto  ad  emendarsi  in  quanto  avesse  errato;  anzi 
a  revocare  alla  presenza  di  tutto  il  popolo  tutti  gli  errori  che  gli  venissero  in- 
dicati. Si  degnasse  la  Santità  Sua  di  mostrargli  qual  cosa,  fra  quelle  che  aveva 
scritte  o  dette,  fosse  da  revocare,  ed  ei  l'avrebbe  fatto  con  tutta  l'anima,  im- 
perocché, come  sempre  aveva  sottomesso,  così  allora  sottometteva  alla  corre- 
zione della  Chiesa  Romana  e  di  Sua  Santità  e  sè  e  tutte  le  cose  sue  ».(4) 

E  il  Pontefice  accoglieva  questa  proposta  del  Frate;  e  gli  scriveva  so- 
spendendo fin  d'allora  tutti  i  Brevi  antecedenti  e  le  cose  in  essi  contenute 
e  le  clausole,  affinchè  quegli  potesse  nella  quiete  della  sua  coscienza  provve- 
dere alla  sua  spirituale  salute;  e  perchè  non  sembrasse  che  e' non  tenesse  in 
cura  di  sorta  alcuna  le  cose  che  per  nessun  modo  vogliono  lasciarsi  in  non 
cale,  gli  comandava  in  virtù  di  santa  obbedienza  di  astenersi  da  ogni  sermone 
non  solo  in  pubblico,  ma  anche  in  privato,  affinchè  non  lo  si  potesse  accusare 
che,  cessando  dal  predicare  in  pubblico,  tenesse  conventicole.  E  questo  modo 
Sua  Santità  voleva  che  il  Frate  dovesse  tenere,  finché  senza  pericolo,  e  con  quel 
decoro  che  si  conviene  ad  un  religioso,  gli  fosse  possibile  di  recarsi  alla  sua 
presenza  (chè  l'avrebbe  veduto  con  animo  lieto  e  pietoso),  o  insino  a  quando 
più  maturamente  avrebbe  Ella  deliberato  qual  modo  dovesse  tenere  per  l'av- 
venire, o  destinato  a  questo  una  persona  idonea  e  proba.  Questo  il  dispositivo 
del  detto  Breve  il  quale  fu  segnato  a  dì  16  ottobre  1495,  ma  per  un  ritardo, 
che  il  Pastor  (p.  351)  dice  non  ancora  spiegato,  non  giunse  in  Firenze  se  non 
a  dì  26  del  mese  stesso. 

E  ora  sorgono  subito  molte  questioni  che  bisogna  sciogliere.  Ma  prima 
bisogna  risolverne  una  che  si  lega  ai  Brevi  antecedenti  più  che  a  questo. 

Non  era  ancor  giunto  in  Firenze,  e  neppure  segnato,  il  Breve  di  risposta 
alle  lettere  del  Savonarola,  quando  questi  risaliva  un'  altra  volta  il  pulpito  e 
vi  recitava  una  fortissima  conclone  il  giorno  11  ottobre  1495;  e  lo  stesso  poi 


(')  Anche  questo  è  riportato  nella  citata  Lettera  ad  un  amico  :  «  Alcuni  dicono  che  io 
sono  eretico,  e  parlano  con  pooa  prudenza  e  considerazione,  avendo  io  pubblicamente  molte 
volte  detto  e  scritto,  che  io  mi  sottometto  alla  correzione  della  Santa  Romana  Chiesa  in 
tutto  quello  che  io  avessi  errato,  e  chiesto  al  Sommo  Pontefice  e  a  tutta  la  Corte  Romana 
che  mi  sia  scritto  o  avvisato  in  qual  parte  io  erro  contro  alla  fede,  offerendo  di  ridirmi 
pubblicamente  in  presenza  di  tutto  il  popolo  ». 


-  480  — 


faceva  i  giorni  18  e  25  del  mese  stesso.  (/)  11  Pastor  condanna  qui  un'altra 
volta  il  Savonarola,  e  scrive,  non  senza  un  poco  d'ironia,  che,  dopo  questi 
sermoni,  il  Frate  «  doveva  dire  a  se  stesso  che  aveva  rotta  la  obbedienza 
promessa  il  15  settembre  contro  l'ordine  del  suo  superiore  supremo,  dal 
quale  solo  doveva  partire  la  missione  apostolica  della  predicazione  ».  E  questa 
è  un'  accusa  nuova,  se  ben  mi  ricordo,  che  gravita  sul  capo  del  Frate,  e  vi 
gravita,  per  opera  del  critico  d'innsbruck,  pesantissima.  Ma  lo  vogliam  condan- 
nare? L'accusa  ha  tutta  l'apparenza  dell'esser  giusta;  infatti  col  Breve  degli 
8  settembre  Fra  Girolamo  era  sospeso  da  ogni  maniera  di  predicazione  od  in- 
segnamento in  pubblico  e  in  privato;  il  Breve  de'  16  ottobre  non  era  comparso 
ancora  ;  e  anche  se  fosse  già  arrivato,  esso  confermava  tale  sospensione:  era 
dunque  obbligo  del  Frate  di  continuare  a  tenersi  sottomesso  agli  ordini  pon- 
tifici e  non  precipitar  le  cose,  ma  attendere  che  la  sua  causa  fosse  decisa  e  a 
lui  fosse  debitamente  notificata  la  decisione.  Queste  le  ragioni  che  danno  ap- 
parenza di  vero  all'accusa,  e  che  sembrano  quindi  giustificar  la  condanna;  ma, 
chi  ben  guarda,  può  veder  subito  che,  fuori  dell'  apparenza  di  giustizia,  non  vi 
si  trova  altro.  Qui,  oltre  ad  una  asserzione  gratuita  e  ad  un  falso  supposto,  ab- 
biamo un  nuovo  caso  in  cui  le  proposizioni  universali  scandalizzano  il  popolo; 
perchè  quantunque  vere  in  sè,  tali  proposizioni,  non  sono  poi  vere,  e  non 
hanno  luogo  nel  caso  particolare  di  cui  si  tratta. 

Il  Pastor  suppone  adunque  che  per  risalire  il  pulpito  Fra  Girolamo  avesse 
a  rigore  bisogno  di  ottenerne  il  permesso  direttamente  dal  Papa,  là  dove,  se 
si  guarda  al  Breve  Quia  divini  consilii  e  alla  lettera  pontificia  indirizzata  al 
Maggi,  si  vede  subito  che  a  Fra  Girolamo  questo  non  occorreva.  Alessan- 
dro VI  tutto  occupato  nel  ridonar  pace  all'  intiera  Italia  delegava  la  causa 
del  Savonarola  al  Padre  Sebastiano  Maggi,  conferendogli  i  pieni  ed  assoluti 
poteri  a  riconoscerla  e  deciderla  secondo  gli  statuti  dell'  Ordine  :  e  comanda 
altresì  al  Savonarola  in  virtù  di  santa  obbedienza  e  sotto  pena  di  scomunica 
latae  sententiae,  che  riconosca  nel  Vicario  di  Lombardia  il  suo  giudice  legittimo 
e  che  frattanto,  finché  la  causa  presso  il  detto  Vicario  si  discute,  egli  rimanga 
sospeso  da  ogni  predicazione  e  lezione  pubblica.  Chi  vuol  dunque  condannare 
il  Frate  di  San  Marco  in  questo  punto  deve  prima  dimostrarci  che  a  dì  11  ot- 
tobre 1495  il  Beato  Sebastiano  stava  ancor  discutendo  la  causa.  Ma  chi  pro- 
verà questo  ?  Nel  breve  che  noi  per  la  prima  volta  pubblichiamo,  il  Pontefice 
a  dì  9  settembre  comandava  al  Padre  Maggi  che  subito,  appena  ricevuta  quella 
lettera,  citasse  il  Savonarola,  ne  istituisse  processo  e  tutto  riferisse  alla  Sede 
Apostolica.  E  il  processo  fu  fatto,  come  vedemmo,  senza  che  al  Savonarola 
fosse  data  ingiunzione  di  muoversi  da  Firenze;  (2)  e,  come  nessuno  polrà  mai 

I1;  Per  la  data  dei  giorni  in  cui  furono  recitate  queste  prediche  vedi  sopra  a  pag.  IH. 
yui  dobbiamo  aggiungere  che  il  Pastor  non  isbagiia  solo  facendo  predicare  il  Prato  a  di  lfv 
invece  che  ai  18  di  ottobre;  ma  anche  (o  questo  potrebbe  essere  sbaglio  più  grave)  a'  2t> 
giorno  dell'arrivo  del  Breve,  anziché  ai  'J5  vera  data  dell' ultima  sua  predica  di  quell'anno. 

(:)  V.  nel  Villari,  voi.  I,  p.  li,  la  bellissima  lettera  della  Signoria  di  Firenze 
scritta  il   17  settembre  al  Sommo  Pontefice,  nella  quale  Alessandro  VI  è  pregato  a  noiv 


—  481  — 


provarci  che  1'  esito  dei  processi  fosse  in  disfavore  al  Savonarola,  così  nessuno 
ci  potrà  far  credere  che  agli  1 1  d'  ottobre,  quarantadue  giorni  dopo  la  data  del 
Breve,  il  processo  fosse  ancor  sospeso  e  dopo  tanta  premurosa  raccomanda- 
zione del  Pontefice,  non  si  fosse  nulla  conchiuso.  Finche  questo  non  sarà  di- 
mostrato, (e  nessuno,  credo,  ci  si  proverà)  la  condanna  mancherà  di  verace  fon- 
damento e  non  potrà  considerarsi  legittima.  Questa  a  noi  pare  un'  altra  volta 
una  ragione  perentoria  nella  causa  che  ci  occupa;  una  ragione  non  vincibile 
da  nessun  argomento.  E  quindi  già  per  questo  motivo  crediamo  di  dover  di- 
chiarar prosciolto  il  Frate  dalla  nuova  accusa. 

Ma  se  questa  ragione  non  tornasse  persuasiva  a  tutti,  e  ad  alcuno  pia- 
cesse di  considerar  Fra  Girolamo  unicamente  di  fronte  al  Pontefice,  noi 
crediamo  d'  aver  qualche  altro  motivo  ragionevole  per  mandarlo  ugualmente 
prosciolto. 

Ecco  infatti  che  cosa  scriveva  il  Savonarola  al  Pontefice  a  dì  29  settembre 
in  risposta  al  Breve  del  di  8:  «  La  Vostra  Santità  non  vorrà  sdegnare  di  ac- 
cogliere con  benevolenza  questa  mia  difesa  e  di  chiamarmi  piuttosto  prudente 
che  disobbediente;  ed  io  frattanto  soprassederò,  finché  non  avrò  avuto  dalla 
Vostra  Santità  una  benigna  risposta  e  una  libera  assoluzione  da  tutte  queste  ac- 
cuse. Questa  dottrina  io  ho  appreso  dai  Predecessori  della  Vostra  Santità  e  dai 
dottori,  cioè  dai  Teologi  e  Canonisti  ».  E  già  aveva  scritto  nella  lettera  del  15  set- 
tembre a  un  religioso  del  suo  Ordine  in  Roma:  «  Desidero  di  sapere  da  voi 
che  cosa  pensiate  che  io  debba  fare  secondo  Iddio....  E  se  io  non  posso  sal- 
vare altrimenti  la  mia  coscienza  se  non  obbedendo  a  quel  Breve,  obbedirò  cer- 
tamente quando  anche  ne  seguisse  la  rovina  del  mondo  intero,  perchè  in  que- 
sto io  non  voglio  in  alcun  modo  peccare,  neppur  venialmente;  solo  io  ho  pensato 
che  sia  meglio  soprassedere,  come  dicono  i  dottori  ».  E  insieme  lo  pregava  a  far 
premure  presso  il  Cardinale  Protettore,  affinchè  si  interponesse  presso  il  Pon- 
tefice e  mandava  a  lui  e  a  mons.  Felino  copia  della  sua  giustificazione  presso 
il  Pontefice  stesso. 

Non  troviamo  espressamente  che  il  Pontefice  desse  al  Savonarola  quella 
libera  assoluzione  che  questi  gli  chiedeva,  ma  troviamo  per  altro  che  il  Savo- 
narola stesso  conobbe  che  il  Pontefice  aveva  accettato  le  sue  scuse.  (')  Infatti 
il  giorno  26  ottobre,  prima  che  arrivasse  il  nuovo  Breve  pontificio  in  Firenze, 
il  Manfredi  scriveva  al  suo  signore  che  egli  «  avendo  Fra  Girolamo  predicato 
ad  ogni  modo  di  festa  a  questi  giorni  passati,  non  stimava  che  fosse  stato  in- 
terdetto, come  invero  non  lo  è,  siccome  questa  mattina  mi  ha  chiarito  Sua 


rimuovere  il  Savonarola  da  Firenze  e  a  conservare  i  conventi  di  San  Marco  e  di  San  Dome- 
nico di  Fiesole  (che  vivevano  in  un'  incredibile  integrità  di  vita  e  santità  di  religione)  nel  loro 
stato,  separati  dalla  Congregazione  Lombarda.  Questa  lettera  dimostra  che  ai  17  settembre 
già  in  Firenze  si  conosceva  il  contenuto  del  Breve.  Vedi  la  stessa  lettera  nell'Archivio  gene- 
rale dell' Ordine  Domenicano.  GGG.,  fol.  609. 

(')  Il  Villari  dice:  «  Il  Papa  non  diede  a  questa  lettera  (del  29  settembre)  alouna  rispo- 
sta, ma  persuaso  che  era  vano  adesso  l'insistere,  lece  espressamente  sapere  al  Savonarola 
che  accettava  le  scuse  »  (p.  4C1). 

31 


—  482  — 


Paternità;  anzi  mi  disse:  «  che  lo  aspettava  in  dies  di  avere  un  Breve  del  Papa 
della  sospensione  che  aveva  fatta  Sua  Santità,  che  non  si  proceda  contro  lui  come 
si  era  principiato  per  le  informazioni  sinistre  che  erano  state  porte  a  Sua  Bea- 
titudine de'  fatti  suoi;  il  quale,  per  essersi  giustificato  molto  bene  con  quella,  si 
stima  (per  gli  avvisi  che  lui  ha  avuti  da  amici  suoi  di  Roma)  che  s'imporrà  si- 
lenzio al  tutto.  Egli  mi  ha  detto  Sua  Reverenza,  che  quando  pur  la  cosa  fosse 
ita  più  avanti  contro  lui,  e  che  il  Papa  fosse  continuato  in  non  volere  ammet- 
tere le  giustificazioni  sue,  come  buone  e  vere,  che  lo  aveva  designato  di  ricer- 
care il  favore  e  l'aiuto  della  Eccellenza  Vostra,  come  di  quella  nella  quale  con- 
fida molto  che  la  non  gli  saria  mancato  di  prestarglielo  caldo  e  buono  nelle 
cose  oneste  come  questa  sua  presso  alla  Santità  del  Papa  ».  (1) 

Per  dir  queste  cose  il  Frate  doveva  certo  aver  buono  in  mano  per  credere 
che  il  Papa  aveva  senza  meno  riconosciuta  l'innocenza  sua;  ed  è  troppo  legit- 
tima la  deduzione  che  gli  amici  del  Frate  gli  avessero  scritto  da  Roma  eh'  egli 
s'  era  ben  giustificato,  e  che  la  Santità  Sua  aveva  ammesso  la  giustificazione 
come  buona  e  vera.  (2)  Come  pensare  altrimenti  s'egli  dice  che  ornai  in  questa 
faccenda  non  aveva  altrimenti  bisogno  d'aiuto  nessuno?  E  così  stando  la 
faccenda,  perchè  non  poteva  egli  in  buona  coscienza  tenersi  senz'  altro  pro- 
sciolto da  ogni  vincolo,  che  lo  avesse,  anche  ingiustamente,  potuto  legare? 
Del  resto  quelle  parole  nella  predica  del  18  febbraio  1498  ove  il  Frate  fece  la 
storia  di  lutti  i  Brevi  venutigli  da  Roma  e  delle  giustificazioni  sue  :  «  Ed  egli 
(il  Papa)  accettò  la  escusazione  molto  bene  »,  a  quale  escusazione  si  riferiscono? 
Non  a  quella  del  31  luglio  del  95,  perche  il  papa  non  la  ricevè,  come  vedemmo 
a  pag.  457.  E  lo  stesso  Savonarola  si  lamentò  che  non  gli  fosse  slata  conse- 
gnata. Non  può  intendersi  dunque  d'  altra  escusazione  se  non  di  quella  del 
29  settembre,  ove  il  Frate  ripeteva  il  contenuto  della  prima  e  aggiungeva  le 
giustificazioni  contro  le  nuove  accuse  ed  ove  inseriva  altra  copia  della  rispo- 
sta sua  all'  invito  di  recarsi  a  Roma  (vedi  sopra  a  pag.  457).  Ad  altra  escusa- 
zione del  Savonarola  non  possono  applicarsi  quelle  parole  che  riguardano  ap- 
punto la  chiamata  a  Roma.  Il  Savonarola  adunque  ebbe  notizia  che  il  Papa 
aveva  accettalo  molto  bene  le  sue  scuse,  e  questa  notizia  egli  l'ebbe  dopo  la  let- 
tera del  29  settembre  ed  è  molto  verosimile  che  1'  avesse  dagli  amici  suoi  di 
Roma. 

Che  poi  il  Savonarola  predicando  questa  volta  non  contravenisse  al  di- 
vieto pontifìcio  era  opinione  unanime  allora,  ed  è  chiaramente  affermato  e  detto 
da  parecchi  storici  del  tempo. 

Il  Violi  nella  giornata  terza  scrive: 

«  Il  Frale  fermò  il  suo  predicare  per  qualche  mese,  e  rescrisse  al  Papa, 
e  moslrogli  che  Sua  Santità  era  male  informata;  e  infatti  usò  tutti  quei  termini 

(')  Cappelli,  doc.  92. 

(-)  Forse  non  sarebbe  troppo  avventato  il  credere  ebe  fra  questi  amici  vi  fosse  anebe 
Don  Felino,  l'eminente  auditore  di  S.  S.  a  cui  il  Savonarola,  come  abbiam  notato,  aveva 
pare  scritto  una  lettera  esponendogli  le  sue  ragioni,  come  si  raccoglie  da  quella  spedita  al 
Pontefice  e  da  quolla  ad  un  religioso  del  suo  Ordine. 


—  483  — 


che  pongono  i  savi  e  dotti  teologi  quando  il  superiore  è  male  informato  a  giu- 
stificarsi con  lui,  per  non  incorrere  poi  in  censure  alcune  ».  E  il  Parenti  ag- 
giunge-nel  volume  I  delle  sue  Historie,  a  pagina  154:  «  Il  Pontefice  rappacifica' 
tosi  con  Fra  Girolamo,  il  fattogli  comandamento  sospese  e  licenza  che  a  sua  volta 
predicasse  gli  concesse  ».  (*) 

Per  tutte  queste  ragioni  noi,  abbandonando  il  giudizio  del  Pastor,  ce  ne 
stiamo  cogli  altri  che  scrissero  fin  qui  del  Savonarola,  i  quali  per  questa  pre- 
dicazione non  gli  mossero  mai  rimprovero  alcuno,  come  non  trovasi  che  alcun 
rimprovero  gli'  movesse  il  Pontefice,  nè  altri. 

Ma  ancorché  non  si  tenesse  verun  conto  di  queste  ragioni,  che  pur  tutte 
insieme  ci  sembrano  buone  e  decisive,  pure  abbiamo  dei  forti  motivi  per  as- 
serire che,  predicando,  anche  senza  espressa  licenza,  nel  momento  storico  che 
predicò,  predicando  come  fece  e  per  l'intento  che  fece,  non  solo  il  Frate  non 
avrebbe  commesso  alcun  fallo,  ma  compito  invece  un'azione  altamente  doverosa 
e  molto  lodevole,  o  per  lo  meno  permessagli  da  tutte  le  leggi  divine  ed  umane, 
naturali  e  positive.  Di  questa  mia  gravissima  asserzione  credo  poter  far  persuaso 
ognuno  che  non  ritenga  le  leggi  canoniche  e  morali  esser  fatte  per  rimanersi  me- 
ramente teoriche  e  niente  pratiche,  ognuno  che  ritenga  esistere  un  diritto,  cui 
forza  umana  non  può  impunemente  violare  e  tutti  devono  riconoscere. 

In  quali  condizioni  si  trovava  allora  Firenze?  Lo  dice  anche  il  Pastor  a 
pagina  350:  —  Incalzavano  i  pericoli  da  parte  di  Piero  de' Medici.  —  Brevi  pa- 
role invero,  ma  gravide  di  molto  significato,  che  lo  storico  d'Innsbruck  non  deve 
avere  scritte  inconsciamente.  E  noto  a  tutti:  Piero  de' Medici  da  Roma  s'appres- 
sava alla  città  di  Firenze  per  ridurla  un'altra  volta  nelle  sue  mani;  per  lui 
l'Orsini  radunava  i  suoi  antichi  soldati;  e  mentre  Piero  e  l'Orsini  si  sarebbero 
avanzati  a  Firenze,  Giovanni  Bentivoglio  al  soldo  de'  Veneziani  e  del  Moro  do- 
veva anch'egli  irrompere  dai  confini  bolognesi  contro  la  Repubblica ,  e  Caterina 
Sforza  signora  d'Imola  e  di  Forlì  mandava  anche  da  un  altro  lato  le  sue  genti; 
i  Sanesi  e  i  Perugini  facevano  sperare  larghi  aiuti.  (2)  Firenze  dunque  era  in 
grave  pericolo,  e,  com'è  facile  a  capire,  lo  sgomento  s'impossessava  degli  animi 
e  certo  non  del  tutto  a  torto;  imperocché  ogni  cosa  pareva  far  presagire  che 
la  fortuna  dovesse  volgere  prospera  al  tentativo  del  caduto  tiranno  !  E  allora 
che  sarebbe  avvenuto?  Quali  vendette  non  avrebbe  potuto  prendere  la  Lega  so- 
pra quella  città?  quali  vittime  non  avrebbe  fatto  Piero?!  Credo  che  sia  perfin 
difficile  immaginarcelo.  E  del  Frate  che  se  ne  sarebbe  fatto?! 

In  verilà  che  qui  lasciar  riuscire  l'impresa  di  Piero  voleva  dire  non  solo 
far  tirannia;  ma  anche  tagliare  il  capo  a  questi  e  a  quelli  e  a  quelli  altri,  torre  le 
possessioni  agli  uni,  mandare  in  bando  gli  altri,  e  gli  altri  in  carcere.  La  sorte 
del  Frate  era  certamente  decisa.  Egli  ch'era  creduto  la  cagione  di  tutto  il  mal  dei 
Medici,  egli  odiato  e  cercato  a  morte  da'  Palleschi,  dagli  Arrabbiati,  dai  sicari 
del  Moro,  che  poteva  aspettarsi  se  non  un'atrocissima  fine?! 


(')  Aquarone,  op.  cit.,  lib.II,  pag.  293,  309,  testo  e  note. 
'-)  Cfr.  Villari,  p.  385. 


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E  de'  suoi  Conventi,  e  segnatamente  de'  Frati  a  lui  più  famigliari  e  fìdiT 
che  ne  sarebbe  avvenuto?!  E  così  stando  le  cose,  si  scandalizzerà  alcuno  se 
l'ardente  Riformatore  risalì  il  pergamo  e  con  la  sua  parola  potente  potè 
ottenere  che  l'impresa  di  Piero  de' Medici  andasse  fallita?!  Io  confesso  franca- 
mente che  questo  scrupolo  non  lo  sento  :  il  diritto  di  legittima  difesa  e  per  sè 
e  per  la  città  non  solo  davano  facoltà  al  Savonarola  di  mettere  in  bando  ogni 
riguardo;  ma  forse  gl'imponevano  anche  l'obbligo  di  fare  come  ha  fatto;  e  se 
le  tre  concioni  recitate  non  avessero  ottenuto  l'effetto  che  ottennero,  e  i  Fio- 
rentini non  si  fossero  uniti  e  armati  tutti,  per  le  parole  del  lor  Profeta,  alla  di- 
fesa della  patria,  votando  le  severe  leggi  che  votarono,  io  dubito  forte  se  il 
Savonarola  dovesse  tacere  anche  dopo  giunto  in  Firenze  il  giorno  26  il  Breve 
che  portava  la  data  de'  16.  Canoni  che  impongano  di  lasciar  rovinare  la  pa- 
tria ed  offrire  il  proprio  corpo  e  quello  degli  amici  a'  tiranni,  perchè  ne  facciano 
scempio,  non  n'  esistono,  e  a  imporre  tanto  invero  non  s'  estende  l'autorità  pon- 
tificia, e  sarebbe  un'ingiuria  imperdonabile  l'accusar  Alessandro  VI  d'aver  voluto 
cosa  simile!  (/)  Onde  noi,  quantunque  ammettiamo  in  tutta  la  sua  forza  la  verità 
della  proposizione  universale,  che  il  Pastor  pronunciò,  che  solo  dal  Papa  deve 
partire  la  missione  apostolica  al  ministero  della  predicazione,  crediamo  che  essa 
nel  caso  nostro,  non  abbia  affatto  luogo;  onde  torniamo  a  dire  che  noi  riteniamo 
piuttosto  la  prima  spiegazione,  cioè  che  il  Savonarola  non  abbia  per  nulla  rotta 
qui  la  obbedienza  altre  volte  promessa  al  suo  superiore;  e  stimiamo  che  la 
spiegaziouc  contraria  non  sia  sostenibile  da  nessun  lato.  E  quindi  riteniamo  che 
si  vuole  dichiarare  il  Frate  di  San  Marco  prosciolto  anche  da  quest'accusa. 

Ma  andiamo  oltre,  chè  la  via  è  lunga.  Bisogna  che  veniamo  al  Breve  de' 16 
ottobre  J495.  Lasciamo  per  ora  la  motivazione  di  esso;  ne  riparleremo  al- 
trove, (2)  e  stiamo  all'essenziale  del  dispositivo.  Questo  consiste  nel  comando 


(')  Può  parer  sofistica,  ma  non  è  priva  d'importanza  la  dichiarazione  che  il  Savonarola 
faceva,  ripetutamente  nel  recitare  queste  concioni,  ciò  sono  venuto  questa  mattina  per  par- 
lare un  poco  con  voi,  non  proprio  per  predicare  ;  ma  non  sapevo  come  parlarvi,  se  non  con- 
vocarvi qui».  Cosi  a  di  11  ottobre;  o  cosi  del  pari  ai  18;  e  a  di  25  ripeteva  ancora  le  medesime 
cose:  «  Or  su  che  faremo?  Io  non  son  venuto  a  predicare,  come  vi  ho  detto  già  due  domeni- 
che passate,  ma  a  ragionare.  Che  cosa  è  predicare?  K  esporre  le  Scritture:  vedete  che  non 
v'espongo  Scrittura  nessuna  ».  Queste  parole  possono  in  ogni  caso  essere  un  segno  della 
delicatezza  di  coscienza  del  Frate,  e  mostrano  del  resto  assai  bene  l'intento  di  queste  con- 
cioni tutte  rivolte  ad  unire  i  Fiorentini  contro  il  tiranno,  intento  felicemente  ottenuto.  Ora 
se  anche  il  Savonarola  non  fosse  stato  religioso,  e  non  avesse  mai  avuto  la  missione  del 
predicare,  egli  avrebbe  potuto  recitarlo  egualmente,  in  ispide  se  pensiamo  che  allora  la 
Chiesa  non  i  ra  davvero  il  luogo  dove  solo  il  popolo  si  adunasse  per  atti  di  culto  divino  e  non 
ancora  per  molte  faccende  civili  e  politiche.  Ci  sembra  poi  assolutamente  ingiusto  e  anche 
leggiero  il  rimproverare  al  Frate  d'aver  in  queste  prediche  richiesto  che  si  stabilissero  le 
pone  di  morte  per  chi  voleva  farsi  tiranno  o  rovinare  la  patria.  Oh!  che  doveva  far  decre- 
tare loro  un  premio  od  una  statua?!  od  astenersi  dal  consigliar  lo  leggi  che  potevano  es- 
sere la  salvezza  della  libertà  e  del  popolo?!!  Da  qualunque  lato  si  considerino  qui  le  accuse 
contro  il  Frate,  esse  appaiono  sempre  infondate  e  ingiuste  e  anche  leggiere! 

(2)  Qui  noteremo  una  cosa  sola  che  non  ci  vorrà  fatto  di  toccare  altrove,  e  che  non 
abbiamo  ancoi  toccato  di  sopra.  Il  Pontefice  dice  che  si  era  persuaso  che  il  Savonarola  nel- 
l' annunziare  il  futuro  avesse  errato  piuttosto  per  soverchia  semplicità,  che  per  animo  cat- 
tivo. È  il  giudizio  che  pronunciavano  gli  emuli  e  gli  avversari  del  Savonarola  quand'egli 


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de)  Papa  fatto  al  Frate  di  astenersi  da  ogni  sermone,  non  solo  pubblico,  ma  anche 
privato.  (')  E  da  vedere  che  cosa  facesse  questa  volta  il  Savonarola  e  come 

cominciò  a  predicare  le  sue  visioni,  e  ripeterono  poi,  segnatamente  i  gran  maestri,  prima  che 
gli  desser  doli'  astuto  e  del  malizioso,  come  fecero  dopo  la  calata  di  Carlo  Vili.  Il  Frate  ha 
risposto  ad  esso  molte  volte  e  risponderà  anche  più  forte  d'ora  innanzi  nelle  prediche 
sopra  Amos,  sopra  Ruth  e  Michea  e  sopra  1'  Esodo.  Alessandro  VI  avrebbe  già  potuto  leg- 
ger le  risposte  nel  Compendio  di  lliveìazioni.  Imperocché  ivi  dico  tante  cose  da  costringere 
il  Tentatore  a  confessare  d'esser  persuaso  ch'egli  non  peccava,  né  per  ignoranza,  nè  per 
sciocca  semplicità:  perchè  aveva  saputo  risolvergli  per  modo  le  obiezioni  che  gli  aveva 
fatte  da  dimostrare  ch'egli  non  s'era  mosso  leggermente  ad  annunciare  il  futuro....;  e 
comò  gli  aveva  risolto  le  obiezioni  fattegli,  cosi  capiva  il  Tentatore  che  avrebbe  risolto  quelle 
che  potrebbe  ancor  fargli  a  questo  rispetto.  Quindi  ritornava  all'accusa  di  malizia.  E  cosi 
fecero  veramente  i  contradittori.  Noi,  come  già  abbiamo  più  volte  ripetuto,  speriamo  che  la 
Chiesa  avrà  un  giorno  occasione  di  pronunciare  essa,  che  sola  è  competente,  come  sta  la 
cosa  intorno  allo  spirito  profetico  o  alle  predizioni  del  Frate;  e  alla  futura  decisione 
pienamente  ci  sottomettiamo  fin  d'  ora. 

(')  A  questo  punto  il  Pastor  dice  cose  che  ci  paiono  degne  di  nota.  Prima  di  tutto 
scrive:  «  Che  quell'uomo  esaltato  non  si  fosse  attesa  tanta  moderazione,  il  mostra  un  fatto 
il  quale  getta  una  luce  assai  sinistra  sul  carattere  di  lui.  In  tutta  segretezza,  per  mezzo  del- 
l'ambasciatore di  Ferrara,  aveva  egli  appicato  pratiche  con  quel  principe;  e  pel  caso  che  il 
Papa  non  gli  menasse  buona  la  sua  scusa  e  volesse  da  vantaggio  procedere  contro  di  lui, 
ne  aveva  invocato  l'aiuto  >  (pag.  351).  Prima  di  tutto  l'asserzione  che  il  Frate  non  si  aspet- 
tasse tanta  moderazione,  è  meramente  gratuita  e  contraria  alla  verità...  Il  Savonarola 
nella  sua  coscienza  dignitosa  e  pura  aveva  il  diritto  di  aspettarsi,  e  si  aspettava  intiera, 
specialmente  ancora  per  ragione  del  giudice  costituito  sopra  di  lui,  il  Beato  Sebastiano,  la 
moderazione  con  la  quale  Alessandro  VI  gli  rispose;  anzi  s'aspettava  anche  di  più,  come  ap- 
pare da  quanto  abbiamo  or  ora  detto,  e  come  giustamente  afferma  anche  il  Bayonne.  Ma 
assai  più  grave  di  quest'asserzione,  è  l'altra  cte  abbiam  letto  nel  Pastor,  che  qui  ha  nn  socio 
nell'accusa,  il  Grisar,  il  quale  nell'articolo  sopra  citato  scrive:  «  Si  sa  che  il  Savonarola,  tut- 
tora nell'incertezza,   se  il  Papa  avrebbe  condisceso  ai  passi  da  Ini  fatti  per  togliere  quel 
divieto  di  predicare,  si  rivolge  al  duca  di  Ferrara  per  averne  appoggio  nel  caso  si  continui 
a  perseguitarlo.  Non  ne  aveva  dunque  abbastanza  della  zelante  sollecitudine  con  cui  egli  a 
Firenze  cercava  di  convincere  il  popolo  che  la  scomunica  lanciata  contro  di  lui  non  era  va- 
lida? »  Lasciando  altre  riflessioni  che  potrebbero  farsi,  dico  che  quest'accusa  genera  un 
senso  di  pona  anche  per  la  forma,  non  seria  come  la  gravità  della  cosa  importerebbe.  Nel 
fatto  poi  essa  riesce  inesplicabile,  e  dimostra  che  gli  autori  non  hanno  letto  bene  la  fonte 
che  citano.  Dove  hanno  mai  trovato  questi  due  critici  che  il  Savonarola  si  rivolgesse  al 
duca  di  Ferrara  e  per  mezzo  del  suo  ambasciatore  appiccasse  segrete  pratiche  per  averne 
l'appoggio  nel  caso  si  volesse  da  vantaggio  perseguitarlo?!  Citano  l'uno  e  l'altro  il  doc.  92 
del  Cappelli,  (pag.  68-69)  che  è  un  dispaccio  del  Manfredi  de' 26  ottobre  1495.  Ma  questo  non 
dice  affatto  ciò  che  gli  fanno  dire.  Il  giorno  innanzi  il  duca  di  Ferrara  aveva  scritto  al  Man- 
fredi: <*  Egli  ci  è  stato  scritto  che  il  Pontefice  ha  inibito  a  Frate  Hieronymo  Savonarola  il 
predicare,  e  che  esso  Frate  Hieronymo  si  trova  in  qualche  pericolo.  E  perchè  noi  insino  qui 
non  avemmo  avviso  alcuno  da  voi,  ci  è  parso  di  significarvi  quanto  abbiamo  inteso,  e  avremo 
caro  che  subito  ne  avvisiate,  se  è  vero  quanto  abbiamo  detto  di  sopra  o  se  pure  la  è  una  cian- 
cia, per  modo  che  intendiamo  la  verità  ».Ora  il  sollecito  oratore  risponde  al  signor  suo,  scu- 
sandosi di  non  aver  prima  scritto  di  questa  cosa,  poi,  dopo  di  avergli  significato  che  il  Sa- 
vonarola credeva  di  aver  vinta  la  causa  e  che  si  imporrà  silenzio  a  tutto,  segue:  <  Mi  ha 
detto  sua  Reverenza  che,  quando  pur  la  cosa  fosse  ita  più  avanti  contro  lui,  e  che  il  Papa 
fosse  continuato  in  non  volerò  ammettere  le  giustificazioni  sue  come  buone  e  vere,  che  lo 
aveva  designato  di  ricercare  il  favore  e  l'aiuto  dell'Ea  Va  come  di  quella  nella  quale  con- 
fida molto  che  non  saria  mancato  di  prestarglielo  caldo  e  buono  nelle  cose  oneste,  come 
questa  sua,  presso  alla  Santità  del  Papa.  Ed  a  ciò  che  quella  sia  informata  delle  giustifica- 
zioni sue,  gli  è  parso  di  mandargli  la  copia  della  risposta  che  fece  a  nostro  Signore  sopra 
ciò,  la  quale  sarà  allegata  con  questa  mia  ». 

Ora  qui  dove  trovate  che  il  Savonarola  si  fosse  rivolto  per  aiuto  al  duca  di  Ferrara?! 
che  avesse  con  lui  per  mezzo  del  suo  ambasciatore  appiccato  pratiche  segrete?  Noto  anzitutto 


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si  governase  rispetto  all'ordine  pontificio.  Il  Pastor,  dopo  di  aver  detto  che  ii 
Governo  di  Firenze  per  ottenere  la  revoca  del  divieto  pontificio,  era  ricorso  in 
ispecie  al  Cardinale  Caraffa  protettore  dell'Ordine  di  San  Domenico,  segue: 
«  Questo  porporato,  così  annunziavano  le  relazioni  fiorentine  da  Roma,  in  un 
colloquio  ha  persuaso  il  papa  a  permettere  di  nuovo  la  predicazione  al  Savo- 
narola, ove  questi  si  tenga  sul  campo  religioso.  Che  un  tale  permesso  venisse 
dato  in  realtà,  non  l'osò  sostenere  !o  stesso  Savonarola.  Dal  contegno  della  Si- 
gnoria di  Firenze  resulta  chiaro,  che  non  fu  data  licenza  nè  anche  solo  vocale 
e  che  un  Breve  in  proposito  non  esisteva.  Infatti  il  giorno  11  febbraio  1496  la 
Signoria  fece  la  provvisione  di  intimare  al  Savonarola,  sotto  pena  d'incorrere 
il  suo  sdegno,  che  riprendesse  le  sue  prediche  nel  duomo.  Il  religioso,  il  quale 
aveva  avute  infinite  difficoltà  per  rispettare  gli  ordini  de'suoi  supremi  superiori  ec- 
clesiastici, corrispose  immantinente  all'ingiunzione  dell'autorità  civile  »  (p.  351). 

Il  Savonarola  adunque,  secondo  il  Pastor,  avrebbe,  risalendo  il  pulpito  il 
giorno  17  febbraio  14C6,  rotto  il  divieto  pontifìcio,  avrebbe  disobbedito....  E 
questo,  inteso  così  senza  attenuante,  è  cosa  già  assai  grave.  Ma  il  Grisar 
l' aggrava  anche  di  più,  imperocché  secondo  lui,  il  Frate  doveva  aver  sentito 
nell'  animo  la  forza  del  divieto  papale,  ma  ciò  nullameno  risalì  il  pergamo;  e 
allora  con  terribili  accenti  di  collera  inveiva  contro  il  Papa  al  solo  scopo  psi- 
cologico di  aumentare  il  proprio  ardire  e  acquietare  i  rimproveri  della  co- 
scienza.... E  noto  a  colui  che  legge  negli  animi  se  gli  riuscisse  facile  questa  vit- 
toria s'ull'  interna  lotta....  (/) 


ohe  qualora  lo  avesse  fatto,  il  carattere  di  lui  non  riceverebbe  per  questo  luce  sinistra.  Non  é 
forse  lecito  cercare  qualche  avvocato  perchè  ci  difenda  presso  un'autorità,  sia  pur  la  somma,  al- 
lorché per  opera  de' tristi  si  prendessero  misure  che  sentiamo  di  non  meritare?  Il  Savonarola 
insegna  che  anche  quando  il  Cielo  ci  dà  avviso  che  alcuna  cosa  deve  o  no  succedere,  pure 
vuole  che  si  tentino  i  debiti  mezzi  secondo  la  condizione  de'  tempi,  altrimenti  sarebbe  un 
tentare  Iddio.  Chi  può  dargli  torto? 

Inoltre  il  Pastor  suppone  che  per  predicare  il  Savonarola  avesse  proprio  bisogno  del 
permesso  del  Papa.  Ora  questo,  come  abbiamo  detto  nel  testo,  crediamo  che  non  sia  esatto. 
Per  predicare  al  Savonarola  non  occorreva  un  permesso  esplicito  dui  Papa,  il  quale,  e  vuol 
notarsi,  non  si  lagnò  mai  di  questa  predicazione,  sebbene  certo  ne  avesse  avuto  notizia  e 
avrebbe  potuto  già  condannarla  col  Breve  segnato  il  16  ottobre  e  giunto  in  Firenze  soltanto 
ai  26,  quando  già  il  Frate  aveva  fino  dagli  11  cominciato  a  ripredicare. 

Ma  non  abbiamo  finito.  11  Pastor,  nella  stessa  pagina  che  abbiamo  ora  citata,  fa  un'in- 
sinuazione gravissima.  Egli  scrive:  «  Di  sottomettersi  stabilmento  e  lealmente  egli,  il  Sa- 
vonarola, certo  non  pensava,  si  anzi  mise  in  opera  ogni  mezzo  onde  ottenere  la  revocazione 
del  divieto  di  predicare.  Il  governo  fiorentino  si  adoperava  instancabile  in  tutte  guise  nel- 
l'intento medesimo....  » 

Queste  proposizioni  importano,  come  presupposto  indiscutibile,  che  la  sentenza  pontificia 
fosBe  senz'altro  da  osservare  tacendo.  Ma  è  vero  questo  supposto?  Lo  vedromo  fra  non  molto. 
Ma  quali  argomenti  ha  il  Pastor  per  dimostrare  che  il  Savonarola  certo  non  pensava  di  sot- 
tomettersi stabilmente  e  lealmente  f  —  Il  mettere  in  opera,  ch'ei  foce  ogni  mezzo  per  ottenere  la 
revocazione  del  divieto  di  predicare...  l'adoperarsi  ohe  pur  fece,  il  governo  fiorentino  instan- 
cabile in  tutte  le  guise  nell'intento  medesimo...  —  Io  pur  contrario  ritengo  che  ciò  dimostra  che 
il  Savonarola  da  buon  cattolico  rispettava  il  divieto  pontificio,  sebbene  carpito  al  Papa  dai 
nemici  del  ben  comune  e  del  governo  di  Firenze,  e  che  in  ogni  oaso  non  voleva  assoluta- 
mente meritar  oensura  alcuna. 

(')  Se  volessimo  notare  le  inesattezze  in  cui  cade  il  Grisar  nel  passo  donde  abbiamo 
tolto  questo  giudizio,  dovi  emmo  dilungarci  troppo  più  ohe  il  lavoro  presente  non  domandi. 


—  487  — 


Così  il  Savonarola  avrebbe  non  pur  disobbedìto,  ma  si  sarebbe  anche 
guasta  la  coscienza,  e,  al  più  con  una  coscienza  fittizia  di  poterlo  fare,  avrebbe 
recitate  le  famose  prediche  sopra  Amos  e  Zaccaria  e  compiuti  non  pochi  altri 
atti  d'importanza  anche  maggiore!  Noi  credevamo,  per  il  molto  che  si  è  scritto 
a  questo  riguardo  dal  Villari,  dal  Guasti,  dal  Gherardi,  dal  Padre  Ferretti  e 
dal  cardinale  Gapecelatro  e  da  una  schiera  numerosissima  di  eletti  ingegni, 
i  quali  tutti  s'accordano  nel  ritenere  che  Fra  Girolamo  risalendo  il  giorno  17 
febbraio  1497  il  pergamo  di  Santa  Maria  del  Fiore  non  disobbedì,  credevamo 
che  la  questione  fosse  decisa.  Ma  per  contro  non  pare  ancora.  E  durano  anche 
fra  i  cattolici  i  critici  del  Savonarola  che  si  credono  in  diritto  e  in  dovere  di 
condannarlo  tuttavia.  Ripigliamo  adunque  la  questione. 

Giunto  in  Firenze  il  Breve  Pontificio  de'  16  ottobre,  il  Frate,  se  per  un  lato 
ne  fu  lieto,  perchè  il  Papa  riconosceva  per  buone  le  scuse  che  gli  aveva  scritto, 
per  altro  lato  doveva  certo  impensierirsi  per  la  ingiunzione  di  tacere  finché 
egli  potesse  comodamente  recarsi  in  Roma,  o  il  Pontefice  avesse  più  matura- 
tamente  deliberato  il  modo  che  egli  avesse  da  tenere  per  il  futuro. 

Quando  sarebbe  adunque  definita  la  cosa?  fino  a  quando  avrebbe  egli  do- 
vuto tacere?  e  in  questo  tempo  che  non  farebbero  i  nemici  suoi  e  di  Firenze? 
i  nemici  del  ben  vivere?  che  non  farebbero  i  principi  in  alleanza  cogli  Arrabbiati, 
radice  della  stessa  sentenza  pontificia?  E  i  buoni  che  avevano  ascoltato  la  potente 
voce  del  Frate,  mancando  la  parola  di  Dio,  starebbero  saldi  nella  buona  vita? 
E  la  libertà  popolare  non  ne  patirebbe  nulla  da  questa  punizione  del  suo  più 
forte  sostenitore?  Ed  è  tollerabile  questo  nero  delitto,  che  i  tristi  osino  così 
efficacemente  riempiere  l'animo  di  falsità  al  Vicario  di  Cristo  contro  a  chi  non 
fa  altro  che  predicar  la  verità  della  fede  cattolica,  la  semplicità  della  vita  cri- 


Ci  sembra  troppa  la  confusione  che  vi  si  fa  de'  Brevi  pontificj  e  delle  predicazioni  dell'illu- 
stre Domenicano!  Di  più  ci  sembra  di  leggervi  troppe  frasi  a  sensazione,  e  che  esse  anti- 
cipino e  preoccupino  di  troppo  il  giudizio  del  lettore.  Noi  crediamo  che  questo  metodo  non 
sia  retto  né  anche  quando  si  ha  per  le  mani  la  più  chiara  causa,  e  si  è  animati  dalle  mi- 
gliori intenzioni,  e  mossi  dai  migliori  fini  del  mondo.  Nella  storia  bisogna  prima  esporre 
integralmente  i  fatti  e  provarli  ;  poi,  se  si  vuole,  si  potrà,  sebbene  non  sia  sempre  neces- 
sario, dire  anche  una  parola  all' affetto.  Ma  parlar  prima  al  cuore  che  alla  mente,  l'adoperar 
frasi  che  fanno  senso,  senza  aver  illuminato  l'intelletto,  non  ci  pare  conforme  al  grave  uf- 
ficio di  storico  e  di  critico,  ma  piuttosto  da  retore,  che  sostiene  una  causa  infelice.  Ora,  se 
il  Grisar  avesse  avuto  la  cura  di  precisare  i  fatti  e  provarne  la  verità  prima  di  sentenziare, 
come  avrebbe  potuto  scrivere  oltre  alle  proposizioni  da  noi  citato  nel  testo,  le  proposizioni 
seguenti?  «  ....  Risalì  (il  Savonarola)  il  pulpito  il  17  febbraio  1496.  Allora  sfuggirono  dalla 
sua  bocca  i  già  noti  e  terribili  accenti  di  collera  contro  il  Papa  Alessandro  VI,  cosi  egli 
diceva,  non  è  un  Pastore  e  non  rappresenta  la  Chiesa  Romana;  ed  egli  stesso  obbediva  a 
Dio  e  non  agli  uomini...  » 

A  chi  son  noti  questi,  davvero  terribili  accenti?!  E  chi  ha  detto  al  Grisar  che  essi 
sfuggissero  di  bocca  al  Savonarola  dal  pulpito  nella  quaresima  del  1496?!  Io  nelle  quarantotto 
prediche  sopra  Amos  e  Zaccaria  non  ricordo  d'averli  trovati  mai.  Se  il  Grisar  me  li  provasse 
veri  nel  fatto,  condannerei  anch'  io  inesorabilmente  il  Frate  di  San  Marco.  Ma  come  si  fa  a 
dimostrarli  veri?  L'unica  via  sarebbe  quella  di  ripetere  le  calunnie  del  Somenzi.  (Del  Lungo, 
docum.  Ili);  o  delle  famose  lettere  ai  principi;  ripeter  queste  calunnie,  e  unirle  insieme 
senza  aver  nemmeno  riguardo  al  tempo  in  cui  furono  inventate.  Ma  il  Grisar  sa  benissimo 
che  le  calunnie  non  sono  prove  in  nessuna  guisa,  ma  son  delitti. 


I 


—  488  — 


stiana,  la  rinnovazione  della  Chiesa  cui  Dio  gì'  inspira,  e  tutti  i  buoni  deside- 
rano e  invocano  '?  contro  chi  predica  incessantemente  per  lo  Stato  la  santità 
delle  leggi  informate  alla  filosofia  del  Vangelo?  ! 

Questa  e  più  altre  questioni  dovevano  allora  agitare  assai  forte  1'  animo 
del  Frate;  e  poiché  si  sapeva  che  la  sentenza,  non  dico  nel  Pontefice,  ma  nei 
tristi  che  l'avevano  fatta  emettere,  non  mirava  tanto  a  colpire  il  Frate  quanto 
la  Repubblica  di  Firenze,  quella  impensieriva  il  governo  non  meno  del  Savo- 
narola. Con  tutto  ciò  egli  si  sottomise  e  tacque.  E  fece  bene,  e  fu  prudente;  im- 
perocché, per  quanto  imperiose  queste  questioni,  non  doveva  semplicemente 
farsene  giudice  egli  stesso,  dacché  il  pericolo  della  patria  pareva  scongiurato, 
e  nulla  avrebbe  giustificato  la  sua  immediata  ribellione.  Tacque  adunque,  ma, 
come  era  suo  obbligo,  se  non  voleva  esser  complice  o  almeno  assenziente  e 
consenziente  nel  grave  delitto,  si  adoperò  con  tutte  le  forze  affine  di  ottener  la 
revoca  dell'  inibizione. 

Il  Savonarola,  com'  è  noto  ad  ognuno,  aveva  in  costume  di  predicare  ogni 
festa  innanzi  l'Avvento,  e  spesso  anche  nell'Avvento  medesimo;  né  lasciava 
mai  passare  il  Carnevale  senza  raccogliere  i  Fiorentini  ad  ascoltare  la  parola 
di  Dio  ;  ma  come  egli  tacque  dopo  la  venuta  dell'ultimo  Breve  Pontificio,  così, 
non  essendosi  ottenuta  la  desiderata  licenza,  tacque  anche  le  feste  e  l'  Av- 
vento e  il  Carnevale,  né  la  Signoria  gli  comandò  punto  di  predicare.  Anzi  era  così 
fermo  nel  non  risalire  il  pulpito  senza  licenza,  che,  essendogli  chiesto  dal  priore 
del  convento  di  Prato  per  la  Quaresima  del  1496  Fra  Domenico  da  Pescia,  egli 
rispondeva  che  pregassero  affinchè  s' impetrasse  dal  Sommo  Pontefice  per  lui 
licenza  di  predicare,  chè  allora  avrebbe  mandato  colà  Fra  Domenico;  altrimenti 
no;  imperocché  avrebbe  questi  predicato  in  Firenze.  (4)  E  questa  lettera  ha  la 
data  del  giorno  della  Purificazione  di  Maria  Vergine,  cioè  fu  scritta  meno  di  due 
settimane  prima  che  il  Savonarola  risalisse  il  pulpito;  in  questo  tempo  adun- 
que egli  era  sempre  fermo  a  non  predicare  se  il  Papa  non  glie  ne  dava  licenza, 
né  si  ha  notizia  che  la  Signoria  pensasse  punto  di  imporglielo.  Avvenimenti 
straordinarj  da  giustificare  il  cambiamento  di  proposito  non  ve  ne  sono.  —  Che 
dobbiamo  adunque  dire?  —  Che  le  preghiere  de'  buoni  e  le  pratiche  della  Si- 
gnoria ottennero  il  buon  effetto  desiderato,  e  nient'  altro.  —  Vi  sono  prove  di 
ciò?  Ve  ne  sono  tante  da  togliere  ogni  dubbio  ragionevole  a  chi  le  vuol  sentire. 

(')  Merita  di  esser  conosciuta  questa  lettera  la  quale  dimostra  quanto  il  Frate  pre- 
gasso c  facesse  pregare  per  questa  causa  nella  speranza  di  ottenerla  per  le  buone  pre- 
ghiere: c  Si  impetrabitur  licentia  praedicandi  prò  me  a  Summo  Pontifica,  dabo  vobis  in 
predicatorem  Fratrem  Dominicum  de  Pisoia.  Excitate  ergo  Fratres  et  alios  devotos  ad 
orandum  prò  hac  eausa,  quia  res  habet  difficultatera  ;  et  si  non  impetrabitur,  nescio  qualiter 
vobis  possim  sufficienter  providere  de  praedicatore.  Ordinabo  bio  ut  Fratres  post  otfìoium 
in  mane  cantent  —  Alma  Redomptoris  Matereto.  ;  —  post  vesperas  et  post  oompletorium  con- 
suetas  orationes  videlicet  :  —  Ave  Regina  —  et  Recordare.  —  Faciant  etiàm  dicere  post  oom- 
pletorium septem  psalmos  prò  hac  causa.  Ita  ergo  et  vos  facite,  si  vultis  habere  praedicato- 
rem  talem.  Credo  quod  si  (ervonter  oravorimus,  impctrabiinus  a  Domino  gratias  et  iiet 
magnum  (sic)  animai  uni  fructus  ».  Abbiamo  trascritto  direttamente  questa  lettera  dal  ms. 
n°  2058  della  Ricoardiana  a  c.  27,  tergo.  È  stampata  anche  dal  Villari,  voi.  I,  p.  cxiv. 


—  489  — 


Questo  fatto  «  ben  conosciuto  dai  contemporanei  »,  come  nota  il  Padre  Fer- 
retti (4),  è  attestato  da  molti  biografi  del  Frate. 

L' Aquarorie,  per  citarne  uno,  narrate  le  pratiche  a  tale  scopo,  dice:  «  11 
Pontefice  non  poteva,  ostinandosi,  diniegare  più  a  lungo  la  permissione  del 
predicare  al  Fiate,  richiedendonelo  la  stessa  Signoria  di  Firenze.  Accondiscese 
pertanto;  e  Fra  Hieronjmo  riprese  la  predicazione.  (Lib.  II.,  pag.  355.)  (*,) 

Ma  lasciando  le  autorità,  noi  crediamo  che  bastino  a  provar  1'  esistenza 
della  permissione  i  Nuovi  Documenti  intorno  al  Frate;  e  non  sappiamo  come 
abbian  potuto  dubitarne  il  Perrens  e  il  Cosci.  Il  Somenzi  da  Firenze,  prima  che 
il  Savonarola  risalisse  in  pulpito,  con  la  data  de'  16  febbraio,  scriveva  al  Moro: 
«  Il  Frate  ha  pubblicato  volere  predicare  tutta  questa  quadragesima,  perchè 
dice  avere  avuto  licenza  del  Sommo  Pontefice  ».  (Del  Lungo,  doc.  V.) 

Ora,  se  la  licenza  non  fosse  venula,  chi  spiegherebbe  tanta  audacia?  Non 
sarebbe  essa  cosa  sciocca  assai?  non  avrebbe  finito  per  far  passare  il  Frate 
per  menzognero?  E  non  sarebbe  sorto  proprio  nessuno,  nè  a  Roma,  nè  a  Fi- 
renze a  contestare  la  verità  di  tanta  impudenza?  (3) 

Ma  vi  sono  altre  prove:  L'Oratore  della  Repubblica  Fiorentina  presso  il 
Papa,  Ricciardo  Becchi,  scriveva  a'  dieci  di  Balia,  a  dì  3  marzo,  informandoli  di 
un  colloquio  ch'egli  aveva  avuto  col  cardinal  di  Perugia,  (*)  e  diceva  che  questi 
«  infine  si  dolse  assai  che  contra  alla  volontà  e  proibizione  del  Papa,  Fra  Giro- 
lamo predicasse;  e  che  voi  non  facciate  bene  a  permetterglielo  e  conceder- 
glielo; e  che  pure  sentendo  il  Papa  seguitasse,  ne  farebbe  dimostrazione...:  ma 
che  nelle  altre  cose  vostre  s' ingegnerebbe  disporre  la  Santità  di  N.  S....  »  Ri- 
ferito ciò,  il  buon  Oratore  seguita  mesto  mesto  sì  che  appare  quanto  gli  sia 
grande  dolore  che  torni  vana  per  le  mene  de' nemici  l'opera  sua  presso  Ales- 


(')  n  Rosario  —  Memorie  Domenicane.  —  Anno  XIII,  fase.  4,  pag.  98. 

(J)  Anche  il  Cosci  riconosce  che  gli  storici  sono  d'accordo  nell' affermare  che  il  Papa 
restituì  al  Savonarola  la  facoltà  di  predicare.  Pag.  430,  Archivio  Storico  Italiano.  Quarta 
serie,  tom.  IV. 

C)  So  bene  che  alcuni  citano  la  lettera  che  il  Tranchedino  scriveva  da  Bologna  al  Moro 
stesso,  con  la  data  de' 20  febbraio.  (Del  Lungo,  doc.  VI);  ma  che  dice  essa?  Ecco:  «  Ho  comu- 
nicato con  i  magnifici  messer  Giovanni  e  messer  Antonio  Vinciguerra  le  lettere  della  presente 
cavalcata  da  Firenze,  quali  si  hanno  riso  non  poco  dell'opera  e  versuzia  di  frate  Girolamo  in 
sapere  accattar  grazia  appresso  di  quel  popolo  fiorentino.  Accerto  ben  la  Eccellenza  Vostra 
che  non  è  vero  che  l'abbia  avuta  licenza  dal  Pontefice  di  poter  predicare,  come  pare  l'abbia 
avuto  a  dire;  ma  se  la  toglie  da  sè,  dove  li  è  permesso  che  non  li  sia  devetata...  »  Qui  sor- 
gono spontanee  alcune  dimando?  Onde  attingeva  quest'oratore  a  Bologna  la  certezza  che 
voleva  trasmettere  nel  Moro?  Perchè  non  un  cenno  di  questa  fonte,  e  dei  motivi  di  quella? 
E  le  parole:  dove  li  è  permesso  che  non  li  sia  devetata...  che  vogliono  dire?  Esse  o  non  hanno 
senso  o  valgono  appunto  a  confermare  che  la  licenza  era  venuta  nella  forma  che  sosteniamo, 
cioè  che  il  Pontefice  l'aveva  data  vivae  vocis  oraculo,  con  promessa,  che  il  Breve  relativo  si 
spedirebbe  poi;  e  il  cardinal  Caraffa  e  il  Becchi  l'avevano  con  loro  lettere  cosi  trasmessa 
alla  Signoria  di  Firenze.  Quindi  là  stesso  dove  l'astuto  e  maligno  nemico  del  Frate  vuole 
negargli  la  licenza,  gliela  testimonia.  In  vero  che  ad  ogni  modo  quest'asserzione  non  vale 
a  distrugger  le  altre  che  asseverano  la  cosa,  ma  piuttosto  a  confermarle. 

(■•)  V.  Gherardi,  pag.  134-135.  «  Giovanni  Lopez,  nativo  di  Valenza  in  Spagna,  datario 
di  Alessandro  VI,  eletto  vescovo  di  Perugia  il  29  dicembre  1492,  fatto  Cardinale  dallo  stesso 
Pontefice,  col  titolo  di  S.  Maria  in  Trastevere.  Nel  1498  passò  a  reggere  la  chiesa  di  Capua  ». 
Così  il  Padre  V.  Marchese,  Archivio  Storico,  Appendice,  voi.  VIII,  pag.  148. 


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Sandro  VI,  e  dice,  che  «  Dio  gli  era  testimonio  di  quello  ch'egli  aveva  fatto 
per  ottenere  dal  Papa  questa  grazia  di  Fra  Girolamo  per  soddisfare  alla  Si- 
gnoria che  glielo  comandava,  per  soddisfazione  e  devozione  del  popolo,  e  per 
fare  il  suo  debito  e  per  altri  rispetti....  »  E  soggiunge:  «  Dissi  al  Cardinale  di  Pe- 
rugia che  Fra  Girolamo  predicava  per  la  relazione  del  cardinale  di  Napoli  e  mia, 
avevamo  fatto  costì,  della  promissione  del  Papa,  (*)  e  che,  avendo  cominciato, 
sarebbe  gran  disturbo  e  ammirazione  al  popolo  avesse  a  lasciare,  e  provvedersi 
d'un  altro:  che  assai  gli  satisfè  e  che  ne  direbbe  col  Papa.  Ed  imposemi  eziandio 
ne  scrivessi  a  V.  S.  ed  esortassi  quelle  a  non  lasciare  scorrere  più  le  cose  ».  (*) 
Ora  qui  abbiamo  un  Cardinale  che  quasi  scandalizzato  si  duole  che  il 
Frate  predichi  e  la  Signoria  glielo  permetta  contro  il  divieto  e  la  volontà 
del  Papa,  e  che  protesta,  ove  si  seguiti,  dimostrazioni  e  minacce;  ma  l'Ora- 
tore, che  è  da  tutti  ritenuto  per  uomo  onestissimo,  gli  asserisce  non  esser  vero 
quanto  Sua  Eminenza  suppone;  ed  afferma  in  contrario  che  il  Frate  predica 
con  la  permissione  del  Papa  e  dietro  relazione  del  cardinal  di  Napoli  e  sua. 
Chi  potrebbe  anche  qui  spiegare  un'audacia  simile,  se  la  relazione  non  si  fosse 
mandata,  ed  essa  non  avesse  contenuta  la  desiderata  permissione  ?  Ma  v'  ha 
anche  di  più:  il  Cardinale  alle  ragioni  dell'Oratore  resta  soddisfatto  e  cono- 
scendo certamente  le  brighe  contro  il  Savonarola,  esorta  quello  a  scrivere 
alla  Signoria  di  rion  lasciar  correre  più  le  cose,  prevedendo  senza  dubbio  che 
in  caso  contrario  i  calunniatori  le  porterebbero  a  tal  punto  che  non  si  potreb- 
bero più  districare,  e  promette  che  ne  direbbe  egli  stesso  al  Papa. — Ne  disse?  — 
Sì  certo.  Difatti,  con  la  data  del  giorno  11,  e  poi  de' 20  marzo,  (3)  l'Oratore  ri- 
ferisce altri  colloquj  avuti  col  medesimo  Cardinale  intorno  a  Fra  Girolamo,  ma 
ivi,  sebbene  il  Cardinale  continui  a  consigliare  l'oratore  a  persuadere  la  Signoria 
a  staccarsi  dalla  Lega,  e  affermi  che  non  è  possibile  trarre  dall'animo  del  Pon- 
tefice le  false  suggestioni,  fattegli  dagl'invidi  e  detrattori  contro  a  Fra  Girolamo, 
non  appare  più  nè  poco  nè  punto  che  il  Frate,  abbia  cominciato  a  predicare, 
o  predichi  contro  \&  proibizione  del  Papa.  Non  è  adunque  assolutamente  strano 
il  pensare  che  questo  Cardinale  compiesse  la  promessa  fatta  il  giorno  3  marzo, 
e  parlasse  ad  Alessandro  VI  del  Savonarola,  e  gli  dicesse  davvero,  come  il 
Frate  credeva  di  essere  in  regola  predicando,  e  che  il  Pontefice  non  negasse 
punto  ciò  che  non  poteva  negare.  Sta  il  fatto  che  il  cardinal  di  Perugia  non 
ripetè  più  all'Oratore  il  rimprovero  che  prima  lo  scandalizzava:  dunque  si 
dovè  confermare  nella  persuasione  che  la  facoltà  di  predicare  fosse  davvero 
stata  concessa. 


(')  Questa  promissione  si  riferisce  ad  una  revoca  formalo  e  in  iscritto  che  non  fu  mai 
fatta,  ma  include  al  temiio  stesso  una  licenza  a  voce.  Il  Papa  aveva  dato  licenza  a  viva 
voce  che  il  Frate  predicasse,  e  promesso  che  poi  spedirebbe  il  Breve  relativo.  Alt  rimenti  come 
poteva  il  Becchi  credere  abbastanza  giustificato  il  Savonarola  se  predicava  dopo  una  sem- 
plice promessa,  mentre  si  sa  che  egli  stesso  era  risoluto  di  non  risalire  il  pergamo  senza 
licenza? 

(*)  Gherardi,  pag.  184-135. 

(3)  Gherardi,  pag.  136. 


I 


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E  nella  consulta  de'  10  marzo  troviamo  un  altro  principio  di  prova  che 
davvero  il  cardinale  Caraffa  aveva  scritto  che  il  Pontefice  lascerebbe  predi- 
care, e  che  non  negherebbe  la  licenza  domandata.  Infatti  vi  si  leggono  le  se- 
guenti parole:  «  Del  caso  di  Fra  Girolamo,  s'  egli  ha  predicato  è  per  la  gran 
fede  che  ha  nella  Santità  Sua  e  massime  per  le  lettere  del  Cardinale  Neapo- 
litano....,  e  non  per  voler  venire  contro  la  volontà  di  Sua  Santità  ».  (')  In  vero, 
o  queste  parole  sono  sciocche,  o  il  permesso  che  si  lasciasse  predicare,  il 
Papa  l'aveva  dato  e  il  Cardinale  trasmesso. 

Nè  meno  decisiva,  anzi  più,  di  queste  attestazioni  che  si  leggono  ne'Docu- 
menti  pubblicati  dal  Gherardi  (pag.  J  34-136),  ci  par  quella  che  si  raccoglie  dal 
documento  III  de' pubblicati  dal  Marchese.  E  una  lettera  di  monsignore  Nicolò 
Pandolfini  a'  Dieci  di  Libertà  e  di  Balìa,  in  cui  narra  di  un  colloquio  avuto  con 
Alessandro  VI,  intorno  al  Savonarola  e  alla  condizione  della  Repubblica,  con 
la  data  de' 23  marzo.  Anche  qui  si  lagna  Alessandro  VI  che  la  Repubblica 
di  Firenze  sopporti  che,  contro  la  sua  volontà,  Fra  Girolamo  predichi,  e  di  più 
altre  cose  rispetto  alla  Francia  ed  alla  Lega.  Pandolfini  gli  risponde  quanto 
al  resto,  e  poi  «  di  Fra  Girolamo  »,  gli  dice,  «  avere  inteso  essergli  stata  ini- 
bita la  predica  da  Sua  Beatitudine,  e  poi  permessa  per  relazione  d'  un  Cardi- 
nale: e  che  per  questo  non  credevano  essere  ribelli  della  Sua  Santità,  e  mas- 
sime che  delle  prediche  sue  non  s'intendeva  che  bene  ».  E  segue:  «  A  che 
Sua  Santità  rispose:  —  Ben,  di  Fra  Hyeronimo  non  parliamo  al  presente:  tempo 
verrà  che  ne  parleremo  meglio:  di  queste  altre  cose  voi  non  dite  che  parole, 
e  nulla  si  trae  da  voi:  ma  volete  stare  a  vedere,  e  tenere  il  piè  in  due  staffe  ». 

Ora  è  possibile  dare  a  questo  passo  un'interpretazione  che  non  significhi 
che  il  Papa  non  negava,  ma  lasciava  credere  che  il  permesso  l'aveva  dato  in 
realtà?  Lo  ha  tentato  il  Cosci,  ma  ci  pare  senza  effetto.  No,  il  Papa  non  ri- 
spose qui  come  uomo  che  vuol  mutar  discorso,  ma  anzi  stette  nel  discorso 
molto  saldo,  e  concedendo  quanto  non  poteva  negare,  ribattè  il  resto  con 
molta  forza.  Si  legga  bene  tutto  il  documento  e  si  vedrà  che  il  Papa  per  ciò 
che  riguarda  il  Savonarola  rimase  soddisfatto  o  almeno  convinto;  mentre  per 
il  resto  disse  senza  un  pelo  sulla  lingua:  «  Di  quest'altre  cose  voi  non  dite  che 
parole  ».  0  perchè  tener  questo  modo  di  rispondere,  se  anche  del  Frate  non 
si  dicevano  che  parole?  Non  era  molto  più  spiccio  il  dir  senz'altro:  Voi  non 
dite  che  parole  !  senz'altra  distinzione?  Imperocché,  notiamolo  bene,  in  tutti  questi 
discorsi  il  Papa  si  lagna  non  già  di  Fra  Girolamo,  come  tale,  o  perchè  predichi, 
ma  della  Signoria  che  lo  lascia  predicare  e  gli  permette  di  vilipendere  i  Cardinali 
e  Lui  che  siede  sopra  il  trono  di  Pietro.  Dunque  se  avesse  potuto  negare  d'aver 
data  la  licenza  che  gli  s'affermava,  sarebbe  davvero  stato  un  argomento  di  più 
per  dire  che  i  Fiorentini  non  camminavano  retti;  e  il  Pontefice  se  ne  sarebbe 
certamente  servito,  tanto  più  che,  così  facendo,  sarebbe  riuscito  grato  alla 
Lega,  la  quale  era  veramente  quella  non  voleva  che  il  Frate  predicasse.  Qui 
ci  vuol  poco  a  vedere  che  non  si  troverebbe  nessuna  risposta  soddisfacente  da 


(')  V.  Gherardi,  pag.  136. 


—  492  — 


dare  a  chi  ci  domandasse,  perchè  mai  e  per  quale  utile,  quando  la  facoltà  non 
fosse  stala  riconcessa,  il  Pontefice  lasciava  credere  ciò  che  non  era  e  lo  lasciava 
credere  non  solo  a  monsignor  Pandolfini,  ma  a  tutti  coloro  che  gli  parlavan 

della  cosa. 

Ma  si  obietta:  «  Se  il  Savonarola  fosse  stato  ben  sicuro  del  fatto  suo,  cioè 
di  risalire  sul  pergamo  col  consenso  del  Papa,  egli  poteva  cominciare  il  suo 
quaresimale  del  1496,  quando  il  17  di  febbraio  comparve  di  nuovo  dinanzi  al 
popolo  fiorentino,  che  lo  aspettava  accalcato  in  Santa  Maria  del  Fiore  pieno  di 
un'aspettazione  convulsa,  col  dichiarar  francamente,  che  il  Papa  gli  aveva  re- 
stituita la  facoltà  di  esporre  il  verbo  divino.  Al  contrario  non  solo  egli  non  fece 
una  dichiarazione  tanto  semplice,  e  che  avrebbe  troncate  tutte  le  dicerie,  ma, 
dopo  avere  scolaslicizzalo  un  pezzo  sui  fini  e  i  modi  della  creazione,  si  faceva 
a  dichiarare,  che  egli  ritornava  —  in  campo  —  per  congregare  intorno  a  sè  i 
buoni  e  per  assicurarli  che  non  era  venuta  nessuna  scomunica  e  che,  quando 
la  fosse  venuta,  —  non  varrebbe  nulla  —  come  aveva  ripetuto  altre  volle»  (£) 
La  risposta  è  pronta:  Questa  dichiarazione  non  occorreva.  Il  Savonarola  non 
aveva  aspettato  a  far  sapere  che  predicava  con  la  licenza  quand'egli  già  era 
sul  pulpito;  ma  lo  aveva  fatto  pubblicare  già  prima,  come  si  raccoglie  dal  do- 
cumento V  pubblicato  dal  Del  Lungo:  (2)  e  cosi  doveva  fare,  e  non  altrimenti, 
imperocché  l'invitare  a  predica  il  popolo,  il  quale  sapeva  che  questa  era  stata 
vietata,  senza  dimostrargli  prima  che  il  divieto  non  valeva  e  senza  persuaderlo 
prima  che  già  il  divieto  era  revocato,  sarebbe  già  slato  almeno  un  disporlo  e 
un  incitarlo  a  trapassare  gli  ordini  pontificj.  In  Chiesa,  a  sentire  il  Savonarola, 
quando  fossero  stati  prima  certi  che  il  predicare  gli  era  inibito  e  non  assicu- 
rati poi  che  gli  era  venuta  nuova  facoltà,  o  che  la  inibizione  era  nulla,  da 
buoni  cristiani  non  dovevano  andare:  anche  non  condannandoli  rigorosamente 
i  canoni,  poteva  essere  un  vero  caso  di  scandalo.  Il  Savonarola  adunque  avvertì 
prima  il  popolo  che  la  sospensione  era  tolta;  e  come  dice  il  Somenzi  pubblicò 
che  avrebbe  predicato  tutta  la  quaresima,  perche  aveva  avuto  licenza  del  Sommo 
Pontefice.  Fatta  tale  dichiarazione  al  popolo,  che  bisogno  v'era  che  nella  prima 
predica  dichiarasse  francamente  che  il  Papa  gli  aveva  restituita  quella  facoltà  ? 

Ma  è  poi  proprio  vero  che  il  Frate  nella  prima  predica,  e  anche  nelle  altre, 
non  accennasse  in  modo  che,  chi  ne  avesse  avuto  bisogno,  capisse  com'erano 
passate  le  cose?  A  noi  parrebbe  di  no,  ma  che  invece  nelle  prediche  di  questo 
quaresimale  vi  sia  argomento  da  avvalorare  la  voce  dell'ottenuta  licenza.  «  —  Che 
vuol  dire,  Frate,  che  tu  sei  stato  tanto  a  riposare,  e  non  sei  venuto  in  campo 
ad  aiutare  i  tuoi  soldati?  —  Figliuoli  miei,  io  non  mi  sono  stato  a  riposare, 

(')  Cosci,  pag.  431;  Pastor,  pag.  ;i51  ;  Grisar,  art.  citato. 

(2)  Il  Cosci  a  pag.  482  nota  che  questi  documenti  confermerebbero  che  il  Savonarola 
non  riebbe  da  Roma  la  faooltà  di  predicare.  Noi  crediamo  sia  vero  l'opposto.  Molto  più 
nel  vero  del  Cosci  trovavasi  il  Del  Lungo  quando  scriveva  (pagina  6)  «  elio  in  queste  lettere 
milanesi  si  può  seguire  la  tenebrosa  e  vile  opera  de'  congiurati  contro  le  libertà  italiane  ; 
piacerà  trarne  luce  a  spiegare  la  dolorosa  fine  d'un  uomo,  de' cui  nobili  intendimenti  pos- 
sono forse  anch'oggi  giovarsi,  e  forse  oggi  più  ne  abbisognano,  l'Italia  e  la  Chiesa  ». 


—  493  — 


anzi  io  vengo  di  campo,  e  sono  stalo  a  difendere  una  ròcca,  che  se  la  fosse  an- 
data per  terra,  forse  che  anche  voi  eravate  rotti;  ma  ora  per  grazia  di  Dio,  me- 
diante le  vostre  orazioni,  l'abbiamo  salvata  ».  Ora  che  è  questo  campo  e  questa 
difesa  da  cui  torna  il  Frate,  se  non  l'adoperarsi  di  lui  e  de' suoi  per  la  revoca 
della  proibizione?  che  è  la  ròcca  se  non  il  Frate  e  la  predica,  mancando  la 
quale  il  popolo  si  dissiperebbe?  E  il  dir  salva  questa  ròcca,  l'essere  questa 
ròcca  salva,  che  può  essere  altro  se  non  la  concessione,  ottenuta  per  le  pre- 
ghiere dei  frati  e  del  popolo?  —  E  nella  predica  XXXV  della  stessa  quare- 
sima, per  istruire  i  buoni  contro  ai  tiepidi,  che  andavano  dicendo  ogni  male, 
e  che  egli  era  scomunicato,  e  che  non  si  doveva  andare  alla  predica,  diceva: 
«  Rispondiamo,  prima,  che  non  ci  è  nulla  di  scomuniche,  che  dicono. . .  .,  e  tu 
che  dici  che  chi  viene  alla  predica  è  scomunicato,  non  hai  studiato  bene:  vai, 
leggi,  lo  rispondo  per  voi  audienti.  Prima  dico  che  non  ci  è  nulla  di  scomunica; 
secondo,  quando  io  pur  fossi  scomunicato  non  s'intende  che  sia  scomunicato 
chi  va  alla  predica,  se  non  è  denunziato  prima  colui  che  è  scomunicato.  Va', 
leggi  nel  Concilio  di  Costanza  di  Papa  Martino,  dove  e' dice,  che  se  uno  è  sco- 
municato, e  non  sia  denunciato,  che  ognuno  può  stare  con  lui,  eccetto  s'egli 
avesse  battutto  il  clero  manifestamente  ».E  ancora  nella  predica  ultima,  avendo 
detto  che  «  è  dannato  chi  non  obbedirà  alla  Santa  Romana  Chiesa  »,  si  fa  obiet- 
tare :  «  Tu  dirai:  —  Oh  !  come!  Frate,  tu  hai  predicato  contro  al  comandamento 
del  Papa!  »  e  risponde:  «  Io  ti  dico,  che  non  ho  comandamento  nessuno  ».  (*) 

Ma  come  si  spiega  adunque  che  «  appena  si  seppe  a  Roma  che  il  Savona- 
rola aveva  ricominciato  a  predicare,  fu  un  gridare  allo  scandalo  e  dal  Papa  e 
da  tutta  la  Coi  te  Pontificia  contro  la  Repubblica  Fiorentina  che  aveva  permesso 
tanto  al  Frate?  »  (*) 

Ecco  un'altra  inesattezza.  Dove  si  raccoglie  che,  appena  si  seppe  a  Roma 
che  il  Savonarola  aveva  ricomincialo  a  predicare,  il  Papa  e  tutta  la  Corte  Ponti- 
ficia gridassero  allo  scandalo?  I  Nuovi  Documenti  ne  fanno  invece  conoscere  che 
il  Frate  potè  cominciare  e  seguire  a  predicare  un  paio  di  settimane  senza  che 
nessuno  nella  Corte  Pontificia  se  ne  chiamasse  scontento;  infatti  il  documento, 
nel  quale  appaiono  le  prime  disapprovazioni,  porta  la  data  de'  3  marzo.  Dunque 
il  Savonarola  avendo  cominciato  a  predicare  il  1 7  febbraio,  aveva  già  fatto 
14  prediche  senza  che  nessuno  pensasse  a  scandalizzarsi.  Di  più,  noi  non  tro- 
viamo che  il  Papa  si  lagnasse  dell'aver  il  Frate  trasgredito  il  comando  dei  16  ot- 
tobre e  ricominciato  a  predicare,  nè  dell'aver  ciò  permesso  la  Signoria;  ma 
solo  che  questa  lo  lasciasse  continuare,  mentre,  contro  alle  assicurazioni  che 
gli  aveva  dato  il  cardinal  di  Napoli,  quegli  osava  dir  male  di  Sua  Santità  e  della 
Corte  Romana  e,  occupandosi  di  politica,  tenea  i  Fiorentini  saldi  alla  parte 
francese,  e  non  lasciava  loro  pigliar  le  deliberazioni  che  altrimenti  avrebber 
prese  accostandosi  alla  Lega  e  mostrandosi  veri  italiani.  (3) 

(  )  Cfr.  anche  il  passo  citato  sopra  n  p.  433,  tratto  dalla  predica  XXVII,  sopra  Amos. 

(2)  Cosci,  pa<?.  430. 

(3)  Non  ricordo  d'aver  letto  un  documento  dal  quale  si  rilevi  in  modo  indubbio  che  il 
Pontefice  abbia  disapprovato  semplicemente  il  fatto  stesso  del  predicare  del  1496;  ma  per 


-  494  — 


Dal  complesso  de'  Nuovi  Documenti  è  facile  raccogliere  che  Alessandro  VI 
aveva  conceduto,  sia  pure,  se  vi  piace,  a  mezza  voce  e  per  le  continue  insi- 
stenze della  Signoria  e  del  cardinale  di  Napoli,  che  il  Savonarola  predicasse 
e  di  revocare  il  Breve  de'  16  ottobre  con  un  nuovo  Breve,  dietro  promessa  e 
condizione  che  il  Frate  non  dicesse  male  di  Sua  Santità,  e  non  s'  impacciasse 
delle  cose  di  Roma  nè  della  Lega.  (')  Questo  anzi  ci  pare  detto  in  modo  espli- 
cito nella  lettera  che  il  Becchi  scriveva  a' Dieci  con  la  data  de'  18  marzo,  nella 
quale  si 'leggono  queste  testuali  parole:  «  Sua  Beatitudine  molto  si  duole  di  Fra 
Jeronimo,  per  intendere  quel  dice;  e  che  da  Monsignore  Reverendissimo  di  Na- 
poli e  molti  altri  gli  era  stato  promesso  non  s' impaccerebbe  delle  cose  di  qua, 
come  dicono  non  essere  suo  ufficio  nè  appartenersi  a  lui  ;  e  che  V.  S.  fareb- 
bero bene  a  esortamelo....  »  (?) 

E  le  cose  eh'  eran  riferite  a  Sua  Santità  sul  conto  del  Predicatore  sap- 
piamo anche  quali  sono,  e  le  possiamo  ieggere  nella  lettera  del  Becchi  a'Dieci 
con  la  data  de' 25  marzo;  cioè,  che  egli  <  dica  apertamente  e  pubblicamente 
male  di  Sua  Santità,  de'  Cardinali  e  tutta  questa  Corte,  come  s'  appartenesse 
particolarmente  a  Sua  Paternità;  che  lui  scriva,  dica,  predichi  e  affermi  esser 
profeta,  parlare  con  Dio,  Nostra  Donna  e  Santi  e  predica  le  cose  future  con 
tanta  asseveranza,  che,  per  dare  ardire  al  popolo  e  a'  fanciulli,  toglie  la  li- 
bertà del  deliberare  e  discernere  e  giudicare  a  chi  s' appartiene...,  che  questa 

contrario  egli  si  lagnò  sempre  che  la  Signoria  lasciasse  predicare  il  Frate,  sebbene  questi 
(come  al  Pontefice  si  faceva  credere)  non  si  tenesse  nel  puro  campo  religioso  e  ripetesse 
cose  degne  di  condanna.  Questo  appare  anche  da  ciò  che  diciamo  immediatamente  nel  testo; 
ma  il  lettore  veda  intieri  i  documenti  dai  quali  abbiamo  estratto  i  passi  di  sopra  riferiti,  e 
si  persuaderà  subito  da  se  stesso  che  diciamo  il  vero. 

(')  Ci  pare  assai  notevole  anche  il  passo  seguente  di  una  lettera  che  il  Becchi  scrive 
ai  Dieci  con  la  data  de' 5  aprile  1196,  pubblicata  dal  P.  Marchese,  doe.IV. 

c  Havendo  io  più  giorni  inteso  questa  materia,  et  informato  il  Cardinale  di  Perugia  et 
Segobricense,  el  Vescovo  di  Capaccio,  et  molti  altri  dovessimo  confortare  nostro  Signore  a 
soprasedere  et  pensare  bene  questa  cosa,  monstrando  ne  potrebbe  uscire  qualche  grande 
scandolo  per  molte  evidente  ragione;  in  modo  che,  parlandone  Sua  Beatitudine  col  Vescovo 
di  Capaccio,  et  quello  gli  pareva  da  fare,  confortò  Sua  Santità  come  l'avevo  persuaso,  in 
modo  lo  placò  et  dispose  a  volere  soprasedere,  et  impose  a  detto  Capaccio,  el  quale  è  più 
affectionato  alla  ciptà  et  natione  nostra  che  hnomo  che  io  cognoscha,  dovessi  dirmi,  che  io 
facessi  intendere  a  V.  S.,  che  sua  Paternità  dovessi  modestamente  parlare  di  Sua  Beatitu- 
dine, de' Reverendissimi  Cardinali  et  degli  altri  prelati,  et  non  volessi  excedere  el  modo 
degli  altri  eccellenti  et  optimi  predicatori,  et  porre  boccha  a  quelle  cose  non  si  apparte- 
nevano a  lui,  né  era  suo  offitio,  et  cosi  non  volessi  impacciarsi  de  cose  secolare  et  de'facti 
distato.  Cosi  ne  prego  V.  S.,  alle  quali  mi  rimecto,  ne  dichino  lo  suo  parere  come  paro  a 
quelle,  che  in  verità  non  è  podio  Sua  Beatitudine  l'abbia  sopportato  insino  qui,  essendo 
riferito  a  Sua  Beatitudine  tante  novelle  da  vostri  et  di  costi  et  di  qui.  Rachomandomi  a 
V.  S.  »  Questa  raccomandazione  come  si  spiegherebbe? 

E  un'altra  ragiono  abbiamo  ancora,  la  quale  ci  pare  che  abbia  un  valore  gravissimo 
a  favore  del  Frate  ;  ed  è  che  il  Generale  dei  Domenicani  il  26  di  giugno  dell'anno  1196  au- 
torizzava il  Savonarola  a  dare  il  velo  alle  religiose  del  Monastero  di  Santa  Lucia  di  Firenze, 
monastero  che  rifioriva  appunto  per  le  cure  e  lo  zelo  di  Fra  Girolamo.  Se  il  Frate  avesse 
disobbedito  per  il  fatto  del  predicare  e  perciò  fosse  incorso  nella  censura  annessa  a  quel 
precetto,  come  avrebbe  potuto  il  Generale  far  ciò  e  scrivergli  la  lettera  che  si  legge 
De'  Nuovi  Documenti  del  Gherardi  a  pag.  63-69  ? 

(*)  V.  Gberardi,  pag.  137. 


—  495  — 


cosa  di  Fra  Jeronimo  e  di  questi  fanciulli  abbia  a  esser  principio  e  causa  di 
qualche  scandalo  e  ruina  della  città».  (Ivi,  pag.  141.)  (')  Nè  queste  cose  eran  rife- 
rite solo  da  persone  a  cui  la  Corte  Romana  dovesse  tener  sospette,  ma  erano 
scritte  da  Firenze,  come  dice  ancor  ivi  il  Becchi  stesso,  «  per  molti  e  non 
di  poca  autorità,  e  riferite  qui  da'  nostri,  e  al  Papa,  a'  Cardinali  e  tutta  que- 
sta Corte.  E  qui  «  soggiunge  poi  »  dal  Generale  di  San  Domenico  e  molti 
altri  religiosi  dottissimi  e  di  buona  vita  e  santimonia,  sono  ragguagliati  della 
intenzione  e  fondamenti  di  Fra  Jeronimo  ».  (2)  Intenzione  e  fondamenti  che 
Dio  sa  quali  eran  creduli!  Del  resto  i  nemici  e  gli  emuli  del  Frate  avevano 
qui,  forse  meglio  che  altra  volta,  buon  giuoco  alle  calunnie,  perchè  sebbene 
nessuna  delle  accuse  onde  riempivano  Roma,  fosse  vera  e  giusta,  tuttavia  è 
noto  che  alcune  delle  prediche  del  1496  sono  arditissime  e  fiere  più  ch'altre 
mai,  nè  seconde  in  riprender  i  vizj  del  clero  e  di  Roma  e  nelle  minacce  ai 
nemici  del  governo  Fiorentino,  se  non  forse  a  quelle  sopra  l'Esodo;  e  già 
quando  la  Curia  e  il  Pontefice  cominciarono  a  muovere  lagnanze  doveva  es- 
sere stata  detta  la  XII,  nella  quale  si  fa  di  Roma  quel  sozzissimo  quadro,  che 
per  quanto  vero,  non  è  certo  da  lasciarsi  leggere  ora  senza  chiosa  ad 
ognuno.  Si  capisce  adunque,  se  si  pensa  alle  arti  degli  avversar)  del  Savona- 
rola, come  cosa  del  tutto  naturale  che  il  povero  Becchi  a  ogni  ora  ne  fosse 
alle  mani  con  quei  signori  Cardinali,  e  che  trovasse  difficile  a  voler  contra- 
dire e  difendere;  e  si  capisce  del  pari  che  il  Papa  ricusasse  di  segnar  quel 
Breve  che  aveva  promesso,  prima  della  quaresima,  che  segnerebbe.  Anzi  se 
v'  ha  cosa  da  far  maraviglia,  questa  si  è,  che  Alessandro  VI,  credendo  veri  tutti 
quei  falsi  ragguagli,  sopportasse  come  faceva  le  prediche  del  Frate  contro  sua 
voglia.  (3)  Francamente,  io  non  avrei  avuto  tanta  pazienza,  nè  tanta  longa- 


(')  Queste  erano  appunto  le  cose  che  il  Papa  aveva  imposto  di  lasciare.  A  nessuno, 
credo,  vorrà  risorgere  in  mente  il  dubbio  che  il  Savonarola  disobbedisse  non  per  il  fatto 
del  predicare,  ma  per  l'argomento  scelto  ad  oggetto  delle  prediche.  Questo  dubbio,  se  mai, 
trattando  della  predicazione  del  1196,  darebbe  alla  questione  un  aspetto  nuovo  :  e  noi  lo  ri- 
solveremmo, anche  con  molto  piacere,  in  un  capitolo  speciale,  se  già  non  ciedissimo  di  aver 
detto  più  che  a  sufficienza  perchè  ognuno  possa  averne  piena  risposta.  Si  rileggano  special, 
mente,  se  mai,  i  capitoli  X,  XIII,  XIV,  XVI,  XVIII,  XIX,  XX,  XXI,  e  si  vedrà  che  il  Frate 
non  venne  meno  al  suo  dovere  neancbe  per  le  cose  predicate.  Del  resto  la  migliore  solu- 
zione del  dubbio  è  il  quaresimale  stesso  raccolto  dalla  viva  voce  del  predicatore:  leggetelo 
e  poi  vedrete  se  vi  resterà  nulla  a  desiderare. 

(-)  Gherardi,  pag.  141. 

(3)  Non  credo  inutile  prevenire  un'obiezione,  che,  sebbene  nessuno  fin  qui  l'abbia  fatta, 
potrebbe  sorgere  nell'animo  di  alcuno  de' nostri  lettori.  Dato  e  concesso  che  il  Savonarola 
cominciasse  a  predicare  colla  licenza  del  Papa,  perchè  non  sospese  la  predica  quando  seppe 
che  la  volontà  del  Papa  s'era  mutata?  La  risposta  è  facile.  Al  Savonarola,  nè  il  Papa,  nè 
alcuno  de'  Cardinali,  per  quanto  ne  sappiamo,  hanno  mai  fatto  saper  nulla  di  questa  mala 
voglia.  Anzi  nella  predica  XXVII  dice  chiaro  che  ordine  ch'egli  non  predichi  non  ve  n' è 
alcuno,  e  in  nessuno  de' Documenti,  come  già  abbiamo  notato,  si  lagnano  del  Frate  come 
tale,  ma  solo  e  sempre  della  Signoria,  la  quale  certo  deve  essersi  preso  ben  guardia  d'in- 
vitarlo a  tacere.  D'altra  parte  il  Frate  sapeva  molto  bene  che  le  ragioni  per  le  quali  il 
Papa  si  chiamava  scontento  non  esistevano  punto,  come  sapeva  benissimo  che  in  realtà  chi 
non  voleva  che  ei  predicasse  non  eia  già  il  Papa,  ma  la  Lega  :  per  tutto  ciò,  nemmeno 
quella  specie  di  obbligo  morale  doveva  legare  il  nostro  Frate,  nè  meritargli  alcun  rimpro- 
vero. (Vedi  le  citate  prediche  XXVII  e  XLVIII  sopra  Amos  e  Zaccaria). 


—  496  — 


nimità.  (4)  In  conclusione  si  capisce  e  spiega  adunque  benissimo  nel  Papa  la 
promessa  di  lasciar  predicare  Fra  Girolamo,  con  le  lagnanze  che  egli  e  la  sua 
corte  ne  fecer  poi. 

Resterebbe  ancora  un'  obiezione  che  parrebbe  di  qualche  valore  e  a  cui 
anzi  il  Pastor  ha  dato  un  valore  decisivo,  motteggiando  anche  un  poco  in- 
torno al  Frate.  (*)  «  Se  il  Papa  aveva  veramente  acconsentito,  fosse  pure 
a  voce,  che  il  Savonarola  ricominciasse  a  predicare,  c'  era  egli  bisogno  di  un 
decreto  della  Signoria?  E,  quando  mai,  perchè  nel  decreto  non  accennare  in 
nessun  modo  alla  nuova  concessione  papale?  »  —  Noi,  rispondendo,  vorremmo 
fare  anche  noi  una  domanda  :  Come  mai,  se  il  Papa  non  aveva  consentito, 
almeno  a  viva  voce,  che  il  Savonarola  ricominciasse  a  predicare,  si  spieghe- 
rebbe l'insolita  deliberazione  della  Signoria?  —  In  nessun  modo.  Non  c'era 
davvero  bisogno  che  la  Signoria  insistesse  tanto  per  aver  il  permesso  desi- 
derato, se  poi  era  risoluta  d' imporre  al  Frate  di  predicare  ad  ogni  modo. 
Sarebbe  davvero  inesplicabile  un  tale  atto;  e  non  si  capirebbe  ch'esso  fosse 
rimasto  inosservato  nella  Curia  Romana,  finché  non  furono  sentite  più  forte 
del  solito  le  accuse  contro  il  Frate.  E  parrebbe  strano  davvero  che,  con- 
tinuando la  Signoria  a  coprirsi  del  manto  del  cardinale  di  Napoli  e  del  suo 
Oratore  presso  il  Papa,  questi  due  personaggi  tacessero  assolutamente  come 
se  fosse  cosa  indifferente  e  nessuno  movesse  loro  il  minimo  rimprovero  di 
aver  male  interpretato  o  palesato  il  volere  del  papa.  Il  cenno  poi  della  conces- 


(')  Alcuni,  e  con  questi  il  Cosci,  pag.  430,  si  fanno  anche  le  meraviglie  come  mai,  avendo 
il  Papa  permesso  al  Frate  di  predicare,  ricusava  poi,  perchè  questi  predicava,  perfino  di  con- 
cedere al  popolo  fiorentino  alcune  grazie  spirituali  di  cui  lo  aveva  piegato  caldamente 
l'ambasciatore  della  Hepubblica;  cioè  di  segnare  i  Brevi,  che  già  aveva  promesso  che  se- 
gnerebbe, della  indulgenza  plenaria  di  Santa  Reparata.  Ma  costoro,  a  mio  giudizio,  non 
guardano  ben  la  cosa.  Esaminando  i  Nuovi  Documenti,  si  può  vedere  che  questo  Breve  delle 
indulgenze  e  quello  che  doveva  riguardare  la  predicazione  del  Savonarola  hanno  la  mede- 
sima storia.  E  come  il  Papa  aveva  senza  alcun  dubbio  promesso  innanzi  quadragesima  che 
concederebbe  quello,  così  aveva  anche  promesso  che  avrebbe  spedito  questo.  Ma  poi  ebbe 
a  dire  apertamente  che  «la  Lega  non  voleva  che  concedessi  che  Fra  Girolamo  predicasse:  e 
quei  Signori  non  avranno  nulla  da  noi,  se  non  entrano  nella  Lega  ».  (Gherardi  pag.  134).  E 
questo  riuscirà  anche  più  chiaro,  se  pensiamo  che  il  Moro  ed  i  suoi  oratori,  dopo  aver 
tentato  di  trarre  a  sé  il  Frate,  si  erano  ora  completamente  persuasi  della  vanità  de'loro  sforzi, 
e  però  raddoppiavano  l'impegno  e  l'ira  nelle  maligne  e  nebulose  loro  arti  contro  di  lui. 

(2)  «  Il  religioso  il  quale  aveva  avute  infinite  difficoltà  per  rispettare  gli  ordini  de'suoi 
superiori  ecclesiastici,  corrispose  immantinente  alla  ingiunzione  dell'Jantoiità  civile  ».  (Pa- 
stor, pag.  352.)  —  Ecco  una  frase  d'effetto,  ma  contraria  alla  verità  storica.  Il  Savonarola 
ha  detto  ripetutamente  ch'egli  non  era  soggetto  al  foro  secolare;  e  qui  ha  ripetuto  anche 
più  volte  che  non  si  moveva  a  predicare  per  alcuna  autorità  terrena,  e  tanto  meno  per  il 
solo  ordine  della  Signoria.  Se  predicava,  si  era  perchè  egli  conosceva  di  poterlo  tare,  es- 
sendo puro  dalle  colpe  che  gli  erano  state  apposte  e  da  altro  che  lo  rendessero  meritevole 
delle  misure  già  prese  contro  di  lui.  Se  questo  non  avesse  egli  sentito  nella  sua  coscienza, 
non  si  sarebbe  mosso  nemmeno  col  permesso  del  Papa;  sapendo  bene  ohe  il  tatto  solo  del- 
l'assoluzione, sia  pure  del  Papa,  non  libera  chi  merita  di  star  legato.  In  questo  senso  si  può 
dire  veramente  che  il  religioso  risali  il  pergamo,  non  per  le  ingiunzioni  della  Signoria,  ma 
per  ordine  di  Dio,  da  cui  proviene  la  luce  della  verità  chiaramente  veduta.  Con  questa 
c  hiave  si  potrà  aprire  un  passo  del  II  Sermono  sopra  l'Esodo,  e  più  altri  del  Frate,  e  lo  stesso 
dooumento  100  ilei  Cappelli,  tanto  frainteso  da  alcuni  calunniatori  del  Savonarola. 


—  497  - 


sione  pontifìcia  nella  deliberazione  della  Signoria  non  era  affatto  necessario, 
essendo  quella  già  ben  nota  al  Savonarola  a  cui  la  deliberazione  si  indirizzava. 
Afa  ben  si  spiega  la  deliberazione  stessa.  Prima  dì  tutto  chi  aveva  chiesto  al 
Pontefice  per  il  Savonarola  la  sospensione  del  divieto?  La  Signoria.  A  chi  ave- 
vano comunicato  il  Becchi  e  il  cardinale  di  Napoli  la  licenza  del  Papa? 
Certo  alla  Signoria.  E  la  Signoria  poi,  corri'  è  naturale,  la  comunicò  al  Savo- 
narola. Ora,  vi  parrebbe  forse  strano  il  pensare  che  la  forma  del  permesso  e 
la  condizione  annessa,  al  Frate  non  tornasse  del  tutto  gradita?  11  Savonarola 
nella  sua  coscienza  delicata  poteva  desiderare  qualche  altra  cosa  secondo  j 
canoni,  e  forse  la  condizione  che  limitava  la  sua  libertà  non  gli  piaceva.  Quindi, 
esitando  egli,  i  Signori  credettero  opportuno  di  comandargli,  come  fecero,  di 
predicare  e  non  rimaner  duro,  dacché  la  licenza  c'era;  e  che  ci  fosse  pubbli- 
cavasi  a  tutto  il  popolo.  (*) 

E  così  ai  17  febbraio  il  Savonarola  risalì  il  pergamo  e  la  Signoria  poteva 
a  di  9  marzo  scrivere  al  suo  oratore  Becchi:  «  Noi  abbiamo  chiaramente  co- 
nosciuto con  quanta  cura,  amore  e  fede  vi  siete  operato  e  con  la  Santità  di 
Nostro  Signore,  e  con  molti  reverendissimi  Cardinali  che  frate  Hieronimo  babbi 
licenza  di  perseverare  nelle  sue  predicazioni,  la  qual  cosa  a  noi  e  a  tutto  il 
popolo  è  mollo  piaciuta  ».  (2) 

Dopo  tutto  ciò,  a  me  pare  che  per  sostener  tuttavia  che  Fra  Girolamo 
a  dì  17  febbraio  risalendo  il  pergamo  di  Santa  Maria  del  Fiore,  disobbedì, 
si  richieda  davvero  molto  desiderio  e  molta  voglia  di  condannarlo;  e  che  chi 

10  fa  si  mostri  assai  più  rigoroso  di  quello  che  non  si  mostrasse  Alessandro  VI, 

11  quale  nello  stesso  Breve  di  scomunica  scriveva  d'  aver  sopportato  che  il 
Frate  predicasse,  e  anzi  nel  finire  della  Quaresima  stessa  del  1496  riusciva 
a  quietarsi  e  restare  assai  bene  soddisfatto  circa  alle  cose  di  Fra  Girolamo,  come 
è  detto  esplicitamente  nel  documento  che  il  Gherardi  pubblica  a  pag.  !43, 
benché  molti  cercavano  guastare  tutto.  Ma,  pur  troppo,  come  ivi  stesso  è  detto, 
sempre  furono  degli  emuli!! 

(  )  Singolare  è  del  resto  il  Cosci,  il  quale,  pure  sforzandosi  di  attenuare,  e  magari  di- 
struggere le  ragioni  che  fanno  inclinare  ad  ammettere  la  licenza,  scrive  poi  non  solo  che  la 
voce  che  il  Savonarola  avesse  riavuta  la  facoltà  di  predicare  per  relazione  di  un  Cardinale 
corse  di  certo,  uè  Alessandro  VI,  se  non  confermò  quanto  gli  rispose  il  vescovo  Pandolfìni, 
non  ardi  nemmeno  di  contradirlo  :  ma  aggiunge  di  più:  <  Jla  io  non  sarei  alit-no  dal  coneludere 
che  Alessandro  VI.  stanco  alla  line  delle  sollecitazioni  che  gli  facevano  da  più  parti,  si  la- 
sciasse scappare  a  mezza  voce  parlando  col  Cardinale  di  Napoli  che  a  lui  poco  importava 
che  Fra  Girolamo  predicasse  purché  non  parlasse  male  del  Papa  e  della  Corte  di  Roma». 
In  vero  che  si  richiede  poco  altro  perchè  siamo  coli' acuto  critico  perfettamente  d'accordo. 
Le  sue  ragioni  valgono  solo  per  chi  pretendesse  che  Alessandro  VI  ridesse  la  chiesta  licenza 
con  un  altro  Breve;  ma  questo  chi  lo  sostiene? 

(?)  Marchese,  doc.  II.  Altra  copia  nell'Archivio  Generale  dell'Ordine  Dom..  voi.  OGG., 
tel.  60*. 


62 


XXXI 


L'  unione  dei  Conventi. 


Sommario. 

Fra  Wu'olauio  vittomso. —  Autoriti  e  venerazione  accresciute. —  Ira  e  zelo  diabolico  degli  avversali 

—  Il  Taucredino  al  il  oro.  —  Gravi  avvenimenti  che  tulliano  i  principi  della  Lega.  —  Massimi- 
liauo  e  i  Fiorentini  a  Livorno.  —  I  nuovi  l'atti  e  la  persona  del  Savonarola.  —  Prediche  famose.  — 
L'istituzione  della  congregazione  Tosco-Komana.  —  Contenuto  del  Breve.  —  Fine  apparente.  — 
Fine  reale.  —  Giudizi  del  Pellegrini.  —  Il  Pastor  ultima  eco  della  voce  degli  avversari  del  Frate. 

—  Alessandro  VI  palesa  il  recondito  fine  della  Polla  Pontificia.  — Esso  è  noto  a  Fra  Girolamo. 

—  Una  domanda.  —  Le  parabole  narrate  e  Fra  Girolamo.  —  Una  nuova  parabola  e  sua  dichiara- 
zione. —  Il  Savonarola  non  doveva  partirsi  da  Firenze.  —  Il  Somenzi  al  Moro.  —  Il  Frate,  ob- 
bedì alla  buona  intenzione  del  comando  Pontificio.  —  La  questione  sotto  l'aspetto  canonico.  — 
Una  distinzione  necessaria. — (Inai  persuasione  avessero  i  frati  di  San  Marco.  —  Un  po' di  storia. — 
Che  facesse  Fra  Girolamo  di  fronte  al  Breve  Pontificio.  —  I  Padri  profossi  a  i  Padri  de'  novizj  ri- 
pugnanti spontanei  all'  unione.  —  Prove  irrefragabili.  —  Una  giusta  sentenza  del  Pico.  -  Una  que- 
stione di  diritto  e  una  di  fatto.  —  Fra  Girolamo  secondo  le  costituzioni  dell'Ordine  non  doveva 
lasciare  i  conventi  di  San  Marco.  —  Il  Savonarola  vuol  essere  dichiarato  prosciolto  dall' ac- 
cusi. —  La  questione  dal  lato  morale.  —  Le  ragioni  de'  Frati  di  San  Marco,  il  Pastor  e  il  Pico. 

—  La  disciplina  ne' conventi  dell'Unione  e  severo  giudizio  del  Pastor  e  del  Savonarola.  —  Giusta 
sentenza  del  Pico.  —  Un'obiezione.  —  Odio  a  San  Marco  de'  frati  deformati.  —  Il  Savonarola  e 
i  Sanesie  i  Pisani.  —  Un  documento  espressivo.  —  Conclusione. 


Dopo  quanto  era  fin  qui  avvenuto,  Fra  Girolamo  poteva  cosiderarsi  vitto- 
rioso nella  difficile  e  nuova  lite:  onde  egli  scriveva  ad  un  amico:  «  La  Santità 
di  Nostro  Signore,  avendo  inteso  le  mie  ragioni,  come  sapiente,  è  rimasto  al 
tutto  soddisfatto.  E  benché  molti  uomini  maligni  di  diversi  stati  e  condizioni 
si  sieno  sforzati  di  avertirlo  dalla  verità,  niente  di  meno  la  sua  prudenza  è 
stata  tanta,  che  non  si  è  mosso  alle  cose  ingiuste  per  le  forze  delle  lingue 
dei  detraenti,  ai  quali  mancando  ogni  argomento,  si  sono  sforzali  finalmente 
di  persuadergli  che  io  ho  detto  male  particolarmente  della  Sua  Santità  e  di  al- 
cuno dei  suoi  Revendissimi  Cardinali.  E  questo  non  ha  ancora  loro  giovato: 
perchè,  come  si  dice  in  proverbio,  le  bu^ie  hanno  corte  gambe,  e  massime 
quando  le  sono  contro  la  verità  manifesta  a  molte  migliaia  di  persone,  come 


—  499  — 


è  la  nostra:  perchè  io  non  predico  nei  cantoni,  nè  fo  conventicole  per  le  case, 
come  fanno  i  nostri  nemici,  i  tiepidi,  ma  predico  nelle  chiese,  dove  può  con- 
venire tutto  il  popolo  ».  (*) 

In  conseguenza  di  tutto  ciò  egli  non  solo  non  aveva  perduto  presso  il 
popolo  di  Firenze  quell'autorità  e  quella  venerazione  che  già  godeva,  e  cui  vo- 
levan  togliergli,  o  scemargli  almeno,  i  suoi  avversarj  ;  ma  aveva  cresciuto  e 
quella  e  questa,  portandole  al  colmo;  onde  con  verità  si  poteva  qui  ripetere: 
«  Era  il  Frate  in  quel  tempo  in  una  tanta  stima  e  devozione  in  Firenze,  che 
ci  era  molti  uomini  e  donne,  che  se  gli  avesse  detto  loro:  Entrate  nel  fuoco, 
l'avrebbero  ubbidito  ili  fatto  ».  (f) 

Ma  appunto  per  tutto  questo  gli  avversarj  suoi  raddoppiarono  il  loro 
zelo  diabolico  contro  di  lui.  Il  Tancredino  doveva  sempre  più  essersi  confer- 
mato nel  suo  giudizio,  che  il  Frate  non  si  sarebbe  mutato  di  proposito  per 
nulla,  e  più  che  mai  aveva  ragione  di  scrivere  al  suo  Signore:  «  Ben  dico  da 
sincero  suo  servitore,  che  se  quella  desidera  si  riuscisca  ad  onore  di  questa 
impresa  di  Toscana,  per  ridurre  le  cose  a  beneficio  della  Serenissima  Lega, 
credami  che  non  bisogna  più  andar  con  lusinghe  nè  dolcezza  con  quelli 
che  hanno  il  pelo  asinino.  I  quali  quanto  più  sono  tollerati,  tanto  più  indu- 
rano e  diventano  più  pertinaci  ;  e  si  ridono  e  fanno  poi  beffe  di  chi  non  si 
accorge  delle  loro  versuzie  ».  (3) 

E  più  ancora  aveva  il  medesimo  emissario  ragione  di  scrivere  al  suo 
Signore  stesso  di  credere  che  il  Frale  non  si  sarebbe  mutato  affatto  di  propo- 
sito, e  perciò  essere  inutili  i  mezzi  adoperali  fin  qui  per  combatterlo  e  vincerlo, 
ma,  se  si  voleva  oltener  1'  intento,  si  ricorresse  ad  altri.  E  in  verità  non  aveva 
torto  questo  segretario  di  riferire  al  Moro  che,  se  si  voleva  Firenze  alle  voglie 
della  Lega,  questa  doveva  stringer  quella  e  romperne  i  disegni.  Ma  come  riu- 
scire a  ciò,  data  «  la  industria  e  la  malizia  »  del  Frate,  il  quale  voleva  «  edifi- 
care maggiormente  quel  popolo  nella  solita  sua  ostinazione  »?  (*,) 

E  facile  quindi  argomentare  quanto  tutti  gli  avversarj  del  Frate  dovessero 
brigare  ed  in  Roma  ed  altrove  per  trovar  finalmente  la  via  di  raggiungere  il  loro 
intento;  e  tanto  più  se  si  pensa  ai  gravi  avvenimenti  che  ora  succedevano  in 
Italia,  ed  agli  altri  anche  più  gravi  che  questi  parevano  dover  produrre:  Carlo  Vili 
che  non  deponeva  il  pensiero  di  ripassare  le  Alpi,  (*)  appiccava  pratiche  col 
Duca  di  Ferrara  e  col  Marchese  di  Mantova,  col  signor  di  Bologna,  ed  anche 
co' Fiorentini;  e  riempiva  così  di  timore  tutti  gli  altri  principi  d'Italia,  e  sopra 
ogni  altro  il  Duca  di  Milano  ed  il  Papa,  il  quale,  oltreché  per  il  temporale,  aveva 

(lj  Questa  lettera  si  legge  nel  Quétif,  tomo  II,  pag.  197  e  seg. 

{-)  Landucci,  Diario,  pag.  10S.  Vedi  anche  le  pag.  136-137  per  la  crescerne  udienza  del  Frate 
ed  il  progresso  dulia  Riforma  in  ispecie  dei  fanciulli. 
(*)  Doc.  XVII  dei  pubbl.  da  I.  Del  Lungo. 
(4)  Ivi,  Doc.  XVIII. 

(3)  Et  si  avoit  son  coeur  toujours  de  fer  ou  accomplir  le  1  etour  en  Italie.  —  Cornine», 
Mémoircs,  lib.  Vili,  cap.  XVIII.  Cfr.  Pellegrini,  Arcìi.  deliri  Società  Romana  di  Storia  patria. 
pag.  713-155,  e  il  Doc.  XIX  dei  pubbl.  da  l.  Del  Lungo. 


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ragione  di  temer  anche  per  lo  spirituale.  Scendeva,  è  vero,  Massimiliano  a  fa- 
vore della  Lega,  ma  non  perciò  questa  si  faceva  senza  meno  sicura;  si  rodeva 
in  ispecie  vedendo  che  Firenze  pur  durava  salda  nell'  amicizia  con  la  Francia: 
ed  il  pensiero  dei  suoi  principi  divenne  più  grave  allorché  si  seppe  che,  dopo  di 
aver  l'imperatore  minacciato  da  Pisa  che  taglierebbe  i  Fiorentini  a  pezzi  se  non 
entrassero  nella  Lega,  andate  le  sue  navi  a  Livorno  come  per  eseguir  la  mi-, 
naccia,  ebbero  un  grande  insuccesso,  e,  sbattute  da  furiosa  tempesta,  dovettero, 
come  poterono,  ripartirsi  non  senza  grave  danno;  mentre  i  Fiorentini  riceve- 
vano miracolosamente  insperati  soccorsi  di  armi  e  di  grano;  cosa  che,  come 
aumentava  la  bile  al  Tancredino,  così  doveva  generar  ira  nel  Moro  e  negli  altri 
che  con  lui  avrebbero  veduto  volentieri  la  Repubblica  alle  ultime  strette  e  for- 
zata a  fare  per  necessità  quello  a  cui  non  si  piegava  spontaneamente. 

E  questi  varj  fatti  pigliavano  agli  occhi  dei  nemici  del  Frate  una  impor- 
tanza tutta  speciale;  imperocché  il  20  di  agosto,  quando  la  Lega  già  concepiva 
speranza  che  i  Fiorentini  volessero  piegare  verso  i  Medici  favorevoli  a  quella,  la 
Signoria  chiamò  appunto  il  Savonarola  a  predicare  nella  sala  del  Consiglio 
Maggiore  per  dissipare  ogni  debolezza;  e  due  mesi  dopo  lo  faceva  predicare 
un'  altra  volta  al  popolo  atterrito  dal  pericolo  di  Livorno.  Ed  egli,  ritenendo 
che  il  popolo  Fiorentino,  perdendo  il  governo  popolare  e  rifacendosi  tirannia, 
perderebbe  Cristo  ed  il  buon  vivere,  predicava  in  modo  mirabile  entrambe  le 
volte.  Nè  è  da  tacere  la  predica  singolare  che  il  Frate  recitò  poi  «  immedia- 
tamente dopo  la  partita  dell'imperatore  da  Livorno  e  la  ritornata  sua  verso 
Milano  »,  nella  quale  ben  si  può  dire  che  egli,  col  popolo  suo,  canta  in  viso  ai 
nemici  l'inno  della  vittoria  e  del  trionfo.  (*) 

Tuttociò,  coli'  ira  dell'  insuccesso,  aumentava  1'  odio  dei  politici  e  dei  Palle- 
schi contro  il  Frate,  il  quale  agli  occhi  loro  era  sempre  la  principal  cagione  della 
condotta  dei  Fiorentini.  Affinarono  adunque  l'arte  e  la  malizia  presso  il  Pontefice; 
e  dacché  il  modo  fin  qui  tenuto  non  era  stato  sufficiente  a  muovere  da  Firenze 
il  Savonarola,  come  non  lo  avevan  fatto  scender  dal  pulpito  nè  screditato  la 
lettera  a  Carlo  Vili,  la  Riforma  dei  fanciulli,  la  perduranza  dei  Fiorentini  nel- 
1'  amicizia  francese,  nè  lo  avevan  condannato  la  dottrina  e  la  morale  che  egli 
insegnava,  nè  le  invettive  contro  i  vizj  del  Clero,  ricorsero  quelli  ad  un  altro 
espediente:  e  questo  fu  la  costituzione  della  nuova  Congregazione  Tosco- 
Romana. 

Questo,  crediamo  noi,  è  il  colpo  più  terribile  che  abbia  percosso  Fra  Gi- 
rolamo, sia  per  la  cosa  in  sé,  e  sia  anche  per  la  forma  di  essa.  Certo  per  que- 
sto Breve  si  riuscì  ad  alienare  dal  Savonarola  anche  gli  animi  di  molti  di  co- 


(')  Le  due  prediche  recitato  al  popolo,  cui  s'accenna  nel  testo,  si  possono  leggere  tra 
quelle,  sopra  Ruth  e  Michea:  l'ima  è  la  XXVI  e  l'altra  la  XXIX.  A  proposito  di  quest'ultima 
abbiamo  già  notato  & p. 848  la  falsa  e  calunniosa  interpretazione  elio  il  Somenzi  ne  trasmet- 
teva al  Moro  il  giorno  stesso  in  cui  fu  latta  (28  ottobre  1496),  scrivendogli  che  il  Frate  «  esortò 
soprat otto  il  popolo  a  voler  star  saldo  alla  fede  del  Re  di  Francia  ».  Questo  risulta  dal  no- 
cumento XVI  tra  i  pubblicati  ila  I.  Del  Lungo,  e  qui  bisogna  tenerlo  fermo  nella  mente. 


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loro  che  gli  si  erano  mostrali  fin  qui  affezionati  ed  avevano  dato  favore  a  lui 
ed  alle  sue  riforme.  Ed  anche  noi  siamo  rimasti  qualche  tempo  sospesi  e  dubbj 
qual  sentenza,  stando  puramente  ai  Canoni,  si  avesse  a  dare. 

Che  cosa  voleva  questo  Breve?  Ecco:  Questo  Breve,  che  fu  segnato  addì  7 
novembre  1496,  istituiva  una  nuova  Congregazione  che  si  chiamava  Tosco-Bo- 
mana,  componendola  di  diversi  conventi  della  Provincia  Romana  e  di  alcuni 
dislaccati  dalla  provincia  Lombarda  e  di  quelli  della  Congregazione  di  San  Marco. 
Tulli  i  Religiosi  appartenenti  a  cotesti  luoghi  dovevano  entrare  immediatamente 
in  questa  nuova  Congregazione  e  riconoscere  per  superiore  il  Vicario  Generale 
designato,  per  il  primo  biennio,  dal  cardinale  Caraffa  protettore  dell'  Ordine. 
Convento  principale  e  privilegiato  della  provincia  costituì  vasi  quello  d;  Santa 
Maria  sopra  Minerva  in  Boma. 

Il  fine?  —  Il  fine  che  si  diceva,  se  fosse  stalo  possibile  a  raggiungersi,  era 
legittimo  e  lodevole;  e  l'Oratore  fiorentino,  come  si  raccoglie  da  una  sua  lettera 
a' Dieci,  trasmetteva  che  l'unione  era  stala  procurata  da  Sua  Santità  col  Cardi- 
nale di  Napoli,  insieme  con  altri  Cardinali  e  prelati,  con  matura  consultazione, 
e  che  era  veramente  opera  di  Dio  molto  laudabile.  Anzi  dice  che  lo  stesso 
cardinale  di  Napoli  consigliava  che  i  Signori  Dieci  «  esortassero  la  Paternità  di 
Fra  Jeronimo  ad  obbedire  ed  acquiescere  ed  aiutare  questa  opera  di  Dio  e 
mandarla  innanzi  e  non  si  persuadere  in  modo  alcuno  la  Santità  di  Nostro  Si- 
gnore e  sua  Bevendissima  Signoria  si  sieno  mossi  a  fare  questa  opera  per 
mala  suggestione  o  relazione  d'  alcuno  emulo  od  avversario  di  Sua  Paternità 
o  per  alcuna  spezialità,  ma  solo  p^r  l'onore  di  Dio  ».(')  E  lo  stesso  Breve 
Pontificio,  nota  il  Villari,  diceva  che  così  si  dava  opportunità  di  allargare  la 
nuova  riforma  a  tutta  Toscana  ed  allo  Stato  romano.  (z) 

Ma  era  vero  tutto  ciò?  Il  Villari  dice  che  queste  non  erano  altro  che  lu- 
stre; ed  ì  biografi  del  Savonarola  e  gli  storici  del  tempo  ed  i  nuovi  documenti 
sono  concordi  nell' affermare  che  la  principale  ragione  è  ognora  la  stessa: 
quella  di  togliere  da  Firenze  il  Savonarola  creduto  il  principal  sostegno  ed  il 
presidio  della  nuova  Bepubblica  cui  i  Medici  volevano  assolutamente  abbat- 
tere, o  almeno  di  togliere  al  Savonarola  il  prestigio  e  la  stima  che  gli  veniva 
da  una  così  mirabile  riforma  ottenuta  in  San  Marco  in  mezzo  all'  universale 
corruzione  specialmente  del  clero.  La  Congregazione  nuova,  come  notano  i 
biografi,  era  stata  fatta  coli' approvazione  di  Alessandro  VI,  ma  resistendo  i 
principi  d' Italia,  e,  come  dice  la  cronaca  del  Convento  di  Perugia,  ripugnando 
quasi  tutti  gli  altri  potentati  d' Italia.  (3)  L'idea  del  Savonarola  di  estendere  la 


(')  Gherardi,  Xuovi  doc,  gag.  155. 

(2)  Voi.  I,  p.  492.  Il  breve  pontificio  ò  pubblicato  in  appeudice  a  p.  cxlij  dal  Villari,  ohe 
lo  trasse  dalla  Biccardiana,  cod.  2053.  Però  il  breve  trovavasi  già  edito  nel  Ballar ium  Ord. 
Praed.,  T.  IV,  p.  124.  La  lezione  del  Bullaiio  suddetto  tu  tratta  dall'  esemplare  autentico  che 
trovavasi  nell'archivio  di  San  Marco  ed  è  correttissima,  montre  la  lezione  del  Villari  è  in 
molti  Inoghi  assai  scorretta. 

(*)  V.  a  questo  proposito  nell'  Archivio  Storico  Italiano, disp.  la  del  1897  (serie  V,  tomo  XIX) 
le  tre  lettere  del  Savonarola  etnia  di  Fra  Domenico  da  Peseta  sull'unione  dei  conventi  di  San  Do- 


—  502  — 


riforma  già  cominciata  nei  chiostri,  nel  modo  conveniente,  alla  città  intiera, 
all' Italia,  alla  Chiesa  tutta,  non  poteva  essere  ignota;  e  nei  principi  corrotti  e 
corruttori  non  poteva  che  trovare  una  forte  opposizione.  Di  qui  l'odio  dei  po- 
tentati contro  di  lui  e  de' suoi  che  quest' idea  rappresentavano,  e  il  desiderio  di 
vederli  distrutti.  Si  era  riusciti  pertanto  un'altra  volta  a  far  breccia  sull'animo 
del  Papa  ed  a  persuaderlo  che  Fra  Girolamo  in  Firenze  guastava  ogni  cosa,  (  )  e 
sparlava  di  Sua  Santità  e  dei  Cardinali  peggio  che  non  avesse  fatto  mai,  conti- 
nuava a  disseminare  i  suoi  errori  nei  frati  e  nel  popolo  e,  per  farla  una  volta  finita, 
gli  consigliarono  e  ne  ottennero  questo  Breve  (2J  redatto  in  guisa  da  evitare  le 

Menico  di  Fiesole  e  di  Santa  Caterina  di  Pisa  con  quello  di  San  Marco,  pubblicate  da  Ginevra 
Niccolini  che  opportunamente  osserva  che  Lodovico,  Venezia,  Genova,  Ferrara.  Bologna  ed  an- 
che il  Re  di  Nàpoli  strenuamente  si  opposero  alla  separazione.  Le  paiole  da  noi  riportate  dalla 
cronaca  di  Perugia  si  leggono  nel  Masetti,  Monumenta  et  antiquitates  veteris  disciplinae  Ord. 
l'roed.,  voi.  I,  pag.  390  e  segg.  Ivi  si  hanno  ancora  convineentissime  prove,  se  ne  facesse  biso- 
gno, della  santità  di  vita  che  menavano  i  religiosi  della  nuova  Congregazione.  E  dice  l'au- 
tore essere  stata  cosa  provvidenziale  e  grande  benefizio  di  Dio.  che,  nella  fiue  del  secolo  XVI, 
sorgessero  tali  religiosi  esemplari  per  salvare  l'onore  e  il  decoro  dell'Ordine  in  Italia. 

(')  Che  in  Firenze  e  fuori  i  nemici  del  Savonarola  si  adoperassero  più  che  mai  a  get- 
tarlo a  terra  ed  a  toglierlo  di  mezzo  è  detto  apertamente  da  un  parzialissimo  scrittore 
a  lui  fieramente  avverso,  dal  Vaglienti.  Accennato  come  i  Compagnacci  non  sapevan  tolle- 
rare che  il  Frate  predicasse  l'anno  1496,  dice  :  «  Accostandosi  al  Carnasciale,  ed  essendo  pure 
istato  conosciuto  pel  popolo  la  malizia  di  costui,  terminarono  non  predicassi  e  ordinossi  in 
Firenze  una  certa  compagnia  di  giovani,  la  quale  vocavano  la  compagnia  de'  Compagnacci, 
i  quali  feciono  una  cena  tutti  d'accordo  in  casa  il  patriarca  per  lo  carnasciale;  e  quivi  mi 
stimo  facessino  proposito  di  levare  questo  frate  da  questo  barone  (sic)  e  di  condurre  le  cose  al  buoi» 
vivere  ».  Questo  il  glorioso  proposito  de' Compagnacci  il  quale  mostra  ancor  una  volta  quanta 
ragione  avesse  il  Frate  allorché  ciò  diceva  al  popolo  nelle  sue  prediche.  Né  desistettero  per 
questo  che  non  riuscisser  ad  aver  subito  una  Signoria  tutta  favorevole:  ma,  aggiunge  il  cro- 
nista, clic  veduto  il  Frate  montare  in  pergamo  ad  ogni  modo,  «  s'accordarono  insieme  detta 
compagnia  de'  Compagnacci  col  popolo  a  volere  spuntare  la  setta  di  detto  Frate  Geronimo». 
Come  poi  costoro  e  gli  Arrabbiati  cercassero  e  ottenessero  facilmente  l'alleanza  e  l'aiuto  del 
Moro,  e  quauto  servisse  a  siffatte  mene  il  Cardinale  Ascanio,  già  l'abbiamo  accennato  e  ap- 
pare manifesto  dai  documenti  pubblicati  dal  Del  Lungo  nell'Archivio  storico  italiano  e  dal 
Villari  nell'appendice  al  voi.  II  pag.  1  e  seguenti,  né  occorre  ripeterlo;  ma  bisogna  tuttavia 
che  il  lettore  lo  tenga  ben  fisso  in  mente. 

(=)  Non  so  qual  valore  possano  avere  a  questo  proposito  le  supposizioni  del  Pellegrini 
(luogo  cit.  pag.  717),  cioè  che  il  Cardinal  Caraffa  o  non  aveva  scorto  il  fine  riposto  del  Pon- 
tefice o  più  probabilmente  che  egli  ed  il  Generale  dell'Ordino  non  ne  erano  stati  scontenti,  ma 
era  anzi  parso  loro  un  buon  modo  a  togliere  il  Savonarola  da  un  luogo  dove  rimanendo, 
andava  incontro  a  certa  rovina,  nella  quale  avrebbe  potuto  travolgere  poi  anche  la  Con- 
grogazione  di  lui.  A  noi  pare  anche  possibile  che  a  questo  Cardinale  ed  al  Generale  dell'Or- 
dine, come  nota  il  Bayonne,  potesse  davvero  far  illusione  il  pensiero  di  estender  la  Riforma 
del  Savonarola  agli  altri  conventi  della  nuova  Provincia  e  che  perciò  patrocinassero  la  causa 
in  tutta  buona  fede.  Certo  il  Generale,  quando  avesse  voluto  togliere  il  Savonarola  da  Fi- 
renze, non  aveva  bisogno  di  ricorrere  al  Breve  Pontificio.  Sottoscriviamo  poi  molto  di  buon 
grado  a  ciò  che  ivi  (nota  2)  osserva  il  Pellegrini  stesso:  —  «  E  un  fatto,  che  non  troviamo 
cosa  che  possa  parer  mossa  da  animosità  contro  il  S.  nei  documenti  che  il  Gberardi  pubblica 
(6  Vili,  I,  2)  intorno  all'istituzione  della  nuova  Congregazione;  che  anzi,  il  nominar  coa- 
diutore del  procuratore  della  nuova  provincia  il  P.  Giacomo  di  Sicilia  al  S.  alfo/.ionatissimo 
(doc.  I;  p.  144)  poteva  addolcire  per  questo  l'amarezza  del  nuovo  provvedimento  e  della  no- 
mina a  procuratore  del  P.  Pianeesco  Mei;  e  l'altra  ordinanza  del  14  gennaio  1497  (doc.  2, 
p.  146;  per  la  quale  il  P.  Giacomo  di  Sicilia  doveva  deputar  dei  suoi  frati  a  certi  conventi, 
«  et  reliquoH  fratres  ibidem  moram  trahentes.  frati-i  Hieronymo  non  gratos,  licontiabit  »,  la- 
Huiava  apparire  verso  di  lui  una  certa  affettuosa  deferenza.  Quanto  ai  favori  dati  dal  Tor- 


—  503  - 


giuste  obiezioni  mosse  fin  qui  dal  Savonarola  stesso  contro  gli  altri  Brevi 
ponlificj. 

Questo  è  riconosciuto  ed  ammesso  chiaramente  anche  dal  Pastor,  nel 
quale  risuona  l'ultima  eco  delle  voci  che  allora  emisero  gli  avversar)'  del  Frate: 
«  Nella  città  dell'Arno  gli  animi  si  accaloravano  ogni  dì  più,  e  le  prediche  del 
Savonarola  erano  in  sommo  grado  acconce  a  metter  nuova  legna  sul  fuoco. 
Si  riferiva  di  là  che  egli  trattava  il  Papa  più  malamente  che  se  fosse  un  Turco 
ed  i  principi  italiani  peggio  ciie  eretici.  Le  prediche  contumeliose  del  Frate  pas- 
sarono presto  anche  le  Alpi.  Il  Savonarola  disse  più  volte  che  egli  aveva  rice- 
vuto degli  incoraggiamenti  eziandio  dalla  Germania;  viene  perfino  asserito  che 
il  gran  Sultano  per  leggere  quelle  prediche  le  facesse  tradurre  in  Turco....  Il 
Savonarola  ed  i  suoi  seguaci  facevan  mostra  di  un  terrorismo  ogni  giorno  più 
intollerando:  Chi  non  mi  crede,  predicava  il  fanatico  Profeta,  non  può  essere 
buon  Cristiano.  In  termini  vieppiù  forti  ripeteva  la  stessa  cosa  il  suo  fervoroso 
devoto  Fra  Domenico  da  Pescia  :  —  Terra,  mare  e  cielo  prima  passeranno  che 
la  dottrina  del  Savonarola  venga  abbattuta:  i  Cherubini  e  Serafini,  la  Vergine 
Maria  e  Cristo  stesso  prima  periranno.  —  »  (') 

«  11  nuovo  Breve  del  7  Novembre  1496,  continua  il  critico  d'Innsbruck, 
mirava  a  togliere  questi  disordini  e  ad  allontanare  da  Firenze  il  Frate  di  San 
Marco,  l'anima  della  fazione  francese....  » 

«  Lasciato  il  pensiero  di  riunire  San  Marco  con  la  congregazione  Lombarda 
ad  esso  ostile,  Alessandro  VI  ne  istituì  piuttosto  una  nuova  di  tutti  i  conventi 
Domenicani  di  Toscana  e  di  Roma,  con  un  vicario  suo  proprio  da  eleggersi, 
conforme  agli  statuti  dell'ordine,  ogni  biennio  da'  vari  Priori  ».  (pag.  354.)  (2j 


riano,  dopo  morto  il  S.,  alla  congregazione  Toscana  dei  domenicani  riformati,  vedi  il  §  9 
dello  studio  del  Guasti,  che  è  il  §  4  di  quest'opera  (pp.  9S-101)  »,  cioè  del  Gherardi. 

(')  Per  questo  terrorismo  preghiamo  il  lettore  a  non  dimenticare  ciò  che  abbiamo  scritto 
di  sopra,  specialmente  nel  cap.  XIV.  Non  ci  curiamo  di  ricercare  se  Fra  Domenico  pronun- 
ciasse, come  suonano,  le  espressioni  attribuitegli;  ma,  anche  dando  il  fatto  per  verissimo, 
crediamo  che  nessun  cattolico  possa  trovar  nulla  a  ridire:  la  dottrina  del  Savonarola,  anche 
secondo  il  suo  fervoroso  devoto,  era  la  dottrina  di  Cristo  e  della  Chiesa  Cattolica.  Per  la 
dottrina  propria  del  Savonarola  come  tale,  Fra  Domenico  non  si  sarebbe  certo  mostrato 
pronto  a  morire;  ma  come  il  suo  maestro  ripeteva  le  mille  volte  che  la  sua  dottrina  non 
era  sua,  ma  di  Cristo  (ed  ognuno  vedeva  eh'  ei  diceva  la  verità',  cosi  faceva  il  fervoroso  di- 
scepolo: di  qui,  se  mai,  le  espressioni  attribuitegli.  A  questo  Frate  appartiene  il  discorso  XXYII 
Sopra  i  Salmi,  da  noi  citato  a  pagina  193,  scambiandolo  nel  XXVTII,  che  è  del  Savonarola. 

È  inesatto  il  Pastor  dicendo:  Tutti  i  conventi  Domenicani  di  Toscana  e  di  Roma.  Trat- 
tasi qui  invece  di  togliere  5  conventi  dalla  congregazione  Lombarda  e  11  daUa  Provincia 
Romana  e  unirli  tutti  in  una  Congregazione  nuova  che  si  direbbe  Tosco-Romana.  Del  resto 
oltre  i  16  conventi  di  cui  si  occupava  il  breve,  ve  n'  erano  altri  molti  nella  Toscana  e  nello 
stato  Romano  come"  Santa  Maria  Novella  in  Firenze,  San  Domenico  di  Siena,  San  Domeuico 
d'Orvieto,  San  Domenico  d'Arezzo,  San  Giacomo  di  San  Miniato,  Santa  Maria  di  Civita- 
vecchia e  altri.  Segue  poi  il  Pastor,  e  dine  ;pag.  3Ò4J  che  all'ufficio  di  Vicario  di  questa  con- 
gregazione <  per  i  due  primi  anni  il  Papa  stesso  nominò  il  cardinale  Caraffa....  »  E 
un'  altra  inesattezza.  Il  Vicario  fu,  come  si  può  vedere  da'  Xuovi  Documenti  del  Gherardi, 
pag.  114,  il  Padre  Giacomo  di  Sicilia  che  nell'  opera  da  intraprendersi  per  la  riforma  dei 
conventi  dovtva  al  tempo  stesso  esser  coadiutore  del  P.  Francesco  Mei  Procuratore  ge- 
nerale dell'ordine....  La  bolla  Pontificia  dice  semplicemente  che  il  Vicario  per  i  due  primi 


—  504  — 


Se  avessimo  ancora  un  dubbio  che  il  vero  fine  del  Breve  Pontifìcio  fosse 
questo,  ce  lo  leverebbe  affatto  un'autorità  indiscutibile,  Alessandro  VI.  E  ce  lo 
leverebbe  con  la  stessa  sentenza  con  la  quale  fu  colpito  di  scomunica  Fra  Gi- 
rolamo. Infatti  nel  Breve  di  scomunica  si  dice  aperto  che  il  Breve  del  7  no- 
vembre fu  segnato  perchè  co'  brevi  antecedenti  il  Pontefice  non  aveva  ottenuto 
dal  Frale  ciò  che  sperava.  Questo  dunque  era  il  fine  principale  per  cui  veniva 
istituita  la  congregazione  Toscano-Bomana  e  si  voleva  che  ne  facesse  parte 
il  convento  di  San  Marco.  E  non  solo  nella  sentenza  di  scomunica  dice  questo 
Alessandro  VI,  ma  lo  ripete  non  men  chiaro  nel  Breve  alla  Bepubblica  Fioren- 
tina con  la  data  de'  26  febbraio  1498.  (*) 

Non  si  può  adunque  dubitare  che  questo  famoso  Breve  avesse  in  coloro 
che  lo  procurarono  questo  fine  recondito  (2),  di  ferire  Girolamo  Savonarola 
e  trarlo  o  più  presto  o  più  tardi  da  Firenze,  e  impedirgli  così  di  continuare  la 
predicazione  della  sua  riforma,  o  di  quelli  che  si  chiamavano,  e  li  chiama 
ancora  il  Pastor,  disordini.  (3) 

E  Fra  Girolamo  seppe  ciò  molto  per  tempo;  e  lo  disse  e  lo  pubblicò  poi, 
quando  il  tenerlo  nascosto  era  inutile  e  dannoso,  e  già  1'  avevano  manifestato 
i  suoi  avversarj. 

Nel  Sermone  V  sopra  l'Esodo,  dopo  aver  toccato  de'  modi  tentati  invano 


anni  per  cardinalem  Ntapolitanum  cu/m  Consilio,...  generalis  magistri  ordinis...  deputetur.  E  la 
cronaca  del  convento  di  Santa  Caterina  in  Pisa,  a  pag  611,  dice:  «  Novae  hujus  Congrega- 
tionis  vicarius  generalis  primus  a  Papa  creatus  erat  venerabilis  Pater  Frater  Jacobus  Si- 
culus  ».  V.  nel  Gherardi  il  doc.  I  a  p.  144. 

(')  V.  questo  breve  nel  Villari,  voi.  II,  pag.  lxvj. 

(2)  Con  tutto  ciò  noi  crediamo  che  questo  non  l'osse  il  line  unico  e  nemmeno  il  princi- 
pale del  Pontefice,  allorché  spedì  il  Breve.  Anzi  ci  piace  credere  che  se  ad  Alessandro  VI  aves- 
sero apertamente  proposto  una  cosa  simile,  egli  si  sarebbe  ricusato  di  firmare  un  tal  Breve. 
11  fine  principale  proposto  al  Papa  e  inteso  da  lui,  come  forse  da  qualche  buon  religioso, 
doveva  essere,  come  dice  il  Breve  stesso,  la  riforma  e  l'aumento  della  sacra  religione 
ne'  conventi  a  cui  esso  Breve  s'indirizzava,  e  che  il  Papa  per  il  suo  officio  era  tenuto  a 
favorire. 

(3)  Fra  le  asserzioni  da  noi  trascritte  dalla  pag.  354  del  Pastor,  vi  si  legge  anche  la  se- 
guente: «  Non  occorreva  punto  la  istigazione  da  parte  della  Lega  e  dui  Cardinale  Sforza  per 
far  determinare  ad  un  atto  decisivo  Alessandro  VI».  Questa  espressione  ùsofisticain  quanto 
suppone  la  verità  delle  calunnie  che  si  disseminavano  contro  il  Frate;  ma  ha  pure  un  senso 
verissimo;  ed  è  questo,  che  le  calunnie  onde  si  era  riempito  l'animo  del  Pontefice  di  sdegno 
contro  il  Savonarola  erano  di  tale  natura  e  tante  che  davvero  non  occorreva  altra  istiga- 
zione perchè  Alessandro  VI  dovesse  passare  alle  censuro.  Anche  qui  possiamo  anzi  ammi- 
rare la  longanimità  e  la  prudenza  del  Borgia,  che  accettava  una  proposta  conciliativa  e 
quasi  un  mezzo  termine,  anziché  trascorrer  subito  agli  estremi  rlmedj,  oomo  avrebbe  potuto 
fare.  Ma  coloro  che  volevano  porre  discordia  fra  lui  e  il  Savonarola,  avevano  solamente  bi- 
sogno di  opprimerei  Frateschi,  e  credevano  che  ora  tanto  bastasse.  Onde,  dopo  d'aver  acceso 
l'animo  del  Pontefice,  potevano  anche  consigliarlo  ad  esser  mite.  Facendo  il  contrario  era 
un  tirar  veramente  troppo  la  corda,  la  quale  poteva  anche  spezzarsi.  Chi  sa  che  il  Frate  non 
si  movesse  a  dar  volta  alla  chiavetta,  a  gridare  che  Lazzaro  venisse  fuora;  a  scoprirò  le  trame 
de' suoi  avversarj  e  a  manifestarne  particolarmente  le  magagne  al  popolo!  E  so  il  Pontefice 
veniva  a  conoscer  egli  come  si  passavano  veramente  le  cose?!  Il  giuoco  era  davvero  peri- 
coloso; e  noi  opiniamo  eho  anche  per  questo  siasi  voluto  processare  ed  uccidere  il  Frate  in 
Firenze.  No;  se  fosse  potuto  giungere  ad  Alessandro  VI,  non  avrebbe  finito  sul  rogo.  Del 
resto  alla  mina  dol  Frate,  vedremo  ora  che  i  suoi  nomici  procedono  a  passo  a  passo. 


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dai  suoi  nemici  per  opprimerlo,  afferma  che  «  non  reggendo  queste  vie,  ne  tro- 
varono un'altra  e  dissero:  questa  è  dessa:  e  vogliono  che  la  nostra  congrega- 
zione sia  unita  ed  incorporata  con  un'altra  ».  E  segue:  «  E  tutto  facevano  per 
cattivo  fine,  per  levarci  di  qua;  e  poter  guastare  questo  ben  vivere  e  questo  go- 
verno ».  E  nella  famosa  lettera  a  tutti  i  Cristiani  e  Diletti  in  Dio  ha  pure  as- 
serzioni molto  recise:  «  Questi  che  persuadevano  questa  unione  al  Papa,  non 

10  facevano  per  zelo  di  religione,  ma  per  perseguitare  me  solo,  e  per  questa 
via  trovare  occasione  di  procedere  contro  di  me,  credendo  che  io  non  con- 
sentirei a  tale  cosa  malefatta:  perchè  pure  la  conscienzia  gli  diceva,  che,  es- 
sendo cosa  perniciosa,  non  la  farò  ». 

Questo  passo  del  nostro  Frate  è  gravissimo  e  preghiamo  il  lettore  a  non 
passarlo  inosservato.  Certo  il  Savonarola  non  s'ingannava  nello  scrutare  così 
l'intenzione  de'suoi  nemici,  nè  occorreva  molto  senno  per  leggere  in  loro  que- 
sto pensiero  ch'essi  medesimi  fecero  palese  in  troppe  guise;  ma  qual  co- 
scienza dovevano  aver  costoro  se,  per  far  cadere  dentro  la  rete  quel  giusto,  si 
abusavano  di  ciò  eh'  egli  aveva  di  più  caro,  del  fermo  proposito  di  non  fare 
una  cosa  perversa,  specie  in  danno  de'  cari  novizj,  che  soleva  chiamare  gli 
angeli  suoi?  Ma  che  vale  parlar  di  coscienza  quando  si  ha  che  fare  con  uo- 
mini quali  erano  gli  avversarj  del  Savonarola?  Piuttosto  ne  piace  invitare  il 
lettore  ad  osservar  sin  d'  ora  che,  se  Fra  Girolamo  non  acconsentì  all'  unione, 
fu  solo  perchè  la  sua  coscienza  gli  diceva  ch'essa  era  cosa  malfatta  e  perni- 
ciosa; e  che  quindi  nessuno  deve  condannarlo,  senza  aver  prima  dimostrato 
eh'  egli  s' ingannava  ed  aveva  una  coscienza  vincibilmente  erronea. 

Giunti  a  questo  punto  e  fermate  queste  verità,  che  cioè  i  procuratori 
del  Breve  miravano  direttamente  a  togliere  il  Savonarola  da  Firenze  e  ad 
oppressare  i  Frateschi,  e  che  il  Savonarola  questo  sapeva  molto  bene,  che 
possiamo  dire?  Che  doveva  far  egli  in  questa  faccenda?  Si  governò  bene  ? 
A  pronunciare  un  retto  giudizio  noi  crediamo  che  ci  possa  aiutare  il  richia- 
mare alla  mente  le  parabole  che  abbiamo  trascritte  di  sopra.  (')  Sentite  però 
anche  la  seguente,  che  non  sarà  a  sproposito.  «  E'  fu  un  padre  di  famiglia, 

11  quale  aveva  ottanta  figliuoli.  Questo  padre  di  famiglia  aveva  una  bella  vi- 
gna; chiamò  tutti  i  suoi  figliuoli  e  diede  loro  due  comandamenti:  l'uno  uni- 
versale a  tutti,  che  governassero  e  coltivassero  bene  la  vigna;  l'altro  par- 
ticolare, che  obbedissero  al  maggiore  intanto  che  ciascuno  fosse  sottoposto  di 
mano  in  mano  al  più  vecchio  e  tutti  obbedissero  al  primo.  Era  questa  vigna 
ben  piantata  e  acconcia  bene  con  legni  e  con  pali.  Lavorarono  adunque  co- 
storo un  tempo  questa  vigna  ;  poi  cominciarono  a  lasciarla  incoltivata  e  a  darsi 
buon  tempo  con  meretrici  e  con  lussuriosi,  intanto  che  la  vigna  era  deserta, 
e  convertissi  in  lambnischi. 

«  E  non  avendo  questi  fratelli  legna  da  ardere,  cominciarono  a  tagliare  le 
viti  e  arderle.  Il  minore  fratello  di  tutti,  gli  pareva  pur  male  che  la  vigna  si 


(  )  Vedi  il  cap.  XXV,  e  specialmente  la  pag.  396. 


—  506  — 


guastasse,  e  vedendo  che  la  andava  in  ruina,  cominciò  a  dire  tra  se  medesimo: 
—  Per  certo  nostro  padre  ci  disse  a  tutti,  e  fece  comandamento  a  ciascheduno 
che  dovesse  aver  cura  di  questa  vigna  e  governarla  bene,  e  che  ciascuno  la 
coltivasse.  —  Donde  costui  chiamò  dieci  di  quei  minori  fratelli  e  con  seco  co- 
minciarono a  racconciar  la  vigna,  cioè  quella  parte  che  poterono.  Gli  altri  fra- 
telli, che  vedevano  che  questi  dieci  minori  molto  si  affaticavano,  e  sudavano 
tutto  il  dì  per  racconciar  questa  vigna,  se  ne  ridevano.  Gli  altri  superiori  a 
questi  infino  a  venti  cominciarono  a  dire:  Costoro  guastano  questa  vigna! 
E' pare  che  la  vogliano  acconciare,  tuttavia  e' la  guastano.  La  gente  che  passava 
per  la  via  allato  alla  vigna,  e  vedevano  costoro  lavorare  e  sudare,  cominciarono 
a  lodarli  e  dicevano:  Guarda,  questi  poveri  uomini  tutto  di  si  affaticano  e  su- 
dano per  acconciar  questa  vigna,  e  quelli  altri  fratelli  la  guastano.  La  qualcosa 
udendo  gli  altri  fratelli  che  prima  si  ridevano  di  costoro,  cominciarono  non  so- 
lamente a  farsi  beffe,  ma  a  averne  in  odio  la  lode  che  loro  era  data;  e  crebbe 
la  invidia  tanto  che  andarono  agli  altri  loro  fratelli  maggiori  e  dissero:  Questi 
nostri  fratelli  minori  guastano  questa  vigna,  e  ne  è  cagione  l'ultimo  nostro  fra- 
tello minore,  perchè  e'  non  lavorano  per  far  frutto,  ma  per  ipocrisia,  cioè  per 
parere  di  esser  quelli  che  vogliono  osservare  il  comandamento  del  nostro  padre 
di  lavorarla.  E  tanto  crebbe  questa  questione  che  andò  insino  al  primo  mag- 
gior fratello,  il  quale  credendo  alle  false  persuasioni  de' minori,  fè  comanda- 
mento che  non  si  lavorasse  nè  acconciasse  la  vigna  da  quest'ultimo  fratello  e 
dagli  altri  che  lo  seguitavano.  Per  la  qual  cosa  questo  fratello  minore  cominciò 
a  dire:  Il  nostro  padre  ci  fe' pure  due  comandamenti,  l'uno  che  noi  acconcias- 
simo la  vigna,  l'altro  che  noi  obbedissimo  al  maggior  fratello.  Ma  questo  co- 
mandamento secondo  si  deve  intendere  che  non  sia  contrario  al  primo;  cioè 
che  non  sia  contro  l'utilità  della  vigna:  ma  s'intende  aver  a  obbedire  il  mag- 
gior fratello  in  quelle  cose  che  sieno  a  cultura  della  vigna.  E  però  questo  ul- 
timo scrisse  al  primo  fratello,  e  dissegli:  Benché  io  abbia  comandamento  dal 
padre  nostro  di  obbedirli,  nondimanco  io  ho  anche  il  comandamento  di  colti- 
vare la  vigna,  e  non  s'intende  che  tu  possa  comandarmi  in  quelle  cose  che 
sieno  contro  l'utilità  della  vigna;  ma  in  quello  che  sia  a  coltura  della  vigna  li 
voglio  obbedire.  Il  padre  di  tutti  questi  fratelli  intese  questa  questione  e  disse 
ai  fratelli  minori:  Seguitale  pure  il  mio  comandamento  di  coltivare  la  vigna, 
perchè  io  verrò  presto  e  stirperò  e  punirò  coloro  che  han  guasta  la  vigna,  e 
non  vogliono  che  la  si  racconci;  e  a  voi  meriterò  e  darovvi  roba  assai,  e  anche 
la  corona....  ».  (') 


(')  Crediamo  inutile  di  ripetere  qui  ciò  che  si  è  detto  di  sopra  sulla  teorica  dell'obbe- 
dienza. Raccomandiamo  però  al  lettore  di  non  dimenticare  neppure  una  delle  cose  elio  ab- 
biamo ragionato  nei  capitoli  XXI1-XXVIII;  perchè  in  caso  diverso  eeli  correrebbe  rischio 
di  fraintendere  tutto,  e  pronunciare  qui  un  giudizio  assai  falso,  sia  assolvendo,  sia  condan- 
nando il  Frate.  L'obbligo  dell'obbedienza  al  Papa  in  genere,  non  vien  meno  semplicemente 
perché  noi  si  ritenga  eh'  egli  abbia  torto;  ma  a  ciò  è  necessario  che  ci  troviamo  in  uno  dei 
c»si  altrove  esposti.  Cosisi  vogliono  intendere  queste  espressioni  del  Savonarola,  come  ap- 
pare evidente  dal  ragionato  fin  qui  e  dal  contesto  medesimo  della  predica  XXVII  sopra 
Amos,  da  cui  son  tolte;  predica  non  censurata  punto  dalla  Chiesa,  nemmeno  sotto  Paolo  IV. 


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Pensando  a  tutte  queste  parabole,  e  tenendo  presente  ogni  circostanza,  vi 
sarà  facile  vedere  nel  nostro  Frate  veramente  il  figliuolo  che  coltiva  la  vigna  a 
dovere,  cui  i  ladroncelli  volevan  guastare,  e  perciò  calunniavan  quello  presso  il 
padre,  persuadendogli  di  richiamarlo  ;  vi  sarà  facile  veder  il  Savonarola  nel  gar- 
zone che  ben  governava  la  ragion  vostra  a  Bruges,  e  cuii  vostri  nemici  vi  mos- 
sero con  lettere  malediche  a  ritorgliere  il  mandato;  vi  sarà  facile  vedere  il  Sa- 
vonarola nel  servo,  che  mandato  dal  re  sotto  la  condotta  di  un  barone  ad  un'im- 
presa, contro  il  volere  di  questo  male  informato,  riporta  la  vittoria  desiderata 
da  quello.  E  come  quelli  colà  fecero,  così  vedrete  che  qui  doveva  fare  il  Savo- 
narola; e  come  là  vedeste  che  il  figliuolo,  il  garzone,  il  servo  non  disobbedirono, 
ma  piuttosto  fecero  il  volere  del  loro  superiore,  imperocché  non  dovevano  guar- 
dare alle  parole,  ma  all'intenzione  del  comando,  così  vedrete  che  qui  fece  Gi- 
rolamo Savonarola;  e  non  pur  lo  assolverete,  malo  dovrete  anche  lodare;  poi- 
ché nella  sua  apparente  ribellione  e  reale  obbedienza  diè  prova  d'  un'  eroica 
fortezza  d'  animo  e  non  dubitò  di  esporsi  a  grave  pericolo  e  di  mettervi  la  vita. 

E  la  parabola  ora  citata  ci  sembra  non  men  chiara  delle  altre  e  non  meno 
espressiva;  ed  il  Frate  del  resto  ce  la  espose  anche  egli  stesso:  sentite  l'espo- 
sizione, e  poi  giudicate  se  essa  non  quadri  perfettamente. 

«  Il  padre  di  famiglia  è  Dio.  Gli  ottanta  figliuoli  sono  tutti  i  cristiani.  I  fra- 
telli significano  che  siamo  tutti  uguali  in  natura,  e  ancora  uguali  in  grazia  ;  non 
che  tutti  gli  uomini  sieno  in  grazia,  ma  perchè  ognuno  che  nasce  è  atto  alla 
grazia,  e  chi  più  si  adopera  più  avrà  grazia:  perchè  appo  Dio  non  v'è  maschio 
nè  femmina,  e  Dio  non  è  accettatore  d;  persone,  come  dice  S.  Paolo;  ma  è  bene 
distinzione  tra  gli  uomini  quanto  alla  dignità,  come  son  i  prelati,  che  sono  supe- 
riori agli  altri.  Il  padre  adunque,  Dio,  ha  posta  la  vigna,  che  è  la  Chiesa,  la 
quale  ha  piantata  colla  passione  del  suo  Figliuolo,  col  sangue  dei  martiri,  con  le 
predicazioni  degli  Apostoli;  l'ha  fortificata  di  legni  e  di  pali,  cioè  della  dottrina 
de'  Dottori;  l'ha  potata  da'peccati  e  vizj  e  l'ha  data  a' figliuoli,  cioè  ai  cristiani, 
ed  ha  fatto  loro  due  comandamenti,  il  primo,  che  ognuno  sia  obbligato  a  colti- 
vare la  vigna,  cioè  l'anima  sua  prima,  e  poi  similmente  quella  del  suo  prossimo, 
il  secondo  che  ognuno  obbedisca,  in  questo  a'  suoi  maggiori,  e  tutti  i  cristiani  al 
maggior  fratello,  che  è  il  Papa.  Quanto  al  primo,  tu  sei  obbligato  secondo  tutti  i 
Dottori  e  l'opinione  di  San  Tommaso,  di  Santo  Agostino  e  di  tutti  gli  altri  a 

metter  la  vita  per  la  salute  dell'anima  del  tuo  fratello  Sicché  si 

deve  coltivare  la  vigna  in  sé,  cioè  nell'anima  sua,  e  nel  suo  fratello  ;  e  se  tu  vedi 
che  la  vigna  va  male,  tu  sei  obbligato  a  racconciarla,  se  puoi. 

«  Pertanto  il  minor  fratello  cominciò  già  parecchi  anni  sono,  a  voler  raccon- 
ciar la  vigna,  e  cominciossi  a  illuminare  il  cieco;  mai  suoi  fratelli  sene  fecero 
beffe.  Poi  pur  cominciarono  a  dire:  Io  voglio  fare  ancora  io.  L'invidia  degli  altri 
fratelli  cominciò,  ed  è  tanto  cresciuta  che  è  andata  questa  questione  insino  al  mag- 
gior fratello,  al  quale  è  stato  detto  per  invidia,  che  questa  vigna  è  mal  coltivata 
dal  minor  fratello,  e  che  ei  la  guasta.  E  si  è  risposto  che  ogni  comandamento  fatto 
contro  la  carità  non  è  legge,  nè  comandamento,  ma  dissipamento,  e  che  non 
crediamo  che  sia  intenzione  del  maggior  fratello;  onde  non  dobbiamo  obbedire, 


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perchè  bisogna  risguardare  alla  intenzione  e  non  alle  parole.  Dunque,  perchè  il 
primo  comandamento  è  di  coltivare  la  vigna  e  mantenerla,  ognuno  deve  avere 
zelo  dell'onore  di  Dio.  Ma  perchè  i  superiori  non  vogliono  avere  questo  zelo, 
però  Dio  ha  deliberato  suscitare  i  pescatori  un'altra  volta  e  i  poverelli,  i  quali 
difendano  questa  vigna.  Vedi  il  pescatore  Pietro  che  non  volle  obbedire  a'  sa- 
cerdoti che  facevano  comandamento  contro  la  vigna!  Si  che  Dio  susciterà  i  pe- 
scatori un'altra  volta  e  i  semplici.  Vedi  che  ha  cominciato  a  suscitare  i  fanciulli 
i  quali  hanno  zelo  dell'onor  di  Dio  più  che  avete  voi,  e  loro  avranno  a  colti- 
vare questa  vigna!  Sicché  quando  il  comandamento  non  è  a  coltura  della  vigna, 
ma  contro  l'utilità  della  vigna,  non  si  deve  obbedire!  Così  dice  S.  Bernardo  e 
gli  altri  Dottori:  Va,  leggi  bene.  Dice  adunque  il  padre  al  figliuolo  minore:  Va 
pur,  coltiva  la  vigna;  seguila  a  racconciarla,  perchè  io  verrò  presto,  e  vedrai 
poi  quello  che  farò  a  chi  è  stato  contro  la  vigna....  ».  (Sopra  Amos,  pred.  XXVII.) 

E  così  doveva  veramente  aspettarsi  il  Frate  che  il  Pontefice  facesse,  se 
non  aveva  a  pronunziare  del  Vicario  di  Cristo  un  troppo  tristo  giudizio.  Certo, 
se  il  Savonarola  fosse  potuto  giungere  sicuramente  ad  Alessandro  VI  ed  avesse 
potuto  esporgli  lo  stato  vero  delle  cose,  questi  avrebbe  cessalo  dal  persegui- 
tarlo. Ogni  volta  che  Alessandro  VI  potè  sentire  le  ragioni  del  Savonarola  cessò 
sempre  di  recargli  molestia.  Onde,  se  il  Frate  fosse  potuto  giungere  a  Roma  e 
parlargli  con  agio,  opiniamo  che  ne  sarebbe  ripartito  colla  benedizione  del 
Papa;  il  quale,  per  quante  gli  se  ne  possa  dire,  io  non  trovo  che  abbia  mai 
perseguitato  in  nessuno  nè  la  pietà,  nè  la  fede,  nè  la  buona  vita.  Ora,  quand'egli 
avesse  potuto  persuadersi  che  Fra  Girolamo  non  predicava  falsi  e  pestiferi 
dogmi,  non  diceva  male  particolarmente  di  Sua  Santità  nè  de'  Cardinali,  non 
teneva  il  popolo  fiorentino  dallo  entrar  nella  Lega,  ma  solo  gli  predicava  il 
timore  di  Dio  e  il  ben  vivere,  chi  può  pensare  che  volesse  tuttavia  servire  alle 
trame  del  Moro  e  de'Compagnacci?  Forse  per  questo  i  nemici  del  Savonarola, 
pur  avendo  suggerito  al  Pontefice  di  chiamare  a  sè  il  Frate,  quando  videro  che 
quegli  si  disponeva  a  provvederlo  di  scorta  per  guisa  che  non  avesse  a  patir 
male  veruno  nel  viaggio,  (l)  cambiarono  tattica,  nè  procederono  oltre  per  que- 
sto campo;  e  anche  quando  1' ebber  nelle  loro  mani  e  potevan  condurlo  essi  al 
Papa,  che  pur  lo  reclamava,  ricusaron  di  farlo,  nè  furon  contenti  se  non  quando 
lo  vider  morto  in  Firenze.  (") 

Ma  Fra  Girolamo  ora,  come  già  nel  1495,  vedeva  bene  che  la  sua  par- 
tita da  Firenze  sarebbe  riuscita  di  grave  danno  e  alla  città  e  a'  suoi  conventi, 
e  perciò,  sapendo  che  chi  lo  voleva  quindi  togliere  erano  i  tristi,  che  miravano 
appunto  a  uccider  lui  e  guastar  quel  governo  e  quel  ben  vivere  da  lui  intro- 
dotto, e  che  per  questo  fine  avevan  con  arte  diabolica  circonvenuto  il  Papa  e 
suggeritogli  il  pernicioso  Breve,  stimava  quindi  suo  obbligo  fare  quanto  era  in 
sè,  perchè  i  costoro  empi  disegni  fossero  dispersi,  e  il  Breve  pontificio  non 

(')  Gherardi,  pag.  219. 

(-)  Vodi  per  questo  i  documenti  pubblicati  da  0.  Lupi  e  segnati  coi  muri.  VIII-IX  e  spe- 
cialmente il  XIII,  e  ne  troverai  ila  saziarti. 


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si  mutasse  per  lui  e  pe'  suoi  frati  in  comando  di  lasciar  la  diletta  città,  dichia- 
rando al  Pontefice  il  vero  stato  delle  cose,  e  supplicandolo  della  revoca,  e  giu- 
stificando in  ogni  caso  la  sua  condotta. 

S'  ingannava  forse  il  Frate?  Io  non  oserei  ciò  dire  nè  poco  nò  punto  ;  e  ad 
ogni  modo  non  era  solo  opinione  sua  e  de' suoi,  che  la  città  venisse  a  rovinare 
quando  egli  fosse  tolto  da  Firenze:  questo  lo  pensavano  e  credevano  anche  i 
suoi  avversarj.  Paolo  Somenzi,  allorché  il  Savonarola  fu  preso,  scriveva  al  Moro: 
«  La  V.  Ecc.  e  tutto  il  resto  dei  potentati  d'Italia  avranno  ora  ad  esser  certi 
che  questa  Repubblica  non  cercherà  di  tirare  Francesi  in  Italia,  perchè  oggi  si 
è  cavato  lo  stalo  dalle  mani  di  quei  cattivi  cittadini  che  seguitavano  quel  ri- 
baldo Frate....  Ora  si  può  dire  la  cosa  essere  ridotta  al  fine  desiderato,  e  si 
tiene  per  certo  che  il  popolo  non  farà  altra  novità  da  poi  che  si  è  preso  questi 
ribaldi  Frati,  e  morto  Francesco  Valori....  V.  III. ma  Signoria  ha  ad  essere  certa 
che  la  governerà  questa  Città  a  suo  modo....  perchè  ora  si  sono  levati  gli 
ostacoli,  ed  i  nemici  di  V.  Ecc.  sono  andati  al  basso,  e  stati  sbattuti  per  ma- 
niera che  non  sono  per  levare  il  capo  fino  a  un  pezzo;  anzi  faranno  assai  a 
potere  stare  in  la  città:  e  si  crede  che  molti  ne  saranno  puniti....  Non  posso 
andare  per  la  Città  che  da  ogni  canto  non  mi  sia  fatto  carezze,  e  dettomi:  Vo- 
glia pregare  il  tuo  Ill.mo  Signore  che  voglia  aiutare  questo  popolo,  il  quale 
porta  tanta  affezione  a  Sua  Eccellenza,  che,  bisognando,  metteremo  la  robba  e 
persone  proprie  in  beneficio  di  quella....  Ora  la  Eccellenza  vostra  non  ha  più 
ostacolo  a  potere  disporre  di  questa  città  come  vorrà,  perchè  quelli  che  ora 
hanno  il  governo  dello  Stato  sono  tutti  devotissimi  alla  Ecc.  Vostra,  e  disposti 
a  volersi  governare  secondo  i  prudentissimi  ricordi  di  quella  ».  (*) 

Si  pensi  un  momento  chi  era  Lodovico  il  Moro,  e  poi  si  vedrà  subito  quale 
gravissimo  peso  abbiano  le  espressioni  trascritte  ;  e  si  vedrà  anche  meglio  che 
qui  nessun  cattolico  potrà  mai  condannar  giustamente  il  Frate:  o  la  teorica 
esposta  e  dimostrata  cattolica  ne'  capitoli  antecedenti  si  deve  cassare  e  ritener 
teorica  astratta  e  vana,  o  bisogna  aver  anche  il  coraggio  di  assolvere  il  Savona- 
rola, trovandosi  egli,  come  è  evidente  dal  ragionato  fin  qui,  nel  caso  che  questa 
teoria  contempla.  Fra  Girolamo,  non  ebbe  vero  comando  di  partirsi  da  Firenze, 
ma  quando  lo  avesse  avuto,  dovendo  nel  caso,  per  eseguirlo,  lasciare  che  i  tri- 
sti e  ribaldi  guastassero  la  vigna  di  Dio  che  il  Papa  voleva  coltivata  come  egli 
la  coltivava,  doveva  rescrivere  e  soprassedere.  Sarebbe  incorso  nella  giusta  indi- 
gnazione del  Pontefice  e  di  Cristo,  se  partiva;  e  ne  secondava  il  giusto  volere 
restando. 

Ma  tutto  questo  non  riguarda  a  rigore  la  questione  dal  lato  canonico, 
nè  considera  direttamente  il  Savonarola  in  semplice  rapporto  con  Alessan- 
dro VI.  Facciamo  adunque  un  altro  passo,  entrando  meglio  nel  campo  giu- 
ridico, e  vediamo,  pigliando  meglio  in  esame  il  Breve  pontificio  che  ci  oc- 
cupa e  la  condotta  de' Frati  di  San  Marco,  se  ci  sia  aperta  un'altra  via  alla 
difesa  del  Nostro. 


(')  Vinari,  II,  pag.  icvij,  xoviij,  xcix. 


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Ha  il  Pontefice  il  diritto  di  emanare  Brevi  della  natura  di  quello  clie 
porta  la  data  dei  7  novembre  1496?  Considerando  il  quesito  in  modo  asso- 
luto, bisogna  rispondere  affermativamente.  La  materia  che  tratta  questo  Breve 
è  cosa  esterna  e  di  diritto  positivo,  e  perciò  cade  nella  potestà  del  Pontefice, 
il  quale  può  disporne  come  gli  paia  meglio.  Sarebbe  strano  davvero  se  fra 
i  cattolici  si  levasse  alcuno  a  contendere,  parlando  in  modo  semplice  ed  as- 
soluto, il  diritto  al  Papa  di  insti luire  una  Congregazione  come  quella  che  in- 
stituiva  Alessandro  VI;  e  stranissimo  sarebbe  poi  se  chi  lo  fa  fosse  un  reli- 
gioso che  ha  giurato  in  modo  solenne  obbedienza  al  Papa  stesso  capo  e  mo- 
deratore supremo  di  ogni  Ordine. 

Ma  Alessandro  VI  aveva  questo  diritto  anche  nel  caso  speciale  di  cui  si 
tratta,  considerata  ogni  circostanza?  Qui  forse  potrebbesi  fare  qualche  que- 
stione abbastanza  elegante  e  bella,  che  potrebbe  dar  pensiero  anche  a  va- 
lenti canonisti;  ma  ci  condurrebbe  un  poco  per  le  lunghe:  noi  la  lasciamo,  e 
diamo  anche  qui  come  vero  il  diritto  richiesto,  se  altri  lo  voglia.  Potrà  forse 
non  apparire  onesto  e  lecito  l'  esercizio  di  simile  diritto,  ma  a  rigore  non  si 
potrebbe  chiamare  un'ingiustizia  di  eccesso;  e  ad  ogni  modo  Alessandro  VI 
avrebbe  dovuto  renderne  conto  a  Dio,  ma  non  agli  uomini.  La  disciplina  ec- 
clesiastica forse  non  soccorrerebbe  troppo  sollecita  a  colui  che  volesse  inse- 
gnare il  contrario  e  praticarlo.  Non  poche  sono  o  possono  essere  le  sentenze 
ingiuste  da  parte  del  giudice  a  cui  è  tuttavia  bene  che  il  colpito  si  conformi. 

Or  dunque  quale  doveva  essere  la  condotta  de'  Frati  di  San  Marco  com- 
presi fra  quelli  a  cui  il  Breve  era  indirizzato?  A  me  pare  che  si  debba  fare 
una  distinzione:  o  essi  erano  persuasi  e  convinti  che  Alessandro  VI  cono- 
sceva perfettamente  ciò  che  importava  il  Breve,  e  lo  voleva  ad  ogni  modo  ese- 
guito; o  essi  erano  persuasi  del  contrario. 

Nel  primo  caso  a  me  pare  che  ai  singoli  Frati  non  restasse  via  migliore 
che  quella  di  eseguire  esternamente  il  Breve.  Lo  so,  qui  possono  farsi  delle 
obiezioni  assai  forti;  ma  lo  spirito  religioso  può  non  badarvi,  e  non  ragionar 
troppo. 

Voleva  Alessandro  VI  distruggere  ad  ogni  modo  la  nuova  Congrega- 
zione di  San  Marco?  Dio  che  permetteva  nel  capo  della  sua  Chiesa  un  tale 
arbitrio,  avrebbe  trovalo  modo  egli  di  provvedervi  ;  ai  nostri  Frati,  dopo  che 
avessero  tentato  ogni  mezzo  per  rimuovere  da  tale  proposito  la  volontà  pon- 
tifìcia, altro  non  restava  che  porre  la  loro  fiducia  nella  divina  provvidenza, 
e  raccogliersi  rassegnati  in  quelle  celle  che  sarebbero  state  loro  destinate  e 
pregare  il  cielo  che  si  compiacesse  di  abbreviar  loro  i  giorni  di  prova.  E  ol- 
tre al  dolore  che  già  provavano,  non  avrebbero  essi  dovuto  sentir  rimorso 
se  mai  non  fosse  più  stalo  loro  possibile  di  vivere  in  comunità  così  ristretta 
come  quella  di  San  Marco,  perchè  nell'ordine  pontificio  potevano  vedere  al- 
meno implicita  la  dispensa  a  ciò  necessaria.  Cosi  facendo,  avrebbero  messo 
in  pratica  una  virtù  eroica;  e  Dio  e  San  Domenico  non  potevano  venir  loro 
meno:  essi  non  avrebbero  cercato  il  pencolo,  non  si  sarebbero  messi  da  sè 
in  quello,  ma  per  una  forza  superiore,  a  cui  non  giovava  il  resistere:  duri- 


—  511  — 


que  non  sarebbero  ad  essi  mancati  gli  aiuti  necessarj.  Non  saprei  mutare 
questo  giudizio  nemmeno  al  pensiero  che  de'  duecentocinquanta  religiosi  di 
San  Marco  neppure  un  quinto  forse  aveva  più  di  quattro  o  cinque  anni  di 
vita  religiosa.  (*)  Dio  non  permette  che  alcuno  sia  tentato  sopra  le  sue  forze. 
Pericolerebbero  di  più  i  novizj?  Essi  potevano  anche  ritirarsi  nelle  case  loro 
e  attendervi  giorni  migliori,  o  passare  ad  altre  religioni,  od  anche  all'eremo, 
come  alcuni  dicevano  appunto  che  avrebbero  fatto:  questo  nessuna  legge  nè 
civile  nè  canonica  lo  impediva. 

Queste  mie  vedute  forse  alcuno  potrebbe  ritenerle  come  effetto,  almeno 
in  parte,  del  maggior  bisogno  che  v'  è  ora  di  disciplina  nel  clero  per  le  at- 
tuali condizioni  dei  capi  ecclesiastici,  ben  diverse  da  quelle  del  secolo  XV,  e 
del  pericolo  molto  maggiore  di  scisma  che  produrrebbe  ora  una  qualunque 
resistenza  all' autorità  pontificia;  ma  ad  ogni  modo  io  non  so  pensare  che  1 
religiosi  cresciuti  all'  ombra  di  Fra  Girolamo  avesser  potuto  vedere  una  via 
migliore  di  questa.  Non  nego  che  forse  a  tutto  rigore,  e  considerata  ogni  cir- 
costanza, avrebbero  anche  potuto  fare  altrimenti;  ma  questa  condotta  mi  sa- 
rebbe pur  sempre  apparsa  la  migliore,  la  più  generosa,  la  più  cattolica  per 
ognuno  di  loro  personalmente.  Anzi  io  son  certo  che  nel  caso  questa  virtù 
eroica  l'avrebbero  praticata  quei  religiosi,  imperocché  piuttosto  che  disobbe- 
dire al  Pontefice,  essi  ripetevano  di  voler  morire,  e  non  cessavano  dal  dire 
che,  quando  il  Pontefice  stesso  fosse  bene  informato  e  comandasse,  sarebbero 
andati  dove  a  lui  piaceva. 

Ma  si  trovarono  essi  nel  caso?  o  poterono  almeno  esser  convinti  e  per- 
suasi che  vi  si  trovavano?  che  proprio  Alessandro  VI  come  gli  altri  potentati 
d'  Italia,  volesse  disperdere  i  buoni  frutti  prodotti  in  Firenze  dall'  esempio  e 
dalla  parola  di  Fra  Girolamo?  che  proprio  volesse  arrestare  l'incominciata  ri- 
forma? distruggere  la  rifiorente  Gongregazione  ?  Recisamente,  no.  (2)  Quando 
Alessandro  VI  avesse  conosciuto  la  verità  de' fatti,  e  visto  a  che  cosa  condu- 
ceva  il  suo  Breve,  non  1'  avrebbe  segnato. 

Questo  pensarono  sempre  quei  buoni  religiosi  di  San  Marco,  i  quali,  soli 
forse  in  quella  empia  età,  in  mezzo  a  tanti  bruiti  avvenimenti,  non  pronuncia- 
rono mai  un  giudizio  che  potesse  offendere  la  rettitudine  di  Alessandro  VI; 


(')  Questo  si  può  provare  ad  evidenza  dai  libri  delle  vestizioni  che  ancora  si  conservano 
e  dai  documenti  del  Gherardi;  ed  è  detto  esplicitamente  da  Fra  Girolamo  nell'Apologia. 

(2)  Questo  poterono  poi  pensare  gli  scrittori  delle  cronache  di  Santa  Caterina  di  Pisa  e 
di  S.  Spirito  di  Siena  che  usano  al  proposito  frasi  molto  severe,  le  quali  indicano  come 
fosse  poi  giudicata  la  decisione  di  Alessandro  VI:  Horresco  referens  impiissimum  facinui  quod 
Sttpremus  custos  in  vinta  Domini  Sabaoth  in  Domini  sui  nervo.?  admisit  •  .  Cosi  la  cronaca  di  S.  Spi- 
rito di  Siena  ;  e  quella  di  Pisa  :  «  Alexander  VI  qui  inilium  conareijationi  dederut,  a  malo  (ut  pu- 
tamus)  actus  datinone,  in  ejus  primordio  Ulani  ni.sus  est  suffocare  ».  (pag.  b'2^;).  Ila  i  frati  di 
San  Marco  non  proferiron  mai  di  Alessandro  VI  simil  giudizio.  Ad  essi,  come  al  Savonarola, 
dovevano  esser  note  le  trame  degli  avversar),  che  ora  noi  in  parte  conosciamo  peri  nuovi 
Documenti;  mentre  i  cronisti  e  molti  che  vennero  di  poi,  riversarono  immeritamente  sul 
capo  di  Alessandro  VI  la  responsabilità  del  fatto.  La  cronaca  del  Convento  di  Pisa  fu  scritta 
verso  il  1Ò50. 


—  512  — 


soli  forse  rispettarono  nel  Borgia  la  grande  potestà  ond'  egli  era  investito:  non 
penetrò  mai  nell'animo  loro  che  Alessandro  VI  volesse  una  cosa  malfatta  e 
perniciosa;  o  per  lo  meno  ciò  non  mostrarono  di  fuori  mai  nella  lotta  che  eb- 
bero a  sostenere;  tanto  che,  studiando  noi  questa  lotta  specialmente  nelle 
Opere  del  loro  Vicario,  la  figura  di  Alessandro  VI  ci  apparve  assai  più  onesta 
e  bella,  che  non  c'  era  apparsa  generalmente  negli  storici  cattolici. 

E  allora  quale  doveva  essere  la  condotta  di  questi  Frali?  Quale  fu  e  non 
altra:  essi  in  questa  dolorosissima  occasione  si  mostrarono  degni  della  buona 
reputazione  che  godevano;  veri  religiosi  di  San  Domenico  ;  e  non  compierono 
atto  alcuno  che  non  fosse  perfettamente  retto. 

I  Frati  di  San  Marco,  col  Vicario  loro,  rescrissero  come  dovevano  e  non 
lasciarono  nulla,  come  è  detto  nel  principio  dell'  Apologia  (*),  per  far  conoscere  la 
loro  innocenza,  la  quale  d'altra  parte  era  notissima  a  Dio  e  a  tutta  la  città:  e 
per  dimostrare  la  impossibilità  di  quest'  unione  e  il  danno  che  ne  sarebbe  loro 
venuto.  E  questo  era  riuscito  loro  sì  bene,  ch'essi  speravano,  anche  per  la  di- 
gnità della  Sede  Apostolica,  com'è  detto  ivi  stesso,  che  il  Pontefice  medesimo, 
conosciuta  la  verità,  abbraccerebbe  la  parte  loro.  Anzi  il  Savonarola  soggiunge 
che  gli  avversarj,  pur  volendo  far  la  risposta,  non  poterono  fargliela:  perchè, 
come  scrive  nella  lettera  a  tutti  i  Cristiani  e  diletti  di  Dio,  esse  ragioni  «  con- 
cludono e  convincono  ogni  intelletto  ».  E  importante  a  questo  riguardo  un  passo 
del  Sermone  V  sopra  l'Esodo:  detto  ivi  che  i  nemici  della  verità  e  del  ben  vi- 
vere, vedendo  che  non  reggevano  le  accuse  e  le  vie  tenute  fino  ad  allora  per 
toglierlo  da  Firenze  e  guastare  il  bene  comune  ed  il  buon  Governo,  volevano 
che  la  Congregazione  fosse  unita  ed  incorporata  con  un'altra,  soggiunge:  E 
fugli  fatto  le  risposte  ed  allegate  molte  ragioni,  e  mostrogli  apertamente  che 
quel  loro  comandamento  non  era  cosa  ragionevole.  Ed  alcuni  vollero  fare  la  ri- 
sposta, e  non  poterono  rispondere  alle  nostre  ragioni,  onde  vennero  in  tanta  ira 
che  stracciarono  le  carte  ». 

Ecco  adunque  come  passarono  le  cose.  Avendo  i  Frati  di  San  Marco  ri- 
cevuto un  Breve  di  quelli  nella  spedizione  de'  quali  Benedetto  XIV  (*)  avrebbe 
poi  detto  essere  molto  facile  che  i  Pontefici  siano  ingannati,  o  perchè  loro 
venga  narrato  il  falso,  o  sia  tenuta  occulta  qualche  verità,  che,  conosciuta,  li 
avrebbe  ritenuti  dallo  spedirli,  crederono  che  ne  potesse  riuscir  perniciosa 
l'esecuzione,  e  che  esso  non  esprimesse  la  volontà  del  Pontefice;  e  pensa- 
rono che  Alessandro  VJ,  quando  venisse  bene  informato,  ritirerebbe  il  comando 
e  abrogherebbe  assai  di  buona  voglia  il  Breve  surrettizio;  uè  poterono  quindi 
credere  eh'  egli  in  alcun  modo  avrebbe  avuto  per  male  la  sospensione  del- 
l' esecuzione  ;  e  perciò  rescrissero  ed  esposero  le  ragioni  della  loro  condotta, 
e  mostrarono  il  danno  che  loro  accadrebbe,  quando  si  persistesse  neh'  ordine 

(')  Apojogettcwm  Fratrum  Congrnyatiouis  S.  Marci  de  Fiorentlli;  nel  QaètiF,  Addizioni 
citato,  pag.  77. 

(*  De  BynOdo  Diocesana,  lib.  IX,  cap.  Vili,  pag.  48ii,  ediz.  di  Ferrara,  177">.  E  assiti  im- 
portante tutto  il  capitolo. 


—  513  - 


dato,  e  chiesero  di  esserne  dispensati.  Fin  qui  che  potete  trovar  d'  illegale 
nella  condotta  di  questi  religiosi?  Anzi,  chi  non  vede  che  altro  non  fecero  se 
non  compiere  il  proprio  dovere?  Quale  responsabilità  sarebbe  stata  la  loro, 
quando  non  avessero  rescritto,  e  procurato  d' illuminare  il  superiore  sì  mala- 
mente circonvenuto?  Fin  qui  adunque  la  condotta  di  questi  religiosi  non  si 
può  per  nessun  modo  disapprovare.  Ma  compiuto  questo  ricorso,  che  altro  do- 
vevano far  essi?  Attendere  umilmente  la  risposta;  e  finché  questa  non  fosse 
venuta,  scegliere  quella  parte  che  stimavano  migliore  e  continuare  nella  loro 
santa  vita  e  nell'  osservanza  delle  loro  costituzioni.  Finché  il  Pontefice  non 
avesse  risposto  o  il  Vicario  generale  della  nuova  Congregazione  non  avesse 
fatto  pervenire  ad  essi  a  nome  del  Papa  ordini  in  contrario,  essi  potevano 
secondo  ogni  regola  tener  sospesa  1'  esecuzione  del  Breve.  Or  saprebbero  dirci 
gli  avversar)  de'  Frati  che  il  Pontefice  respingesse  quella  domanda?  rispon- 
desse negativamente  al  loro  ricorso?  Non  conosco  la  lettera  che  i  Frati  di 
San  Marco  scrissero  al  Pontefice;  ma  certo  una  lettera  la  scrissero  a  questo 
proposito,  e  il  contenuto  di  essa  non  doveva  esser  molto  diverso  àa\Y  Apologia; 
ma  quale  prova  o  indizio  abbiamo  che  Alessandro  VI,  o  i  superiori  dell'Or- 
dine, non  curando  le  ragioni  dei  Frati  di  San  Marco,  facessero  i  passi  neces- 
sarii  per  effettuare  quell'unione?  Il  primo  di  tali  passi  era  che  il  nuovo  Vica- 
rio si  presentasse  ai  suoi  nuovi  sudditi  come  legittimo  superiore;  ed  allora  il 
Savonarola  decaduto  dalla  dignità  di  vicario  avrebbe  dovuto  prestare  a  lui  ob- 
bedienza insieme  cogli  altri  religiosi.  Ma  ove  leggiamo  che  si  facesse  questo? 
Finché  non  si  proverà  che  i  religiosi  ricusarono  l' obbedienza  al  nuovo  Vicario, 
non  si  possono  ritenere  come  rei.  E  questo  è  pur  necessario  per  chi  vuole 
pronunciare  una  sentenza  di  condanna.  Ora  ciò  che  diciamo  di  tutti  in  gene- 
rale si  deve  dire  (è  troppo  chiaro)  anche  in  particolare  del  Savonarola;  non 
essendo  nemmeno  concepibile  eh'  egli  si  mettesse  in  disparte,  allorché  i  suoi 
duecentocinquanta  frati  scrissero  il  loro  reclamo  al  Papa.  (4)  Basterebbe  adun- 
que questa  considerazione,  perchè  si  potesse  al  tribunale  ecclesiastico  chiedere 
e  ottenere  1'  assoluzione  di  Fra  Girolamo.  Se  mai,  concederemo  che  si  riapra 
il  processo  quando  i  suoi  avversarj  abbiano  trovato  un  documento,  una  testi- 


(')  Il  Villari  a  pag.  493  dice  a  questo  proposito:  «  ....  Il  Savonarola  prese  nuovamente 
in  mano  la  penna,  o  scrisse  la  sua  Apologia  della  Congregazione  di  S'an,  Marco,  nella  quale, 
non  più  rispondendo  al  Papa,  ma  indirizzandosi  invece  al  pubblico,  assumeva  un  linguaggio 
assai  franco  ed  ardito  ».  Questo  è  vero,  ma  noi  non  crediamo  che  l' illustre  storico  voglia 
escludere  con  ciò  che  Fra  Girolamo  avesse,  prima  di  scrivere  1'  Apologia,  scritto  anche  al 
Papa  e  agli  altri  che  potevano  aiutaro  la  cosa.  L'  Apologia  fu  scritta  quando  già  era  venuta 
la  scomunica,  e  al  pubblico  Fra  Girolamo  si  è  rivolto  quando  le  cose  non  potevano  più  in 
nessun  modo  tenersi  nascoste;  e  il  silenzio  sarebbe  tornato  in  pregiudizio  della  verità,  come 
dice  nel  Proemio  dell'  Apologia  stessa;  ma  prima  dissimulò  e  copri  quanto  potè;  giustifi- 
cando semplicemente,  come  dice  nel  sermone  II  sopra  l'Esodo  e  ripete  altrove,  ciò  che  gli 
era  stato  apposto;  per  far  palese,  «  quanta  fosse  1'  audacia  degli  avversari  che  non  si  vergo- 
gnavano suggerire  manifeste  bugie  al  Papa  »,  e  dimostrare  «  questa  unione  essere  contraria 
all'  onore  di  Dio  e  alla  salute  delle  anime  ».  (Lettera  a  tutti  i  Cristiani  e  diletti  a  Dio,  cfr.  an- 
che il  sermone  V  sopra  1'  Esodo  e  raccoglierai,  anche  da  quello,  che  Fra  Girolamo  rispose  ve- 
ramente non  solo  al  pubblico,  ma  anche  a  chi  aveva  fatto  il  comando). 

33 


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monianza,  una  prova  qualsivoglia  per  sostener  l' accusa.  Ora  bisogna  dire 
almeno  che  non  consta  eh'  egli  sia  reo,  e  che  s'  andrebbe  contro  ad  ogni  ma- 
niera di  giusta  procedura  condannandolo. 

Ma  noi  crediamo  per  contrario,  di  aver  già  tanto  nelle  mani  da  poter 
almeno  opinare  che  le  nuove  prove  non  si  troveranno  mai.  Infatti  dal  Masetti  (4) 
e  da  una  bella  autorità  che  egli  cita  del  Bottonio,  si  raccoglie  assai  chiara- 
mente che  alla  effettuazione  della  Bolla  di  Alessandro  VI  riguardante  l'unione 
non  si  è  pensato  se  non  dopo  la  morte  del  Savonarola;  e  nemmeno  allora  non 
si  potè  e  non  si  volle  eseguirla  per  intiero.  Prima  il  Masetti  ci  fa  cono- 
scere chiaramente,  che  le  due  congregazioni,  la  Marciana  cioè  e  la  Ro- 
mana, si  lasciarono  disgiunte.  Il  Bottonio  narra  la  cosa  candidamente  e  senza 
fuoco  nel  modo  che  segue:  «  Era  in  questo  tempo  (1498)  fatta  un  poco  di  ri- 
forma in  alcuni  Conventi  di  Toscana  benché  debole,  e  mal  fondata.  Morto 
adunque  il  P.  Fr.  Girolamo  Savonarola,  il  Generale  con  l'autorità  datagli  dal 
Papa  unì  la  congregazione  di  San  Marco  con  tutti  i  suoi  membri  alla  Congre- 
gazione di  Toscana  nuovamente  formata,  della  quale  fece  Vicario  generale 
Fr.  Jacopo  da  Sicilia  padre  santissimo  e  prudentissimo,  la  quale  unione  fu  umil- 
mente accettata  ». 

Mi  parrebbe  già  sufficiente  questo  fatto  a  mostrare  la  correttezza  dei 
Frati  di  San  Marco  e  come  essi  stettero  perfettamente  al  posto  loro  sino  alla 
morte  del  Savonarola.  Ma  nella  citata  pagina  del  Masetti  troviamo  anche  al- 
cune altre  cose  le  quali  mi  pare  che  non  siano  da  tacere.  La  prima  si  è  che, 
quantunque  dovessero  far  parte  della  nuova  congregazione  tutti  i  conventi  no- 
minati nella  Bolla  di  Alessandro  VI,  tuttavia  non  si  trovarono  insieme  uniti  se 
non  XI  conventi,  cioè  San  Marco,  San  Romano  di  Lucca,  Santo  Spirito  di 
Siena,  San  Domenico  di  Pistoia,  La  Madonna  della  Quercia,  L'Annunciata  di 
San  Gemignano,  Santa  Agnese  di  Montepulciano,  San  Domenico  di  Prato, 
San  Domenico  di  Fiesole,  la  Madonna  del  Sasso,  e  San  Domenico  di  Cortona. 
Quindi  ne  rimasero  fuori  conventi  importantissimi:  Santa  Maria  sopra  Minerva 
che  doveva  esserne  il  capo;  San  Domenico  di  Perugia,  e  Santa  Maria  a  Gradi 
presso  Viterbo. 

Nè  basta  ancora.  Sebbene  ne' conventi  di  Toscana  si  fosse  fatta  un  po'  di 
riforma,  e  si  fosser  quindi  trasferiti  e  licenziati  dal  P.  Giacomo  da  Sicilia 
varj  Frati  a  libito  del  Savonarola,  (2)  tuttavia  non  si  acquietarono  nemmeno 
ora  semplicemente  a  tale  unione  quei  di  San  Marco.  Ecco  come  segue  il  Bot- 
tonio: «  Ma  perchè  i  Frati  di  San  Marco,  e  sua  congregazione  erano  circa  300, 
la  maggior  parte  nobili,  ed  allevati  in  santissimi  costumi  e  stretta  osservanza, 
e  quasi  lutti  giovani  o  fanciulli,  dove  che  quelli  altri  erano  meno  di  60,  e  ri- 
formati più  in  nome  che  in  fatto,  fu  avvertito  di  non  confonderli  insieme.  Onde 
furono  aggiunti  due  conventi  solamente  ai  nostri  di  San  Marco,  cioè  Lucca  e 

(')  Monumenta  et  antiquitates  veleria  disciplinne  ordini*  prat&iOatOTVM.  Roniae , 
voi.  I,  pug.  392. 

(5)  Gheiarrfi,  ]>ag.  146. 


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San  Gemignano,  olire  Prato,  Fiesole,  e  il  Sasso,  e  stando  soggetti  al  Vicario 
generale,  i  priori  eran  fatti  da  loro  medesimi,  ohe  fu  prudentissima  considera- 
zione, perchè  fu  causa,  che  si  mantenesse  quella  così  stretta  osservanza....  ». 
Narrato  questo  ed  altro,  il  Masetti  continua  notando  come  crescesse  a  poco  a 
poco  la  congregazione  di  San  Marco  e  assorbisse  la  congregazione  Romana 
ossia  Tosca.  Ma  non  però  venner  mai  a  far  parte  di  tale  unione  i  tre  con- 
venti sopra  nominati,  cioè  di  Santa  Maria  sopra  Minerva,  di  San  Domenico  di 
Perugia,  e  di  Santa  Maria  a  Gradi  presso  Viterbo,  e  questo  perchè,  nota  il  Masetti, 
tali  conventi,  sebbene  compresi  nella  Bolla  di  Alessandro  VI,  nullatenus  se  se 
subdiderunt,  provando  cosi  ancora  una  volta  che  avevan  perfetta  ragione  i 
Marciani  quando  dicevano  che  non  era  possibile  ad  essi  eseguire  il  comando 
del  Pontefice,  perchè  anche  gli  altri  Frati  vi  ripugnavano. 

Da  tutto  V  insieme  delle  cose  apparirebbe  adunque  che,  non  potendo  ri- 
spondere alle  forti  ragioni  de'  Frati  di  San  Marco  e  del  Savonarola  in  risposta 
al  Breve  d'Alessandro  VI,  che  creava  la  nuova  congregazione  Tosco-Romana,  e 
tuttavia  non  volendo  che  cadesse  intieramente  il  disegno  di  riforma  a  cui  pure,  in 
mezzo  alla  malizia  de'politici,  alcuni  miravano  davvero,  si  epurarono  per  mezzo 
del  P.  G.  da  Sicilia  alcuni  conventi,  si  fece,  anche  coli' aiuto  o  consiglio  del  Sa- 
vonarola un  poco  di  riforma,  e  così  nettati  alla  meglio  questi  luoghi  e  ridot- 
tine i  religiosi  a  picciol  numero,  si  pensò  allora  alla  nuova  congregazione  ;  ma 
pure  in  modo  essenzialmente  differente  da  quello  che  in  principio  si  voleva, 
tenendo  sempre  conto  delle  istanze  de'  figli  di  Fra  Girolamo,  e  finendo  anche 
qui  per  dar  loro  tutta  la  ragione;  anzi  ben  può  dirsi  che  ad  essi  non  venne 
chiesto  se  non  che  riprendessero  l'antica  impresa  di  riformare  al  modo  loro 
i  conventi  di  Toscana,  impresa  da  cui  già  per  la  tristezza  dei  tempi  avevan 
dovuto,  lor  malgrado,  desistere,  come  vedremo  or  ora. 

Ma  noi,  se  piace,  vogliamo  lasciar  questa  via  di  difesa  non  solo  di  Fra  Gi- 
rolamo, ma  di  tutta  la  congregazione  sua:  non  teniamo  conto  di  queste  ra- 
gioni, che  sono  pur  perentorie,  per  chiedere  l'assolutoria  del  nostro  Frate; 
e  ci  sentiam  tuttavia  la  forza  di  giungere  alla  meta  per  altro  calle,  e  difen- 
dere Fra  Girolamo  con  quello  che  già  tutti  conoscono. 

In  sostanza,  possiamo  ancor  domandare:  Che  cosa  voleva  il  Breve  Pon- 
tificio e  come  c'entra  in  esso  Girolamo  Savonarola  e  che  impose  questo  Breve 
a  lui  particolarmente,  e  che  fu  a  lui  particolarmente  comandato,  ch'egli,  po- 
tendo, non  abbia  fatto?  Ecco:  nel  Breve  il  Savonarola  non  è  iieppur  nominato. 
11  Breve  veniva  indirizzato  a  tutti  i  Conventi  e  Priori  e  Frati  che  dovevano  com- 
porre la  nuova  congregazione;  ma  al  Savonarolr.  non  si  comandava  nulla  in 
particolare.  Si  trovava  egli  tutto  al  più  nella  condizione  in  cui  venivano  a  tro- 
varsi tutti  i  priori  dei  conventi  medesimi,  nè  più,  nè  meno.  Posto  ciò,  che  do- 
veva fare  Girolamo  Savonarola,  e  che  fece?  Qui  sta  tutta  la  forma  della  que- 
stione, il  lato  giuridico  e  canonico  della  stessa,  il  lato  che  bisogna  studiare 
prima  di  decidere,  se  non  vogliamo  correr  pericolo  di  costruir  ragionamenti  e 
far  discussioni  sopra  falsi  supposti,  o  sbagliar  la  strada  e  camminar  fuor 
del  diritto  sentiero. 


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A  noi  pare  che  il  Savonarola  facesse  qui  quello  che  già  aveva  fatto  per  i 
Brevi  antecedenti:  si  governò  come  doveva  uno  zelante  figlio  della  Chiesa  e 
dell'  Ordine  Domenicano.  Canonicamente  fece  quanto  era  suo  dovere  e  non 
mancò  in  nulla.  Egli,  quantunque  gli  fosse  noto  il  recondito  e  immediato  fine 
de' procuratori  del  Breve,  seppe  conceder  quanto  si  poteva  alla  buona  inten- 
zione del  Papa  in  quello  espressa,  e  lo  considerò  senz'altro  dal  lato  giuridico, 
canonico  e  morale,  prendendolo  come  esso  suonava,  finché  l'infelice  Breve  di 
scomunica  (così  piacque  a  Dio),  e  più  ancora  V  opera  di  quelli  che  lo  avevano 
ottenuto,  non  fecero  note  solennemente  a  tutti  e  manifeste  le  cose. 

Appena  ricevuto  il  Breve,  radunò  tutti  i  Frali  Professi,  che  erano  un  duecen- 
tocinquanta, e  siccome  il  Breve  era  diretto  a  tutti,  ne  espose  loro  il  contenuto. 
Questo  era  ufficio  suo,  dacché  egli  era  superiore  della  Congregazione;  e  se  non 
lo  avesse  compiuto,  avrebbe,  anche  di  fronte  ai  canoni  e  alle  costituzioni  del- 
l'Ordine,  meritato  censura  e  pena.  Di  più,  avendo  egli  molti  novizj,  figli  anche 
delle  primarie  famiglie  di  Firenze,  che  si  eran  rifugiati  sotto  1'  ombra  di  lui, 
egli  credè  cosa  onesta  convocarne  i  padri,  e  manifestar  anche  a  loro  la  di- 
sposizione Pontificia.  Che  avvenne?  I  frati  professi  risposero  tutti  negativa- 
mente e  scrissero  al  Pontefice  le  loro  ragioni,  come  abbiamo  or  ora  veduto, 
ed  i  padri  de' novizj  moslraronsi  repugnanti  anch' essi,  e  dissero  che  avrebbero, 
nel  caso  che  si  persistesse  a  volere  ad  ogni  modo  essa  unione,  ritirati  dal  chio- 
stro i  proprj  figlioli.  Ed  anche  un  centinaio  di  altri  che  già  avevano  fatto  istanza 
di  essere  accolti  nella  Congregazione,  ritiravano,  quando  si  fosse  eseguito  il 
Breve,  le  loro  domande.  (') 

E  qui  è  bene  notare  subito  che  in  realtà  i  frati  della  Congregazione  di 
San  Marco  e  i  cittadini  di  Firenze  facevano  una  tal  dichiarazione  non  per  il 
Savonarola,  ma  da  sé,  e  senza  di  lui.  Questo  è  provato  all'evidenza  dal  fatto, 
ch'essi  persistettero  nel  loro  proposito  anche  dopo  che  il  Savonarola  fu  carce- 
rato e  processato  dalla  Signoria.  A  questo  riguardo  si  hanno  prove  irrefraga- 
bili. Nel  documento  CXLVIII  del  Cappelli,  una  lettera  del  Manfredi  al  duca  di 
Ferrara  con  la  data  del  5  maggio  1498,  è  detto:  «  Li  suoi  Frati  (del  Savona- 


(')  Questo  è  detto  noli'  Apologia  e  nella  lettera  più  volte  citata  n  tutti  i  cristiani  e.  diletti 
di  Dio.  Potrà  qualcuno  non  approvare  questa  chiamata  dei  padri  dei  giovani  come  una  inoppor- 
tuna pubblicità  data  al  Breve  pontificio.  Ma  oltre  ad  osservare  come  un  Breve  indirizzato  a 
sedici  conventi,  era  cosa  per  sé  ste  ssa  già  molto  pubblica,  e  che  la  sua  esecuzione  doveva  im- 
portare unaserie  di  fatti  pubblici,  ci  piace  ancora  di  invitare  il  lettore  a  riflettere  che  cosa 
sarebbe  seguito,  se  il  Savonarola  non  avesse  usato  verso  i  padri  questo  delicato  riguardo  col 
far  loro  conoscere  il  dispositivo  del  Breve.  Era  cosa  naturale  che  alla  notizia  del  detto  Breve 
sorgesse  in  molti  di  loro  un  malcontento  (cf'r.  Bayonne,  p.  95,  nota  1),  tanto  più  che  molti 
avevano  consegnato  al  Savonarola  i  loro  tenori  figli,  colla  persuasione  che  sotto  la  guida 
sapiente  di  lui  sarebbero  rimasti  in  quel  convento  di  San  Marco,  ove  mirabilmente  fioriva 
la  disciplina  regolare  ed  eran  coltivati  gli  ottimi  stud.j,  o  almeno  sarebbero  rimasti  negli 
altri  luoghi  soggetti  al  dominio  fiorentino.  E  tanto  è  vero  che  molti,  saputo  il  dispositivo  del 
Breve,  come  abbiamo  detto  nel  testo,  si  mostrarono  risoluti  a  togliergli  piuttosto  da  San  Marco 
e  ritirarli  nelle  loro  famiglie  che  lasciarli  nel  pericolo  d'  esser  mandati  in  luoghi  lontani  e 
presso  religiosi  di  almeno  dubbia  moralità.  Del  resto,  dopo  tutto,  l'  atto  compiuto  dal  Savo- 
narola era  completamente  legalo  e  ancho  doveroso. 


—  517  — 


rola)  usano  ogni  diligenzia  per  conservarsi  nelli  loro  monasterii  con  le  sue  pre- 
rogative, et  fanno  ciò  che  possono  per  non  si  unire  con  la  congregazione  di 
Lombardia,  (*)  vivendo  cattolicamente  e  con  gran  devozione,  secondo  il  con- 
sueto loro  ». 

E  i  Frati  medesimi  a'  dì  21  aprile  1498,  pur  rinnegando  quel  Savonarola 
empio  e  fallace  che  vedevano  ne'  bugiardi  processi,  scrivevano  a  Sua  Santità: 
«  ....  Non  ci  resta  altro  che  palesare  il  desiderio  di  una  vita  retta  e  1'  eserci- 
zio inviolabile  della  nostra  santissima  professione,  dalla  quale  moltissimi  fu- 
rono allettati,  ragguardevoli  per  senno,  per  dottrina  e  per  nobiltà,  (2)  i  quali 
a  nessun  patto  sarebbero  entrati  in  questa  religione  col  pensiero  di  do- 
ver poi  separarsi  e  mescolarsi  con  altri,  nè  penserebbero  ora  a  rimanervi,  se 
fossero  costretti  ad  uscire  o  a  vivere  in  comunità  con  altri.  Inoltre  parecchi 
non  ancor  professi  tornerebbero  senza  dubbio  alle  proprie  case.  Non  sopporti 
adunque,  Beatissimo  Padre,  la  Santità  Vostra,  che  trecento  religiosi  quasi  tutti 
illustri  per  nobiltà  e  splendor  di  casato,  sian  rimossi  ed  allontanati  da  sì  santo 
proposito,  ma  ci  permetta  di  restare  immediatamente  soggetti  al  Reverendis- 
simo Protettore  ed  al  Generale,  come  fummo  sinora,  e  ci  dia  facoltà  di 
eleggere  un  vicario  fra  i  nostri,  confermato  giuridicamente  dalla  Santità  Vo- 
stra, o  dal  Reverendissimo  Protettore  e  Generale  nostro,  e  dotato  di  quella 
autorità  e  prerogativa  che  è  conveniente,  affinchè  possiamo  attendere  con  più 
facilità  alla  contemplazione  ed  alla  salute  delle  anime.  E  poiché  già  da  più  di 
un  anno  alcuni  Frati  della  congregazione  di  Lombardia,  senza  licenza  dei  pro- 
pri superiori,  si  recarono  fra  noi  per  desiderio  di  una  vita  più  austera,  e  tut- 
tora vi  stanno;  chiediamo  che  possano,  nonostante  qualunque  censura,  rima- 
ner presso  di  noi  sicuri  e  tranquilli.  Sappia  la  Vostra  Santità,  che  il  capo  ed 
il  fomite  di  tutto  lo  sbaglio,  è  Fra  Girolamo.  Egli  ne  paghi  la  pena,  se  pur  si 
può  trovar  pena  degna  di  tanta  scelleraggine.  Noi  pertanto,  pecore  erranti,  ci 
rifugiamo  presso  il  vero  Pastore,  cioè  presso  la  Santità  Vostra,  la  quale  suppli- 
chiamo per  le  viscere  della  misericordia  di  Gesù  Cristo  nostro  Dio,  a  voler 
prendere  buoni  e  saggi  provvedimenti  per  noi  suoi  figli  e  per  la  conservazione 
di  questa  nostra  santissima  unione,  siccome  confidiamo  per  la  Benignità  Vo- 
stra, alla  quale  con  ogni  affetto  ci  raccomandiamo  ». 

Basterebbero  questi  documenti  a  decider  la  quistione;  ma  se  alcuno  non 
fosse  ancor  contento  e  pago,  e  volesse  altre  prove,  lo  potremmo  soddisfare  a 
pieno,  avendone  anche  delle  più  decisive.  E  una  si  desume  dal  Documento 


(')  Qui  il  Manfredi,  come  si  vede  chiaramente  dal  documento,  chiama  congregazione 
di  Lombardia  la  nuova  congregazione  Tosco-Romana. 

(J)  Dal  volume  Liber  vestii ionum  che  per  cortesia  dei  PP.  Domenicani  abbiamo  potuto 
consultare,  ricaviamo  che  117  novizj  furon  vestiti  dal  Savonarola  e  fra  questi  moltissimi 
appartenevano  a  nobili  famiglie  come  Davanzali,  Pitti,  Vespucci,  Salviati,  Mazzei,  Laudi. 
Mazzinghi,  Rucellai,  Acciajoli,  Gondi.  Cinozzi,  Corsi,  Canigiani.  Troviamo  parimente  regi- 
strata la  vestizione  dei  5  fratelli  figli  di  Lorenzo  Strozzi,  Fra  Filippo  (vestito  28  nov.  1494), 
Fra  Niccolò  (-5  maggio  149i>),  Fra  Roberto  (24  sett.  1496),  Fra  Lattanzio  (4  febb.  1498),  Fra 
Tommaso  (18  marzo  1493)  e  un  tìglio  di  Pietro  Strozzi  vestito  dal  Savonarola  col  nome  di 
Fra  Alessandro  il  23  febbraio  1496. 


—  518  — 


XXXIV  de' pubblicati  dal  Marchese:  è  la  Signoria  che  scrive  al  Pontefice  con 
la  data  de' 21  aprile  1498,  quella  Signoria  che  dopo  d'aver  con  arte  più  che 
diabolica  spinte  le  cose  del  Frate  agli  estremi,  ora  metteva  lui  alla  tortura,  e  stra- 
ziandone il  corpo  e  alterandone  le  deposizioni,  ne  preparava  la  sentenza  di 
morte.  Ringraziando  il  Pontefice  che  le  dava  facoltà  di  martoriare  queir  in- 
nocente, e  trasmettendo  a  Sua  Santità  già  allora  un  primo  cumulo  di  falsifica- 
zioni, pur  finiva  con  raccomandare  a  Lui  la  Congregazione  di  San  Marco,  e 
scriveva,  con  la  data  del  21  aprile  1498,  testualmente  così:  «  Ed  ora  non  ci 
resta  altro  che  supplicare  la  Vostra  Santità  per  quel  gregge  innocente  che  fa- 
cilmente è  stato  tratto  in  errore  dagli  inganni  di  quell'astutissimo  uomo,  affin- 
chè Ella  non  permetta  che  sian  dissipati  quelli  che  non  peccarono.  Sono  figli 
nostri,  della  più  alta  nobiltà  quelli  che  egli  aveva  raccolto  per  aver  nella  città 
a  sè  favorevoli  i  loro  padri,  e  per  mezzo  anche  di  loro  egli  aveva  munito  le  sue 
frodi.  Ve  ne  pregano  i  loro  padri  e  si  prostrano  ai  piedi  della  Vostra  Santità,  vi 
pregano  e  vi  scongiurano  che  siano  mantenuti  intieri  i  diritti  della  loro  Con- 
gregazione e  quei  privilegi  già  concessi  dalla  Vostra  Santità.  E  così  Ella  farà 
cosa  gratissima  a  noi  e  degna  di  un  tanto  Pontefice,  a  cui  ci  raccoman- 
diamo ».  (l) 

Nè  si  stava  contenta  a  tanto  la  Signoria,  ma  con  la  data  de'2i  dello 
stesso  mese  ed  anno  ritorna  sopra  l'argomento  e  scrive  un'altra  volta  al  suo 
Oratore  presso  la  Santa  Sede,  affinchè  aiuti  quanto  può  questa  pratica.  (?) 


(')  «  Nec  reliquum  nobis  alimi  modo  est,  nisi  ut  supplicemus  Sanctitati  Vestrae  pio  in- 
nocente eo  grege  qui  tacile  deceptus  est  astu  callidissimi  hominis,  ne  patiatur  dissipari  eos, 
qui  nihil  pecoarunt.  Filii  sunt  nostri  ex  prima  nobilitate,  quos  ille  elegerat,  ut  desiderio  fi- 
liorum  patres  sibi  obnoxios  in  civitate  haberet;  hisque  etiam  suas  fraudes  munierat.  Precan- 
tur  eorum  parentes;  advolvunt  se  genibus  Sanctitatis  Vestrae;  rogant,  orant,  ut  integra  sibi 
serventur  iura  omnia  Congregationis  suae,  et  quae  quondam  privilegia  illis  concessa  sunt  a 
Sanctitate  Vestra.  In  quo  fecerit  rem  gratissimam  nobis  et  dignam  tanto  Pontifico,  cui  com- 
mendamus  nos  ». 

(s>  Non  sarà  di  troppo  se  leggeremo  per  intiero  anche  questo  documento,  che  è  il  XXXV 
fra  la  raccolta  ora  citata;  da  esso  raccogliamo  anche  una  notizia  preziosa,  cioè  clie  i  Frati 
della  Congregazione  di  San  Marco  per  ottenere  l' intento  mandarono  due  di  loro  a  supplicare  a 
nome  di  lutti  Alessandro  VI:  <  Domino  Dominico  Bonsio.  —  Magnifico  orator.  Di  poi  vi  seri  verno 
a  di  21  ultimamente,  (v.  d.  XXXIII  della  stessa  raccolta)  in  commendazione  de'lrati  di  S.  Marco 
pe' quali  volevamo  non  lasciassi  a  fare  cosa  alcuna  possibile  a  voi,  in  raccomandarli,  favo- 
rirli et  excusarli,  ad  ciò  potessino  mantenersi  nella  loro  Congregazione  :  di  nuovo  ci  è  parso 
advisarvi  come  si  trasferiranno  costà  due  de'  loro  fiati  in  nome  di  tutta  la  Congregazione; 
dove,  prostrati  dinanzi  ai  piedi  della  Santità  del  Papa,  vogliono  umiliarsi  a  Sua  Beatitudine, 
e  chiedere  venia  della  inobedientia  e  contumacia  in  che  sono  stati  tanto  tempo,  persuasi  da 
Fra  Girolamo;  et  supplicare  a  quella,  die,  sanza  loro  errore,  non  li  siano  levati  o  alterati 
e'  privilegi  concessi  loro  dai  sommi  pontefici.  Boro  vengono  informati  et  instrneti  a  pieno 
d'ogni  loro  ragione,  le  quali  comunicheranno  ancora  con  voi;  sperano  per  la  innocentia,  in- 
tegrità et  buono  proposito  di  che  sono  conscii  a  loro  medesimi,  che  Dio  non  habbi  abbando- 
nare la  causa  loro,  et  potere  trovare  misericordia  et  venia  dal  Pontefice  nelli  loro  errati, 
ne'  quali  sono  cascati,  arbitrante»  se  »ic  obsequinm  prestare  Dea:  et  per  la  examina  di  Fra  Gie- 
ronimo  si  conosce  benissimo  con  quanta  simulatione  et  fraudo  e'  sieno  stati  indocti  a  tanta 
inobedientia.  Voi  di  nuovo  li  udirete  gratamente,  et  intromettereteli  al  Papa,  et  in  nome  no- 
stro li  favorirete,  et  a  presso  la  Sua  Santità  et  Protettore  et  Generale  loro,  et  demum  con 
tutti  quelli  che  fusai  necessario.  Sapete  per  chi  voi  avete  ad  intercedere  et  supplicare,  pe'  no- 
stri cittadini;  e' quali  ci  sarebbe  grave  udire  o  vedere  fussino  perseguitati  animosamente, 


—  519  - 


Prenderemo  altrove  in  esame  le  parole  in  cui  si  dà  carico  al  Savonarola 
in  questi  documenti.  Ora,  tenendo  sol  conto  dei  passi  che  riguardano  V  argo- 
mento presente,  e  veduta,  anche  dopo  la  morte  del  Savonarola,  tutta  questa 
contrarietà  tanto  nei  religiosi,  quanto  nell'intera  cittadinanza,  possiamo  giusta- 
mente domandare  col  Pico:  (')  «  Qual  buon  diritto  v'era  adunque,  qual  v'era 
retta  cagione  di  riversare  tutta  sopra  Girolamo  Savonarola  questa  comune 
ripugnanza  »? 

Del  resto  potrebbero  dirci  i  giudici  del  Savonarola  che  il  Pontefice  ab- 
bia mai  imposto  a  Fra  Girolamo  di  esercitar  di  fatto  I1  autorità  e  1'  efficacia 
sua  per  muovere  i  frati  di  San  Marco  ad  aderire  all'imposta  unione?  No 
certo  ;  imperocché  il  Pontefice,  o  credesse  o  no  (e  ci  piace  lasciar  la  que- 
stione insoluta)  di  avere  il  diritto  di  ciò  fare  autorevolmente,  non  l'ha  fatto 
mai  e  tanto  meno  con  la  minaccia,  in  caso  di  rifiuto,  di  scomunica.  È  ben 
vero  che  la  sentenza  di  scomunica  dice  che  il  Pontefice  aveva  coman- 
dato, col  Breve  de'  7  novembre  1496,  al  Savonarola  che  obbedisse  nel- 
1'  unire  il  convento  di  San  Marco  di  Firenze  alla  nuova  Congregazione;  ma, 
già  1'  abbiamo  notato,  la  verità  è  che  nel  detto  Breve  Fra  Girolamo  non  è 
nemmeno  nominato;  e  nessuno  ha  d'  altra  parte  fatto  mai  ricordo  nè  sospet- 
tato pure  dell'esistenza  di  un  Breve  speciale  a  lui  diretto  in  tale  occasione  e 
con  tale  comando.  Anzi,  che  questo  comandamento  non  venisse  fatto,  almeno 
prima  della  Feria  terza  dopo  la  quinta  domenica  di  Quaresima  del  1497,  si 
raccoglie  dalla  citala  XL1I  predica  sopra  Ezechiele,  nella  quale,  detto  appunto 
che  se  a  lui  venisse  fatto  un  comandamento  di  unire  i  suoi  Frati  con  gente 
che  non  vivessero  bene,  e  fare  una  nuova  congregazione,  era  obbligato,  come 
già  vedemmo,  a  non  obbedirgli,  agg'cnge:  «  Non  dico  che  sia  nulla;  ma  per 
mostrarvi,  che  può  intervenire....  Se  io  vedessi  che  per  partirmi  di  questa  poca 
vigna  di  Firenze,  la  andasse  in  ruina,  non  mi  partirei,  anche  se  mi  fosse  co- 
mandalo non  ci  pensare.  Io  non  dico,  che  ci  sia  niente  di  comandamento;  ma 
perchè  siamo  stamani  sulla  vigna,  abbiamo  detto  questo  ».  (2) 

Per  conto  suo  poi,  anche  se  non  avesse  ripugnato  egli  a  questa  unione, 
ma  avesse  zelato  con  tutte  le  sue  forze  perchè  si  eseguisse,  non  avrebbe  in 
nessun  modo  potuto  fare  altrimenti  da  quel  che  fece;  imperocché  i  superiori 
gli  conservarono  la  dignità  di  Vicario,  nè  gli  diedero  mai  ordine  di  passare, 


come  in  simili  casi  suole  accadere.  Crediamo  questo  sia  assai  a  ricordarvi  il  desiderio  no- 
stro. Voi  procurerete  tutto  con  diligenza  e  prestezza,  come  siete  uso  di  fare  >.  Non  aggiungo 
parole,  che  mi  pare  che  qui  non  occorra  proprio  commento  alcuno:  la  gravità  di  questi  docu- 
menti è  per  sè  palese,  e  non  avrebbe  dovuto  sfuggire  agli  storici  del  Savonarola  e  tanto 
meno  al  critico  d' Innsbruck.  Non  isfugga  ora  dalla  mente  del  lettore,  e  se  ne  avrà  luce  as- 
sai opportuna  andando  innanzi.  Qui  aggiungeremo  solo  che  i  Frati  di  San  Marco  e  i  citta- 
dini di  Firenze,  tentarono  poi  sempre  che  la  Congregazione  restasse  autonoma,  si  che  difatti 
e  in  realtà,  come  abbiamo  veduto  e  rivedremo  andando  innanzi,  l'unione  voluta  da  quel 
breve  non  si  potè  fare  veramente  mai.  Cfr.  anche  il  Breve  pontificio  di  risposta  alla  lettera 
de"  Frati  (Perrens  pag.  397)  e  i  documenti  che  si  leggono  nel  Gherardi  a  pagg.  257,  2o8. 
(')  Apologia,  lib.  II,  cap.  IV. 

(*)  Questa  predica  non  fu  mai  proibita  nè  sospesa. 


—  520  — 


divenuto  Frate  semplice,  da'  conventi  della  Congregazione  di  San  Marco  ad 
altro  convento;  mentre  invece  ad  altri  religiosi  trovansi  dati  in  quell'occorrenza 
comandi  particolari  come  risulta  dal  Gherardi,  pag.  144-146.  Onde,  così  stando 
le  cose,  a  lui,  se  si  guarda  alle  costituzioni  dell'  Ordine,  non  era  lecito  muo- 
versi da  Firenze. 

Dopo  tutto,  ci  pare  che  avesse  adunque  ragione  Fra  Girolamo,  allorché 
scriveva  nel  proemio  dell'  Apologia  e  ripeteva  altrove,  che  questa  faccenda 
poco  lo  toccava,  perchè  non  era  in  suo  arbitrio,  ma  in  quello  di  circa  due- 
cento e  cinquanta  Frati:  de'  quali  molti  patrizj  venerabili  per  religione,  pru- 
denza e  dottrina,  mentre  egli  forestiero  stavasi  con  loro  non  per  comandare, 
ma  per  servire  con  umile  affetto  di  carità.  S'  aggiunga  che  il  Savonarola  non 
ha  mai  detto  eh'  egli  per  parte  sua  e  per  proprio  conto,  per  quanto  riguar- 
dava solamente  la  sua  persona,  non  fosse  pronto  e  disposto  a  quest'  unione  ; 
ma  solo  che  i  Frati  di  San  Marco  tutti  insieme  ad  una  voce  ritenevano  tale 
unione  contraria  al  voto  della  loro  professione  e  perciò  non  vi  volevano  pre- 
stare 1'  assenso.  (4)  Posto  tutto  ciò  e  considerandolo  bene  con  mente  sana, 
come  si  fa  a  pronunciar  sentenza  di  condanna  contro  di  lui  per  questo  fatto? 
Canonicamente  egli  non  è  in  nessun  modo  condannabile,  e  poteva  anche 
dopo  questo  scrivere  ridentemente  a  tutti  i  cristiani:  *  Sappiate  ch'io  non  fui 
mai  disobbediente  alla  Chiesa  Romana,  riè  al  Papa,  nè  ad  alcuno  mio  su- 
periore ». 

Non  ci  resterebbe  adunque  se  non  un  Iato  della  questione  :  Vedere  se 
Fra  Girolamo,  quantunque  giuridicamente  non  vi  fosse  astretto,  moralmente 
si  potesse  tuttavia  dire  obbligato  a  consigliare  almeno  i  suoi  Frati  a  questa 
unione.  Per  decider  questo  bisogna  entrare  nel  merito  dei  motivi  che  i  Frati 
di  San  Marco  e  di  Fiesole  adducevano  a  giustificare  la  loro  condotta.  Que- 
sti motivi  sono  dodici,  e  sono  quelli  che  il  Savonarola,  a  nome  de'  Frati  me- 
desimi, espone  neh'  Apologia  loro. 

Il  Pastor,  non  aven  Ioli  esaminati,  ma  giudicandoli  dai  cenni  che  ne  dà 
il  Villari,  li  chiama  singolari.  Ma  il  Pico  ragionando  fondato  sopra  di  essi  osò 
scrivere  un  capitolo,  il  VI  del  libro  II  dell'opera  citata,  intitolato:  Che  il 
precetto  del  Pontefice  non  si  doveva  eseguire  —  Quod  mandatum  Pontificia 
exequendum  non  erat.  —  A  nostro  giudizio  essi  meritano  una  attenta  consi- 
derazione. A  provar  ciò  mi  sembra  più  che  sufficiente  il  fatto  che  i  superiori, 
come  già  dicemmo,  ne  dovettero  tener  conto.  Ma  perchè  ognuno  giudica  bene 


(')  Nella  stessa  Apologia  Fra  Girolamo  non  intende  di  esporre  ragioni  proprie  e  di  pro- 
vare egli  che  l'anione  era  impossibile,  irragionevole  e  dannosa,  ma  intende  solo  di  proporre, 
come  dice  nel  Proemio,  le  ragioni  che  a  ciò  adducevano  i  Frati:  <  liationes  itaque  quas  ipsi 
(Fratres)  attulerunt  hic  subiungemus—  Jam  ergo  Fratrum  nostrorum  rationes  accipiantiir  ».  Insi- 
stiamo sopra  questo  punto,  perchè  noi  crediamo  che,  se  si  l'osse  trattato  solo  di  sè,  il  Savona- 
rola, animo  temperato  alla  lotta  contro  la  corruzione,  nutrito  di  buoni  studi,  d'  autorità,  si 
ohe  non  aveva  da  temere  per  il  cattivo  esempio,  come  i  suoi  giovani  Irati,  sarebbe  andato 
dove  lo  volessero  davvero,  solo  che  gli  fosse  stato  possibile.  Ad  ogni  modo  sta  sempre  il  fatto 
che  il  Savonarola  non  ha  mai  detto:  Io  per  parto  mia  non  obbedisco  ;  e  d'altra  parte,  non 
obbedendo  gli  altri,  egli  non  poteva  far  nulla  di  più  di  quanto  fece. 


—  521  — 


ciò  che  bene  conosce,  come  ivi  dice  il  Savonarola,  e  noi  per  la  brevità  che 
ci  è  imposta  non  potremmo  qui  offrirli  in  disteso,  raccomandiamo  al  lettore 
di  vederli  neh'  Apologia  stessa  come  li  ha  esposti  Fra  Girolamo,  entrando 
garanti  ch'egli  vedrà  ch'essi  convincono  e  legano  davvero  l'intelletto. 

Sommamente  utile,  del  resto,  ci  sarebbe  qui,  oltre  un  buon  criterio  per 
giudicare  delle  cose  spirituali,  una  cognizione  particolare  e  completa  di  tutti  e 
singoli  i  Conventi  della  dovuta  Unione  e  poi  di  quello  di  San  Marco.  Ciò  asseriva 
anche  Fra  Girolamo  e  l'  asserivano  i  suoi  Frati.  Del  Convento  di  San  Marco 
qualche  cosa  già  sappiamo:  degli  altri  conventi  dell'  unione  possiamo  dire  che 
in  generale  erano  in  condizioni  tristi  pur  troppo  ;  e  basterebbe  a  provarlo  il 
fatto  che  si  voleva  appunto  riformarli.  Molti  di  questi  Conventi  erano  di  quelli 
de' quali  il  Pastor  parla  con  le  gravi  parole  che  già  conosciamo:  «  Indicibil- 
mente tristi  erano  le  condizioni  in  molti  conventi;  in  tanti  di  questi  i  tre  voti 
essenziali,  castità,  povertà  ed  obbedienza  non  erano  punto  osservali.  Il 
guaio  principale  era  che  troppi  senza  vocazione  entravano  ne'  conventi  e 
vi  trovavano  troppo  facile  accettazione  ».  (*) 

I  documenti  pubblicati  dal  Guasti,  (2)  dal  Del  Lungo  (3)  basterebbero 
anche  da  soli  a  confermar  le  nostre  asserzioni.  Ma  più  di  tutto  son  testi- 
moni che  noi  diciamo  il  vero  alcune  pagine  dell'  Apologia  del  nostro  Rifor- 
matore. Questo  libricciuolo  colla  freddezza  de'  suoi  filati  sillogismi  in  la- 
tino scolastico  ti  genera  neh'  animo,  per  il  quadro  che,  stretto  da  necessità,  li 
mette  innanzi  delle  condizioni  di  quei  luoghi,  una  tristezza  che  non  sapresti 
esprimere.  Eppure,  s'  egli  avesse  detto  un  non  nulla  più  del  vero,  non  v'  è 
dubbio,  gli  sarebbe  stato  rimproverato;  ma  per  contrario  nessuno,  come  già 
abbiamo  visto,  gli  ha  potuto  far  rijposta  di  nessuna  sorta.  (4)  Come  potevano 
adunque  i  Frali  di  San  Marco,  che  avevano  pregato  tanto  e  tanto  insistito  per 


(')  Con  ciò  non  intendiamo  di  affermare  che  proprio  tutti  fosser  tristi.  Crediamo  giu- 
stissima l'asserzione  del  Pastor  a  pag.  118;  che  accanto  agli  elementi  guasti  e  schivi  da  ogni 
riforma  ve  ne  abbia  eziandio  di  buoni,  anzi  di  ottimi  e  perfino  nei  monasteri  più  diffamati». 
Ma  noi  parliamo  in  generale;  e  le  condizioni  generali  erano  tristi  assai,  anche  nel  maggior 
numero  di  questi  conventi  della  Nuova  Congregazione. 

(2)  H  Savonarola  e  i  Pratesi,  ristampato  a  pag.  69-107  dal  Gherardi. 

(3)  II  Savonarola  e  i  Senesi,  Siena,  1895  ed  i  citati  dell'  Archivio  storico  Italiano. 

(4)  Chi  dubitasse  dello  stato  miserando  dei  Conventi  di  cui  parliamo,  potrebbe  leggere 
nel  Bollario  dell'  ordine  Domenicano  la  bolla  di  Giulio  II  del  i  marzo  1504,  ove  si  dà  al  Vi- 
cario Generale  della  Congregazione  lombarda  la  cura  di  riformare  il  convento  di  Gradi  presso 
Viterbo  perchè  aveva  inteso  tal  convento  a  regularibus  institutis,  morumque  observantia  valde 
defecisse  e  il  decreto  di  Leone  X  dei  21  giugno  1511  contro  i  religiosi  vaganti:  per  laicorum 
hospitia  et  seculares  circulos  vaji  palantes  tota  die  discurrunt  et  lnijusmodi  licentia  freti  ea 
committere  non  verentur  quae  in  divinae  cedunt  majestatis  offensam,  eorum  animarum  exitium, 
Religionis  opprobium,  perniciosum  quoque  exemplum  et  scandalum  plurimorum..,.  et  per  impuni- 
tatis  aucìaciam  evadunt  quodidie  nequiores.  Vedi  anche  la  Cronaca  del  convento  di  Santa  Caterina 
dell'Ordine  de'  Predicatori,  Firenze  Carnesecchi,  pag.  608  e  611,  e  le  parole  anche  più  acerbe 
del  Breve  del  6  aprile  1517  contro  gli  stessi  religiosi  che  laxatis  habenis  extra  ordinem  et 
obedientiam  suorum  prxlatorum  et  per  saeculum  variare  presumunt  cum  animarum  suanim  perni- 
eie,  religionis  vituperio,  Dei  contemptu  et  populorum  scandalo,  con  altre  cose  che  ó  bello  tacere. 
Nè  è  da  credere  che  questi  fossero  mali  recenti. 


—  522  — 


esser  congregazione  a  sè,  per  riformarsi,  e  che  s'  erano  riformati  ed  avevano  ri- 
stretto la  loro  regola,  riducendola  veramente  all'  antica  domenicana,  come 
potevano  esser  costretti  a  deliberare  di  unirsi  co'  difformati  ?  Nessun  canone 
troverete  che  obblighi  alcuno  a  ciò,  come  nessun  comando  può  obbligarci  ad 
allargar  la  vita,  se  noi  1'  abbiamo  ridotta  in  qualche  ragionevole  strettezza.  E 
come  poteva  quindi  Girolamo  Savonarola,  senza  che  ciò  gli  fosse  particolar- 
mente comandato,  confortare  i  suoi  figliuoli,  che  tutti  sapevano  di  santa  vita 
e  di  strettissima  osservanza,  ad  unirsi  in  comunion  di  vita  con  questi  altri 
che  di  osservanza  non  ne  volevan  sapere?  E  con  qual  cuore  poteva  egli  sopra 
tutto  confortare  a  tale  passo  i  padri  di  quei  giovanetti  novizj  ch'egli  soleva 
chiamare  i  suoi  angeli,  e  che  s' eran  riparati  sotto  l'ombra  sua  per  viver  bene? 
Se  un  poco  di  fermento  corrompe  tutta  una  massa,  che  avverrà  quando  il  fer- 
mento è  assai?!  0  che  proprio  non  si  doveva  calcolar  per  nulla  il  pericolo 
ch'essi  avrebber  corso  nella  conversazione  con  uomini  perversi,  che  i  tre  voti 
non  osservano  affatto  ?(*) 

Nè  meno  di  quelle  de'  Frati  di  San  Marco  sono  terribili  le  parole  del  Pico. 
«  Io  udii  »  scrive  quest'uomo  egregio,  «  narrare  la  corruzione  de' Frati  defor- 
mati da  coloro  stessi  che  mostravan  di  volere  quest'unione:  essi  dicevan 
così  grande  la  corruzione  da  affermare  eh'  erano  mossi  a  procurare  che  tale 
negozio  andasse  innanzi,  perchè  i  monasterj  da  loro  abitati,  eh'  erano  oramai 
divenuti  spelonche  di  ladroni,  non  fossero  intieramente  distrutti.  Ora  —  conti- 
nua sempre  il  Pico  —  indurre  coloro  che  si  studiano  di  vivere  secondo  i  de- 
creti de' santi  Padri  e  le  sanzioni  approvate  dalle  Chiesa  Cattolica,  perchè 
vogliano  vivere  nelle  spelonche  de' ladroni,  e  mescolarsi  con  uomini  defor- 
mati e  corrotti  è  impossibile  a  farsi.  »  (2)  Ed  io  aggiungerei:  È  assolutamente 
illecito. 

Ma  è  pur  un'opera  buona  quella  di  cooperare  alla  riforma  di  tanti  con- 
venti. —  Ecco  un'altra  proposizione  generale  indubitatamente  vera  e  che  facil- 
mente commove  gli  animi  che  la  sentono;  ma  che  non  aveva  punto  luogo 
nel  caso  speciale,  come  osservavano  opportunamente  i  Frati  di  San  Marco. 
È  indubitatamente  cosa  buona  aiutare  chi  vuol  far  ritorno  a  Dio,  essendone 
dilungato,  e  specialmente  se  chi  erra  è  religioso;  e  soprattutto  se  non  uno, 
ma  dieci,  venti,  cento  sono  essi.  Allora,  si  sa,  è  necessario,  se  si  possono  sal- 


(')  Che  questa  ragione  valesse  davvero,  so  non  fosse  per  sè  evidente  e  non  1'  avessimo 
chiaramente  dimostrata  nel  capitolo  XXV,  lo  potremmo  anche  dedurre  dal  fatto  che  la  pre- 
dica XXII  sopra  Ezechiele  che  la  portò  con  molto  calore,  non  venne  sospesa  da  Paolo  IV. 
Meriterebbe  di  esser  qui  riportata  tutta  l'ultima  parte  di  questa  predica;  ma  staremo  paghi 
di  poche  proposizioni,  c  ...  Ecco,  dice  Fra  Girolamo,  se  io  vedessi  che  uno  volesse  mescolare  i 
miei  Frati  con  gente  che  non  vivessero  bene,  e  fare  una  nuova  congregazione,  non  sono  obbligato  a 
mettergli  la  vita?!  Si.  —  ...  Perchè  tu  sei  obbligato  a  pascere  colui  cho  muore  di  fame?  —  Oh! 
e'  me  lo  ha  comandato  Iddio  :  egli  è  il  comandamento  della  carità,  tutti  i  Dottori  lo  dicono.  — 
Tu  perchè  se' obbligato  a  rimediare  a  quella  fanciulla?  —  Oh!  lo  dicono  i  Dottori  nell'Evan- 
gelio della  correzione  fraterna!  —  A  me  chi  ha  comandato,  che  io  non  lasci  mescolare  le  mie  pe- 
corelle? Dio,  perche  è  comandamento  di  carità,  che  io  guardi  le  mie  pecorelle  ». 

(*)  Opera  e  luogo  citato,  capit.  IV. 


—  523  — 


vare,  rimettervi  anche  la  vita.  Ma  qui  era  il  caso  ?  Volevano  davvero  la  ri- 
forma i  frati  corrotti?  E,  se  mai,  l'avrebbero  accettata  da  quelli  di  San  Marco? 
Ecco  le  questioni  particolari  ctie  bisogna  risolvere,  perchè  abbia  un  valore  la 
proposizione  universale.  Ora  i  Frati  di  San  Marco  negavano  recisamente  queste 
proposizioni  particolari,  ed  essi  non  si  sentivan  da  tanto;  e  ad  ogni  modo 
avevano  sì  grande  da  fare  nella  Congregazione  loro  da  non  restar  ad  essi 
gran  tempo  per  altro,  nè  potevano  soprattutto  lasciar  andare  a  male  questa 
che  con  1'  aiuto  divino  ben  rifioriva,  per  le  altre,  divenute,  bisogna  ripeterlo, 
spelonche  di  ladroni;  le  quali  in  verità,  se  volevano  riformarsi,  potevan  farlo 
da  sè,  senza  bisogno  di  recar  disturbo  altrui.  Ma  in  realtà  questa  riforma  (e 
i  Frati  di  San  Marco  lo  sapevan  benissimo)  quei  che  ne  avevano  più  bisogno, 
non  la  volevano  affatto;  e  parlando  umanamente,  cioè  secondo  quel  che  suole 
avvenire  d'ordinario,  si  riteneva  impossibile.  Anzi  alcuni  volonterosi  avevano 
lasciato  cotesti  luoghi,  appunto  perchè  non  vi  potevano  osservar  la  regola  e 
s'  erano,  per  osservarla,  rifugiati  dal  Savonarola,  mentre  nessuno  di  quei  del 
Savonarola,  pur  essendo  tutti  liberi,  come  egli  dice  ripetutamente,  nessuno 
si  era  partito  o  si  voleva  partire.  (') 

Ma  il  fatto  sta  poi  che  i  religiosi  dei  conventi  deformati  non  volevano  essere 
veri  figli  di  San  Domenico,  nè  divenire  riformati  ;  e  alcuni  di  essi  in  nessun  modo 
avrebber  comportato  a  riformatori  i  Frati  di  San  Marco  ;  nè  questi  avrebber 
potuto  far  niente  in  tai  luoghi.  Sentiamo  i  Frati:  «  Tutto  il  bene  dell'ordine  e 
di  ciascuna  congregazione  dipende  dal  reggimento.  Perciò  non  si  devono  unire 
quei  conventi  ne'  quali  non  si  può  conservare  il  buon  reggimento.  Ma  in  questa 
nuova  unione  il  buon  reggimento  per  gli  odj  d'alcuni  popoli,  non  si  potrebbe 
conservare  affatto.  Imperocché  i  Senesi  de'  Fiorentini  non  vogliono  udire  neanche 
il  nome:  così  altri,  e  massime  i  Pisani.  (2)  Converrebbe  adunque  scegliere  frati 
accetti  a  tali  popoli  e  deputarli  ai  conventi  di  tali  città. E  queste  cose  noi  le  diciamo 
non  senza  esperienza.  Infatti,  volendo  noi  riformare  il  convento  di  Pisa  e  di 
Siena,  chiamitivi  dalla  città  medesima,  non  ci  fu  tampoco  possibile  colà  ri- 
manere per  operar  la  riforma.  Anzi  con  ingiuria  e  contumelia  e  pericolo  della 
vita  fummo  per  forza  da  queste  due  città  cacciati.  Lo  stesso  ci  sarebbe  forse 
avvenuto  anche  altrove,  se,  edotti  dall'  esperienza  di  questi  luoghi,  non  aves- 
simo imparato  a  non  andar  oltre  e  a  non  porre  a  cimento  la  nostra  vita, 


(')  Ecco  un  passo  della  lettera  che  il  Savonarola  aveva  scritta  al  Pontefice  in  risposta  al 
Breve  degli  8  settembre  1495  da  noi  esaminato  nel  capitolo  antecedente.  «  Testis  est  civitas 
tota,  quod  magna  est  differentia  inter  vitam  Fratrum  Nostrorum  his  temporibus-,  et  eorum 
vitam  quando  erant  uniti  congregationi  Lornbardiae  :  omnes  enim  fatentur  Fratres  nostros 
ad  strictionem  vitam  transiisse.  Hujus  rei  etiam  signum  est,  quod  cum  Congregatio  Lombar- 
diae obtinuerit  excomunicationem  specialem,  contra  eos  qui  sine  licentia  ab  ea  recedunt,  sit 
vero  nostra  sic  e  contrario  libera  congregatio  ut  qui  volunt  ab  ea  recedere  libere  possint;  tamen 
vix  potest  retinere  suos  bonos  Fratres,  ut  ad  nos  non  transeant,  et  iam  aliquot  ex  iis  probati 
viri  ad  nos  transierunt.  De  nostris  autem,  qui  sunt  liberi,  nullus  ad  eos  probatus  adhuc  transivit 
nec  transire  vult  ».  Eppure  la  Congregazione  Lombarda,  dice  il  Savonarola,  era  molto  mi- 
gliore che  la  Toscana;  eppure  aveva  nel  suo  seno  de'  santi  ! 

(*)  Allorché  i  Frati  cosi  parlavano,  Pisa  non  era  più  nelle  mani  dei  Fiorentini.... 


-  524  — 


senz' alcun  frutto  delle  anime.  Chi  adunque  per  questa  ragione  non  vedrà 
apertamente  che  tutto  il  reggimento  dell'Ordine  n'andrebbe  confuso?  Impe- 
rocché molti  verrebbero  associati  con  quelli  co' quali  non  s'avrebbero  ad  asso- 
ciare; o  verrebbero  divisi  da  quelli  dai  quali  non  è  espediente  che  siano  di- 
visi. Non  si  potrebbero  dar  lettori  utili  a'  discepoli,  ne'  discepoli  convenienti 
ai  lettori,  nè  tampoco  fare  i  priori  a  quei  conventi  opportuni;  nè  si  potrebbero, 
quando  fosse  necessario,  rimoverneli;  e  ne  seguirebbero  poi  innumerevoli  altri 
inconvenienti,  che  sogliono  di  solito  avvenire,  come  sanno  e  confessano  aperto 
coloro  che  hanno  qualche  esperienza  ».  Nè  qui  i  Frati  esagerano  punto;  anzi 
parlano  davvero  con  molta  carità  e  delicatezza  e  sapienza.  Ciò  è  provato  da 
un  Documento  assai  espressivo  pubblicato  da  I.  Del  Lungo:  Il  Savonarola  e  i 
Senesi,  Siena,  1895.  E  una  lettera  di  Alessandro  Bracci,  cancelliere  mediceo, 
il  quale  da  Siena  stessa  dove  stava  per  la  Repubblica  ne  scriveva  a  Piero  dei 
Medici.  —  Val  la  pena  di  sentirla  intiera:  «  Senis,  die  XXIII  junij  1494.  Magnifice 
vir,  major  observandissime.  Non  posso  fare  che  io  non  prorompa  in  qualche 
stomaco  ed  indignazione  de'modi  di  queste  gran  bestie  sanese,  che  a  compor- 
tarle bisogna  una  singolare  pazienza  e  prudenza.  Hanno  fatto  venire  quel  po- 
vero religioso  di  Frate  Hieronimo,  con  circa  xx  frati  di  San  Marco,  ed  è  stato, 
si  può  dire,  trattato  come  un  cristiano  tra  giudei,  vilipeso,  ributtato  e  minac- 
ciato da  tutto  questo  popolo.  E  credo  veramente  che  se  non  si  fosse  partito, 
lo  avrebbero  lapidato.  Hanno  di  poi  tratto  fuori  una  voce,  che  sendo  questo 
convento  di  Santo  Spirito  in  sulle  mura  di  Siena,  noi  ci  mandavamo  questi 
frati  da  Firenze  per  torre  loro  Siena.  Ieri,  andando  frate  Hieronimo  per  par- 
lare al  capitano  del  popolo,  tre  de'  Signori  se  gli  fecero  incontro,  minaccian- 
dolo acerbissimamente,  ed  il  medesimo  fecero  più  cittadini  ;  ed  insino  alle 
donne  lo  mordevano  e  gli  dicevano  mille  improperii.  Ed  oggi  per  tutta  Siena 
non  si  dice  altro,  se  non  che  noi  siamo  traditori,  e  che  facciamo  e  diciamo. 
Non  entro  in  altri  particolari  di  questa  cosa,  perchè  avrei  che  scrivere  pur 
troppo,  e  anche  perchè  stimo  che  da'  frati  medesimi  la  M.V.  intenderà  tutta  que- 
sta minuta  ».  Vedi  la  Cronaca  del  Convento  di  Santa  Caterina  in  Pisa,  pag.  611 
e  seg.,  e  vedrai  che  a  Pisa  non  si  voleva  tampoco  accogliere  il  Padre  Giacomo 
da  Sicilia  mandatovi  dai  superiori  quale  Vicario  della  Nuova  Congregazione. 

È  un  argomento  molto  efficace  in  prova  che  davvero  i  Frati  di  San  Marco 
non  s'ingannavano,  è  l'effetto  seguito  quando  si  volle  ad  ogni  modo  effettuare 
l'unione:  «  Alessandro  VI  propose  a  questa  nuova  Congregazione  il  venerabile 
P.  Giacomo  da  Sicilia;  il  quale,  dopo  la  morte  di  Girolamo,  venne  a  Firenze  e 
volle  piuttosto  esser  superiore  di  questa  congregazione  che  non  distruggerla  o 
unirla  ad  altra.  Invero,  essendo  egli  uomo  buono  e  vedendo  il  bene  elio  ivi  si 
faceva,  que'  suoi,  osservanti  solo  di  nome,  abbandonò,  e  con  questi  di  San 
Marco  visse  e  morì.  E  quella  Congregazione  si  dissipò  e  disperse;  (')  questa, 
col  divino  aiuto  e  volere,  si  confortò  e  crebbe.  »  (2) 


t1)  Altrove  il  cronista  dice  che  questa  nuova  congregazione  :  ut  fumus  ccanuit,  pag.  Oli. 
(*)  Cronaca  citata  del  Convonto  di  Santa  Caterina,  yag.  662. 


—  525  — 


E  Fra  Girolamo  che  conosceva  appunto  appunto  le  condizioni  de'  varj 
conventi  di  cui  si  parlava,  ed  era  tanto  esperto  nel  governo  loro,  poteva  non 
tener  conto  di  questa  opinione  de' suoi  Frati?  poteva  far  ciò  e,  senza  averne  espli- 
cito comando,  adoperarsi  per  muovere  la  volontà  loro  a  far  quello  che  avrebbe 
potuto  originar  tanto  male?!  Possiamo  concludere  anche  qui  adunque  a  fa- 
vore del  nostro  Riformatore,  nè  è  il  caso  che  ci  dilunghiamo  di  più.  Girolamo 
Savonarola  non  era  tenuto  canonicamente  a  far  nulla  oltre  quello  che  fece 
per  l'esecuzione  del  Breve  del  7  novembre  1496:  nè  moralmente  era  obbli- 
gato, non  avendone  esplicito  comando,  a  consigliare,  anche  se  avesse  sperato 
di  farlo  con  buon  effetto,  i  suoi  Frati  ad  acconsentire  alla  decretata  unione; 
anzi,  ove  lo  avesse  fatto,  sarebbe  di  leggieri  andato  contro  alla  legge  di  carità, 
e  avrebbe  davvero  tradito  i  giovani  affidati  alla  sua  custodia.  Fin  qui  nessun 
cattolico  lo  può  condannare  per  nulla. 


XXXII. 


La  Scomunica 


Sommario. 

l'atto  doloroso  a  dirsi.  —  Il  Brave  di  scomunica  come  si  legge  nel  Pastor.  —  Empietà  di  coloro  che 
1'  hanno  procurata.  —  L' intiero  nostro  scritto  dimostra  la  nullità  della  grave  sentenza.  —  Un 
lavoro  che  sarebbe  utile.  —  Si  riepilogano  con  le  parole  del  Frate  le  cose  fin  qui  dette. —  Un  po- 
destà di  lirescia.  —  Ad  Alessandro  VI  spiace  la  pubblicazione  della  sentenza.  —  È  conosciuta 
da  molti  la  nullità  della  scomunica.  —  Il  Papa  riconosce  l'  innocenza  del  Condannato.  —  Dottrina 
e  vita  del  Savonarola  lodate  da  Alessandro  VI.  —  Il  Papa  desideroso  di  revocare  la  scomunica. 
—  Prove.  — Un'altra  scena.  —  I  motivi  della  scomunica  riconosciuti  inesistenti  da  Alessandro 
VI.  —  Interpretazione  delle  parole  falsa  et  penti/era  dominata.  —  Se  Fra  Girolamo  potesse  chie- 
dere 1'  assoluzione.  —  La  benedizione  papale.  —  La  dignitosa  coscienza  del  Frate  ha  compito 
il  proprio  dovere.  —  Una  domanda  al  Pastor.  —  Obbligo  della  difesa.  —  I  tristi  che  trionfano  e 
imperversauo,  e  nessuno  li  frena.  —  I  buoni  che  dimandano  pane  e  nessuno  lo  spezza  loro.  — 
Il  Frate  giustificato  del  riprender  la  predica  e  la  celebrazione  dei  misteri  divini.  —  Gli  effetti 
manifestano  ohe  il  Savonarola  diceva  la  verità.  —  La  testimonianza  del  Landucci.  —  L'  uomo 
di  poca  virtù  e  V  uomo  acceso  di  sauto  zelo.  —  Non  siamo  nel  caso.  —  Un  pensiero  difficile  a 
significarsi.  —  Grandezza  di  Fra  Girolamo. 


Fino  a  questo  punto,  come  abbiam  visto,  nessun  cattolico  può  a  rigore  con- 
dannare il  Savonarola.  Eppure,  com'è  doloroso  il  doverlo  dire  !  a' 12  di  mag- 
gio dell'anno  1497  si  osò  proporre  ad  Alessandro  VI  di  sottoscrivere  il  Breve 
di  scomunica!  Questo  era  indirizzato  a'varj  conventi  della  città  e,  come  si  legge 
nel  Pastor  (pagg.  357-358),  suona  così:  «  Da  più  persone  degne  di  fede  abbiamo 
inteso,  come  un  certo  Fra  Girolamo  Savonarola,  al  presente,  per  quanto  si  dice, 
Vicario  di  San  Marco  in  Firenze,  abbia  seminato  perniciosa  dottrina  con  scandalo 
e  iattura  delle  anime  semplici.  Noi  gli  comandammo,  in  virtù  di  santa  obbe- 
dienza, die  sospendesse  le  prediche  e  venisse  a  noi,  onde  scusarsi  dei  suoi  errori, 
ma  egli  non  volle  obbedire,  e  ci  addusse,  invece,  alcune  scuse  che  noi  con  troppa 
benignità  accettammo,  sperando  che  la  nostra  clemenza  dovesse  convertirlo.  Ma 
volle  persistere  sempre  nella  sua  ostinazione  ;  onde  con  un  secondo  breve  (7  no- 
vembre 14!)6)  gli  comandammo,  sotto  pena  di  scomunica,  che  unisse  il  convento 
di  San  Marco  alla  Congregazione  Tosco-Komana,  nuovamente  da  noi  creata. 


—  527  — 


Anche  allora  restò  fermo  nella  sua  pertinacia,  incorrendo  così  ipso  facto  nella 
censura.  E  però  noi  ora  vi  comandiamo  che  nei  di  festivi  alla  presenza  del 
popolo  dichiariate  esso  Fra  Girolamo  scomunicato,  e  come  tale  doversi  te- 
nere da  ognuno,  perchè  alle  apostoliche  monizioni  nostre  e  comandamenti 
non  ha  obbedito.  E,  sotto  simile  pena,  venga  impedito  ad  ognuno  d'aiutarlo, 
frequentarlo  o  lodarlo;  sia  nei  detti,  sia  nei  fatti,  siccome  scomunicato  e  sospetto 
di  eresia  ». 

Che  dobbiamo  dire  o  fare  dinanzi  a  sì  fatto  documento  ?  Vi  è  pur  uno 
de'  nostri  lettori  che  abbia  tuttavia  bisogno  d'  una  parola  o  d'un  fatto  per  es- 
sere persuaso  che  questo  Breve  è  un'ingiuria  a  Fra  Girolamo?  che  neppur 
uno  dei  motivi  ai  quali  s'appoggia  regge  comecchessia?!  E  in  caso,  che  do- 
vremmo noi  fare  altro,  se  non  ripetere  ciò  che  abbiamo  scritto  e  narrato  fin 
qui,  come  prova  evidente  che  la  verità  è  tutta  contraria  a'  supposti  della 
lettera  pontificia?  (')  Un  grave  peso  di  tristezza  pare  ci  voglia  opprimer  l'anima 
a  pensare  quanto  sia  slata  grande  la  malizia  di  quegli  scellerati  che  osarono 
consigliare  al  Vicario  di  Cristo  di  apporre  la  sua  firma  ad  un  documento  di 
questa  fatta  !  Certo  a  costoro  la  dignità  della  Sede  Apostolica  non  doveva  im- 
portare affatto,  se  osarono  compiere  un  delitto  così  mostruoso.  Pare  legge  di 
provvidenza  che  in  questo  mondo  ia  malizia  degli  uomini  calchi  ognora  i  buoni, 
e  sollevi  i  pravi;  ma  qui  ci  troviamo  di  fronte  ad  un  eccesso  così  grande  che 
si  pena  a  capire  come  abbia  potuto  compiersi!  Fra  le  infamie  che  si  narra- 
rono degli  ultimi  anni  del  secolo  XV,  io  non  so  se  ve  ne  sia  alcuna  più  carat- 
teristica e  più  grave  della  presente,  nella  quale  mi  sembra  di  veder  trionfare 

(')  Il  prendere  in  esame  questo  Breve  in  un  lavoro  speciale,  intitolato:  Delia  scomu- 
nica contro  Fra  Girolamo  Savonarola,  potrebbe  riuscire  tuttavia  di  grande  utilità.  Biso- 
gnerebbe far  la  storia  degli  antecedenti  e  veder  bene  come  il  Pontefice  sia  stato  tratto  ad 
un  passo  cosi  grave.  I  nuovi  documenti  ci  darebbero  qui  un  aiuto  incalcolabile;  ma  non 
bisognerebbe  lasciar  da  parte  nè  le  predicazioni  del  Frate,  né  quelle  de'suoi  emuli,  nè  to- 
glier l'occhio  dagli  avvenimenti  politici  esteri  e  nostrani.  Apparirebbero  allora  manifeste 
per  una  parte  le  brutte  trame  tese  al  nostro  dall'utilità,  dall'empietà,  dalla  fraudolenza  e 
dal  mal  costume;  e  per  l'altra  parte  ci  si  mostrerebbe  in  nuova  luce  lo  zelo  del  Frate  per 
la  verità,  per  il  bene  di  Firenze,  per  la  Chiesa  di  Cristo. 

Poi  bisognerebbe  passare  ad  esporre  l'operato  del  Savonarola  dopo  giunta  la  scomu- 
nica; e  apparirebbe  allora  luminosa  la  reverenza  di  lui  verso  le  somme  chiavi  pur  iu  un 
tempo  ch'erano  indegnamente  profanate  e  volte  spesso  a  fine  ben  diverso  da  quello  por  il 
quale  furono  consegnate  a  Pietro.  E  si  vedrebbe  che  il  nostro  Frate  nè  come  cattolico,  nè 
come  religioso,  poteva  governarsi  meglio:  in  mezzo  aduna  turba  di  gente  venduta,  malfa 
intenzionata,  traditora  che,  senza  aver  fede  alcuna,  ricorre  per  combattere  il  Frate  ed  oppri- 
merlo, alla  dignità  della  Santa  Sede,  si  vedrebbe  lui  splendere  per  lealtà  generosa  verso 
gli  stessi  nemici,  e  vivissima  fede  in  Dio  e  nella  Chiesa. 

E  questo  un  lavoro  che  ha  certo  molta  attrattiva,  e  quasi  ci  duole  che  la  natura  e  i 
limiti  dello  scritto  presente  non  consentano  a  noi  di  farlo  qui  coli' ampiezza  che  vorremmo. 
Per  ora  ci  limiteremo  a  dirne  tanto  che  basti  per  mostrare  inesatta  l'asserzione  ripetuta 
dal  Pastor  fpag.  143),  che  c  il  Savonarola  non  fe' alcun  caso  della  scomunica  di  Alessan- 
dro VI»;  e,  peggio  ancora  che  inesatta,  calunniosa  l'accusa,  pur  tante  volte  ripetuta  e  da 
tanti,  ch'egli  sprezzasse  le  censure  pontificie:  mentre  il  Frate  anche  in  questo  dolorosissimo 
periodo  della  sua  vita,  in  questa  acutissima  fase  della  sua  lotta,  si  mantenne  fedelissimo  ai 
canoni  e  allo  spirito  della  Chiesa.  Questo  è  sufficiente  al  nostro  fine  presente  e  speriamo 
che  il  lettore  se  ne  contenti. 


-  528  — 


la  turpe  calunnia,  la  frode,  l'empietà,  il  disprezzo  d'  ogni  più  sacra  cosa,  e  so- 
pratutto della  dignità  del  Vicario  e  della  Chiesa  di  Cristo.  Quando  penso  che 
colla  ipocrisia,  colla  calunnia,  colla  frode,  si  potè  finalmente  riuscire  a  persua- 
dere Alessandro  VI  esser  utile  alla  fede  e  alla  vita  cristiana  il  sottoscrivere  un 
Breve  di  tal  fatta,  non  ho  più  bisogno  di  altro  a  creder  vere  le  scellerag^rini  che 
il  Pastor  e  altri  mi  narrano  dell'  epoca  del  Rinascimento  ;  e  più  che  mai  mi  rie- 
sce facile  il  capire  come  una  simile  età  potesse  generare  le  dottrine  del  Macchia- 
velli  nella  peggiore  loro  parte.  Piuttosto  potrebbe  alcuno  meravigliarsi  che  non 
cadesse  intieramente  la  fede,  ed  io  mi  persuado  sempre  meglio  che  è  divina 
l'istituzione  della  Chiesa  e  la  potenza  e  dignità  impersonale  del  Papato:  e  in- 
tendo più  chiaramente  che  mai,  perchè  Cristo  Dio  non  abbia  permesso  che  nel 
dogma  e  nella  morale  cristiana  1'  opera  degli  uomini  la  potesse  in  alcun  modo 
sopra  il  suo  Vicario. 

È  impossibile  dar  torto  a  Fra  Girolamo,  per  quanto  le  sue  parole  sieno 
agre  e  forti,  allorché  esamina  questa  scomunica:  sentiamolo,  e  sieno  i  suoi 
detti  come  un  riepilogo  delle  cose  da  noi  vedute  fin  qui,  e  come  l'ultimo  colpo 
che  segna  del  marchio  d'infamia  i  brutti  calunniatori  del  Frate,  i  circonvenlori 
del  Papa.  Anciie  noi  però  premettiamo  collo  stesso  Fra  Girolamo  che  quanto 
diciamo  ed  abbiamo  detto,  tutto  lo  sottomettiamo  al  giudizio  della  Chiesa  Ro- 
mana, all'obbedienza  della  quale  vogliamo  stare  ognora  e  nella  quale  speriamo 
di  morire:  anzi,  ancora  con  Fra  Girolamo,  ne  piace  pensare  anche  qui,  che  la 
mente  di  Alessandro  VI  sia  stata  buona,  e  che  egli  non  abbia  errato  per  ma- 
lizia, ma  che  sia  stato  piuttosto  ingannato. 

«  Che  il  papa  in  questo  nostro  caso  sia  stato  circumvento  per  false  per- 
suasioni, io  te  lo  dimostro  nella  bolla  della  scomunica  che  dice,  che  io  ho  pre- 
dicato cose  eretiche  e  falsa  religione;  e  questo  è  manifestamente  falso,  perchè  i 
nostri  scritti  e  il  libro  che  abbiamo  mandato  fuora,  hanno  notificato  a  tutto  il 
mondo,  e  il  popolo  lo  sa,  che  io  non  ho  mai  predicalo  se  non  cose  buone  : 
adunque,  tu  vedi  che  il  Papa  è  stato  circumvento  da  false  persuasioni.  Pa- 
rimente, dice  in  quella  bolla  che  avendomi  citato  a  Roma  a  purgare  i  miei 
errori,  io  non  sono  voluto  comparire  :  questo  ancora  è  falsissimo,  perchè  io 
non  sono  mai  stato  citato,  nè  ho  avuto  simile  Breve.  Cerchino  bene  i  registri, 
non  troveranno  che  io  abbia  mai  avuto  questo  Breve;  egli  è  ben  vero,  ac- 
ciocché tu  intenda  ogni  cosa,  che  egli  mi  mandò  un  breve,  già  sono  due  anni 
e  più,  con  molte  laudi;  non  dico  già  questo  per  dire  le  laudi  mie:  Cristo  sa 
bene  lui,  e,  se  il  sarà  vero,  mi  retribuirà;  ma  lo  dico  per  narrarti  la  cosa  come 
è:  diceva  dunque  il  Breve  :  Diletto  figlio,  Noi  abbiamo  inteso  che  tu,  tra  gli  altri 
operatori  della  vigna  di  Cristo,  hai  fatto  non  poco  frutto,  e  dette  molte  cose  nuove 
da  parte  di  Dio:  del  che  ti  laudiamo  grandemente  e  desidereremmo  parlar  teco; 
e  così  ti  comandiamo  in  virtù  di  santa  obbedienza  che  tu  venga  insino  qua.  Io  ri- 
sposi alla  Sua  Santità  che  ero  contento  all' obbedienza  e  paratissimo,  madie 
per  allora  non  potevo  farla,  per  trovarmi  a  essere  infermo,  e  così  era  vero, 
domandane  il  medico.  Secondo,  gli  dissi  non  poter  andare  allora  per  gli  av- 
versari e  inimici  che  avevo,   per  rispetto  di  questa  predica,  di  quelli  dello 


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stato  ;  e  che  per  la  via  porterei  pericolo  della  morte:  e  tutti  i  testi  dicono  che 
quatido  è  imminente  il  pericolo  della  vita,  non  è  l'uomo  tenuto  ad  alcuna  ob- 
bedienza. Terzo,  risposi  non  potere  allora  andare,  perchè  la  città  si  trovava 
in  grande  alterazione;  e  fu  allora  quando  ci  erano  tra  li  cittadini  molte  dis- 
senzioni,  ed  io  predicava  la  pace,  e  però  dissi  non  potere  andare,  ma  essere 
necessaria  la  stanza  mia  qui  per  tenere  salda  e  ferma  la  unione.  Egli  accettò 
la  escusazione  molto  iene.  Sì  che  vedi  adunque  che  il  Breve  è  falso  e  fatto 
per  false  persuasioni,  perchè  dice  che  io  sono  stato  citato  e  richiesto  a  Roma 
a  scusarmi  dei  miei  errori  e  non  sono  voluto  andare,  nè  comparire.  Vedesi 
adunque  manifestamente  che  il  Papa  è  stato  circonvento,  perchè  non  è  da 
credere  che  lui  dicesse  una  tanta  bugia:  e  però  vedi  che  questo  Breve  è  stato 
fatto  sotto  il  banco  :  io  ho  bene  questo  Breve  meco,  e  possolo  mostrare.  E 
poi,  passati  alcuni  giorni,  cioè  uno  mese  e  circa  mezzo  di  uno  altro,  perchè 
il  Breve  predetto  fu  fatto  circa  il  fine  di  Luglio,  venne  un  altro  Breve,  fatto 
addì  8  di  settembre  o  circa,  pieno  di  vituperj,  nel  quale  non  erano  più  che  di- 
ciotto errori  ;  ed  il  primo  era  che  il  Breve  era  inscritto  al  Monasterio  di  Santa 
Croce;  e  cosi  andava  il  Breve  a  Santa  Croce,  che  volevano  che  andasse  a 
San  Marco;  di  poi,  diceva  in  quel  Breve:  un  certo  Jeronimo  Savonarola,  come 
se  non  mi  conoscesse  ;  e  non  era  ancora  quasi  un  mese  e  mezzo  che  mi 
aveva  scritto  così  amorevolmente.  Di  poi  vi  era  molte  altre  bagattelle,  che 
per  onore  non  voglio  dire  qua....  Di  poi  venne  un  altro  Breve,  dicendo  che  io 
aveva  seminato  dottrina  da  mettere  zizzania  in  ogni  popolo  pacifico  e  molte 
altre  cose  false,  e  però  mi  sospendeva  dalla  predica,  e  tutto  il  mondo  sa  che 
io  ho  predicato  e,  con  la  grazia  di  Dio,  posta  la  pace  in  questa  città.  Or 
vedi  che  questo  Breve  non  viene  dal  Papa,  o,  se  viene,  è  stato  circon- 
vento  

«  Di  poi  venne  un  Breve,  che  tutti  i  conventi  di  Toscana  si  congiungessero 
e  facessero  una  congregazione,  nella  quale  dovesse  entrare  San  Marco  con  gli 
altri  suoi  conventi,  e  prima  nell'altro  Breve  voleva  che  entrassimo  nella  con- 
gregazione di  Lombardia,  dalla  quale  prima  ci  aveva  separati;  e  ora  vogliono 
che  noi  entriamo  in  quella  di  Toscana,  e  ora  qua  e  ora  là:  questo  mi  pare  il 
giuoco  degli  scacchi,  nella  difesa  del  Re,  che  quando  è  rinchiuso,  si  leva  d'uno 
scacco  e  poi  torna  a  quel  medesimo.  Sì  che  sono  manifeste  le  circonvenzioni 
dei  maligni.  Parimente  venne  poi  l'altro  Breve  con  la  escomimica:  per  non 
esser  entrato  nella  congregazione  di  Toscana.  E  perchè  il  dubbio  della  falsa 
dottrina  e  quello  di  non  essere  andato  a  Roma  sono  soluti,  constando  ad 
ognuno  il  primo  essere  falso,  e  al  secondo  non  essere  obbligato,  e  massime 
avendo  il  Papa  accettata  la  nostra  vera  escusazione,  resta  la  disputa  in 
su  questi  due  punti  soli:  cioè  circa  il  mio  predicare  e  circa  la  unione 
delli  nostri  frati  a  quelli  di  Toscana  ;  i  quali  ti  voglio  solvere  ad  ogni 
modo.  E  quanto  ad  entrare  nella  congregazione,  questo  non  sta  a  me: 
egli  sta  anche  ai  frati,  se  essi  vi  vogliono  entrare:  e  i  miei  frati  hanno 
ben  risposto,  e  non  vogliono  entrare,  e  non  vogliono  a  questo  obbedire,  e 
fanno  bene;  io  non  glielo  comanderò  già  io,  che  eglino  obbediscano,  e  che 

34 


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eglino  allarghino  la  vita  loro,  perchè  è  contro  alla  carità.  (*)  Sicché  tu  vedi  che 
il  primo  presupposto  è  vero;  cioè  che  il  papa  è  stato  circonvento  e  ingannato; 
il  secondo  è  che  i  circonventori  volevano  con  queste  scomuniche  fare  di  molto 
male;  e  questo  è  noto  a  chi  non  è  cieco.  Dimmi  un  poco,  per  levare  via  la 
predica  e  volerci  mettere  in  un'altra  congregazione,  che  volevano  eglino  fare? 
Qui  bisogna  scoprire  il  vero.  Che  intenzione  era  la  loro?  Non  volevano  eglino 
guastare  il  ben  pubblico  di  questa  città?  Xon  bisogna  ascondersi  qua:  eglino 
volevano  fare  tirannia  qua!  Che  credi  tu  che  eglino  attendano  là  a  Roma?  Xon 
si  attende  a  cercare  il  ben  vivere:  ma  attendono  a  stato,  dico  io:  e  dicono  pure: 
—  E  frate  attende  a  stato.  —  Il  frate  siete  voi.  cittadini;  non  cercano  di  dare  a  me, 
ma  a  voi,  e  si  coprono  sotto  il  mantello  del  frate.  Orsù  questa  battaglia  si  ha 
a  fare  a  ferri  puliti.  Il  terzo  presupposto  è  che  io  ho  giustificato  ogni  cosa,  che 
mi  è  stata  opposta;  e  questo  è  noto  per  gli  scritti  e  per  lettere  nostre:  io  ho 
tutte  le  mie  carte  in  ordine  e  tutte  le  mie  arme:  di  pure  che  scrivano,  che  gli 
sarà  risposto  ad  ogni  cosa,  se  abbiamo,  dico,  a  combattere  a  ferri  puliti,  e  vin- 
ceremo ad  ogni  modo:  ma  guardate,  che  se  gli  scatta  un  punto,  faremo  stupire 
tutto  il  mondo. 

<  Ragioniamo  un  poco:  pare  a  te  questo  uno  di  quei  Rrevi  falsi,  o  no?  E  di- 
cono poi  che  la  scomunica  vale:  va  ai  vaienti  uomini,  e  vedrai  che  non  dicono 
come  te.  Un  altro,  che  è  il  quarto,  presupposto  ci  bisogna  fare,  della  dot- 
trina; ma  non  guardare  a  me,  chè  io  non  ti  parlo  di  me,  nè  di  mia  dottrina, 
perchè  io  ti  ho  detto  più  volte,  che  la  dottrina  mia  non  è  mia.  Ognuno  che  mi 
conosceva  già  dieci  anni  passati  lo  sa  che  io  non  avevo  nè  voce,  nè  petto,  nè 
modo  di  predicare,  anzi  era  in  fastidio  ad  ogni  uomo  il  mio  predicare;  ma 
poiché  il  Signore  mi  ha  dato  questo  dono,  io  lo  accetto  volentieri  per  suo  amore: 
ma  egli  ci  è  un  gran  peso  insieme  con  questo  dono;  e  ha  detto:  Ti  mostrerò 
quanto  ti  sia  necessario  patire  per  amor  mio.  (')  Orsù  parleremo  adunque  della 
dottrina;  ed  eccoti  un  altro  principio  che  io  ti  voglio  presupporre:  cioè  che  la 
continuazione  di  questa  dottrina  è  utile  non  solo  a  Firenze,  ma  ancora  a 
tutta  la  Chiesa,  e  dannoso  sarebbe  se  ella  si  levasse:  e  ne  seguiterebbero  di 
molti  mali.  Io  presuppongo  questo:  perchè  è  manifesto  come  sono  manifesti 
i  primi  principj  delle  scienze.  Prima,  per  il  lume  naturale:  quella  dottrina  che 
è  conforme  alla  filosofia  e  alla  sacra  Scrittura  e  a  tutte  le  altre  scienze  è 
utile:  questa  è  conforme  al  lume  naturale  e  soprannaturale  e  a  tutte  le  vere 
scienze,  come  t'abbiamo  continuamente  dimostrato  nel  predicare  nostro  e  negli 
nostri  scritti;  adunque  è  utile  a  tutta  la  Chiesa.  E  così  al  contrario  sarebbe 
di  molto  danno  a  dissiparla;  perchè  questo  non  sarebbe  altro  che  dissipare  la 


{')  Chi  avesse  tuttavia,  anche  dopo  quanto  abbiamo  detto  ed  esposto  nel  capitolo  pas- 
sato, qualche  esitanza  ad  ammettere  come  giusta  nel  caso  questa  dottrina,  veda  il  Sermone  II 
sopra  l'Esodo,  da  cui  ora  trascriviamo,  al  foglio  12  e  seg.  edizione  Veneziana  del  1520,  e  più 
nitri  sermoni  del  medesimo  quaresimale,  e  oltre  all'ammirare  la  buona  fede  del  Savonarola 

finirà  anche  di  persuadersi  ch'egli  aveva  ragione  anche  qui. 
O  Atti  degli  Apostoli.  Cap.  IX,  v.  16. 


—  531  — 


fede  e  le  Scritture  sante  e  l'altre  scienze,  essendo  una  cosa  medesima  con 
quelle.  Secondo,  lo  provo  per  esperienza.  Questa  dottrina,  tu  hai  veduto  che 
ella  t'  ha  provato  la  fede  con  tante  ragioni  e  ha  introdotto  il  ben  vivere  nella 
tua  città?  Non  è  vero  questo,  o  popolo,  che  prima  qua  in  Firenze,  non  sono 
molti  anni,  era  un  paganesimo,  senza  lume  alcuno  di  ben  vivere  ?  Questa  inol- 
tre t' ha  mantenuto  la  pace  in  Firenze  ;  tu  sei  obbligato  più  a  questa  dot- 
trina che  a  tuo  padre  che  ti  generò.  E  la  esperienza  ancora  dimostra  che  il 
suo  cessare  o  mancare  è  causa  di  molti  mali.  E  prima  questo  si  prova,  per- 
chè è  perseguitata  dai  cattivi  uomini  e  dai  diavoli.  Guarda  pure  che  uomini 
furono  quelli  che  si  sforzarono  di  farla  cessare  ;  guarda  le  cose  che  furono 
fatte  in  su  questo  pergamo,  parti  egli  che  fosse  Dio  o  il  diavolo  ?  Inoltre 
questa  dottrina  faceva  torre  via  i  sassi,  (*)  il  che  tu  non  potesti  mai  levare 
della  tua  città,  questa  toglieva  via  i  balli,  le  taverne  e  giuochi;  ma  guaida,  poi 
che  fu  fatta  cessare  questa  dottrina,  sono  ritornati  i  giuochi,  aperte  le  taverne 
e  il  Frascato  (2J  a  tuo  modo.  Questa  portava  via  le  carte  e  dadi  ;  da  poi  eh'  ella  è 
cessata,  si  sono  rifatte  le  forme  delle  carte,  giuocasi  in  pubblico.  Questa  rifor- 
mava i  fanciulli,  ma  da  poi  eh'  ella  è  cessata,  molti  sono  ritornati  alle  lascivie. 
Questa  riformava  le  donne,  e  poi  eh'  ella  è  cessata,  s'  è  atteso  a  pompe  e  a 
balli  e  canti  e  feste  e  mille  disonestà;  chè  intendo  che  alla  Nunziata,  nelli  occhi 
della  Vergine  Maria,  tra  giovani  e  donne  nelle  strette  si  fanno  cose  disonestis- 
sime, proprio  come  dire  quivi  alla  Vergine:  Io  lo  fo  per  tuo  dispetto.  — Ecco 
il  frutto,  o  Firenze,  che  fa  il  levare  via  questa  dottrina.  Questa  faceva  i  buoni 
figliuoli;  ora  per  esser  tolta  via,  i  padri  gli  fanno  cattivi  e  non  vogliono  che 
vengano  alla  predica,  perchè  dicono  che  hanno  scrupolo,  e  se  egli  va  fuori  di 
notte  a  far  male,  non  se  ne  cura  e  non  ne  ha  scrupolo  alcuno.  Sicché  questa 
dottrina  introduceva  tutti  i  beni  e  il  farla  cessare  ha  introdotti  di  molti  mali. 
È  ancora  manifesto  questo  per  il  senso:  guarda  le  buone  donne,  i  buoni  fan- 
ciulli,-guardagli  quanto  alla  onestà  del  vestire  e  guardali  tutti  in  viso  quelli 
che  credono;  tu  gli  conoscerai  tutti.  E'  sono  tutti  lieti  e  hanno  faccie  venuste 
e  angeliche.  Guarda  da  poi  quelli  che  non  credono,  tu  gli  vedrai  tutti  per- 
turbati e  tutti  altieri.  Provasi  ancora  per  induzione  :  va  per  tutto,  tu  trove- 
rai che  questo  e  quello  e  quell'  altro  e  ognuno  che  vuole  vivere  bene  e  in 
verità  e  buon  cristiano,  lauderà  questa  dottrina.  Provasi  ancora  per  consuetu- 
dine la  utilità  di  questa  dottrina.  Guarda,  chi  l'ha  più  usata  e  più  lungo  tempo 
si  trova  sempre  in  migliore  grado  con  Dio  :  io  dico  pure  questo  che  i  frati  no- 
stri, che  continuamente  la  odono,  sempre  più  la  credono,  e  non  furono  mai 
in  tanta  unione  di  cuori  quanta  sono  oggi,  e  dappoiché  hanno  udita  questa  dot- 
trina e'  cantano  sempre  con  maggior  fervore:  Ecce  quam  bonum  et  quam  iucun- 


(')  Vedi  sopra  a  pag.  137,  nota  2,  e  a  pag.  152.  Cfr.  il  Burlamacclii  pag.  104,  e  il  Villari, 
II,  pag.  17  e  seg. 

(:)  «  Frascato  chiaraavasi  da  remotissimo  tempo,  un  luogo  presso  alla  Piazza  do' Suc- 
ohiellinai  e  vicino  a  Mercato  Vecchio....  Vi  era  uu'  antica  e  rinomata  taverna,  un  postribo- 
lo, e  vi  s'andava  a  giocare.  È  quel  luogo  che  Franco  Sacchetti  rammenta  nella  novella  187  ». 
Cosi  Del  Badia  nella  nota  1  a  pag.  119  del  Diario  del  Landucci. 


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dum  habitare  fraires  in  unum.  (*)  E  al  contrario  guarda  chi  la  impugna,  tutti 
uomini  cattivi,  mormoratori,  e  che  vorriano  mandare  le  fanciulle  loro  a  balli 
e  feste.  Guarda  anche,  chi  contradice  non  ha  mai  voluto  scrivere  in  pubblico 
contro  a  questa  dottrina;  io  dico  nessuno  valente  uomo;  perchè,  benché  con- 
tradicano con  la  lingua,  conoscendo  che  conlradicono  alla  verità,  non  vogliono 
scrivere,  perchè  sono  tanto  superbi  che  non  vogliono  essere  convinti  col  vero, 
e  temono  che  non  gli  sia  risposto  alle  rime.  Mettete  in  scritto,  voi,  che  con- 
tradite, mettete  in  iscritto,  frati,  e  chi  predica  contro  ;  e  vedrete  che  voi  scri- 
verete cose  sciocche  e  false,  e  che  vi  sarà  risposto.  Or,  fatto  questo  fondamento, 
che  la  continuazione  di  questa  dottrina  è  tanto  utile  e  il  levarla  è  tanto  dan- 
noso, lasciami  un  poco  riposare  e  faremo  un  altro  fondamento  ». 

E  quest'altro  fondamento  che  il  Frate  fa,  come  potrebbe  vedere  il  letto- 
re, riguarda  l'unione  de'  conventi.  Il  Savonarola  insiste  nel  dimostrare  quanto 
abbiamo  or  ora  finito  di  esporre  nel  capitolo  antecedente,  che  cioè  tale  unione 
sarebbe  la  rovina  dei  suoi  frati,  e  accenna  anche  appunto  alle  ragioni  di  questi 
esposte  nell'Apologia  ch'era  già  pubblicata;  poi  viene  finalmente  a  conchiu- 
dere, ed  in  questo  e  nei  sermoni  seguenti,  che  la  scomunica  non  valeva  nè 
presso  Dio  nè  presso  gli  uomini.  (8) 

E  queste  ragioni  insieme  con  altre  che  puoi  trovare  nella  lettera  contro  la 
scomunica  surrettizia,  a  tutti  i  Cristiani  e  diletti  in  Dio  ;  e  nell'altra  ad  un 
fratello  carissimo,  contro,  sententiam  excomunicationis  contra  se  nuper  latam;  e 
prima  ancora  nella  lettera  ad  Alessandro  VI  di  cui  parla  il  Gherardi  a  pa- 
gina 162, (3)  dovettero  parer  tanto  forti  che  la  gente  si  persuadeva  veramente 
che  le  conclusioni  del  Frate  fosser  vere  e  legittime,  tantoché  le  abbracciarono 


(')  Salmo  123,  v.  4. 

C)  Noi  crediamo  fermamente  che  Alessando  VI  non  sia  mai  riuscito  a  formarsi  un'  idea 
esatta  e  tanto  meno  completa  nè  di  Fra  Girolamo  nè  dell'opera  di  lui,  e  crediamo  ancora 
che  la  mente  sua  sia  stata  in  tutta  questa  faccenda  molto  combattuta.  E  come  poteva  essere 
altrimenti,  se  anche  il  Collegio  de' cardinali  e  molti  de'più  illustri  e  potenti  personaggi 
d'Italia  e  di  Roma  erano  qui  divisi,  chi  a  favore,  chi  contro  il  Frate?  Che  ne  avveniva? 
Che  Alessandro  VI  dava  ragione  all'ultimo  che  gli  parlava;  questo  è  forse  il  suo  maggior 
torto;  torto  vero,  ma  scusabile,  non  avendo  potuto  udire  il  Savonarola.  Questo  dimostra 
forse  per  altra  parte  la  buona  fede  con  la  quale  egli  procedeva  e  deliberava  e  sospendeva  le 
deliberazioni  per  poi  ripigliarle.  Quest'altalena,  se  è  lecito  dirla  cosi,  era  anch' essa  per  il  Sa- 
vonarola una  prova  che  il  Papa  era  stato  circonvenuto.  Ciò  è  ritratto  con  molta  vivacità 
ed  in  modo  scultorio  nella  II  predica  sopra  l'Esodo:  «Puoi  vedere  che  il  Pontefice 
è  stato  circonvenuto  per  le  tante  mutazioni  che  tu  vedi  nelli  suoi  Brevi  in  si  poco  tempo. 
E'  fu  un  potestà  a  Brescia,  il  quale  quando  veniva  uno  che  diceva:  —  Io  ho  a  avere  da 
costui;  —  lui  diceva:  —  Or  va  e  pagalo. —  E  quell'altro  diceva:  —  O  messere,  non  è  vero.  — 
E  lui  si  voltava  al  primo  e  diceva:  —  Perchè  mi  di'  tu  le  bugie?  —  e  quando  lui  replicava: 

—  Anzi  mi  deve  dare  —  ,  si  voltava  al  debitore  dicendo:  —  Tu  hai  torto,  or  va  e  paga;  —  e 
quando  si  escusava  gli  dava  ragione;  e  cosi  credeva  a  chi  parlava  e  dava  ragione  ad  ognuno. 

—  Vuoi  tu  dunque  che  il  Papa  sia  come  questo  podestà?  Perchè  nel  1"  Breve  dice  che  ha 
inteso  da  molti,  e  nel  2°  dice  ancora  che  ha  inteso  da  molti.  Dunque  crederia  a  quelli 
che  dicono  bene  e  poi  incontanente  a  quelli  che  dicono  male.  Epperó  non  è  questo  2°  Breve 
fatto  dal  Pontefice,  ma  da'  maligni  ». 

(3)  Vedi  questa  lettera  tradotta  io  italiano  nel  più  volte  citato  opuscolo  del  P.  Procter 
a  pag.  56. 


—  533  — 


parecchi  cardinali,  e  lo  stesso  Pontefice.  Infatti  ne'  Nuovi  documenti  pubblicati 
dal  Gherardi  leggiamo  che  Alessandro  VI  cominciò  dal  dichiarare  al  cardinale 
di  Perugia  che  la  pubblicazione  di  tale  scomunica,  hoc  tempore  facta,  gli  dispia- 
ceva, et  erat  omnino  praeter  mentem  suam;  e  si  mostrava  così  ben  disposto 
alla  rivocazione  delle  censure,  che  a  di  -21  di  giugno  1497  il  Bracci  poteva  scri- 
vere a' Dieci:  «  che  avrebbe  facilmente  ottenuto  che  la  Sua  Beatitudine  la  re- 
vocasse davvero,  se  non  fosser  giunte  a  Roma  altre  lettere  private  da  Firenze, 
per  le  quali  la  Santità  Sua  fece  tanta  mutazione  che  rimise  la  causa  ne'  sei 
Cardinali  deputati  allora  per  la  riforma  deile  cose  ecclesiastiche  ».  (')  Che  se, 
continuando,  l'  oratore  fiorentino  ci  fa  conoscere  che  il  Papa,  pur  protestando 
in  nome  di  Dio  che  di  Fra  Girolamo  aveva  cominciato  a  disporsi  bene,  s'era 
poi  guasto  un'  altra  volta  per  la  pubblicazione  della  lettera  del  Frate  fatta 
dopo  le  censure,  e  che  perciò  aveva  deliberato  di  procedere  contro  di  lui  in 
tutti  i  modi  permessi  da'  sacri  canoni  contro  i  contumaci  e  ribelli  di  Santa  Madre 
Chiesa,  pur  vediamo  che  il  Papa  non  revoca  nemmeno  ivi,  sebbene  usi  pa- 
role assai  passionale,  il  giudizio  intorno  alla  scomunica,  nè  afferma  punto 
che  essa  valga  e  che  Fra  Girolamo  se  la  meriti  veramente.  Anzi  lascia  capir 
chiaramente  che  egli  non  sa  se  le  accuse  contro  il  Frate  reggano  o  no,  nè  se 
questi  sia  reo  od  innocente;  imperocché  ricerca  all'  oratore,  «  che  voglia  scri- 
vere da  parte  sua  e  confortare  i  Dieci  allo  essere  contenti  che  Fra  Girolamo 
venisse  al  cospetto  suo,  ad  se  purgandum,  chè  lo  voleva  udire,  e  quando  lo 
trovasse  innocente,  gli  darebbe  la  sua  benedizione  ».  (2) 

Ora  come  può  essere  scomunicato  uno,  quando  non  si  sa  s'  egli  sia  reo 
od  innocente? 

Importante  è  un'altra  lettera  del  Becchi  ai  Dieci  colla,  data  19  luglio  1497, 
nella  quale,  sebbene  egli  vegga  che  i  nemici  del  Frate  non  dormono,  e  noti 
molti  preparativi  in  contrario,  pure  scrive,  e  pare  con  buona  fiducia,  che 
«  quando  la  città  mostri  volere  questa  grazia  dal  Papa  e  da  questi  Signori 


(')  Non  è  inutile  il  notare  che  in  questa  medesima  lettera,  che  si  legge  nel  Gherardi 
a  pag.  171-172.il  Bracci  soggiunge  che,  non  ostante  queste  cose,  avrebbe  anche  per  questa 
via  de' Cardinali,  ottenuto  almeno  la  sospensione  del  Breve,  se  non  fosser  di  nuovo  soprav- 
venute lettere.... 

(2)  Che  anche  altri  fosser  persuasi  della  nullità  della  scomunica  è  facile  provarlo. 
La  città  volendo  questa  grazia  dell'  assoluzione  e  desiderandola  pure  assai  la  Signoria,  que- 
sta mandò  a  Roma  il  Bonsi,  imponendogli  di  usare  ogni  efficace  instanza  appresso  la  San- 
tità del  Papa  e  del  Reverendissimo  Cardinale  di  Napoli,  ed  in  ogni  altro  luogo  dove  fosse 
necessario,  per  la  integra  e  libera  assoluzione.  ..  E  il  Bonsi  scriveva  il  giorno  5  di  febbraio 
d'aver  trattato  a  lungo  con  Monsignore  di  Perugia  dell'assoluzione  di  Fra  Girolamo;  e  che 
questi  promisegli  operarne  con  la  Sua  Santità  di  Nostro  Signore  (alla  quale  aveva  a  riferire 
quello  che  in  quel  giorno  trattavano)  in  modo  che  vedrebbe  che  essi  ne  fosser  consolati. 
Cosa  certo  che  egli  non  avrebbe  potuto  promettere  se  non  fosse  stato  persuaso  della  nullità 
della  censura.  Da  una  lettera  del  Bonsi  a' Dieci  con  la  data  de'  Vi  febbraio  si  può  anche  ve- 
dere che  più  cardinali,  compreso  quello  di  Napoli,  sebbene  non  fossero  favorevoli  al  Savo- 
narola, non  reggevano  ali  •  ragioni.  E  dopo  varie  e  lunghe  esamine  circa  a  questo  caso,  se 
ne  rimettono  a  quello  parrà  alla  Santità  di  N.  Signore  ».  Gherardi,  pag.  174  e  seg.  Non  si 
deve  però  tacere  che  in  generale  a  Roma  la  scomunica  era  tenuta  valida  e  che  non  il  solo 
Alessandro  VI  era  stato  ingannato  dai  nemici  del  frate.  Gherardi,  pag.  199. 


—  534  — 


Reverendissimi  Deputali,  nè  il  Papa  nè  le  loro  Reverendissime  Signorie  sono 
per  denegarla;  massime  quando  ci  abbia  a  essere  qualche  onore  e  soddisfa- 
zione di  questa  Sedia,  ed  in  particolare  di  Sua  Beatitudine.  (l) 

Appresso,  tornato  il  Savonarola  sul  pulpito,  sebbene  il  cardinale  Ascanio 
e  gli  oratori  della  Lega  e  specialmente  i  Veneziani  e  più  altre  persone  s'  ado- 
perassero ad  infiammar  l'ira  di  Alessandro  VI  e  riuscissero  nell'intento,  si 
che  venne  spedito  un  Breve  molto  severo  alla  Repubblica,  imponendole  di  man- 
dare a  Roma  il  Frate  o  di  segregarlo  dagli  altri  membri  della  Chiesa  in  modo 
che  non  potesse  più  parlar  con  alcuno,  nè  seminare  nuovi  scandali;  ciò  nondi- 
meno non  s'  arriva  al  punto  di  non  lasciar  più  alcuna  speranza  d'  assoluzione. 
Anzi  il  Pontefice,  nell'atto  stesso  che  consegnava  questo  Breve  all'Oratore  Fio- 
rentino, diceva  e  ripeteva:  «  Che  quando  seguisse  che  Fra  Girolamo  restasse  ohe- 
diente  a  starsi  di  per  sè  e  non  predicare,  non  passerebbe  molto  tempo  che  a  oyni 
modo  lo  assolverebbe  d'  ogni  censura  mai  fosse  incorso  ».  (z) 

E  più  esplicito  è  ancora  un  passo  del  documento  XX  pubblicato  dal  Mar- 
chese :  una  lettera  del  Bonsi  ai  Dieci  con  la  data  de'  7  marzo.  Ivi  l1  Oratore 
scrive  alla  Repubblica,  che  il  Vescovo  di  Parma,  riferendogli  con  giuramento 
un  colloquio  avuto  col  Papa  intorno  a  queste  cose,  e  manifestatagli  l' ira  di 
Alessandro,  finiva  con  esortare  «  che  e'  si  facesse  qualche  segno  di  resistere  al 
predicare  per  qualche  tempo,  o  in  qualche  modo  umiliarsi  Fra  Girolamo  a 
chiedere  l'  assoluzione;  la  quale  quando  seguisse,  il  Papa,  non  dinegherebbe  mai 
a  Fra  Girolamo  poi  il  predicare  ». 

E  che  questi  ora  fossero  veramente  i  pensieri  del  Papa  ne  abbiamo  una 
solenne  riprova  nel  Breve  pur  severissimo  spedito  alla  Signoria  a  dì  9  marzo 
1498,  del  quale  abbiamo  or  ora  toccato.  Infatti  ivi  Alessandro  VI,  narrata  al 
solito  la  storia  dei  Brevi  e  della  Scomunica,  finisce  con  dire  appunto  che  se  il 
Frate  «  si  umiliasse  ai  suoi  piedi  per  ottenere  1'  assoluzione,  egli  era  pronto  a 
dargliela  benignamente,  altro  non  volendo  da  lui,  dopo  la  sottomissione,  che 
rimandarlo  assoluto,  perchè  predichi  il  verbo  di  Dio  ».  (3) 

Qui  adunque  la  questione  della  validità  della  scomunica  pare  che  non  si 
faccia  più  ;  qui  altro  non  si  chiede  che  di  salvar  1'  apparenza  o  il  decoro  di 
Alessandro  VI.  E  questo  sembra  fosse  oramai  pensiero  di  molti  nella  Curia 


(')  Gherardi,  pag.  177.  Come  da  questi  documenti,  cosi  appare  anche,  che  il  Pontefice 
fosse  disposto  ad  assolvere  il  Frate,  dai  documenti  che  si  leggono  a  pag.  175-177.  Ma  in  questi 
ad  alcuno  sembra  di  vedere  che  questa  grazia  il  Pontefice  la  volesse  subordinata  all'entrare 
de'  Fiorentini  nella  Lega.  Ma  il  Pontefice  non  dice  rigorosamente  questo;  ma  solo  pare  che 
volesse  condurre  innanzi  tutto  a  termine  la  questione  politica,  e  poi  s'appianerebbe  quella 
del  Savonarola.  La  conclusione  del  colloquio  del  Papa  col  Bonsi,  questi  la  trasmesse  cosi: 
<  Dissemi  (il  Papa)  per  conclusione,  dopo  molti  ragionamenti,  che  si  attendesse  per  ora  a 
questo  caso  di  Pisa  e  che,  assestato  questo,  farebbe  a  vostro  beneplacito  ogni  cosa  si  po- 
tesse, in  questa  (di  Fra  Girolamo)  ed  in  ogni  occorrenza  della  vostra  città,  pure  sollecitan- 
domi facessi  di  avere  da  V.  Signoria  la  risoluzione  predetta  »  (della  Lega).  Lo  stesso  dice  il 
documento  seguente- 

(*)  Vedi  Gherardi  pag.  1S3-1%4,  e  cf.  anche  il  documento  XXIX  tra  i  pubblicati  da  I. 

Del  Lungo,  pag.  <55. 

(*)  Cfr.  Villari,  voi.  Il,  pag.  116,  e  vedi  Gherardi,  pag.  117. 


\ 


-  535  — 


Romana  ;  imperocché  il  Bonsi  stesso,  scrivendo,  con  la  data  de'  16  marzo, 
di  un  colloquio  avuto  col  cardinale  di  Perugia,  riferiva  che  il  Papa  stava  molto 
in  aspettazione  della  risposta  ai  suoi  Brevi,  «  e  che  non  gli  pareva  possibile 
costì  gli  fosse  dinegato  quello  ricercava  dalla  nostra  città:  considerando  mas- 
sime che  in  soprassedere  qualche  tempo  il  predicare  e  non  dire  male  del  Pon- 
tefice, a  Vostre  Signorie  era  cosa  piccola,  ed  a  loro  non  poter  essere  maggiore, 
per  la  conservazione  dell'  autorità  e  dignità  della  Sede  Apostolica,  ecc....  la 
quale,  come  dovete  credere,  sopra  ogni  altra  cosa  stimano  ».  (*)  E  che  si  trattasse 
oramai  proprio  solo  di  questo  è  espresso  chiaro  chiaro  dal  Bonsi  nella  lettera 
che  scrisse  con  la  data  de'  31  marzo,  dove  dice  che  :  «  Sua  Santità  aveva  pen- 
sato di  por  modo  e  fine  a  questa  cosa,  accennando  volere  mandare  costì  un 
prelato,  il  quale  ricercasse  di  persuadere  Fra  Girolamo  che  si  disponesse  al 
venire  qui,  solo  per  mostrarsi  ossequente  alla  Sua  Santità,  e  a  questa  Santa  Sede, 
e  che  venendo  non  gli  sarebbe  fatta  alcuna  lesione,  ma  trattato  umanamente 
e  che  lo  farebbe  accompagnare  in  modo  non  avrebbe  da  dubitare  di  pericolo 
alcuno  e  nel  venire  e  nel  ritornare  ».  (2) 


(')  Gherardi,  pag.  199. 

(2)  Gherardi  pag.  212.  Ma  qui  bisogna  che  alziamo  il  sipario  di  un'  altra  scena.  Anche 
a  questo  punto  son  manifeste  le  indegne  trame  del  Moro  e  de'  suoi  emissarj  e  alleati.  Co- 
storo pareano  ora  farsi  consiglieri  di  mitezza  al  Pontefice  e  di  prudenza  ai  Fiorentini  (I.  Del 
Lungo,  doc.  XXXIII,  e  Villari,  II,  pag.  lj  e  pag.  lv)  ;  ma  per  contrario  erano  più  che  mai 
deliberati  di  opprimere  il  Frate  e  spingere  la  città  agli  estremi  e  farvi  rivolgimenti,  valen- 
dosi all'uopo,  coma  di  strumento,  di  Alesspcdro  VI.  Da  prima  con  la  più  fina  ipocrisia  im- 
maginabile, zelando  1'  onore  della  Sedia  Apostolica,  davano  consiglio  perchè  il  Frate  volesse 
tacere  e  la  Signoria  imporglielo,  se  mai  resistesse;  Sua  Santità  non  poteva  tollerare  più  oltre. 
Speravano  anzitutto  che  Firenze  non  acconsentisse  così  facilmente,  nè  senza  qualche  dimo- 
strazione, a  rinunciare  alla  predica.  Quindi  già  poteva  nascer  occasione  propizia  ai  loro 
disegni,  alla  men  triste  si  potrebbe  sempre  trarre  argomento  contro  i  Frateschi,  e  appianare 
un  poco  la  via  agli  Arrabbiati  incitando  contro  il  Savonarola  e  la  Repubblica,  l'animo  del 
Papa.  Nella  lettera  pubblicata  dal  Villari,  II,  pag.  lv,  il  cardinale  Sforza  scriveva  al  fratel- 
lo dello  sdegno  del  Pontefice  e  dell'opera  sua  per  placarlo;  ma  diceva:  «non  voglio  però  far 
professione  di  poter  fare  l'impossibile,  cioè  tenere  che  Nostro  Signore,  quale  è  offeso  nel- 
l'onore, non  proceda  alla  castigazione  de  la  quale  è  stimolato  da  ogni  canto.  Ed  io  in  questa 
tanta  commozione  di  Nostro  Signore,  ho  ultimamente  operato  tanto  con  Sua  Santità,  che 
la  si  è  degnata  scrivere  un  altro  Breve  a' Signori  Fiorentini,  per  aiutar  quelle  buone  opere 
quale  vorranno  fare  alla  repressione  delle  iniquità  di  Frate  Girolamo,  se  è  vero  che  li  di- 
spiacciono. In  lo  quale  Breve  la  Sua  Santità  dichiara  che  non  provvedendoli,  interdirà  im- 
mediate quella  città,  come  farà  anche  con  effetto.  E  Nostro  Signore  Iddio  sa  quali  effetti 
potria  poi  portare  questo  malo  principio  di  interdetto  ».  (Cfr.il  doc.  XXX  de' pubblicati  da 

I.  Del  Lungo,  dove,  come  abbiamo  già  notato,  gli  Arrabbiati  si  rivolgono  al  Moro  per  otte- 
nere appunto  che  venga  l'interdetto). 

Il  medesimo  Cardinale,  come  si  vede  dal  doc.  XXIX  di  I.  Del  Lungo,  non  tardò  anzi 
molto  ad  adoperarsi  palesemente  per  infiammar  il  Borgia,  dicendogli  che  «  per  molte  cose, 
e  massime  per  le  ignominiose  predicazioni  di  fra  Girolamo,  si  doveva  pur  accorgere  quale  era 
l'animo  de' Fiorentini  verso  la  Lega  e  Sua  Santità,  la  quale  in  esse  predicazioni  si  diceva 
essere  ferro  rotto,  e  non  solo  erano  comportate,  ma,  ipsis  volentibus,  Fra  Girolamo  predicava 
come  si  vedeva  ». 

E  che  tutto  questo  zelo  perchè  il  Frate  cessasse  la  predica  era  una  trama,  come  svela- 
tamente  la  dice  il  Somenzi,  e  un  primo  passo  a  cose  più  gravi,  ben  chiaro  si  raccoglie  ancora 
da  una  lettera  con  la  data  de'  16  marzo  che  scriveva  al  Moro  l'oratore  suo  da  Firenze  (Villari, 

II,  pag.  Ivi),  nella  quale,  detto  che  non  passeranno  due  giorni  che  la  Signoria  piglierebbe  la 


—  536  — 


E  noi  crediamo  di  aver  anche  altre  buone  ragioni  per  ritenere  che  questo 
doveva  esser  veramente  il  pensiero  del  Pontefice:  e  queste  ragioni  stanno  nel- 


risoluzione  a  provvedere  che  il  Frate  non  predichi  e'  soggiunge  :  «E  questa  sarà  per  la  prima; 
e  dappoi,  se  la  Santità  di  Nostro  Signore  vorrà  procedere  più  oltre,  si  crede  che  otterrà  il 
tutto  Li  amici  suoi  (del  Moro)  cominciano  ad  essere  superiori  agli  avversarii». 

E  non  passarono  davvero  due  giorni  che  i  Signori  deliberarono,  come  il  Somenzi  aveva 
scritto,  che  il  Frate  tacesse.  Alcuni  de' seguaci  e  degli  amici  del  Savonarola,  specialmente  a 
Firenze,  pare  che  aggiustassero  una  qualche  fede  alle  promesse  di  Bo  ma.  Infatti  il  18  marzo, 
i  Dieci,  sempre  amici  del  Frate,  quando  già  gli  era  avversa  la  Signoria  che  lo  tradiva,  par- 
tecipando al  Bonsi  la  deliberazione  presa,  scrivevano,  «  che  sebbene  tutti  fossero  persuasi 
della  bontà  della  vita  e  dottrina  di  Fra  Girolamo,  lodate  dal  Pnpa  stesso,  e  sebbene  fossero 
convinti  che  i  Brevi  erano  promossi  da  false  informazioni,  pure  si  era  voluto  obbedire  a 
Sua  Santità,  nella  fiducia  che,  come  aveva  promesso,  li  avrebbe  ben  presto  consolati,  restituendo  ad 
essi  il  loro  cibo  spirituale  ».  Queste  cose  che  il  Villari  ha  tratte  dal  Gheraidi,  pag.  202,  si  pos- 
sono leggere  nel  Gherardi  stesso  ne' documenti  che  seguono,  e  specialmente  nella  lettera 
che  il  Bonsi  scrive  ai  Dieci  con  la  data  de'  31  marzo  (pag.  212).  Ma  i  figli  delle  tenebre  erano 
più  prudenti  che  i  figli  della  luce.  Proprio  il  giorno  18  di  marzo,  quando  i  Dieci  scrivevano 
al  Bonsi  che  avevano  deliberato  circa  1'  astenersi  Fra  Girolamo  dal  predicare,  come  Sua  San- 
tità ha  dimostrato  contentarsi,  il  Bonsi  scriveva  alla  sua  volta  come  la  Sua  Santità  aveva  sen- 
tito circa  Fra  Girolamo  «  Monsignore  Aschanio,  Santa  Prassede,  e  il  datario  alla  presenza 
di  Perugia...  e  che  la  conclusione  della  consulta  fu  che  Nostro  Signore  non  dovesse  stare 
più  in  sul  chiedere  che  Fra  Girolamo  fosse  tenuto  di  predicare,  ma  di  volerlo  ad  ogni  modo 
qui  nelle  mani!...  »  (Ivi,  pag.  204). 

Vero  è  che  questo  sdegno  del  Pontefice  si  ricalmò  e  fu  compresso  un'altra  volta  e 
abbastanza  presto.  La  fiducia  d'  alcuni  Piagnoni  di  risentir  presto  il  Frate  libero  da  ogni 
censura  era  semplicità  soverchia;  ma  dicendo  ciò,  non  intendiamo  punto  di  mettere  in  dub- 
bio la  retta  intenzione  del  Papa,  il  quale  anche  qui  procedeva  perchè  stimolato  da  ogni  canto 
e  persuaso  di  dover  procedere:  ma  egli  era  disposto  a  mantener  la  promessa.  Infatti  dopo 
tanto  sdegno,  non  appena  seppe  «  dall'Oratore  fiorentino  che  i  Signori  avevano  inibito  a 
Fra  Girolamo  che  non  predichi  più,  Sua  Santità  gli  ha  risposto  con  parole  molto  amorevoli 
e  grate,  affermando  che  non  si  è  per  mancare  alla  quiete  e  reintegrazione  delle  cose  loro  di 
alcun  ufficio  e  studio  paterno  ed  efficace  ».  (I.  Del  Lungo,  doc.  XXXIV.)  Ma  come  alla  Bea- 
titudine Sua  non  era  permesso  per  i  Signori  d'Italia,  «  ohe  in  casa  sua  la  potesse  castigar 
uno  suo  baronetto  »,  cosi,  ed  è  peggio,  i  Signori  d'Italia  non  le  lasciavano  concedere  che  un 
fraticello  predicasse;  e  non  riuscendo  a  ciò  né  colle  ragioni,  nè  colla  forza,  ricorrevano  alla 
calunnia  e  alle  circonvezioni.  Onde,  mentre  da  Roma  l'ambasciatore  Stefano  Taverna  tra- 
smetteva al  Moro  le  parole  amorevoli  e  grate,  risposte  dal  Papa  all' ambasciatore  fiorentino, 
il  Somenzi  aveva  cura  di  scrivere  che  se  Fra  Girolamo  non  predicava  più,  faceva  predicare 
tre  de'suoi  Frati  in  tre  chiese  della  città,  «  i  quali  non  dicono  manco  di  quello  che  esso  di- 
ceva, ma  forse  qualche  cosa  più,  contro  la  Santità  di  Nostro  Signore  e  di  tutto  il  Clero.  Per 
il  che  si  vede  che  per  aver  fatto  cessare  esso  Frate  Girolamo  dal  predicare,  non  è  fatto  nulla 

dell'effetto  che  desidera  la  Sua  Beatitudine  (Villari,  II,  pag.  lx;  cfr.  Del  Lungo,  doc.  XXXVI). 

Di  qui  ne  venne  che  Alessandro  VI  invece  di  ritirar  le  censure  contro  il  Frate  e  ridonargli  la 
facoltà  di  predicare  fosse  indotto  ad  insistere  un'altra  volta  per  averlo  nelle  sue  mani,  e  di 
qui  il  colloquio  colla  data  de'  31  marzo  avuto  col  Bonsi,  già  da  noi  riferito  nel  testo.  Il 
prelato  però  di  cui  ivi  è  discorso,  per  quanto  ne  sappiamo,  non  fu  spedito  mai,  nè  furon  mai 
date  le  garanzie  di  cui  pure  si  parla,  nè  tampoco  si  fece  pervenire  al  Savonarola  comando 
o  invito  alcuno  di  muovere  alla  volta  di  Roma.  Anche  questo  erano  lustro  per  meglio  cir- 
convenire il  Papa.  Si  aveva  forse  troppa  paura  che  Fra  Girolamo  giungesse  fino  al  con- 
spetto del  Borgia...  Quello  che  hì  voleva  era  una  cosa  sola,  e  sempre  la  stessa:  opprimere  il 
Frate,  sottomettere  i  Frateschi  agli  amici  del  M'.ro,  e  togliere  il  governo  dalle  lor  mani,  e 
che  non  si  tenessero  più  praticho  con  Francesi,  come,  dicevano,  s'  era  fatto  fin  qui...  A  que- 
sto proposito  crediamo  utile  porre  sotto  gli  occhi  del  lettore  un  brano  di  lettera  del  ve- 
scovo Stefano  Taverna  al  Moro,  proprio  di  questi  giorni;  lo  togliamo  dal  Villari,  (li,  png.  lxj): 
«  Essendo  giudicato  bene  a  reprimere  ed  annichilare,  possendosi ,  frate  Ilieronimo  da  Fiorenza, 
et  intinto  cum  Sua  Santità  por  alcuni  de  la  nationo  Fioroni  ina,  a  questo  effetto,  allei  mando 
ohe  la  presente  signoria  di  Firenze  non  li  mancarà;  si  procura  con  Sua  Beatitudine  che  lo 


—  537  - 


1'  avere  a  uno  a  uno  riconosciuti  egli  stesso  falsi  i  motivi  del  Breve.  La  sco- 
munica era  lanciata  contro  il  Frate  perchè  aveva  ricusato  di  andare  a  Roma? 
Ma  Alessandro  VI,  come  dice  pur  chiaramente  col  Breve  de'  16  ottobre  1495, 
e  nel  Breve  stesso  della  scomunica  ripete,  ha  accettalo  per  buone  le  escusa- 
zioni  del  Frate  al  riguardo  ;  nè  troverete  che  il  comando  fosse  altra  volta  con 
minaccia  di  scomunica  ripetuto  mai.  Dunque  per  questo  lato  la  sentenza  di 
condanna,  come  opportunamente  già  osservava  il  Pico,  offre  argomento  di  as- 
soluzione. Il  Pontefice  non  poteva  dunque  per  questo  lato  ritenere  affatto  degno 
della  scomunica  il  severo  Predicatore. 

Dice  il  Breve  che  il  Savonarola  è  condannato  perchè  predica  falsa  e  perni- 
ciosa dottrina?  (*)  Ma  Alessandro  VI,  come  si  legge  nel  documento  XX,  ora  ri- 


volli mandare  uno  prelato  a  Fiorenza,  cuna  potestà  sufficiente  alla  gastigazione  d'esso  Frate 
et  detentione  sua,  per  condurlo  in  mane  de  Sua  Santità:  la  quale  sin  qui  non  si  è  pienamente 
risolta,  come  dimostra  volerse  resolvere.  Se  aviserà  il  successo...  ». 
Commenti  non  occorrono  affatto!! 

(')  Il  Grisar,  nell'  articolo  citato,  e  dietro  lui  il  Pastor  (pag.  377,  nota  1)  attenuano  d'as- 
sai l'espressione  che  si  legge  nel  Breve  che  incolpava  il  Savonarola  di  falsa  et  pestifera  dog- 
mata:  essi  c'insegnano  che  <  sotto  questa  denominazione,  giusta  il  linguaggio  allora  usato  e  lo 
stile  giuridico,  come  si  è  mantenuto  anche  dalla  inquisizione  ecclèsiastica  dei  secoli  seguenti, 
non  sono  da  intendersi  eresie  formali  »;  ma  dicono  che  «cosi  chiamavansi  sotto  certe  circo- 
stanze anche  tendenze  praticamente  scismatiche  o  contrarie  alla  Chiesa.  Chi,  p.  e.,  si  faceva 
reo  della  insord escentia  in  excommunicatione,  per  ciò  stesso  davanti  alla  legge  si  tirava  addosso 
il  sospetto  di  eresia,  in  quanto  che  pareva  negasse  il  diritto  dell'autorità  ecclesiastica  ad  in- 
fliggere la  scomunica  o  la  necessità  dell'  appartenenza  alla  Chiesa  

Questo  può  esser  tutto  vero,  parlando  in  generale;  ma  come  si  proverebbe  che  siffatta 
interpretazione  sia  ancora  quella  che  devono  avere  le  espressioni  usate  nel  caso  del  Savo- 
narola? Confesso  che  mi  sarebbe  caro  poter  dare  un  tal  senso  alla  condanna  del  Frate;  ma 
quanti  dubbj  ci  resterebbero  da  spiegare?!  E  prima  di  tutto  come  mai  il  Savonarola  pur 
dottissimo  in  diritto  canonico  e  nella  terminologia  ecclesiastica  non  intese  l'espressione  in 
tal  modo  ?  Eppure  avrebbe  questo  agevolato  d'assai  la  sua  dilesa.  E  come  mai,  del  pari,  non 
l'intesero  in  tale  significato  nè  i  Piagnoni,  nè  i  loro  avversarj,  nè  alcuno  dell'epoca  del  Frate 
e  nemmeno  il  dottissimo  Pico?  Di  poi,  se  i  falsi  e  pestiferi  dogmi  erano  V  insordescentia  in 
excommunicatione,  poteva  esserne  reo  il  Savonarola  innanzi  che  la  scomunica  gli  fosse  lan- 
ciata contro?  E  come  si  spiegherebbero  le  espressioni  che  già  si  leggono  nel  Breve  degli  8 
settembre  1495  e  nella  lettera  al  Maggi  colla  data  de'9  del  mese  stesso,  quando  il  Savona- 
rola non  aveva  da  Roma  avuto  se  non  lodi?  Allora  il  Frate  non  aveva  ancor  toccata  la  que- 
stione dell'  opposizione  e  resistenza  alla  scomunica.  Si  può  forse  pensare  che  le  espressioni; 
perversum  dogma,  pernitiosum  dogma  non  siano  sinonimo  all'altra  di  falsi  e  pestiferi  dogmi? 
Forse  il  Pontefice  nel  Breve  de'  12  maggio  1J9S  attenuava  la  sentenza  già  data  e  ripetuta 
contro  il  Frate?  E  singolare  mi  parrebbe  ancora  immaginare  un  Savonarola  che  nega  o 
metta  in  dubbio  il  diritto  all'autorità  ecclesiastica  d'infliggere  la  scomunica,  mentre  intorno 
a  questo  diritto  si  era  pure  espresso  tante  volte  in  modo  assai  esplicito;  nè  mi  spiegherei 
affatto  un  Savonarola  condannato  di  negare  la  necessità  dell'  appartenenza  alla  Chiesa, 
dacché  ha  ripetutamente  e  detto  e  scritto  e  confessato  anche  nei  processi  tutto  il  contrario. 
Nè  so  se  sia  esatto  l'affermare  che  i  commissnij  papali  incolpavano  il  Savonarola  della  dif- 
fusione di  falsi  e  pestiferi  dogmi  nel  senso  che  vogliono  i  critici  tedeschi,  nè  so  acconciarmi 
che  poi  lo  condannassero  d'eresia  in  senso  improprio.  «Il  tenore  della  sentenza  fu  che,  come 
Commissarii  Apostolici,  avendo  inteso  i  soprascritti  avere  fatto  i  delitti  di  sopra  narrati 
negli  interrogatori  fatti  a  F.  Girolamo  a' dì  XX;  e  trovato  loro  essere  eretici  e  scismatici,  ed 
avere  predicato  cose  nuove,  ecc.,  giudicarono  dovessino  essere  digradati  e  consegnati  o  vero 
lasciati  in  mano  del  giudice  secolare  ».  E  cosi  seguì.  Questa  la  fine  del  processo  de'Commis- 
sarj  come  si  legge  nel  Villari  (II,  pag.  cxcviij):  nella  lettera  pubblicata  dal  Meier,  che  gli 
stessi  Commissari  scrissero  al  Papa  il      maggio  si  rincara  anche  la  dose,  e  son  regalati  gli 


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tato  dal  Marchese,  a'  dì  7  marzo  1498  disse  finalmente  al  Bonsi,  «  che  del  pre- 
dicare buona  dottrina  non  lo  dannava;  e  lo  stesso  ripetevagli  anche  più  chia- 
ramente a' dì  23  dello  stesso  mese:  «  Lui  non  danna  la  sua  dottrina  ».  Nè 
questo  bastò,  ma  solennemente  assolvette  il  Pontefice  il  nostro  Frate  da  que- 
sta taccia  e  da  quella  di  predicar  nuovo  modo  di  vita  nel  Breve  che  mandava 
alla  Signoria  di  Firenze  a'  dì  9  marzo  1498,  nel  quale  anzi  il  Pontefice  loda 
un'  altra  volta  il  Frate  de'  buoni  frutti  che  aveva  ottenuto  predicando.  (*) 

Ora,  se  tenete  bene  a  mente  il  Breve  stesso  di  scomunica,  troverete  anche 
che  il  preteso  comando  di  unire  la  congregazione  di  San  Marco,  il  Papa  l'aveva 
fatto  al  Savonarola ,  appunto  perchè  lo  riteneva  disobbediente  all'  ingiunzione 
di  recarsi  a  Roma,  predicatore  di  perversa  dottrina  e  di  nuovo  modo  di  vita. 
Riconoscendo  ora  egli  inesistenti  tutte  queste  accuse,  che  può  fare  se  non  ri- 
tenere che  la  scomunica  lanciata  contro  al  Frate  calunniato  non  valga  nulla? 
Che  può  far  altro  che  desiderare  di  assolverlo  semplicemente  ?  Per  questo 
vedemmo  ch'egli  oramai,  a  toglier  le  censure,  non  chiedeva  nè  al  Frate  nè 
alla  Signoria  altro  che  qualche  atto  di  esterno  ossequio,  ma  senza  ritratta- 
zione di  nessuna  sorta:  e  par  quasi  eh'  egli  stia  in  pena  aspettando  che  que- 
sto puro  atto  di  ossequio  arrivi  alla  dignità  del  suo  trono  !  Così  avessero  i 
tristi  lasciato  fare  al  Papa,  eh'  egli  avrebbe  certo  ben  fatto  assai  più  per 
tempo  che  non  fece  !  «  Ma  la  mente  di  sua  Reatitudine  era  combattuta  », 
come  ci  dice  ancora  il  Ronsi,  «  da  chi  voleva  fare  qualche  disordine  in  Fi- 
renze ».  C)  E  questi  tristacci  ottenner  pure,  contro  ogni  giustizia,  il  loro 
intento.  Ma  il  Savonarola  è  semplice  vittima  de'  loro  delitti,  non  autore  nè 
complice,  è  vittima  innocente.  Caso  singolare  davvero  e  unico  forse  negli  an- 
nali della  storia,  che  il  Papa,  credendo  alle  calunnie  dei  tristi,  condanni  uno 
de' migliori  figli  che  vanti  la  Chiesa  e  il  suo  Ordine;  brami  dichiararlo  pro- 
sciolto, e  non  gli  venga  fatto!! 

Ma  alcuno  non  sarà  ancora  del  tutto  persuaso  e  contento.  —  Perchè,  bastando 
oramai  a  Fra  Girolamo  chieder  1'  assoluzione  per  averla,  non  la  volle  chie- 
dere? —  Siamo  di  nuovo  ai  canoni.  Assoluzione,  da  che?!  E  chi  può  sciogliere 
quando  non  s'è  legati?  E  perchè  non  rammentate  che  dalla  sentenza  ingiusta 
non  si  ha  tampoco  da  chiedere  d'  essere  assolto?  Chi  potrebbe  anzi  condannar 
fra  Girolamo,  se  si  fosse  egli  mostrato  deciso  e  duro  a  non  accettar  neppure, 
con  atto  positivo,  1'  assoluzione,  quando  gli  fosse  stata  promessa  e  data  spon- 
taneamente? Non  aveva  forse  egli,  secondo  tutti  i  canoni  e  tutte  le  procedure, 


epiteti  più  infami  all'  iniquissimo  onnipede  pieno  di  ogni  pia  orrenda  acelleraggine.  Insomma 
sarà  vero  che  i  Commissari  accusavano  d'eresia  e  di  scisma  in  senso  improprio  il  Savonarola, 
ma  a  me  non  pare:  se  mi  apparisse,  vorrei  ancora  chiedere  se  allora  il  Frate  fosse  tuttavia 
degno  dell'atroce  condanna  inflittagli.  E  una  questione  storica,  ch'io  non  saprei  risolvere 
cosi  subito;  ma  che  il  Grisar  e  il  Pastor  dovrebbero  pur  risolvere,  se  non  vogliono  lasciar 
sorgere  il  dubbio  che  l'uccisione  del  Frate  sia  delitto  più  grave  di  quanto  già  si  ritiene. 

(')  «  Quaecumque  de  illius  religione  et  fructibus  in  ista  civitate  ex  ipsius  adinonitionibus 
subsecntis  literse  vestrse  attestuntur  non  iruprobavimus,  nec  improbamus,  in. ino  hujusmodi 
opera  quae  nobis  iratissima  sunt  magaopere  commendami!»  ».  Gherardi  pag.  194. 

(*)  Gherardi,  pag.  213. 


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il  diritto  di  chiedere  e  di  ottenere  che  la  sentenza  ingiusta  per  1'  errore  mani- 
festo di  fatto,  la  sentenza  che  era  effetto  di  calunnia  e  di  frode,  fosse  revocata, 
anzi  dichiarata  irrita  e  nulla?  (')  Ciò  che  i  canoni  domandavano  a  Fra  Giro- 
lamo si  era  solo  eh'  egli  rescrivesse  al  superiore  e  dimostrasse  la  sua  innocen- 
za. Ed  egli  compì  anche  qui  il  suo  dovere  egregiamente  e  con  molto  zelo.  L'ac- 
cusavano di  predicare  una  nuova  maniera  di  vita?  Ed  egli  compendiava  il 
libro  della  Semplicità  della  vita  cristiana,  e  mostrava  a  tutto  il  mondo  ch'egli 
predicava  la  morale  e  la  vita  che  volevano  Cristo,  gli  Apostoli,  i  Dottori,  la 
Chiesa  cattolica....  Lo  accusavano  di  predire  le  cose  future?  Ed  egli  rispondeva 
a  tutte  le  accuse  nel  Compendio  di  Rivelazioni,  e  offriva  a  chi  si  aspettava  il 
mezzo  sicuro  per  giudicarlo.  L'accusavano  di  predicare  nuovo  dogma?  Ed  egli 
mandava  fuori  il  Trionfo  della  Croce,  una  delle  più  invitte  difese  che  si  sian 
mai  fatte  della  verità  della  fede.  Lo  condannavano  perchè  non  mescolava  i  suoi 
frati  cogli  altri  di  Toscana  e  di  Roma  ?  Ed  egli  scriveva  1'  Apologia,  e  nes- 
suno potè  rispondere  alla  forza  delle  sue  ragioni.  Lo  scomunicarono  ?  Ed  egli 
paziente,  quantunque  dal  maggior  numero  de' Fiorentini  e  soprattutto  da  quelli 
che  1'  avevano  procurata,  fosse  ben  conosciuta  la  nullità  di  questa  censura; 
pure  egli  tace,  si  chiude  tra  le  mura  del  suo  chiostro,  dentro  la  sua  cella;  e  con 
zelo  per  lo  spazio  di  dieci  mesi  s'  adopera  a  far  conoscere  l' innocenza  sua  al 
Pontefice  e  a'eittadini  che  fosser  dubbiosi  o  pusilli,  agli  amici  discosti,  a 
tutti  i  Cristiani....  E  quando  questa  è  nota  a  tutti,  e  riconosciuta  anche  dal 
Papa,  voi  mi  dite  che  chieda  l'assoluzione? 

Ma  1'  osservare  questa  scomunica  e  il  chiedere  1'  assoluzione  che  voleva 
dire  agli  occhi  del  popolo?  e  che  importava  in  realtà?  Lasciarsi  creder  reo,  e 
farsi  complice  delle  trame  del  Moro,  de' Palleschi,  de' Compagnacci.  E  questo 
Fra  Girolamo  non  lo  poteva  assolutamente  fare:  «  Oh  Frate,  tu  l'hai  pure  os- 
servata questa  scomunica:  tu  se'stato  rinchiuso  a  celebrare  in  casa  senza  ve- 
nire in  pubblico.  —  Io  non  l'ho  già  servata  per  me,  ma  ho  celebrato  ogni  dì,  ed 
ho  osservato  qualche  cerimonia  di  fuora  per  rispetto  dei  pusilli.  —  Oh!  tu  hai 


(')  Il  Pastor  (pagina  366)  scrive  :  «  Se  l'orgoglioso  Frate  domenicano  si  fosse  in  questo 
momento  deliberato  di  umiliarsi  e  d'intercedere  dal  Papa  l'assoluzione,  forse  ancora  all'ul- 
tima ora  sarebbesi  scongiurata  quella  tempesta  che  lo  doveva  annientare.  Se  non  che  quel- 
l'infelico  non  pensava  a  fare  atto  di  soggezione....  ». 

Noi  vorremmo  chiedere  perchè  si  dica  orgoglioso  ed  infelice,  il  Frate  domenicano;  e 
sopra  tutto  che  ci  si  mostrasse  l'obbligo  ch'egli  aveva  di  umiliarsi;  e  crediamo  che  sia  im- 
possibile che  ci  vengano  date  risposto  soddisfacenti  e  buone  ragioni,  anzi  pensiamo  tutto 
il  contrario;  e  nel  testo  crediamo  di  aver  di  tto  abbastanza  per  far  persuaso  il  lettore  di- 
screto della  verità  della  nostra  opinione,  la  quale  motiveremo  anche  meglio  andando  innanzi. 
Qui  noteremo  solo,  che,  sebbene  il  Pontefice  non  pretendesse  ornai  altro  all'assoluzione  del 
Frate,  che  questi  si  dimostrasse  obbediente  per  un  tratto  di  tempo  e  poi  ne  facesse  domanda, 
tuttavia  l'assoluzione  non  sarebbe  venuta  a  tal  prezzo:  non  per  colpa  di  Alessandro  VI, 
ma  dei  calunniatori  che  ad  Alessandro  VI  l'avevano  estorta.  E  questo  Fra  Girolamo  non 
doveva  certo  ignorarlo.  Oramai  la  tempesta  che  doveva  annientare  l'illustre  condannato 
forza  umana  non  poteva  più  scongiurarla:  l'unica  via  che  restava  al  Frate  era  quella  di 
rassegnarsi  felice  a  morire  per  l'opera  di  Dio:  e  santamente  altero  e  disdegnoso,  anziché 
tradire  la  sua  coscienza  e  avvilirsi  e  intercedere  l'assoluzione  di  colpa  non  commessa, 
doveva  tener  alta  la  bandiera  della  verità  che  aveva  fino  a  quel  punto  predicata. 


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pur  scritto,  Frate,  e  hai  cerco  l'assoluzione.  —  Non  io  già  per  me.  E'  volevano 
bene  ch'io  scrivessi  di  là:  ma  non  ho  già  scritto  come  e' volevano,  che  io 
scrivessi  di  avere  errato:  io  non  l'ho  voluto  fare  per  niente.  Io  ho  errato  in 
altre  cose,  perchè  io  sono  peccatore;  ma  non  in  questo  :  io  ho  predicato  la 
dottrina  di  Cristo!  Ho  bene  scritto,  che  per  levare  scandalo  qua  sarebbe  bene 
levare  la  scomunica  per  amore  de'  pusilli....  x>.  (Sopra  1'  Esodo,  Pred.  II.) 

Pensate  bene  queste  parole,  e  poi  ditemi  se  il  chiedere  1'  assoluzione  non 
era  empietà!  In  vero:  piuttosto  che  dire  d'aver  errato,  quando  siam  certi 
d'  aver  creduto  e  predicato  la  dottrina  di  Cristo,  e'  dobbiamo  esser  pronti  a 
sopportare  ogni  male,  e  ben  si  può  dire  a  Dio,  quando  lo  facessimo,  che  ci 
mandi  all'inferno!  (')  Finché  si  tratta  di  dottrina  nostra  e  di  noi,  allora  si 
può  certo,  e  in  alcuni  casi  forse  anche  si  deve,  piegarci  subito,  anche  quando 
la  sentenza  ci  appare  ingiusta;  ma  quando  si  tratta  della  dottrina  della  Scrit- 
tura e  di  Cristo,  ed  è  noto  a  tutto  il  popolo  che  non  si  è  predicato  altro 
che  quello  che  a  Dio  piacque,  e  noi  lo  vediamo  evidentemente,  e  lo  sen- 
tiamo nella  coscienza  certa,  e  riusciamo  anche  a  dimostrarlo  ai  nostri  giudici, 
come  si  può  senza  negar  Dio  e  generare  scandalo,  dichiarare  che  abbiamo  errato? 

A  ragione  pertanto  scriveva  il  Guasti  che  questa  della  Scomunica  di  Fra 
Girolamo  parevagli  una  partita  ben  saldata;  (2)  e  noi  possiamo  sottoscrivere  sicuri 
la  lettera  del  nostro  Maestro  a  Lodovico  Pittorio  (3)  :  «Circa  la  escomunicazione 
nostra,  molta  maggior  censura  reputeria  redimere  l'assoluzione  con  prezzo,  (4) 
sì  che  vedete  quanto  sono  bugiardi  gli  uomini  che  fanno  tale  invenzione.  Noi 
abbiamo  fatto  dal  canto  nostro  il  debito  (5),  e  il  Pontefice  pare  bene  volto,  se  non 


(')  Ed  Alessandro  VI  pare  che  finisse  per  veder  bene  anche  questo;  imperocché  quando 
il  Frate  fa  presso  la  morte,  egli,  ritenendolo  senza  meno  prosciolto,  gli  mandò  spontaneamente 
la  benedizione  apostolica  e  l' indulgenza  plenaria,  senza  che  questi  la  chiedesse  mai,  senza 
che  questi  avesse  mai  disdetto  nè  ritratto  pur  un  iota  di  quanto  aveva  predicato  e  soste- 
nuto fino  a  quel  punto!  Certo  il  Pontefice  può  sciogliere  dalle  censure  chi  ne  è  colpito,  an- 
che contro  la  costui  volontà:  ma  perchè  farlo  nel  caso  attuale?  e  in  quel  punto?  quando  i 
suoi  Commissarj  stavano  scrivendo  del  reo  cose  tanto  orribili  ?!  Perchè  anzi  benedire  l'eretico 
e  lo  scismatico,  allorché  esso  condannato  all'  estremo  supplizio,  è  per  affrontare  impavido 
la  morte?  impavido  e  pertinace  senza  un  pensiero  al  mondo  di  mostrarsi  pentito  dei  de- 
litti che  gli  meritano  il  rogo?  La  benedizione  apostolica,  quando  Alessandro  VI  avesse  tut- 
tavia ritenuto  con  certezza  colpevole  il  Frate,  sarebbe  un  atto  di  tanta  gravezza  che  io  non 
so  se  altri  ne  possa  immaginare  uno  più  grave!  Oh!  Alessandro  VI,  nella  questione  del  Sa- 
vonarola è  assai  migliore  e  assai  più  sensibile  ai  morsi  della  coscienza  di  quanto  molti 
vogliono  mostrarcelo.  Che  il  Frate  fosse  quel  tristaccio  che  le  calunnie  dicevano,  il  Papa 
non  lo  pensò  mai  se  non  in  momenti  fuggitivi,  e  a  questo  punto  dovè  acquistare  chiara  la 
convinzione  del  contrario,  e  però  non  vollo  che  l'anima  di  lui  passasse  alla  Chiesa  trion- 
fante divisa  esternamente  dalla  militante.  Il  Papa  non  tarderà  molto  a  dichiararsi  innoconte 
del  sangue  di  questo  giusto. 

I2)  Intorno  alla  Santità  di  Fra  Girolamo:  in  Rapporti  e  elogi  letti  alla  R.  Accademia  della 
Crusca,  1863. 

(*)  Lettere  inedite,  ecc.,  neli'  Ardi.  St.  ital.  App.  n.  25;  pag.  129. 

(*)  A  questo  punto  il  P.  V.  Marchese  fa  la  nota  seguente;  «  Era  stato  proposto  al  Sa- 
vonarola, da  persona  ragguardevolo,  di  larlo  assolvere  mediante  la  somma  di  5000  scudi,  ma 
egli  rigettò  con  sdegno  l'offerta  ». 

(*)  Il  Pastor  (pag.  358)  muove  accusa  al  Frate  di  intemperante  per  avere  scritto  1'  Epi- 
stola contro  la  acomunica  surrettizia  a  tutti  i  cristiani  e  diletti  di  Pio;  e  cosi  del  pari  (a  pag. 367) 


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lo  ritraesse  qualche  nostro  avversario  potente,  e  mosso  da  altra  passione. 
Pure  lascieremo  questa  cura  a  quello  in  cuins  manibus  sunt  omnia,  che  sa 
quanto  è  espediente  e  speriamo  che  nulla  praevalebit  adversitas,  si  nulla  nobis 
dominabitur  iniquitas  ». 

Ma  pure  non  tacciono  ancor  tutti:  sia  pure  che  nulla  valesse  la  scomunica, 
e  la  dottrina  e  la  parola  di  Fra  Girolamo  introducesse  in  Firenze  tutti  i  beni 
sopra  numerati,  ma  perchè  predicar  tuttavia?  non  era  meglio  ritirarsi  un  poco, 
e  lasciar  fare  un  poco  quest'  ufficio  ad  un  altro?  «  Il  caso  estremo  che  il  po- 
polo rimanesse  affatto  privo  della  parola  di  Dio  e  dei  Sacramenti  era  qui  escluso, 
essendoché  in  San  Marco  si  trovassero  ancora  altri  buoni  predicatori  ed  ai 
bisogni  spirituali  della  città  fosse  sufficientemente  provveduto.  »  (*) 


gli  fa  una  colpa  d'avere  il  13  marzo  indirizzato  una  lettera  ili  sfida  aperta  al  Pontefice, 
il  quale  si  è  alleato  co'  suoi  nemici  ed  ha  dato  forza  a'  crudi  lupi  perchè  infieriscano  con- 
tro lui  innocente.  A  noi  per  contrario  sembra  di  poter  considerare  questi  atti  di  Fra  Giro- 
lamo sotto  un  aspetto  molto  diverso:  essi  ci  sembrano  dei  più  retti  e  diremmo  anche  dei 
più  belli  della  vita  di  lui:  ci  sembrano  analoghi  a  quelli  compiuti  e  già  da  noi  ammirati, 
rispetto  ai  Brevi  antecedenti  e  segnatamente  a  quello  degli  8  settembre  1495.  Prima  di  tutto 
noi  crediamo,  come  già  si  disse  di  sopra,  che  sia  obbligo  sacrosanto  dei  buoni  il  difendersi 
allorché  sono  ingiustamente  accusati,  e  l'accusa,  se  fosse  ritenuta  vera,  riuscisse  di  nocu- 
mento all'anima  del  prossimo.  In  secondo  luogo,  come  è  detto  chiaro  nella  glossa  del  can.  Si 
Episcopu.*,¥&xt.W,  Caus.  XI,  Quest.  Ili,  non  potrebbe  poi  invocare  la  nullità  della  scomunica 
colui  che  si  fosse  acquietato  alla  ingiusta  sentenza;  e  quindi  il  Frate,  dacché  vedeva  che  i 
suoi  nemici  ne  volevano  ad  ogni  costo  la  ruina  totale,  avrebbe  dovuto,  non  giustificandosi 
presso  il  Pontefice  e  presso  la  Chiesa,  rassegnarsi  a  rimaner  sempre  sotto  l'ingiusto  peso. 
Questo  mi  rende  completa  ragione  della  lettera  a  lutti  i  cristiani  e  degli  altri  moltissimi  atti, 
di  alcuni  de' quali  diremo  or  ora,  che  il  Savonarola  ha  compiuto  e  fatto  compiere  a  dimo- 
strare la  sua  completa  innocenza  e  a  togliere  ogni  motivo  di  scandalo,  per  quanto  la  neces- 
sità l'avesse  costretto  a  non  osservare  in  pubblico  la  scomunica.  Del  resto  il  fare  quant'era 
in  sé  per  impedire  che  avesse  effetto  una  sentenza  della  guisa  di  quella  che  lo  colpiva,  io 
penso  che  fosse  una  specie  di  obbligo:  se  non  altro  doveva  farlo  per  amore  alla  verità  e 
zelo  della  dignità  della  Sede  Apostolica  ignominiosamente  profanata  da' suoi  calunniatori. 
La  lettera  poi  ad  Alessandro  VI  con  la  data  de' 13  ben  lungi  dall'essere  una  sfida  aperta, 
è  invece,  avuto  riguardo  ad  ogni  circostanza,  un  atto  pieno  di  correttezza  e  di  lealtà,  o 
quasi  direi  che,  insieme  col  dolore  che  appalesa  mestissimo  nell'animo  del  Frate,  ne  mostra 
la  grande  delicatezza  di  coscienza.  Forse  sin  qui  non  è  ancora  stato  preso  nella  considora- 
zione  che  merita  quest'importante  documento.  Esso  è  come  l'ultimo  atto  e  direi  quasi  la 
conclusionale  della  propria  difesa  sostenuta  dal  Frate  di  fronte  al  Pontefice  contro  i  cani  ed 
i  lupi  che  lo  attorniavano  e  infierendo  lo  volevano  divorare  ingiustamente.  L'essenziale  di 
questa  lettera  (della  quale,  pur  troppo,  si  fecero  parafrasi  che  ne  calcarono  le  tinte)  sta 
Iteli*  asserire  che  il  Frate  fa  di  essersi  egli  ben  giustificato  presso  la  Santità  Sua  ;  e  nel  lagnarsi 
che  non  siano  state  sentite  le  sue  ragioni,  e  quindi  nel  non  restargli  altro  oramai  che  rivol- 
gersi a  Dio.  «Non  furono  in  alcun  modo  ascoltate  le  ragioni  che  addussi,  non  già  a  scusaro 
il  peccato,  ma  a  provare  la  verità  della  dottrina,  la  mia  innocenza  e  sottomissione  alla  Chiesa. 
Onde  non  posso  più  sperare  nella  V.  S  ,  ma  debbo  rivolgermi  a  Colui  che  elegge  lo  cose 
deboli  di  questo  mondo,  per  confondere  i  forti  leoni  degli  uomini  perversi».  Io  vorrei  che 
si  meditasser  bene  queste  parole  ;  e  poi  si  vedrebbe  chiaramente  che  il  Savonarola  diceva  sem- 
plicemente al  Pontefice  la  verità,  cioè  eh'  egli  aveva  scritto  oramai  o  fatto  abbastanza,  per- 
chè fosse  conosciuta  la  sua  innocenza  e  la  nullità  della  scomunica,  ma  gli  uomini  perversi 
non  lasciavano  che  la  S.  S.  ne  sposasse  le  parti:  d'ora  innanzi  non  restargli  adunque  altro 
che  rivolgersi  a  Dio  e  pregare  da  Dio  quell'aiuto  che  gli  uomini  gli  negavano.  Che  volete 
di  più  vero,  di  più  giusto,  di  più  corretto  ?  Considerate  ogni  cosa,  e  poi  condannate,  se  vi 
darà  il  cuore,  il  pazientissimo  Frate. 

(')  Questo  giudizio  è  del  Frantz  e  il  Pastor  lo  fa  suo,  pag.  352,  nota. 


-  542  — 


Prima  di  tutto  osservo  che  questo  principio  varrebbe  solo  per  il  caso  che 
la  scomunica  fosse  valida;  e  perciò  è  affatto  fuori  di  proposito  nel  caso  nostro. 
Poi  non  mi  pare  tutto  rigorosamente  vero  ciò  che  qui  s'  afferma  e  suppone. 
Si  è  pensato  almeno  che  a  rigore  i  Frati  di  San  Marco  di  fronte  alle  pene  ec- 
clesiastiche che  dovevano  essere  incorse  ipso  facto,  si  trovavano  tutti  nelle 
medesime  condizioni?  E  non  repugnavan  essi  tutti  con  ugual  forza  alla  vo- 
luta unione?  Anzi,  ove  si  pensi  a  quanto  s'è  detto,  sembrerebbe,  se  mai,  che 
la  scomunica  minacciata  dal  Breve  de'  7  novembre  l' avessero  incorsa  a 
preferenza  gli  altri  Frati  che  non  Fra  Girolamo;  imperocché  quelli,  meglio 
che  non  abbia  fatto  questi,  ricusaron  decisi  di  eseguire  gli  ordini  carpiti  al 
Pontifice.  (*)  Poi,  si  tollerava  molto  meglio  la  predicazione  degli  altri  Frati  di 
San  Marco  di  quella  di  Fra  Girolamo  ?  Io  leggo  invece  il  contrario. 

Del  resto  il  Savonarola  non  era  persuaso  affatto  che,  cedendo  egli  alle 
mene  dei  tristi  e  dandola  vinta  ai  Compagnacci  e  ai  Palleschi,  altri  ne  potesse 
facilmente  prendere  il  posto;  e  gli  effetti  non  so  che  gli  desser  torto:  «  Se  tu 
mi  dicessi:  —  0  Frate,  lascia  fare  un  poco  quest'ufficio  ad  un  altro;  —  io  ti 
rispondo,  che  io  non  veggo  ancora  nessuno,  che  venga  a  pigliare  quest'  opera; 
ma  bene  veggo  di  molti  contradittori.  Se  io  ne  vedessi  qualcuno,  1'  avrei  molto 
caro:  venga  pure,  che  noi  lo  abbracceremo  allegramente:  venga  pure  che  noi 
canteremo:  Ecce  quam  bonum  et  quam  iucundum  habitare  fratres  in  unum!  E 
s'  egli  sarà  d'  altra  religione,  ancora  lo  abbracceremo  volentieri  cantando  pure: 
Ecce  quam  bonum  et  quam  iucundum  habitare  fratres  in  unum.  E  però  non 
vedendo  io  nessuno  che  si  muova  a  pigliare  quest'  opera,  non  la  posso  la- 
sciare.... *. 

E  che  anche  qui  il  Frate  fosse  nel  vero  nessuno  può  dubitarne,  poiché  si 
confessa  da  tutti,  come  tacendo  egli,  in  Firenze  ripullulavano  per  ogni  dove  i 
vizj,  e  pur  troppo  quando  la  sua  voce  ebbe  a  cessar  per  sempre,  la  bella  città 
si  guastò  e  corruppe  un'altra  volta  in  modo  assai  notevole!  Basta  per  mo- 
strarci il  disprezzo  che  si  faceva  in  Firenze  d'  ogni  più  sacra  cosa  ciò  che  il 
Landucci  scrive  nel  suo  Diario  a  di  i25  di  dicembre  1498;  e  molto  fa  al  pro- 
posilo nostro  quello  che  1'  autore  medesimo  scrive  ivi  stesso  a  pagina  180- 1  Si , 
sotto  la  data  26  di  giugno  1498,  un  mese  dopo  la  morte  del  Frate:  «  E  a 
dì  2C  giugno  1498,  fu  morto  un  cittadino,  che  era  uscito  di  Siena,  da  uno, 
per  guadagnare  una  taglia  di  fiorini  1000;  e  fu  nel  mezzo  di  mercato  vecchio, 
in  su  la  terza  dirimpetto  allo  speziale  del  Be.  E  più  fu  feriti  altri  giovani 
la  notte  dinanzi.  E  la  causa  era  che  ognuno  aveva  allargato  la  vita  e  vedevasi 
la  notte  pieno  d'  arme  in  aste  e  spade  ignude  per  tutta  la  città,  e  co'  lumi  gio- 
care in  Mercato  Nuovo  e  per  tutto  sema  freno.  Pareva  aperto  l'Inferno  ;  e  tristo 
a  quello  che  riprendeva  i  vizii  ». 

(')  L'unica  differenza  tra  il  Priore  di  San  Marco  e  i  Frati  eia  questa,  che  essi  non  eran 
denunciati,  e  quegli  si:  ma  ove  si  pensi  alla  pubblicità  del  Breve  che  istituiva  la  nuova 
Congregazione,  tal  differenza  si  vedrà  attenuarsi  d'assai  e  quasi  direi  ridursi  al  niente.  E 
intatti  alcuni  religiosi,  sia  pure  che  lo  facessero  per  animosità,  non  volevano  comunicare 
nè  partecipare  alle  funzioni  sacre  co'  Frati  di  San  Marco. 


—  543  - 


Ecco  una  sentenza  tutta  vera  del  Pastor:  «  Tosto  che  il  Savonarola  ta- 
ceva, il  vizio  e  la  incredulità  tornavano  a  galla  ».  (Pag.  142.)  (*) 

Del  resto,  per  non  osservare  una  scomunica  invalida  qual  era  quella  del 
Savonarola,  non  si  richiede  neppure  un  caso  estremo,  come  insegnano  comu- 
nemente i  teologi.  Fra  gli  altri  il  Ballerini  così  dice  :  «  La  scomunica  in- 
valida non  ha  nessuno  effetto  nè  obbliga  se  non  qualche  volta  per  ragione  di 
scandalo  ».  (2)  Verità  da  noi  ampiamente  provata  nei  capitoli  XXVI  e  XXVII. 

Chi  vorrà  adunque  condannare  lo  zelo  del  Frate  quando  gli  faceva  dire 
ch'egli  non  poteva  lasciare  quell'opera?  (Sopra  V  Esodo,  pred.  II.)  Un  uomo 
di  poca  virtù  e  di  poco  zelo  potrebbe,  sì,  pigliare  tale  occasione  per  consu- 
mare ogni  più  lodevole  impresa,  e  trarre  i  giorni  quieti  nell'  ozio,  rimettendo 
tutta  la  responsabilità  ai  cattivi  comandi;  ma  non  già  un  animo  pieno  di  ar- 
dore e  disposto  a  morire  per  la  fede  nella  sua  missione,  per  rassettare  quel 
tanto  che  può  della  guasta  vigna  di  Cristo.  Se  si  fosse  trattato  solo  di  sè,  Fra 
Girolamo  avrebbe  potuto  e  forse  anche  dovuto  piegarsi  o  almeno  rassegnarsi 
e  stare  zitto;  ma  trattandosi  del  bene  delle  anime,  il  suo  cedere,  ove  si  tenga 
conto  di  ogni  circostanza,  sarebbe  apparso  un  peccato  contro  la  carità,  cui 
non  avrebbe  potuto  distruggere  l' indulgenza  più  benigna,  nè  render  leggiero 
attenuante  di  nessuna  sorta.  C) 

In  un  solo  caso  avrebbe  potuto  Fra  Girolamo  lasciar  l'opera  sua  incom- 
piuta e  tacere  o  passare  ad  altra  parte  della  Vigna  di  Cristo:  quando  i  suoi 
superiori  1'  avesser  mandato  altrove  con  impero  semplice  e  assoluto,  o  quando 
Alessandro  VI,  pur  vedendo  il  frutto  che  Fra  Girolamo  produceva  in  Firenze, 
avesse  creduto  davvero,  non  per  le  calunnie  de'tristi,  ma  per  propria  vo- 
lontà, di  toglierlo  quindi  ad  ogni  modo,  e  d' imporgli  di  tacere.  Allora  il  Frate 
e  il  predicatore  cattolico  ci  sarebbe  apparso  retto  anche  umiliandosi  dinanzi 


(')  Degno  di  nota  a  questo  proposito  è  quel  che  si  legge  nel  processo  falso  messo 
a  stampa  per  ordine  della  Signoria:  «  Circa  alla  scomunica  dico  che,  benché  a  molti  pa- 
resse non  fosse  nulla,  nientedimeno  io  credevo  quella  fosso  vera  e  da  osservarla:  ed  osser- 
vaila  un  pezzo  :  ma  poi,  cedendo  che  V opera  andava  in  ruina,  presi  partito  a  non  la  osservare  più, 
anzi  manifestamente  a  contradirla  con  ragione  e  con  fatti,  e  stavo  ostinato  in  questo  per 
onore  e  riputazione  e  mantenimento  dell'opera  mia  ».  Che  avrebber  detto  i  Commissarj  depu- 
tati all'esame  di  Fra  Girolamo  in  un  processo  non  falsificato,  se  tanto  dicono  in  uno  falsi- 
ficato a  tutto  danno  del  reo?!  Noi  che  conosciamo  oramai  quale  fosse  l'opera  del  Savonarola 
e  che  volesse  dire  impedirne  la  ruina,  ci  pare  di  poter  attendere  a  condannare  il  Frate  che 
altri  ci  mostri  e  provi  ch'egli  poteva  davvero  tacere  senza  grave  danno.  In  caso  contrario, 
appoggiati  alla  teoria  che  abbiamo  esposta  di  sopra,  non  ci  pare  affatto  presunzione  o  te- 
merità il  ritenerlo  assolto  e  davanti  a  Dio  e  davanti  alla  Chiesa.  Cf.  anche  negli  stessi  pro- 
cessi quanto  segue  nella  pagina  clxiij  del  II  del  Villari  ove  trovasi  il  passo  citato. 

(■)  Opus  Theologicum  morale,  ed.  II,  voi.  VII,  p.  166,  ST. 

(3)  Vedi  i  luoghi  citati  sopra  a  pag.  441  not.  1,  e  la  lettera  ad  un  religioso  del  suo  Ordine 
con  la  data  de'  15  settembre  1495:  e  la  predica  XXVIII  sopra  i  Salmi  dov'è  trattata  di  pro- 
posito questa  materia  e  dove  si  leggono  queste  parole  :  «  Sappi  che  noi  siamo  parati  ad  ob- 
bedire alla  Santa  Chiesa  ;  e  quando  il  Papa  sarà  bene  informato  e  ci  comandi,  anderemo 
dove  lui  dirà».  E  un  poco  più  sopra  nella  stessa  prodica  si  leggono  anche  le  seguenti  già  ci- 
tate :  «  Ben  sai  che  noi  obbediremo  al  Santo  Padre  :  e  io  e  i  frati  miei  vorremo  prima  morire 
che  far  peccato  ». 


—  544  — 


a  tali  comandi;  perchè  avrebbe  potato  credere  che  i  superiori  e  il  Papa 
provvederebbero  altrimenti;  ed  in  ogni  caso  avrebbe  potuto  nutrir  fiducia  che 
quel  Dio  che  gli  aveva  dato  quei  superiori  e  collocato  Alessandro  VI  alla  te- 
sta della  Chiesa  libererebbe  Firenze  da'  mali  morali  in  cui  stava  per  cadere. 
Colla  coscienza  d'aver  compiuto  l'ufficio  suo  egli  poteva  allora  ritirarsi  nella 
celluzza  che  gli  era  assegnata,  e  pregare  e  chiamare  che  l' abbondanza  dello 
Spirito  Santo  discendesse  nel  popolo  Fiorentino  e  nella  Chiesa  universale. 
Anche  questa  sarebbe  stata  virtù  eroica.  E  noi  siam  persuasi  che  il  Savo- 
narola l'avrebbe  compiuta  sempre,  come  si  è  mostrato  apparecchiato  e  pronto 
a  compierla  nel  1494.  E  infatti  ripetè  p>ù  volte  al  popolo  e  scrisse  che,  ove  il 
Papa  bene  informato  gli  facesse  alcun  comando,  sarebbe  andato  dove  ei  lo 
voleva,  e  avrebbe  obbedito  ad  ogni  costo.  (*)  Ma  si  trovò  egli  nel  caso? 
Potè  egli  creder  mai  d' esser  nel  caso?  Fecero  mai  i  suoi  superiori  a  lui 
il  semplice  comando  di  tacere?  lo  invitarono  mai  a  recarsi  fuori  di  Fi- 
renze? Possiamo  proprio  credere  che  l'intenzione  di  Alessandro  VI,  bene  in- 
formato, cosciente  che  non  esistevano  i  motivi  espressi  ne' Brevi,  fosse  quella 
di  chiudere  ad  ogni  modo  la  bocca  al  Frate  e  provveder  egli  altrimenti  ai 
bisogni  di  Firenze?  possiamo  noi  credere,  che  l' intenzione  di  Alessandro  VI 
fosse  quella  d'impedire  e  guastare  il  bene  che  il  Frate  generava  in  Firenze, 
e  lasciarvi  ripullulare  e  crescere  i  mali  che  afflissero  poi  la  bella  città? 

Non  ci  resta  adunque  altro  che  ammirare  lo  zelo  che  tenne  il  Riforma- 
tore fiorentino  saldo  nel  compimento  del  proprio  dovere,  anche  là  dove  tutte 
le  tentazioni  e  tutte  le  forze  umane  lo  incitavano  a  tralasciarlo;  non  ci  resta 
altro  anche  qui  che  ammirare  quello  zelo  e  quell'  eroico  spirito  di  sacrifizio 
che  tenne  saldo  il  buon  predicatore  nel  campo  della  lotta,  in  quel  campo 
dove  lo  trasse  la  malizia  e  la  frode  degli  avversar],  pur  dicendogli  chiara- 
mente ogni  cosa  eh'  egli  così  andava  incontro  a  certa  ruina  e  a  crudel  morte. 
È  una  cosa  questa  così  sublime  che  si  pena  a  significarla  con  parole.  Qui 
Fra  Girolamo  è  davvero  un  gigante. 


(')  Vedi  sopra  i  cap.  XXV,  XXVI,  XXVII  e  XXVIII. 


XXXIII. 


Il  Concilio 


Sommario. 

Come  sia  faticoso  difendere  Fra  Girolamo.  —  Il  Savonarola  condannato  anche  da  amici  e  ammiratori 
come  reo  d'aver  voluto  un  concilio  antipapale.  —  L'  accnsa  formolata  dal  Pastor.  —  Come,  data 
la  verità  de'  sapposti,  sarebbe  inevitabile  la  condanna.  —  Ragioni.  —  Savie  parole  del  Pastor, 
del  Marchese,  del  Procter.  —  Nostra  opinione.  —  Che  cosa  si  concede  e  che  cosa  si  nega.  —  Cu 
argomento  negativo  di  molto  valore.  —  Si  chiosa  un  misterioso  motto  del  Frate.  —  Si  nega  1'  au- 
tenticità delle  lettere  ai  principi.  —  Malvagità  provata  de'  calunniatoli  del  Frate.  —  Le  lettere 
ai  principi  sono  almeno  alterate  e  corrotte.  —  Silenzio  non  spiegabile.  —  Il  punto  essenziale.  — 
Fra  Girolamo  non  disse  mai  che  Alessandro  VI  non  fosse  vero  Papa.  —  Vecchia  calunnia.  —  La 
chiave  che  apre  il  segreto.  —  La  nostra  opinione  confortata  da' nuovi  documenti.  —  L'esamina 
di  Giovanni  C'ambi  e  le  lettere  di  Domenico  Mazzinghi  e  di  Simone  del  Nero.  —  Anche  i  processi  ci 
danno  ragione.  —  Si  esamina  e  si  ribatte  il  più  forte  argomento  «lei  Padre  Marchese.  —  11  Savo- 
narola non  può  volere  un  Concilio  senza  i  Prelati  della  Chiesa  e  il  Papa.  —  Una  riforma  della 
Chiesa  per  via  di  rivoluzione  inconcepibile  nel  sistema  del  Savonarola.  — La  Chiesa  e  l'aquila. 
—  Ordine  tenuto  da  Dio.  —  L'  abbondanza  dello  Spirito  Santo  necessaria  alla  rinnovazione  della 
Chiesa  discende  nel  popolo  per  mezzo  de'  Prelati.  —  Alla  riforma  del  popolo  deve  precedere  quella 
del  Clero.  —  H  Savonarola  crede  impossibile  per  ora  che  si  raccolga  la  Chiesa  in  Concilio.  —  Sue 
ragioni.  —  La  preghiera  ultimo  rifugio  e  arma  del  cristiano.  —  Alla  rinnovazione  precederà  il 
llagello.  —  La  superiorità  del  Concilio  al  Papa,  come  non  è  dottrina  dell'  Ordine  domenicano,  così 
non  è  dottrina  del  nostro  Frate.  —  La  riforma  del  Frate  di  San  Marco  si  poteva  fare  anche  con 
Alessandro  VI.  —  Il  Papa  angelico.  —  Sentenze  che  non  si  devono  ripeter  piii. 


Opera  gravosa  è  la  difesa  di  Fra  Girolamo.  Egli  occupa  un  posto  eminente 
fra  gli  uomini  rei  ti  e  puri  che  la  Chiesa  vantava  anche  nel  secolo  XV  ;  ma  forse 
non  vi  è  mai  stato  alcuno  che  abbia  patito  il  cumulo  di  calunnie  che  egli  si  è 
visto  versare  sopra  il  capo.  Dopo  le  molte  accuse  da  cui  1'  abbiamo  fin  qui  di- 
feso, ora  se  ne  fa  innanzi  un'altra  grave  assai,  per  la  quale  egli  venne  ed  è  tut- 
tavia condannato  da  non  pochi  anche  de' suoi  amici  ed  ammiratori:  è  l'accusa 
di  aver  tentato  di  far  rivoluzione  nella  Chiesa  di  Dio,  d'aver  professata  la  dot- 
trina che  ritiene  il  Concilio  superiore  al  Pontefice,  d'aver  voluto  raccogliere  per 
mezzo  de' principi  secolari  d'Europa  un  Concilio  anticattolico,  un  Concilio 
senza  il  Papa  e  contro  il  Papa. 

35 


—  546  - 


Sentiamo  anche  qui  l'accusa  come  è  formolata  dal  Pastor:  Fra  Girolamo, 
«  tutto  invaghito  delle  false  teorie  della  supremazia  del  Concilio  sul  Papa,  prese 
a  battere  la  via  della  opposizione  contro  il  possessore  pur  troppo  indegno  della 
legittima  autorità;  nel  che  trovò  non  solamente  la  propria  rovina,  ma  pregiu- 
dicò altresì  alla  causa  della  vera  riforma.  Per  mezzo  della  rivoluzione  questa 
non  si  poteva  conseguire. 

«  Santa  Caterina  da  Siena  aveva  scritto  una  volta  alla  Signoria  di  Firenze, 
che,  eziandio  se  il  Papa  fosse  un  demonio  incarnato,  conviene  esser  sudditi  e 
obbedienti  a  lui,  non  per  lui  in  quanto  lui,  ma  per  la  obbedienza  di  Dio,  come 
Vicario  di  Cristo.  (/)  Il  Savonarola  non  fé' alcun  caso  della  scomunica  di  Ales- 
sandro VI,  sì  anzi  il  minacciò  di  un  concilio,  assalendo  così  il  fondamento  di 
ogni  ordine  nella  Chiesa.  La  convocazione  di  un  concilio  ecumenico  onde  rifor- 
mare le  condizioni  ecclesiastiche  era  certo  per  sè  urgentemente  desiderabile; 
se  non  che  un  concilio,  senza,  anzi  contro  il  capo  della  Chiesa,  non  che  togliere 
i  disordini  esistenti,  sì  piuttosto  avrebbeli  ingranditi  da  vantaggio.  Già  il  sinodo 
di  Basilea  colle  interminabili  difficoltà  da  esso  provocate  in  luogo  delle  sperate 
migliorie,  aveva  mostrato  quale  scompiglio  era  stato  prodotto  nel  mondo  cri- 
stiano dalla  falsa  dottrina  del  primato  del  Concilio  sopra  il  Papa,  e  quali  con- 
seguenze dovessero  inevitabilmente  andar  compagne  al  tentativo  di  abbattere 
l'ordine  naturale  di  ogni  reggimento,  soprattutto  nella  Chiesa....  »  (pag.  143). 

«  Quell'infelice  non  pensava  a  fare  atto  di  soggezione;  tutto  pieno  della 
falsa  teoria  di  un  primato  del  concilio  sopra  il  Papa,  spinse  invece  le  cose  in- 
sino  agli  estremi....;  prese  a  battere  la  via  di  tutti  i  ribelli  e  sollecitò  perchè  si 
tenesse  un  concilio,  nel  quale  il  Papa  sarebbe  stato  deposto  come  —  simoniaco, 
eretico  e  miscredente.  —  Da  parte  de'  più  fidati  amici  del  Savonarola  si  fecero 
maneggi  presso  gli  ambasciatori  fiorentini  in  Francia  e  in  Ispagna,  acciocché 
favorissero  questo  disegno;  lo  stesso  Savonarola  abbozzò  lettere  per  i  più  emi- 
nenti principi  della  cristianità,  i  sovrani  di  Francia,  Spagna,  Inghilterra,  Un- 
gheria e  Germania,  nelle  quali  essi  venivano  con  ogni  istanza  sollecitati  a  met- 
tere ad  effetto  il  disegno  antipapale  di  un  concilio.  —  Il  momento  della  vendetta 
è  giunto  —  così  egli  diceva.  —  Il  Signore  vuol  eh'  io  riveli  nuovi  segreti,  e  che 
sia  manifestato  al  mondo  il  pericolo  in  cui  versa  la  navicella  di  Pietro  a  ca- 
gione della  vostra  lunga  negligenza.  La  Chiesa  è  tutta  piena  d'abominazione 
dal  capo  alle  piante;  e  voi  non  solamente  non  ponete  mano  al  rimedio,  ma 
adorate  la  cagione  stessa  del  male  che  la  contamina.  Onde  il  Signore  si  è  gran- 
demente adirato,  e  più  tempo  ha  lasciato  la  Chiesa  senza  pastore.  Io  vi 
testifico  ora  in  verbo  Domini,  die  quest'  Alessandro  non  è  papa,  ne  può  esser  ri- 
tenuto tale;  imperocché,  lasciando  da  parte  il  suo  scelleratissimo  peccato  della 

(')  Già  abbiamo  esaminato  queste  ed  altre  espressioni  nel  senso  ohe  il  Savonarola  pen- 
sasse che  alla  potestà  ecclesiastica  fosse  necessaria  la  bontà  del  soggetto.  (V.  il  eap.  XXVII.) 
Possiamo  qui  aggiungere  che  la  sentenza  contraria  è  pronunciata  dagli  stessi  processi  fai- 
sificat:,  dove  è  attribuito  al  Savonarola  il  seguente  motto:  «  Un  uomo  senza  virtù  può  es- 
sere Papa  •.  Presso  Villari  II,  pag.  clxxij. 


-  547  - 


simonia  con  cai  ha  comperato  la  sedia  papale,  ed  ogni  dì,  a  chi  più  ne  dà,  vende 
i  benefizi  ecclesiastici,  e  lasciando  gli  altri  suoi  manifesti  vizi;  io  affermo  che 
egli  non  è  cristiano  e  non  crede  esservi  alcun  Dio,  il  che  trapassa  il  colmo  d'ogni 
infedeltà.  —  Con  questo  preambolo  il  Savonarola  invitava  tutti  i  principi  cri- 
stiani che,  al  più  presto  possibile,  indicessero  il  Concilio  in  luogo  atto  e  libero. 
Da  suo  canto  si  obbligava  non  solo  di  comprovare  le  sue  asserzioni  con  argo- 
menti, ma  prometteva  che  Iddio  ne  avrebbe  con  miracolosi  segni  confermata 
la  verità  ».  (Pag.  367.) 

Questo  ed  altro  scrive  il  Pastor,  e  ha  qui  con  sè  l'autorità  di  scrittori  as- 
sai gravi  e  tra  gli  altri,  stanno  con  lui  due  insigni  Domenicani,  ammiratori  del 
Savonarola:  il  Padre  Vincenzo  Marchese  (*)  e  il  Padre  Giovanni  Procter.  (2)  E  non 
v'è  dubbio  che,  ove  si  potesse  provare  vera  anche  solo  una  parte  di  quanto  il 
Pastor  e  gli  altri  suppongono,  bisognerebbe  qui  condannare  Fra  Girolamo, 

A  parte  il  gravissimo  pericolo  di  scisma,  basterebbe,  perchè  i  cattolici  con- 
dannassero qui  tutti  il  Frate  di  San  Marco,  la  mancanza  di  rispetto  al  Papa, 
della  quale  egli  si  sarebbe  reso  colpevole,  anche  solo  facendosi  capo  e  centro 
di  un  moto  riformista  non  d' intesa  col  Vicario  di  Cristo,  «  autorità  da  Dio  sta- 
bilita, fondamento  di  ogni  ordine  nella  Chiesa....,  potenza  cui  nessuno  può  in- 
taccare senza  nuocere  a  se  medesimo....  Non  era  davvero  questa  la  strada  per 
diventare  un  apostolo  di  Firenze  od  anche  di  Roma  »  e  della  Chiesa  in  gene- 
rale. Nè  gioverebbe  al  Savonarola  l'  esser  allora  Papa  un  Alessandro  VI.  Se 
con  un  Borgia  poteva  il  Frate  per  una  parte  veder  lo  scandalo  attenuarsi,  per 
altre  considerazioni  doveva  tuttavia  scorgere  la  cosa  farsi  assai  più  grave:  men- 
tre la  Chiesa  si  trovava  sotto  simile  vergogna,  era  buona  opera  chiederne  la  ri- 
forma in  tal  guisa?!  Non  era  invece  un  portare  un  nuovo  elemento  di  discor- 
dia e  di  dissolvimento,  dove  tanto  bisogno  c'  eradi  obbedienza  e  di  disciplina?! 
A  noi  pare  impossibile  che  si  possa  contrastare  da'  cattolici  alle  cose  che  al 
riguardo  dice  il  Pastor,  come  ci  pare  impossibile  che,  supposti  veri  i  fatti  che 
si  suppongono,  vi  sia  pur  uno  tra  i  cattolici,  il  quale  possa  ricusare  di  sotto- 
scrivere alle  seguenti  parole  del  Padre  Marchese:  «  Noi  di  buon  grado  confes- 
siamo, che  opportunissimo  e  salutare  consiglio  sarebbe  stato  nelle  presenti 
distrette  raccogliere  intorno  alla  Sedia  Apostolica  1'  episcopato  cattolico,  affine 
di  soccorrere  ai  bisogni  gravissimi  del  gregge  di  Cristo,  rinettando  i  costumi, 
ammigliorando  la  disciplina,  ravvivando  la  pietà,  e  promovendo  gli  studi  eccle- 
siastici. Ma  congregarlo  senza  il  capo  della  Chiesa,  anzi  a  dispetto  di  lui  e 
contro  di  lui,  era  audacia  che  in  luogo  di  medicare  i  mali  presenti,  schiudeva 
la  via  a  mali  di  gran  lunga  peggiori.  E  che  altro  mai  fecero  in  tutti  i  tempi  i 


(')  Sunto  storico  del  convento  di  San  Marco  negli  Scritti  varii,  voi.  I,  pag.  254,  e  Prefazione 
<ille  Lettere  e  documenti  inediti,  ecc.,  pag.  11  e  segg. 

(2)  Il  Domenicano  Savonarola  e  la  Riforma,  pag.  57  e  segg.  Dice  il  P.  Procter  che  «  le  let- 
tere senza  dubbio  furono  scritte  ».  Nondimeno  il  P.  Ferretti  soggiunge  in  nota:  «  È  da  du- 
bitarsi fortemente  se  in  realtà  tali  lettere  siano  state  scritte,  o  almeno  se  tale  ne  sia  stato 
il  tenore  ». 


—  548  - 


funesti  operatori  delle  scisme,  che  tanto  strazio  portarono  nella  Chiesa  di  Gesù 
Cristo,  se  non  usurpare  una  autorità  che  loro  era  manifestamente  dinegata 
dalle  sacre  carte  e  dalla  tradizione  apostolica?  »  (')  Nè  meno  savie  son  le  parole 
del  Provinciale  de' Domenicani  d'Inghilterra:  «  La  provocazione  era  grande, 
ma,  come  qualunque  altra  tentazione  a  mal  fare,  doveva  essere  respinta  con 
pazienza,  con  la  preghiera  e  la  fiducia  in  Dio,  che  solo  può  calmare  la  tempe- 
sta e  comandare  alle  onde  —  per  sempre  —  finché  la  nave  di  Pietro  non  sia 
arrivata  alla  riva.  I  giorni  erano  oscuri,  molto  oscuri,  i  tempi  agitatissimi,  l' ini- 
quità prevaleva  anche  nei  luoghi  santi:  l'anima  del  Savonarola  si  commosse  alla 
vista  del  mal  operato,  e  lo  zelo  trionfò  della  prudenza.  Ebbe  torto  !...  ». 
(Pag.  58.)  Questa  sarebbe  la  sentenza  più  mite  che  si  potesse  dare  ;  e  ogni 
tentativo  di  attenuarla  riuscirebbe  vano,  e  sarebbe  forse  illecito. 

Ma  sono  poi  veri  i  fatti  che  questi  scrittori  suppongono?  Sono  provati? 
Tentò  davvero  Fra  Girolamo  di  radunare  questo  Concilio  anticattolico  e 
maneggiò  davvero  per  questo  fine  coi  principi  d'Europa?  Io  ne  dubito  assai; 
anzi  dirò  risolutamente  che  opino  il  contrario  e  sto  per  la  negativa.  (2) 

Intendiamoci:  che  Fra  Girolamo  desiderasse  che.  si  facesse  un  Concilio 
ecumenico  e  per  esso  si  riformasse  la  Chiesa,  non  ho  alcun  motivo  di  metterlo 
in  dubbio:  questo  desiderio  egli,  se  mai,  l'aveva  comune  con  tutti  i  buoni:  e 
nessuno  vorrà  certo  fargliene  colpa;  ma  la  nostra  questione  è  questione  di 
fatto,  se  cioè  il  Frate  di  San  Marco  si  adoperasse  perchè  il  Concilio  fosse  rac- 
colto nel  modo  anticattolico  che  si  afferma  da  alcuni.  In  verità,  osserva  il  Bar- 
toli,  (3J  un  tal  fatto  non  è  concordemente  ammesso  dagli  scrittori;  e  il  silenzio 
del  Comines,  del  Sabellico,  dell'  Infessura  e  dello  stesso  Alessandro  VI....  quan- 
tunque argomento  negativo,  potrebbe  renderci  sospetta  la  verità  di  un  fatto 
che  sembrava  esser  troppo  notabile  per  doversene  far  distinta  menzione.  E 
certo,  bisognerebbe  aggiungere,  ad  Alessandro  VI  non  mancarono  occasioni  di 
lagnarsi  di  questo;  e  i  supposti  delitti  del  Frate,  anche  se  leggieri,  si  era  pur 
usi  di  gettarglieli  in  faccia  troppo  sovente.  Se  questo  che  si  dice  fosse  stato  di- 
segno del  Savonarola  e  fosse  apparso  di  fuora,  chi  pensa  alla  gravità  del'fatto 
e  alle  più  gravi  conseguenze  che  avrebbe  potuto  portare  in  caso  di  riuscita,  non 
si  persuaderà  certo  facilmente  che  la  cosa  da  Roma  si  lasciasse  passare  in 
silenzio,  e  che  Alessandro  VI  mai  non  avesse  da  farne  un  cenno  ne' molti 
Brevi  che  scrisse  a  riguardo  del  Frate  e  prima  e  dopo  la  morte  di  quello. 

Lo  so,  alcuni,  e  tra  questi  il  Pastor  (pag.  368),  vogliono  vedere  vaghe  mi- 
nacce al  Papa  ed  un  accenno  al  Concilio  sotto  quella  metafora  tante  volte  ri- 
petuta dal  Frate  :  «  Un  giorno  daremo  volta  alla  chiavetta  »  :  oppure  :  «  Io  gri- 
derò: Lazare,  veni  foras  »;  ma  questa  interpretazione  è  una  delle  tante  cose 


(')  Sunto  storico,  ecc.,  1.  c. 

C)  Trattiamo  con  sufficiente  ampiezza  quest'argomento  nello  scritto  già  annunziato  e 
promesso:  Della  Chiesti  e  del  Pontefice  di  Roma  secondo  Girolamo  Savonarola.  Qui  siamo  co- 
stretti da  troppe  cose  a  esser  brevi. 

(3)  Apolotjia  di  Fra  Girolamo  Savonarola,  Firenze,  17»2,  cap.  XIX. 


—  549  — 


eh'  io  non  mi  so  affatto  spiegare  come  fosse  trovata  e  poi  successivamente 
ripetuta.  i\Ia  si  può  pensare  seriamente  che  Fra  Girolamo  credesse  in  suo 
arbitrio  aprire,  quando  gli  piacesse,  il  Concilio?  e  cacciar  di  Trono  il  Borgia? 
Avete  almeno  un'  ombra  d' indizio  eh'  egli  avesse  stretto  colla  cristianità  sif- 
fatte pratiche  da  poter  ragionevolmente  ritenersi  certo  già  fin  dal  1495,  ch'ove 
gli  piacesse,  questa  s'accoglierebbe  in  Concilio  per  riformare  la  Chiesa  senza 
il  Pontefice  e  contro  il  Pontefice?  (*)  Eppure  le  frasi  che  mi  ricordate,  impor- 
tano cosa  che  par  tutta  riposta  in  facoltà  del  Frate.  Ricercate  le  prediche  del 
Savonarola,  ricercatele  attentamente  e  vi  persuaderete  subito  che  questi  suoi 
motti  hanno  in  lui  quel  senso  che  frasi  simili  godono  tuttavia  nel  popolo  di  Fi- 
renze: vogliono  semplicemente  dire  che  se  i  nemici  del  ben  vivere  e  del  governo 
fiorentino  volessero  persistere  nelle  tristi  loro  mene,  egli  avrebbe  f^tte  pa- 
lesi le  trame  d'ognuno  in  particolare,  e  fatto  conoscere  anche  le  magagne  di 
cui  erano  pieni;  al  più  alcuna  volta  queste  espressioni  il  Frate  le  adopera  per 
significare  che,  ove  i  persecutori  l'avessero  stretto  al  punto  da  rendere  indi- 
spensabile qualche  prova  straordinaria  della  verità  della  sua  dottrina,  delle  cose 
che  predicava,  egli  aveva  licenza  di  far  palesi  i  peccati  e  i  tristi  e  diabolici 
maneggi  d'alcuni,  che  già  riteneva  segnati  in  ischede  chiuse:  e  sarebbe  ap- 
parso eh'  egli  non  poteva  conoscerli  per  via  umana.  Questo  e  non  altro  si- 
gnificano le  misteriose  parole  del  Savonarola:  e  ripeto,  non  è  senza  meraviglia 
il  veder  che  da  tanti  s'interpretano  come  si  fa  tuttavia.  (Vedi  la  Risposta  a 
certe  obiezioni....  de' 6  aprile  1498  e  la  pred.  V  sopra  1'  Esodo  (*). 

E  le  lettere  ai  principi?  Un'altra  supposizione  che  non  regge.  Ricercate 
attentamente  gli  argomenti  che  si  sogliono  addurre  a  favore  dell'autenticità 
e  genuinità  di  queste,  e  non  vi  verrà  fatto  di  trovarne  pur  uno  che  concluda. 
Esse  sono  una  infelice  invenzione  de'  nemici  del  Frate,  e  probabilissimamente 
del  Moro  e  de' suoi  agenti.  E  quest'espediente  diabolico,  affine  di  persuadere  il 
Papa  che  Fra  Girolamo  era  davvero  un  tristo,  non  è  solo  dell'ultimo  periodo 
della  vita  del  nostro.  Già  lo  troviamo  usato  nell'agosto  del  1496,  come  appare  dal 
Doc.  XI  tra  i  pubblicati  da  1.  Del  Lungo.  Infatti  ivi  si  dice  che  il  Tranchedino, 


(')  Io  non  mi  valgo  affatto  a  difesa  del  Savonarola  dell'elezione  simoniaca  del  Borgia. 
Questa  era  certo  nota  al  Frate  di  San  Marco,  ma  nessuno  troverà  nella  sua  vita  ch'egli 
non  volesse  per  ciò  riconoscer  quello  come  vero  Papa.  Io  non  ho  potuto  trovare  alcuna 
prova  che  Fra  Girolamo  avesse  legami  nè  con  il  cardinale  della  Kovere.  che  pur  si  stava 
ai  fianchi  del  Re  di  Francia,  ne  cogli  altri  che  si  dice  lavorassero  per  la  deposizione  di 
Alessandro  VI.  Anzi  piuttosto,  anche  da' processi,  mi  pare  che  si  raccolga  il  contrario,  come 
può  vedere  il  lettore  andando  al  Villari  vvol  II)  ai  luoghi  seguenti:  pag.  clxxj;  clxxxv- 
clxxxvj;  clxxxix;  cxcij-cxcvij.  Non  mi  allargo  qui  da  vantaggio;  ma  questo  sarebbe  pure 
un  quesito  degno  di  essere  svolto  ampiamente.  A  me  parve  sempre  molto  significativo  il 
non  trovar  Fra  Girolamo  con  tale  schiera;  e  mi  fu,  già  da  tempo,  la  prima  occasione  a 
movere  i  piedi  all'opinione  che  poi  abbracciai,  ed  ora  esprimo  in  questo  capitolo. 

(2)  Dal  1°  processo  falsificato  Villari.  voi.  II,  p  clxvii)  togliamo  quanto  segne  a  conferma 
della  nostra  interpretazione:  «  Circa  la  chiavetta  di  che  ho  fatto  menzione  tante  volte,  e  che 
ho  detto  appartenere  alla  chiesa,  l'ho  fatto  per  dare  tenore,  minacciare,  et  per  fare  tenere 
adrieto  le  mani  a  chi  mi  voleva  male  :  et  infine  sono  state  parole:  ma  altro  particulare  secreto 
o  revelatione  non  v'  era  drento  ». 


—  550  — 


con  pretesi  scritti  del  Frate  a  Carlo  Vili,  intercetti  dal  Moro,  si  presentò  a' Si- 
gnori come  per  moverli  e  farli  vergognare  del  trovarsi  essi  sotto  il  governo  di 
un  Frate;  ma  non  ne  fu  nulla,  imperocché  i  Signori  dichiaravano  di  non  sa- 
pere affatto  di  queste  lettere.  Poi  lo  zelante  oratore  parlò  a  Frate  Girolamo  e 
fecegli  intendere  quanto  gli  aveva  commesso  il  suo  Signore.  Ma  il  Frate  rispose 
anrh' egli  che  non  «  sapeva  niente  di  esse  lettere;....  e  che  queste  potevano 
essere  state  fatte  per  qualche  persona  che  cerca  di  dargli  carico  appresso  1'  Ec- 
cellenza del  Duca,  e  che  se  quella  manda  1'  originale,  si  vedrà  se  le  son  sue 
lettere  o  non  ».  (*) 

Quest'arte  degli  avversarj  del  Frate  è  fatta  palese  anche  più  chiaramente, 
se  fosse  possibile,  dal  100°  documento  tra  i  pubblicati  dal  Cappelli.  Anche  qui 
si  tratta  di  lettere  intercette  dal  Moro,  e  anche  qui  il  Frate  nega  ch'esse  siano 
sue,  e  si  giustifica  dicendo  un'altra  volta,  «  che,  se  si  farà  paragone  dell'originale 
delle  dette  lettere  intercette,  che  si  troverà  che  non  sono  lettere  fatte  di  sua 
mano,  nè  anche  mai  s' intenderà  che  per  sua  commissione  le  sieno  state  fatte. 
Egli  dubita  bene  che  alcuno,  e  forse  di  questa  terra,  per  dargli  carico  le  po- 
tria  aver  fatte  in  suo  nome  e  mandate,  affine  che  le  sieno  intercette  in  Lom- 
bardia ». 

Questo,  noi  crediamo,  avvenne  per  le  lettere  ai  principi:  esse  furono  in- 
venzione di  qualche  avversario  e  probabilmente  del  Moro  per  dar  carico  al  Frale. 
Chi  capirebbe  il  silenzio  del  Papa  e  degli  altri  accaniti  persecutori  del  Frate, 
se  davvero  fosse  capitata  nelle  mani  del  Moro  o  della  Signoria  o  de'commis- 
sarj  apostolici  una  lettera  del  contenuto  di  quelle  di  cui  discorriamo  ?  (2)  Certo 
se  i  nemici  per  opprimere  il  Frate  non  dubitarono  di  falsarne  i  processi,  non  è 
difficile  che  osassero  anche  apporgli  una  lettera  non  sua,  proprio  nel  tempo  che 
a  lui  riusciva  più  disagevole  il  difendersi,  e  respingere  la  grave  calunnia.  Qui 
noi  crediamo  che  sia  avvenuto  un  fatto  simile  almeno  a  quello  della  lettera  del 
Frate  a  Carlo  Vili  pubblicata  con  errori  dagli  amici  della  Lega,  come  abbiamo 
detto  di  sopra  a  pagina  344.  Queste  lettere  ai  principi  le  credo  almeno  alterate 
e  corrotte.  Punto  essenziale  di  queste  si  è  la  dichiarazione  che  Alessandro  VI 
non  è  vero  Papa.  Ora  questo  non  troviamo  che  il  Savonarola  lo  abbia  mai 
detto  nè  pensato,  se  si  prende  la  parola  nel  vero  senso,  nel  senso  canonico. 
Il  Savonarola  non  ha  mai  in  nessun  momento  della  sua  vita  messa  in  dubbio 
la  potestà  pontificia  del  Borgia:  per  quanto  ricerchiate  dappertutto  nelle  sue 
opere  non  troverete  eh'  egli  siasi  unito  mai  a  quelli  che  stimassero  nulla  l'ele- 
zione del  Borgia  al  Pontificato,  specialmente  dopo  che  questi  fu  riconosciuto 
Papa  dalla  Chiesa  universale.  Non  risulta  nemmeno  che  Fra  Girolamo  pen- 
sasse mai  che  Alessandro  VI  fosse  Papa  dubbio,  e  ci  par  manifesto  che  ciò 
non  facesse  nè  anche  negli  ultimi  mesi  della  vita  :  basta  a  dimostrarlo  la  let- 
tera eh' egli  spediva  al  Papa  stesso  il  13  maggio  14'J8,  nella  quale  anzi  è 


(')  Vedi  l'anuotaziono  che  a  questo  documento  t'a  il  Del  Lungo. 
0  Vedi  il  Villari,  lib.  IV,  oap.  VI. 


-  551  — 


detto  chiaramente  il  contrario,  riconoscendovisi  il  Borgia  come  Sua  Santità  e 
Sommo  Pastore.  E  il  Savonarola  non  si  è  mai  disdetto  in  nulla,  per  quanto  io 
sappia;  e  tanto  meno  posso  pensare  che  si  disdicesse  in  cosa  tanto  grave, 
e  tante  volte  e  tanto  solennemente  affermata.  Se  avesse  creduto  il  Borgia  quale 
Papa  dubbio  o  non  Papa,  la  franchezza  di  Fra  Girolamo  non  avrebbe  po- 
tuto dissimulare  tanto.  Tutto  quello  che  potè  esser  detto  da  lui  è  questo  solo  : 
il  Papa  non  vive  come  a  cristiano  si  conviene  ;  e  nella  riforma  e  rinnovazione 
della  Chiesa  non  opera  come  il  Papa  dovrebbe.  Ma  più  in  là  Fra  Girolamo 
era  impossibile  che  giungesse  ;  e  se  vi  fosse  giunto,  i  processi  non  l'avrebber 
certo  lasciata  passare  cosi  liscia,  come  fecero. 

Ma  pure  i  suoi  nemici  lo  accusavano  di  tal  pecca  già  da  molto  tempo  e  con 
insistenza  assai  grande.  Infatti  Paolo  Somenzi  con  la  data  de'  18  marzo  1495 
scriveva  al  Moro:  «  Esso  Frate  ha  detto  in  pubblico,  cioè  predicando,  come 
questo  popolo  non  debbe  obbedire  alla  Santità  del  Papa:  e  quando  bene  Sua 
Santità  facesse  una  inibizione  a  questa  città  che  non  se  li  potesse  celebrare 
messa,  che  la  non  si  debba  osservare,  perchè  la  non  vale,  per  non  essere  lui 
vero  Papa  ».  (*)  E  inventata  una  volta  la  fandonia,  sebbene  il  Frate  protestasse 
respingendo  questo  come  gli  altri  ingiusti  addebiti,  non  la  si  volle  più  lasciar 
cadere,  e  trovò  finalmente  luogo  nelle  famose  lettere,  come  aveva  trovato 
luogo  altra  volta  in  altre  lettere  la  fandonia  ch'egli  colle  sue  prediche  fosse 
cagione  perchè  i  Fiorentini  stessero  volti  alla  parte  francese.  Alessandro  VI 
conosceva  molto  bene  la  sua  viziosa  elezione,  e  non  men  bene  di  lui  sape- 
vano eh'  essa  era  simoniaca  e  il  Moro  e  gli  altri  principi,  come  era  manife- 
sta ad  ognuno  la  vita  scandalosa  del  Borgia;  pur  troppo,  anche  in  pubblico,  e 
dal  pulpito,  proprio  in  Firenze,  si  era  osato  dire  che  Alessandro  VI  era  mar- 
rano e  fatto  per  simonia;  qual  destro  migliore  poteva  offrirsi  ai  nemici  del 
Frate  per  incitargli  contro  l'ira  del  Papa,  che  far  penetrare  nell'animo  di 
quest'ultimo,  che  quegli  l'accusava  audacemente  di  un  sì  turpe  delitto?! 

E  noi  crediamo  anche  di  aver  la  chiave  in  mano  per  aprire  il  segreto 
che  ci  tenesse  nascosto  come  ciò  potesse  avvenire  :  forse  può  servirci  di  lume 
un  passo  degli  Scritti  Inediti.  Chiosando  ivi  il  II  di  San  Luca,  al  versetto  41, 
il  Frate  vede  ne' parenti  di  Gesù  la  Chiesa  e  il  Papa;  e  soggiunge  poi  di 
quest'  ultimo,  «  che  è  creduto,  si  come  Giuseppe,  padre  di  Gesù  e  de'Cristiani, 
e  non  è.  Parentes,  Ecclesia  et  Papa,  qui,  sicut  Joseph,  putatur  Jesu  pater  et 
Christianorum,  et  non  est  ».  Questo  pensiero  chi  sa  quante  volte  l'avrà  espresso 
il  Savonarola,  specialmente  quando  si  trovava  alle  prese  con  quelli  i  quali, 
sebbene  non  importasse  loro  nulla  della  dignità  del  successore  di  Pietro,  vo- 
levano, per  mostrare  la  validità  de'  Brevi  a  lui  spediti,  metterlo  al  pari  di  Dio 
e  Cristo:   chi  sa  quanti  di  questi  importuni  avranno   udito  questo  pen- 


(')  V.  Del  Lungo,  Doc.  III.  Vedi  anche  la  Cronaca  del  Vaglienti  a  pag.  30,  dove  Ira  le 
altre  cose  si  ripete  appunto  del  pari  che  Fra  Girolamo  «  predicava  e  diceva  essere  la  scomu- 
nica di  nullo  valore,  con  ciò  sia  cosa  che  questo  Papa  non  era  vero  Papa,  e  che  era  fatto  per 
simonia....  >. 


—  552  — 


siero  del  Savonarola.  (')  Ognuno  capisce  la  giustezza  dell'  espressione  del 
Frate:  il  Papa  non  è  Dio,  non  è  Cristo,  ma  suo  luogotente  e  Vicario  in  terra; 
ma  che  occorreva  altro  ai  nemici  del  Savonarola  per  accusarlo  senza  meno 
che  egli  alludesse  in  particolare  ad  Alessandro  VI  e  dicesse  questo  Papa  non 
esser  vero  Papa,  e  neppure  cristiano? 

E  v'  è  di  più;  negli  stessi  Scritti  Inediti,  chiosando  il  li  de' Treni  di  Ge- 
remia, al  mestissimo  versetto  9°  alle  parole:  Non  v'  ha  più  legge....,  il  Savona- 
rola postilla  :  «  Non  v'  ha  legge,  perchè  non  si  osserva.  Se  tu  vedessi  le  leggi 
della  Chiesa,  e  le  scomuniche  contro  i  Simoniaci  innumerevoli,  e  poi  le  cose 
che  si  fanno  a  Roma,  stupiresti  »  (2)  :  aggiungete  l'insistere  che  il  nostro  Ri- 
formatore faceva,  cioè  che  ad  esser  cristiani  si  richiede  che  si  viva  bene,  si 
creda  la  fede  semplicemente,  si  compiano  le  opere  buone  e  ci  si  astenga  dalle 
cattive;  e  che  altrimenti  cristiani  non  si  è,  e  voi  capirete  subito  che  non 
avevano  bisogno  di  altro  gli  agenti  del  Moro  per  fabbricare  la  calunnia  che 
il  Frate  ritenesse  nulla  la  elezione  del  Borgia,  come  quella  che  era  notoria- 
mente simoniaca,  e  che  il  Borgia  stesso,  buontempone  d'  indominata  sensualità, 
come  lo  dice  il  Pastor,  (pag.  435)  non  fosse  stimato  da  lui  neppur  cristiano.  E 
non  aveva  del  resto  il  Savonarola  pronunciate  le  parole  :  tu  non  sei  Papa?  Che 
fa  egli  chele  dicesse  in  generale,  come  abbiam  veduto  nel  c.  XXV,  nell'ipotesi  che 
un  qualche  Papa  facesse  un  comando  contro  Dio,  contro  la  legge  di  Cristo,  o  con- 
tro 1'  Evangelo  ?  Ai  nemici  bastavan  le  parole  per  costruire  la  brutta  calunnia; 
e  la  costruirono,  e  le  diedero  per  istanza  le  famose  lettere;  alle  quali,  e  vuole 
esser  notato,  porgeva  occasione  assai  propizia  la  lettera  stessa  spedita  dal 
Frate  al  Pontefice  a' dì  13  marzo  1498.  E  non  diceva  in  essa  audacemente  Fra 
Girolamo,  ch'egli  d'  ora  innanzi  doveva  lasciare  ogni  speranza  d'aver  da  Sua 
Santità  l'aiuto  che  da  quella  e  come  da  Cristiano  e  come  da  Sommo  Pastore 
s'era  prima  atteso?  Il  passo  all'affermazione  che  Sua  Santità  non  fosse  Cristiano, 
nè  sommo  Pastore,  non  fosse  Papa,  era  facile  alla  calunnia:  e  la  calunnia  lo 
fece  senz'  altro  riguardo. 

Questo  io  opino,  e  questo  parmi  facilmente  spiegabile,  se  tengo  la  mente 
alla  vita  del  Frate;  ma  l'opinione  contraria  non  so  come  conciliarla  co' pen- 
samenti del  mio  Autore  e  col  programma  di  lui.  Certo,  se  i  nemici  per  oppri- 
merlo non  dubitarono  di  guastarne  le  membra  colla  tortura  e  falsarne  i  pro- 
cessi, non  è  difficile  che  osassero  ripeter  il  giuoco  di  apporgli  una  lettera 
non  sua  ;  ma  non  saprei  facilmente  capire  eh'  egli  con  queste  lettere  contradi- 
cesse, e  molto  da  sciocco,  a  se  stesso  e  a  tutta  la  sua  vita. 

Del  resto  credo  di  avere  anche  ne'  documenti  pubblicati  dal  Villari  tati  lo 


(')  Potrebbe  esser  questo  pensiero  che  ha  dato  luogo  all'espressione  che  si  leggo  nel 
Vulnera  dilinentis  (Lib.  I,  cap.  19):  «  Il  Papa  non  è  propriamente  il  capo  primo  della  Chiesa, 
ma  è  il  Vicario  del  capo  sommo  della  Chiesa,  il  quale  è  Gesù  Cristo  ».  Cfr.  Villari,  II,  pa- 
gina 126,  nota. 

(')  Concetto  anche  questo  ed  espressione  che  tornano  molto  sovente  nelle  Opere  del 
Frate,  come  si  può  vedere,  per  esempio,  nella  predica  XXII  sopra  Amos  e  nella  V  sopra 

1*  Ksodo. 


—  553  — 


che  basti  a  mostrare  molto  credibile  e  ragionevole  la  mia  opinione.  Leggete 
infatti  le  lettere  di  Simone  del  Nero  e  Domenico  Mazzinghi  che  avrebbero 
preannunziate  quelle  del  Savonarola  ;  (')  leggete  le  deposizioni  di  questi  me- 
desimi e  degli  altri  che  si  tengono  per  confidenti  del  Frate  in  questa  faccenda, 
e  vedrete  quanta  differenza  corre  da  quello  che  costoro  scrissero  e  afferma- 
rono a  quello  che  avrebbe  poi  affermato  e  scritto  il  Savonarola  o  contempo- 
raneamente o  pochi  giorni  dopo.  Negare  che  queste  lettere  e  deposizioni  non 
rappresentino  il  pensiero  del  Frate  e  credere  che  lo  attenuino,  mi  penso  non 
sia  punto  facile:  a  preferenza  si  potrà  ritener  probabile  che  lo  zelo  1'  abbia 
fatto  colorire  maggiormente.  Ora  qui  non  trovate  la  crudezza  dei  pensieri 
espressi  nelle  lettere  ai  principi:  leggendo  questi  documenti  non  vi  sorge  nem- 
meno il  più  lontano  dubbio  che  il  Frate  pensi  Alessandro  VI  non  esse>e  e  non 
poter  essere  Papa,  non  essere  cristiano,  non  essere  battezzato  e  non  credere 
in  Dio  alcuno.  (2)  Non  so  astenermi  ch'io  non  vi  trascriva  l'esamina  di  Gio- 
vanni Cambi:  «  A  dì  XXIII  di  aprile  MCGGCLXXXXVIII.  Nel  secreto,  a  pa- 
role, Giovanni  di  Niccolò  Cambi,  domandato  della  lettera  per  lui  scritta  allo 
Imperatore  circa  il  Concilio,  come  passò,  rispose  a  questo  modo. 

«  Sono  giorni  circa  40,  che,  standomi  in  casa  ozioso,  mi  venne  in  animo  di 
mandare  allo  Imperatore  il  libro  del  Trionfo  della  fede,  fatto  da  Fra  Girolamo, 
avendo  inteso  che  era  bello  libro;  e  mandavalo  a  detto  Imperatore  come  ad 
uomo  dotto,  e  che  si  dilettava  di  cose  simili.  E  così  feci  una  lettera  a  Sua  Mae- 
stà, nella  quale  narravo  come  il  detto  Fra  Girolamo  era  gran  profeta,  e  predi- 
cava cose  future;  massime  la  conversione  de' Turchi,  la  ruina  d'Italia  e  la  rin- 
novazione della  Chiesa.  E  che  non  era  dubbio  la  Chiesa  stava  male,  come  Sua 
Maestà  può  ben  sapere  ;  e  che  a  Sua  Maestà  prefata  s'apparterrebbe  rimediare, 
come  si  faceva  pe'  tempi  passati  per  mezzo  de''  Concila  ». 

Di  poi  avendo  consegnata  a  Fra  Silvestro  e  a  Girolamo  Benivieni  tal  let- 
tera, perchè  gliela  volesser  far  latina,  ritornato  a  riprenderla,  fu  introdotto  da 
Frate  Girolamo,  il  quale  gli  disse:  «  Io  ho  vista  la  bozza  della  tua  lettera  allo 
Imperatore:  sia  contento,  non  l'avere  per  male.  —  Poi  gli  soggiunse:  —  La  sta 
secondo  il  gusto  mio,  o  poco  manca  ». 

Qui  adunque  abbiamo  significati  i  pensieri  del  Savonarola,  o  poco  meno; 
nè  possiamo  dubitarne.  Ma  rileggete  un'altra  volta  le  lettere  ai  principi,  e  ve- 
drete che  la  differenza  tra  quelle  e  questa  esamina  non  è  poca,  ma  immensa. 
Basta  adunque  questo  fatto  per  dire  che  le  famose  e  nuove  espressioni  che 
si  leggono  ne'  pretesi  abbozzi  non  sono  da  attribuirsi  al  Frate.  (3) 


(')  Villari,  voi.  II,  Doc.  XV,  pag.  Ixviij. 

12)  Questa  del  resto  è  calunnia  mal  trovata,  avendo  noi  visto  cbe  Fra  Girolamo  solo 
per  questo  non  avrebbe  tenuto  cbe  la  potestà  del  Sommo  ministro  venisse  meno.  La  potestà 
di  Pietro  non  viene  a  scadere  nè  anche  in  un  successore  indegno.  Eppure  nelle  lettere  ai 
principi  questo  sarebbe  il  colmo  dell'accusa  a  provare  che  il  Borgia  non  è  Papa. 

13)  Degno  di  nota  mi  pare  il  leggersi  che  Fra  Girolamo  aveva  deliberato  di  scrivere 
ad  alquanti  principi  che  questo  Papa  non  è  cristiano  nè  Papa  nel  vero  processo  -  in  quello 
cioè  men  corrotto  —  di  Fra  Domenico  ,  e  il  non  leggersi  poi  la  stessa  cosa  nel  processo 


—  554  — 


E  questa  esamina  e  le  lettere  che  dovevano  precedere  i  pretesi  abbozzi 
di  quelle  ai  principi,  e  gli  stessi  processi  un'  altra  cosa  mi  fanno  pensare,  e  di 
grande  importanza,  e  che  mi  par  maraviglia  che  non  sia  stata  rilevata  come 
merita:  questa  è  che  Fra  Girolamo  non  tentò  mai  di  far  raccogliere  il  preteso 
Concilio  contro  il  Papa  o  senza  il  Papa  e  per  farsi  egli  ragione  nella  terribil 
lotta  contro  Alessandro  VI  e  per  far  deporre  il  Borgia..,.  Anzi  quindi  non  ap- 
pare affatto  che  fra  Girolamo  si  facesse  centro  di  un  moto  riformatorio  in 
nessun  senso:  tutto  quello  che  indi  appare  si  è  che  Fra  Girolamo  avrebbe  ve- 
duto volentieri,  per  allontanare  almeno  in  parte  il  flagello  eh'  egli  vedeva  so- 
prastare alla  Chiesa,  e  specialmente  all'  Italia  e  a  Roma,  che  i  principi  cristiani 
avesser  procurato  che  si  potesse  raccogliere  un  Concilio  per  iniziare  la  riforma 
in  quella  ;  un  Concilio  a  guisa  degli  antichi,  i  quali  avevano  posto  riparo  altra 
volta  ai  mali  che  affliggevano  la  Chiesa;  ma  non  punto  un  Concilio  che  i 
mali  della  Chiesa  aggravasse  con  il  pericolo  di  uno  scisma.  Come  si  potrebbe 
concepire  un  invito  ad  un'impresa  tanto  audace  e  folle  in  quella  stessa  che  si 
spedisce  il  Trionfo  della  fede,  nel  quale  son  condannate  tutte  le  scissure  e  tutte 
le  eresie,  e  si  dicono  tante  bellissime  verità  del  Pontefice  e  della  potestà  di 
esso  nella  Chiesa? 

Notiamo  bene  la  esamina  or  ora  trascritta  di  Giovanni  Cambi  e  vedremo 
che  tutto  quel  che  si  dice  di  più  grave  al  riguardo  è  questo  solo:  «  che  non  era 
dubbio  che  la  Chiesa  stava  male  come  Sua  Maestà  può  ben  sapere;  e  che,  Sua 
Maestà  s'apparterebbe  rimediare,  come  si  faceva  pei  tempi  passati,  per  mezzo 
de'Concilii».  E  cose  non  meno  chiare  nè  diverse  troviamo  nelle  lettere  di  Simone  del 
Nero  e  di  Domenico  Mazzinghi.  Il  primo  di  questi,  ritenendo  come  tutti  gli  altri 
per  evidente  il  bisogno  che  la  Chiesa  si  rinnovi,  e  credendo  certo  che  la  si  rinno- 
verà, scrive  a  Niccolò  del  Nero,  acciocché  ne  parli  alla  Maestà  del  Re  e  della 
Regina  di  Spagna,  perchè  a  loro  toccherebbe  principalmente  a  provvedere  con  i  de- 
bitiConcilii.  che  già  erano  usati  farsi.  Il  secondo  dice  pur  egli  cose  gravissime 
del  vituperio  a  cui  è  ridotta  la  Chiesa  di  Dio,  e  de'  scellerati  prelati  e  preti 
segnatamente  di  Roma,  in  mano  de'  quali  è  il  preziosissimo  sangue  di  Cristo  : 
vede  quindi  anch'  egli  la  necessità  che  la  Chiesa  si  rinnovi,  e  si  duole  quindi 
perchè  «  pare  che  nessuno  si  mova  a  provvedervi  con  fare  i  debiti  Concila, 
comegiàsi  soleva,  e  specialmente  chi  vi  potria  provvedere....  ».  E  fra  gli  altri  vi 
dovrebber  provvedere,  secondo  questa  lettera,  il  Cristianissimo  re  e  la  regina  di 
Spagna.  Ma  le  lettere  ai  principi  vorrebbero  troppo  più,  e  quindi  io  non  mi 
saprò  persuadere  ch'esse  rappresentino  un  concetto  savonaroliano. 

Del  resto  nel  medesimo  processo  de'Commissarj  apostolici  (a'  quali  certo 
conveniva  sopra  ogni  altro  il  provare  e  mettere  a  nudo  un  tal  fatto,  ove  fosse 

falsificato  del  medesimo  Frate.  Per  me  questo  è  un  vero  indizio  che  anche  nel  processo  dove 
si  legge,  la  frase  è  interpolata:  altrimenti  come  si  sarebbe  potuto  lasciare  in  quello  falsifi- 
cato, dove  s'inventano  ed  aggravano  le  pecche  a  carico  del  Savonarola?  Anche  agli  esami- 
natori questa  calunnia  dovette  parer  adunque  soverchia,  se,  inventatala  o  trovatala  inven- 
tata, non  la  mantennero.  V.  Villari,  II,  Doc.  XXVII. 


—  555  — 


stato  vero,  perchè  cosi  non  avrebbero  altrimenti  avuto  bisogno  d' inventar 
calunnie  per  dare  la  sentenza  di  condanna),  possiamo  raccogliere  che  le  lettere 
che  vanno  sotto  il  nome  del  Savonarola,  non  son  del  Savonarola.  Infatti  ivi  il 
Frate  «  domandato  circa  lo  avere  detto  che  il  Papa  non  era  cristiano,  nè 
battezzato,  nè  vero  Papa,  rispose:  non  lo  avere  mai  detto;  ma  che  bene  era 
una  lettera  nella  sua  cella  che  lo  diceva,  e  che  lui  1'  aveva  composta,  la  quale 
però  dice  non  pubblicò  mai,  e  che  1'  aveva  abruciata  ».  E  in  una  nota  di  un 
codice  della  Magliabechiana  ed  in  quello  di  Milano  v'  è  in  margine  al  pro- 
cesso medesimo  la  seguente  postilla:  «  La  detta  lettera  fu  quella  che  aveva 
disegnato  scrivere  a'  Re,  di  che  si  fa  menzione  nella  parte  del  Concilio  ».  (*) 
Resta  adunque  messo  fuori  di  dubbio  che,  se  mai  Fra  Girolamo  aveva  scritto 
lettere  nelle  quali  si  leggevan  le  espressioni  che  si  leggono  in  quelle  a'  prin- 
cipi, le  ha  poi  bruciate;  ed  è  anche  più  indubitato  che  al  processo  non  fu- 
rono acquisite  mai;  che  in  esso  le  lettere  apocrife  e  corrotte  non  poterono  in 
nessun  modo  esser  ritenute  per  opera  del  Frate  e  genuine.  Or  come,  dopo 
ciò,  noi  le  leggiamo  a  stampa?  Che  mi  fa  se  esse  siano  in  codici  antichi,  e  ne 
parlino  antichi  biografi?  Forse  che  si  pretende  che  la  loro  invenzione  sia 
di  ieri? 

Chi  ha  sostenuto  con  maggior  forza  e  copia  di  argomenti  1'  autenticità  di 
questi  scritti,  fra  i  moderni  è  il  nostro  venerato  Padre  V.  Marchese  :  egli  nella 
Prefazione  alle  lettere  inedite  del  Savonarola  (Scritti  Vari,  pag.  336  e  seg.)  ha 
raccolto  tutti  gli  argomenti  che  il  suo  diligente  ingegno  seppe  trovare;  ma 
non  essendo  buona  la  causa,  il  vigore  del  suo  scrivere  non  riesce  perciò,  contro 


(')  Non  credo  che  ad  alcuno  de'  lettori  verrà  in  mente  di  trarre  da  questo  passo  del 
processo  una  prova  in  favore  dell'opinione  che  le  lettere  furono  scritte  davvero,  sebbene 
poi  non  ispedite  e  forse  distrutte.  Da' processi  falsificati  si  possono  trarre  le  prove  a  favore 
dell'innocenza  de' rei,  non  mai  a  carico;  specialmente  quando,  come  nel  caso  presente,  ab- 
biamo troppi  indizj,  e  lumi  per  iscorgere  la  falsificazione  e  la  calunnia.  In  verità  se  fosse 
stato  possibile  sostenere  e  dimostrare  almeno  probabile  la  calunnia,  i  Commissari  aposto- 
lici e  la  Signoria  non  avrebbero  lasciato  di  farlo  davvero.  Queste  lettere  per  contrario,  am- 
messo che  ne  fosse  provata  l'esistenza  durante  il  processo,  sarebbero  state  una  causa  la  quale 
poi  non  avrebbe  prodotto  l'effetto  che  avrebbe  dovuto  produrre.  Ma  era  poi  davvero  questa 
ietterà  quella  destinata  ai  principi?  Lasciamo  per  ora  insoluta  la  questione,  osservando  solo 
che  ne*  medesimi  processi  Fra  Girolamo  parlando  appunto  del  Concilio  e  delle  lettere  6 
de' principi  dice  quanto  segue:  «Io  mi  era  deliberato  scrivere  a  ciascheduno  di  loro  (i  noti 
principi),  per  tale  effetto  del  concilio  e  già  l'avevo  cominciato  abozzare  e  le  bozze  debbono 
essere  nel  mìo  scannello....:  Si  sarebbe  troppo  arditi  se  si  volesse  dal  raffronto  dei  due  passi 
trarre  la  conclusione  che  adunque  ne' famosi  abbozzi  non  si  diceva  che  Alessandro  VI  non 
era  cristiano,  nè  battezzato,  nè  vero  Papa?  Queste  lettere  qui  son  davvero  le  destinate  ai 
principi  e  il  Savonarola  non  dice  d'  averle  bruciate  ;  ma  ben  dice  d'aver  bruciata  la  lettera 
che  tali  cose  diceva:  qual  forza  logica  mi  potrebbe  adunque  in  ogni  cosa  impedire  dal  con- 
cludere come  ho  detto?  Lasciamo  scegliere  agli  avversari  il  passo  che  vogliono;  lasciamo  che 
li  tengano  entrambi,  che  accettino  o  respingano  la  nota  marginale,  e  bisognerà  pur  sempre 
che  ci  dian  per  buona  1'  opinione  da  noi  seguita  nel  testo. 

Rinuncio  poi  e  qui  e  nel  testo  ad  un  argomento  che  per  me  fu  sempre  ed  è  ora  più 
che  mai  buono  a  mostrar  apocrife  o  almeno  molto  corrotte  e  interpolate  lo  lettere  famose: 
lo  stile.  L'esame  dello  stile  degli  abbozzi  che  abbiamo  ci  condurrebbe  a  conclusione  che 
ha  del  sicuro  per  la  nostra  tesi.  Ma  quante  pagine  dovremmo  scrivere  per  mostrare  altrui 
la  forza  di  questa  prova? 


—  556  — 


il  solito,  a  far  persuaso  1'  attento  lettore.  A  mostrare  che  noi  diciamo  il  vero 
basterà  che  pigliamo  in  esame  una  prova,  quella  eh'  egli  giudicò  essere  vera- 
mente decisiva  e  trionfante  di  ogni  obiezione;  l'autorità  del  Nardi.  (*)  Ecco 
come  si  esprime  a  questo  riguardo  il  nostro  maestro.  «  L'  autorità  che,  a  mio 
avviso,  trionfa  di  tutte  le  obbiezioni....  si  è  quella  di  Jacopo  Nardi  non  avver- 
tita da  alcuno.  Di  cosi  fatta  audacia  (di  non  osservare  la  censura)  si  generò  in 
Roma  grandissimo  stupore:  di  modo  che  M.  Domenico  Bonsi  (ancorché  fusse 
delli  primi  suoi  devoti),  il  quale  risedeva  nostro  oratore  appresso  del  Pontefice, 
e  aveva  avuto  commissione  di  fare  ogni  opera  di  placare  il  Papa,  e  di  già  aveva 
risposto  alla  Signoria  che  di  ciò  non  mancava  di  qualche  buona  speranza,  ora 
di  nuovo  colle  sue  spesse  e  calde  lettere  spaventava  la  Signoria,  dicendo  che 
il  Papa  desiderava  e  aveva  deliberato  di  levarsi  ad  ogni  modo  così  fatto  sti- 
molo, che  instigava  contìnuamente  i  principi  di  chiamarlo  al  concilio  ». 

Questa  è  adunque  la  prova  più  convincente  che  il  nostro  maestro  abbia 
saputo  trovare,  perchè  si  abbiano  a  ritener  autentiche  le  famose  lettere;  le 
altre  non  avrebbero  trionfato  appieno  delle  obiezioni  degli  avversarj,  e  per 
questa  autorità,  non  avvertita  da  alcuni,  egli  si  mosse  a  pronunciare  il  giudizio 
che  pronunciò  e  che  poi  trasse  a  sè  molti  che  si  occuparono  della  questione. 
Ma  in  verità  che  cosa  prova  Jacopo  Nardi?  Nuli' altro  che  questo:  che  il 
Savonarola  era  accusato  e  ritenuto  come  instigatore  de'  principi  cristiani  di 
chiamare  Alessandro  VI  al  Concilio.  Tutto  questo  vuole  il  Nardi,  e  nient'  al- 
tro. Ora  di  ciò  chi  ha  mai  dubitato?  Il  compito  del  Marchese  dovrebbe  comin- 
ciar proprio  lì  dove  gli  parve  d'averlo  compiuto:  dovrebbe  cioè  dimostrare  che 
davvero  Fra  Girolamo  instigava  continuamente  i  principi  cristiani  di  chiamare 
al  Concilio  il  Papa  :  questo  è  che  si  deve  provare:  chè  il  Nardi  in  questo  passo 
è  ben  lungi  di  darci  la  cosa  come  vera,  di  riferirla  assertivamente,  coni'  è  ben 
lungi  dal  dirci  che  la  riferisse  assertivamente  il  Bonsi.  Quali  altre  accuse  con- 
tro il  nostro  Frate  non  trasmise  da  Roma  a  Firenze  ne'  suoi  dispacci  ai  Signori 
questo  valente  oratore?  Ma  chi  perciò,  sol  per  questo,  ha  il  diritto  di  ritenerle 
per  vere?  In  verità,  con  tutta  la  riverenza  che  devo  e  porto  all'egregio  ed 
elegante  scrittore,  qui  non  so  scorgere  eh'  egli  argomentasse  giusto. 

Ma  trasmise  poi  veramente  il  Bonsi  l'accusa  che  si  legge  nel  Nardi?  Noi 
e  per  opera  del  Marchese  stesso  e  per  opera  del  Gherardi,  abbiamo  ora  alle 
stampe  le  lettere  di  quest'  Oratore,  ma  non  ci  ricordiamo  d'  avervi  letto  tale 
accusa;  il  che  mi  fa  davvero  sospettare  che  al  Pontefice  non  siasi  mai  potuta 
riferire  come  ragionevole  e  credibile:  nel  caso  contrario  questi  davvero 
avrebbe  dovuto,  almeno  negli  sfoghi  suoi  coli'  oratore  di  Firenze,  farne  un 
qualche  motto. 

Ma  senza  che  ci  dilunghiamo  in  ragionamenti,  a  me  pare  evidente,  per 
quello  stesso  che  leggo  nel  Nardi  nella  pagina  citata  dal  Marchese,  che  qui 
non  è  punto  discorso  delle  famose  lettere.  A  che  periodo  si  riferisce  tuttociò 


(')  Lib.  II,  pag.  122;  dell'  edizione  ohe  citiRmo  noi,  (Firenze,  1842)  y>ag.  137. 


—  557  - 


che  ivi  è  scritto  dal  Nardi?  Della  quaresima  del  1498;  e  a  questa  quaresima 
si  riferiscono  tutti  gli  avvenimenti  che  ivi  son  narrati,  compresa  la  minaccia 
di  rappresaglia  di  tutte  le  mercanzie  e  robe  de'  Fiorentini  non  pure  in  Roma, 
sì  bene  anche  in  ogni  luogo  per  tutta  la  cristianità,  e  il  Breve  comminatorio 
che  fu  poi  cagione  che  il  Fiate  passasse  da  Santa  Maria  del  Fiore  a  predi- 
care in  San  Marco.  E  al  medesimo  tempo  si  riferiscono  del  pari  le  lettere  del 
Bonsi  alle  quali  ivi  ancora  accenna  il  Nardi  stesso.  Ma  chi  non  sa  che,  se  mai, 
gli  abbozzi  ai  principi  sarebbero  posteriori,  nè  pensati  prima  che  il  Frate 
fosse  costretto  a  tacere  definitivamente?  (')  Come  adunque  poteva  allora  la- 
gnarsene il  Papa  e  parlarne  il  Nardi? 

Nè  questo  è  tutto.  Nelle  lettere  ai  principi  è  detto  chiaramente  che  Ales- 
sandro vi  è  eletto  per  simonia,  che  non  è  vero  Papa,  che  non  è  tampoco  cri- 
stiano. Se  adunque  il  Nardi  avesse  inteso  di  parlare  di  queste  lettere  e  di  dar- 
cele per  autentiche,  avrebbe  certo  osservato  anche  questa  cosa;  ma  per 
contrario  egli  afferma  solo  che  simili  accuse  gravavano,  sì,  sopra  il  Frate,  ma 
perchè  così  si  volevano  intender  le  sue  parole,  non  già  perch'  egli  veramente 
così  dicesse.  Lasciatemi  trascrivere  l'intiero  passo,  che  segue  proprio  a  quello 
trascritto  dal  Marchese:  «  E  per  questo  massimamente  si  sdegnava  il  Papa 
e  lutti  i  Cardinali  e  la  Corte,  perchè  il  Frate  usava  di  dire  che  non  aveva  al- 
cun rispetto  umano,  ma  che  solamente  era  tenuto  e  voleva  a  Dio  solo  ubbi- 
dire, quasi  dicendo  che  quel  Papa  non  fosse  vero  e  legittimo  Papa,  che  così  si 
interpretavano  le  sue  parole....  ».  Iti  verità,  se  il  Nardi  avesse  inteso  di  parlare 
delle  lettere  ai  principi  il  quasi  bisognerebbe  cancellarlo,  e  non  vi  sarebbe 
proprio  nessunissima  ragione  di  dire  che  così  si  interpretavano  le  sue  parole  ; 
ma  era  necessario  dire  che  cosi  proprio  le  sue  parole  suonavano  e  anche 
peggio. 

A  noi  parve  sempre  che  questo  passo  del  Nardi  si  riferisca  ad  alcuni  detti 
che  il  Frate  avrebbe  pronunciato  prima  di  risalire  il  pergamo  1'  arino  1496  e 
ripetuti  poi  dopo,  i  quali  diedero  luogo,  come  vedemmo  or  ora,  alla  cattiva  in- 
terpretazione di  cui  qui  si  parla  e  quindi  alle  famose  lettere.  Al  più  potrò 
concedere  al  Padre  Marchese  eh'  era  voce  che  Fra  Girolamo  bramasse  (e  lo 
bramavano  tutti  i  buoni)  che  si  potesse  fare  un  Concilio  e  che  perciò  solle- 
citavano i  principi  cristiani  ;  tutto  quello  che  potremmo  dare  si  è  quanto  si 
legge  un  poco  più  innanzi  nel  Nardi  stesso,  pag.  154,  che  cioè  il  Pontefice  era  in 
continuo  sospetto  che,  mediante  1'  opera  e  suggestione  di  quest'  uomo,  si  ec- 
citasse contro  di  sè  il  Concilio  de'  principi  cristiani.  Ma  questo  vorrebbe  dir 
proprio  che  Fra  Girolamo  scrivesse  ie  famose  lettere?  Non  avrebbe  il  sospetto 
del  Pontefice,  se  mai  vero,  la  sua  ragione  sufficiente  nelle  accuse  che  si  muo- 
vevano al  Frale?  Or  se  l'Achille  del  Padre  Marchese  appare  cosi  debole  da 
cedere  al  primo  tocco  e  rovinare  a  qualsiasi  urto,  che  sarà  della  turba  degli 


(')  Vedi  il  Villari.  II,  pag.  128  e  seguenti,  ed  i  procossi  e  le  esamine  di  coloro  che  avrei) 
bero  scritto  le  lettere  die  dovevano  precedere  queste  ui  principi. 


-  558  — 


altri  argomenti?  Lo  ripeto  ;  non  ne  conosco  alcuno  che  mi  paia  concludere 
e  che  meriti  di  essere  seriamente  discusso.  (*) 

Ma  io  credo  di  avere  una  ragione  invincibile  che  Fra  Girolamo  non  iscrisse 
nè  forse  pensò  mai  tali  lettere  nè  alla  celebrazione  di  un  Concilio  antipapale. 
Questo  non  entra  affatto  nel  sistema  del  Savonarola,  anzi  è  il  suo  contrario. 
Una  riforma  della  Chiesa  non  fatta  dai  prelati  della  Chiesa,  non  fatta  dalla 
Chiesa,  Fra  Girolamo  non  riusciva  a  concepirla.  Leggete  la  predica  VII,  1*  Vili, 
e  la  XXIV  sopra  Ruth  e  Michea,  e  non  avrete  bisogno  di  altra  prova  a  tener 
salda  la  nostra  tesi.  «  La  Chiesa  si  rinnoverà  »  dice  il  buon  Frate,  «  rinnove- 
rassi  e  diventerà  giovane,  come  diventa  1'  aquila....  Scrivesi  di  lei  che  quando 
ella  è  invecchiata,  gli  cresce  tanto  il  becco  di  sopra  che  racchiude  quello  di 
sotto  e  non  può  mangiare,  in  modo  che  si  morrebbe  di  fame.  Ma  lei  va  a  tro- 
vare una  pietra  e  tanto  vi  dà  sopra  del  becco,  che  ella  lo  rompe  e  comincia  a 
mangiare  e  rinnovasi,  e  cascangli  le  penne  vecchie  e  ne  mette  delle  nuove,  e 
torna  suso  un'  altra  volta  in  alto  ed  è  rinnovata  ». 

Accennato  quindi  l'ottimo  Frate  come  la  Chiesa  primitiva  era  come  aquila 
giovane,  ed  enumerate  le  belle  qualità  di  quella,  segue  lamentando  che  l'aquila 
sia  invecchiata,  e  poi  grida:  «  Che  s'ha  adunque  da  fare?  Va  alla  pietra,  va  a 
Cristo,  che  è  la  pietra,  percuoti  il  becco,  piangi  i  tuoi  peccati,  da' sopra  a  questa 
pietra,  seguita  la  vita  sua,  va  per  la  via  di  Cristo,  ripiglia  nuove  penne,  cioè  buone 
opere.  E  a  questo  modo  sarà  rinnovata  la  Chiesa  ».  Or  qui  chi  potrebbe  capire 
un  Savonarola  che  predica  una  riforma  della  Chiesa  facendo  in  essa  una  rivolu- 
zione? Forse  che  l'aquila  è  rinnovata  da  altri?  è  rinnovata  da  forze  estrinse- 
che? o  non  si  rinnova  piuttosto  da  sè  e  per  virtù  propria?  0  la  bella  immagi- 
nazione adunque  è  intieramente  fuori  di  proposito,  o  bisogna  ammettere  ancora 
che,  secondo  Fra  Girolamo,  chi  doveva  rinnovare  la  Chiesa  era  la  Chiesa  stessa, 
e  non  facendovi  una  rivoluzione. 

Ma  nel  Savonarola  vi  ha  di  più:  la  Chiesa  era  guasta,  ed  egli  la  vedeva 
guasta  tanto  da  bisognare  o  che  si  rinnovasse,  o  venisse  meno  affatto.  Non  po- 
tendo avvenire  che  la  Chiesa  mancasse  del  tutto,  aveva  egli  adunque  una  fede 
vivissima  che  Dio  la  rinnoverebbe  e  presto.  «Dio  vuole  rinnovare  la  sua  Chie- 
sa; ma  che  bisogna  fare?  Bisogna  abbondanza  di  Spirito  Santo.  Oh!  Signore,  se 
tu  vuoi  rinnovare,  bisogna  grande  abbondanza  di  Spirito  Santo  ».  Questo  prin- 
cipio pone  il  Savonarola;  e  poi  ne  ferma  un  altro:  che  Dio  nel  mondo  opera 
per  le  cause  seconde  ordinatamente,  e  anche  nella  sua  Chiesa  segue  quest'or- 
dine medesimo  ;  e  però  in  questa  Dio  ha  voluto  e  vuole  che  1'  un  uomo  a  cui 
egli  dà  lo  spirito  illumini  gli  altri  e  sia  causa  della  salute  loro.  Dio  potrebbe 
certo  fare  altrimenti,  ma  non  è  uso  dipartirsi  da  questa  regola.  Ora  1'  abbon- 
danza dello  Spirito  Santo,  la  grazia  di  Dio  necessaria  a  rinnovare  la  Chiesa 
passa  per  Cristo,  per  la  Vergine,  per  gli  angeli,  quindi  ne'  prelati,  e  finalmente 
nel  popolo.  I  prelati  per  il  Savonarola  sono  nella  Chiesa  come  i  pianeti  nel 


(')  Vedi  1»  bella  nota  che  il  P.  Ferretti  fece  alla  pag.  "iS  della  più  volte  citata  Operetta 

<lel  Procter. 


—  559  - 


mondo:  «  Ai  prelati  tocca  ad  esser  buoni  e  rinnovare  poi  gli  altri,  perchè  mediante 
loro,  che  sono  seconde  cause,  discende  la  grazia  di  Cristo  e  lo  Spirito  Santo  in  la 
tua  Chiesa  ».  E  se  i  prelati,  e  massime  i  superiori,  sono  universalmente  cattivi? 
Allora  1'  abbondanza  dello  Spirito  Santo  Dio  non  è  solito  di  concederla,  e  però 
essi  non  possono  fare  buono  il  Popolo,  e  la  Chiesa  non  può  rinnovarsi.  E  che 
suole  avvenire,  se  i  prelati  e  massime  i  superiori  non  vogliono  convertirsi  ?  Dio 
suole  mandare  il  flagello.  Questo  farà  buoni  i  superiori:  acconciati  i  quali,  si 
starà  bene  anche  disotto. 

La  conclusione  di  tutto  ciò  quale  era?  Che  la  Chiesa  non  poteva  per  al- 
lora, e  così  subito,  riformarsi:  «  La  Chiesa,  in  questo  tempo  d'ora,  non  si  può 
rinnovare,  perchè  bisogna  prima  l'abbondanza  dello  Spirito,  la  quale  non  può 
venir  ora,  perchè  non  è  il  tempo  adesso.  Dio  non  è  consueto  mandare  lo  Spi- 
rito Santo,  massime  quando  è  guasta  la  potestà  spirituale  ». 

Or  ditemi,  con  questi  principj  a  che  gioverebbe  pel  Savonarola  il  Concilio 
che  i  suoi  nemici  gli  attribuirono  di  volere?  Letteralmente,  a  nulla.  E  quindi,  no, 
io  senza  prove,  e  molto  forti,  non  so  tener  per  autentiche  le  famose  lettere,  e  non 
so  credere  tampoco  che  Fra  Girolamo  facesse  davvero  opera  perchè  il  Concilio 
s' adunasse  in  alcun  modo.  Guardate  a  questa  luce  capisco  molto  bene,  o 
panni,  le  calde  parole  che  si  leggono  nella  XIII  sopra  l' Esodo  recitate  appunto 
nei  giorni  in  cui  sarebbero  state ■  scritte  le  famose  lettere:^)  «  Congrega- 
vansi  adunque  li  vecchi  delti  figliuoli  di  Israel.  Che  diremo  sopra  questo  punto? 
Questo  è  un  bel  punto,  ma  io  il  voglio  riserbare  ancora  un  pezzo  e  metterollo 
qua  nella  scarsella,  non  è  ancora  tempo.  Solo  dirò  questo:  dimmi,  Firenze,  che 
vuol  dire  Concilio  ?  Non  è  più  memoria  delli  uomini  che  cosa  sia  Concilio. 
Che  vuol  dire  che  li  vostri  figliuoli  non  ne  sanno  nulla?  Che  vuol  dire  che  non 
se  ne  sa  oggi  ?  0  Padre,  e'  non  si  può  congregare.  Tu  di'  forse  il  vero,  che  non 
si  può  congregare,  ma  io  non  so  se  tu  lo  intendi  come  me.  Concilio  vuol  dire 
congregare  la  Chiesa;  cioè  tutti  li  buoni  abbati,  prelati  e  valenti  uomini  e  se- 
colari buoni  della  Chiesa.  Ma  nota  che  non  si  domanda  Chiesa  propriamente, 
se  non  dove  è  la  grazia  dello  Spirito  Santo;  quella  è  la  forma  della  Chiesa,  e 
dove  non  è  la  forma  della  Chiesa,  non  si  dice  esservi  Chiesa.  L'occhio  cieco  non 
è  occhio,  dicono  i  filosofi,  se  non  equivoce;  l'orecchio  sordo  non  è  orecchio,  se 
non  equivoce;  non  bisogna  adesso  dichiarare  questi  termini,  basta  che  vuol  dire 
in  effetto  che  non  vi  è  la  forma  dell'  occhio  nè  dell'  orecchio.  E  però  dove  si 
troverà  questa  forma  della  Chiesa?  Forse  non  si  troveria  la  grazia  dello  Spirito 
Santo,  se  non  in  qualche  buono  omicciuolo.  Vuoi  tu  veder  se  ci  è  la  forma?  Da 
ogni  forma  seguita  la  sua  inclinazione  ;  dalla  forma  della  gravità  seguita  la  in- 
clinazione di  andare  al  centro,  dalla  forma  della  levità  seguita  l' inclinazione 
dell'  andare  in  sù.  Quando  ci  era  la  forma  della  Chiesa,  ci  era  la  inclinazione 
di  andare  tutti  ad  una  unione,  ed  erano  li  cristiani  tutti  di  un  cuore  e  di  un'ani- 
ma, e  allora  si  può  dire  che  fussino  congregati  li  vecchi  d' Israel. 


(')  Raccomando  al  lettore  tutta  questa  predica,  essendo  per  l'argomento  presente  molto 
importante.  Essa  l'u  male  intesa  da  parecchi. 


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«  Ora  non  ci  è  più  inclinazione,  rna  vedesi  che  ogni  cosa  è  dissipata: 
deve  adunque  essere  mancata  la  forma,  perchè,  se  la  forma  ci  fosse,  gli 
seguiteria  anche  la  inclinazione,  e  per  questa  cagione  forse  potresti  dire 
che  non  si  possono  congregare  i  vecchi  figliuoli  d1  Israele,  che  non  si  può 
fare  concilio.  Parimente,  nel  concilio  si  ha  da  fare  reformatori,  che  reformino 
le  cose  guaste:  chi  saranno  questi  reformatori'?  Perchè  chi  reforma  deve  esser 
prima  reformato  lui,  e  però  bisognarla  adunque  mettere  la  guardia  alla  guar- 
dia. Parimente  nel  concilio  si  castiga  i  cattivi  chierici,  si  depone  il  Vescovo  che 
è  stato  simoniaco  o  scismatico.  Oh!  quanti  ne  saria  deposti!  E  non  ce  ne  rimar- 
ria  forse  nessuno.  Parimente,  si  fa  che  nelli  concilii  1  buoni  sieno  favoriti  e  i 
cattivi  castigati,  ma  chi  ha  a  gastigare  li  cattivi  bisogna  che  manchi  d'  ogni 
vizio,  e  chi  gastiga  non  meriti  esser  castigato;  non  si  potrà  adunque  fare 
questo  concilio,  non  si  possono  congregare  questi  vecchi  d' Israele.  Che  si  ha 
adunque  a  fare?  Fate  orazioni  che  Moisè  ed  Aaron  si  possano  congregare 
insieme  e  andare  a  congregare  li  vecchi  dei  figliuoli  d' Israele  e  favorire  li 
buoni  ed  aiutare  chi  vuol  fare  bene  ».  (Sopra  l'  Esodo,  pred.  XIII,  fatta  il  ve- 
nerdì dopo  la  prima  domenica  di  quaresima  il  9  marzo  1498.) 

E  infatti  che  possono  fare  altro  i  buoni  cristiani,  quando  i  prelati  sono 
universalmente  guasti,  e  non  scende  per  mezzo  loro  lo  Spirito  Santo,  l' ab- 
bondanza dello  Spinto  Santo  nel  popolo?  Volgersi  a  Cristo,  chè  questo  è 
l'estremo  rimedio,  volgersi  a  Dio,  e  pregare  per  la  riforma  della  Chiesa,  pregare 
Dio  perchè  faccia  buoni  i  prelati,  segnatamente  i  superiori,  faccia  buoni,  an- 
che col  flagello,  se  questo  è  necessario,  Mose  ed  Aronne,  per  modo  che  si  pos- 
sano congregare;  congregare  i  capi,  il  Papa  ed  i  Prelati,  e  congregare  i  figliuoli 
d'  Israele  e  favorirvi  i  buoni  ed  aiutare  chi  vuol  far  bene,  riformare  la  Cniesa. 

E  questi  ultimi  son  pur  pensieri  del  Savonarola,  e  mi  fa  meraviglia  che  non 
v'abbia  badato  il  Procter  ;  e  credo  non  gli  sarà  discaro  vedere  che  proprio  Fra 
Girolamo,  anche  in  questa  gravissima  faccenda,  pensò  e  fece,  come  egli  dice 
che  si  deve  pensare  e  fare,  come  dice  che  si  deve  pensare  e  fare  anche  il  Pa- 
stor:  come  dicevano  e  pensavano  tutti  i  buoni  e  retti  cattolici  che  vissero  prima 
del  Concilio  di  Trento.  Basta  a  provar  ciò  l' ultimo  sermone  eh' egli  recitò 
al  popolo  dal  pulpito  la  quaresima  del  1 49S :  questo  sermone  è  uno  de'più 
gravi  che  siano  usciti  dalla  bocca  di  Fra  Girolamo  :  il  predicatore  deve  pi- 
gliare licenza  dal  popolo,  perchè  Roma  e  Firenze  gì'  impongono  di  tacere,  nè 
potrebbe  ornai  parlare  più  senza  un  qualche  pericolo  di  scandalo;  piuttosto 
che  tacere,  vedendo  necessaria  la  predica  alla  salute  della  città,  si  sarebbe  egli 
lasciato  uccidere:  ma  a  ciò  bisognava  che  Firenze  lo  appoggiasse,  cioè:  che  il 
popolo  e  la  Signoria,  che  rappresentava  il  popolo,  stimassero  necessario  il  suo 
predicare;  bisognava  fosse  notorio  ch'egli  non  infrangeva  gli  ordini  pontificj, 
perchè  questi  eran  nulli:  l'invito  di  tacere  venutogli  da  Firenze  dopo  i  ripetuti 
Brevi  da  Roma,  poteva  fargli  pensare  che  oramai  le  cose  cambiavano,  rispetto 
alla  città  nella  quale  egli  si  trovava:  crescevano  di  giorno  in  giorno  in  quella  gli 
amici  del  Moro,  i  quali  volevano  ad  ogni  modo  uno  scandalo  per  farvi  muta- 
zioni e  novità.  Il  Frate  si  consigliò  e   gli  parve  il  meglio  tacere:   e  taceva, 


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senza  speranza  forse  di  poter  risalire  il  pulpito  mai;  senza  speranza  di  poter 
condurre  in  porlo  la  sbattuta  navicella  di  Pietro.  Che  aveva  fatto  egli  fin  qui? 
Aveva  tentato  ogni  mezzo,  perchè  si  racconciasse  la  vigna  di  Cristo,  ogni 
mezzo  per  far  persuaso  Alessandro  VI  ch'egli  era  un  buon  figliolo  della  Chiesa, 
umilmente  soggetto  alla  potestà  delle  somme  chiavi,  che  quegli  teneva  nelle 
mani.  E  ora?  Egli  non  ha  vinta  la  battaglia,  non  ha  riportata  la  vittoria  defi- 
nitiva: i  figli  delle  tenebre  trionfano  sopra  i  figli  della  luce:  egli  ha  perduta 
ogni  speranza  che  Alessandro  VI  voglia  provvedere  agli  urgenti  bisogni  della 
Chiesa....!!  E  che  fa  egli?  che  dice  ai  seguaci  suoi  di  fare?  Voi  l'accusate  di 
tentare  una  rivoluzione:  io  dico  che  si  volge  a  Cristo  e  prega.  Scorriamo  la 
predica  citata,  la  XXII  sopra  l'Esodo,  e  vedremo  chi  ha  ragione:  Ecco,  si  co- 
mincia col  fare  un  lungo  ragionamento  scolastico  intorno  alle  varie  cause  del- 
l'universo  e  all'armonìa  che  legale  insieme:  leggetelo  e  procurate  di  fermare 
il  punto,  e  poi,  nell'aridezza  dei  sillogismi  e  de' termini  scolatici,  vi  troverete  una 
forza  straordinaria,  che  molto  calza  al  nostro  proposito.  Qual  è  questo  punto? 
Eccolo:  «  Quando  manca  la  causa  particolare  bisogna  ricorrere  alla  universale. 
E  quando  mancasse  la  particolare  e  la  universale,  come  s'ha  da  fare  allora? 
Hassi  a  ricorrere  a  Dio  causa  universalissima.  Onde,  quando  fu  serrato  il  cielo 
al  tempo  di  Elia  tre  anni  e  sette  mesi,  mancava  la  causa  particolare  e  la  uni- 
versale; e  però  Elia  disse  al  Re  Acab,  che  bisognava  ricorrere  a  Dio  causa 
universalissima,  e  fare  orazione.  Hanno  adunque  gli  uomini  questo  istinto,  che, 
quando  mancano  tutti  i  rimedj  e  le  cause  particolari  e  le  universali,  ricorrono 
a  Dio  causa  universalissima....  ». 

Fermata  questa  verità  parlando  dell'  ordine  naturale,  Fra  Girolamo  passa 
a  discorrere  delle  opere  soprannaturali  di  Cristo  e  parla  in  modo  assai  compiuto 
della  gerarchia  ecclesiastica,  cominciando  dal  parroco  e  andando  fino  al  Papa: 
e  insegna,  come  già  abbiamo  visto  nei  capitoli  XXIII  e  XXIV,  che  gradatamente 
si  ha  da  ricorrere  a  tutte  queste  cause,  su  su  fino  all'  ultima,  quando  v'  è  da 
provvedere  a  qualche  disordine  nella  Chiesa.  E  se  le  cause  particolari,  e  la 
stessa  causa  universale,  che  è  il  Papa,  non  vi  provvedono?  «  Se  tu  vedessi  che 
i  prelati  e  le  cause  universali  della  Chiesa  la  guastassero  e  che  danno  animo 
ai  cattivi,  e  aiutanli,  e  favorisconli,  e  perseguitano  i  buoni,  che  si  ha  a  fare 
allora?  Hassi  a  resistere  a  questa  influenza:  hai  a  fare  orazione,  e  ricorrere  a  Cri- 
sto, questo  è  quanto  rimedio  tu  hai  Tu  hai  adunque  inteso,  che  quando  le  cause 

universali  non  provvedono,  o  che  danno  cattiva  influenza  alla  Chiesa,  eh'  egli  si 
ha  a  incorrere  a  Cristo,  e  dirgli:  Tu  se' il  mio  prelato,  il  mio  parrocchiano,  tu 
se'  mio  vescovo,  tu  se'  il  mio  Papa.  Signore  mio  Gesù  Cristo,  provvedi  alla  tua 
Chiesa,  provvedi  al  tuo  universo;  leva  via  questa  influenza  cattiva.  È  neces- 
sario adunque  che  i  cristiani  vogliano  esser  cristiani,  e  che  quando  mancano  le 
cause  universali,  si  riducano  a  Cristo,  e  facciano  orazione,  e  che  lui  provveda 
alla  sua  Chiesa,  e  al  suo  universo.  Io  1'  ho  fatto,  (*)  e  dicolo  qua  in  presenza 


(')  E  lo  fece  davvero:  e  sarà  buono  che  il  lettore  veda  l' Orazione  per  la  Chiesa,  la 
splendida  esposizione  del  Salmo:  Qui  regia  Israel;  il  Lamento  della  sposa  di  Cristo  contro  i 

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di  ognuno,  che  tu,  Signore,  hai  udita  la  orazione  e  hai  promesso  di  esaudire  e 
di  soccorrere  e  presto....  ». 

E  nella  predica  XXIV  sopra  Ruth  e  Michea,  nella  quale  discorre  a  lungo 
e  di  proposito  dei  mali  che  affliggevano  la  Chiesa  e  specialmente  della  corru- 
zione de'  prelati,  dopo  d'  avere  fatto  terribili  minacce  ai  guastatori  della  vigna 
di  Cristo,  notando  che  le  cose  eran  giunte  al  punto  che  non  si  poteva  più  vi- 
vere, perchè  chi  vuol  far  male  ha  licenza,  ma  non  chi  vuol  far  bene;  dice: 
«  Noi  combatteremo  con  tre  cose  e  terremo  1'  Onnipotente  con  esso  noi.  La 
prima  sarà  la  fede,  la  seconda  l'orazione,  la  terza  la  pazienza;  con  le  quali 
tutte  pregheremo  che  il  Signore  venga  a  purgare  la  Chiesa  sua,  e  diremo: 
Excita,  Domine,  potcntiam  tuam  et  veni,  ut  salvos  facias  nos.  Che  stai  tu  a  fare, 
o  Signore?  Mostra  la  tua  potenza.  Dice  la  Fede,  dice  V  orazione,  dice  la  pa- 
zienza de'  buoni  che  tu  venga  a  salvarli.  Dimostra,  Signore,  la  faccia  tua  un 
poco  ai  tuoi  eletti.  Ora  ecco  la  guerra,  e  come  abbiamo  a  combattere  e  am- 
mazzare con  la  orazione  e  vincere....  ». 

Oh  in  verità  anche  qui  mi  pare  che  il  Domenicano  d' Inghilterra  e  lo  sto- 
rico d' Innsbruck  possano  lietamente  stringer  la  mano  al  Frate  di  San  Marco: 
egli  pensava  e  faceva,  quando  la  Chiesa  era  nelle  mani  di  quel  vituperio  che 
fu  Alessandro  VI,  ciò  che  essi  ora  dicono  che  in  tali  casi  bassi  a  pensare  e  fare. 
In  vero  che  con  tutto  il  fuoco  che  gli  scaldava  1'  anima,  Fra  Girolamo  sapeva 
contenersi  ne'  difficili  momenti  ne'  quali  si  trovava.  Non  alteriamone  la  figura, 
e  poi  vedremo  eh'  essa  ci  appare  ognora  mirabile. 

Nè  qui  sta  il  tutto:  un  Concilio  quale  avrebbe  tentato  di  raccogliere  il  Sa- 
vonarola secondo  1'  opinione  contenuta  ne'  passi  degli  autori  da  noi  or  ora 
citati,  e  specialmente  del  Pastor,  non  è  concepibile  nel  Frate  di  San  Marco 
per  un'altra  semplicissima  ragione:  Quando  avrebbe  egli  tentato  di  farlo,  era 
impossibile  che  ottenesse  immediatamente  l' effetto  di  riformare  la  Chiesa, 
senza  mandare  a  terra  tutto  il  programma  profetico  predicato  e  sostenuto  e 
difeso  con  tanta  forza  per  otto  anni.  Persino  dalle  proposizioni  che  si  dovevano 
provare  con  1'  esperimento  del  fuoco  appar  chiaro  che  alla  riforma  doveva 
precedere  il  flagello:  La  Chiesa  di  Dio  sarà  prima  flagellata  e  dopo  i  flagelli  sarà 


tiepidi,  ed  esortazione  ai  fedeli  di  Cristo,  afflnchi  preghino  per  la  rinnovazione  ;  la  chiusa 
del  discorso  l'atto  al  clero  a' di  11  febbraio  149^,  parafrasi  inarrivabile  dell'Orazione  di  Ge- 
remia Jiecordare  Domine;  l'Esposizione  del  Salmo  Miscrere;  l'esposizione  del  ialino  In  te,  Do- 
mine, speravi.  Per  il  punto  che  ci  occupa,  questi  scritti  hanno  un'importanza  massima  e  non 
so  capire  come  siano  sfuggiti  non  solo  al  Pastor,  ma  anche  agli  altri  egregi  citati  nel  testo 
di  questo  capitolo.  Son  persuaso  che  l'animo  del  l'astor  leggendoli,  godrà  una  vera  consola- 
zione. Non  è  per  noi  senza  pena  il  non  poter  qui  trattenerci  a  parlarne  a  lungo,  e  il  doverci 
contentare  d' indicarli.  Rimedi  il  lettore  vedendoli  intieri  da  sè  stesso.  Sono  da  annoverarsi 
tra  le  migliori  cose  che  abbia  l'ascetica  cattolica.  Nel  Lamento,  la  Chiesa  dopo  di  aver  enume- 
rati i  mali  che  l'affliggevano,  finisce  con  questa  esortazione:  «  Cosi,  figliuoli  miei,  voi  che  siete 
lamia  gioia  e  la  mia  corona,  e  i  quali  nutrite  ne' vostri  cuori  la  speranza  della  telieitii,  non 
cessate  d'implorare  in  favore  di  tutti  i  fedeli  e  de'  vostri  propri  nemici  Colui  che  ama  l'animn 
mia,  supplicatolo  di  venire  quanto  prima  a  me.  Vieni,  oh!  vieni,  mio  diletto,  perché  io  lan- 
guisco d'amore,  finché  io  dorma  con  te  sul  mozzo  giorno,  e  il  mio  cuore  riposi  sul  tuo  petto, 
o  Tu.  che  vivi  e  regni  ne' secoli  do' secoli  ». 


—  563  — 


riformata  e  rinnovata:  Ecclesia  Dei  flagellabitur,  et  post  flagella  reformabitur  et 
renovabitur.  E  fra  Girolamo  non  cessò  mai  un  momento,  mentre  che  visse,  di 
dire  che  il  flagello  non  era  ancor  venuto,  che  Dio  aveva,  si,  cominciato  ad  al- 
largar la  mano,  ma  che  era  un  nulla  ciò  che  s'era  visto  e  si  vedeva,  appetto  a 
quello  che  doveva  succedere  nella  Chiesa,  neh'  Italia,  e  segnatamente  a  Roma. 
Un  solo  rimedio  vi  sarebbe  stato,  un  solo  mezzo  per  alleggerire  e  render  men 
grave  il  flagello:  penitenza:  penitenza  da  parte  de'  principi  cristiani  e  sopra 
tutto  d'Italia,  penitenza  da  parte  del  popolo,  penitenza  in  ispecie  da  parte  del 
Clero.  Ma  si  era  fatta  e  si  faceva  questa  penitenza?  Erano  i  cristiani  del  seco- 
loXVquali  furon  i  Nini  viti  dellaBibbiaPCome  adunque  si  poteva  sperar  la  riforma 
senza  il  flagello?...  Sentite  ancora  una  volta,  prima  eh'  egli  discenda  per  sempre 
dal  pulpito,  il  profeta  vaticinare  sopra  la  Chiesa  e  l' Italia....  «  Questo  dice  il  Si- 
gnore: Io  ti  farò  stupore  di  tutto  il  mondo;  e  gli  amici  tuoi  saranno  tagliati  a 
pezzi  da' nemici  tuoi,  e  da' barbieri  che  verranno  neh' Italia,  e  morrannone  una 
grande  parte  de'  tuoi  amici  nel  coltello.  Io  darò  Giuda  e  la  sua  regione  nelle 
mani  del  Re  di  Babilonia.  Questo  vuol  dire:  0  Italia,  tu  sarai  data  nelle  mani 
di  gente  fiera,  gente  barbara,  che  non  si  diletterà  se  non  di  far  male,  e  di 
amazzare  uomini  e  veder  sangue.  Questi  saranno  barbieri  crudeli  come  leoni; 
e  chi  verrà  di  qua  e  chi  di  là.  Italia,  tu  sarai  data  in  mano  di  genti  strane;  e 
ognuno  di  loro  s' ingegnerà  di  far  male,  e  il  peggio  che  potranno;  ed  a  Roma 
sarà  peggio  che  a  tutte  le  altre  città.  La  vostra  roba  e  i  vostri  tesori  e  ogni 
vostra  sostanza  sarà  data  nelle  mani  loro.  Ognuno  s'  ingegnerà  di  averne  più; 
e  beato  a  chi  più  ne  potrà  rubare!  E  combatteranno  poi  insieme  questi  bar- 
bieri. E  a  te  dice:  fa'  pur,  che  tu  andrai  in  cattività  di  Babilonia,  tu  e  gli  abita- 
tori di  casa  tua,  e  gli  amici  tuoi  che  ti  saranno  restati....  ».  (Predica  XXII  so- 
pra l'Esodo.  Cfr.  il  Pastor  a  pag.  3 i 9.) 

Di  questo  il  Frate  era  tanto  persuaso  che  già  nel  1496  asseriva  ch'egli  da 
parecchi  anni  faceva  orazione  perchè  Dio  mandasse  presto  il  flagello:  «  A  vo- 
lere rinnovare  la  Chiesa  e  che  gì'  infedeli  si  convertino,  bisogna  fare  questa 
orazione,  che  venga  la  pestilenza,  che  venga  la  spada  e  che  si  faccia  sangue, 
poiché  i  cattivi  non  si  vogliono  convertire.  —  0  Frale!  non  vorresti  tu  che  gli 
avversarj  si  convertissero?  —  Sì,  ma  e' sono  venuti  in  luogo,  che  Dio  sa  se  si 
possono  convertire....  —  0  Frate,  tu  vuoi  fare  orazione  che  Dio  faccia  il  male?  — 
E' non  si  può  fare  altrimenti.  Io  dico  che  voltiate  le  orazioni;  perchè  Dio  vuol 
farlo,  la  Vergine  lo  vuole  fare,  gli  Angeli  e  ognuno  vogliono  fare  questo  male 
contra  i  cattivi  che  non  si  vogliono  convertire.  Questa  non  è  crudeltà,  no.  Que- 
sto non  si  fa  per  volere  il  male,  ma  perchè  non  si  può  fare  altrimenti.  —  0 
Frate,  fai  tu  questa  orazione?  —  Si,  ed  è  parecchi  anni  ».  (Sopra  Ruth  e  Mi- 
chea, pred.  XXIV,  conf.  anche  la  XIV.) 

Anche  per  questo  io  non  so  per  alcun  modo  capire  come  Fra  Girolamo 
entrasse  in  questa  cosa  del  Concilio  alla  guisa  che  il  Pastor  vorrebbe  :  egli  con 
ciò  avrebbe  dato  una  prova  evidente  di  non  aver  fin  qui  predicato  la  verità  e 
di  non  esser  chiaro,  come  asseriva  di  essere;  e  di  non  esser  daccordo  con  se 
medesimo,  ma  di  disdirsi.  Tutto  è  possibile  al  mondo;  ma  io  non  so  persua- 


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dermi,  nè  devo  credere  che  nella  vita  di  un  uomo,  e  specialmente  di  un  uomo» 
della  tempra  e  della  intelligenza  di  Fra  Girolamo,  vi  siano  contradizioni,  se 
non  quando  esse  sono  rigorosamente  provate:  e  qui  non  è  davvero  il  caso.  E 
chi  mi  dà  diritto  di  pronunziare  un  giudizio  tanto  grave  che  contrasta  a  tante 
verità  chiare  incontrastabili,  poggiandomi  unicamente  sopra  alcuni  scritti  per 
lo  meno  assai  dubbj  e  non  tenuti  concordemente  autentici  e  genuini?  In  verità, 
ove  Fra  Girolamo  avesse  tentato  di  radunare  il  Concilio,  come  alcuni  vogliono, 
allora  s'  avrebbero  a  tener  giuste,  se  non  autentiche,  le  parole  eh'  egli  avrebbe 
risposto  ai  Commissarj  che  lo  interrogavano  al  proposito:  «  0  frate,  ove  sei 
tu  condotto!  E  cominciò  a  piangere  e  dolersi  e  disse:  quando  io  penso  come 
io  sono  entrato  in  questa  cosa,  non  posso  fare  non  mi  dolga,  che  vi  sono  en- 
trato non  so  come,  me  lo  pare  sognare....  ».  (')  Ma  queste  parole  già  sono  per 
me  un  vero  indizio  che  V  enormità  della  cosa  e  la  stranezza  dell'  accusa  si  mo- 
stravano evidenti  agli  stessi  giudici  del  Frate,  i  quali  non  sapevan  mantenerla 
neanche  in  grado  molto  più  tenue,  clie  non  fanno  le  lettere  ai  principi,  senza 
mostrar  in  contradizione  con  sè  stesso  il  torturato  e  farlo  pazzo. 

Ma  dunque  dovremo  assolutamente  relegare  tra  le  fandonie  il  tenta- 
tivo che  avrebbe  fatto  il  Savonarola  di  radunare  un  Concilio,  e  anche  il  pen- 
siero di  rivolgersi  per  questo  a  principi  secolari?  No;  io  non  affermo  che  cosi 
proprio  s'  abbia  a  credere,  ma  solo  che  il  Frate  non  fece  pratica,  perchè  si  ra- 
dunasse un  Concilio  senza  il  Papa  e  contro  il  Papa.  Nè  anche  dai  processi  fal- 
sificati, dove  pure  si  sa  quanto  il  Frate  fosse  torturato  perchè  svelasse  le 
fila  di  questa  faccenda,  che  pur  si  sapeva  da  altri  ordita  e  che  doveva  esser 
tanto  paurosa  ad  Alessandro  VI  e  a  molti  de' suoi,  raccoglierete  in  modo  chiaro 
che  egli  abbia  stretto  pratiche  a  ciò  con  quei  cardinali  e  principi  che  lo  vo- 
levano fare.  Tutto  quello  che  si  potrà  dare  sarà  ciò  che  risulta  dai  passi,  già 
trascritti,  delle  lettere  che  avrebbero  dovuto  precedere  quelle  del  Savonarola, 
e  dalle  deposizioni  di  coloro  che  le  avrebbero  scritte  o  trasmesse  :  tanto  vi  po- 
trei concedere,  sebbene  non  sia  del  tutto  disposto  a  concedervelo  senza  meno 
come  fatto  indubitalo,  così  come  sta  nei  processi,  parendomi  che,  nel  caso,  gli 
esaminati  avrebber  forse  potuto  allora  esser  più  sottilmente  ricerchi  dalla  in- 
quisizione sospettosa  di  Alessandro  VI  ;  ma  pure  abbiatevi  come  pensiero  del 
Frate  tutto  ciò  che  si  legge  in  tali  documenti;  che  avrebbe  fatto  in  caso  od 
acconsentito  che  si  facesse  il  Riformatore  fiorentino?  Nulla  di  veramente  im- 
prudente o  illecito;  nulla  di  quanto  gli  viene  attribuito  dal  Pastor.  Infatti  la 
sostanza  di  questi  scritti  sta  tutta  qui:  nel  sollecitare  i  principi  cristiani  non 
perchè  raccogliessero  essi  un  Concilio  contro  Alessandro  VI  e  per  deporre 
Alessandro  VI,  ed  esaltare  Fra  Girolamo,  ma  perchè  facessero  quanto  era  in 
loro  e  da  loro  perchè  si  raccogliesse  un  Concilio  proprio  e  vero,  atto  a  prov- 
vedere ai  mali  della  Chiesa;  e  non  un  conciliabolo  per  aggravare  i  mali  già 
esistenti  con  pericolo  di  generarvi  il  pessimo  di  tulli  i  mali,  l'eresia  e  lo  sci- 


(')  Villari,  II,  img.  cxuij;  cf'r.  anohe  pag.  clxxxix  e  olxx. 


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sma,  Quindi  ne' citati  documenti  è  detto  non  che  i  principi  facesser  Concilio 
semplicemente,  ma  «  i  debiti  Condili  elle  già  erano  usati  farsi;  i  debiti  Concilii, 
come  già  si  soleva  ».  (') 

Or  dove  trovate  dunque  modo  di  sostener  le  accuse  novellamente  ripetute  dal 
Pastor  ?  E  notate  che  tuttociò  il  Frate  non  faceva  perchè  avesse  speranza  che 
il  Concilio  si  radunasse  subito,  ma  solo  perchè  la  mente  de' principi  si  volesse 
disporre  a  quello  ;  ciò  è  chiaramente  espresso  a  pag.  cxciv  de'  processi  falsi- 
ficati :  dove  è  detto  ch'egli  «  allora  non  aveva  pensato  di  muovere  il  concilio, 
ma  che  altri  lo  movesse  e  lui  poi  seguitarlo  e  aiutarlo  ». 

Ecco  adunque  intero  il  disegno  e  tutta  l'opera  di  Fra  Girolamo:  La  Chiesa 
va  male,  e  va  male  specialmente  per  la  corruzione  del  clero:  va  male  perchè 
ogni  dove  è  pieno  di  simonie;  non  provvedendosi,  pare  debba  andars  in  terra 
il  fondamento  della  fede,  che  è  l'autorità  de'  buoni  capi  ;  Dio  non  può  aver 
deliberato  di  lasciar  mancare  la  sua  Chiesa;  dunque  bisognerà  riformarla  e 
rinnovarla.  Ma  Dio  prima  la  flagellerà.  Quanto  è  terribile  il  flagello  che  è 
preparato  specialmente  all'Italia  e  a  Roma!  Ma  perchè  è  sorta  questa  tem- 
pesta ?  Per  la  chierica:  per  te,  o  chierica,  è  sorta  questa  tempesta.  (*)  E  chi  la 
potrà  sedare?  Dio  solo,  per  mezzo  della  chierica.  Ma  questa  non  è  in  caso  e 
in  stato  da  potere  a  lei  ricorrere!  Dunque  deve  rifarsi  sana  prima  essa,  e  poi 
si  rifaranno  sani  gli  altri.  Se  il  clero  fosse  riformato,  e  facesse  penitenza,  e 
predicasse  penitenza,  potrebbesi  forse  rimuovere  o  almeno  mitigare  il  flagello. 
Ma  chi  potrebbe  muovere  il  chiericato  e  segnatamente  i  prelati  e  il  Pontefice  a 
volgere  i  passi  per  la  via  diritta?  a  lasciare  i  pensieri  della  terra  e  a  pigliarsi 
cura  della  sbattuta  nave  di  Pietro?  I  potenti,  i  principi  cristiani,  che  sono  l'al- 
tro muro  della  Chiesa,  che  sono  lo  scudo  della  Chiesa....  Perchè  non  lo  fanno? 
In  nome  di  Dio  invitiamoli  a  farlo.  Ecco  tutto  il  disegno  e  tutta  1'  opera  del 
Frate  di  San  Marco. 

E  aurea  a  questo  proposito  e  per  me  anche  decisiva  una  postilla  che 
leggo  negli  Scritti  Inediti  al  Capo  V  de'  Treni  di  Geremia,  chiosando  i  quali, 
il  Savonarola  tratta  appunto  della  materia  presente:  Potestatum  temporalium 
oportet  opem  implorare.  Praelati  enim  non  movenlur  nisi  respectu  talium.  Quello 
che  Fra  Girolamo  avrebbe,  se  mai,  chiesto  ai  principi  cristiani  sul  finir  della 
sua  lotta  non  è  dunque  punto  dissimile  da  quello  che  fin  da  principio  aveva 
domandato  a  Carlo  Vili  e  a  tutti  i  potenti  volonterosi,  a  tutti  i  prelati,  ad 
ogni  e  singolo  cristiano:  s'adoperasse  ognuno,  secondo  le  proprie  forze,  per 
coltivare  in  sè  e  negli  altri  la  vigna  di  Cristo:  i  principi  in  particolare  avrebber 
potuto  con  più  effetto  fare  1'  ammonizione  a'  prelati  corrotti  e  ridurli  sulla  buona 
via.  Il  Savonarola  adunque  non  verrebbe  qui  meno  a  sè  stesso,  non  invoche- 
rebbe l'aiuto  de'  potenti  della  terra  perchè  s'  intromettessero  essi  nella  riforma 
della  Chiesa,  e  si  usurpasse  un  ufficio  a  loro  non  commesso  ;  ma  solo  perchè 


(')  Cfr.  anche  nel  Villari,  pag.  clxx  e  seg.,  i  processi  falsificati. 

(2)  Cfr.  la  predica  I  sopra  Aggeo  profeta,  e  la  prod.  Ili  sopra  i  Salmi. 


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movessero  i  prelati  a  compiere  ciò  che  loro  spetta.  Quando  questi  principi  fos- 
sero stati  tanto  presuntuosi  e  arditi  di  ingerirsi  nelle  cose  ecclesiastiche  oltre 
a  quanto  era  loro  consentito,  il  severo  Frate  di  San  Marco  avrebbe  levata  la 
sua  voce,  e  come  già  ai  suoi  Fiorentini,  avrebbe  detto  anche  a  questi  che,  così 
facendo,  essi  cadevano  nella  scomunica,  ed  erano  come  consegnati  nelle  mani 
del  Diavolo.  (')  Tutto  quello  che  potrei  concedere  si  ridurrebbe  tutto  qui  :  es- 
sendo notoria  la  vita  del  Papa  ed  ancor  più  notorj  i  bisogni  della  Chiesa,  i 
principi  farebbero  opera  buona  ad  ammonire  il  Borgia  a  lasciar  la  vita  pecca- 
minosa e  dar  opera  alla  riforma  da  tutti  invocata  e  da  lui  stesso  disegnata.  Era 
una  correzione  che  potremmo  dire  fraterna,  un  incitamento  al  bene,  e  nulla  più. 

Per  questa  guisa  a  me  pare  che  cadano  senza  meno  tutte  le  gravi  accuse 
che  il  Pastor  move  a  Fra  Girolamo.  Invece  di  biasimarlo,  potrà  anche  qui  lo- 
darlo ognuno  che  abbia  zelo  per  l'onore  e  la  santità  della  Chiesa.  (2)  Una  sola 
accusa  potrebbe  ancora  stare  in  piedi:  che  il  Savonarola  ritenesse  il  Concilio 
superiore  al  Papa.  Tiegge  quest'accusa?  Nelle  Opere  e  nella  vita  del  Savonarola 
io  non  sono  riuscito  a  trovar  nulla  che  valga  a  giustificare  chi  la  pone.  Non 
mi  valgo  a  difesa  del  Savonarola  di  ciò  che  alcuni  affermano,  che  allora 
tra  i  cattolici  la  questione  non  era  decisa  ;  ma  noto  semplicemente  eh'  io 
non  ho  conosciuto  affatto,  nè  mi  son  mai  potuto  accorgere  che  Fra  Giro- 
lamo insegnasse  o  ricettasse  nella  mente  una  teoria  siffatta.  Tutto  quello  che 
disse  alcuna  volta  è  questo,  ch'egli  si  sentiva  di  sostenere  la  verità  della  sua 
dottrina  anche  al  cospetto  di  un  concistoro:  «  Io  mi  vorrei  trovare  in  un  con- 
cistorio, dove  io  avessi  a  difendere  questa  verità,  che  io  non  mi  curerei  di 
morire  per  quella.  Scrivete  voi  a  Roma  a  quelli  savj,  che  vengano,  che  io  son 
parato  a  difendere  questa  verità  contra  a  tutto  il  mondo  e  con  ragione  e  altro 
e  con  quello  che  vorranno...  ».  (Sopra  Amos,  pred.  XIX.) 

Questo  è  tutto  quello  eh'  io  ricordo  d'  aver  letto  nel  Savonarola  al  ri- 
guardo. Ma  chi  ardirebbe  trarre  quindi  qualsivoglia  pretesto  a  presentare  la 
gravissima  accusa  ?  Vorrà  alcuno  vedere  almeno  un'  ombra  che  così  pensasse 
Fra  Girolamo  nella  lettera  contra  sententiam  Excommunicationis  contra  se  nuper 
iniuste  latam?  Acuisca  un  poco  la  vista,  e  l'ombra  scomparirà  affatto,  mutan- 
dosi in  lucido  sereno.  Il  Frate  di  San  Marco  cita  ivi  un  passo  del  Gerson,  che 
dice  tale  teoria  esser  opinione  di  molti,  ma  in  tal  passo  nemmeno  il  Gerson 
pare  voglia  far  sua  questa  opinione,  e  non  la  fa  sua  in  nessun  modo  il 
Savonarola,  che  dell'autorità  del  Gerson  si  serve  per  tutt' altro  scopo. 

E  poi  io  ho  anche  una  ragione  per  credere  che  davvero  Fra  Giro- 
lamo non  seguisse  la  dottrina  che  il  Concilio  sia  superiore  al  Papa:  questa 
non  è  dottrina  del  suo  Ordine;  ed  il  Savonarola,  già  lo  abbiamo  visto,  era 
pur  solito,  per  negare  che  gli  errori  e  le  eresie  appostegli  fosser  sue,  di  ad- 
durre a  prova  che  questa  o  quella  non  era  dottrina  dell'Ordine;  che  P  Or- 


(')  Vedi  sopra,  pag.  104. 

rt  Cfr.  il  Buyonne,  pag.  184-185. 


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dine  non  la  teneva  (pag.  283).  Perchè  avrebbe  dovuto  pensare  altrimenti  in 
questo  caso? 

Del  resto  il  Frate  dice  esplicitamente  che  la  riforma  doveva  farsi  col  Papa. 
Anzi  aggiunge  eh'  essa  avrebbe  potuto  essere  anche  con  Alessandro  VI,  seb- 
bene egli  credesse  che  non  sarebbe;  e  pur  troppo  non  s'ingannava!  Quello 
che  il  Savonarola  voleva,  era  solo  che  il  Papa  fosse  buono,  fosse  santo;  fosser 
buoni,  fosser  santi  i  prelati.  Dato  questo,  la  riforma  verrebbe;  senza  questo, 
non  mai. 

Qui  potrei  dilungarmi  di  molto  se  non  lo  credessi  inutile,  e  se  non  ba- 
stasse a  provare  buona  la  nostra  opinione  la  predica  XXXVII  sopra  Amos  e 
Zaccaria,  la  quale  è  per  il  punto  presente  di  massima  importanza:  (/)  vi  si 
discorre  appunto  della  riforma  e  rinnovazione  della  Chiesa  e  del  Papa  Ange- 
lico C)  destinato  dal  Cielo  a  compierla,  e  vi  si  illustra  tutto  intiero  il  ca- 
pitolo III  del  Profeta  Zaccaria  :  leggiamone  alcuni  passi.  «  Nota  che  Dio  fa 
tre  generazioni  di  cose,  artificiali,  naturali  e  soprannaturali.  Prima  nelle 
artificiali  Dio  non  usa  farle  se  non  per  gli  artefici  proprj  :  onde  non  usa 
mai  fare  le  dipinture,  se  non  per  mano  del  dipintore,  nè  le  scarpette,  se  non 
per  mano  del  calzolaio.  Nelle  cose  naturali  usa  instrumenti  naturali,  come  il 
cielo  e  gli  elementi  e  la  terra  e  le  altre  cose  naturali.  Nelle  soprannaturali  usa 
ancora  instrumenti  soprannaturali  per  indurre  gli  uomini  al  ben  vivere:  perchè 
i  filosofi  non  poterono  mai,  con  le  ragioni  naturali,  disporre  gli  uomini  al  ben 
vivere;  ma  bisogna  la  fede.  Ma  e' non  basta  anche  l' instrumento  soprannatu- 
rale, perchè  e'  bisogna  che  sia  disposta  la  materia  al  dipintore,  quando  egli 
vuol  fare  la  figura,  e  bisognangli  i  colori.  Al  giardino  non  basta  solo  l'influsso 
del  cielo  per  fruttificare;  se  vi  fosse  acqua  e  rena,  e  non  terra,  non  vi  saria 
frutto.  Prima  adunque  è  necessario  nelle  cose  soprannaturali  avere  un  instru- 
mento soprannaturale,  e  levar  via  la  materia  cattiva.  E  però  ti  dico  che  in  que- 
sta rinnovazione  della  Chiesa,  che  è  cosa  soprannaturale,  si  farà  un  Papa  santo, 
e  buono,  perchè  faccia  gli  altri  santi  e  buoni....  Manderà  Dio  un  Papa  santo, 
o  questo  o  un  altro,  perchè  può  far  santo  questo,  se  vuole.  —  O  che  credi  tu 
Frate?  Credi  tu  che  sia  questo  Papa,  o  un  altro?  —  Io  credo  che  sia  un  altro  : 
io  non  ti  dico  per  questo  che  immediatamente  dopo  questo  Papa  abbia  a  ve- 
nire quello  santo:  non  dico  sì,  nè  no,  perchè  non  ho  a  dire  questo.  —  Lo  hai 
tu  veduto,  o  Frate?  —  L'ho  veduto,  e  dicoti,  che  egli  è  già  preparato.  —  Cono- 
scilo tu?  —  Io  ti  dico  il  vero:  e' non  mi  pare  averlo  mai  più  visto.  —  Ben, 
Frate,  donde  è  egli?  —  Io  non  so  s'egli  è  italiano,  o  francese,  o  fiorentino  o 
d'altro  luogo.  —  Dove  è  egli0  —  Io  non  so  dove  egli  sia:  Dio  volesse  ch'io  il 
sapessi,  chè  io  lo  andrei  a  trovare.  —  Tu  v'andresti  forse  perchè  ti  desse  un  cap- 
pello rosso?  —  Tu  non  lo  intendi:  io  ti  avviso  che  non  sarà  allora  questi  tempi, 
nè  tanti  cappelli,  nè  tante  pompe;  ma  fuggirannosi  allora  i  vescovadi  e  i  cappelli. 


(')  Il  Frate  espone  in  questa  predica  il  capitolo  III  del  profeta  Zaccaria  ed  assume 
per  testo  il  1  versetto,  il  quale  esprime  assai  bene  il  pensiero  che  e'  vuole  svolgere  in  essa. 
(')  Vedi  Del  Fapa  Angelico  del  Medio  Eco  negli  Scritti  vari  del  P.  Marchese. 


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Bastati  sapere  ch'egli  è  preparato;  sì  che  potete  comprendere  per  questo  che 
il  tempo  è  presso.  —  Tu  il  di'  tu  questo  ;  io  non  ti  credo,  Frate.  —  Io  non  me 
ne  curo  che  tu  mi  creda:  tu  lo  vedrai  poi.  E  il  Signore  mi  fece  vedere  Gesù 
sotntno  sacerdote:  questo  sacerdote  grande  adunque  si  chiamerà  Gesù,  cioè  Sal- 
vatore: non  che  sia  Gesù,  nè  che  abbia  nome  così,  ma  perchè  discenderà  dal 

nostro  Salvatore  Gesù  che  stava  in  piedi  dinanzi  all'Angelo  del  Signore;  cioè: 

starà  questo  Papa  dinanzi  all'angelo  grande.  Alcuna  volta  questo  angelo  grande 
si  piglia  per  il  Salvatore:  sta  dinanzi  all'Angelo,  cioè  dinanzi  a  Dio  per  essere 
illuminato,  e  sta  sempre  in  orazione.  —  Dicci  adunque  se  questo  sta  adesso 
così  dinanzi  all'angelo.  — -  Io  non  lo  so  questo:  io  credo  però  che  stia  molto 
in  orazione.  E  Satana  stava  alla  destra  di  lui  per  fargli  contro:  Satana  se  ne  è 
avvisto  di  questa  cosa,  e  sta  continuamente  alla  destra  sua  per  impedirlo.  La 
destra  significa  i  beni  spirituali,  i  quali  Satan  ha  in  odio;  perchè  quanto  più 
la  Chiesa  si  rinnoverà,  tanto  saranno  più  beni  spirituali...  ». 

Ma,  dice  il  Frate,  Satan  non  potrà  poi  più  avversare,  come  ha  fatto  per  il 
passato....,  chè  il  Signore  lo  increperà  e  reprimerà....  E  quindi,  dopo  d'aver  enu- 
merate molte  belle  qualità  e  doti  di  tale  gran  sacerdote  o  pontefice  e  invitato 
tutti,  e  specialmente  il  clero  a  riformarsi,  continua  a  parlare  di  quello,  e  poi 
passa  a  dire  qual  sarà  la  Chiesa  rinnovata:  «  Era  vestito  questo  Gesù  sacer- 
dote di  panni  sordidi  e  si  stava  dinanzi  all'  Angelo.  Il  quale  disse  a  quelli  che  sta- 
vano alla  sua  presenza:  Levategli  la  sordida  veste....  questo  significa  che  il  no- 
stro sommo  sacerdote  e  pontefice,  il  quale  ha  ad  essere  eletto  in  questa 
rinnovazione  della  Chiesa,  che  Dio  lo  vuole  purgare  da  ogni  macchia  e  da  ve- 
stimenti sordidi,  e  mettergli  vestimenti  di  tutta  purità.  Secondo,  significa,  che 
i  Cristiani  e  gì'  infedeli,  che  sono  vestiti  di  vesti  sordide  e  di  peccati,  si  hanno 
a  rinnovare,  e  mettersi  vesti  nuove;  cioè  avranno  a  far  bene  e  a  vivere  in  un 
altro  modo  ». 

Ma  queste  cose,  già  lo  sappiamo,  verranno  dopo  il  flagello,  perciò  il  Frate 
dice  che  gli  stessi  angeli  paiono  desiderare  che  questo  venga  presto:  essi  chia- 
mano i  barbieri  e  li  invitano  a  sollecitare  l'opera  loro,  la  quale  verrà  al  suo 
tempo....  «  E  disse  a  lui:  Ecco  che  io  ho  tolta  da  te  la  tua  iniquità,  e  ti  ho  rive- 
stito di  abito  da  festa:  cioè,  allora  il  Signore  Gesù  dirà  al  pontefice  nuovo,  e 
alla  Chiesa  :  Ecco  che  io  ti  ho  levato  dal  corpo  tuo  le  vesti  brutte,  e  ti  ho  ve- 
stito di  buoni  uomini,  che  vivano  bene.  E  soggiunse:  Mettetegli  in  testa  una 
tiara  monda;  e  gli  misero  sulla  testa  la  tiara  monda  e  lo  rivestirono...  Disse  il 
Signore  agli  angeli:  Mettete  sopra  il  capo  suo  la  corona,  e  che  egli  abbia  po- 
testà sopra  tutta  la  Chiesa;  poi  l'angelo  gli  dà  la  illuminazione  di  quello  che 
egli  ha  a  fare  :  Queste  cose  dice  il  Signore  degli  eserciti  i.  Se  tu  camminerai  nelle 
mie  vie,  e  osserverai  le  mie  cerimonie,  tu  pure  sarai  giudice  della  mia  casa  e 
sarai  custode  del  mio  tempio,  e  darò  a  te  alcuni  di  questi  che  sono  ora  qui  presenti 
che  vadati  teca:  dice  il  Signor  nostro  al  Pontefice  nuovo:  Vien  qua,  egli  è  ne- 
cessario al  governo  tuo,  che  tu  faccia  in  prima  tu,  e  che  facendo  insegni  ad 
altri:  e  non  basta,  che  tu  faccia  bene  per  te;  ma  bisogna  ancora  che  tu  faccia 
bene  ai  poverelli,  e  che  tu  custodisca  la  casa  mia  ;  e  che  tu  stia  vigilante  in 


—  569  — 


orazione  come  buon  custode:  e  però,  se  governerai  bene  le  mie  pecorelle,  tu 
giudicherai  meco  il  di  del  giudizio.  Parimente,  gli  angeli  saranno  teco,  e  go- 
verneranno tutto  l'universo.  Questo  è  un  adiutorio,  che  hanno  avere  i  buoni. 
Ora  sta  ad  udire  quello  che  sarà  poi:  Ascolta,  o  Gesù,  sommo  sacerdote,  tu  e  i 
tuoi  amici,  che  abitano  presso  di  te  che  sono  uomini  da  portenti....;  dice  il  Signore 
a  quel  sacerdote  grande  ;  poi  che  saran  passate  le  tribulazioni,  odi,  tu  e  gli 
altri  tuoi  vescovi,  e  cardinali,  e  gli  altri  ministri  tuoi,  che  resteranno  nella 
Chiesa  dopo  le  tribulazioni,  e  stanno  continuamente  dinanzi  a  me  in  orazione, 
perchè  sono  uomini  che  desiderano  il  bene,  voi  sarete  tutti  consolatile  io  man- 
derò il  mio  servo  Oriente  che  vi  consolerà.  Ecco  che  io  farò  venire  il  mio  servo, 
l'Oriente.  Queste  parole  sono  del  Padre,  che  parla  del  Figliuolo,  e  chiamalo 
servo  suo  in  quanto  uomo,  e  Oriente  in  quanto  che  nasce  dal  Prdre  solo 
eterno.  Io  1'  ho  scolpito,  dice  il  Padre,  nella  mente  degli  uomini,  e  de'  tuoi  au- 
ditori; e  verranno  giù  gli  angeli  e  Cristo  e  converseranno  in  questa  Chiesa. 
Perchè  questa  è  la  pietra  eh'  io  ho  posta  innanzi  a  Gesù,  sopra  quest'unica  pietra 
sono  sette  occhi:  ecco  io  metterò,  dice  il  Signore,  una  pietra  inanzi  al  Sacerdote 
grande,  nella  quale  saranno  sette  occhi.  E  la  pietra  era  Cristo.  Questa  pietra 
sarà  la  vostra  fortezza  nelle  tribolazioni  e  in  ogni  cosa.  I  sette  occhi  sono  i 
sette  doni  dello  Spirito  Santo:  un  occhio  risguarda  Dio  e  il  prossimo;  tra' 
quali  uno  risguarda  in  su  al  governo  de'  superiori,  cioè  a'  sacerdoti  e  chierici, 
che  non  sieno  cattivi  ;  l'altro  risguarda  in  giù  agli  inferiori,  cioè  al  popolo,  e 
a'  secolari,  e  vuole  che  sieno  buoni  gli  uomini  e  le  donne.  Terzo  alla  destra 
avrà  le  contemplazioni,  o  vero  i  buoni  confortandoli  a  perseverare;  quarto  alla 
sinistra  le  opere  della  vita  attiva,  t  vero  i  cattivi  per  convertirli;  quinto,  di- 
nanzi riguarda  le  cose  passate  degli  Apostoli  e  dei  Profeti,  per  imparar  da  loro 
il  ben  vivere  e  la  pazienza;  sesto  risguarda  dietro  considerando  le  cose  future 
del  di  del  giudizio,  e  delia  gloria  de'  beati,  sperando  a  quella  pervenire.  Ecco, 
che  io  collo  scalpello  la  lavorerò,  dice  il  Signore  degli  eserciti  :  io  scolpirò,  dice  il 
Signore  Cristo,  nel  cuore  degli  uomini  il  nome  mio,  e  le  predicazioni  allora  fa- 
ranno frutto  e  spargerassi  Cristo  per  tutto  il  mondo.  E  in  un  giorno  torrò  via 
V  iniquità  della  terra:  voglio  tor  via,  dice  il  Signore,  tutte  le  iniquità  di  Mao- 
metto, e  voglio  fare  quella  terra  bella,  e  tutta  piena  di  bontà.  In  quel  giorno 
l'amico  inviterà  l'amico  ad  andare  sotto  la  sua  vite  e  sotto  il  suo  fico:  sarà  al- 
lora tanta  quiete  e  tanta  dolcezza,  che  l'un  amico  chiamerà  l'altro  alla  vigna, 
cioè  alla  Chiesa,  quanto  a  quelli  che  si  staranno  al  secolo;  e  sotto  al  fico,  cioè 
alla  religione.  Tutti  staranno  consolati,  e  diranno:  Venite  alle  predicazioni,  e 
ognuno  guiderà  l'altro  alle  cose  spirituali,  ed  empierassi  il  mondo  di  dolcezza  ; 
ancora  si  abiteranno  quelli  eremi  dell'  Egitto,  come  l'  ho  detto  altre  volte  ;  e 
sarà  il  Crocifisso  adorato  in  mezzo  il  mondo,  e  in  mezzo  della  Chiesa;  e  avremo 
trionfi  e  gaudj  in  questo  mondo,  e  nell'altro  la  gloria  ». 

Ecco  adunque  tutto  il  pensiero  del  Savonarola:  La  Chiesa  sarà  fatta  santa, 
non  dagl'imperatori,  ma  da  un  Papa  santo,  o  da  Alessandro  VI  o  da  un  altro. 
Che  bisogno  aveva  egli  adunque  per  la  sua  riforma  di  chiedere  la  deposizione  del 
Borgia  ?  Questa  bella  visione  del  Papa  santo  torna  abbastanza  sovente  nel  Savo- 


—  570  — 


narola  e  la  si  legge  anche  negli  Scritti  Inediti;  e  non  è  mai  tale  da  escludere  in 
modo  assoluto  che  egli  possa  anch'  essere  il  Borgia,  sebbene  pur  troppo  colla 
vita  di  costui  e  di  molti  de'  prelati  suoi  il  Frate  di  San  Marco  vedesse  chiaro 
che  ad  una  vera  riforma  non  era  punto  facile  che  si  venisse.  Purtroppo  come 
di  altre  immagini  di  Fra  Girolamo  così  anche  di  questa  si  abusò  da'  nemici 
di  lui,  tanto  che  se  ne  parlò  poi  ne' processi,  sebbene  senza  frutto;  ma  in 
questa  medesima  predica  sopra  Amos  e  Zaccaria  egli  dice  esplicito  che  con 
siffatta  concezione  non  intendeva  di  preparare  altro  papa:  «  Or  ben,  fatti  in- 
nanzi, cancelliere  nostro,  tu  scriverai  a  Roma,  eh'  io  ho  preparato  un  altro 
Papa  :  scrivi,  questa  proposizione  è  pur  vera,  che  quando  sarà  morto  questo 
Papa,  se  ne  avrà  a  fare  un  altro.  Tu  non  puoi  scrivere  altro,  ina  tu  saprai  ben  voi' 
gere  le  parole  a  tuo  proposito....  ». 

E  pur  troppo  a  loro  proposito  seppero  ben  volgere  le  parole  del  Frate  i 
cancellieri  del  Moro  e  gli  Arrabbiati  e  i  Compagnacci  ;  ma  non  imitiamoli  noi: 
siamo  verso  il  grande  Riformatore  più  equi  e  più  benigni  ;  e  però  non  ripe- 
tiamo contro  di  lui  certe  sentenze  generali  senza  aver  prima  visto  le  ragioni 
che  le  giustificano.  Non  ripetiamo  più  che  il  Savonarola  aveva  piena  la  testa 
della  teoria  che  fa  il  Concilio  superiore  al  Papa;  non  ripetiamo  più  eh'  egli 
voleva  un  Concilio  senza  e  contro  il  Papa,  non  ripetiamo  più  ch'egli  voleva 
una  riforma  nella  Chiesa  con  fare  una  rivoluzione  in  essa;  non  ripetiamo  più 
ch'egli  diceva  Alessandro  VI  non  esser  vero  papa,  e  che  aveva  mirato  di  sbal- 
zarlo dal  trono,  valendosi  del  braccio  civile.  Non  diremmo  il  vero;  e  nelle 
Opere  del  Frate  non  troveremmo  nemmeno  un  motto  che  possa  ciò  giusti- 
ficare, ma  troveremmo  il  contrario.  Anche  ne'  processi  falsificati  troveremmo 
la  nostra  condanna:  «  L'interrogarono  se  avesse  mai  voluto  dividere  la  Chiesa 
di  Cristo;  e  subito,  quasi  destandosi  dal  deliro,  rispose:  —  Giammai  ».  —  (') 


(')  Villari,  voi.  II,  pag.  231.  Vedi  anche  la  poesia  XVII:  Oratio prò  Ecclesia,  quando,  mortuo 
Sixto  IV,  suscitavit  diabolus  dissentionem  in  Ecclesia.  Potrebbe  bastar  da  solaquesta  poesia  pol- 
larci credere  impossibile  che  Fra  Girolamo  giungesse  al  punto  al  quale  sarebbe  giunto  colle 
lettere  ai  principi  e  cogl' incitamenti  al  Concilio  antipapale. 


XXXIV. 


La  prova  del  fuoco  e  la  morte. 


Sommario. 

Questione  pregiudiziale.  —  Parliamo  ai  cattolici.  —  Come  i  cattolici  non  possono  disapprovare  sempli- 
cemente la  prora  del  fuoco.  —  L'  esempio  di  San  Giovanni  Gualberto,  di  Eleno  vescovo  di  Elio- 
poli  e  di  Elia  Profeta.  —  La  parità  del  caso.  —  La  questione  decisa  autorevolmente  da  Ales- 
sandro VI.  —  Breve  pontificio  ai  Frati  Minori.  —  La  buona  fede  nel  Savonarola  e  ne'  suoi.  — 
Nostra  vana  prova  di  scorgere  fanatismo  in  Fra  Girolamo.  —  Origine  della  prova  del  fuoco.  — 
I  Domenicani  si  mossero  non  presuntuosi,  ma  chiamati  e  provocati.  —  Come  passarono  le  cose. 

—  Considerazione  importante.  —  Chi  chiedesse  il  miracolo.  —  Perchè  il  Savonarola  s'  oppose 
dapprima  all'  esperimento  e  non  volle  ontrare  poi  egli  nel  fuoco  con  Frate  Francesco.  —  Mente  ed 
offerta  di  Fra  Girolamo.  —  Pretesa  ridicola.  —  Moltitudine  che  si  offre  a  sostener  la  prova 
per  Fra  Girolamo.  —  Come  il  Savonarola  dovesse  finalmente  acconsentire  all'  esperimento-  — 
Proposizioni  da  provarsi.  —  Differenza  di  fede  ne'  Piagnoni  e  nei  loro  avversari.  —  Preterizione. 

—  Abile  narrazione  del  Pastor.  —  Nostre  osservazioni  e  domande.  —  Cose  lecite,  ma  da  giusti- 
ficarsi. —  Il  nodo  della  questione.  —  Un'  omissione  del  Pastor  e  nostro  riparo.  —  GÌ'  incante- 
simi, la  superstizione  dei  protervi  avversarj  giustificano  il  nostro  Frate.  —  Gregorio  VII  e  il  Sa- 
vonarola. —  Un  fatto  non  contestato,  ma  non  giustificato  uè  spiegato  dal  Pastor.  —  Autodifesa 
di  Fra  Domenico  rincalzata  da  Fra  Girolamo.  —  Un  falso  supposto.  —  Non  i  Domenicani,  ina  gli 
avversarj  si  ritirarono  dal  cimento  senza  giusta  causa.  —  Pretesa  dell'  insipienza  del  volgo,  e  sa- 
viezza di  Fra  Girolamo.  —  Tempesta  terribile  ma  non  imprevista.  —  Il  popolo  sommosso.  —  I 
Frati  prigioni.  —  I  processi.  —  I  buoni  di  fronte  alle  estorte  e  falsificate  deposizioni.  —  La 
condanna  e  il  supplizio.  —  Il  trionfo  della  semplicità.  —  Conclusione. 


L'argomento  onde  s'intitola  questo  capitolo  richiede,  perla  difesa  del 
Savonarola,  che  si  risolva  una  pregiudiziale.  Alcuni  condannano  senza  meno  il 
fatto  per  sè,  come  ogni  altro  simile,  quasi  un  tentar  Dio,  o  segno  di  fanatismo, 
e  di  superstiziosa  barharie,  o  d'empietà.  (*)  Hanno  essi  ragione?  Se  sì,  a 
qual  fine  gettar  il  tempo  nello  scrivere  per  mostrare  che  Fra  Girolamo  ne  è 
innocente,  essendo  certo  che  alla  men  triste  vi  consenti  e  finirà  con  ap- 
provarlo ? 


(')  Il  Pastor  a  pag.  372  chiama  appunto  questa  prova  «  esempio  tentativo  ».  Cf.  Lupi, 
Avvertenza  premessa  alla  pubblicazione  delle  consulte  e  Pratiche  tenute  a  Firenze  intorno 
ai  fatti  del  Savonarola  ecc.,  in  Archivio  Storico  Italiano.  Terza  serie  tona.  III  parte  I,  pag.  16. 


—  572  — 


Noi  parliamo  ai  cattolici  non  intinti  nella  pece  del  razionalismo.  Cogli  al- 
tri ha  ben  poco  da  vedere  questo  nostro  scritto,  e  nulla  il  capìtolo  presente. 
Ora  possono  i  cattolici  disapprovare  in  modo  semplice  e  assoluto  le  prove 
della  natura  di  quella  che  si  fece  a1  dì  7  aprile  1498  nella  città  di  Firenze 
dagli  ardenti  seguaci  del  Savonarola?  Noi  crediamo  di  no.  Imperocché  allora 
bisognerebbe  lacerare  non  poche  pagine  della  storia  del  Popolo  d' Israele  e 
della  Chiesa  di  Cristo.  Chi  potrebbe,  ad  esempio,  scusare  Elia?  chi  potrebbe 
scusare  Eleno  vescovo  d' Eliopoli,  chi  San  Giovanni  Gualberto? 

E  noto  il  fatto  di  quest'ultimo  avvenuto  nella  Badia  di  Settimo  presso  Fi- 
renze l'anno  1096  e  il  Savonarola  v'accenna  più  volte.  (*)  «  Sostenevano  i  mo- 
naci di  Vallombrosa  aver  Pietro  da  Pavia  vescovo  conseguita  quella  Chiesa  col- 
1'  aiuto  della  regina  pecunia,  e  San  Giovanni  Gualberto  istitutore  dell'  ordine 
Vallombrosano  era  anch'  egli  tra  gli  accusatori  e  vedendo  la  controversia  di- 
ventare ostinata,  e  che  la  poteva  esser  fatta  occasione  di  dissidii  e  di  scandali 
per  il  popolo,  allora,  per  risolverla,  proponeva  egli  stesso  che  si  venisse  alla 
prova  del  fuoco:  e  indicava  il  monaco  che  vi  si  doveva  cimentare:  e,  la  prova 
accettata,  recavasi  il  santo  processionalmente  sul  luogo.  E  fatte  tutte  le  volute 
benedizioni,  e  le  molte  aspersioni  imposte  dalla  Chiesa,  e  appiccato  l' incen- 
dio alle  due  grandi  cataste  di  legna  a  ciò  preparate,        allorché  era  ben 

formato  ed  alto  il  fuoco,  animosamente  vi  passò  per  mezzo  il  monaco  Giovanni, 
co'  piedi  nudi,  senza  nocumento  alcuno,  e  senza  che  neppur  restasse  bruciato 
un  pelo  del  suo  corpo.  E  avvenne  allora,  in  seguito  di  quella  prova,  che  fu  vi- 
sto rinunciare  il  povero  Pietro  al  vescovado,  e  ritrarsi  in  monastero  a  vita  pe- 
nitente ;  e  il  monaco  Giovanni,  da  allora  appellato  1'  Igneo,  veniva  invece  in- 
nalzato alla  somma  dignità  di  cardinale,  e  fatto  vescovo  di  Albano  ».  (*) 

Del  vescovo  d' Eliopoli  parla  Fra  Girolamo  nella  predica  XX  sopra  Amos  e 
Zaccaria,  e  l'esempio  non  fa  meno  al  caso  nostro.  «  Eleno  vescovo  di  Eliopoli, 
vedendo  che  un  eretico  voleva  pure  stare  nella  sua  opinione,  quando  non  vide 
altro  rimedio,  disse  :  Accendiamo  qua  un  gran  fuoco,  e  entriamvi  dentro,  e 
chi  sarà  in  falsa  opinione  il  fuoco  l'arderà.  E  fatto  il  fuoco,  questo  eretico 
volse  che  il  Vescovo  vi  entrasse  prima,  e  così  entrò  :  e  posesi  a  sedere  nel 
mezzo  del  fuoco,  e  quivi  stette  una  mezza  ora  e  cantava  delle  laudi.  Poi  l'ere- 
tico non  volendo  entrare  nel  fuoco,  il  popolo  lo  prese  e  volevanvelo  gettare, 
ma  il  vescovo  non  gli  lasciò  ;  pure  si  cosse  un  poco,  e  arsesi  i  capegli.  Si 
che  quando  la  fede  non  si  può  difendere  altrimenti,  ci  si  viene  a  questi 
giuochi  ». 

Il  fatto  di  Elia,  come  è  narrato  nella  Scrittura,  venne  esposto  abbastanza 
estesamente  al  popolo  dal  nostro  Frate  il  giorno  stesso  dell'esperimento.  «  Elia 
profeta  uomo  come  nei,  di  carne  e  d'ossa  come  noi,  creatura  come  noi,  pregò 
il  Signore  che  non  piovesse:  e  stette  tre  anni  che  non  piovve.  Di  poi  il  Si- 


(')  Vedi  in  particolare  la  «  Itiapoata  di  Frate.  Ilieronymo  a  certe  obiezioni  fatte  circa  Venpt- 
rimerito  dell'entrar  nel  fuoco  per  la  verità  da  lui  predicata  •.  Firenze,  6  aprile  1498. 

(*)  Vedi  gli  Annali  del  Muratori  all'anno  10137  e  l'Aquarone  op.  cit.,  lib.  ìli,  pag.  72. 


—  573  — 


gnore  disse  ad  Elia:  Va  a  quel  cattivo  re  Acab  e  digli  che  io  voglio  dare  la 
piova  sopra  la  faccia  della  terra.  Elia  andando  scontrò  un  grande  maestro 
dispensatore  della  casa  del  Re  e  dissegli  :  Va  a  dire  al  re  Acab  che  io  mi 
voglio  presentare  al  suo  cospetto.  Colui  gli  rispose:  Deh  non  fare,  perchè 
Acab  ti  cerca  per  ogni  cantone  per  ammazzarti,  e  se  io  pure  andassi,  lo  spirilo 
ti  leverebbe  di  qua  e  il  re  Acab  non  ti  troverebbe  e  credendo  che  io  avessi 
detto  bugie,  verrei  in  sua  disgrazia  e  mi  ammazzerebbe.  Ora,  per  abbreviare, 
Elia  andò  al  re  Acab,  il  quale  come  lo  vide  gli  disse:  Se' tu  quello  tu  che  con- 
turbi Israel?  Elia  gli  rispose  e  disse:  Non  sono  io  che  ho  conturbato  Israel, 
ma  tu  e  la  casa  di  tuo  padre.  Soggiunse  di  poi  Elia  e  disse  ad  Acab:  Tu  non 
vuoi  credere;  chiama  qua  tutti  i  profeti  di  Baal,  che  sono  quattrocento  cin- 
quanta, e  i  profeti  de'  boschi  che  sono  quattrocento,  i  quali  mangiano  della 
mensa  della  tua  Jezabel.  Ora,  convocato  che  fu  tutto  il  popolo  e  ragunati  i  pro- 
feti, disse  Elia:  Insino  a  quando  zoppicate  voi  in  due  parli?  Fermatevi  ad  una, 
e  se  il  Signore  che  vi  predico  è  il  vero  Dio,  seguitatelo;  e  se  è  Baal,  seguitatelo. 
E  il  popolo  non  rispose.  Ed  Elia  soggiunse  e  disse  al  popolo  d' Israel  :  I  vostri 
profeti  ci  diano  due  buoi  :  uno  a  voi  ed  uno  a  me  ;  e  poniamoli  morti  e  ta- 
gliati ciascuno  sopra  il  suo  altare  sopra  le  legne  ;  ma  nessuno  di  noi  vi  metta 
sotto  fuoco,  e  invochiamo  ognuno  il  suo  Dio;  e  quello  che  manda  il  fuoco  ad 
accendere  il  sacrificio  sia  il  vero  Dio.  Il  popolo  comincia  aliora  a  dire  :  bono, 
bono  ;  sia  fatto.  Ora  i  profeti  di  Baal  erano  intorno  al  loro  altare  e  chia- 
mavano Baal:  Baal, -exaudi  nos;  o  Baal,  esaudiscici:  et  tamen  non  venne  mai 
risposta. 

«  Ora  Elia  gli  dileggiava  dicendo  :  Chiamate  con  maggior  voce  e  gridale, 
perchè  forse  il  vostro  Dio  parla  con  qualcuno,  o  egli  è  al  necessario,  o  in 
viaggio  o  egli  dorme  :  sicché  gridate  forte  chè  lui  oda.  Or  questi  profeti  grida- 
vano più  forte  e  tagliavansi  la  carne  con  certe  lanciette,  come  gli  aveva  inse- 
gnalo questo  lor  diavolo  Baal.  Finalmente  era  già  passato  mezzogiorno  e  ri- 
sposta non  venne  mai.  Elia  fece  un  altare  di  dodici  pietre,  il  quale  prima  era 
stalo  distrutto,  e  fece  un  fosso  attorno  all'altare  e  messevi  le  legne,  e  di  sopra 
i  membri  del  bue  tagliati.  E  fece  portare  quattro  vasi  d'acqua  e  versarli  sopra 
l'altare  e  le  legne;  e  cosi  fece  per  tre  volte,  intanto  che  ogni  cosa  era  bagnata 
e  le  fosse  attorno  all'altare  erano  ripiene  d'acqua.  Questo  fece  Elia  per  mo- 
strare più  la  grandezza  del  miracolo,  e  di  poi,  messosi  in  orazione,  disse  al  Si- 
gnore :  Io  ti  prego,  Dio  di  Abraam,  di  Isaac,  di  Jacob,  che  tu  mostri  oggi  che  tu 
se'  il  vero  Dio  e  che  io  sono  tuo  servo,  acciocché  ei  conoscano  che  tu  mi  hai 
mandato.  Subito  venne  il  fuoco  dal  cielo;  arse  ogni  cosa  insino  all'  acqua 
delle  fosse.  Allora  tutto  il  popolo  disse:  quello  che  predica  Elia  è  il  vero 
Dio  ».  (4) 

Né  si  provi  alcuno  a  negarci  la  parità  del  caso  ;  imperocché  s' inganne- 
rebbe. Se  anche  non  si  fosse  trattato  d'altro  che  della  invalidità  della  scomu- 
nica contro  il  Savonarola,  questi  avrebbe  già  avuto  ragione  di  asserire  che  si 


{*)  Libro  III  óV  Re,  oap.  XVIII. 


—  574  — 


trattava  della  fede.  E  chi  può  difendere  da  eresia  l'opinione  che  ritenesse  per- 
tinacemente valida  una  scomunica  in  quei  casi  ne1  quali  i  canoni  dicono  espres- 
samente che  è  irrita  e  nulla?  Ma  si  trattava  di  ben  altro,  come  è  facile  vedere, 
chi  vuole,  dal  discorso  recitato  dal  nostro  Frate  il  giorno  stesso  dell'esperi- 
mento, e  da  ciò  che  dicono  gli  storici  del  tempo,  e  appare  dalle  stesse  propo- 
sizioni sottoscritte  dai  frati  che  avevano  a  cimentarsi  e  di  cui  diremo  or  ora 
anche  noi  andando  avanti. 

Del  resto  a  me  pare,  come  già  osservò  assai  opportunamente  il  Bartoli  (';, 
che  la  questione  sia  stata  autorevolmente  decisa  da  Alessandro  VI,  il  quale, 
con  la  data  degli  11  aprile  1498,  scrivendo  ai  Padri  di  San  Francesco  di  Fi- 
renze, così  dicea:  «  Diletti  figli,  salute  e  Apostolica  benedizione.  Ci  fu  riferito 
di  quanto  zelo  della  verità  e  della  giustizia  siete  voi  accesi,  e  che  per  nostro 
onore  e  di  questa  Santa  Sede  contro  il  pernicioso  dogma  e  la  falsa  dottrina 
del  perduto  figlio  Fra  Girolamo  Savonarola  dell'Ordine  de' Frati  predicatori, 
seduttore  del  popolo,  avete  combattuto  con  molte  e  vere  conclusioni  e  argo- 
menti in  pubblico  e  in  privato,  e  che  siete  giunti  a  tal  segno  di  fervore  e  di 
zelo  che,  per  sostener  le  vostre  vere  e  rette  conclusioni  e  convincere  ed  attu- 
tire la  pertinacia  di  Fra  Girolamo,  non  son  mancati  fra  di  voi  alcuni  i  quali 
proposero  di  gettarsi  anche  nel  fuoco.  Noi  lodiamo  certamente  la  vostra  devo- 
zione e  questo  tanto  pio  e  religioso  e  memorando  atto  (il  quale  senza  dubbio  non 
potrà  essere  mai  cancellato  da  alcuna  dimenticanza),  a  Noi  e  alla  stessa  Sede 
Apostolica  talmente  grato  ed  accetto  che  mini1  altra  cosa  potrebV  esserci  più  grata 
e  più  accetta.  Vi  esortiamo  e  invitiamo  in  Dio,  perchè  vogliate  perseverare  e 
andare  avanti  collo  stesso  tenore  contro  gli  avanzi  di  cotesto  errore,  se  alcuno 
ne  rimanga,  e  contro  i  complici,  affichè  quindi  da  Dio  e  da  questa  Santa  Sede 
possiate  conseguile  le  meritate  ricompense»  (2) 

Alessandro  VI  adunque,  continua  il  Bartoli,  giudicava  in  se  stessa  degna  di 
applauso  l'impresa.  Se  il  Savonarola  l'accetta,  perchè  chiamarla  a  riguardo  di  lui 
opera  di  temerità,  di  cieca  baldanza,  di  follia  e  d'empietà?  Avranno  qui  fattoopera 
buona  e  lodevole  i  frati  di  San  Francesco  e  opera  empia  il  Savonarola?  Conside- 
riamo bene  il  punto  e  poi  decideremo.  Si  errerebbe  forse  interpretando  la  lettera 
del  Pontefice  col  dire  ch'essa  fa  lecito  non  pure,  ma  lodevole  il  tentar  anche 
questi  giuochi,  allorché  li  crediamo  buoni  e  utili  al  trionfo  della  verità,  e  a  dimo- 
strar !e  proposizioni  scritte  dai  campioni?  Non  certo.  Questo  anzi  vuole  il  do- 
cumento pontificio:  questo  e  non  altro:  i  Padri  di  San  Francesco  meritavano 
le  lodi  pontificie,  appunto  perchè  non  eran  mancati  fra  di  loro  alcuni  i  quali 
proposero  di  gittarsi  anche  nel  fuoco  a  mostrare  la  falsità  delle  proposizioni 
sottoscritte,  cioè  la  verità  delle  contraditorie.  Ora  possiamo  noi  in  buona  fede 


(')  Opera  citata,  cap.  XXIII,  pag.  3tìl. 

I")  Questo  Breve  si  legge  nel  Quétii'.,  cap.  II,  pag.  463,  ed  è  preceduto  da  un  altro  a 
Francesco  di  Puglia  che  vien  ricolmato  di  lodi  per  aver  fatto  «  tal  opera  meritoria  e  degna 
di  massimo  encomio  qual  conviene  ad  uomo  Religioso  e  Cattolico  e  miraliilmente  piaciuta 
a  Noi  e  a  tutto  il  Collegio  dei  Cardinali  della  S.  li.  Chiesa  ». 


—  575  - 


mettere  in  dubbio  che  Fra  Girolamo  e  i  suoi  credessero  alla  loro  volta  di  ope- 
rare al  trionfo  del  vero  e  del  bene  nell'assistenza  del  divino  patrocinio?  No 
certo,  non  lo  possiamo.  «  Il  Savonarola  era  persuaso  »,  osserva  qui  altra  volta 
giustamente  il  Bartoli,  «  per  massima,  per  sistema,  per  un  lume  de'  più  si- 
curi che  aver  si  possa,  che  la  sua  dottrina,  e  tutto  ciò  che  aveva  predicato  o 
fatto  in  vantaggio  della  Chiesa,  fosse  conforme  interamente  alla  verità».  V'è 
pur  uno  de'  nostri  lettori  che  abbia  difficoltà  di  sottoscrivere  a  questa  senten- 
za? Dunque  lo  zelo  del  Savonarola  si  merita  esso  pure,  non  le  condanne  degli 
avversarj,  ma  gli  elogj  che  Alessandro  VI  faceva  ai  campioni  Francescani.  E 
tanto  più  se  li  merita,  in  quanto  è  oramai  chiaro  a  tutti  eh'  egli  nella  sua  per- 
suasione e  buonafede  non  s'ingannava,  ma  credeva  e  diceva  essere  quello  che 
era  veramente,  e  s'ingannavano  invece  i  suoi  avversarj. 

Confesso  di  essermi  provato  non  poche  volte  a  condannar  qui  almeno  di 
fanatismo  il  Priore  di  San  Marco,  ma  non  vi  sono  mai  riuscito  con  mia  sod- 
disfazione; non  ho  mai  potuto  quietarmi  in  nessuna  guisa  in  siffatto  giudizio. 
«  Un  uomo,  che  non  ostante  i  suoi  sudori,  i  suoi  argomentale  riprove  datene, 
si  vede  con  tanta  solennità  all'impegno  di  esibire  qualche  innegabile  contras- 
segno della  verità  da  lui  predicata;  e  conosce  che  un  popolo,  o  sviato,  o  di- 
stratto dalla  voce  de' suoi  antagonisti,  propende  a  molte  dubbiezze,  che  offen- 
dono la  verità,  tenterà  egli  Iddio,  se  lo  invoca  nel  proprio  bisogno,  e  se,  ar- 
mato della  sua  fede  e  del  suo  nome,  non  teme  i  cimenti  più  pericolosi,  anzi 
va  ad  incontrarli,  confidando  di  trovarvi  una  visibile  assistenza  della  destra  del 
Signore?  Costano  forse  a  Dio  i  portenti  più  di  quello  gli  costino  le  consuete 
maraviglie  della  natura,  e  le  giornaliere  assidue  operazioni  della  sua  grazia? 
E  verissimo,  che  non  si  debbono  chieder  miracoli  senza  necessità;  ma  è  vero 
altresì,  che,  anche  senza  una  rigorosa  necessità,  è  lecito  lo  sperarli,  quando  sia 
chiaro,  che  ne  possa  avvenire  un  notabilissimo  vantaggio,  a  gloria  di  quel  Si- 
gnore, che  può  farli  quando  a  lui  piace,  e  che  sovente  gli  ha  fatti  per  far  noto 
il  suo  nome,  quantunque  avesse  potuto  anche  senza  i  miracoli  venire  a  capo 
de'suoi  adorabili  disegni.  Noi  non  possiamo  metterci  a  capriccio  nella  situa- 
zione che  esiga  un  portento;  ma  chi  ha  detto  agli  avversarj  che  l'esigenza  in 
cui  vedeasi  il  Savonarola,  fosse  un  intreccio  tessuto  dall' umano  capriccio?  Egli 
avea  fatto  quanto  si  può  fare  da  un  uomo  per  la  riforma  della  Chiesa  e  per 
il  trionfo  della  pietà:  si  vede  adesso  combattuto  in  faccia  da  chi  lo  rimprovera 
qual  falsario  ed  impostore;  questo  era  un  assalto  che  decideva  delia  verità 
medesima:  dunque,  non  sapendo  dove  più  rivolgersi,  dove  più  trovar  arme  in 
difesa  della  virtù,  a  Dio  ricorre  e  spera  che  il  fuoco  rispetterà  i  difensori  del 
vero  e  del  giusto.  Si  chiama  questo  un  confidarsi  su  i  miracoli,  un  contar 
troppo  sulla  Onnipotenza,  per  un  follìa  di  presunzione  »?  (Bartoli,  pag.  3(>8.) 

Ma  alcuni  potrebbero  forse  pensare  che  ad  ogni  modo  i  Domenicani  non 
avrebbero  dovuto  i  primi  incitare  a  questo  esperimento  e  solo  moversi  quando 
provocati  o  costretti.  Ma,  si  potrebbe  chiedere,  è  provato  che  la  sfida  partisse 
dai  Domenicani?  non  vi  sono  molti  che  pensano  il  contrario?  E  poi,  sarebbe 
essa  partita  da  Fra  Girolamo  e  per  opera  di  lui?  Qui  sarebbero  adunque 


4 


-  576  — 


da  fare  molte  questioni,  ma  a  quale  scopo?  Vi  concedo  molto  volentieri  che 
i  primi  a  dichiarare  che,  ove  necessità  lo  richiedesse,  Dio  avrebbe  provata  con 
segni  soprannaturali  la  verità  della  dottrina  predicata  da  Fra  Girolamo,  i 
primi  a  gettare  in  campo  la  prova  del  fuoco,  fossero  i  Domenicani;  ma  voi  mi 
dovrete  ad  ogni  modo  concedere  pur  sempre  che  essi  non  si  mossero  presun- 
tuosamente da  sè  a  cotal  cosa,  ma  solamente  provocati. 

La  verità  mi  par  che  la  dica  assai  chiara  Fra  Girolamo  nell'esortazione  al 
popolo  il  giorno  stesso  dell'esperimento.  «  Le  cose  nostre,  dice  il  Frate,  ornai 
non  dovrebber  aver  bisogno  di  miracoli;  tante  sono  le  ragioni  dette  e  scritte 
che  ne  dimostrano  aperto  la  verità;  ma  se  siamo  provocati,  bisogna  anda- 
re, perchè  la  fede  non  vada  per  terra.  Tu,  Signore,  sai  che  noi  non  andiamo 
presuntuosi  a  questa  cosa,  ma  solamente  provocati.  Noi  siamo  stali  chiamati, 
benché  noi  la  gittassimo  a  campo  ».  Ecco  adunque  come  passarono  le  cose: 
Fra  Girolamo  diceva  ripetutamente  che,  sebbene  il  miracolo  per  sè  non  faccia 
credere,  ciò  non  pertanto,  se  la  faccenda  si  fosse  ridotta  al  punto  che  il  mira- 
colo fosse  necessario  od  utile  per  confondere  gli  avversarj  che  pertinacemente 
contradicevano,  e  venissegli  richiesto  dall'autorità,  Dio  l'avrebbe  concesso:  egli 
per  la  verità  delle  cose  che  predicava  era  pronto  ad  entrare  nel  fuoco  nella 
piena  ed  assoluta  certezza  che  ne  sarebbe  uscito  illeso:  le  medesime  cose 
ripetevano  i  suoi  seguaci  e  specialmente  Fra  Domenico  da  Pescia;  ma  essi 
tenevansi  ognora  sulle  generali,  nè  potevano  fare  altrimenti.  Ma  sorgono  i 
Francescani  di  Santa  Croce  a  contradire  a  questa  cosa,  e  «  attaccano  >,  come 
nota  il  Pastor,  pag.  369,  «  con  singolare  violenza  il  procedere  del  Frate  di 
San  Marco.  Appena  il  Savonarola  venne  dalla  Signoria  condannato  al  silenzio, 
questi  assalti  si  raddoppiarono  ».  Dovevano  i  Domenicani  trascurare  questi 
assalti?  dovevano  cessare  di  ripetere  che  e  a  dimostrare  la  verità  e  a  soste- 
nere la  causa  del  loro  maestro  non  sarebbero  per  mancare  nè  anche  prove 
soprannaturali,  ove  non  bastassero  le  naturali?  Era  illecito  a  Fra  Domenico 
ripetere  un'altra  volta  che  per  tale  verità,  egli  era  davvero  pronto  ad  en- 
trare nel  fuoco?  E  se,  come  scrive  il  Pastor  a  pag.  371,  «  di  fronte  a  tali  di- 
chiarazioni addì  25  marzo  1498  un  francescano,  per  nome  Francesco  da  Pu- 
glia, predicando  in  Santa  Croce,  si  esibì  a  sostenere  1'  esperimento  del  fuoco 
contro  allo  scomunicato»,  si  potrà  dire  che  provocatore  sia  Fra  Girolamo?  si 
potrà  dire  che  Fra  Domenico  andasse  a  queir  esperimento  non  chiamato  ?  (4) 

Ma  vi  è  un'  altra  considerazione  da  fare  non  meno  importante,  anzi  più 
forse  delle  fatte  fin  qui  a  questo  riguardo.  Coloro  che  discutono  tuttavia  in- 
torno a  questo  punto  dimenticano  ciò  che  è  essenziale:  la  prima  radice  del- 
l' esperimento.  Quando  cominciò  Fra  Girolamo  ad  asseverare,  che  ove  non  ba- 
stassero le  ragioni  naturali  a  sostenere  la  verità  della  sua  causa,  non  sarebbero 
per  mancar  le  prove  soprannaturali?  E  perchè  cominciò  egli  e  perseverò  a  farlo? 


(')  Cosi  sarebbero  anche  Spiegati!  Brevi  pontiiicj  a'  Francescani  e  in  particolare  a  Fran- 
cesco ria  Puglia  in  data  degli  11  aprile  14!t8,  già  da  noi  citati,  nei  quali  questi  son  lodati  d'aver 
spinto  il  loro  zelo  contro  il  Savonarola  lino  a  proporre  ai  loro  avversarj  d'entrare  nel  fuoco. 


—  577  — 


La  questione  non  è  del  tutto  priva  d' importanza  per  la  vita  del  Savonarola, 
e  mi  fa  meraviglia  che  nessuno  1'  abbia  posta  nè  abbia  tentato  di  risolverla. 
Anche  qui  io  son  costretto  ad  attribuire  la  responsabilità  delle  asserzioni  del 
Frate  all'  importunità  de' suoi  avversarj.  Il  Savonarola  svolgeva  quieto  il 
suo  programma,  sforzandosi  di  renderlo  credibile,  prima  con  argomenti  tratti 
dalla  ragione  e  dalla  storia  della  Chiesa  ;  poi  appoggiandosi,  come  sopra  di 
un  bastoncello,  alle  Sacre  Scritture,  cioè  alla  stessa  autorità  di  Dio.  E  la 
gente  che  gli  prestava  fede  aumentava  di  giorno  in  giorno  senza  eh'  egli  pro- 
mettesse miracoli,  e  che  gliene  fosser  chiesti.  Ma  non  tardò  a  levarsi  potente 
contro  ili  lui  l'opposizione  de' tiepidi,  e  questi  furono  che  gli  chiesero  il  mi- 
racolo ;  nè  a  lui  valse  punto  l' insistere  che  il  miracolo  per  sè  non  fa  cre- 
dere, che  a  credere  ci  vuole  la  buona  vita,  che  chi  voleva  credere  vivesse 
bene;  i  tiepidi  di  viver  bene  non  volevano  saperne,  come  non  volevano  sa- 
perne i  politici;  ma  non  credendo  forse  a  miracolo  di  nessuna  sorta,  anda- 
vano pur  ripetendo  che  quello  eh'  essi  volevano  si  era  un  miracolo:  un  mira- 
colo doveva  fare  il  Savonarola  a  ottener  la  fede  loro.  Questo  è  cosi  vero  che 
il  Frate  già  nel  Compendio  di  rivelazioni  aveva  sentito  bisogno  di  parlarne,  e 
di  farsi  muovere  dal  Tentatore  1'  obiezione  seguente  :  «  Ognuno  che  annunzia 
il  futuro,  per  esser  creduto,  deve  confermare  le  sue  predizioni  con  miracoli; 
altrimenti  anche  gli  eretici  potrebbero  usurparsi  alla  loro  volta  tale  missione. 
Onde  contro  di  te  si  cita  il  capitolo  :  Cimi  ex  injuncto.  Extra  de  haereticis,  che 
sembra  richiedere  che  coloro  i  quali  predicano  siffatte  cose  debbano  provarle 
con  qualche  segno  o  miracolo  ;  e  questo  non  facendo  tu,  da  alcuni  sei  ac- 
cusato di  tenere  il  costume  degli  eretici,  ed  eretico  sei  giudicato  ».  E  questo 
si  opponeva  con  tanta  insistenza  e  con  tale  arte  al  nostro  predicatore,  che 
si  riuscì  pure  a  dargli  un  posto  nel  Breve  pontificio  degli  8  settembre  1495 
e  in  altri  successivi.  (*)  A  questo  punto  che  poteva  far  altro  il  Savonarola,  se 
non  tacere  assolutamente  o  confessarsi  impostore  o  allucinato,  o,  credendo, 
come  per  certo  ha  creduto  sempre  sinceramente  e  in  buona  fede,  di  avere 
una  missione  da  Dio,  affermare  audacemente  che,  ove  il  miracolo  richiesto 
fosse  necessario  e  la  Chiesa  lo  volesse,  Dio  l'avrebbe  fatto  ?  Che  avrebbe  potuto 
altro  se  non  dire  eh'  egli  era  lì  pronto  a  sostenere  la  verità  della  sua  missione 
con  quel  mezzo  che  al  Papa  e  alla  Cristianità  fosse  piaciuto?  0  egli  non  cre- 
deva che  il  suo  insegnamento  fosse  cosa  voluta  da  Dio,  o  doveva  parlare  così 
come  veramente  parlò. 

E  qui  torna  assai  opportuno  risolvere  un'obiezione,  la  quale  sull'  anima 


(')  Hieronymum  quemdarn  Savonarola  de  Ferraria  Ordinis  Praedicatoruin  novitate  piavi 
dogmatis  delectatum  accepimus,  et  in  eam  mentis  insaniani  Italicarum  rerum  commutatione 
deductum,  ut  se  missum  a  Deo,  et  cum  Deo  loqui  sine  ulla  canonica  attestatone  fateatur  in 
populo,  contra  Canonicas  sanctiones.  Non  enim  sufficit  cuicumque  nude  tantum  asserire  quod 
ipso  sit  missus  a  Deo  (cum  hoc  quilibet  haereticus  asseveret)  sed  oportet  quod  osteudat  Ulani 
invisibili' ni  missionem  per  opei  ationem  miraouli,  vel  scripturae  testimouiuin  speciale  ».  Anche 
nella  sottosciizione  di  Fra  Francesco  di  Puglia  per  l'esperimento  del  f  uoco  si  legge  che  al- 
cune delle  conclusioni  da  provarsi  probatione  supernaturali  indigenti  Marchese,  Dee.  XXIV. 

37 


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del  volgo  può  avere  qualche  efficacia,  e  ha  tratto  in  inganno  anche  serj  scrit- 
tori. È  noto  ad  ognuno  che  Fra  Girolamo  dapprima  si  opponeva  all'  esperi- 
mento del  fuoco  e  gli  spiacque  che  la  cosa  fosse  dallo  zelo  di  Fra  Domenico 
spinta  tanto  avanti  e  stretta  con  tanto  calore:  questo  risulta  dai  processi, 
dalla  cronaca  del  Padre  Dionisio  Pulinari  (')  e  da  molte  altre  testimonianze  non 
punto  sospette  di  favorire  il  Frate,  anzi  avverse  ad  esso.  Il  Vaglienti  (2)  arrab- 
biato pallesco,  dopo  d'  aver  detto  che  Fra  Francesco  e  Fra  Domenico  ave- 
vano preso  partito  che  il  fuoco  si  avesse  a  fare,  scrive,  che  «  frate  Dome- 
nico da  Frate  Girolamo  di  tale  proposta  e  di  tale  vanto  ne  fu  malamente 
ripreso  ». 

La  ragione  di  tutto  ciò  qual  è?  E  quella  stessa  per  la  quale  Fra  Giro- 
lamo non  entrava  egli  nel  fuoco.  E  perchè  Fra  Girolamo  non  entrò  egli  nel 
fuoco?  perchè  dopo  di  aver  tante  volte  detto  ch'egli  era  pronto  a  questa  spe- 
cie di  giudizio  di  Dio,  quando  Francesco  di  Puglia  venne  fuori  colla  sua  esibi- 
zione, il  Savonarola  mostrava  poca  inclinazione  a  confermare  colla  prova  del 
fuoco  la  sua  missione  divina  ?  (3) 

La  questione  l'ha  risolta  Fra  Girolamo  e  assai  bene  ;  la  soluzione  non  è  certo 
difficile  a  intendersi  :  Egli  non  si  era  mai  dichiarato  pronto  a  entrare  nel  fuoco 
per  secondare  il  gusto  o  il  capriccio  di  qualche  privato,  ma  solo  quando  ciò 
volesse  la  Chiesa,  volesse  Roma,  che  aveva  il  diritto  di  giudicare  la  sua  divina 
missione.  Più  chiaramente  si  potrebbe  anche  dir  così:  Alessandro  VI  con  la 
data  de' 21  luglio  1495  aveva  fatto  invito  al  Savonarola  di  recarsi  a  Roma, 
manifestando  il  desiderio  di  parlare  con  lui  per  conoscer  meglio  quel  cbe  a  Dio 
era  piaciuto  rivelargli,  e  quindi  praticarlo  :  e  poi  colla  data  degli  8  settem- 
bre 1495  parve  richiedere  che  quegli  provasse  la  sua  missione  con  qualche 
miracolo  e  fosse  dissipato  ogni  dubbio.  E  il  Savonarola,  levato  ogni  indugio  da 
parte  del  Pontefice  in  por  mano  alla  riforma  della  Chiesa,  si  dichiara  pronto, 
ove  al  Pontefice  e  a'  suoi  teologi  piacesse,  d-i  provare  in  un  concistoro  la 
verità  delle  cose  predicate,  e,  non  riuscendo  in  esso  vittorioso  con  ragioni  na- 
turali, s'offriva  ugualmente  pronto  a  dare  qualche  segno  soprannaturale  ed 
anche  ad  entrar  nel  fuoco.  (4)  A  provar  questo  basta  dare  uno  sguardo  alle 


(*)  Storia  della  controversia  di  Fra  Girolamo  Savonarola  coi  Frati  Minori  trascritta  da  A. 
Conti  dalla  cronaca  del  Padre  Dionisio  Pulinari  minorità.  Archivio  Storico  Italiano,  Serie  III 
voi.  XIII,  pag.  367-375. 

t?l  Frate  Girolamo  Savonarola  giudicato  da  Pietro  Vaglienti  cronista  fiorentino.  Firenze, 
tip.  di  G.  Carnesecchi  e  figli,  1893. 

(')  Vedi  il  Pastor  a  pag.  371. 

(')  Questo  risulta  anche  abbastanza  chiaro  dai  Documenti  pubblicati  dal  Lupi,  ne' quali 
(pag.  55)  si  legge  appunto  quanto  segue  :  «  Ci  sono  due  modi  :  l'uno  che  quegli  con  chi  à  a  faro 
Fra  Girolamo,  f'acessino  capitoli  con  Fra  Girolamo,  cioè  Papa  e  cardinali:  che  se  Kra  Giro- 
lamo perde,  e'  (cioi  i  Domenicani)  sieno  uccisi,  e  scacciati  ecc.:  et  se  vincessi,  che  la  emenda- 
tiono  et  universale  renovatione  si  facci  e  che  qui  si  viva  bone......  Queate  parole  le  diceva  Fra 

Domenico  da  Pescia  alla  Signoria  il  29  marzo  quando  questa  insisteva  che  venisse  col  France- 
scano a  far  la  prova  Fra  Girolamo.  Era  adunque  noto  il  pensiero  e  il  disegno  di  Fra  Giro- 
lamo prima  ancora  ch'egli  pubblicasse  la  llispo&ta  alle  Abiezioni  da  noi  citata. 


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prediche  del  Frate  ;  valga  per  i  molti  che  potremmo  citare  un  luogo  della  XIX 
sopra  Amos  e  Zaccaria  :  «  Or  su,  tutte  le  cose  che  io  v'ho  dette  insino  a  qui, 
o  sieno  cose  future,  o  sieno  di  stato,  o  sieno  quel  che  si  voglia  :  io  vi  dico  che 
io  sono  parato  qua  a  difenderle  e  mostrarvi  che  io  v'  ho  detto  sempre  la  ve- 
rità, confidandomi,  dico,  sempre  in  Cristo,  perchè  da  me  solo  non  lo  potrei 
fare,  ma  lui  difenderà  la  sua  verità.  Signore  mio  Gesù  Cristo,  io  mi  volto  a 
te  ;  tu  fosti  morto  per  la  verità  e  io  sono  contento  per  difendere  e  mostrare 
questa  tua  verità  ancora  io  di  morire;  e  sono  parato  per  te,  Signore  mio,  met- 
ter la  vita  per  la  tua  verità.  Io  mi  vorrei  trovare  in  un  concistoro  dove  io 
avessi  a  difendere  questa  verità;  chè  io  non  mi  curerei  morire  per  quella. 
Scrivete,  voi,  a  Roma,  a  quei  savj  di  Roma,  che  vengano,  che  io  sono  parato  a 
difendere  questa  verità  contra  a  tutto  il  mondo  e  con  ragioni  e  altro  e  con  quel 
che  vorranno.  Io  l'ho  scritto  a  Roma  e  voglio  che  tu  l'intenda  che  sono  pa- 
rato a  ridirmi,  se  io  ho  detto  cosa  nessuna  falsa  ;  e  che  io  no  so  aver  detto 
cosa  alcuna  che  non  sia  la  verità  :  e  che  però  sono  parato  a  difenderla  contra 
tutto  il  mondo:  loro  non  hanno  però  trovato  ancora  cosa  nessuna  falsa  che  io 
abbi  detta  o  scritta  ». 

Anche  qui  si  deve  adunque  dire  e  credere  che  Fra  Girolamo  non  parlava 
a  caso,  nò  da  pazzo,  ma  come  uomo  pieno  di  fede  e  di  sapienza.  Con  quale 
diritto  un  privato  si  levava  a  combattere  le  sue  profezie  con  tali  modi?  «  Noi, 
diceva  il  Savonarola,  non  obblighiamo  nè  esortiamo  alcuno  a  credervi  più  di 
quello  che  si  sente  disposto.  Esortiamo  solo  a  vivere  bene,  e  per  questo  ci 
vuole  il  fuoco  della  carità  e  il  miracolo  della  fede,  tutto  il  resto  non  vale 
nulla....  Di  più,  vogliono  i  nostri  avversarj  provare  con  questo  mezzo  la  nullità 
della  scomunica?  Lo  facciano  a  loro  posta:  noi  non  abbiamo  alcun  bisogno  di 
provare  con  miracoli  quello  che  abbiamo  provalo  con  ragioni,  sappiamo  che 
la  scomunica  è  nulla,  e  perciò  sarebbe  da  parte  nostra  un  tentar  Dio,  chieden- 
dogli per  questo  un  miracolo.  Se  i  nostri  avversarj,  pur  non  facendo  altro  che 
dichiarare  sofistiche  le  nostre  ragioni,  non  riescono  tuttavia  a  confutarle  al- 
trimenti, chiedano  essi  il  miracolo  a  Dio  contro  di  noi.  Quando  l' avranno 
ottenuto,  noi  crederemo  a  loro  e  metteremo  da  parte  ogni  nostro  argo- 
mento ». 

Ci  vuol  poco  a  capire  che  con  Francesco  di  Puglia  Fra  Girolamo  non  aveva 
proprio  nulla  che  fare,  che  qui  non  si  trovava  egli  nel;  caso  del  quale  egli 
aveva  tante  volte  parlato.  Aveva  dunque  ragione  di  rispondere  eh' egli  non  en- 
trava nel  fuoco  col  predicatore  di  Santa  Croce,  «  sopratutto  perchè  questa 
prova  fatta  da  lui  con  un  solo  religioso  non  produrrebbe  nella  Chiesa  il  van- 
taggio che  reclamava  la  grand'  opera  confidala  da  Dio  alle  sue  mani  ». 

Del  resto,  consentaneo  ognora  a  se  stesso,  Fra  Girolamo  «  s'offerse  appa- 
recchiato >  anche  allora  «  d'entrare  nel  fuoco  in  persona  ogni  volta  che  gli  av- 
versarj della  sua  dottrina,  massime  quelli  di  Roma  e  loro  aderenti,  volessero 
commettere  questa  causa  nel  dello  Padre  Francesco  di  Puglia,  o  in  altri;  con- 
fidandosi egli  nel  Signore  Salvatore  Gesù  Cristo,  e  non  dubitando  punto  che 
camminerebbe  incolume  per  quel  fuoco,  non  per  i  suoi  meriti,  ma  per  virtù 


—  580  — 


di  Dio,  il  quale  vorrà  confermare  la  sua  verità  e  manifestare  la  gloria  e  la 
grandezza  sua  ».  (*) 

E  poi  non  aveva  anche  il  Gualberto,  anzi  che  entrare  egli  nel  fuoco,  la- 
sciato entrarvi  uno  de' suoi  religiosi?  A  che  dunque  accusare  il  Savonarola  di 
non  essersi  egli  offerto  di  sostenere  in  persona  l'esperimento?  E  non  era  as- 
sai ridicolo  per  gli  avversai  j  questo  lagno?  Forse  che  diceva  il  falso  Fra  Gi- 
rolamo quando  affermava  eh'  egli  avrebbe  ugualmente  esposto  all'  ira  del  po- 
polo la  sua  persona,  mandando  nel  fuoco  alcuno  de' suoi,  ove  questi  non  vi 
passasse,  per  la  potenza  di  Dio,  illeso?  E  più  ridicola  ancora  ci  apparirà  la 
singolare  pretesa,  se  pensiamo  che  da  prima  il  Francescano  non  aveva  sfidato 
singolarmente  Fra  Girolamo,  ma  Fra  Domenico  solamente;  e  che  per  parte 
del  Savonarola,  non  uno  si  offriva  pronto  a  sostenere  1'  esperimento,  ma  cen- 
tinaia e  centinaia  e  religiosi  e  secolari  e  uomini  e  donne  e  fanciulli.  (*)  Fran- 
camente, invece  di  rimproverare  al  Savonarola  questo  suo  modo  di  vedere, 
si  dovrebbe  lodarlo  degli  sforzi  che  fece  per  impedire  che  l'esperimento 
avesse  luogo;  in  qualsivoglia  modo  bisognerebbe  soprattutto  deplorare  che  al- 
lora egli  non  potesse  concionare  a  tutto  il  popolo  liberamente,  e  sventare 
colla  forza  della  sua  parola  le  trame  degli  Arrabbiati.  (3) 

Ma  oramai  le  cose  eran  giunte  a  tale  eh'  ogni  tentativo  di  più  resistere 
era  inutile,  se  Fra  Girolamo  non  voleva  mettere  a  troppo  serio  pericolo  sè  e 
i  suoi,  e  lasciar  ruinare  una  riforma  che  già  s'  era  tratta  a  buon  punto,  e 
poteva  sembrare  possibile  riavviarla.  (4) 


(')  Queste  e  più  altre  cose  diceva  il  Savonarola  nella  Itisposta  di  Frate  Girolamo  da  Fer- 
rara dell'Ordine  de'  Predicatori  a  certe  obiezioni  fatte  circa  lo  esperimento  dello  entrare  nel  fuoco 
per  la  verità  da  lui  predicata.  Vedi  il  Bayonne,  Oeuv>'es  spirituelles,  ecc.,  tom.  Ili,  pag.  290 
e  seg.,  e  PAquarone  loc.  cit.,  pag.  78-79,  e  il  Villaii,  li,  pag.  148  e  seg.  L'ultimo  pensiero  che 
abbiamo  citato  passò  anche  per  mezzo  del  Burlamacchi  sotto  gli  occhi  del  Perrens,  il  quale 
scrive  appunto  del  Savonarola:  ♦  Il  dùclara  qu'  il  était  prèt  à  entrer  dans  le  feu,  pourvu  que 
tous  les  ambassadeurs  de  tous  les  princes  chrétiens  fussent  presenta,  y  compris  le  légat  du 
Pape,  et  qu'  on  l'autorisàt,  s' il  sortait  inctat  du  bùcber,  à  commencer  immédiatement  la  ró- 
forme  de  l'Èglise  ».  (Pag.  215.) 

(')  Ecco  a  questo  proposito  un  documento  molto  significativo.  E  una  lettera  di  Griro- 
lamo  Bencivieni  a  don  Francesco  Fortunati,  pievano  di  Cascina,  e  si  legge  tra  i  documenti 
presso  il  Gherardi  a  pag.  216.  «  El  predicatore  di  Sancta  Croce,  domenica  passata,  invitò 
qualunque  vuole  sosti  nere  che  la  exeommunicatione  contro  a  F.  Hieronymo  non  tenessi  a 
entrare  nel  fuoco:  affhmando  però  che  lui  arderebbe,  et  che  se  quello  che  vi  entrava  seco  non 
ardessi,  che  alhora  si  credessi  a  Fra  Hieronymo.  Ho  trovato  molti  riscontri,  maxime  frate 
Domenico  da  Pescia,  el  quale  manu  propria  s'è  obbligato  a  entrare  con  lui  nel  fuoco,  ecc. 
Ipse  mine  fugam  queiit,  et  dice  non  volere  fare  questo  experimento  nisi  cum  frate  Hiero- 
nymo. El  quale  F.  Hieronymo  dice  essere  contento,  ubi  frater  Dominicus  deficiat  in  igne, 
entrarvi  ancor  lui.  La  cosa  è  in  mano  de  la  Signoria  :  et  qui  sono  tanti  che  desiderano  entrare 
in  questo  fuoco  che  è  uno  stupore,  cosi  secolari  come  religiosi,  come  l'emine  et  giovanetti. 
Diresti  che  fussino  invitati  a  nozze.  In  modo  che,  invitando  hiermattina  in  pubblico  F.  Do- 
menico ad  questo,  etc.,  si  levorono  a  un  tratto  molte  donne  gridando:  —  Io,  io,  —  etc.  Credo 
però  che  questa  cosa  si  risolverà  in  fumo:  benché  per  questi  di  San  Marco  si  spinga  molto 
et  solleciti,  1 t  per  la  via  dol  Vicario  de  lo  Arcivescovo  et  de' Signori.  Se  altro  accadrà,  ne  sa- 
rete avvisato.  Valeto.  Florentiae,  XXVIII  martii  1498. 

(3)  Veggasi  il  processo  a  pag.  olzzij,  e  cfr.  nel  Villaii,  volume  II. 

(4)  «  Savonarole  voyait  dans  cette  épreuve  autre  choso  que  la  mort  d'un  homme;  il  se 
voyait  ruinó  dans  son  crédit,  pent-étre  massaci  é  avec  tous  scs  religieux  et  ses  principali! 


—  581  — 


«  La  lotta  era  ingaggiata  con  violenza.  Le  antiche  tradizioni,  il  vivo  ri- 
cordo della  cacciata  recente  dei  Medici  e  della  storia  fortunosa  dogli  ultimi 
anni,  la  singolare  posizione  che  in  rispetto  all'  Italia  conservava  Firenze,  città 
retta  in  nome  di  Cristo  Re  da  un  frate  profeta  che  ha  rollo  la  guerra  al  clas- 
sicismo paganizzante,  le  amare  disillusioni  provate  neh'  amicizia  francese,  la 
guerra,  le  insidiose  offerte,  lutto  concorre  a  costituire  una  condizione  storica 
che  appena  ci  è  dato  d'immaginare  con  tulio  lo  sforzo  della  nostra  fantasia, 
ma  che  non  possiamo  riprodurre  pienamente  dentro  di  noi.  Quest'isola  in- 
fuocata in  mezzo  al  mare  stagnante  dell' Italia  all' esordire  della  seconda  epoca 
del  Rinascimento,  subiva  la  suprema  fra  le  crisi  ».  (4) 

Acconsentì  adunque  anch'  egli  il  Savonarola  che  il  suo  Fra  Domenico 
entrasse  nel  fuoco  per  provare  le  seguenti  proposizioni: 

«  La  Chiesa  di  Dio  ha  bisogno  di  Riforma,  sarà  prima  flagellata,  e  poi 
rinnoverassi. 

«  La  città  di  Firenze  anche,  dopo  li  flagelli,  si  rinnoverà  e  prospererà. 

«  E  che  gì'  Infedeli  si  convertirebbono:  e  che  tutte  queste  cose  hanno  ad 
essere  a'  nostri  tempi. 

«  E  di  più  che  la  scomunicazione  di  nuovo  fatta  contro  il  Reverendo 
Padre  Fra  Girolamo  è  nulla  e  invalida:  e  di  più,  chi  non  1'  osserva  non 
pecca  ».  (2J 

Per  parte  di  Francesco  di  Puglia,  che  si  ritirava,  entrerebbe  nel  fuoco 
Fra  Andrea  Rondinelli  del  medesimo  ordine.  Singolare  è  la  diversità  della  fede 
che  mostravano  le  parti  in  questa  lotta:  Fra  Girolamo,  Fra  Domenico  da  Pe- 
scia  e  tutti  i  Piagnoni  mostravano  tede  certa  eh'  uscirebbero  illesi;  e  gli  av- 
versarj  dichiaravano  eh'  essi  credevano  di  restarvi  morti.  Merita  la  pena  che 
sentiamo  la  sottoscrizione  fatta  dalle  parli  avanti  la  Signoria. 

«  Io  Fra  Girolamo  da  Ferrara  Vicario  indegno  della  Congregazione  di  San 
Marco  dell'  Ordine  de'  Predicatori  de  1'  Osservanza  accetto  tutte  le  offerte  dei 
Frati  sottoscritti,  e  di  tutti  i  Frati  che  si  trovano  in  San  Marco  e  in  San  Do- 
menico di  Fiesole,  e  prometto  dare  uno,  2,  3  o  4  o  lo,  e  tutti  quelli  che  sarà 
di  bisogno,  cioè,  per  entrar  nel  fuoco  a  probazione  della  verità  la  quale  io  pre- 
dico :  e  confiJomi  nel  Signore  e  Salvatore  nostro  Gesù  Cristo  e  nella  sua 
Evangelica  vita,  che  ciascuno  che  io  darò  ne  uscirà  illeso;  e  quando  di  que- 
sto dubitassi  punto,  non  gli  darei,  per  non  esser  di  loro  omicidiale:  e  in  se- 
gno di  ciò,  ho  fatto  questa  sottoscrizione  di  mia  propria  mano  a  laude  e  gloria 
dell' omnipotente  Iddio,  e  a  salute  dell'anime  e  a  conservazione  della  verità 
del  Salvatore  nostro  Gesù  Cristo,  il  quale  solo  fa  cose  grandi  e  inescogitabili 
senza  numero,  al  quale  sia  onore  e  imperio.  Amen  ». 

partisans,  il  craignait  surtout  de  compromettre  lo  snecès  d'une  réforme  qui  était  en  si  bonne 
voie.  Ses  prévisions  étaient  justes  ».  Perrens,  pag.  245.  Raccomandiamo  al  lettore  special- 
mente la  lettera  che  i  frati  di  San  Marco  spedirono  al  Papa.  Si  legge  presso  il  Gherard^ 
pag.  219. 

(')  Cipolla,  Storia  delle  Signorie,  pag.  753. 
(2)  Vedi  Quétif,  II,  pag.  318. 


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Ugual  suono  hanno  le  altre  sottoscrizioni  de'  Frati  di  San  Marco.  (/)  Ma 
quella  di  Fra  Andrea  Rondinelli,  suona  invece  così  :  «  Io  Fra  Andrea  Rondi- 
nelli  dell'Ordine  de' Minori  mi  obbligo  ad  entrar  nel  fuoco  col  sopra  detto 
Frate.  E  in  fede  di  ciò  ho  fatto  questi  due  versi  di  mia  propria  mano,  ben  che 
io  creda  ardere,  ma  per  salute  dell'anime  sono  molto  contento:  questo  dì  30 
marzo  1498  ». 

Ugual  suono  o  poco  dissimile  ha  1'  atto  di  Fra  Francesco  di  Puglia. 

Qui  ci  si  parano  innanzi  moltissime  cose:  il  contegno  della  Signoria,  degli 
Arrabbiati,  de' Piagnoni,  d'Alessandro  VI  e  della  Curia  Pontificia  sono  tutti 
punti  che  lo  storico  del  Savonarola  deve  trattare  e  presentano  ancora  non 
poco  da  chiarire  e  da  compiere  e  precisare  ;  ma  noi  per  l' intento  dello  scritto 
presente  possiamo  passarcene,  non  potendo,  qualunque  cosa  si  dica  o  pensi, 
trarvi  nulla  contro  a  Fra  Girolamo.  E  del  pari  ci  passeremo  di  narrare  le  pre- 
ghiere fatte  da' Domenicani  la  mattina  dell'esperimento,  e  del  come  si  reca- 
rono in  piazza  essi  e  i  Francescani  (2),  nè  ci  lascieremo  trarre  a  descrivere 
1'  aspetto  che  la  Piazza  della  Signoria  presentava  il  giorno  famoso.  Son  queste 
cose  facili  a  leggersi  negli  storici  tutti  del  tempo  e  ne'successivi.  Non  ispende- 
remo  nemmeno  parole  in  mostrare  la  macchina  di  fuoco  per  la  quale  dove- 
vano passeggiare  i  due  campioni.  Anche  queste  son  cose  nelle  quali  la 
vita  e  la  dottrina  del  Savonarola  non  entrano  affatto,  e  da  tutto  quello  che  ne 
fu  detto  e  scritto  non  si  può  nè  si  potrà  mai  togliere  motivo  di  movere  accusa 
di  nessuna  sorta  al  nostro  Maestro.  (3)  Piuttosto  preme  il  vedere  che  cosa  pas- 

(')  Ecco  quella  di  Fra  Domenico  da  Pescia:  c  Io  Irate  Domenico  da  Pescia  dell'Ordine 
dei  Predicatori,  di  propria  mano  mi  soscrivo  et  obbligo  a  sostenere  le  predecte  conclusioni, 
non  solo  con  le  ragioni,  ma  confidandomi  nell'adiutorio  di  Dio,  mi  expongho  et  obligho  ad 
entrare  col  predicatore  de'  frati  Minori  predicante  al  presente  in  Santa  Croce,  nel  fuoco  in 
publico,  sperando  per  virtù  di  Dio  Salvatore,  ad  sua  gloria  et  ad  confermatione  di  questa  ve- 
rità et  ad  utilità  delle  anime,  uscire  illeso  et  salvo  per  Cristum  Dominum  Nostrum,  qui  cum 
Patre,  Spiritu  Sancto  vivit  et  regnat  in  secula  seculorum  >.  Marchese,  Doc.  XXIV. 

(s)  Il  Pastor  a  questo  punto  dice  e  nota  come  i  francescani  si  erano  quietamente...  in 
forma  semplice  recati  in  piazza  per  non  far  chiasso...,  mentre  i  domenicani  vi  giunsero  in 
solenne  processione  e  pregavano  ad  alta  voce.  Il  fatto  è  notato  da  molti;  ma  se,  come  pare 
dal  contesto,  il  Pastor  intonde  con  ciò  disapprovare  in  qualsivoglia  misura  i  domenicani, 
noi  confessiamo  di  non  veder  punto  il  perchè  un  cattolico  possa  far  questo. 

(3)  Per  il  contegno  della  Signoria  il  lettore  potrebbe  vedere  il  Villari,  Lib.  IV,  cap.  VII, 
per  quello  di  Alessandro  VI,  il  Gherardi,  pag.  217  e  seguenti,  e  confrontare  anche  il  Bayonno, 
Ètude  ecc.,  pag.  185  e  seguenti.  Ecco,  se  alcuno  dei  lettori  lo  desiderasse,  in  breve  le  altre 
cose  come  si  leggono  nel  Landucci:  «  E  a  dì  7,  fu  ordinato  in  Piazza  de' Signori  nn  pal- 
chetto lungo  braccia  50  e  largo  braccia  10  e  alto  braccia  4,  e  fu  fondato  in  corte  capro  di  le- 
gname, in  sul  quale  fu  fatto  da  ogni  sponda  un  muricciuolo  di  mattoni  crudi,  alto  brac- 
cia e  nel  mezzo  missono  ghiaia  e  calcinacci,  e  in  effotto  tutto  coperto  che  '1  fuoco  non 
potessi  trovare  l'asse  e '1  legname;  e  in  su  detto  palchetto  fu  fatto  a  ogni  sponda  legne 
grosse  a  uso  di  cataste,  alte  braccia  21  „,  tutto  il  palchetto  quanto  era  lungo,  lasciarono  da 
ogni  tosta  senza  lcgne  braccia  4,  intanto  che  le  legne  erano  lunghe  braccia  40  da  ogni  lato  : 
e  lasciorono  in  quel  mezzo  braccia  2  di  spazio  d'onde  s'aveva  a  passare:  e  di  fuora  e  dentro 
a  dette  legne  si  rizzò  molte  scopo  e  frasconi  in  modo  che  restò  un  braccio  di  luogo  l'andito; 
e  più  vi  fu  gettato  su  olio,  acqua  arzente  e  altre  ragie  perchè  meglio  ardessi.  E  dato  l'ora 
in  detto  di  a  ore  17  si  dovessino  appresentare  in  Piazza  detti  Prati  di  San  Marco  e  di  S.  Fran- 
cesco, e'  quali  dovessino  fare  lo  sperimento  del  fuoco,  come  s'erano  patteggiati  e  soscritti  ; 


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sasse  là  sopra  il  luogo,  e  tanto  più  questo  ci  preme,  in  quanto  che,  pure  es- 
sendo noto,  non  pare  sia  stato  spiegato  in  modo  che  del  tutto  soddisfaccia  e 
appaghi. 

<  Tutto  era  pronto  »  dice  il  Pastor  «  ma  ora  sorsero  varj  pareri  circa  a 
quello  che  ciascuno  dei  due  campioni  potesse  recar  seco  nelle  fiamme....  Fra 
Domenico,  cioè,  insisteva  di  portar  con  sè  il  Crocefisso,  a)  che  i  Francescani 
non  volevano  assentire.  Mentre  che  dalle  due  parti  andavano  e  venivano  messi 
per  intendersi  sui  punti  controversi,  un  subitaneo  rovescio  di  pioggia  minac- 
ciava di  mandar  tutto  a  male  ;  se  non  che  la  bramosia  del  popolo  eccitato  al 
sommo  era  tanto  grande,  che  esso  tenne  saldo,  tanto  più  che  la  pioggia,  ve- 
nuta ad  un  tratto,  cessava  del  pari  inaspettatamente.  Fra  Domenico  replicava 
nondimeno  che  monterebbe  il  palco  col  Crocefisso;  da  ultimo  dichiarò  di  voler 
prendere  seco  l'Ostia,  invece  della  Croce.  Contro  di  che  levossi  una  protesta 
generale,  non  solo  da  parte  de'  Francescani,  ma  anche  fra  il  popolo,  perchè 
giustamente  vi  si  scorgeva  una  profanazione  del  Sacramento.  Il  Savonarola 
e  fra  Domenico  da  Pescia  la  pensavano  altrimenti:  quest'ultimo  ha  poi  con- 
fessato che  non  si  era  voluto  arrendere,  perchè  gli  angeli  del  sonnambulo  fra 
Silvestro  avevano  espressamente  comandato  si  entrasse  nel  fuoco  col  Santis- 
simo. Soltanto  dall'  influenza  che  Fra  Silvestro  esercitava  sul  Savonarola  può 
spiegarsi  come  il  Frate  di  San  Marco  si  mostrasse  in  ciò  altrettanto  irremovi- 
bile. Come  prete  eh'  egli  era,  doveva  tuttavia  sapere  che  i  sacri  canoni  inter- 
dicono coi  termini  più  severi  1'  usare  il  Santissimo  Sacramento  a  prove  perso- 
nali; il  corpo  del  Signore  non  deve  servire  che  all'  adorazione  e  alla  comunione 
de'  fedeli  nella  Chiesa.  Il  Savonarola  pareva  1'  avesse  del  tutto  dimenticato. 
Egli  dichiarava  che  i  soli  accidenti  abbrucerebbero,  e  resterebbe  intatto  il  Sa- 
cramento, confortando  tale  opinione  coll'autorità  di  sacri  dottori,  mentre  i  Fran- 
cescani non  meno  ostinatamente  difendevano  la  loro  sentenza.  In  questo  mezzo 
il  giorno  declinava,  e  gli  avversarj  del  Savonarola  presero  un  atteggiamento 
sempre  più  minaccioso.  Alla  Signoria  non  restava  che  intimare  alle  due  parti 
di  allontanarsi.  Ma  ora  la  tolleranza  della  moltitudine,  delusa  nella  sua  aspet- 
tazione di  un  giudizio  di  Dio,  ebbe  termine.  Naturalmente  essa  volse  le  sue  ire 
contro  i  Domenicani;  —  la  loro  pretensione  di  volere  entrare  nel  fuoco  sola- 
mente col  Crocifisso  o  col  Santissimo  in  mano,  venne  interpretata  come  un'of- 


che  dalla  parte  di  San  Marco  dovessi  entrar  fra  Domenico  da  Pescia,  e  dalle  parte  di  San  Fran- 
cesco dovessi  entrare  fra  Giuliano  de'  Rondinelli  dell'Osservanza.  E  a  l'ora  data  giunse  quei 
di  San  Francesco  e  entrorono  nella  Loggia  dei  Signori,  la  quale  avevano  diviso  per  mezzo 
collo  steccato,  e  stettono  inverso  San  Piero  Scaraggio  sanza  dir  niente.  E  poi  venne  quei 
di  San  Marco  con  grandissima  divozione,  grande  numero  di  frati,  circa  260,  a  coppie  a  coppie, 
e  poi  frate  Domenico  con  uno  Crocifisso  in  mano;  e  di  poi  frate  Girolamo  con  il  Corpo  di 
Cristo  in  mano  :  e  aveva  dietro  un  gran  popolo  con  molti  torchi  e  lumi,  cantando  e  salmeg- 
giando con  grande  divozione:  entrati  nella  Loggia,  avevano  parato  uno  altare  e  cantaronvi 
una  Messa;  di  poi  el  popolo  aspettava  questo  grande  spettacolo.  E  stando  più  ore.  si  mara- 
vigliava el  popolo,  e  la  cagione  era  che  avevano  differenzia;  che  quei  di  San  Francesco 
vollono  che  frate  Domenico  si  cavasse  insino  alle  mutande,  dicendo  che  era  incantato,  e  lui 
fu  contento;  poi  gli  missono  un'altra  cosa  che  non  v'andassi  col  Corpo  di  Cristo  ». 


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fesa  del  Santissimo.  —  L'impressione  che  tutto  ciò  fece  sul  popolo  fu  tanto  più 
sinistra,  in  quanto  che  il  Francescano  sarebbe  stato  pronto  a<l  entrare  senz'al- 
tro nel  fuoco,  nè  aveva  mostrato  pretese  di  uno  scampo  miracoloso.  Univer- 
salmente si  riprovava  l'indegno  e  illecito  procedere  del  Savonarola  e  della  sua 
fazione,  la  quale  sola  aveva  sostenuto  che  avverrebbe  un  miracolo;  prevalse 
in  fine  l'opinione  che  qui  non  si  era  speculato  che  sull'inganno.  Se  era  così 
sicuro  del  fatto  suo,  così  diceva  il  popolo,  perchè  non  sostenere  egli  in  persona 
l'esperimento?  A  qual  fine  insisteva  egli  che  il  suo  confratello  non  andasse 
nel  fuoco,  se  non  col  Santissimo?  Eziandio  devoti  del  profeta  dicevano  ch'egli 
avrebbe  dovuto  entrar  solo  nel  fuoco,  per  dar  in  fine  un  argomento  inelutta- 
bile della  sua  missione  divina.  Cosi  in  un  sol  giorno  il  Savonarola  aveva  inte- 
ramente perduto  presso  la  moltitudine  la  sua  aureola  di  profeta  divino.  La  sua 
sorte  era  decisa.  Dopoché  le  turbe,  eh'  egli  aveva  una  volta  confermate  nella 
credenza  in  tali  segni  esteriori,  come  quello  della  prova  del  fuoco,  si  videro 
ingannate  nella  loro  aspettazione,  la  loro  vendetta  doveva  essere  spietata  come 
in  generale  ogni  vendetta  del  popolo,  che  si  senta  deluso  nella  sua  dignità  e 
aspettazione  ». 

Quante  cose  bisognerebbe  osservar  qui!  Per  rimettere  tutto  a  posto,  emen- 
dare le  inesattezze  e  ribattere  gli  errori  si  richiederebbero  almeno  cento  pagine! 
È  però  facile  il  capire  che  l'egregio  uomo  qui  considera  la  cosa  molto  esterna- 
mente e  coli'  occhio  alla  sola  scorza,  senza  penetrare  col  suo  intelletto  da 
cattolico  e  col  suo  criterio  da  storico  nel  midollo  di  quella. 

E  vero  esattamente  che  sorgessero  varj  pareri  circa  a  quello  che  ciascuno 
dei  due  campioni  poteva  recar  seco  nelle  fiamme  ?  Io  non  trovo  affatto  affatto 
che  Fra  Girolamo  od  altri  limitasse  in  ciò  comechessia  la  libertà  de'  France- 
scani: i  frati  di  San  Marco  non  sollevarono"  nessuna  questione  al  riguardo. 
Così  ancora  è  proprio  certo  il  Pastor  che  Fra  Domenico  volesse  prima  recar 
seco  nel  fuoco  un  gran  Crocifisso  e  poi  da  ultimo,  negandogli  questo,  vo- 
lesse recarvi  il  Sacramento?  Io  certo  non  sono;  ma  credo  assai  più  proba- 
bile 1'  opinione  di  coloro  che  parlano  invece  della  croce  rossa  distintivo  de' sa- 
vonaroliani,  simbolo  de' patimenti  eli' essi  dovevano  esser  pronti  a  sostene- 
re, (*)  e  dicono  che  con  quella  e  insieme  col  Sacramento  il  Domenicano  voleva 
entrare  nelle  fiamme,  e  che  mai  ad  ogni  modo  vi  sarebbe  entrato  con  solo  il 
Crocifisso.  Lascio  che  Fra  Domenico  non  s'  era  voluto  arrendere  e  entrar  nel 
fuoco  senza  l'Ostia,  perchè  gli  Angeli  del  sonnarnbolo  Fra  Silvestro  così  vo- 
levano. Ciò  detto  così  come  lo  dice  il  Pastor  non  mi  sembra  abbastanza  serio. 
Lascio  tutte  queste  e  più  altre  cose,  come  sarebbe  quella  che  la  fazione  del 
Savonarola  avesse  sostenuto,  come  lo  dice  il  Pastor,  che  avverrebbe  il  mira- 
colo; (2)  ina  pur  vorrei  chiedere  una  qualche  prova  di  quanto  è  asserito  della 

(')  Vedi  sopra  Capit.  XII,  pag.  138,  1H9. 

(J)  Vedi  il  discorso  del  Savonarola  più  volte  citato,  e  vi  troverai  semplicemente  ohe, 
ove  lo  esperimento  si  l'osse  fatto,  il  miracolo  egli  ora  certo  elio  avverrebbe,  ma  non  poteva 
però  assicurare  che  l'esperi  monto  avrebbe  avuto  luogo. 


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moltitudine,  cioè  ch'essa  interpretasse  davvero  come  un'  offesa  al  Sacramento 
il  voler  Fra  Domenico  entrar  con  esso  nel  fuoco;  e  più  ancora  vorrei  una 
qualche  prova  che  davvero  fosse  indegno  e  illecito  non  solo  il  procedere  del  Sa- 
vonarola, ma  anche  della  sua  fazione.  Di  più,  è  vero  che  qui  non  si  era  se  non 
speculato  sull'inganno?  E  se  mai,  son  proprio  il  Savonarola  ed  i  Piagnoni  che 
abbiano  ciò  fatto?  Queste  asserzioni  a  noi  pare  che  non  s'abbiano  da 
scrittori  gravi  a  buttar  fuori  così  alla  leggiera  e  sprovviste  d'  ogni  argomento 
che  le  conforti. 

In  verità,  il  seguire  piuttosto  il  Somenzi  che  non  Fra  Benedetto,  il 
Violi,  il  Burlamacchi  e  una  serie  innumerevole  di  altri  intemerati  può  esser 
lecito;  ma  bisognerebbe  prima  assicurarci  che  il  Somenzi,  brutto  arnese  nelle 
mani  del  Moro,  il  quale  adoperò  ogni  fatta  di  menzogne  e  di  calunnie  per  ro- 
vinare il  Frate  e  i  frateschi,  in  questo  caso  non  mentiva  e  non  calunniava  per 
la  millesima  volta.  E  del  pari  lecito  il  seguire  il  Pianke  contro  il  Villari,  e  ri- 
pudiare, col  primo,  «  la  leggenda  domenicana,  sostanzialmente  ripetuta  dal 
secondo  »;  ma  qual  piagnone  sarà  indiscreto  se  anche  qui  domanderà  ragioni 
che  dimostrino  la  leggenda  domenicana  non  esser  conforme  alla  verità  ?  (*J 


(l)  Il  Pastor  colla  sua  critica  avversa  a  Fra  Girolamo,  rigetta  col  Kanke  la  leggenda 
domenicana,  che  sta  nel  Violi  e  Burlamacchi  e  venne  dal  Villari  sostanzialmente  ripetuta,  e 
segue  il  Cerretani  e  s'appoggia  al  Somenzi  e  finisce  con  notare  che  c  contro  la  descrizione 
tendenziosa  dell'esperimento  del  fuoco  si  è  risolutamente  dichiarato  anche  il  Pellegrini  nel 
Giornale  st.  di  Lett.  ital.  XII,  262  e  seg.  A  noi  parrebbe  che,  invece  di  fare  tutte  queste  asser- 
zioni, lo  storico  d'Innsbruck  avrebbe  fors<5  recato  maggior  vantaggio  alla  storia,  se  avesse 
discusso  con  sana  critica  la  questione  e  dette  le  ragioni  per  le  quali  egli  crede  che  il  Violi, 
il  Burlamacchi  e  fra  Benedetto  non  siano  in  questo  punto  da  seguire,  e  ribattuto  gli  ar- 
gomenti che  gli  altri,  e  son  pur  molti,  col  Villari,  addussero  a  provare  il  contrario.  Con  quale 
diritto  potrebbe  chiedere  l'autorità  del  Pastor  che  noi  si  creda  all'asserzione  assoluta  e  gra- 
tuita che  egli  qui  emette?  A  buon  conto  il  Ranke,  a  cui  egli  s'appoggia,  ha  trovato  varj  e 
serj  contraditori,  nè  si  può  ritenere  per  uno  di  quelli  che  abbian  capito  meglio  il  Savona- 
rola. Ci  pare  poi  che  al  Pellegrini  il  Pastor  faccia  dire  troppo  più  ch'egli  non  dica,  nè  so  se 
questi  vorrà  sottoscrivere  senz'altro  alle  parole  di  quello.  Ma  lasciando  ciò,  io  credo  proprio 
che  non  vi  sia  alcun  bisogno  di  ricorrere  nè  al  Violi,  né  al  Burlamacchi,  nè  a  fra  Benedetto 
per  aver  prove  della  verità  della  «  descrizione  tendenziosa  dell'esperimento  del  fuoco  ».  Mi 
basta  il  pensare  alle  trame  che  la  Signoria  attuale  d'accordo  cogli  Arrabbiati,  i  Compagnacci 
e  il  Moro,  tendevano  al  Frate  di  San  Marco  E  se  questo  non  bastasse,  non  sarebbe  difficile 
ohe  io  mi  facessi  persuaso  che  chi  voleva  e  regolava  l'esperimento  era  proprio  la  Signoria, 
badando  non  alla  leggenda  domenicana,  ma  a  quanto  mi  dicono  il  Somenzi  e  i  Francescani. 
Infatti  quegli  con  la  data  de' 29  marzo  1198  scrive  al  suo  signore,  narrandogli  del  come  era 
nata  la  sfida  e  soggiunge:  c  E  per  essere  questa  una  cosa  di  qualità  e  sorte,  che  dà  qualche 
e  non  piccola  alterazione  a  questo  popolo,  per  le  parti  sono  in  queste  trame  di  frate  Hiero- 
nimo,  è  parso  a  questa  Signoria  volergli  portare  rimedio  ;  e  però  hanno  mandato  per  detto 
Frate  Domenico  e  frate  Francesco,  e  li  hanuo  su  nel  loro  Palazzo  in  quest'ora  che  è  la  prima 
di  notte,  e  hanno  provveduto  che  non  vi  possa  andare  persona  alcun*  in  detto  Palazzo,  mas- 
sime nella  parte  di  sopra  dove  abitano  essi  Signori.  Per  il  presente  non  si  può  sapere  quel 
ohe  vogliono  fare  e  quel  che  abbia  a  seguire;  ma  del  tutto  ne  darò  avviso  all'È.  V.  per  altra 
cavalcata.  Quasi  stima  questa  cosa  non  essere  di  poco  momento,  videlicet  ohe  porta  pericolo 
di  qualche  scandalo  ».  Il  significato  di  queste  parole  per  chi  ha  letto  gli  altri  dispacci  del 
Somenzi  rit  sce  chiaro  e  non  richiede  commento.  Bel  resto  con  la  data  de' 7  aprile,  ripigliata 
la  narrazione  del  fatto  medesimo  e  toccato  un'altra  volta  della  contenzione  che  era  tra  i 
Frati,  quest'oratore  ripete:  «  Avviso  la  S.  V.  che  questi  Eccellentissimi  Signori  per  ovviare 
agl'inconvenienti  che  alle  volte  potriano  succedere  per  simili  controversie,  massime  andando 


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«  Il  Francescano,  segue  il  Pastor,  sarebbe  stato  pronto  ad  entrare  sen- 
z'  altro  nel  fuoco       >  Può  esser  vero  anche  questo,  ma  la  frase  ha  dell'  ain- 


ogni  di  questa  cosa  più  avanti,  deliberarono  ieri  di  dargli  un  fine.  E  però  mandarono  a  di- 
mandare li  detti  frati,  videlicet  quello  di  San  Francesco  e  quello  di  San  Domenico,  cioè  il 
compagno  di  frate  Hieronimo;  e  come  furono  alla  presenza  di  Sue  Signorie,  gli  dissero  se 
perseveravano  in  proposito  di  voler  fare  l'effetto  di  quello  andavano  dicendo,  cioè  volere 
fare  esperienza  col  fuoco  che  quello  dicevano  tra  vero.  Essi  frati  risposero  che  si,  ben- 
ché Irate  Domenico  stesse  prima  un  pezzo  a  contendere  avanti  ch'egli  volesse  stare  d'ac- 
cordo. Ma  instando  la  Signoria  che  omnino  volessero  lare  risoluzione  di  quello  volevano 
fare,  alla  fine  si  risolvetero  di  volere  fare  tale  esperienza  al  piacere  di  loro  Signorie,  cioè 
quando  volevano.  Essi  Signori  dissero  volere  che  si  facesse  oggi  tra  le  16  e  le  19  ore,  e  però 
che  si  dovessero  andare  a  preparare  per  fare  il  detto  effetto  ». 

Qui  ne  pare  che  già  sia  difficile  il  dubitare  che  il  merito  di  quest'esperimento  il  So- 
menzi voleva  che  il  Moro  1'  attribuisse  a'  Signori,  e  quindi  indirettamente  anche  a  sè.  che 
aveva  fatto  tanto  per  volgere  contro  a  Fra  Girolamo  e  il  Popolo  e  la  Signoria  stessa.  È  un 
fatto  che  non  sono  i  Frati  che  abbiano  cercato  la  Signoria,  ma  la  Signoria  che  cercò  i  frati  e 
insistè  perchè  l'esperimento  si  facesse.  Questo  riesce  più  chiaro  da  quello  che  il  Pastor  po- 
trebbe anche  chiamare  leggenda  francescana.  Ecco  come  il  Padre  Dionisio  Pulinari  di 
quei  di  San  Francesco  trae  da  Fra  Mariano,  testimonio  oculare,  la  narrazione  deila  controversia 
de' suoi  Frati  con  Girolamo  Savonarola.  «  Fra  Domenico  incominciò  con  parole  solamente 
a  offrirsi  di  voler  mostrar  segni-  E  fra  Francesco  della  Puglia  che  predicava  in  Santa  Croce 
virilmente  difondendo  1'  autorità  della  Chiesa  Santa  mostrando  al  popolo  di  Firenze,  che 
egli  era  ingannato;  e  fra  Domenico  si  sforzava  di  difendere  i  detti  e  fatti  loro.  Onde  una 
domenica  mattina  fece  attaccare  alle  porte  di  Santa  Croce  alcune  conclusioni,  la  prima  delle 
quali  era  questa:  la  scomunica  poco  fa  data  contro  del  P.  R.  Fra  Girolamo,  è  nulla;  la  se- 
conda, quei  che  non  la  servano,  non  peccano;  offerendosi  di  provarla  con  ragioni  e  segni 
soprannaturali,  purché  qualcheduno  volesse  concorrere  con  lui  all'esperimento.  Le  quai  leg- 
gendo fra  Francesco,  accettò  l'invito  e  si  offerse  di  entrar  nel  fuoco  con  fra  Domenico  Fat- 
toraccio  solamente.  Ei  voleva  entrare  con  le  parole;  però  si  diniodo  crebbero  le  mormora- 
zioni, eh'  egli  era  una  grandissima  mormorazione  e  sedizione  nella  città.  Onde  li  Signori  di 
Firenze,  per  porre  la  città  in  pace  e  quiete,  furono  sforzati  di  chiamare  a  loro  ambidue  li 
predicatori,  acciò  mettessero  a  effetto  quello  che  avevano  detto.  E  trovandoli  pronti  a  far 
quello  che  avevano  offerto,  li  fecero  sottoscrivere.  Fra  Domenico  Fattoraccio  si  offerse  di 
entrare  nel  fuoco  e  si  sottoscrisse  col  predicatore  di  S.  Croce.  Fra  Francesco  si  sottoscrisse 
e  si  offerse  di  entrarvi  con  fra  Girolamo,  ma  che  con  fra  Domenico  Fattoraccio  entrerebbe 
un  altro.  Questa  offerta  di  entrare  nel  fuoco  non  era  piaciuta  a  fra  Girolamo,  ma  v'accon- 
sentiva per  mantenere  la  sua  riputazione;  purché  non  v'entrasse  lui,  ma  un  altro.  E  li  frati 
ancora  loro  non  volsero  acconsentire  che  v'entrasse  Fra  Francesco  se  non  con  Fra  Giro- 
lamo. Ma  offersero  che  con  fra  Domenico  Fattoraccio  entrerebbe  un  frate  Giuliano 
Rondinella  »  Quante  cose  sarebbero  degne  di  nota  qui!  Dapprima  Fra  Francesco  della  Pu- 
glia «  s'offerse  d'entrar  nel  fuoco  con  fra  Domenico  solamente»;  poi  dinanzi  ai  Signori  la 
oosa  muta:  ivi  egli  si  sottoscrive  e  si  offre  d'entrarvi  con  Kra  Girolamo....  ».  Perchè  questo 
cambiamento?  Non  v'avrà  proprio  avuto  nessuna  parte  la  malizia  della  Signoria?  non  vi 
sarà  entrato  qui  punto  il  desiderio  di  trarre  a  forza  in  queste  faccende  anche  Fra  Giro- 
lamo? Ma  lasciamo  ciò,  non  risulta  egli  da  questo  passo  evidente  che  l'esperimento  non  si 
sarebbe  fatto  se  la  Signoria  non  chiamava  a  sè  spontaneamente  i  campioni,  acciocché 
mettessero  ad  effetto  quello  che  avevano  detto?  Non  è  la  Signoria  che  li  fa  sottoscrivere? 
Non  v'  era  altro  mezzo  per  quietai-  la  città?  Ora  che  questa  Signoria  o  almeno  la  sua  mag- 
gioranza fosse  avversa  al  Frate  e  ligia  la  Moro,  dopo  i  documenti  pubblicati  dal  Villari, 
da  I.  Del  Lungo,  dal  C.  Lupi  abbiamo  noi  altro  bisogno  di  provarlo?  Non  lo  provano  più  che 
a  sufficienza  le  lettere  del  Somenzi  e  più  ancora  gli  avvenimenti  che  successer  poi? 

Del  resto  anche  il  Pastor  a  pag.  ii71  scrive:  «  1  CompagDacci  avversar)  del  Savonarola 
capivano  bene  trattarsi  qui  di  una  questione,  la  quale  poteva  e  forse  doveva  portare  la  cata- 
strofe dell'odiato.  —  Se  il  Savonarola  entra  nel  fuoco,  —  essi  dicevano,  —  bi  ucierà  certameute, 
se  non  vi  entra,  perderà  il  credito  de' suoi  seguaci,  e  noi  avremo  buono  in  mano  a  suscitare 
un  tumulto  e  nel  tumulto  a  impadronirci  della  sua  persona.  —  Risolvettero  quindi  di  fare 
ogni  opera,  perchè  l'esperimento  avesse  effetto.  Al  che  però  occorreva  il  permesso  della  Si- 


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biguo.  Quando  si  era  mostrato  pronto  ad  entrare  senz'altro  nel  fuoco?  Il 
giorno  7  aprile,  nell'  ora  stabilita,  quando  già  voleva  lanciarsi  in  esso  fra  Do- 
menico e  veniva  trattenuto  perchè  vi  si  lanciava  colla  Croce  e  il  Santissimo  '? 
Può  esser  vero,  ma  altri  potrebbe  anche  dubitarne.  Perchè  non  ribattere,  se 
tenete  vera  quest'asserzione  in  questo  senso,  ciò  che  raccolse  il  Villari  e 
prima  e  dopo  di  lui  ripeterono  molti:  cioè  1'  assicurazione  che  i  Francescani 
ebber  dalla  Signoria  che  essi  non  sarebbero  altrimenti  entrati  nel  fuoco,  ma 
che  si  trattava  solo  di  far  bruciare  qualche  frate  di  San  Marco  per  poi  oppri- 
mere il  Savonarola;  che  quando  ciò  non  potesse  riuscire,  si  troverebbe  il  modo 
di  mandare  a  monte  ogni  cosa?  (')  Non  basta  chiamar  questa  cosi  semplice- 
mente leggenda  domenicana  !  A  mostrarsi  pronti  a  entrare  nel  fuoco  la  prima 
cosa  da  farsi  mi  sembra  che  fosse  quella  di  scendere  in  piazza  proprio  sopra  il 
luogo  dell'esperimento;  or  questo  lo  fece  Fra  Girolamo  di  Ferrara,  lo  fece 
Fra  Domenico  da  Pescia,  ma  non  lo  fecer  mai  nè  Fra  Francesco  di  Puglia,  nè 
Girolamo  Rondinelli:  questi  trovarono  più  comodo  restarsene  su  sempre  in 
Palazzo  della  Signoria,  se  pur  colà  erano  quando  i  Domenicani  ancor  solleci- 
tavano che  si  venisse  una  volta  all'  atto.  (2)  A  buon  confo  i  pretesti  a  ritar- 
dare la  terribile  prova  furono  tutti  sollevati  dalla  parte  de'  Frati  Minori,  per 
modo  che,  scrive  il  Landucci,  pag.  169,  «  i  Frati  di  San  Francesco  si  vide 
che  volevano  farne  fuora  ». 

Ma  io  voglio  lasciar  tutto  questo,  che  davvero  è  disgustoso;  e  voglio  ve- 
nire all'essenziale  della  questione;  all'aver  voluto  il  Savonarola  che  Fra  Do- 
menico portasse  con  sè  il  vaso  del  Sacramento:  qui  è  dove  mi  par  più  infelice 
il  Pastor,  ed  è  pur  dove  non  conosco  che  Fra  Girolamo  abbia  avuto  buona  e 
sufficiente  difesa. 

Ma  prima  bisogna  che  io  aggiunga  alcuna  cosa  alla  narrazione  del  Pa- 
stor, e  questo  mi  pare  rigorosamente  necessario,  perchè  la  narrazione  sia  ve- 
race. «  La  veracità  storica  »,  osserva  opportunamente  il  nostro  Fornari  (3), 
c  non  si  offende  solo  registrando  le  proprie  fantasie  a  scambio  dei  fatti,  ma 
anche  quando  non  raccontasi  tutto  l'avvenuto  ».  E  qui  a  noi  sembra  che  il 
Pastor  lasci  di  narrare  cose  essenziali,  che  il  lettore  non  può  certo  inten- 
dere, nè  saper  comprese  nella  frase  generica  «  sorsero  varii  pareri  circa  a 


gnoria.  Qui  non  mancavano  oppositori  dell'empio  tentativo:  anche  faceva  specie  che  il  Sa- 
vonarola stesso  non  volesse  sostenere  la  prova.  A  grande  maggioranza  di  suffragi  si  decretò 
doversi  tentar  tutto,  anche  la  prova  del  fuoco,  per  togliere  le  discordie  della  città  ». 

Chi  adunque,  dopo  tutto,  ci  vorrà  credere  avventati  e  precipitosi  se  noi  crederemo  a 
coloro  i  quali  in  questo  esperimento  del  fuoco  vedono  una  trama  abilmente  tesa  al  nostro 
Frate?  se  vedremo  una  prima  scena  della  brutta  commedia  che  furono  i  processi  falsificati, 
un  primo  atto  della  tragedia  che  si  è  compiuta  poi  sulla  piazza  della  Signoria  a'  di  23  mag- 
gio 1498? 

(')  Ci  pare  molto  difficile  che  si  possa  dubitare  di  ciò.  Vedi  come  narra  la  cosa  il  Violi, 
e  le  autorità  che  adduce,  presso  il  Villari,  voi.  II,  pag.  lxxiv. 

(2)  Anche  questo  si  raccoglie  assai  chiaramente  dal  P.  Polinari,  pag.  375. 

(3)  Arte  del  Dire,  voi.  I,  lez.  XII,  pag.  89  e  seg.  Queste  parole  del  Fornari  esprimono  un 
oonoetto  di  Cicerone  ripetuto  anche  da  Leone  XIII  nell'  Enciclica  sugli  studi  storici. 


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quello  che  ciascuno  dei  due  campioni  potesse  recar  seco  nelle  fiamme  ».  Prima 
di  negare  a  Fra  Domenico  che  portasse  nelle  fiamme  il  Santissimo,  gli  avver- 
sarj  già  avevano  prelese  non  poche  altre  cose,  le  quali  ci  possono  almeno  far 
sospettare  da  qual  parte  si  fosse  pronti  a  entrar  nel  fuoco,  e  da  qual  parte 
siasi,  se  mai,  speculato  sull'  inganno  ;  e  più  di  tutto  ci  renderan  chiaro  perchè 
Fra  Domenico  insistesse  per  entrar  nelle  fiamme  col  vaso  del  Sacramento  in 
mano.  Tutto  era  pronto  e  i  campioni  Francescani  invece  di  scender  sul  luogo 
ed  eseguire  quello  che  avevano  promesso,  elevarono  un'obiezione  che  nessuno 
di  noi  potrà  certo  spiegarsi. 

Il  fatto  è  del  resto  noto  a  tutti,  ed  è  espresso  dal  Landucci  (pag.  1G7) 
con  queste  semplicissime  parole  :  «  Quei  di  San  Francesco  vollono  che  Frate 
Domenico  si  cavasse  insino  alle  mutande,  dicendo  che  era  incantato  ».  (4) 
Questo  fatto  è  di  un'importanza  per  me  straordinaria.  Bisogna  che  pensiamo 
all'età  in  cui  esso  avvenne;  età  piena  di  superstizione  e  di  malizia  (2)  contro  di 
cui  doveva  combattere  Fra  Girolamo.  Già  nel  discorso  che  aveva  recitato  la 
mattina  del  giorno  in  cui  si  sarebbe  dovuto  fare  l'esperimento,  egli  aveva  cre- 
duto di  premunire  i  suoi  contro  le  sciocche  arti  dell'incantesimo,  e  mostrare 
che  Dio  non  avrebbe  altrimenti  potuto  permettere  un  intervento  diabolico  in 
tale  circostanza:  ma  da  tutto  si  capisce  pur  troppo  che  i  suoi  avversarj  un 
qualche  timore  che  il  miracolo  avvenisse  l'avevano:  e  si  preparavano  a 
dire  quando  la  cosa  riuscisse,  che  il  Savonarola  e  i  suoi  avevano  il  diavolo 
addosso.  (3)  Per  ovviare  a  questo  quanto  era  possibile,  egli  pensò  sempre  che 
Fra  Domenico  dovesse  entrare  nel  fuoco  portando  il  Santissimo;  per  questa 
guisa  coloro  i  quali  non  si  volessero  dire,  invece  che  cattolici,  protervissimi 
superstiziosi,  se  non  si  sarebbero  persuasi,  almeno  sarebbero  stati  convinti 
del  grande  fatto.  Un'arte  diabolica  con  Cristo  nessuno  avrebbe  avuto  il  corag- 
gio di  sostenerla;  mentre  per  altra  parte  non  avevano  all'atto  il  diritto  di  la- 
gnarsi e  credere  che  Fra  Domenico,  se  nell'errore,  sarebbe  bruciato  senza  il 
Sacramento  e  non  con  esso.  (4J  Questo  mi  pare  un  punto  essenziale  e  mi  ma- 


(')  Questa  frase  ci  pare  che  basti  perchè  si  capisca  perfettamente  la  cosa.  Il  Landucci, 
che  per  delicatezza  di  coscienza  non  volle  più  andare  a  sentir  fra  Girolamo,  poiché  questi 
fu  scomunicato,  crediamo  che  non  possa  riuscire  sospetto  nemment)  al  Pastor.  Del  resto  che 
la  trovata  di  mutar  gli  abiti,  o  invitati  dalla  signoria  o  no,  la  tirassero  in  mezzo  davvero  i 
Francescani  è  detto  anche  nella  storia  di  k\  Dionisio  Pulinari.  Chi  fosse  desideroso  di  veder 
narrati  i  particolari  anclie  i  più  minuti,  può  soddisfare  al  suo  desiderio  accedendo  agli  scrit- 
tori da  cui  attinge  il  Villari  e  i  cui  brani  si  leggono  nell'  appendice  al  II  volume  del  mede- 
simo storico. 

(?)  Vedi  sopra  il  cap.  VII;  V  Astrologia  e  Girolamo  Savonarola. 

(J)  Fra  le  altre  coso  dice  ivi  fra  Girolamo:  «  Se  questi  avversarj  hanno  nessuno  incan- 
tatore, entri  qua  al  fuoco,  e  se  non  arde  vogliamo  aver  perso....  Tu  di'  che  il  diavolo  può  fare, 
e  che  può  impedire....  Dimmi  che  vuol  dire  che  il  popolo  non  disse  questo  ad  Elia,  che  il 
diavolo  avesse  fatto  venire  il  fuoco  dal  cielo?  Ma  voi  siete  più  cattivi,  che  non  erano  quelli 
Infedeli  che  adoravano  Balani  •. 

(4)  Il  Pastor  dà  luogo  nella  nota  prima  della  pagina  371  alle  seguonti  pai  olo  dol  Bòh- 
ringer:  «  Se  il  Savonarola  credeva  alla  possibilità  della  certezza  di  un  miracolo  in  favore 
della  sua  causa,  a  che  allora  prendere  seco  nel  fuooo  la  saura  Ostia?  O  prescindendo  da 
questo,  se  l'Ostia,  per  cosi  diro,  doveva  ossero  un  talismano  nelle  mani  di  Domenico,  ohe  sa- 


—  589  — 


raviglio  che  dal  maggior  numero  degli  scrittori  che  si  occupano  del  fatto  non 
siasi  visto  e  siasi  taciuto  :  basta,  a  mio  modo  di  vedere,  questa  sola  osserva- 
zione a  giustificare  i  Domenicani. 

Ma  pur  troppo  nella  causa  del  Savonarola  si  è  dimenticato  spesso  e 
l'epoca  in  cui  egli  lottò,  e  la  qualità  de' suoi  avversarj!  Non  parliamo  de'Fran- 
cescani,  il  maggior  numero  dei  quali  erano  certo  in  buona  fede,  quantunque 
alcuni  si  prestassero  troppo  docile  strumento  alle  voglie  de'  politici,  (*)  ma  è 
certo  cosa  che  fa  pensare  quando  noi  vediamo  divenuti  difensori  dell'onore 

della  Santa  Sede  il  Somenzi,  il  Tancredino,  gli  Arrabbiati,  i  Gompagnacci   i 

Palleschi;  e  fra  Girolamo  alle  mani  con  una  turba  siffatta  capitanata  dal  Moro; 
il  cui  solo  titolo  di  Duca  di  Milano  era  un  vero  e  mostruoso  delitto!  Or  che 
potete  sperar  altro  con  i  così  fatti,  allorché  non  riuscite  ad  evitare  i1  combat- 
timento, se  non  confonderli  e  ridurli  almeno  al  silenzio?  ovvero  obbligarli  a 
gettar  la  maschera  e  dichiararsi  increduli  come  sono  veramente?  Più  io  penso 
a  questo  e  più  mi  pare  savio  Fra  Girolamo,  e  più  mi  si  mostra  uomo  di  mente 
superiore,  e  troppo  dissimile  dai  molti  dell'età  in  cui  visse. 

Ma  ecco  il  Pastor  il  quale  scorge  invece  nel  fallo  una  profanazione  del 
Sacramento  e  soggiunge  che  il  Savonarola  «  come  prete  che  egli  era,  doveva 
sapere  che  i  sacri  canoni  interdicono  coi  termini  più  severi  l'usare  il  Santis- 
simo Sacramento  a  prove  personali;  il  corpo  del  Signore  non  deve  servire  che 
all'adorazione  e  alla  comunione  de'  fedeli  nella  Ghiesa.  Il  Savonarola  pareva 
l'avesse  del  tulio  dimenticato  ». 

E  corretto  questo  parlare  ?  E  allora  non  vi  potrà  essere  scusa  che  tenga 
per  Fra  Girolamo.  Ma  a  noi  semhia  che  non  regga  affatto.  Convengo  perfetta- 
mente col  Pastor  che  chi  è  cattolico  deve  sapere  che  il  Sacramento  non  è  fatto 
perchè  ce  ne  serviamo  a  prove  personali;  ma  era  questa  una  prova  personale? 
Francamente  no. 

Qui  non  si  tratta  di  persone,  ma  di  cose:  e  Fra  Girolamo  poteva  ripetere 
al  popolo,  e  tutto  il  popolo  suo  gli  credeva,  che  si  trattava  della  fede.  «  Uic 
agitur  de  fide:  qui  si  tratta  della  fede  »  (Discorso  del  7  aprile  1498).  ('")  Del 
resto  l'esperimento  mi  pare  almeno  che  dovesse  perdere  un  poco,  se  mai,  del 

rebbe  stato,  se  anche  il  Kundinelli  ne  avesse  presa  un'  altra?  L'effetto  allora  non  sarebbe 
stato  distrutto?  •  È  serio  e  cattolico  questo  parlare?  Ed  è  lodevole  il  professore  dell'  Uni- 
versità d'  Innsbruck  il  riportarlo  semplicemente  senza  la  più  piccola  osservazione?  Né  punto 
migliori  e  più  serie  ci  paiono  le  proposizioni  che  il  Pastor  accoglie  al  proposito  nel  testo 
a  pag.  371.  Non  pensiamo  che  egli  voglia  farle  sue,  sarebbe  troppo;  ma  d'altra  parte  non 
trovereta  nemmeno  un  iota  che  vi  faccia  credere  l'opposto;  e  questo  non  ci  par  bello. 

(')  Cfr.  I.  Del  Lungo,  doc.  XVIII,  e  XXVIII.  E  questo  noi  crediamo  che  sia  ancora  il 
loro  torto  più  grave  ne'  cavilli  della  prova  del  fuoco:  il  prestarsi  troppo  docili  alle  voglie 
della  Signoria  e  degli  avversarj  del  Savonarola.  Da  sè  probabilmente  non  avrebbero  nem- 
meno pensato  a  tirare  in  campo  tanti  pretesti.  .Ma  chi  una  volta  blandisce  e  serve  a' potenti, 
è  difficile  che  si  possa  tirare  indietro  e  trovarsi  libero. 

I2)  Non  sarà  inopportuno  un  passo  del  discorso  recitato  al  popolo  prima  che  si  mo- 
vesse da  San  Marco:  «  Ognuno  vada  con  timore  di  Dio  e  non  con  presunzione,  ma  dicendo: 
Signore,  quest'opera  è  tua  e  solo  a  te  appartiene  il  miracolo.  Vada  con  proposito  di  mutare 
la  vita  sua  e  non  dire;  se  si  fa,  io  che  ho  creduto  farò  e  dirò;  ma  di  cosi:  io  non  voglio  più 


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suo  carattere  personale  dal  momento  che  vi  intervenne  la  Signoria,  v'accon- 
sentiva la  Curia,  e  n'era  avvisato  il  Pontefice,  il  quale  fino  a  quel  punto  fissato 
dalla  Signoria,  pure  avendone  avuto  il  tempo,  non  aveva  ancora  disapprovata 
la  cosa.  A  buon  conto  il  Nardi  nota  l'importunità  di  queste  controversie,  e 
specialmente  questa  del  Sacramento,  sorte  con  gran  vergogna  de'  religiosi  che 
n' eran  cagione,  quando  era  tempo  d'entrare  nel  fuoco,  «  come  se  questa  cosa 
avesse  avuto  ad  essere  una  esperienza  d'una  contesa  e  abbattimento  secola- 
resco e  profano,  e  non  della  Fede  nostra  e  dipendente  dal  giudizio  divino  ».(') 

Del  resto  troverebbe  il  Pastor  molta  differenza  tra  il  fatto  presente  e 
quello  di  Gregorio  VII  a  Canossa?  Era  empio  questo  Pontefice  quando,  presa 
1'  Ostia,  egli,  dichiarandosi  innocente,  proponeva  ad  Enrico  IV  di  pigliarla  del 
pari,  se  si  sentiva  come  lui  innocente?  E  ancora,  troverebbe  il  Pastor  molta 
differenza  tra  il  fatto  presente  e  Adriano  II  che  dà  1'  Ostia  Santa  a  Lotario? 
Santa  Chiara  uscita  dal  chiostro  oppose  all'  esercito  di  Federico  II  che  asse- 
diava Assisi  il  Santissimo,  e  n'ebbe  ammirazione  e  lode  da  tutta  la  Chiesa;  e 
noi  diremo  invece  empio  Fra  Girolamo  perchè  oppose  il  Santissimo  all'  eser- 
cito dei  suoi  avversarj  capitanato  dal  Moro?  E  che  giudizio  dovremo  pronun- 
ciare di  Sant'Antonio  da  Padova?  Io  so  che  alcune  di  queste  leggende,  e 
specialmente  quella  di  Gregorio  VII,  diedero  luogo  a  dubbi!  in  qualche  cri- 
tico moderno;  ma  sieno  esse  vere  o  false,  queste  leggende  non  fur  mai 
accusate  d' empietà.  Non  mi  dite  che  tutti  questi  personaggi,  come  anche 
San  Domenico,  allorché  gettò  nel  fuoco  1'  Evangelo,  eran  mossi  e  guidati  da  una 
particolare  inspirazione  divina,  perchè  allora  dovreste  assumervi  l' impegno  di 
provarmi  che  questa  particolare  inspirazione  mancava  affatto  al  Savonarola,  nè 
so  come  potreste  riuscirvi  con  gloria;  e  ad  ogni  modo  sarebbe  sempre  facile 
il  rispondervi  che  cose  per  sè  empie  Dio- non  ne  inspira.  (2) 

Ma  intanto,  soggiunge  il  Pastor  «  la  pretensione  di  voler  entrare  nel 


stato,  non  più  danari,  veggo  che  la  fede  è  provata  con  miracolo.  Nessuno  ancora  mostri 
atto  di  vanità  o  leggerezza,  perchè  sarete  poi  in  più  pericolo  di  vanagloria:  canterassi  un 
Te  Deum,  non  saltando,  ma  con  lacrime,  glorificando  Dio  con  ogni  umiltà.  Frati  miei,  fati? 
che  nessuno  si  esalti,  che  Dio  vi  darà  poi  la  mazzata  e  ognuno  si  disponga  a  guastare  l'al- 
tare vecchio,  idest,  la  vita  vecchia,  come  fece  qui  Elia  cho  rifece  l'altare  nuovo  con  dodici 
pietre.  Vuol  dir  questo  che  ognuno  debba  rinnovare  la  vita  sua  secondo  la  dottrina  de'  do- 
dici apostoli,  la  quale  e  farà  bene  e  patirà  male.  » 

(')  Istorie,  pag.  147.  Che  la  cosa  poi  fosse  giudicata  di  comune  utilità  e  non  qual  prova 
personale,  si  rileva  dalla  consulta  del  30  marzo  pubblicato  dal  Lupi.  Duca  Corsi  diceva:  «  E 
cosa  di  momento  a  tucto  il  Cristianesimo  ». 

('-)  Vedi  P.  C.  De  Smedt,  I.e.x  artgtnes  die  ducljudiciaire  :  Mémoire  lue  à  la  section  d'histoire 
du  Congrès  scientifique  international  des  catholiques,  a  Bruxelles,  le  6  septembre  189i;  pub- 
blicate negli  Elude»  religieuses,  etc.  XXXI0  Année,  Tom.  DXI1I,  15  novembre  1891,  pag.  337-362. 
Paris.  Ivi  l'autore  sebbene  dica  che  la  legittimità  del  duello  giudiziario  non  fu  proclamata 
nè  formalmente  ammessa  da  alcun  papa,  o  da  alcun  concilio,  e  nemmeno  da  alcun  vescovo 
parlando  come  pastore  di  anime,  riesce  tuttavia  a  scrivere  le  parole  seguenti:  «  Rien  d'éton- 
nant  dune  que  le  grande  partie  des  ivcits  de  duels  soit  fornie  par  le  chartes  et  par  los  histoires 
<1'  /-glises,  ou  de  monastères,  ou  nu'-me  de  saints  ».  l'ag.  362.  V.  anche  1'  altro  articolo  f.e  due! 
judir.iaire  et  V  Rylue,  XXXII1'  anm'  e,  toni.  DXIV,  16  janvier  1195,  pag.  35-73.  Cfr.  e  vedi  Decret. 
Oreg.,  lib,  V  .  Ut.  Ili,  cap.  XI.  De  Simonia,  e  Decret.  secund.  part.,  Caus.  II.  Qu.  I V.  can.  XXIII. 


—  591  — 


fuoco....  col  Sacramento  in  mano  venne  interpetrata  come  un'offesa  al  Santis- 
simo ».  Non  contesto  la  verità  del  fatto.  Anche  la  cronaca  di  Fra  Dionisio 
Pulinari  narra  la  cosa  come  segue:  «  I  nostri  padri  udendo  questo,  (cioè  che 
fra  Domenico  voleva  portare  il  corpo  di  Cristo)  con  grande  orrore  e  ruggi- 
mento,  sendosi  tutti  raccapricciti,  solamente  al  sentire  una  tanto  nefanda  pro- 
posta, mai  vollero,  nè  potettero  acconsentire;  e  che  erano  a  fare  sperimento 
di  Fra  Domenico  e  non  del  Sagramento,  e  che  questo  era  in  vilipendio  del 
Santissimo  Sagramento,  del  quale  loro  in  tutte  le  cose  erano  più  che  certi  e 
nulla  dubitavano.  Ma  se  semplicemente,  dissero,  voi  volete  entrare,  noi  ac- 
consentiamo, e  siamo  parati  a  sottoporci  al  tormento  del  fuoco;  ma  col  San- 
tissimo, Iddio  ci  guardi,  che  questa  cosa  venga  nelle  menti  nostre,  che  noi  vo- 
gliamo mettere  a  sperimento  il  Santissimo  Sagramento.  E  li  Padri  Piedicatori 
non  volsero  acconsentire  che  Fra  Domenico  Fattoraccio  entrasse  senza  il  Sa- 
gramento ». 

Ora  che  si  ha  da  dir  qui?  Che  la  cosa  non  so  vederla  seria  tanto  da  giu- 
stificar per  essa  la  ritirata  del  Francescano  dalla  prova,  incolpandone  poi  il 
Domenicano;  al  più  potevano  essi,  credendo  davvero  che  questo  fosse  vilipen- 
dio del  Sacramento,  protestarsi  innocenti  della  cosa  e  lasciarne  intiera  la  re- 
sponsabilità all'avversario;  più  in  là,  se  erano  disposti  d'entrar  davvero  nel 
fuoco  e  v'  entravano  con  la  fede  che  si  doveva,  non  mi  pare  che  avessero  a 
spingere  le  pretese.  Forse  che  si  pretendeva  che  portasser  essi  pure  nel  fuoco 
l'Ostia  Santa?  Qual  nuova  paura  dovevano  aver  essi  adunque?  Se  credevano 
nell'Ostia  Santa  e  tenevano  per  empio  l'atto  di  Fra  Domenico,  niente  di  più 
naturale  che  pensare  che  Dio  avrebbe  colle  altre  punito  in  quello  anche  que- 
sta perversità.  Qui  non  si  trattava  davvero  di  mettere  ad  esperimento  il  San- 
tissimo. Nè  vedo  affatto  come  essi  in  ciò,  invece  di  far  esperimento  di  Fra  Do- 
menico, fossero  qui  condotti  a  far  esperimento  del  Santissimo.  Mi  paiono  molto 
savie  e  giuste  e  da  non  potersi  ribattere  le  cose  che  si  leggono  ne'  processi 
di  Fra  Domenico:  «  Basta  a  me  ch'io  venni  deliberato  a  entrare  a  ogni  modo, 
nè  mai  pensai  d'  avere  a  essere  appuntato  del  Sacramento....  Pensavo  bene 
a  molti,  i  quali  non  sono  amici  di  Dio,  del  miracolo  non  ne  avevano  a  far 
frutto;  ma  avrebbero  detto  che  il  Sacramento,  il  quale  non  può  ardere,  lo 
avessi  fatto;  come  se  fosse  vero  che  le  specie  del  Sacramento  non  possino 
ardere,  con  ciò  sia  che  più  volte  sono  arse,  e  possono  essere  corrose  da'  topi, 
e  in  altri  modi  corrotte  e  smaltite,  come  accade  ogni  volta  che  1'  uomo  si 
comunica.  Dimmi:  non  può  ardere  colui  che  lo  porta  nel  fuoco,  non  può  ar- 
dere il  velo  e  i  panni?  Mille  ostie  adosso  a  uno  che  entrasse  nel  fuoco,  non 
avendo  la  verità  dal  suo,  non  lo  scamperebbero.  Se  adunque  è  nato  scandalo, 
Iddio,  la  volontà  del  quale  io  feci,  me  ne  darà  premio;  perchè  ho  assai  me- 
ritato in  quest'  infamia  e  persecuzione  sì  grande  ».  (') 

Nessun  danno  adunque  potevano  recare  agli  avversarj  i  Domenicani  en- 
trando nel  fuoco  col  Sacramento;  mentre,  per  altra  parte,  essi  potevano  quindi 


(')  V.  Villari,  voi.  II,  pag.  ccv  e  ccvj. 


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sperarne  una  vera  utilità:  perchè  dunque  condannarli  se  domandavano  che  fosse 
loro  concesso?  E  poi  non  vorremo  conceder  proprio  nulla  alla  vivissima  e 
sincera  fede  di  Fra  Girolamo  e  di  Fra  Domenico?  «  Io,  dice  quest'  ultimo,  son 
certo  che  io  non  avevo  ad  ardere,  e  però  non  ne  seguiva  scandalo  (entrando 
nel  fuoco  col  Sacramento)  anzi  edificazione  della  fede  ».  Lo  stesso,  perfetta- 
mente lo  stesso,  credeva  Fra  Girolamo.  E  d'altra  parte  che  il  suo  campione 
entrasse  nel  fuoco  col  Sacramento  o  senza,  oltre  alle  ragioni  già  esposte  di 
sopra,  non  doveva  a  un  ottimo  reggitore  di  anime  parere  indifferente  per  gli 
effetti  morali,  che  ne  potevano  quindi  venire.  Forse  temeva  che  anche  in  al- 
cuno de'  suoi,  quando  l'  esperimento  si  facesse,  entrasse  la  superbia,  e  non 
venisse  ogni  cosa  attribuita  a  Dio.  (') 

Ma  sento  un'  obiezione:  Fu  questo  del  Sacramento  un  cavillo  trovato  sul- 
l' istante  da  Fra  Girolamo  per  rompere  la  cosa,  e  aver  modo  di  ritirarsi  dal- 
l' esperimento:  quindi  mostra  la  sua  mala  fede  e  non  altro.  Questo  pensano 
alcuni,  e  potrebbero  forse  avere  un'  ombra  di  ragione  guardando  al  modo  come 
è  narrata  la  cosa  qua  e  colà  dai  moderni,  ma  è  assolutamente  inesatto,  è  un 
falso  supposto  e  ne  abbiamo  prove  incontestabili.  Fra  Girolamo  non  aveva 
pensato  a  tal  cosa  nel  momento  in  cui  si  doveva  fare,  ma  già  era  fermo  in 
quella  innanzi  che  spuntasse  il  giorno  in  cui  avrebbe  dovuto  aver  luogo  l'espe- 
rimento. Questo  è  detto  assai  chiaro  anche  ne'  processi.  Infatti  in  essi  Fra  Gi- 
rolamo dice  appunto  che,  ove  fosse  occorso  che  Fra  Domenico  avesse  avuto  a 
entrare  nel  fuoco  «  volevo  entrasse  col  Sacramento,  nel  quale  Sacramento 
avevo  speranza  non  lo  avesse  a  lasciar  ardere  e  senza  il  quale  non  V  avrei 
lasciato  ire  ».  (z)  Nè  queste  cose  Fra  Girolamo  se  le  tenne  in  cuore,  ma  le  ma- 
nifestò chiaramente:  e  seguendo  nel  processo  si  legge  ancora  ch'egli  conferi 
quesla  cosa  con  Giovanni  Battista  Rid.olfi  in  San  Marco  due  volte,  innanzi  al 
dì  del  cimento;  e  dovevano  pur  conoscerla  gli  avversarj,  imperocché  nella  cro- 
naca del  Padre  Dionisio  Pulinari  là  ove  si  fa  la  storia  di  tali  cose  prima  che 
venisse  il  giorno  fissalo,  v' è  scritto  quanto  segue:  «  Non  credette  mai 
Fra  Girolamo  che  Fra  Giuliano  entrasse  nel  fuoco,  e  non  entrando  il  nostro, 
il  suo  non  era  tenuto,  e  se  pure  fosse  occorso  che  il  suo  ci  avesse  a  entrare, 
non  ce  lo  voleva  lasciar  entrare  senza  il  Sacramento,  sperando  per  virtù  di 
quello  egli  non  saria  offeso  ».  (3) 

Ma  meno  che  mai  Fra  Girolamo  avrebbe  potuto  mostrarsi  desideroso  co- 
mechessia  ora  che  la  cosa  restasse  incompiuta  per  colpa  sua  e  de'  suoi.  Prima 
certo  avrebbe  avuto  molto  caro  che  la  cosa  si  fosse  rotta  e  distornata,  per  non 

(')  Cipolla,  pag.  706. 

(**)  Villari,  v.  II,  p.  clxxij. 

(3)  Questo  è  vero:  nemmeno  nel  discorso  cbe  recitò  al  popolo  potè  assicurare  che 
1'  esperimento  si  farebbe.  Il  Perrens,  pag.  248,  argomentò  quindi  la  volontà  cbe  era  in  li- a  Gi- 
rolamo di  non  venire  al  terribile  passo,  e  afferma  ch'egli  sperava  almeno  in  qualche  deus 
ex  machina.  La  cosa  crediamo  sia  molto  più  semplice.  Oramai  Fra  Girolamo  vedeva  troppo 
chiaro  ohe  anche  questo  esperimento  era  una  trama,  e  che  gli  avversarj  non  poteveno  vo- 
lerlo, né  permetterlo  sul  serio.  Cf.  Villari.  v.  II,  p.  clxxiij,  testo,  e  n.  1. 


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aversi  a  condurre  a  tale  cimento:  ma  una  volta  che  lo  zelo  de' suoi,  e  più  la 
Signoria,  1'  avevano  condotto  a  tale  egli  bramava  nell1  ardente  sua  fede,  che 
la  cosa  si  facesse:  e  non  avrebbe  mai  detto  ai  suoi  che  si  adoperassero  a 
romperla,  nè  lasciato  in  alcun  modo  trasparire  questo  desiderio,  che  non  nu- 
triva affatto.  Anche  questo  è  provato  da'  processi  :  «  Dello  aver  dato  ordine 
che  la  cosa  non  si  conducesse,  ovvero  si  rompesse  per  mezzo  de'  miei  ne- 
mici, dico  che  non  l'avrei  mai  fatto;  perchè  mi  vedevo  spacciato,  e  ne  per- 
devo il  credito,  manifestandomi  che  io  volessi  fuggire  il  cimento  ».  Egli  non 
si  ritirò  se  non  quando  gli  avversarj  lasciarono  il  campo  senza  una  giusta 
causa.  E  allora,  dacché  egli  aveva  sempre  detto,  ed  è  registrato  anche  ne' pro- 
cessi, che  si  conducevano  a  questo  cimento  per  esser  provocati  e  solo  per  ri- 
spondere, allorché  la  provocazione  cessava,  doveva  ritirarsi.  Quand'  egli  si 
fosse  arbitrato  di  lasciar  da  solo  entrar  nel  fuoco  Fra  Domenico,  egli  avrebbe 
tentato  Dio.  Certo  l'insipienza  del  volgo,  anche  di  quello  a  lui  devoto,  poteva 
desiderare  che  egli  entrasse  solo  nel  fuoco  per  dare  un  argomento  ineluttabile 
della  sua  missione  divina;  ma  gli  uomini  di  senno  devono  capire  che  di  questo  non 
aveva  egli  alcun  bisogno,  e  che  in  caso  avrebbe  compiuto  un  atto  presuntuoso 
ed  illecito.  Qui  era  proprio  il  caso  di  ripetere:  Non  tenterai  il  Signore  Iddio  tuo. 
Più  forte,  mille  volte  più  forte  e  più  umile  ci  appare  il  nostro  Frate  mostran- 
dosi pronto  co'  suoi  a  sostenere  tutta  la  tempesta  che  è  per  cadérgli  addosso 
per  colpa  non  sua,  che  non  se  avesse  ceduto  ad  un  impeto  leggiero  e  folle 
del  suo  volgo,  o  alle  voglie  di  quella  generazione  prava,  che  chiedeva  il  mira- 
colo e  non  lo  voleva,  nè  avrebbe  saputo  tollerarlo. 

E  terribile  davvero  scoppiò  la  tempesta  sopra  il  capo  del  Savonarola  e 
de'  suoi  :  terribile,  ma  non  imprevista,  nè  sgomentevole  a  lui  pronto  a  mo- 
rire e  desideroso  di  offrirsi  vittima  per  la  causa  sua  e  per  i  suoi  amici....  «  Gli 
Arrabbiati  e  i  Gompagnacci,  che  avevano  atteso  lungamente  quel  giorno  per 
godere  della  ignominiosa  caduta  del  loro  dichiarato  avversario,  colpiti  quasi 
dall'ira  di  Dio,  rimasero  delusi  nel  perverso  loro  desiderio.  Ma  giurarono  la 
sua  rovina.  Il  popolo  che  non  esaminò  chi  avesse  torto  o  ragione,  disse  di  es- 
sere slato  ingannato.  Da  quel  giorno  lo  scoppio  della  rivolta  e  la  fine  del  Sa- 
vonarola erano  inevitabili. 

«  La  mattina  del  giorno  8  aprile,  domenica  delle  Palme,  passò  tranquilla: 
il  frate,  che  la  sera  avanti,  ritornando  a  San  Marco,  aveva  esortato  il  popolo  a 
metter  mano  a  cose  grandi,  recitò  questa  mattina  un  discorso  —  breve,  molto 
divoto  e  lagrimevole,  quasi  pronunziando  la  sua  instante  tribulazione.  —  Egli 
si  offeriva  olocausto  a  Dio,  desideroso  di  dare  la  vita  per  le  sue  pecorelle.  Sul 
far  della  sera,  avviandosi  i  Piagnoni,  umiliati,  incerti,  al  duomo  dove  predicava 
Fra  Mariano  degli  Ughi,  uno  dei  Domenicani  che  avevano  sottoscritto  1'  atto 
della  prova  del  fuoco,  gli  sfrenati  Gompagnacci  gì'  insultarono  per  via. 

«  Fu  sparsa  l' incredibile  calunnia  che  la  parte  fratesca  avesse  ucciso  certo 
Francesco  Neri,  allorché  questi  volle  proibire  a  Fra  Girolamo  di  predicare. 
Bastò  una  favilla  per  destare  l'incendio  ». 

E  noto  quindi  come  venisse  assalito  il  convento  di  San  Marco  e  come  la 

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Signoria  togliesse  ai  rinchiusi  colà  anche  il  mezzo  di  difendersi,  decretando 
loro  il  bando.  «  Sul  punto  di  cadere  in  mano  ai  nemici,  il  Savonarola  prese 
il  Sacramento  e  dinanzi  a  quello  giurò  eh'  egli  non  aveva  predicato  che  la 
verità.  Fu  condotto  prigioniero  egli,  fra  Domenico  da  Pescia  e  fra  Silvestre 
Maruffi  da  Firenze  insieme  con  altri  di  minor  grido,  frati  e  laici  ». C1)  Fu  sa- 
puto anche  come  la  Signoria  mandasse  avviso  dei  fatti  al  Papa,  e  come 
chiedesse  e  impetrasse  facilmente  da  questo  un'assoluzione  generale  di  tutte 
le  pene  ecclesiastiche  in  cui  si  poteva  essere  incorsi;  e  insieme  licenza  di  po- 
ter processare  i  frati.  Il  processo  contro  il  Savonarola  cominciò  senza  indugj. 
Addì  11  aprile  furono  scelti  gli  esaminatori,  ai  quali  fu  lasciata  libertà  di  pro- 
cedere nel  processo  sino  ad  usare  «  quolibet  remedio  opportuno  »,  cioè  fu  loro 
permesso  anche  di  sottoporre  gli  accusati  alla  tortura.  Gli  otto  e  questi  ag- 
giunti, i  quali  erano  tutti  molto  avversi  al....  frate  —  cominciarono  subito  le 
esamine.  (2J  «  In  esso  processo,  scrive  il  Pastor,  si  vide  come  i  nemici  del  Sa- 
vonarola fossero  diventati  assoluti  Signori  della  città:  non  vi  fu  mezzo  di  tor- 
tura e  di  falsificazione  che  non  venisse  da  essi  adoperato.  Le  deposizioni  del  Savo- 
narola, estorte  da  ripetute  torture,  e  sfigurate  mediante  l' interpolazione  ed 
ommissione  di  singoli  periodi  e  parole,  non  provano  naturalmente  nulla  ». 
«  Non  ostante  ciò,  il  processo  alterato  servì  a  smuovere  molti  aderenti  al  par- 
tito del  Frate  ».  (3j  Assai  espressivo  è  il  Landucci  nella  pag.  173  del  suo 
Diario,  riportata  anche  dai  Pastor.  «  A  dì  19  aprile  1498,  si  lesse  in  Consiglio, 
nella  sala  grande,  il  processo  di  frate  Girolamo,  eh'  egli  aveva  scritto  di  sua 
mano,  il  quale  noi  tenevamo  che  fosse  profeta,  il  quale  confessava  non  esser 
profeta,  e  non  aveva  da  Dio  le  cose  che  predicava;  e  confessò  molti  casi  oc- 
corsi nel  processo  delle  sue  predicazioni  essere  il  contrario  di  quello  ci  dava 
ad  intendere.  E  io  mi  trovai  a  udire  leggere  tale  processo;  onde  mi  meravi- 
gliavo e  stavo  stupefatto  e  in  ammirazione.  E  dolore  sentiva  l' anima  mia, 
vedere  andare  per  terra  uno  siffatto  edificio  per  avere  fatto  tristo  fondamento 
d' una  sola  bugia.  Aspettavo  Firenze  una  nuova  Gerusalemme  donde  avesse 
a  uscire  le  leggi  e  lo  splendore  e  l'esempio  della  buona  vita,  e  vedere  la 
novazione  della  Chiesa,  la  conversione  degli  infedeli,  e  la  consolazione  de'  buoni; 
e  io  sentii  il  suo  contrario,  e  di  fatto  presi  la  medicina:  In  voluntate  tua,  Do- 
mine, omnia  sunt  posita  ». 

«  E  anche  i  Frati  di  San  Marco  si  staccarono  dal  loro  Maestro  »  (p.  376). 
E  chi  li  può  rimproverare?  anzi  chi  può  non  lodameli? 

Chi  poteva  così  subito  credere  ad  un  delitto  tanto  nero,  qual  era  la  mo- 
struosa falsificazione  de'prccessi?  A  noi  questa  defezione  de' discepoli  dal  loro 


(')  Cipolla,  pag.  756. 

(2)  Idem,  pag.  75?. 

(3)  Non  si  può  contradire  quest'asserzione  del  Pastor,  ma  si  può  aggiungerò  ciò  che 
dico  il  Villari,  cioè  che  in  tutti  questi  processi  si  può  tenero  per  non  alterato  nò  aggiunto 
tutto  ciò  elio  è  a  favore  dell'accusato,  perchè  di  certo  non  fu  inventato  dagli  esaminatori, 
nè  dal  notaio.  Le  asserzioni  del  Pastor  soprasciitt e  si  riferiscono  anello,  e  sempro  giusta- 
mente, al  processo  de'  Commissari  apostolici  di  cui  daremo  un  conno  or  ora. 


maestro  riesce  una  delle  più  forli  ragioni  che  Fra  Girolamo  era  in  buona 
fede;  e  che  mai  non  insegnò  altro  se  non  la  verità  della  fede  e  l'attacca- 
mento alla  Chiesa. 

S' egli  avesse  anche  in  piccola  parie  seminato  nelle  menti  e  ne'  cuori 
de' suoi  il  falso  pestifero  dogma  onde  era  accusato,  avesse  predicata  e  per- 
suasa la  disobbedienza  e  la  ribellione,  oh!  davvero  ch'essi  non  si  sarebbero 
così  subito  piegati  a  far  atto  di  soggezione  come  fecero.  Lo  stesso  sconforto 
del  Landucci,  coscienza  molto  dignitosa  e  pia,  è  una  evidente  dimostrazione 
che  Fra  Girolamo  non  aveva  mai  lasciato  neppur  concepir  il  pensiero  ch'egli 
tentasse  una  rivoluzione  di  qual  si  voglia  genere  nella  Chiesa  di  Cristo.  Sin- 
golare è  questo  fatlo!  non  uno  fra  i  molti  che  si  staccarono  dal  Frate  disse 
mai  d'  aver  osservato  che  quegli  lasciasse  comecchessia  trapelare  un  pensiero 
o  compisse  un  atto  non  giusto,  non  retto,  non  onesto;  non  uno  degli  antichi 
fedeli  seguaci  del  Frate  si  trovò  che  andasse  con  doppiezza,  ma  tutti  cammina- 
vano semplici  e  schietti  dietro  le  orme  di  lui,  credute  sante. 

Belle  sono  e  gravi  le  cose  che  i  Domenicani  scrissero  ad  Alessandro  VI 
il  giorno  21  aprile  1498,  dopo  che  s'era  fatto  pubblico  l'infame  processo  della 
Signoria;  si  confessano  essi  ingannati  da  Fra  Girolamo,  si  chiamano  rei  di 
avergli  creduto,  supplicano  a  Sua  Santità  perchè  li  voglia  prosciogliere  dalle 
censure  in  cui  si  credono  incorsi:  nè  si  può  dubitare  affatto  de' loro  senti- 
menti; ma  perchè  errarono  essi  così  gravemente?  Perchè  furono  ingannati. 
E  che  cosa  ingannò  essi  e  gli  altri  molti  che  seguirono  Fra  Girolamo? 
«  L'acume  della  sua  dottrina;  la  rettitudine  del  vivere;  la  santità  dei  costu- 
mi; la  simulata  devozione;  il  profitto  che  ottenne  col  dissipare  dalla  città  il 
mal  costume  e  ogni  sorta  di  vizj  ;  i  molti  eventi  che,  disopra  d'ogni  forza  e 
d'ogni  immaginazione  umana,  confermarono  le  sue  profezie;  furon  tali  e  tanti 
che,  se  non  si  fosse  egli  medesimo  ritrattato,  dicendo  che  le  sue  parole  non 
eran  da  Dio,  noi  non  avremmo  giammai  potuto  negargli  fede.  E  tanto  in  lui 
credevamo,  che  tutti  fummo  prontissimi  d'esporre  al  rogo  i  nostri  corpi,  per 
sostenere  la  sua  dottrina  ».  (lj  A  me  il  fatto  che  i  religiosi  di  San  Marco  si 
staccano  da  quel  Savonarola  vanaglorioso,  bugiardo  ed  empio  che  apparisce 
dai  processi  falsificati,  parve  sempre  un  titolo  singolarissimo  di  lode  per  tutta 


(4)  Queste  paiolo  così  come  lo  abbiamo  trascritte  si  leggono  nel  Pastor  a  pag.  376. 
Merita  la  pena  che  si  leggano  anche  le  originali,  quali  stanno  nel  Perrens  che  pubblicò  la 
lettera  d'  essi  frati:  «Subspe  pietatis  sedanti  fuimus,  peccavimus,  inique  egimns,  non  obtem- 
perundo  Beatitudini  Vestrae  nec  non  reverendissimi  protectoris  ec  cardinalis  nostri  praeceptis 
cuin  maxime  nos  obsequium  Deo  praestare  arbitraremur.  Ea  siquidom  f'uit  sagacissimi 
hominis  investigando  astutia,  ut  maxima  quaeque  ingenia  obtonebrari  et  contundi  potue- 
rint.  Acutissima  enim  ipsius  doctrina,  recto  vivendi  institutio,  morum  et  sanctitatis  species, 
simulata  devotio,  multorum  a  vitiis  revocatio,  foenorum....  scortorum  flagitiorumque  abo- 
litio,  unusque  animorum  omnium  in  Deo  consensus,  variique  rerum  eventus  supra  vires  ho- 
minis prospecti,  et  vaticinia  inulta  ex  illius  oro  praodieta,  fidem  quodammodo  adstruere 
visa,  ejusmodi  causa  fuere,  ut,  nisi  ipsomet  Frater  llicronymus  quae  se  a  Domino  accepisso 
pluries  et  a  se  veracissime  attestatus  fuerat  proprio  ore  retractasset,  nunquam  aliter  nobis 
persuadere  potuisset:  qui  ad  ejus  jussa  singuli  propria  corpora  rogis  exponore  parati  ora- 
mus,  tantum  iì li  tribuebamus ». 


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la  Congregazione.  Del  resto  non  larderanno  molto  questi  religiosi  a  mostrarsi 
di  nuovo  ben  attaccati  al  vero  Savonarola:  ciò  faranno  appena  sarà  possibile 
scorgere  la  diabolica  malizia  de'  magistrati  fiorentini.  Allora  apparirà  un'  altra 
volta  fra  essi  benedetta  la  memoria  del  grande  Riformatore,  anzi  vi  avrà  un 
culto,  che  si  manterrà  vivo  anche  in  mezzo  alle  persecuzioni,  a  traverso  tutte 
le  età;  ed  essi  non  saran  contenti  se  non  quando  riudranno  una  voce  autore- 
vole che  dichiari  prosciolto  e  ribenedica  il  loro  Padre  e  Maestro. 

Intanto  arrivavano  a  Firenze  i  commissari  di  Alessandro  VI,  Gioachino 
Turriano,  generale  de'Domenicani  e  Francesco  Romolino  dottore  di  leggi  e 
vescovo  d'Ilerda.  Qui  cominciarono  le  esamine  il  giorno  20  maggio.  «  La 
condanna  era  già  preparata;  e  nella  sera  del  22  maggio,  ultimo  giorno  del- 
l'interrogatorio, fu  comunicata  ai  frati  ».  (/) 

Se  questo  libro  non  fosse  già  divenuto  troppo  grosso,  mi  soffermerei 
qui  a  dire  dell'ultima  notte  passata  dal  Savonarola  in  carcere:  rimando 
per  questo  il  lettore  al  Burlamacchi.  «L'estremo  colloquio  del  maestro  co'suoi 
discepoli,  l'ultima  comunione  di  cui  si  cibarono  assieme,  la  veglia  passata 
pregando,  il  sonno  che  il  Savonarola  dormì  placidamente,  poggiando  la  lesta 
sulle  ginocchia  di  Iacopo  Niccolini  ch'era  venuto  a  confortarlo,  »  formano  in 
questo  scrittore  una  narrazione  così  patetica  che  attrista  e  commove  soave- 
mente ognuno  che  la  legge,  i^2) 

Fra  Domenico  in  quella  notte  scriveva  a'  suoi  confratelli  di  Fiesole  la 
famosa  lettera  nella  quale  raccomanda  d'aver  cura  de'  libri  del  maestro,  che 
si  raccolgano  tutti  insieme,  se  ne  metta  una  copia  in  libreria,  e  un'  altra  in 
refettorio,  per  leggere  a  mensa,  non  pur  da'  novizj  e  da  Padri  professi,  ma 
anche  da  Fratelli  conversi.  Ora  perchè  al  piagnone  che  visita  il  Convento  di 
San  Domenico  a  Fiesole  non  vien  fatto  di  vedere  quest'  Opere  desiderate  ?  ! 
Perchè  anche  quei  frati  volgono  indarno  l'occhio  in  giro  per  veder  tutte  in- 
sieme le  Opere  dell'antico  loro  Vicario?! 

«  Il  supplizio  fu  fatto  loro  subire  il  23  maggio  sulla  piazza  della  Signoria, 
proprio  nel  sito  dove  due  mesi  prima  stava  la  catasta  di  legna  preparata 
per  la  prova  del  fuoco.  Furono  dissacrati  i  tre  condannati  dal  vescovo  Paga- 
notti;  il  Romolino  concesse  loro  in  nome  del  Papa  la  plenaria  indulgenza, 
ch'essi  ricevettero  riverenti.  Il  primo  a  pendere  dalla  forca  fu  il  Maruffi, 


(')  Cipolla,  pag.  759.  Anche  il  Pastor  scrive  :  «  Com'  era  da  provedersi,  il  processo  ter. 
minò  cosi,  che  il  giorno  22  maggio  il  Savonarola  con  fra  Domenico  e  fra  Silvestro  —  causa 
gli  enormi  delitti  de' quali  sono  stali  convinti  —  ebbero  condanna  ili  morte  ».  pag.  377.  Os- 
serviamo che  le  parole:  Causa  gli  enormi  delitti  ecc.  non  -sono  del  Pastor,  ma  dei  giudici. 

(*)  liceo  che  ne  dice  il  nostro  maestro  C.  Cipolla  nel  luogo  citato:  «  Io  non  prevedo 
qual  giudizio  porterà  la  critica  sulla  Vita  del  Burlamacchi  ;  ma  so  che  più  volte  vi  lessi  la 
patetica  narrazione  dell'ultima  notte  passata  dal  Savonarola  in  carcere,  e  sempre  mi  sentii 
stringere  il  cuore  e  provai  un  senso  d'amarezza  profonda  e  nel  tempo  stesso  delicata,  e 
vorrei  dire  soave.  Oli  ultimi  momenti  del  Frate  sono  narrati  in  modo  alquanto  simile  da 
tutti  i  suoi  biogruli  ;  ma  questo  squarcio  del  Burlam&ochi  ha  forse  maggioro  l'attrattiva 
dello  stilo  e  1'  evidenza  della  frase  ».  Vedi  anche  ISayonne,  Oeuvres  Spirituclles  choisics  de  Je- 
rome Savouarole,  Tome  II.  Paris,  ISSO,  pag.  283-21)3. 


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secondo  il  Buonvicini,  ultimo  il  Savonarola.  Ai  piedi  del  patibolo  alcuni 
popolani,  forse  antichi  suoi  discepoli,  si  lanciarono  colla  miccia  accesa  sul 
rogo  per  mettervi  fuoco  prima  che  il  Savonarola  spirasse,  ond'egli  provasse 
più  dolorosa  la  morte.  Non  riusci  loro  di  compiere  il  crudele  disegno. 
Quando  il  fuoco  gì'  invesli,  tutti  e  tre  erano  morti.  Ma  i  monelli  aspettarono 
che  la  fiamma  cedesse;  e  con  sassi  e  con  pietre  lapidarono  i  tre  cadaveri: 
giunsero  ad  aprirli;  cosicché  si  vedeva  pendere  sanguinolento  ancora  e  mezzo 
bruciato  il  cuore  insieme  alle  viscere  di  Fra  Girolamo.  E  di  questo  lagrime- 
vole  spettacolo  si  compiacque  con  diabolica  voluttà  Paolo  Somenzi  oratore 
milanese  che  ne  informò  il  suo  signore,  vilmente  scherzando  sulla  morte 
dell'odiato  avversario  ».  (*) 

Ma  così  non  facevano  i  semplici  :  la  mattina  dopo  il  supplizio  far  viste 
pie  donne  pregare  sopra  quel  suolo  per  esse  già  divenuto  sacro.  Era  il  trionfo 
della  semplicità  predicato  da  Fra  Girolamo  !  «  Le  ceneri  dei  tre  Frati  furono 
gettate  in  Arno:  ma  la  memoria  non  fu  distrutta,  e  per  secoli  si  continua  ad 
ornare  di  fiori,  neh'  anniversario  della  morte,  la  piazza  dov'essi  furono  giu- 
stiziati ».  (2) 

«  Così  finiva  quell'uomo  d'ingegno,  moralmente  irreprensibile  »:  (Pastor, 
p.  377),  e  la  sua  fine  riuscirà  ognora  inesplicabile  a  chi  non  ha  fede  nella  vita 
futura,  e  ne'  premj  inconcepibili  che  Dio  dona  ai  retti  e  ai  giusti  pagati  dal 
mondo  con  tristezza  e  ingratitudine!  Fra  Girolamo  è  l'uomo  innocente  di  mani, 
mondo  di  cuore;  che  non  ha  ricevuto  in  vano  la  vita.  Potè  esser  ribelle  alla 
Chiesa  di  Cristo  e  al  suo  Vicario,  e  non  fu;  potè  andar  dietro  ai  consigli  degli 
empj,  e  non  andò;  fermarsi  nella  via  de' peccatori,  e  non  vi  si  fermò;  porsi  a 
sedere  nella  cattedra  di  pestilenza  e  non  vi  si  pose.  Ma  suo  diletto  fu  la  legge 
di  Cristo:  la  legge  di  Cristo  meditò  egli  di  giorno  e  di  notte,  e  la  predicò  a 
tutti.  Piuttosto  che  aver  onori  tradendo  la  sua  missione  e  la  sua  coscienza, 
amò  fare  il  bene  e  sostenere  il  male  e  cosi  perseverare  ins'mo  alla  morte.  Coni'  è 
possibile  ch'egli  non  sia  amato?  com'è  possibile  ch'egli  non  risplenda  nella 
congregazione  de'  giusti  ?  (3) 


(')  Cipolla,  pag  759. 

(2)  Idem,  pii£.  760. 

(3)  E  singolare  che,  dopo  aver  ucciso  quest'innocente,  nessuno  voleva  esser  l' autore 
della  morte  di  lui.  Alessandro  VI  si  scagionava  accusando  il  suo  legato  di  crudeltà.  I  ledati 
riversavano  la  colpa  sopra  Kirenzo.  Firenze  non  ne  voleva  saper  adatto.  Cosi  avvien  sempre, 
il  male  si  fa,  ma  nessuno  vuole  averlo  tatto. 


BREVE  EPILOGO 


Cosi  noi  siamo  giunti  alla  fine  della  lunga  via,  e  abbiamo  compililo 
V  ufficio  nostro  ed  eseguito  quanto  ci  proponemmo.  Ma  perchè  le  questioni 
da  noi  discusse  e  le  tesi  sostenute  furon  molte,  non  sarà  male  che  racco- 
gliamo ora  in  breve  epilogo  le  principali,  e  le  poniamo  tutte  insieme  sotto  gli 
occhi  del  lettore.  Oltre  al  piacere  che  forse  a  lui  recherà  il  dar  uno  sguardo 
su  tutto  il  cammino  percorso,  potrà  questo  anche  apportargli  qualche  aiuto  ad 
orizzontarsi  ne'  molti  e  stretti  sentieri  pe'  quali  egli  ha  dovuto  passare,  sen- 
tieri che  forse  prima  a  lui  eran  parsi  ingombri  di  aspri  sterpi,  o  ricoperti  da 
nebbia  folta. 

L'opera  nostra,  che  pure  imprendemmo  indotti  solo  da  necessità,  ebbe 
due  intenti:  l'uno  negativo,  l'altro  positivo.  Volemmo  per  un  lato  dimostrare 
che  il  giudizio  del  Pastor  su  Fra  Girolamo  è  inesatto  e  da  riformare.  L'egre- 
gio storico  d' Innsbruck,  che  tutti  veneriamo  per  la  scienza  e  la  virtù  ond'  è 
adorno,  venne  qui  meno  alla  sua  dirittura  di  giudizio,  perchè  del  Savonarola, 
personaggio  che  pur  riempie  ognora  della  sua  fama  il  mondo,  scrisse  senza 
averne  letto  e  studiato  le  Opere  e  senza  esservisi  prima  sufficientemente  pre- 
parato; ma  fidandosi,  meglio  che  nel  suo'  ingegno  e  nella  sua  diligenza,  ncl- 
l' autorità  di  coloro  che  avevano  innanzi  trattato  l'argomento,  anche  se  ra- 
zionalisti e  non  cattolici. 

E  fu  questa  sventura  grande  non  solo  per  la  vita  di  Fra  Girolamo,  ma 
anche  per  tutta  l'Opera  del  Pastor;  imperocché,  se  il  Pastor  avesse  letto 
negli  scritti  del  Frate  prima  di  parlarne,  avrebbe  non  solo  pronunciato  di 
lui  altro  giudizio,  e  fatta  così  progredire  assai  nel  campo  cattolico  la  buona 
causa,  ma  alla  stessa  sua  Storia  avrebbe  dato  miglior  compimento,  oltre  al 


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piacere  che  avrebbe  egli  potuto  provare  vedendo  sul  morir  del  secolo  XV 
un  uomo  della  levatura  e  forza  di  Fra  Girolamo  pensare  e  credere  e  pre- 
dicare quelle  verità  eli' egli  ora  insegna  dalla  cattedra  d'Innsbruck,  e  condan- 
nare quello  che  nell'epoca  del  rinascimento  egli  condanna. 

A  noi,  per  esempio,  sembrò  sventura  che  il  Pastor .  sottoscrivesse  al 
giudizio  di  coloro  che  non  sepper  vedere  il  buono  spirito  che  animava  le 
feste  e  le  processioni  promosse  in  Firenze  dal  grande  nostro  Riformatore, 
e  piuttosto  che  lode  parvero  dargli  biasimo  delia  mondanità  e  del  pa- 
ganesimo che  egli  bandì.  Così  ci  parve  ugualmente  da  condannare  la  sen- 
tenza che  voleva  Fra  Girolamo  soverchiamente  passionato  e  rigido  sia  come 
direttore  di  anime  e  maestro  di  vita  cristiana,  sia  come  predicatore  della 
riforma  sociale,  e  soprattutto  come  restauratore  della  famiglia  ed  educatore 
de' fanciulli  ;  mentre  egli  non  giunse  mai  ad  eccessi.  E  quantunque  la  corru- 
zione fosse  penetrata  anche  nel  santuario,  e  per  ogni  dove  si  mostrasse  trion- 
fante, fino  al  punto  di  chiamare  sul  capo  degli  uomini  i  flagelli  divini  e  pro- 
vocare un  santo  sdegno  in  chiunque  zelasse  1'  onore  della  casa  di  Dio,  pure 
Fra  Girolamo,  che  contro  il  vizio  lottò  a  morte,  seppe  ancor  qui  contenersi 
ne'  giusti  limiti,  nè  mai  discese  a  dir  male  d'  alcuno  in  particolare,  e  tanto 
meno  del  Pontefice  Sommo,  a  cui  portò  ognor  riverenza  come  a  primo  Pa- 
store e  Vicario  di  Cristo. 

E  come  venner  ribattute  qui  parecchie  accuse  rinnovate  dal  Pastor,  così 
mostrammo  inesistenti  quelle  che  volevano  il  Savonarola  invasore  del  campo 
politico  più  che  a  religioso  non  convenisse,  e  disseminatore  di  discordia  nella 
città  che  1'  udiva,  e  a  cui  diede  la  pace  universale.  In  modo  particolare  ci 
spiacque  1'  accusa,  pur  comune  in  moltissimi,  che  Fra  Girolamo  tenesse  volta 
Firenze  alla  parte  francese:  e  non  ci  parve  tollerabile  l' affermazione  che 
egli  a  ciò  invitasse  i  Fiorentini  in  nome  di  Dio  stesso  e  valendosi  della  mis- 
sione divina,  della  quale  si  credeva  investito.  Ed  anche  su  questo  punto  della 
missione  di  Fra  Girolamo  dovemmo  corregger  troppe  cose  nello  storico  d'Inn- 
sbruck, colpa  sempre  l'aver  questi  creduto  altrui,  piuttosto  che  studiar  egli 
stesso  la  questione  che  voleva  risolvere. 

Del  pari,  ci  parve  poco  chiaro  il  Pastor  nel  giudicare  la  teoria  del  Sa- 
vonarola e  trovammo  nel  suo  volume  sentenze  non  facili  a  comporsi  insieme; 
quantunque  egli  sia  tra  i  molti  che  dicono  di  non  condannare  il  Nostro  per  la 
dottrina.  Dolore  ci  ha  recato  in  questa  parte  specialmente  l'accusa  di  Ussita 
alla  teoria  savonaroliana,  e  quella  chela  vita  peccaminosa  de' prelati  ne  possa 
scuotere  la  giurisdizione,  e  quella  eh'  egli  avesse  piena  la  testa  della  teoria 
che  fa  il  Concilio  superiore  al  Papa.  Taccio  di  molte  e  molte  altre  accuse 
parziali  e  di  molti  epiteti  ingiuriosi  che  vedemmo  donati  immeritamente  al 
Frate.  Abbiamo  nel  corso  dell'  opera  tenuto  l1  occhio  su  tutto  e  confidiamo 
che  nulla  sia  rimasto  senza  una  risposta. 

Ma  siccome  ci  spiacque  sempre  la  critica,  e  crediamo  più  utile  mostrar 
la  verità  che  ribattere  V  errore;  così  siamo  venuti  esponendo  della  vita  e 
della  dottrina  del  Frate  quel  tanto  che  ci  parve  necessario  a  far  conoscere  la 


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figura  dell'illustre  condannato,  e  ad  ottenergli  l'assoluzione  dalla  ingiusta  sen- 
tenza che  da  quattro  secoli  lo  tiene  legato  ed  oppresso.  In  questa  parte  più 
che  mai  siamo  stati  fedeli  al  metodo  che  solo  crediamo  possa  condurre  alla 
conoscenza  della  verità  e  a  far  trionfare  la  giustizia  di  questa  causa.  Lasciati 
un  poco  da  parte  i  molti  e  contrarj  giudi z j  dati  dai  posteriori,  noi  ricercammo 
i  disegni  e  le  opere  del  Savonarola  specialmente  negli  scritti  di  lui  e  nelle 
lettere  che  i  varj  oratori  presso  la  Santa  Sede  e  i  principi  d'  Italia  scrissero  al 
riguardo,  o  ne  fossero  amici  o  avversar)',  e  negli  stessi  processi  falsificati  e  nelle 
memorie  che  ci  lasciarono  i  contemporanei,  specialmente  delle  parti  che  facevan 
guerra  al  Frate.  In  particolare  ammirammo  le  belle  cose  che  il  Savonarola 
predicava  della  Beneficenza  Cristiana,  de' Sacramenti  della  Confessione  e  della 
Comunione  e  della  Vergine  Maria. 

Ci  trattenne  abbastanza  a  lungo  il  metodo  di  predicazione  di  Girolamo 
Savonarola,  ed  egli  ci  apparve  ottimo  oratore,  o  si  consideri  la  carità  cristiana 
e  lo  zelo  per  la  gloria  di  Dio  e  la  salute  delle  anime  ond'  egli  era  compreso, 
oi  buoni  studj  ond' era  nutrito,  o  le  materie  che  sceglieva  nel  predicare,  o  la 
forma  della  predicazione.  Del  resto  i  miracolosi  effetti  prodotti  dalla  sua  pa- 
rola e  dalla  sua  vita  furon  per  noi  il  miglior  suo  elogio.  Così  fosse  piaciuto  al 
cielo  che  essi  non  venissero  arrestati,  chè  alla  fine  non  avremmo  avuto  la  rivo- 
luzione protestante,  o  almeno  non  ne  sarebbero  state  così  gravi  le  conseguenze. 

Ci  parve  anche  buono  presentare  alla  nostra  età  la  figura  del  Savonarola  per 
lo  spirito  che  informava  1'  opera  sua  riguardo  la  famiglia  e  la  società  civile. 
L'  una  e  l'altra  ora  reclamano  di  essere  difese  e  rette  come  il  Savonarola  vo- 
leva; questa  segnatamente  ha  bisogno  dello  spirito  del  Frate  di  San  Marco, 
cioè  di  accettare  la  filosofia  dell'Evangelo  nella  sua  costituzione,  e  d'informare 
le  leggi  al  timor  di  Dio  e  alla  giustizia,  e  di  mirare  al  bene  comune  ed  a  ren- 
der buone  le  genti  e  non  allontanarle  da  quella  felicità  che  Cristo  ha  promesso 
a  chi  fa  il  bene  e  fugge  il  male. 

Più  ancora  ci  siam  fermati  a  considerar  Fra  Girolamo  ne'  rapporti 
con  Alessandro  VI.  Per  riuscire  a  veder  chiaro  in  simile  quistione  tanto  com- 
battuta e  confusa  dalla  passione,  e  in  parte  anche  dall'ignoranza,  abbiamo 
ripresa  la  cosa  un  poco  dall'alto.  Esponemmo  prima  di  tutto  la  teoria  del  Sa- 
vonarola intorno  la  gerarchia  ecclesiastica,  l'obbedienza  ai  superiori,  le  leggi 
canoniche  e  la  scomunica;  e  di  leggieri,  sia  con  richiami  o  con  passi  trascritti 
dai  Padri  e  Dottori  e  segnatamente  da  San  Tommaso,  sia  con  citazioni  tratte 
dal  Diritto  Canonico,  la  dimostrammo  cattolica,  tanto  nella  parte  positiva,  quanto 
nella  negativa. 

Dopo  ciò  passammo  ad  esaminare  la  questione  di  fatto.  E  qui,  anche  per- 
chè non  fosse  nemmeno  possibile  dare  un  giudizio  contrario  al  vero  stalo 
delle  cose,  rinunciammo  di  trarre  le  prove  a  favore  del  nostro  Frate, 
argomentando  dalle  guaste  passioni  umane  anche  nel  campo  ecclesia- 
stico; ma  considerammo  solo  Fra  Girolamo  ne' rapporti  con  Alessandro  VI, 
secondo  i  canoni;  quasi  immaginando,  diremo  così,  di  trovarci  innanzi  ad  un 
tribunale  ecclesiastico  a  ciò  radunato,  che  non  conosca  altra  legge  che  la  cano- 


—  602  — 


nica.  Naturalmente  non  potevamo  mettere  da  un  canto  intieramente  la  politica 
e  le  passioni,  dacché  queste  operarono  tanto  male  nella  causa  del  Savonarola: 
ma  ci  venne  di  leggieri  provato  che  nè  la  politica  nè  le  umane  passioni  furono 
quelle  che  mossero  soggettivamente  Alessandro  VI.  Il  Moro,  il  cardinale  Ascanio 
fratello  del  Moro,  gli  oratori  di  quello  e  specialmente  il  Somenzi  e  il  Tancre- 
dino,  gli  altri  potentati  d'Italia,  i  Palleschi,  gli  Arrabbiati  odiavano,  oltre  che 
per  la  riforma  morale,  anche  per  la  politica,  Fra  Girolamo  e  i  seguaci  di  lui  ; 
ma  ad  Alessandro  VI  costoro  non  proposero  mai  di  procedere  contro  il  Frate 
per  i  loro  fini,  che  tenevano  occulti,  ma  sempre  per  motivi  ecclesiastici.  Da 
parte  di  Alessandro  VI  adunque  noi  non  abbiamo  potuto  veder  mai  atto  che 
fosse  canonicamente  erroneo  contro  il  Frate.  Il  Papa  sta  là  e  non  può  veder 
tutto,  nè  saper  sempre  il  netto  de'falti  umani  ;  e  Alessandro  VI,  concesso  che 
credesse  alla  verità  delle  cose  che  gli  furono  da  molti  riferite,  ci  apparve  ognora 
lento,  moderato  nel  procedere  contro  il  Frate,  e  sempre  giusto:  e  non  abbiamo 
potuto  non  ammirare  il  suo  ricredersi,  allorché  furon  lasciate  giungere  sino  al 
suo  trono  le  giustificazioni  del  condannato.  Nei  rapporti  col  Savonarola  noi  ve- 
demmo insomma  che  difficilmente  si  può  dare  ad  Alessandro  VI  un  rimprovero 
grave.  Questo,  a  parer  nostro,  fu  provato  abbastanza  chiaramente. 

Ma  per  altra  parte  non  ci  apparve  meno  longanime  e  retto  Frate  Girolamo, 
il  quale  ebbe  per  ventura  dalla  sua  non  pure  la  buona  fede,  ma  anche  intiera 
la  verità.  Egli,  pur  conoscendo  la  prima  radice  del  suo  male,  pur  conoscendo 
che  gli  ordini  pontifici  e  le  pontificie  condanne  che  lo  riguardavano  erano  car- 
piti al  Vicario  di  Cristo  da  uomini  usi  a  malfare,  e  per  cattivo  fine  e  con  arti 
diaboliche;  pur  vedendo  che  i  motivi  espressi  ne' Brevi  ponlificj  erano  assolu- 
tamente inesistenti  e  ch'era  vero  l'opposto  di  quanto  questi  supponevano,  e 
che  però  eran  nulli  e  non  esprimevano  la  volontà  del  Pontefice;  tuttavia  volta 
per  volta  egli  ne  tenne  sempre  conto,  e  con  umiltà  assai  rara  rescrisse,  infor- 
mando sempre  il  superiore  del  come  stavan  le  faccende,  per  impedire  cosi, 
per  quanto  era  in  lui,  che  si  consumasse  uno  de' più  neri  delitti  che  gli  uomini 
abbiano  mai  concepito,  e  che  venisse  guasta  la  riforma  in  Firenze  e  ne1  suoi 
Conventi,  e  non  fosse  incaglialo  l'allargarsi  di  questa  in  tutta  la  società  civile 
e  nella  stessa  Chiesa.  In  particolare  noi  esaminammo  i  Brevi  de' 21  lu- 
glio e  degli  8  settembre  1495,  e  vedemmo  che  riguardo  ad  essi  fu  mirabile  la 
condotta  del  Savonarola,  e  come  egli  riuscisse,  anche  per  1'  opera  del  beato 
Sebastiano  Maggi,  a  calmare  l'eccitata  ira  del  Pontefice.  Poi  ci  soffermammo 
abbastanza  a  considerare  il  Breve  de'2G  ottobre  149G  ;  ivi  ancora  ci  apparve  tutta 
cattolica  e  pia  ed  umile  la  condotta  del  Frate,  il  quale  potè  riuscire  final- 
mente a  riavere  la  facoltà  di  predicare;  onde  risalì  francamente  il  pulpito  la 
quaresima  dell'anno  1490;  e  sebbene  questo  sapesse  di  forte  agrume  ai  per- 
duti avversarj,  tuttavia  egli  potè  restare  sul  pergamo  ad  ogni  modo,  nè  valsero 
a  farlo  scendere  le  nuove  malizie  escogitate  da  quelli. 

Allora  da  chi  voleva  ad  ogni  modo  rovinarlo  si  ricorse  ad  un  mezzo  più 
potente  e  pericoloso,  il  quale  avrebbe  non  solo  condotto  Fra  Girolamo  a  mal 
punto,  ma  avrebbe  anche  guastalo  i  suoi   floridissimi  Conventi.  Qui  l' arte 


-  603  — 


usala  dagli  avversarj  fu  così  fina  e  così  ben  coperta  la  malizia  loro  dalla 
specie  del  bene,  che  furon  tratti  in  inganno,  oltre  il  Pontefice,  altri  personaggi 
che  avevano  finora  sostenuta  la  giusta  causa  del  Savonarola.  Ma  non  fu  tuttavia 
difficile  a  lui  e  a' suoi  Frati  parare  il  colpo  fatale;  ed  essi  seppero  rescrivere  con 
sì  forti  ragioni  che  anche  l'esecuzione  della  famosa  bolla  che  creava  la  nuova 
Congregazione  Tosco-Romana  venne  sospesa.  In  questa  lotta  non  solo  ci  ap- 
parve canonicamente  corretto  Fra  Girolamo,  ma  anche  tutta  la  Congregazione 
Marciana. 

Ma  pervennero  al  Papa  le  buone  ragioni  del  Savonarola?  I  nemici  pur 
riuscirmi  ad  ottenere  contro  questo  giusto  sentenza  di  Scomunica;  nè  ave- 
vano scrupolo  di  andar  oltre  e  chiedere  e  invocare,  solo  per  riuscire  a  disfarsi 
di  tanto  intrepido  guerriero  di  Cristo,  l'interdetto  contro  la  bella  città  di  Fi- 
renze. Questa  volta  non  valsero  preghiere,  suppliche,  ragioni;  il  Pontefice  era 
attorniato  da  cani  e  da  lupi  mascherali  che  non  gli  lasciavano  udire  la  voce 
dell'  innocente  che  da  lontano  chiedeva  aiuto.  Pure  finalmente  giunse  al  trono 
Pontificio  almeno  1'  eco  dei  suoi  clamori,  e  fu  un'  altra  volta  conosciuta  o  almeno 
sospettata  la  sua  innocenza;  m,a  che  perciò,  se  per  le  solite  mene  degli  avver- 
sarj non  fu  tuttavia  possibile  ottenere  dagli  autorevoli  giudici  onestamente  la 
revoca  della  sentenza? 

Ma  la  città  fa  male,  per  dispetto  del  Frate  che  tace;  i  tristi  imperversano, 
buoni  chiedono  pane  e  nessuno  ne  porge  loro.  Perchè  il  Frate  dimentica  se 
stesso?  Non  si  ricorda  più  che  per  salvar  le  anime  che  pericolano  si  deve  es- 
ser pronti  a  darò  anche  la  vita?  Ne'  dieci  mesi  eh'  ei  tace  non  vede  che  Fi- 
renze è  tornata  un  inferno?  Non  sa  che  a  tutti  i  buoni  è  nota  con  chiara 
evidenza  la  nullità  della  grave  condanna  che  lo  tiene  da  tanto  tempo  in  cella? 
Egli  ha  giustificato  molto  bene  ogni  cosa;  perchè  dunque  non  spezza  il  pane 
del  Verbo  di  Dio?  E  il  Frate  si  mostra  un'altra  volta  al  pubblico  e  risale  il 
pergamo  e  tuona  terribile  contro  tutte  le  ingiustizie  e  tutti  i  vizj;  e  i.  buoni  e 
coloro  che  voglion  far  bene  si  sentono  un'  altra  volta  difesi.  Nè  si  dispera  che 
il  Pontefice  si  pieghi  e  renda  la  quiete  e  la  pace  a  Firenze  e  al  suo  Profeta. 

Ma  intanto  le  schiere  de'  nemici  si  serrano  e  inferociscono.  Ve  n'  ha  in 
città,  ve  n'  ha  fuori  :  si  stringono  tutti  in  forte  alleanza  ed  egli  è  fatto  tacere. 
Allora  s' inventa  una  nuova  calunnia,  che  egli  voglia  un  Concilio  contro  il 
Papa,  che  non  è  vero  Papa:  e  che  perciò  abbia  scritto  a'  principi  e  li  abbia 

incitati  alla  folle  impresa       Nè  basta,  ma  si  ricorre  anche  ad  altre  arti,  e 

si  specula  sulla  sua  buona  fede  e  sulla  buona  fede  de'  suoi  per  rovinarli 
tutti,  e  poi  si  fa  tumulto  e  si  traggono  prigioni  il  giusto  e  i  suoi  più  fedeli 
compagni;  si  torturano,  si  processano,  e  con  ogni  maniera  di  falsificazione  si 
vuol  mostrar  al  popolo  eh'  essi  son  rei  e  devono  morire. 

Ed  essi  muoiono  sereni.  La  coscienza  del  mal  fatto  rimorde  i  tristi  ;  e 
nessuno  vorrebbe  esser  reo  del  brutto  delitto.  Ma  tra  i  semplici,  tra  i  buoni, 
tra  i  santi,  la  memoria  di  Fra  Girolamo  è  risuscitata  e  benedetta,  nè  essi  sanno 
quando  altro  simile  uomo  sarà  da  Dio  ridonato  alla  terra;  e  intanto  i  fiori 
del  maggio  adornano  quel  suolo  benedetto  ove  caddero  incenerite  le  sue 


—  604  — 


membra,  suolo  che  un'  età  infiacchita  e  sospettosi  principi  deturperanno  con 
pagane  lascivie,  ma  che  gli  amici  della  libertà,  della  rettitudine  e  della  fede 
guarderanno  ognora  con  rispetto  e  venerazione. 

Discutono  ancora  alcuni  intorno  al  grande  condannato?  Ma  egli  ciò  non 
ode;  e  fisso  in  Dio  a  cui  tutto  è  presente,già  vede  il  giorno  in  cui  dovrà  esser 
riconosciuto  netto  da  ogni  nebbia  nella  congregazione  dei  fedeli,  che  formano 
la  Chiesa  militante.  Piaccia  al  cielo  che  questo  giorno  spunti  presto,  e  appa- 
ghi i  nostri  desiderj,  che  furon  pure  i  desiderj  dei  santi! 


APPENDICE 


Documento  I*  (Inedito). 

V.  l'Opera  a  paa.  4a'J  o  suf;;. 


Alexander  papa  sextas 
Dilecto  Filio  fri  Sebastiano  de  Madiis  Congregationis  lombardiae 
ord.  Praed.  Vicario  Generali. 

Dilecte  fili  salutem  et  apostolicam  benedictionem.  Quum  multa  et  varia  de 
novitate  dogmatis  et  scandalosis  praedicationibus  fratria  hieronimi  Savonarola 
de  ferraria  ordinis  tui  Florentiae  commorantis  nobis  renuntiata  sunt  et  qnotidie 
refferuntur,  quae  mentem  nostrana  mirum  in  modurn  commoverunt  et,  tamquam  a 
nostra  religione  et  humana  facultate  penitus  aliena,  gravi  et  exacto  sunt  digna 
examine,  ne  novitas  huiusmodi  et  ea  quae  ab  ipso  prolata  in  publicum  et  in 
scriptis  redacta  esse  dicuntur  scandalum  in  chripstiano  populo  et  suae  et  alio- 
rum  animabus  interitum  provocarent,  volentes  prò  nostro  pastorali  officio  sa- 
lubriter  providere,  ipsum  per  alias  nostras  in  forma  brevis  litteras  ut  ad  nos 
veniret,  ad  hoc  ut  ex  ore  suo  veritatem  et  causam  eorum  quae  in  populo  predi- 
cat  et  in  scriptis  publice  redegit  intelligeremus,  monuimus.  Quod  tainen  facere 
recusavit.  Ex  quo  ipsum  non  secundura  Dei  legem  per  quam  obedientia  et  hu- 
militas  prsecipitur  incedere  prtesutnitur.  Ea  propter  ne  error  hujusmodi  in  ecclesia 
Dei  sub  dissimulatone  et  negligentia  tempore  praesertim  nostro  pertranseat, 
de  tua  probitate  et  sinceritate  specialem  iu  domino  fiduciam  obtinentes,  tibi  per 
praesentes  committimus  et  mandamus  quatenus  statimreceptispraesentibus  prae- 


(*)  Questo  documento  che  prima  del  1S50  appartenne  all'Archivio  dei  Domenicani  di 
Bologna  ci  venne  gentilmente  comunicato  dal  M.  R.  P.  Fr,  Giacinto  Lcca  dei  Predicatori.  Di 
questo,  come  dell'altro  che  segue,  esistono  dito  collie,  del  tempo  che  portano  i  numeri  d'Ar- 
chivio ltì41  e  567.  Tra  queste  due  copie  v'è  quosto  sole  varianti:  Nella  copia  sognata  567 
sotto  la  metà  si  legge  vestra  Tenutaria  institula  ;  dopo  Coiioenliti  leggeri  anche  Montistcrii  e 
la  data  del  giorno  é  scritta  in  numeri  romani,  die  viiij.  Molte  abbreviature  sono  stato  tolte 
per  comodo  dei  lettori. 


-  G06 


dictum  Hieronymum  nostra  et  apostolica  auctoritate  sub  virtute  sancte  obedien- 
tiae  et  excommunicationis  pena  lata?  sententiae,  cites,  moneas  ut  infra  compe- 
tentem  terminum  per  te  praefìgendum  persoualiter  coram  te  compareat,  et  de 
hujusmodi  suis  predicationibus  et  scriptis  f'undamentum  testimonium  et  ratio- 
nem  cura  puntate  veritatis  tibi  assignet.  Dantes  tibi  et  concedentes  plenam  fa- 
cultatein,  auctoritatem  et  potestatein  de  hujusmodi  causa  cognoscendi,  proce- 
dendo et  prout  juris  et  justitiae  fuerit  ac  juxta  ordinationes  et  vestrae  regulae 
instituta  determinandi  et  puniendi:  vel  ad  nos  sedemque  apostolicam  ref'erendi. 
Caeterum  scribimus  aliud  breve  nostrum  eidem  Hieronymo  et  oonventui  sancti 
Marci  ordinis  tui  in  civitate  Florentiae  :  cujus  tenoris  ut  tu  notitiam  et  juxta 
continentiam  ejus  exequaris  accludi  fecimus  bis  litteris  ex. 111  (exemplum) 
ejusdem  brevis,  ac  insuper  aliud  duplicatura  et  bis  alligatimi  in  manus  tuas  di- 
rigimus,  ut  prò  abundantiori  cautella  (.vie)  et  maiori  certitudine  ili  nel  oisdem  hiero- 
nymo et  conventui  praesentari  facias,  deque  eorum  responsione  et  obedientia 
per  te  certiores  reddamur.  Utque  et  juxta  dicti  brevis  tenorem  Monasteria  san- 
cti Marci  et  sancti  Dominici  prsedicti  ordinis  tui  quae  vestrae  Congregationi 
lombardiae  univimus  prò  dieta  congregatione  accipere  et  illorum  curam  habere 
in  posterum  valeas.  Tu  igitur  in  praemissis  ita  te  gerere  studeas  ut  intelligamua 
causam  hanc  praedicti  fratris  hieronymi  tam  plenam  novitate  et  scandalis  viro 
probo  religioso  et  deum  timenti  commisisse. 

Datura  Romae  apud  sanctum  Petrum  sub  annulo  piscatoris  die  nona  Sep- 
tembris  Mcccclxxxxv,  Pont,  nostri  Anno  quarto. 

Baj.  FlOIUDUS. 


Documénto  II  * 

V.  1'  opera  a  pag.   159  e  segg. 


Alexander  Papa  Sextus 
Dilectis  filiis  Priori  et  Conventui  1  sancti  Marci 
ordinis  preedicaiorum  in  civitate  florentia. 2 

Dilecti  filii  salutem.  Quia  divini  consilii  iuscrutabilis 
altitudo  universali  adininistrandae  ecclesiae  nos  patri  suc- 
cessorem  licet  immeritum  hoc  tempore  praeesse  dispo- 


(*)  Intorno  a  questo  importantissimo  documento  redi  Ghorardi,  pag.  086  o  sog.  Fu  pub- 
blicato, sembra,  la  prima  volta  dal  Quétìf  che  vi  apposo  la  data  dol  16  ottobre  1497,  cortamonto 
errata.  L'originalo  non  si  trova,  e  l'esemplare  più  antico  conosciuto  lino  ad  ora  è  quello 
della  Magliabechiana  classo  XXXV,  cod.  190,  carto  44,  sincrono.  La  lezione  elio  diamo  noi, 
molto  conformo  a  quella  dol  codice  Magliubechiano,  ù  secondo  il  manoscritto  comunicatoci 
gontilmonto  dal  P.  Giacinto  Loca,  già  appartenente,  come  quello  del  precedente  brove,  al- 
l'Archivio di  San  Domenico  di  liologna.  in  duo  copio  portanti  il  n°  568,  Questi  esomplari  non 
hanno  data,  o  solo  al  di  fuori  portano  scritto  1'  anno  1495.  Abbiamo  anche  qui  corretto  varie 
abbreviaturo.  Aggiungiamo  le  varianti  del  Qnótii  o  de]  cod.  Magliabccliiano.  Indichiamo 
con  la  lettol  a  Q  la  lozione  dol  Quétil  e  colla  lettera  SI  la  lezione  dol  codico  M.igliabochiano. 


(  Q.  aggiunge:  monasteri! 

2  II...  et  couveutui  monaste- 
ri! sanctao  Crucis  Or- 
dinis l'rcdicatorum  In 
civitate  Florentle. 


—  607  — 


3  y.  quantum 
1  Q-  aggiunge  ut 

8  Q.  aduuibrata 

u  Q.  de  ecclesia  pellatur 
~  li.  sollicitare 
5  Q.  posset 

a  Q.  esemplo  iu  malo  po- 
tcstas 

10  li.  posterum 


"  y.  assereret 

12  y.  osteudat 

13  il.  aut 


"  Q.  extra  salutis  statura 
eum  esse  qui  vauis  il- 
lius  assertiouibus  non 
credat 

15  y  non  minus 

16  il.  ac 

"  y.  aggiunge  ut 

ls  y.  malico  suam 

la  JI.  propbetieam  suam 

20  y.  mancano  le  parole  :  et 

qua;  perturbationis  cau- 
sa in  ecclesia  fueraut 
il  1  i us  verba 

21  y.  consulte 

22  li.  aggiunge  sua 

23  y.  mancano  ie  parole  :  est 

ammodo.  .V.  est  amodo 

21  li.  referimus 

"J  Q.  submiuistravit 

20  y.  sola  alias  audita 

27  y.  inbibenda 

28  y.  quando 


suit,  jugi  quanto  3  nobis  divino  ìnunere  datur  diligentiae 
studio  procurandis  liis  rebus  intendi mus  quibus  religio 
salus  et  pax  chripstiauo  populo  conservetur,  floreat.  1  ani- 
plificetur.  Dogmatuni  vero  novitas  fictae  simplicitatis 
adoptata5  velamine  qua  in  populo  frequenter  et  clero 
scismata  heroses  moruuique  subversio  oriuntur  de  ec- 
clesia nitimur  emeudationis  flagello  peliatur, 0  ne  quietum 
corporis  ecclesiae  statum  solicitare  7  in  praesentia  possit 8 
neque  ceteris  delinquendi  exemplo  isto ,J  malo  potestas 
fiat  in  futurum. 10  Sane  bieroniraum  quemdam  Savonarola 
de  ten  aria  ordinis  prsedicatorum  novitate  pravi  dogmatis 
delectatum  accepimus  et  in  eam  mentis  insaniam  ltalica- 
rum  rerum  commutatione  deductum  ut  se  missum  a  Deo 
et  cum  Deo  loqui  sine  ulla  canonica  attestatione  fateatur 
in  populo  contra  canonicas  sanctiones.  Non  sufficit  cui- 
que  nude  tantum  asserere  quod  ipse  sit  missus  a  Deo 
cum  boc  quilibet  bereticus  asseveret,  11  sed  opportet 
quod  astruat  12  illam  invisibilem  missionem  per  opera- 
tionem  miraculi  vel 13  scripturae  testimonium  speciale  : 
Cbristum  praeterea  Jbesum  crucifixum  et  deum  mentiri 
si  ipse  mentiatur.  Horrendum  certe  et  execrabile  adiura- 
tionis  genus.  extra  statum  salutis  quemquam  fieri  vanis 
illius  assertionibus  non  credentem,  u  alia  deinceps  illum 
novimus  15  iuepta  tacere  dicere  et lfi  scribere  quae  si  pre- 
tereant  impune,  nibil  est  quod  non  ausura  falsorum  re- 
ligiosorum  temeritas  sit,  et  in  corpus  ecclesie  quod  veren- 
dum  est  vitia  sub  virtutum  specie  subintrarent.  Cogi- 
tavimus  longa  cunctatione  et  diuturna  patientia  nostra 
efììcere  17  fatuam  illam  suam  18  propbeticam  19  professio- 
nem  recognosceret,  ad  solidae  veritatis  viam  deflecteret,  et 
quae  perturbationis  causa  in  ecclesia  fuerant  illius  verba  20 
temere  et  inique  prolata,  consulter  21  et  fideliter  revoca- 
ret.  Credebamus  post  aliquod  tempus  jam  advenisse  diem 
quo  de  ipso  meliora  concipere  deberemus,  ac  dolorem 
quem  nunc  usque  ex  effreni  arrogantia  22  et  scandalosa 
separatone  a  patribus  suis  lombardiae  perpessi  fueramus 
quae  subdola  caliditate  sicut  post  cognovimus  perver- 
sorum  quorumdam  fratrum  impetrata  est  ammodo  2;tex  sua 
bumili  adberentia  in  letitiam  commutaremus  ;  sed  quod 
dolenter  relferimus  M  spe  nostra  frustrati  sumus.  Nani 
licet  per  litteras  nostras  ipsum  in  virtute  sanctse  obedien- 
tiae  monuerimus  ut  ad  nos  veniret  veritatem  ab  eo  et  ab 
ore  suo  intellecturos,  tamen  non  solum  venire  et  nobis 
obedire  recusavit,  veram  etiam  et  ipse  acerbiorem  in  dies 
magis  dolorio  nobis  causam  subministrat  85  impudentius 
fidelium  oculis  legenda  ingerens  quae  solo  alias  auditu  211 
temere  profuderat  inbibenda. 27  Ea  propter  quum  M  nos 
reddendae  uuiversae  italiae  pacis  grandi  ac  laborioso 


—  608  — 


*  Q.  manca  in  forma  e  « 
dice  solo  brevi. 


30  Q.  Hieronymo  Savonaro- 
la pnedicto.  il.  Iliero- 
uimo  Savonarola  pra:- 
fato 


31  Q.  discutietur 

32  Q.  prtcdictum 

33  Q.  tali 
31  Q.  vel 

3j  il.  amoilo 
:i  Q.  prsedictse 

37  Q.  pra:dictoruin 

38  Q.  pra-dictic 

33  Q,  injun^entesque 
10  Q.  pra?dicti 

41  Q.  Rom;c  etc  die  xvi 
oetobrisi  An.  Incarnat. 
Domini  mcdxcvii. 


*  Q.  Manca  nel  Quétif.  M. 
aggiungi:  ap.  S.ctmu  Pe- 
trum  sub  auuulo  pisca- 
toria, die  Viii  septem- 
bris  Mcccclxxxxv,  pon- 
tilicatus  nostri  anno 
quarto. 


opere  detineamur,  liane  ipsaui  causam  fratti  Sebastiano 
de  Madiis  de  Brixia  Congregationis  lonibardiae  ordinis 
praedicatorum  generali  vicario  decernendam.  judicandam 
puniendamque  secundum  vestri  ordinis  statuta  commi- 
simus  per  litteras  nostras  in  forma  brevis,  29  Hieronimo 
praefato  Savonarola  30  in  virtute  sanetse  obedientiae  sub 
exeomunicationis  latae  sententiae  psena  stricte  praeci- 
piendo  mandantes  ut  Vicarium  praefatum  ad  cognoscen- 
damltujusmodi  causam  anobis  judicem  deputatumprompta 
et  sincera  obedientia  recognoscat  illius  mandatis  ubilibet 
gentium  se  citaverit  omni  cunctatione  et  appellatione 
postposita  pariturus.  Interea  vero  dum  baec  causa  coram 
praefato  vicario  discutitur  31  ab  omni  declamandi  in 
populo  et  publice  legendi  officio  per  praesentes  litteras 
praefatum 32  hieroninium  suspensum  esse  decernimus.  Ce- 
terum  ne  alteri  cuiquam  ex  fratribus  vestris  malo  33 
exemplo  eiasdem  hieronimi  libertate  propria  delectati  er- 
randi  et34  decipiendi  tribuatur  facultas,  locum  istum  san- 
cti  Marci  de  fiorentia  et  sancti  Dominici  apud  fesulas 
ordinis  prsedicatorum  ammodo35  praefatae  30  congregationi 
lombardiae  reunimus,  incorporamus,  anectimus,  omnibus 
fratribus  praefatorum  37  locorum  sancti  Marci  et  sancti 
Dominici  sub  exeommunicationis  latae  sententiae  psena 
mandantes  ut  vicario  praefatae  38  congregationis  lombar- 
diae velut  suo  legittimo  pastori  pareant  et  intendant. 
Revocantes  ex  nunc  et  revocatum  esse  decernentes  quid- 
quid  auctoritatis,  facultatis,  sive  potestatis  cuiquam  alteri 
etiam  apostolica  auctoritate  esset  indultum.  Injnngentes 
quoque  30  sub  ejusdem  exeommunicationis  latae  sententiae 
pcena  fratri  Dominico  de  piscia  et  fratri  Tliomae  busino 
et  fratri  Silvestro  de  fiorentia  ut  infra  spatium  novem 
dierum,  quorum  tres  assignamus  prò  primo  termino,  tres 
prò  secundo,  et  tres  prò  tertio  a  notitia  praesentium  Bo- 
noniam  proticiscantur  auctoritate  praefati  10  Vicarii  lom- 
bardiae in  uno  quoppiam  Conventuum  Congregationis, 
praeterquam  in  dominio  florentinorum  collocaudi.  In  con- 
trarium  facientibus  non  obstantibus  quibuscuraque.  Datum 
Romae.  11 

B.  Flokidus.  42 


—  609  — 
Documento  III  * 


(aggiunto  in  questa  seconda  edizione). 


Beatissime  Pater. 

Post  pedum  oscula  beatorum.  Quomodo  moerens  filius  super  indignatione 
patris,  omnem  ad  eum  placandum  viam  aditumque  flagitat,  et  quserit  :  nec  ob 
ullam  repulsam  de  solita  pietate  desperat,  cum  scriptum  sit:  Petite  et  dabitur 
vobis:  pulsate  et  aperietur  vobis;  ita  et  ego  plus  ob  interdictam  Sanctitatis 
Vestrse  gratiam,  quam  ob  aliam  jacturam  sollicitus,  ad  pedes  ejus  assidue  con- 


*  Questa  lettera  sfuggita  a  tutti  i  moderni  Storici  del  Frate,  trovasi  inserita  (iol.  156)  nella 
Vita  manoscritta  del  Savonarola,  composta  dal  P.  Serafino  Razzi,  Domenicano  di  San  Marco 
e  da  lui  offerta  a  Clemente  Vili.  H  migliore  esemplare  di  questa  preziosissima  vita  già  tro- 
vavasi  nella  Biblioteca  di  ^an  Marco  di  Firenze,  ed  ora  è  nella  Laurenziana,  segnato: 
S.  Marco  -ti9.  Neppure  il  compianto  Prof.  Luotto  conobbe  questa  lettera  che  venne  da  me 
per  la  prima  volta  stampata  nel  Periodico  IV  Centenario  della  Morte  di  Fr.  Girolamo  Savo- 
narola, num.  6.  Come  ebbe  il  Padre  Razzi  questa  lettera?  Nel  1850  il  P.  Marchese  scriveva: 
«  NeU"Archivio  di  San  Marco  è  un  breve  catalogo  di  manoscritti  esistenti  già  nel  mona- 
ci stero  di  S.  Vincenzo  di  Prato  dell'ordine  Domenicano.  Questi  Mss.  erano,  a  quanto  sem- 
«  bra,  opere  del  P.  Girolamo  Savonarola,  e  segnatamente  Commentarii  Sopra  diversi  libri 
«  della  Sacra  Scrittura.  A  piedi  del  Catalogo  sono  ricordate  le  seguenti  lettere:  Epistola 
«  latina  ad  Alessandro  VI,  prò  alsolutione.  Epistola  al  Conte  della  Stirandola  ecc..  »  (Marchese, 
Documenti.  Arch.  St.  Ital^  appendice,  n.  25,  pag.  115). 

Il  Razzi,  che  dimorò  a  lungo  nel  Convento  di  Prato  in  qualità  di  Confessore  delle 
Suore  di  San  Vincenzo  al  tempo  di  Santa  Caterina  dei  Ricci,  e  che  anzi  nel  convento  me- 
desimo diè  termine  alla  sua  vita  del  Savonarola,  potè  facilmente  avere  il  manoscritto  di 
questa  lettera  e  inserirvdla. 

Molte  riflessioni  potrebbero  farsi  intorno  a  questo  documento,  collocato  nel  suo  ordine 
cronologico  insieme  cogli  altri  che  lo  precedono  e  che  lo  seguono.  Ma  ci  preme  innanzi 
tutto  notare  col  buon  Razzi:  «  Attendasi  la  bontà,  l'umiltà,  la  riverenza  ai  superiori  e  la 
«  buona  mente  del  servo  di  Dio  Fra  Jeronimo.  »  Ed  al  Razzi  diamo  volentieri  ragione  piut- 
tosto che  al  Pastor,  il  quale,  parlando  appunto  delle  pratiche  della  Si  gnoria  col  Pontefice 
in  questo  tempo,  dice  che  il  Savonarola  taceva  «  di  quel  tempo  ogni  suo  potere  onde  ac- 
«  crescere  le  difficoltà,  irritare  all'estremo  il  Pontefice  e  rendere  impossibile  ogni  riconci- 
«  liazione  »  (pag.  359).  E  in  nota  ripete  del  <•  fermo  proposito  dell'  uomo  caparbio  a  non 
•<  prestare  obbedienza  al  pontefice.  » 

Sappiamo  infatti  che  le  pratiche  degli  Oratori  e  il  patrocinio  di  diversi  cardinali 
(v.  Marchese  L  e,  pag.  157  e  seg.  e  particolarmente  la  nota  2  a  pag.  162)  giunsero  al  punto 
che  il  Pontefice  sembrò  contentarsi  di  avere  da  Fra  Girolamo  uu  semplice  atto  di  sotto- 
missione (v.  a  pag.  534  dell'opera).  Fece  Fra  Girolamo  quest'atto?  La  Signoria,  scrivendo  il 
13  ottobre  del  97  al  Bracci,  diceva:  «  Noi  abbiamo  inteso  con  quanto  amore  e  diligenza 
«  insiem  con  Messer  Riccardo  Becchi  fusti  col  Cardinale  Reverendissimo  Napolitano  per  la 
«  absolnzione  di  Frate  Hieronimo        Crediamo  che  Frate  llieronimo  harà  exeguito  tutto-  » 

Ma  vien  naturale  una  domanda:  Questa  lettera  fu  consegnata?  Io  non  so;  soltanto 
sappiamo  che  i  nemici  del  Savonarola  nella  Corte  Romana  eran  capaci  di  tutto  ;  e  che 
un'altra  volta  il  Savonarola  dovè  lagnarsi  col  Pontefice  che  a  lui  non  fosse  stata  conse- 
gnata una  sua  lettera,  in  risposta  al  breve  del  21  luglio  '95  pubblicata  dal  Luotto  a  pag.  417, 
lettera  anch'  essa  piena  dei  più  umili  sentimenti  di  obbedienza  e  di  riverenza.  «  Mi  mera- 
«  viglio  che  la  vostra  santità  non  abbia  ricevuto  la  mia  lettera...  Uomini  tristi  »,  dice  il 

'  39 


—  610  — 


fugio,  supplicans  ut  tandem  clamor  meus  in  conspectu  ejus  exaudiatur:  nec 
me  diutius  suo  ereptum  gremio  esse  velit.  Ad  quem  enim  nisi  ad  Pastorem 
velut  ovis  ipsius  accedam,  cujus  vocem,  et  benedictionem  audire  gestio,  et 
imploro,  salutaremque  praesentiam  exopto?  Janique  ad  pedes  ejus  procidissem, 
si  rnihi  tutum  iter  ab  iniquorum  injuria  et  insidiis  patuisset.  Quod  quidem,  ubi 
sine  suspitione  licuerit,  me  facturum  propono,  et  tota  mente  cupio:  ut  ab  omni 
calumnia  me  tandem  diluere  possim.  Interea  in  cunctis,  ut  semper  feci,  me 
mius  majestati  humillime  subiicio:  et  si  quid  per  insipientiam,  aut  inadver- 
tentiam  erratum  est,  veniam  suppliciter  deposco.  Nam  malitite  apicem  nunquam 
in  me  deprehendet.  Obsecro  igitur,  ne  mihi  benignitatis,  et  clementise  suse 
fontem  Sanctitas  Vestra  subtrahere  dignetur,  quem  si  semel  suum  agnoverit, 
non  minus  sibi  devotum,  quam  sincerum,  et  omDi  tempore  obsequentissimum 
servum  experietur.  Me  Beatitudini  Vestrse  humiliter  commendo. 

Ex  Conventu  Sancti  Marci  Florentiae,  die  decima  tertia  Octobris  mccccxcvii. 

B.  V.  Devotissimus  filha  et  servulus 
Frater  Hieroxymus  de  Ferraria  Ordinis  Prsedicatorum. 


frate  «  hanno  abilmente  suggerito  il  falso  a  Vostra  santità  e  non  le  hanno  consegnato  la 
«  mia  lettera:  ìliror  quod  sanctitas  Vestra  literas  meas  non  habutrit...  Sanctitati  Vestrie  per- 
<  versi  homines  subdole  ea  qitm  falsa  sunt  svggesserunt,  et  litteras  nostras  ei  non  tradiderunt.  » 
(Quétif,  Addizioni  pag.  143-145).  Della  nostra  può  esser  avvenuto  lo  stesso;  e  ne  abbiamo 
una  conferma  nel  Documento  XX  del  P.  Marchese  che  è  del  7  marzo  '9S.  (1.  e,  pag.  169). 
Mentre  il  Bonsi  si  affannava  per  dimostrare  al  Papa  «  le  qualità  et  condizioni  buone  di 
Fra  Girolamo  :  »  «  lui  finalmente  subiunse  che  del  predicare  buona  dottrina  non  lo  dan- 
«  nava,  ma  bene  biasimava  che.  essendo  scomunicato  et  non  volendo  domandare  absolu- 
«  tione...  lui  fusse  lasciato  predicare.  »  E  se,  come  nota  il  Pellegrini,  (Archivio  della  società 
Romana  di  Storia  Patria,  voi.  11,  pag.  719),  «  la  lettera  del  Savonarola  del  22  maggio  lo  aveva 
«  cosi  rabbonito,  ch'egli  avrebbe  forse  gradito,  se  non  altro,  di  ritardare  la  pubblicazione 
«  del  breve  »,  questa  da  noi  per  la  prima  volta  pubblicata  lo  avrebbe  forse  definitivamente 
indotto  ad  esaudire  le  replicate  domande  del  I  rate  e  della  Repubblica,  se  essa  realmente 
gli  fosse  stata  consegnata. 

L'  assoluzione  dalle  censure  non  venne  ;  ma  nella  mente  del  Pontefice  restò  sempre 
quel  dubbio  dell'innocenza  del  Frate  che  spiega  le  sue  lentezze,  le  sue  esitazioni,  i  suoi 
voleri  e  disvoleri.  Ma  alfine  mantenne  la  parola  detta  pochi  giorni  dopo  l'invio  del  breve 
di  scomunica:  Quando  lo  trovasse  innocente,  li  darebbe  la  sua  benedizione,  (v.  a  pag.  533  del- 
l'opera).  Il  23  maggio  del  '95  il  Savonarola  piegavasi  davanti  al  rappresentante  (sebbene 
indegno)  del  Vicario  di  Cristo  e  riceveva  V  indulgenza  plenaria  e  la  benedizione  apostolica;  e 
poi  saliva  l' asta  ferale. 

P.  Lodovico  Fi- «retti  de'  Pred. 


FI  UE  DEL  VOLUME. 


INDICE  DEL  VOLUME 


Prefazione  alla  piuma  edizione, 


Pag.  v 


Avvertenza  bibliografica  ph emessa  alla  prima  edizione  . 


Pag.  ix 


Prefazione  a  questa  nuova  edizione 


Pag.  xi 


I.  Origine  e  intento  del  preseme  scritto 


Pag.  I 


Nostra  malavoglia  a  prender  la  penna.  —  Lo  scritto  cl<-l  Pastor  non  contiene  nulla  (li  nuovo  intorno  al 
Savonarola.  —  Sentenza  ili  Augusto  Conti  o  nostra.  —  Ignoranza  noi  Pastor  delle  Opere  del  Sa- 
vonarola. —  Il  Pastor  e  i  nostri  giornalisti  anticattolici.  —  Ragionevoli  eiìetti  dell'Onera  del  Pa- 
.  stor.  —  La  ragion  veduta  guida  al  Savonarola  e  a'  Savonaroliani.  —  Logica  sentenza  do'  Savona- 
roliaui  verso  il  Pastor.  —  La  storia  del  Pastor  e  l' invettiva  di  Ugolino  Verino  e  la  cronaca  del 
Vaglienti.  —  Nostra  ripugnanza  alla  polemica  e  alla  critica.  —  La  cognizione  della  verità  solu- 
zione del  dubbio.  -  Nostro  proposito  e  il  siodi  di  esporre  la  dottrina  e  narrare  la  vita  di  Frate 
Girolamo.  —  Nostra  fede.  —  Non  può  tutto  la  virtù  che  vuole.  —  Letizia  e  tristezza  di  Piagnimi. 
—  Una  lettera  dal  Tirolo  Austriaco.  —  Un  gran  maestro  che  tieno  per  finita  dal  Pastor  la  questione 
del  Savonarola.  —  Un  voto  di  molti.  —  Cristo  modello  di  Frate  Girolamo.  —  Or  si  tace,  or  si 
risponde. —  La  volontà  nostra  ò  mossa  a  scrivere.  —  Intento  dello  scritto.  —  Via  da  noi  tenuta, 
e  perdio  la  si  tiene.  —  Speranza  di  toccar  la  meta.  —  Un  aforisma  di  Visnii  Sharma  o  nostra  in- 
terpretazione di  esso.  —  La  Dea  di  Parmenide.  —  Nostra  volontà  e  forza. 

II.  Il  Pastor  non  conosce  le  opere  del  Savonarola  e  scrisse  imprepa- 


La  fama  del  Savonarola.  —  Non  ò  comportabile  al  grave  ufficio  di  storico  ripeterò  semplicemente  i  giu- 
dizj  altrui,  quando  può  accedere  alle  fonti  originali.  —  Il  Pastor  non  istudiò  punto  nelle  opere 
del  Frate  riformatore.  —  Una  sentenza  del  Villari.  —  Come  si  governarono  nello  scriverò  del  Savo- 
narola il  Villari,  il  Bayonne,  l'Aquarone. —  Perchè  alcuni  tra  i  cattolici  condannano  il  Savonarola. 
—  Il  Savonarola  chiede  di  essere  sentito  o  letto  prima  che  lo  si  condanni.  —  Lo  citazioni  indi- 
rette del  Pastor  :  esempi.  —  Il  Pastor  plagiario.  —  Nullità  assoluta  dei  giudizj  del  Pastor. 


III.    Insufficiente    conoscenza    nel  Pastor    della    Prkimcazione  savonaro- 


Il  Pastor  fa  predicare  al  Frate  duo  quaresime  nello  stesso  anno  o  in  città  diverse.  —  Confondi'  predica 
con  predica  e  l'avvento  colla  quaresima,  —  Altro  sbaglio  di  data.  —  Ignoranza  o  orrori  più  gravi. 
—  L'infelice  successo  del  Savonarola  quando  fu  la  prima  volta  a  predicare  in  Firenze.  -  Ragioni 
del  fatto  secondo  il  Pastor.  —  Il  Pastor  inconciliabile  con  so  stesso.  —  Concetto  dei  biografi  del 
Frate:  Il  Villari,  o  il  Burlamacchi.  —  Passi  del  Savonarola.  —  Un  raccontino.  —  Progressivo 
svolgimento  della  predicazione  savonaroliana  quale  appare  dalle  prediche  del  Frate,  —  Un  ani  .  o 
passo  della  NLVIIIa  sopra  Amos  e  Zaccaria. 


RATO 


8 


LIANA 


i  7 


—  612  - 


IV.  La  beneficenza  cristiana  e  Girolamo  Savonarola  Pag.  27 

Nostra  pena  che  il  Pastor  scrivesse  del  Savonarola  impreparato.  —  Il  Paslor  loda  o  biasima  incoscia- 
niente  le  cose  del  Savonarola.  —  11  Tastor  condannando  il  Savonarola  nocque  al  suo  lavoro  anche 
dal  lato  dell'  arte.  —  Un  importante  argomento.  —  Tesi  giusta  e  felicemente  sostenuta  dal  Pastor.  — 
Del  buono  in  Italia  all'  età  del  risorgimento.  —  La  cura  do'  poveri.  —  Il  Savonarola  reclamava 
dal  Pastor  un  cenno  come  benefattore  de'  poveri.  —  Il  Savonarola  e  1'  Enciclica  di  Leone  XIII 
Sulla  questione  operaia.  —  Lavoro  e  patimento  condiziono  dell'  umanità.  —  Dottrina  che  sarebbo 
piaciuta  al  Pastor.  —  L'  obbligo  del  lavoro.  —  Un'  accusa  insulsa  contro  Fra  Girolamo,  e  auto- 
difesa. —  Girolamo  Savonarola  vuol  che  lavorino  e  i  poveri  e  i  riechi.  —  Le  parole  di  Amos  con- 
tro gli  oppressori  dei  poverelli.  —  Le  parole  di  Michea  contro  gli  spogliatoi-i  dei  poveri.  —  Dato 
il  superfluo  in  elemosina.  —  Il  quarto  libro  Della  semplicità  della  vita  cristiana.  —  I  poveri  in 
Firenze  nel  1495.  —  Lo  zelo  del  Savonarola  croscè,  e  trabocca  dalla  santa  anima  di  lui.  —  La 
sempUcità  cristiana  o  i  povel'i  —  I  tesori  della  chiesa  e  la  legge  di  carità.  —  Conclusione  contro 
il  Pastor. 


V.  Girolamo  Savonarola  e  i  sacramenti  della  Confessione  e  della  Gomi- 

nione  Pag.  37 

Una  bella  verità  nel  Pastor,  ossia:  la  confessione  ottimo  mezzo  p_r  istruire  il  popolo  cristiano.  — 
Zelo  di  Girolamo  Savonarola  per  la  Confessione.  —  Alcune  testimonianze.  —  La  confessione  de- 
gl'  infermi.  — Il  carnevale,  i  fanciulli  del  Savonarola,  e  i  tiepidi.  —  Frequenza  della  confessione. 

—  Chi  vuole  il  lume  del  ben  vivere  si  confessi  spesso.  —  Eco  trovata  dalle  parole  del  Frate.  — 
Condizioni  per  una  buona  Confessione.  —  I  manuali  del  confessore  e  il  Pastor.  —  Invito  al  Pastor 
a  leggere  il  Confessionale  del  Savonarola.  —  Il  culto  crescente  del  Sacramento  dell'altare.  —  Giu- 
sta letizia  del  Pastor.  —  Una  domanda  o  una  sfida  al  Pastor.  —  Duo  predicho  di  Fra  Girolamo.  — 
Un  articolo  di  San  Tommaso.  — Natura  del  Sacramento  dell'altare.  —  Il  Pastor  copiatore  infe- 
lice. —  Neil'  Ostia  consacrata  è  realmente  Cristo.  —  Un  fatto  avvenuto  a  San  Gregorio.  —  Do- 
mande e  risposte.  —  Cristo  è  tutto  in  tutta  l'ostia  e  tutto  in  tutto  lo  parti  dell'ostia.  —  Disposi- 
zioni di  chi  vuol  pigliare  il  Sacramento.  —  Un  aneddoto.  —  Si  viene  al  particolare  per  i  piccolini. 

—  T  ricchi  e  i  poveri  al  Convito  di  Dio.  —  La  Pasqua  in  Firenze  1'  anno  1496.  —  Dopo  la  comu- 
nione. —  Mirabili  effetti  del  sacramento  dell'  altare.  —  Felicità  de'  sacerdoti.  —  La  comunione 
frequente.  —  Il  santo  Viatico.  —  Una  nuova  domanda  al  Pastor. 

VI.  La  Vergine  Maria  e  Girolamo  Savonarola  Pag.  50 

Il  culto  della  Vergine  segno  di  religione  nell'  Italia  all'  epoca  del  rinascimento.  —  Delle  e  vero  parole 
del  Pastor.  —  Il  Savonarola  predicatore  insigne  della  Vergine  benedetta.  —  Si  conforta  lo  storico 
d' Innsbruck  a  leggere  alcnne  prediche  dell'  Asceta  Domenicano.  —  Lodi  alla  esposiziono  della 
Salutazione  Angelica  di  Fra  Girolamo.  —  La  Vergine  fontana  di  grazie  agli  uomini.  —  Beneme- 
renze del  Savonarola  verso  lo  arti.  —  Frutti  ottenuti.  —  Sentenze  del  Pastor  elio  non  meritano 
considerazione.  —  Le  figuro  nelle  chiese  sou  libri  per  i  fanciulli  e  gì'  illetterati.  -  Quali  imma- 
gini voleva  pel  culto  il  Savonarola.  —  Benemerenze  del  Savonarola  verso  la  poesia.  —  Il  Savo- 
narola poeta  di  Maria.  —  La  festa  dell'  Assunta  in  San  Marco  1'  anno  1497.  —  11  Pastor  per 
ignorare  le  cose  del  Savonarola  s'  accosta  al  ridicolo.  —  Un  passo  del  Savonarola  rispetto  alla 
Vergine.  —  La  lode  di  Maria  dov'  esser  grande.  —  La  bellezza  di  Maria  cava  il  cuore  ai  Fioren- 
tini. —  Una  domanda  del  Savonarola  a'  Filosofi.  —  Maria  che  prega  per  1'  umana  natura.  —  Si 
vuole  Maria  Itegiua  di  Firenze.  —  Maria  interceditrice  per  i  Fiorentini.  —  Preghiera.  —  Maria 
vite  che  fruttifica  soavità  di  odori  parla  agli  uomini.  —  Maria  madre  del  boli'  amore  e  del  ti- 
more e  della  cognizione  e  della  santa  speranza  parla  allo  donno.  —  Maria  speranza  di  vita  di  ve- 
rità e  di  virtù  parla  ai  fanciulli.  —  Si  chiudo  con  un'  altra  preghiera. 


VII.  L'astrologia  e  Girolamo  Savonarola  Pag.  60 

L'  astrologia  nel  secolo  XV  secondo  il  Pastor.  —  Utilo  elio  il  Pastor  avrebbe  trovato  studiando  in  Fra 
Girolamo.  —  Singolari  ben  inerenze  del  Savonarola  tra  gli  oppugnatori  dell'astrologia.  —  Fra  Giro- 
lamo combatto  ogni  maniera  di  astrologia.  —  Principi  che  francarono  il  Frate  di  San  Marco  da 
ogni  maniera  di  superstizione  —  Girolamo  Savonarola  solo  elio  splendo  Boll'  infelice  sua  età.  — 
Fonti  dol  capitolo  presente.  —  Il  trattato  dell'  Astrologia  Vivinatrie.e.  —  I  prelati  astrologi.  —  Paz- 


—  613  — 


zio  degli  astrologi.  —  Conseguenze  assillile,  dell'  astrologia.  —  Il  capitolo  terzo  dol  libro  quarto  del 
Trionfo  o  la  vanità  e  la  superstizione  dell'  astrologia.  —  I  corpi  celesti  non  son  causa  diretta  delle 
umane  intellezioni.  —  Ragioni,  — I  corpi  celesti  non  son  causa  indiretta  delle  nostre  intellezioni, 
nò  dello  nostro  volizioni. —  lìagioui.  —  Si  ribatto  l' opinione  degli  astrologi  che  vogliono  il  cielo 
animato.  —  L'  astrologia  giudiziaria  ò  cosa  vana,  ridicola  e  piena  di  superstizioni.  —  Conclusione 
contro  il  Pastor. 


Vili.  Sul  metodo  di  predicazione  di  Girolamo  Savonarola.  —  1.  Come  il  sa- 
cro Predicatore  deve  esser  compreso  di  carità  cristiana  e  d' amore  a 


La  predicazione  nel  secolo  XV  e  il  Pastor.  —  Un'  asserzione  intorno  al  Savonarola  vera  solo  per  metà.  — 
Nel  Savonarola  noi  vediamo  le  qualità  dell'ottimo  predicatore. — Nuova  pena  che  il  Pastor  non 
abbia  studiato  nel  Savonarola.  —  Quali  cft'etti  avrebbe  potuto  produrre  il  Pastor  facendo  il  ri- 
tratto dell'Oratore  Fiorentino. —  La  Lettera  circolare  sulla  sacra  predicazione  emanata  viva  e 
intiera  da  Fra  Girolamo. — Un  bel  tema.  — Alto  concetto  del  ministero  del  Predicatore  secondo 
la  S.  Congregazione  de'  Vescovi  e  secondo  Girolamo  Savonarola.  —  Qualità  richieste  al  Sacro 
Oratore.  —  Il  Pastor  che  pare  dimentichi  se  stesso.  —  Fra  Girolamo  maestro  e  modello  di  pietà 
cristiana.  —  Fra  Girolamo  esemplare  d'  amore  a  Cristo.  —  Alcuni  passi  fra  i  mille.  —  Le  poesie 
di  Fra  Girolamo,  slanci  d'  amoro  al  Crocifisso.  — Zelo  di  Fra  Girolamo  della  gloria  di  Dio  e  della 
salute  delle  anime.  —  Affettuosa  e  santa  lettera  del  Savonarola  alla  Madre  non  intesa  dal  Pastor. 
—  Due  asserzioni  in  una  pagina  del  Pastor  ohe  non  s'  accordano  insieme.  —  La  pietà  di  Fra  Gi- 
rolamo risplende  nella  sua  vita  esteriore.  —  Vero  spesso  inculcato  dal  Savonarola.  —  Non  può 
insegnare  la  vita  spirituale  agli  altri,  chi  prima  non  la  pratica.  —  Alcune  testimonianze.  — 
L'  edificazione  cristiana  e  il  Savonarola.  —  Singolarità  del  Frate  di  San  Marco.  —  Testimonianze 
del  Pastor.  —  La  vita  e  la  dottrina  del  Savonarola  sono  una  cosa.  —  Conclusione. 

IX.  Segue  sul  metodo  di  predicazione  di  Girolamo  Savonarola.  —  2.  Come 
il  sacro  predicatore  vuole  esser  nutrito  di  buoni  studj  .    .    .    Pag.  87 

I  sacri  predicatori  debbono  esser  nutriti  di  buoai  studj.  —  Girolamo  Savonarola  in  perfetta  armonia 
con  la  Lettera  circolare.  —  Alcune  testimonianze.  —  Lamenti  di  Fra  Girolamo  che  si  assumesse 
leggermente  1'  ufficio  del  predicare.  —  L' ingegno  e  la  scienza  del  Savonarola  universalmente  ce- 
lebrati.—  Il  Pastor  conviene  che  Fra  Girolamo  non  fu  nemico  della  scienza.  —  Un'asserzione 
gratuita  o  amara  del  Pastor.  —  Giudizj  inesatti  del  Pastor  contro  il  Savonarola.  —  Il  Savonarola, 
Danto  e  Leone  XIII.  —  La  filosofia  de'  gentili  e  il  fine  soprannaturale  dell'  uomo.  —  Che  cosa 
condannasse  il  Frate  di  San  Marco.  —  Girolamo  Savonarola  e  lo  studio  do'  classici  pagani.  — 
Come  si  debbano  intendere  alcune  sue  espressioni  ;  e  prove  del  nostro  asserto.  —  Fiato  Girolamo 
precursore  dei  tempi  moderni.  —  Le  idee  di  Fra  Girolamo  e  le  costituzioni  di  San  Domenico,  e 
degli  altri  padri. —  Il  Savonarola  vero  Domenicano.—  S'  invitano  i  Frati  dell'Ordine  e  segnatamente 

quelli  di  San  Marco  a  imitare  1'  antico  Priore.  —  Vantaggi  di  questa  imitazione  Gli  eretici  e  lo 

studio  nella  Chiesa  della  filosofia  e  delle  scienze  naturali  de'  Gentili.  —  Un'  asserzione  leggera 
del  Pastor.  —  Frutti  cristiani  degli  studj  filosofici.  —  Fra  Girolamo  e  la  Sacra  teologia.  —  Fra  Gi- 
rolamo e  i  Padri  e  i  Dottori  della  Chiesa.  —  Un  giudizio  del  Pico.  — Il  Savonarola  alunno  e  fedele 
seguace  di  San  Tommaso.  -  Fra  Girolamo  o  i  predicatori  fidenti  nella  loro  naturalo  loquacità.  — 
Fra  Girolamo  studiava  le  prediche.  —  Conclusione. 

X.  Segue  sul  metodo  di  predicazione  di  Girolamo  Savonarola.  —  3.  Delle 


Importanza  dell'  argomento.  —  Materie  proprio  della  predicazione  secondo  Cristo ,  la  Chiesa  e  Giro- 
lamo Savonarola.  —  Definizioni  del  predicare  di  Fra  Girolamo.  —  Una  proscrizione  del  Concilio 
Lateranense  e  il  Savonarola. — Alcuno  rogole  del  Frate  di  San  Marco  per  l'intorpetraziono  della 

Bibbia.  —  Un  invito  al  Pastor.  —  Giudizio  dolla  Civiltà  Cattolica.  —  Una  nuova  obbiezione   

Una  proposizione  eretica  combattuta  dal  Savonarola  a  propria  difesa.  —  Loouo  XIII  vuole  il 
predicatore  fortificato  in  tutta  la  Scrittura.  —  Prodicaziouo  di  Fra  Girolamo  sopra  l'Antico  To- 
stamente —  Come  sia  falso  che  Fra  Girolamo  avosso  per  fino  solo  ili  esporro  sopra  l'Antico 
Testamento.  —  Un  passo  fra  i  millo.  —  Il  Pastor  acconsente  o  all'orma  che  Fra  Girolamo  studiava 


Nostro  Signore  Gesù  Cristo 


-    Pag.  68 


materie  proprie  della  sacra  predicazione, 


Pag.  105 


—  614  — 


ed  esponeva  il  Testamento  Nuovo.  —  Merito  singolare  del  Frate  di  San  Marco  come  sacro  ora- 
tore. —  Come  si  predicasse  all'età  di  Fra  Girolamo.  —  Perchè  il  Savonarola  esponesse  indiffe- 
rentemente questa  o  quella  Scrittura.  —  La  Scrittura  è  l'immagine  e  la  vita  di  Cristo  secondo 
Leone  XIII  e  il  Frate  di  San  Marco.  —  Tutta  la  Scrittura  è  ordinata  a  Cristo  Crocifisso.  — 
Bontà  del  programma  Savonaroliano.  —  Lo  materie  morali  nella  predicazione  e  Fra  Girolamo.  — 

—  Supremo  principio  morale  del  nostro  Frate.  —  Come  il  Pastor  riconosce  i  successi  ottenuti  da 
Fra  Girolamo  nel  campo  morale.  —  Infelice  ed  infondato  giudizio  del  Pastor  sopra  lo  conver- 
sioni operate  da  Fra  Girolamo.  —  Fra  Girolamo  e  i  Novissimi  dell'  uomo  nella  predicazione.  — 
Un  nostro  desiderio  e  voto. 

XI.  Segue  sul  metodo  di  predicazione  di  Girolamo  Savonarola.  —  4.  Forma 
della  predicazione  Pag.  118 

Il  sacro  predicatore  luce  del  mondo.  —  Commozione  dell'animo  nostro,  dovendo  parlare  della  stabilità 
e  fermezza  del  Savonarola.  —  Il  carattere  di  Fra  Girolamo  nella  fiacca  età  presente.  —  La  tede 
e  la  fermezza  virtù  speciali  dell'  oratore  fiorentino.  —  Fermezza  di  Mose  e  degli  Apostoli.  —  I 
predicatori  che  fanno  tempesto  e  non  le  curano.  —  I  predicatori  legni  di  canna.  —  Il  Savonarola, 
Lorenzo  de'  Medici  e  il  Pastor.  —  Il  sacro  predicatore  cane  che  sempre  abbaia.  —  Il  Savonarola 
e  San  Giovanni  Crisostomo.  —  Como  il  predicatore  sacro  deve  esser  chiaro  nella  forma  della 
trattazione.  —  La  predicazione  del  Savonarola  e  i  fanciulli.  —  Mirabili  virtù  del  Frate  di  San 
Marco.  —  I  Fiorentini  intendono  le  difficoltà  della  Scrittura.  —  Onde  provenga  la  semplicità  o 
chiarezza  del  dire  di  Fra  Girolamo.  —  La  semplicità  nel  campo  dell'  arte.  —  Come  si  debba  oc- 
cultar 1'  arte.  —  Ingiusta  sentenza  del  Pastor.  —  La  semplicità  che  vinco.  —  L'  eretico  sottile,  o 
il  cattolico  semplice.  —  Fra  Girolamo  e  i  predicatori  moderni.  —  Leone  XIII  e  Fra  Girolamo 
Savonarola  o  l'eloquenza  della  Sacra  Scrittura.  —  Fra  Girolamo  vuolo  che  si  predichi  la  Scrittura 
semplicemente.  —  I  grandi  oratori  o  1'  efficacia  dell'  eloquenza  scritturale.  —  Come  fine  della  prò- 
dicaziono  dev'  esser  la  salute  dello  anime.  —  I  predicatori  legni  di  sambuco  attristano  1'  animo 
del  Savonarola.  —  I  tibicini  o  i  cantatori  dell'  archisinagogo.  —  A  resuscitar  le  animo  morto  ci 
vuole  Cristo  co'  suoi  discepoli.  —  Un  dubbio  dissipato  dal  libro  del  Pastor.  —  Il  Cortesio  o  la 
fraseologia  pagana  nelle  scienze  teologiche  o  Fra  Girolamo.  —  La  nostra  sentenza  è  la  sentenza 
del  Boiardi  e  non  quella  del  Pastor. 

XII.  Le  feste  promosse  e  le  feste  vietate  in  Firenze  da  Fra  Girolamo  Sa- 
vonarola Pag.  132 

Cose  antecedentemente  provate  che  si  hanno  da  conceder  per  vere.  —  Nuove  accuso  lanciate  contro  i 
Savonarola,  e  difficoltà  di  conciliarlo  con  lo  virtù  di  lui.  —  Un  giudizio  del  Perreus.  —  Lo  l'un- 
zioni sacro  in  Firenze  prima  del  Savonarola.  —  Ogni  cosa  è  ordinata  a  Dio,  e  i  tiepidi  volgono 
a  sé  ogni  cosa.  —  Dio  non  degna  i  sacrifici  do'  tiepidi.  — La  festa  di  San  Giovanni  ridotta  a  gi- 
randole, spiritelli  e  lascivie.  —  Il  canto  figurato  e  il  canto  fermo.  —  Lo  acquo  del  giudizio  di  Dio. 

—  Processioni  a  cui  il  Frate  avrebbo  voluto  non  ossero  stato.  —  Lo  feste  e  lo  processioni  de'  Savo- 
naroliani.  —  Festa  e  processione  nel  carnevale  del  149G  :  relazione  e  giudizj  del  Savonarola.  —  La 
mutazione  de'  fanciulli  fiorentini  opera  di  Dio.  —  Raffronti.  —  Relazione  do!  cronista  Landucci.  — 
Prodica  e  processione  della  domenica  dell'olivo,  1196.  — Ordine  o  ornamenti. —Gli  evviva  a  Cristo. — 
Le  pazzie  dell'amore  Divino  o  lo  pazzie  dell'  amore  mondano.  —  La  Domenica  dell'  ulivo  in  Gerusa- 
lemme e  in  Firenze  —  Per  rispondere  ai  sav.j  del  mondo.  —  David  o  Micol.  —  Gli  occhiali  de'  Prin- 
cipi de'  sacerdoti  e  il  Salvatore.  —  Il  carnovale  in  Firenze  nel  1408,  secondo  Jacopo  Nardi  o  il  Bor- 

lamacchi. — II  significato  d'  una  parola.  —  Cose  taciute  indebitamente  dal  Pastor. — Alto  significalo 

della  festa  savonaroliana.  —  11  trionfo  di  Cristo  dol  nostro  Frate,  o  il  trionfo  della  Croco  del 
Duprè.  —  Un'  occezioue  non  dov'ossero  eretta  a  regola.  —  La  gravità  nello  lesto.  —  Lo  prediche 
buttate  via.  —  Clio  cosa  combattesse  nel  colto  Fra  Girolamo.  —  Inni  da  cantarsi  a  preferenza — 
La  carità  por  i  poveri  e  le  lesto  del  Savonarola.  —  Ideinosi  no  raccolte  nelle  processioni  di  Fra 
Girolamo.  —  Lo  processioni  in  Italia  all'epoca  del  rinascimento  secondo  il  Pastor.  —  Il  OorpiM 
Domini  in  Viterbo  l'  anno  1102. —  Lo  feste  del  rinascimento  e  quello  del  nostro  Frate.  —  Festa 
in  Ferrara  l'  anno  1159-GO  o  Girolamo  Savonarola.  —  ('.indizio  dell' Aquarono  e  nostra  ipotesi. 

—  Stiamo  con  San  Filippo  o  non  con  il  l'astor.  —  11  Pastor  e  il  Gnspary  ogualmonto  condanna- 
bili dal  cattolioi.  —  Un  passo  del  (Cannotti  dui  ha  bisogno  di  spiegazione.  —  (Juollo  elio  avrebbe 
dovuto  l'aro  il  l'astor.  —  Divorf.imenti  e  lesto  vietate  dal  Savonarola.  —  La  mondanità  nelle  Cesto 
religiose.  —  Il  giuoco  ai  sassi.  —  Lo  mascherato  e  i  canti  carnascialeschi  all'epoca  medicea.  — 


—  filo  — 


Lode  al  Savonarola.  —  Corse  al  palio,  quando  sconsigliate  da  Fra  Girolamo.  —  Il  GiaDnotti  e  il 
Savonarola.  —  Il  bruciamento  delle  vanità.  —  Il  Tastar  loda  e  biasima  la  stessa  cosa.  —  Cbi 
sia  ridicolo. 


XIII.  Se  lo  zelo  passionato  facesse  dimenticare  al  Savonarola  che  la  Chiesa 
di  natura  sua  è  ih  questo  mondo  Pag.  158 

L'  accnsa  di  eccesso  contro  il  Savonarola  ripetuta  dal  Pastor.  —  Il  Pastor  o  il  Perrens.  —  L'  Amba- 
sciatore di  Mantova  e  valore  delle  parole  di  lui.  —  Esame  diretto  delle  accuse.  —  Parole  oscure. 
—  Se  il  Frate  fosse  troppo  severo  nell'  imporre  e  nel  vietare.  —  Domande  al  Pastor.  —  Il  lusso 

delle  gioie  e  Fra  Girolamo  secondo  il  Perrens.  —  Un  perchè  cui  il  Pastor  dovrebbe  dire.  La 

regola  del  Savonarola.  —  I  bisogni  della  vita  corporale  e  spirituale  e  i  bisogni  dello  stato.   

La  semplicità  savonaroliana  nello  cose  esteriori  non  conviene  egualmente  a  ciascuno.  — 
Diversità  di  stati  e  uffirj,  e  relativi  segni  esteriori.  —  Misura  della  semplicità  esteriore  secondo 
la  condizione  di  ciascuno.  —  Autorità  e  priucipj  assunti  dal  Savonarola.  —  Le  vesti,  U  abitazioni, 
le  mense.  —  H  tutto  per  il  Savonarola  sta  nell'  evitar  lo  scandalo,  e  mostrarsi  cristiano.  —  Fra  Gi- 
rolamo a  Giovanna  Canina  e  Dionora  della  Mirandola.  —  La  penitenza  nella  Confessione.  —  Xuovo 
senso  alle  parole  del  Pastor.  —  Il  Savonarola  non  esigeva  troppo  per  la  vita  spirituale.  —  Pen- 
sieri del  Frate  sopra  la  preghiera.  —  Esposizione  del  precetto  di  Cristo  di  pregare  incessante- 
mente. —  Asserzioni  del  Savonarola  che  contradicono  alle  asserzioni  del  Pastor.  —  L'  accnsa 
senza  appoggio.  —  Xostra  istanza.  —  I  tristi  e  i  buoni  nella  Chiesa.  —  Sentenze  del  Frate.  — II 
Savonarola  a  Stefano  da  Codiponte.  —  Siamo  ancora  da  capo.  —  Accnsa  di  durezza  contro  il  Sa- 
vonarola nella  giusta  lotta  coi  tristi.  —  Si  ribatte.  —  Accusa  contro  il  Savonarola  di  eccesso  nel- 
l'imporre  quaresime  e  digiuni.  —  Essa  non  è  degna  di  un  cattolico.  —  Un'  ipotesi.  —  La  predica- 
zione di  San  Paolo  in  Efeso  e  quella  del  Savonarola  in  Firenze.  —  I  digiuni  del  nostro  Fi  ate  non 
sono  eccessivi,  ma  pieni  di  prudenza  e  mitezza.  —  Passi  del  Savonarola.  —  Fra  Girolamo  a  Lodo- 
vico Pittorio.  —  Precetto  e  consiglio.  —  Conclusione. 


XIV.  Nuove  accuse  contro  Fra  Girolamo  e  difesa  relativa.    .    .    Pag.  180 

Perchè  Girolamo  Savonarola  si  ritenesse  ognora  nella  giusta  via.  —  Cammino  che  ci  resta  da  fare  uel- 
1'  Apologia  del  Frate.  —  Xuove  accuse  del  Pastor.  —  Pazienza  richiesta  ad  esaminarle  tran- 
quilli. —  Testimoni  a  discarico.  —  Se  il  Pastor  creda  o  no  alle  sue  accuse.  —  Il  Pastor  ag- 
grava indebitamente  le  accuse-  del  Perrens.  —  Infelicità  di  metodo.  —  Come  le  pene  che  secondo 
il  Perrens  erano  invocate,  nel  Pastor  diventino  per  opera  del  Savonarola  applicate.  —  Si  richie- 
dono prove.  —  Nostra  meraviglia  e  interpretazione  di  alcune  parole  del  Pastor.  —  Cose  verissimo. 

—  Passi  Savomiruliani.  —  Ragione  della  trascrizione  e  nostra  protesta.  —  I  passi  del  Savonarola 
provano  contro  il  Pastor.  —  H  critico  d'  Iunsbruck  eccessivamente  rigoroso.  —  Questioni  da  ri- 
solvere. —  Concessioni.  —  Fra  Girolamo  nella  punizione  de'  vizj  mira  alla  tutela  sociale.  —  Ai 
cattivi  quanto  a  sé  basta  la  correzione  fraterna.  —  Distinzione  importante.  —  Parole  oscure  del 
Pastor.  —  A  che  si  riduca  la  questione.  —  Aiuti  elio  ci  porge  il  Pastor.  —  L'  usura,  il  gioco,  la 
scostnmatezza,  gli  schiavi,  la  sodomia  nell'  Italia  del  Risorgimento  e  loro  condanna  e  pene  se- 
condo il  Pastor  e  il  Savonarola.  —  Ragioni  speciali  a  Firenze  che  spiegano  lo  punizioni  e  la  po- 
lizia del  Savonarola.  —  I  viziosi  nemici  dello  Stato  di  Firenze.  —  Mezzi  di  perfezionamento  cri- 
stiano secondo  Fra  Girolamo.  —  Azioni  pubbliche. — La  mania  del  gioco  e  lo  schiave.  —  I  cittadini 
ei  maestri  corruttori  corretti  e  accusati  agli  Otto  dai  fanciulli.  —  La  pena  del  taliono  agl'ingiusti 
accusatori.  —  I  fanciulli  della  riforma  Savonaroliana  e  le  donne.  —  Bene  ottenuto.  —  Il  secolo 
del  Savonarola  e  il  secolo  nostro. 

XV.  La  famiglia  cristiana  e  Girolamo  Savonarola  Pag.  207 

Importanza  dell'  argomento.  —  Merito  del  Savonarola.  —  La  famiglia  in  Italia  nel  secolo  XV.  — 
Ombra  fosca  gettata  sopra  il  Frate  dal  Pastor.  —  I  nemici  della  famiglia  cristiana  e  il 
Frate  di  San  Marco.  —  Il  Pastor  che  copia  sempre.  —  Perchè  si  ribatte  ora  accuso  vecchie. 

—  Il  Pastor  instrumeuto  di  Dio  a  glorificare  Fra  Girolamo.  —  Si  trascrivono  lo  accuso  o  la 
fonte  onde  il  Pastor  le  trasse.  —  Giudizio  contro  il  Pastor  ed  il  Perrens.  —  S'  entra  nel  inerito 
delle  accnse.  —  Como  procederemo.  —  I  sacri  canoni  o  Girolamo  Savonarola.  —  La  donna  sog- 
getta all'  nomo.  —  L'uà  lettera  del  Frate  a  Giovanna  Caraffa  contessa  della  Mirandola.  —  La 
donna  buona  e  sapiente  e  la  donna  stolta.  -  Un'accusa  che  non  fa  delitto.  —  Il  matrimonio 


—  616  — 


cristiano  secondo  Fra  Girolamo.  —  11  Savonarola  non  sollecitava  troppo  alcuno  a  vestirsi  frato. 

—  Un  documento  ai  fanciulli.  —  La  discordia  nella  famiglia  e  Fra  Girolamo.  —  Fraternità 
de'  Savonaroliani.  —  Una  spiegazione  dataci  dal  Vaglienti.  —  Cose  che  nessuno  nega.  —  Fra  chi 
la  discordia.  —  L'  amicizia  cristiana  e  Girolamo  Savonarola.  —  Alcuni  terrihili  passi  del  Frate. 

—  Elia  e  Fra  Girolamo.  —  La  guerra  generata  dal  Savonarola.  —  Fuoco  che  scoppierà  o  la 
pace  de'  buoni  e  la  separazione  de'  cattivi.  —  La  vera  cagione  della  guerra.  —  Fra  Girolamo  in 
mezzo  all'  indifferentismo  generale  chiama  lo  cose  con  il  loro  nome.  —  Il  Savonarola  raccomanda 
1'  unione  e  la  pace.  —  Il  rumore  degli  avversari  rende  sorda  1'  eco  della  voce  del  Frate.  — 
Esposizione  del  VII  di  Michea.  —  Ingiustizia  enorme.  —  Un  racconto.  —  Un'accusa  inqualifi- 
cabile. —  Le  testuali  parole  del  Frate.  —  Il  Savonarola  commentato  con  il  Savonarola.  —  Un 
fatto  evidente  e  nu  naturale  desiderio  degli  amici  del  Pastor.  —  Le  accuse  del  Perrens  aggra- 
vate senza  motivo.  —  Un  domanda  spontanea.  —  Doveri  de'  genitori  verso  i  figli.  —  La  madre 
allatti  il  figliuolo.  —  Il  Savonarola  confuta  il  Rousseau.  —  Un  principio  adottato  dal  Savonarola 
riproposto  alla  meditazione  de' genitori  e  de' maestri  cattolici.  —  Insistenza  del  Savonarola  perchè 
i  padri  e  le  madri  nutriscano  i  figliuoli  nello  cose  di  Dio.  —  Obbligo  de'  genitori  di  correggere 
i  figli.  —  I  padri  che  guastano  i  proprj  figli.  —  Cautele  per  mantenere  l'innocenza  de' fanciulli. 

—  Obbligo  de'  genitori  di  procuraro  istruzione  civile  e  letteraria  ai  figliuoli.  —  I  padri  e  le  ma- 
dri amino  i  figli  senza  specialità  e  li  mantengano  concordi.  —  Padroni  e  servi.  —  Doveri  de'  figliuoli 
verso  i  genitori.  —  Fatica  nostra  nell'  esser  brevi.  —  Rispetto,  amoro,  obbedienza,  aiuto  de'  figli 
al  padre  e  alla  madre.  —  Conclusione. 

XVI.  Se  Gir.  Savonarola  eccedesse  nel  riprendere  i  vizj  del  clero    Pag.  238 

Accusa  ripetuta  da  molti.  —  Argomento  complesso.  —  Le  accuse  formolate  dal  Pastor.  —  Il 
Savonarola  non  eccedette  nel  lamentare  la  corruzione  della  società  nel  secolo  XV.  —  La 
Chiesa  di  Cristo  e  lo  maldicenze  di  Fra  Girolamo  usi  Pastor.  —  Un  punto  serio,  e  un 
colloquio  col  P.  V.  Marchese.  —  I  Borgia,  C.  Cipolla  e  L.  Pastor.  —  Le  accuse  contro  il  clero 
nel  Savonarola  e  nel  Pastor.  —  Preterizione.  —  Pervertimento  del  clero  e  spirito  mondano 
dei  prelati  nel  secolo  XV.  —  La  Bolla  di  riforma  di  Alessandro  VI.  —  I  pellegrini  a  Roma, 
nell'  auno  del  Giubileo  1500.  —  Tristi  parole  di  un  romano.  —  Conseguenze  e  osservazioni.  —  L'ac- 
cusa piglia  nuova  forma.  —  Il  Savonarola  riconosceva  il  bene  esistente  noi  secolo  XV.  —  Pazzia 
di  chi  crede  che  non  ci  siau  buoni.  —  Domande  contrarie.  —  Soluzione.  —  Il  profeta  Michea  in  cerca 
di  un  giusto.  —  Parum  prò  nihilo  reputatur.  —  Espressioni  da  non  intendersi  letteralmente.  — 
Asaph  e  David,  ossia  la  diversità  di  natura,  e  la  grazia  divina.  —  Si  entra  nella  questione.  — 
Come  la  Chiesa  abbraccia  buoni  e  cattivi.  —  I  passi  terribili  del  Frate  s'  hanno  da  intendere 
de'  cattivi  e  gli  altri  de'  buoni.  —  Una  regola  di  ermeneutica  sacra.  —  Le  invettive  contro  il  clero. 

—  Difesa  già  fatta.  —  La  dignità  del  Sacerdozio  e  Girolamo  Savonarola.  —  Il  Savonarola  non 
tira  al  particolare.  —  La  fama  di  prelati  e  la  salute  delle  anime.  —  Ogni  azione  di  Cristo  ò  no- 
stra istruzione.  —  Ufficio  del  sapiente.  —  Lo  magagne  del  clero,  Fra  Girolamo  e  i  Padri  della 
Chiesa.  —  Esempi  di  San  Bernardo,  di  San  Pier  Damiani,  del  Crisostomo,  di  San  Tommaso.  — 
Il  sacco  di  Roma,  Fra  Girolamo  e  il  cardinal  Gaetano.  —  Le  lettere  di  Santa  Caterina  da  Siena 
e  i  sermoni  del  Savonarola.  —  Il  Savonarola  non  disso  male  di  Alessandro  VI.  —  Autodifesa. 

—  Una  lettera  della  Signoria  di  Firenze.  —  Un'  obbiezione  senza  fondamento  ributtata  cou  il 
Pastor.  —  Conclusione. 

XVII.  Zelo  di  Fra  Girolamo  per  la  Casa  di  Dio  Pag.  273 

Breve  epilogo.  —  Argomento  nuovo.  —  Nostra  insufficienza.  —  Limiti  del  nostro  lavoro.  —  Natura 
dello  zolo  secondo  Fra  Girolamo,  Tommaso  d'  Aquino  o  Giovanili  Crisostomo.  —  Si  svolge  la 
definizione  —  Eccellenza  della  vita  cristiana  secondo  il  Savonarola.  —  Do'  miracoli  fatti  da  Dio 
a  conforto  della  verità  cristiana.  —  La  fede  e  la  vita  dei  santi.  —  La  Gerusalemme  coleste  no- 
stra inadro.  —  Eccellenza  della  Chiesa  o  dei  prelati  che  la  governarono.  —  Dolori  dol  Frato  vo- 
dondo  guasta  la  vigna  dol  Signore.  —  Invito  ad  aiutar  lo  faticho  di  San  Pietro  odi  San  Paolo  e 
de' grandi  fondatori  dogli  ordini  religiosi.  —  Il  Frato  ò  contonto  di  darò  il  sangue  por  la  Chiesa. 

—  Le  bestio  dol  dosorto  e  lo  tristi  condizioni  della  vigna  dol  Signore.  —  Obbligo  dol  martirio 
por  la  saluto  dolio  anime.  —  Saldozza  nel  proprio  dovore.  —  Un  colobro  sermone.  —  Caratteri 
dolio  zelo  —  Lo  celo  audace  o  passionato.  —  Il  Savonarola  accoppiato  dal  Pastor  coi  santi.  — 
Il  Savonarola  o  San  Pier  Damiano  secondo  il  Capocelatro.  —  L' inno  di  gloria  a  Fra  Girolamo. 

—  Non  occorron  miracoli.  —  Ancora  un'  accusa  di  eccesso.  —  I  beni  occlesiaatici  o  Girolamo 
Savonarola.  —  SI  cerca  il  quaresimale  sopra  Ezechiele,  —  Lodovico  il  Bavaro  o  Fra  Girolamo. 


—  617  - 


—  Il  potere  temporale  e  il  Savonarola.  —  Le  ricchezze  nel  guasto  della  Chiesa.  —  Il  Savona- 
rola non  approva  il  male.  —  Giudizio  assoluto  e  giudizio  relativo.  —  Chi  ha  rubato  restituisca. 

—  Nessun  Canone  contro  la  verità.  —  Osservazioni.  —  I  beni  ecclesiastici,  Girolamo  Savona- 
rola e  Leone  XIII.  —  La  semplicitù  primitiva  della  Chiesa  e  la  riforma  Savonaroliana.  —  I  beni 
ecclesiastici  e  i  poveri  secondo  San  Tommaso.  —  La  chiesa  voluta  dal  Savonarola.  —  Conclu- 
sione. 


Difetto  notevole  nella  Storia  de'  Papi.  —  Giusta  veduta  del  Bayonne.  —  Asserzioni  inesatte  e  non 
vere.  —  Il  Pastor  giudicato  dal  Commer.  —  La  dottrina  cattolica  e  la  dottrina  del  Pastor  sulla 
profezia.  —  La  dottrina  del  Savonarola.  —  Utilità  della  profezia.  —  Dio  può  parlar  tuttavia  ad 
nn  uomo  in  particolare.  —  Si  può  ancor  profetare,  nò  si  può  far  una  legge  universale  che  non 
si  profeti.  —  Noi  stiamo  col  Savonarola  e  non  col  Pastor.  —  Un'altra  proposizione  del  Pastor 
senza  prova  e  infondata.  —  Critica  Savonaroliana.  —  Il  diavolo  avversario  della  profezia.  — 
Avvertenze  e  documenti  per  conoscere  le  buone  o  le  cattive  visioni.  —  Altra  accusa  infondata 
e  gratuita.  —  Fra  Girolamo  non  sottrae  al  giudizio  della  Santa  Sede  i  suoi  doni  profetici.  — 
Il  Frate  sostiene  contro  tutti  i  suoi  avversari  la  legittimità  delle  sue  predizioni.  —  Altra  accusa; 
le  predizioni  di  Giovacchino  e  Telesforo.  —  Girolamo  Savonarola  e  Silvestro  Maruffi.  —  Certezza 
nel  Profeta  delle  cose  vedute.  —  Il  Frate  non  impone  altrui  di  credere  le  sue  predizioni.  —  Lo 
spirito  del  Savonarola  ne'  Savonaroliani.  —  Supposto  gravissimo  del  Pastor.  —  Un  argomento  che 
prova  troppo.  —  D  giudizio  dei  Santi  e  il  giudizio  degli  eretici.  —  Contrarj  e  non  simili.  —  D 
conciliabolo  di  Pisa  e  i  Savonaroliani.  —  Conclusione. 

XIX.  La  politica  del  Savonarola.  —  1.  Se  Fra  Girolamo  occupandosi  di 
politica  eccedesse  i  limiti  del  predicatore  religioso    ....    Pag.  317 

Ampiezza  dell'  argomento  e  come  sia  da  noi  ristretto.  —  Natura  delle  accuse  politiche  mosse  al  Frate. 
Il  Pastor  dà  carico  ripetutamente  al  Savonarola  d' essersi  implicato  in  politica.  —  Perchè  non  si 
citano  altri  accusatori.  —  Chi  possa  muovere  semplicemente  rimprovero  al  nostro  Frate  d'es- 
sersi travagliato  dello  Stato.  —  Risposta  a  questi  accusatori.  —  Altro  senso  dell'  accusa.  — 
Esame.  —  Il  Savonarola  non  fu  mai  un  vero  politicante.  —  Andata  del  Frate  a  Carlo  VIII.  — 
Questione  che  è  utile  porre,  ossia  perchè  Fra  Girolamo  entrasse  nel  campo  della  politica.  —  Fi- 
renze nel  1194  alla  cacciata  r}e'  Medici.  —  Giudizio  del  Villari  e  del  Ficino.  —  Sentenza  che 
vuol  essere  sottoscritta.  —  Necessità  induce  il  Savonarola  a  travagliarsi  dello  stato.  —  Como  e 
quando  abbia  Egli  incominciato  a  occuparsi  delle  cose  di  Firenze.  —  Giusto  giudizio  del  Capece- 
latro  e  nostra  aggiunta.  —  Cenno  dell'opera  politica  di  Fra  Girolamo.  —  Governo  civili-  eleggi 
per  confortarla.  —  Spirito  di  libertà  e  tolleranza.  —  Ragioni  metafisiche  e  morali.  —  Quali  cos.^ 
importasse  il  ritorno  de' Medici  in  Firenze.  —  Stiamo  con  Leone  XIII.  —  Conseguenze  della 
Condanna  del  Frate  di  S.  Marco.  —  La  grazia  di  Dio  negli  stati  secondo  il  Savonarola.  —  La 
riforma  morale  primo  fine  del  nostro  riformatore.  —  La  costituzione  degli  stati  e  la  beatitudine 
a  noi  da  Cristo  promessa.  —  Limiti  delle  proposte  Savonaroliane.  —  Il  Padre  Marchese  e  i  mo- 
nocoli nel  giudicare  il  Savonarola.  —  Il  Frate  di  S.  Domenico  non  fu  lagislatore  nè  reggitoro 
di  Firenze.  —  La  filosofia  del  vangelo  nella  costituzione  degli  stati  secondo  il  Savonarola  e 
Leone  XIII.  —  L'  età  nostra  ha  bisogno  dello  spirito  del  Frate  di  S.  Marco.  —  Conclusione 
nostra  e  del  Pastor.  —  L'  autorità  di  Leone  XIII,  e  del  Cardinale  Capecelatro. 


XX.  Segue  solla  politica  del  Savonarola  —  2.  Fra  Girolamo,  la  lega  e 


Come  generalmente  s'  accusi  il  Savonarola  d'aver  contato  troppo  sopra  Carlo  Vili,  ed  eccitato  in  Fi- 
renze le  passioni  politiche.  —  L'  accusa  formulata  del  Pastor.  —  Nostra  esitanza  e  nostra  opinione. 
—  L'  affermazione  degli  avversarj  non  confortata  da  alcuna  prova  buona.  —  Fra  Girolamo  non 
ritenne  che  Carlo  Vili  avesse  assolutamente  a  riformar  la  Chiesa,  nè  consigliò  aperto  che  si 
contasse  sopra  di  quello  neanche  per  le  cose  dello  Stato.  —  Un  documento  gravissimo.  —  Il 
duca  di  Ferrara  al  Savonarola.  —  Il  Savonarola  al  duca  di  Ferrara.  —  Fra  Girolamo  segue  il 
lume  della  fede  e  fa  causa  con  Cristo.  —  La  Lega  e  il  Savonarola.  —  Un  documento  elio  prova 
poco,  come  lo  si  chiosi.  —  Il  Savonarola  messo  volontario  a  Carlo  Vili.  —  Relaziono  al  po- 
polo Fiorentino.  —  L'  autorità  di  Piero  Parenti  oon tradetta  dalla  predica  dello  rivelazioni.  — 
Espliciti  asserti  del  Frate.  —  Conclusione. 


XVIII.  Il  Savonarola  e  lo  spirito  profetico 


Pag.  291 


Carlo  Vili, 


Pag.  336 


XXI.  Segue  sulla  politica  del  Savonarola.  —  3.  Fra  Girolamo  e  l'unione  e 
la  giustizia  politica  nella  città  di  Firenze  Pag.  3àO 


L' accuse  <V  intemperanza  escandescenza  e  crudele  fanatismo.  —  Leggerezza.  —  Innocenza  del  Savo- 
narola. —  Un  articolo  del  Grisar.  -  Compito  degli  avversari  del  Frate.  —  Una  domanda  oppor- 
tuna. —  Calunnie,  e  autodifesa  del  Savonarola.  —  Le  fazioni  in  Firenze  all'  uscita  de'  Medici. 
—  Sforzi  del  .Frate  per  dar  la  quiete  alla  città,  e  suoi  frutti.  —  Il  Savonarola  voleva  Firenzo 
ad  immagino  della  Gerusalemme  Celeste.  —  Insistenze  per  la  legge  della  pace  —  H 
Frate  vuole  l'unione  degli  animi.  —  Durezza  di  Fiorentini.  —  Cenno  all'arto  diabolica  usata 
dagli  awersarj  del  nuovo  governo.  —  I  Fiorentini  non  vogliono  lasciar  gli  odj.  —  Gl'Israeliti 
o  i  Fiorentini,  Mosè  e  Fra  Girolamo.  —  L'  accusa  di  crudeltà.  —  Metodo  da  condannarsi.  — 
Coso  vere  e  incensurabili.  —  Difesa  magra.  —  Libertà  nella  repubblica  di  Firenze,  e  pene  dei 
turbatori  dell'ordine  pubblico  nel  secolo  XV.  —  Un  principio  vero  e  un  falso  supposto.  —  Uf- 
ficio del  predicatore  cristiano  e  Loone  XIII.  —  Il  torto  di  Fra  Girolamo.  —  Breve  epilogo  e 
conclusione. 

XXII.  Necessità  di  esporre  la  teorica  Savonaroliana  intorno  la  gerarchia 
ecclesiastica,  l'obbedienza  ai  superiori,  le  leggi  canoniche  e  la  scomu- 
nica  Pag.  370 

Importanza  cresccnto  del  nostro  lavoro.  —  Un  maro  poco  navigato.  —  Dottrina  e  fatti  più  critici  del 
Savonarola.  —  Nostra  speranza.  —  Cbe  cosa  si  chiede  al  lettore  —  Como  si  procederà.  —  La  cre- 
denza universale  nell'  ortodossia  ilei  Savonarola.  —  Giudi/j  di  cattolici  e  di  acattolici.  —  Ufficio 
conscguente  a  chi  voglia  rivendicare  alla  Chiesa  Fra  Girolamo.  —  Uu  verso  dell'  Alighieri  che 
s'  aggiusterebbe  al  Savonarola.  —  U  Pastor  riuscirebbe  a  metter  in  dubbio  anche  l'ortodossia  del 
Savonarola.  —  Asserzioni  dello  storico  d'  Innsbiuck  contro  il  Frate.  —  Obbligo  che  quindi  ne  vieue 
negli  esaminatori  del  Pastor,  che  vogliono  cattolico  il  Savonarola.  —  Contradizioni  noi  Pastor  che 
non  ritolgono  tale  obbligo.  —  Altri  scrittori  che  giudicano  sinistramente  la  dottrina  del  Frate.  — 
Nostra  speranza.  —  Metodo  che  seguiremo. 

XXIII.  Della  gerarchia  ecclesiastica  secondo  Girolamo  Savonarola.  Pag.  376 

Distinzione  tra  clero  e  popolo.  — I  Ministri  instil triti  da  Cristo  dispensatori  de'  Sacramenti.  —  L'Euca- 
ristia fonte  e  ragiono  della  gerarchia  ecclesiastica.  —  Del  Sacerdozio  o  degli  altri  ordini  elio  a, 
osso  ministrano  ;  o  de'  gradi  della  getarchia  ecclesiastica.  —  Del  Vescovato.  —  La  potestà  epi- 
scopale o  la  sacerdotale  rispetto  al  corpo  vero  e  rispetto  al  corpo  mistico  di  Cristo.  —  Come  si 
riducano  tutto  lo  diocesi  ad  un  solo  capo.  —  La  gerarchia  uel  nostro  cosmo,  e  la  gerarchla  nel- 
l'universo di  Cristo. 

XXIV.  Il  Romano  Pontefice  nella  gerarchia  ecclesiastica  secondo  Girolamo 
Savonarola  Pag.  380 

llagiono  del  capitolo  prosente.  —  Chi  sia  il  Papa  secondo  Girolamo  Savonarola.  —  Un  passo  aureo.  — 
Verità  elio  piace  al  nostro  Frate.  —  Il  Papa  capo  della  chiesa,  successore  di  Pietro,  vicario  di 
Cristo,  rappresentante  di  Dio  in  terra.  —  Il  Papa  avrà  sempre  Poma  por  sedo.  —  Il  capitolo  VI 
del  libro  IV  del  Trionfo.  —  Por  qual  line  sia  fatto  il  Papa.  —  Il  Papa  giudice  supremo  nella 
Chiesa  di  tatto  le  questioni  o  compositore  di  tutte  le  differenze.  —  Il  Papa  e  la  perpetua  unità 
della  Chiesa.  —  Tutti  i  papi  quasi  un  papa  solo.  —  Parole  di  Fra  Girolamo  alla  Chiesa  Catto- 
lica. —  Kiopilogo  o  conclusione. 

XXV.  Teorica  dell'obbedienza   ....    Pag.  38G 

Como  si  ha  da  obbedire  ad  ogni  potestà,  perchè  ogni  potestà  è  da  Dio.  —  Il  principe,  o  ò  ministro  nolle 
mani  di  Dio,  o  0  ferro  rollo.  —  Il  comando  del  principo  ferro  rollo  non  obbliga.  —  L'obbedienza 
nella  gerarchia  ecclesiastica.  —  Fondamento  disila  teorica  savonaroliana.  —  Soggezione  del  popolo 
al  clero.  —  Obbedienza  al  Papa.  —  Tutti  i  canoni  impongono  obbedienza  al  Pontefice,  —  Il  Savo- 
narola e  i  suoi  fiati  vogliono  prima  morire  che  far  peccato  di  disobbedienza.  —  Il  Savonarola  non 


-  619  — 


vuol  peccare  in  questa  materia  nemmeno  venialmente.  —  Limiti  dell'obbedienza  al  Pontefice,  e  a' 
prelati  superiori.  —  Come  la  Chiesa  Romana  non  può  comandare  contro  Dio,  ma  sì  bene  gli  nomini 
della  Chiesa  Romana.  —  11  comando  del  Papa  e  la  professione  religiosa.  —  Del  comandamento  de' 
superiori  sopra,  infra,  oltre,  contro,  secondo,  quel  che  siamo  obbligati  ad  osservare  :  e  quando  lo  si 
abbia  ad  obbedire,  e  quando  si  possa  non  obbedirlo,  e  quando  non  si  debba  obbedirlo.  —  Girolamo 
Savonarola  obbliga  tutti  a  staro  all'obbedienza  del  Pontefice.  —  Regola  da  seguire  quando  fosse 
tatto  comandamento  contro  la  carità.  —  Che  cosa  scrivessero  a  Roma  i  nemici  del  Frate.  —  Di  co- 
loro che  hanno  levato  il  Capo.  —  Il  Papa  si  vuole  obbedire  nel  bene.  —  Il  cittadino  e  la  sua  vigna 
e  il  suo  figliuolo  e  i  calunniatori.  —  La  ragione  a  Bruges.  —  Il  re,  il  servo  e  il  barone.  —  Bisogna 
obbedire  piuttosto  a  Dio  che  agli  uomini.  —  Che  cosa  si  dovesse  scrivere  a  Roma  del  Frate. 


XXVI.  Delle  leggi  canoniche  e  della  scomunica  .......    Pag.  398 

Fra  Girolamo  dotto  in  diritto  civile  e  canonico.  —  Opere  legali  del  Frate.  —  Ragioni  chi'  indussero  il  Savo- 
narola allo  studio  del  diritto.  —  Nomologia  Savonaroliana.  —  Legge  in  genere.  —  Legge  eterna.  — 
Legge  naturale.  —  Leggi  civili.  —  Leggo  soprannaturale.  —  Leggi  canoniche.  —  L.  carità  legge 
suprema.  —  La  legge  divina  e  la  naturale  e  qnclle  che  ne  dipendono  per  modo  di  deduzione  sta- 
bili ognora.  —  Mutabilità  delle  leggi  meramente  positive  umane.  —  Condizioni  alla  validità  della 
legge;  e  casi  di  nullità.  —  Criterio  per  giudicare  della  bontà  delle  leggi.  —  Un  esempio.  —  Dot- 
trina del  Savonarola  intorno  alla  scomunica.  —  Uno  studio  della  scomunica  del  nostro  Frate.  — 
Fonti  dalle  quali  attingiamo  1'  esposizione  presente.  —  Limiti  di  questa.  —  Natura  della  scomunica. 

—  Come  ossa  non  sia  da  infliggere  se  non  per  colpe  gravissime.  —  Sue  conseguenze.  —  Fra  Gi- 
rolamo lamenta  la  troppa  frequenza  dello  scomuniche.  —  Casi  di  nullità  della  scomunica. 

XXVII.  Si  dimostra  la  teobia  del  Savonarola  sopra  esposta  esser  cattolica, 
e  si  ribatte  l'accusa  ch'egli  ritenga  che  la  vita  peccaminosa  de' prelati 
ne  scuota  la  giurisdizione  pag.  407 

La  dottrina  del  Savonarola  e  i  Canoni. — Il  Pastor  non  ha  ben  letto.  —  n  Savonarola  cattolico  conio 
San  Tommaso  e  Sant'Antonino.  —  II  Pastor  ammetto  possibile  una  scomunica  inginsta.  —  La 
sentenza  ingiusta  può  esser  nulla.  —  L'  autorità  di  San  Tommaso  e  quella  de'  Canoni.  — So  la  sen- 
tenza ingiusta  e  nulla  s'  abbia*  ad  osservare.  —  Un  equivoco  che  guasta  tutto.  —  Si  rimanda  il 
lettore  al  Pico.  —  Si  trascrive  un'  altra  volta  da'  Canoni.  —  Timore  dell'  ingiusta  sentenza.  —  Di- 
stinzioni importanti.  —  Discrezione  nello  intendere  la  glossa  a' Canoni.  — Aureo  passo  del  Sa- 
vonarola. —  Un  nostro  dubbio.  —  Accusa  del  Pastor  contro  il  Savonarola  di  non  aver  obbedito 
ad  Alessandro  VI  perche  uomo  guasto.  —  Asserzioni  del  Pastor.  —  Che  cosa  poteva  diro  il  Pa- 
stor. —  L'  importanza  del  buon  esempio  de' capi  per  il  popolo  cristiano  secondo  il  Pastor  e  Fra 
Girolamo.  —  Il  peccato  del  sacerdote  non  reca  scapito  essenziale  al  sacrifizio,  al  sacramento,  nò 
alla  dottrina.  —  Analogo  insegnamento  di  Fra  Girolamo.  —  La  dignità  sacerdotale  secondo  il  Sa- 
vonarola. —  Fra  Girolamo  riconosce  ne'  prelati  e  nel  capo  indegno  la  potestà  anche  nel  corpo  mi- 
stico di  Cristo.  —  Difficoltà  della  lotta  sostenuta  dal  Savonarola.  —  Dio  non  vuole  mutar  clùave. 

—  D  Savonarola  è  con  Sant'Ambrogio  e  S.  Gregorio  Papa.  —  Ai  perversi  comandamenti,  non  ai 
superiori  perversi  si  vuole  resistere.  -  Il  Papa  può  tutto  il  bene.  —  La  teorica  del  coniando  con 
viene  anche  alla  teorica  della  legge  e  della  scomunica.  —  Lo  leggi,  le  scomuniche  ingiuste  cosa  del 
diavolo.  —  Conclusione  contro  il  Pastor. 


XXVIII.  Se  Girolamo  Savonarola  dichiarasse  il  convincimento  soggettivo  quale 

STREGUA  DELL'OBBEDIENZA   ECCLESIASTICA  Pag.  AH'Ò 

Una  obbiezione.  —  Il  Frate  di  San  Marco  e  Giovanni  Huss.  —  Prova  del  Pastor  e  nostro  vedere.  — Chi 
sia  soggettivista  e  che  soggettivismo.  —  Si  nega  la  verità  dell'  asserzione  che  dico  Girolamo  Savo- 
narola soggettivista. —  La  verità  secondo  Fra  Girolamo.  —  La  verità  ò  Dio.  —  La  verità  ò  Cristo. 

—  Forza  della  verità.  —  L' uomo  che  cammina  nella  verità.  —  11  vero  e  il  bene.  —  Una  protesta. 

—  Girolamo  Savonarola  ammetto  la  realtà  oggottiva  dell' intelligibile.  —  Rapporto  del  vero  col- 
l' intelletto  nostro.  —  Questiono  mezzo  risolta.  —  L'  evidenza  oggettiva,  criterio  supremo  della 
verità.  —  Verità,  luco  e  bellezza  secondo  Fra  Girolamo.  —  L'evidenza  oggettiva  è  un  lumo  og- 
gettivo. —  Specie  di  verità  secondo  il  Savonarola  e  loro  realtà  oggettiva,  —  Distinzione  di  verità 
e  di  lumi.  —  Ogni  lume  viene  da  Dio  ed  ha  evidenza  dell'oggetto  proprio.  —  Potenza  e  limiti 


-  620  — 


do'  lami.  —  Principj  supremi  di  Girolamo  Savonarola.  —  A  ricusar  1'  obbedienza  si  richiede 
l' evidente  ingiustizia  del  comando.  —  Si  trascrive  il  testo  del  Frate  citato  dal  Pastor.  —  Ragione 
del  fatto.  —  Altri  passi  del  Savonarola.  —  Le  condizioni  richieste  per  trapassare  il  comando 
si  richiedono  anche  alla  inosservanza  della  scomunica.  —  Esame  dei  testi  Savonaroliani.  —  No- 
zione dell'evidenza.  —  La  parola  de' superiori  non  è  la  causa  formale  della  fede.  —  Chi  insegna 
non  dà  il  lume  al  discepolo.  —  Se  Cristo  non  ci  apre  gli  occhi  nessuno  vede.  —  Assurdi  della  teo- 
rica del  Pastor.  —  Alcuni  esempj  evidenti.  —  Autorità  che  confortano  la  dottrina  di  Frate 
Girolamo. 


XXIX.  I  BREVI  DEL  21   LUGLIO  E  DEGLI  8  SETTEMBRE    1495    E    RELATIVA  CONDOTTA 

Dia  frate  Pag.  440 

Verità  debitamente  provate.  —  II  nodo  della  questione.  —  Nostro  timore.  —  Rispetto  agli  avversarj.  — 
Franchezza  di  cattolici.  —  Come  procederemo.  —  La  politica  nella  questione  presente.  —  Natura 
delle  calunnie  de'  Politici  al  Pontefice  contro  il  Savonarola.  —  Che  si  richiede  a  provar  l' innocenza 
del  Savonarola.  —  L'accusa  formulata  dal  Pastor.  —  Il  Breve  pontificio.  —  Cose  a  posto.  —  Il  Frate 
non  oppone  rifiato  nè  nella  forma,  nè  nella  realtà  alla  chiamata  del  Papa.  —  Risposta  del  Savonarola 

ad  Altssandro  VI.  —  Il  Pastor  non  esaminò  la  questione.  —  Una  pagina  infelicissima  del  Perrens.  

Si  esaminano  le  ragioni  scritte  dal  Savonarola  al  Pontefice  e  si  trovano  vere  e  buone.  La  infer- 
mità. —  Essa  è  nota  al  popolo  Fiorentino  assai  prima  dell'  arrivo  del  Breve.  —  È  manifesta  e  gin- 
stifica  il  Frate.  —  Il  pericolo  d'  esser  ucciso.  —  La  sicurezza  al  tempo  del  Savonarola.  —  La  cru- 
deltà e  lo  spirito  di  vendetta,  che  danno  la  mano  alla  scostumatezza.  —  L'assassinio  del  duca  di 
Candia  e  il  Tevere  paziente.  —  Passi  chiosati.  —  Danno  che  la  partenza  del  Frate  poteva  cagionare 
a  Firenze.  —  Como  il  Pastor  mostra  involontariamente  che  il  Savonarola  ha  ragione.  —  La  riforma 
abbozzata.  —I  buoni  cittadini  vogliono  il  Savonarola  in  Firenze.  —  Sottoscriviamo  la  lettera  del 
Savonarola.  —  Il  Savonarola  soddisfa  al  desiderio  del  Pontefice.  —  Una  domanda  spontanea.  —  Il  si 
e  il  no  veri  entrambi.  —  Ragioni.  —  Il  Breve  pontificio  degli  8  settembre  1495.  —  Alessandro  VI 
al  Beato  Sebastiano  Maggi.  —  Sentenze  del  Pastor.  —  Espressioni  oscure.  —  Cose  dal  Frate  sapute. 

—  Sentenze  che  danno  scandalo  alla  brigata.  —  Il  Savonarola  non  si  può  affatto  chiamare  disob- 
bediente. —  La  causa  affidata  al  Beato  Sebastiano  Maggi.  —  Una  lettera  inedita  di  Alessandro  VI. 

—  Prove  giustamente  richiesto  ai  critici  del  Frate,  e  come  non  le  possou  dare.  —  L'  opera  del 
P.  Maggi  in  questa  faccenda.  —  Il  Savonarola  fece  da  Sauto  ciò  che  doveva.  — Esame  del  Breve 
pontificio.  —  Come  sia  ornai  facile  contentare  i  nostri  lettori.  —  Il  Savonarola  non  predicò  eresia 
alcuna.  —  La  semplice  predicazione  delle  cose  future  non  ò  dogma  perverso.  —  Quali  profeti  siau 
da  condannare.  —  Fra  Giiolamo  non  fa  mosso  a  predicare  il  futuro  dallo  sconvolgimento  d' Italia. 

—  Il  Frate  di  San  Marco  non  si  disse  assolutamente  profeta,  nè  si  valso  della  profezia  a  male.  

La  missione  profetica  e  i  miracoli.  —  Il  Savonarola  non  è  reo  dolla  bestemmia  appostagli.  —  Fra 
Girolamo,  Riccardo  da  San  Vittore  e  Leone  XIII.  —  Cose  inetto  e  scandaloso  il  Frate  di  San 
Marco  nè  disse,  nè  fece.  —  Accuse  che  esamineremo,  ed  accuso  già  esaminate.  —  Edificio  sonza 
fondamento.  —  Come  Fra  Girolamo  avrebbo  fatto  male  eseguendo  lo  somplici  parole  della  sen- 
tenza pontificia.  —Buon  zelo  mosso  il  Savonarola  a  riscrivere  al  Pontefice.  —  Ragioni  perentorio. 

—  Conclusione. 


XXX.  Del  breve  pontificio  de'  16  ottobre  1495  e  relativa  condotta  del 
frate  Pag.  478 

Ragioni  del  Brovo  16  ottobre  1495.  —  Clio  cosa  fra  Girolamo  domandasse  al  Pontefice.  —  Dispositivo 
della  Sentenza  Pontificia.  —  Lo  concioni  dell'ottobri;  1495.  —  Un'  accnsa  nuova  promossa  dal  Pa- 
stor. —  Apparenza  di  verità.  —  Ragioni  che  la  distraggono.  —  Non  occorreva  la  dirotta  permissioni) 
del  Papa  pcrchò  Fra  Girolamo  potesse  predicare.  —  La  causa  in  discussione.  —  Il  reo  che  si 
tiono  ragionevolmente  prosciolto.  — Discussione  legittima.  —  La  credenza  nniversaloo  la  esplicita 
testimonianza  del  Parotiti.  —  Cose  date  o  non  concesse.  —  Non  misfatto,  ina  aziono  al  tomento 
lodevole.  —  La  patria  in  pericolo  per  cagione  di  Piero  Do'  Modici.  —  La  propria  e  l'altrui  di  lisa 
giustifica  il  Fiato.  —  Ancora  una  proposizione  vera  che  scandalizza  il  popolo.  —  Ragiono  jho,  pur 
Sembrando  sofistica,  non  ò  tuttavia  priva  di  importanza.  —  Il  Savonarola  non  pecca  per  sciocca 
Semplicità.  —  Coniando  al  Fiato  di  astenersi  da  ogni  sermono.  —  Giudizj  gratuiti  ed  ingiusti. 

—  Troppa  voglia  di  condannalo  il  calunniato  Domenicano.  —  Una  insinuaziono  gravissima. 

—  Il  Savonarola  accusato  un'  altra  volta  di  disobbodienza  dal  Pastor  o  dal  Grisar.  —  La  coscienza 
guasta.  —  Ignoranza  imperdonabile,  —  Si  ripiglia  la  questiono  elio  credevamo  decisa.  —  Pensieri 


—  G21  — 


ohe  agitano  l'animo  del  Fiato  o  del  Governo  Fiorentino.  —  Prudenza  di  Fra  Girolamo.  —  Il  Sa- 
vonarola a  Fra  Antonio  D'  Olanda.  —  La  licenza  impetrata.  —  L'  attestano  i  biografi  del  Frate. 
—  Provo  tratte  dai  Nuovi  Documenti.  —  Tina  lettera  del  Somenzi.  —  Il  Tancredino  elio  afferma 
qnanto  vorrobbo  negare.  —  Un  colloquio  del  Beccbi  oratore  fiorentino  con  il  cardinale  di  Pe- 
rugia. —  Riflessioni.  —  Altro  principio  di  prova.  —  Colloquio  di  Niccolò  Paudolfini  con  Ales- 
sandro VI.  —  Imitilo  tentativo  del  Cosci.  —  Una  obbiezione  che  ha  pronta  la  risposta.  —  Un  vero 
giudizio  di  Isidoro  Del  Lungo.  —  Dichiarazione  del  Savonarola.  —  Una  inesattezza.  —  Condi- 
ziono a  cui  fu  ridonata  la  licenza  del  predicare.  —  Coso  riferite  al  Papa  sul  conto  di  Fra  Giro- 
lamo. —  Autorità  dei  delatori.  —  Carattere  delle  prediche  sopra  Amos  e  Zaccaria.  —  Difficoltà 
del  Becchi  nel  difendere  il  Savonarola.  —  Tolleranza  di  Alessandro  VI.  —  Si  previene  una  obie- 
zione. —  Uguale  storia  di  due  Brevi.  —  Una  nostra  domanda.  —  L'ordinanza  della  Signoria  ine- 
splicabile senza  l'ottenuta  facoltà  di  predicare.  —  Kisposta  alle  domande  altrui.  —  Singolarità 
del  Cosci.  —  Giudici  del  Savonarola  meno  tolleranti  e  più  severi  di  Alessandro  VI. 


XXXI.  L'  unione  dei  Conventi  Pag.  498 

Fra  Girolamo  vittorioso.  —  Autorità  e  venerazione  accresciute. —  Ira  e  zelo  diabolico  degli  avversarj. 

—  Il  Tancredino  al  Moro.  —  Gravi  avvenimenti  che  turbano  i  principj  della  Lega.  —  Massimi- 
liano e  i  Fiorentini  a  Livorno.  —  I  nuovi  fatti  e  la  persona  del  Savonarola.  —  Prediche  famoso.  — 
L'istituzione  della  congregazione  Tosco-Romana.  —  Contenuto  del  Breve.  —  Fine  apparente.  — 
Fine  reale.  —  Gindizj  del  Pellegrini.  —  Il  Pastor  ultima  eco  della  voce  degli  avversarj  del  Frate. 

—  Alessandro  VI  palesa  il  recondito  fine  della  Bolla  Pontificia.  —  Esso  ó  noto  a  Fra  Girolamo. 

—  Una  domanda.  —  Le  parabole  narrato  e  Fra  Girolamo.  —  Una  nuova  parabola  e  sua  dichiara- 
zione. —  Il  Savonarola  non  doveva  partirsi  da  Firenze.  —  Il  Somenzi  al  Moro.  —  Il  Frate  ob- 
bedì alla  buona  intenzione  del  comando  Pontificio.  —  La  questione  sotto  l'aspetto  canonico.  — 
Una  distinzione  necessaria.  —  Qual  persuasione  avessero  i  frati  di  San  Marco.  —  Un  po'  di  storia.— 
Che  facesse  Fra  Girolamo  di  fronte  al  Brevo  Pontificio.  —  I  Padri  professi  3  i  Padri  de'  novizj  ri- 
pugnanti spontanei  all'  unione.  —  Prove  irrefragabili.  —  Una  giusta  sentenza  del  Pico.  —  Una  que- 
stione di  diritto  e  uua  di  fatto.  —  Fra  Girolamo  secondo  le  costituzioni  dell'  Ordine  non  doveva 
lasciare  i  conventi  di  San  Marco.  —  Il  Savonarola  vuol  essere  dichiarato  prosciolto  dall' ac- 
cusi. —  La  questione  dal  lato  inorai";.  —  Le  ragioni  de'  Frati  di  San  Marco,  il  Pastor  e  il  Pico. 

—  La  disciplina  ne' conventi  dell'Unione  e  severo  giudizio  del  Pastor  e  del  Savonarola.  —  Giusta 
sentenza  del  Pico.  —  Un'  obiezione.  —  Odio  a  San  Marco  de'  frati  deformati.  —  Il  Savonarola  e 
i  Sanesi  e  i  Pisani.  —  Un  documento  espressivo.  —  Conclusione. 


XXXII.  Li  Scomunica  Pag.  526 

Fatto  doloroso  a  dirsi.  —  Il  Breve  di  scomunica  come  si  legge  nel  Pastor.  —  Empietà  di  coloro  che 
1'  hanno  procurata.  —  L' iutiero  nostro  scritto  dimostra  la  nullità  della  grave  sentenza.  —  Un 
lavoro  che  sarebbe  utile.  —  Si  riepilogano  con  lo  parole  del  Frate  le  coso  fin  qui  det  te. —  Un  po- 
destà di  Brescia.  —  Ad  Alessandro  VI  spiace  la  pubblicazione  della  sentenza.  —  È  conosciuta 
da  molti  la  nullità  della  scomunica.  —  Il  Papa  riconosce  1'  innocenza  del  Condannato.  —  Dottrina 
evita  del  Savonarola  lodate  da  Alessandro  VI.  —  Il  Papa  desideroso  di  revocare  la  scomunica. 
—  Prove.  — Un'altra  scein.  —  I  motivi  della  scomunica  riconosciuti  inesistenti  da  Alessandro 
VI.  —  Interpretazione  delle  parole  falsa  et  pestifera  dominata.  —  So  Fra  Girolamo  potesse  chie- 
dere 1'  assoluzione.  —  La  benedizione  papale.  —  La  dignitosa  coscienza  del  Frate  ha  compito 
il  proprio  dovere.  —  Una  domanda  al  Pastor.  —  Obbligo  della  difesa.  —  I  tristi  che  trionfano  e 
imperversano,  e  nessuno  li  frena.  —  I  buoni  elio  dimandano  pane  e  nessuno  lo  spozza  loro.  — 
Il  Frate  giustificato  del  riprender  la  predica  e  la  celobraziono  dei  misteri  divini.  —  Gli  effetti 
manifestano  che  il  Savonarola  diceva  la  verità.  —  La  testimonianza  del  Landucci.  —  L'  uomo 
di  poca  virtù  o  1'  uomo  acceso  ili  santo  zelo.  —  Non  siamo  nel  caso.  —  Un  pensiero  difficile  a 
significarsi.  —  Grandezza  di  Fra  Girolamo. 


XXXIII.  Il  Concilio  Pag.  545 

Como  sia  faticoso  difendere  Fra  Girolamo.  —  Il  Savonarola  condannato  audio  da  amici  o  ammiratori 
come  reo  d'aver  voluto  un  concilio  antipapale.  —  L'accusa  Immolata  dal  Pastor.  —  Come,  data 
la  verità  de' supposti,  sarebbe  inevitabile  la  condanna.  —  Ragioni.  —  Savio  parole  dol  Pastor, 
del  Marchese,  dol  Procter.  —  Nostra  opinione.  —  Che  cosa  si  concedo  e  che  cosa  si  nega.  —  Uu 


—  622  - 


argomento  negativo  (li  molto  valore.  —  Si  chiosa  un  misterioso  motto  ilei  Frate.  —  Si  nega  1'  au- 
tenticità delle  Iutiere  ai  principi.  —  Malvagità  provata  do'  calunniatori  del  Frate.  —  Le  lettere 
ai  principi  sono  almeno  alterate  e  corrotto.  —  Silenzio  non  spiegabile.  —  Il  punto  essenziale.  — 
Fra  Girolamo  non  disse  mai  che  Alessandro  VI  non  fosse  vero  Papa.  —  Vecchia  calnnnia.  —  La 
cliiave  elio  apre  il  segreto.  —  La  nostra  opinione  confortata  da' nuovi  documenti.  —  L'esamina 
di  Giovanni  Cambi  e  le  lettere  di  Domenico  Mazzinghi  e  di  Simone  del  Nero.  —  Anche  i  processi  ci 
danno  ragione.  —  Si  esamina  e  si  ribatte  il  più  forte  argomento  del  Padre  Marchose.  —  11  Savo- 
narola non  può  volere  un  Concilio  senza  i  Prelati  della  Chiesa  e  il  Papa.  —  Una  riforma  della 
Cliiesa  per  via  di  rivoluzione  inconcepibile  nel  sistema  del  Savonarola.  —  La  Chiesa  e  1'  aquila. 

—  Ordino  tenuto  da  Dio.  —  L'  abbondanza  dello  Spirito  Santo  necessaria  alla  rinnovazione  della 
Chiesa  discende  nel  popolo  per  mezzo  de'  Prelati.  —  Alla  riforma  del  popolo  dovo  precedere  quella 
del  Clero.  —  Il  Savonarola  crede  impossibile  per  ora  che  si  raccolga  la  Chiesa  in  Concilio.  —  Suo 
ragioni.  —  La  preghiera  ultimo  rifugio  e  arma  del  cristiano.  —  Alla  rinnovazione  precederà  il 
flagello.  —  La  superiorità  del  Concilio  al  Papa,  come  non  ò  dottrina  dell'  Ordino  domenicano,  così 
non  è  dottrina  del  nostro  Frate.  —  La  riforma  del  Frate  di  San  Marco  si  poteva  faro  anche  con 
Alessandro  VI.  —  Il  Papa  angelico.  —  Sentenze  che  non  si  devono  ripeter  piii. 

XXXIV.  La  prova  del  fuoco  e  la  morte  Pag.  571 

Questiono  pregiudiziale.  —  Parliamo  ai  cattolici.  —  Come  i  cattolici  non  possono  disapprovare  sempli- 
cemente la  prova  del  fuoco.  —  L'  esempio  di  San  Giovanni  Gualberto,  di  Fieno  vescovo  di  Elio- 
poli  e  di  Elia  Profeta.  —  La  parità  del  caso.  —  La  questione  decisa  autorevolmente  da  Ales- 
sandro VI.  —  Breve  pontificio  ai  Frati  Minori.  —  La  bnona  fede  ne]  Savonarola  e  ne' suoi.  — 
Nostra  vana  prova  di  scorgere  fanatismo  in  Fra  Girolamo.  —  Origine  della  prova  del  fuoco.  — 
I  Domenicani  si  mossero  non  presuntuosi,  ma  chiamati  e  provocati.  —  Come  passarono  le  cose. 

—  Consideratone  importante.  —  Chi  chiedesse  il  miracolo.  —  Perchè  il  Savonarola  s'  oppose 
dapprima  all'  esperimento  e  non  volle  entrare  poi  egli  nel  fuoco  con  Frate  Francesco.  —  Mente  ed 
offerta  di  Fra  Girolamo.  —  Pretesa  ridicola.  —  Moltitudine  che  si  oltre  a  sostener  la  prova 
per  Fra  Girolamo.  —  Come  il  Savonarola  dovesse  lilialmente  acconsentire  all'  esperimento-  — 
Proposizioni  da  provarsi.  —  Ditt'ereuza  di  fedo  ne'  Piagnoni  o  nei  loro  awersarj.  —  Preterizione. 

—  Abile  narrazione  del  Pastor.  —  Nostre  osservazioni  e  domande.  —  Cose  lecite,  ma  da  giusti- 
ficarsi. —  Il  nodo  della  qnestiono.  —  Un'  omissione  del  Pastor  o  nostro  riparo.  —  GÌ'  incante- 
simi, la  superstizione  dei  protervi  avversari  ginistificano  il  nostro  Frate.  —  Gregorio  VII  e  il  Sa- 
vonarola. —  Un  fatto  non  contestato,  ma  non  giustificato  nò  spiegato  dal  Pastor.  —  Autodifesa 
di  Fra  Domenico  rincalzata  da  Fra  Girolamo.  —  Un  falso  supposto.  —  Non  i  Domenicani,  ma  gli 
avversar)  si  ritirarono  dal  cimento  senza  giusta  causa.  —  Protosa  dell'  insipienza  del  volgo,  e  sa- 
viezza di  Fra  Girolamo.  —  Tempesta  terribile  ma  non  imprevista.  —  Il  popolo  sommosso.  —  I 
Frati  prigioni.  —  I  processi.  —  I  buoni  di  fronte  alle  estorte  e  falsificate  deposizioni.  —  La 
condanna  o  il  supplizio.  —  Il  trionfo  della  semplicità.  —  Conclusione. 

Breve  Epilogo  Pag.  599 

Appendice.  Documento  1.  (Inedito)   »  005 

»        Documento  II  »  60G 

»        Documento  III.  (Aggiunto  in  questa  seconda  edizione)         »  609 


Con  approvazione  dell'Autorità  Ecclesiastica